LA CRISI DI CUBA vista da un giovane rapallese

LA CRISI DI CUBA INIZIO’ IL 15 OTTOBRE 1962

DURO’ PER TREDICI GIORNI

Testimonianza di un "anonimo" giovane rapallese

Dipende forse da un riflesso condizionato, ma ogni volta che Mosca alza la cresta e minaccia un riarmo nucleare “aggiornato”, il nostro pensiero corre alla Crisi di Cuba del 1962 e ai rischi di olocausto nucleare che in quei giorni minacciò il mondo intero. Crediamo pertanto sia utile ripresentarla ai lettori, soprattutto come effetto “vaccino” per le nuove generazioni.

La cronistoria

Fin dal 1898. Data della sua indipendenza, Cuba era stato un Paese tradizionalmente legato agli Stati Uniti. Ma i rapporti tra i due Stati peggiorarono sino alla definitiva rottura dopo la vittoria di Fidel Castro nella Rivoluzione Cubana del 1959. Un nuovo regime di stampo filo sovietico si era instaurato a poche decine di miglia dalla Florida; questo avvenimento di vastissima portata geopolitica tolse il sonno alla maggior parte degli americani.

Già all’inizio del 1961. L’allora presidente D. Eisenhower aveva interrotto i rapporti diplomatici con il nuovo Stato e lo aveva escluso dall’OEA (Organizzazione degli Stati Americani). Il suo successore, John Fitzgerald Kennedy, arrivò addirittura ad approvare un piano d’invasione dell’isola addestrando e confidando sul supporto degli esuli cubani.

Il 17 aprile 1961. Avvenne lo sbarco delle armate anti-castriste in un punto dell’isola noto come Baia dei Porci. L’operazione si rivelò però un fallimento e Cuba, vistasi minacciata, si rivolse a Mosca e concordò l’installazione di alcune batterie di missili sul proprio territorio.

Nel maggio del 1962. Con una sfida davvero temeraria, il Cremlino concepì l’operazione “Anadyr” e inviò a Cuba, via mare, 50.000 soldati e materiale missilistico.

Con questa mossa spregiudicata, Nikita Kruscev intendeva dimostrare il suo impegno nella difesa dell’alleato caraibico e astutamente guadagnava posizioni strategiche, mostrando i muscoli sia agli Stati Uniti che alla Cina.

Nelle ore più drammatiche di quei tredici giorni che fecero tremare il mondo, un giovane rapallese che preferisce mantenere l’anonimato si trovava in servizio, come tecnico elettronico della NATO, sul ponte di comando della portaerei americana FORRESTAL nel porto di Napoli.

“A distanza di molti anni, quando ormai sono state raccontate tutte le fasi più o meno drammatiche di quei tredici giorni, rimango ancora sorpreso del fatto che si ometta di parlare di un dato obiettivo di cui sono stato testimone.

Durante la Crisi di Cuba, il resto del mondo (compreso i sovietici) non era a conoscenza che gli americani avevano in orbita satelliti spia, capaci di vedere e analizzare un “centimetro qualsiasi” del globo terracqueo, pertanto, i media di tutto il mondo parlarono della superiorità tecnologica degli aerei spia americani U-2, che vennero indicati come gli artefici della identificazione di postazioni missilistiche sovietiche a Cuba. La verità, come ho accennato, fu ben diversa e fece parte di un capitolo militare segreto, che fu dovutamente criptato per molte di decine di anni.

Per ragioni di lavoro, sono stato testimone dei risultati eccezionali forniti da quelle rivoluzionarie tecnologie. Quei nuovi tipi di satelliti geo-stazionari lanciati nello spazio producevano migliaia di foto che piovevano in continuazione sul Pentagono, su i vari Dipartimenti Militari e poi rimbalzavano sui monitors dei Comandi asserviti come quello della portaerei Forrestal, dove io mi trovavo. Sono sempre stato un appassionato di elettronica e capivo perfettamente di vivere un importantissimo avvenimento storico, del quale potevo gustare veramente l’esclusiva. Peccato che non capivo altrettanto bene la loro lingua in codice, ma vi assicuro che i dialoghi concitatissimi delle più alte sfere politico-militari di quel tempo li ho ancora negli orecchi.

Detto questo, sono tuttora convinto che soltanto l’altissima tecnologia satellitare abbia permesso ai politici americani ed ai loro Stati Maggiori di entrare con la dovuta consapevolezza in quel pericoloso scenario, consentendogli di giocare d’anticipo con i Sovietici, usando pertanto la dovuta e controllata determinazione.

Era necessario arrivare alla fase finale della trattativa con i nervi calibrati al punto giusto, per evitare che i “falchi” prevalessero con tesi emotive, guerrafondaie e poco sedimentate nella diplomazia e nel buon senso.

Fin dall’inizio, quindi, le fotografie fornite dai satelliti permisero agli americani di monitorare e analizzare tutte le mosse sovietiche, di studiarne le contromosse e prevenirne le tragiche conclusioni. Ciò che, sicuramente, gli Americani non previdero fu l’estrema sfrontatezza di Kruscev.

Veduta aerea del sito missilistico a Cuba nell’ottobre del 1962

 

Il 30 agosto. Gli americani tenendo ben segrete le fonti satellitari, diffusero le fotografie di una nuova serie di postazioni missilistiche SAM, riprese da un U-2.

Il 4 settembre. Kennedy disse al Congresso, che non c’erano missili “offensivi” a Cuba.

8 settembre. Durante la notte, la prima consegna di MRBM SS-4 Sandal fu scaricata a l’Avana.

Il 16 settembre. Un secondo carico approdò all’isola.

I sovietici stavano costruendo nove siti: sei per gli SS-4 e tre per gli SS-5 Skean a più lungo raggio (fino a 3500 km), l’arsenale pianificato era di quaranta rampe di lancio. Gli MRBM avevano una gittata di circa 1.600 km e potevano minacciare Washington e circa metà delle basi SAC (Strategic Air Command) statunitensi, con un tempo di volo inferiore ai venti minuti.

Novembre 1962. Veduta aerea del sito missilistico di Cuba

Il 19 ottobre. I voli degli U-2 mostrarono che quattro postazioni erano operative.

Il 14 e il 15 ottobre. I rilievi fotografici effettuati da due aerei spia U-2 americani confermarono la presenza d’alcuni missili nucleari sovietici a medio raggio e la costruzione in atto dei relativi sistemi di lancio sull’isola di Cuba. Si trattava di una postazione degli SS-4 vicino San Cristobal.

Il 16 ottobre. Un gruppo di stretti collaboratori del presidente Kennedy si riunì in una seduta speciale Per discutere Il Blocco Navale di Cuba.

Facevano parte di questo gruppo il segretario di Stato Dean Rusk, il segretario della Difesa Robert McNamara, il direttore della CIA John McCone, Robert Kennedy ed un ristretto numero di consulenti politici, militari e diplomatici.

La situazione da affrontare era tra le più difficili e delicate della storia moderna: quale via diplomatica era la migliore per fermare il pericolo di quei missili, con un raggio d’azione superiore ai duemila chilometri?

D’improvviso, quasi l’intero territorio americano rischiava di trovarsi sotto l’effettiva minaccia di apparati missilistici nemici.

l’URSS, con poche e riuscite mosse, aveva acquisito un enorme potenziale di pressione nell’ambito della sfida tra le due potenze.

Gli Stati Uniti dovevano affrontare quello che sarebbe passato alla storia come il picco più alto della tensione durante la Guerra Fredda: una pesante CRISI diplomatica tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.

In quei giorni, due uomini avevano in pugno il destino della Terra: John Fitzgerald Kennedy e Nikita Sergeevich Kruscev. Ognuno di questi due potentissimi Capi di Stato avrebbe potuto, in quell’ottobre di 45 anni fa, dare inizio alla Terza Guerra Mondiale, che sarebbe stata la più pericolosa dell’intera storia dell’umanità, perché non era mai accaduto prima che due nazioni stessero per usare “Armi Nucleari” capaci d’incenerire una dozzina di volte il pianeta.

Soltanto il 22 ottobre. Dopo giorni di tensione internazionale, tra minacce d’intervento militare ed inutili tentativi di mediazione da parte dell’ONU, il Presidente degli Stati Uniti pronunciò un discorso alla nazione, in parallelo ad un ricorso presentato alle Nazioni Unite.

J.F. Kennedy decretò il blocco navale dell’isola, fissato a 500 miglia nautiche da Cuba, chiedendo contemporaneamente lo smantellamento delle basi missilistiche.

Il mondo venne ufficialmente a conoscenza di una possibile e imminente catastrofe nucleare.

Il cargo sovietico POLTAVA in rotta verso Cuba. I missili sono visibili in coperta. Kennedy decise di rendere pubbliche queste foto per raccogliere il maggior consenso popolare possibile.

Se le unità sovietiche avessero provato a forzare il blocco, il conflitto armato tra le due superpotenze sarebbe drammaticamente ed immediatamente cominciato.

Mercoledì 24 ottobre. La “quarantena” entrò in vigore. Lo stesso giorno Kruscev ordinò alle navi sovietiche di non forzare il blocco per nessun motivo.

La tensione raggiunse l’apice, quando si sparse la notizia che diciotto navi da carico sovietiche stavano dirigendo verso la zona protetta e la marina americana era allertata per il loro affondamento.

A questo punto ci fu, per fortuna dell’umanità, una provvidenziale inversione di tendenza: sedici delle diciotto navi russe avevano cambiato rotta. Il giorno dopo tutte le navi sovietiche erano lontane dalla zona del blocco.

Il pericolo era scampato. Il buon senso delle “colombe” aveva prevalso sui temibili “falchi” presenti in entrambi gli schieramenti.

In una lettera privata, Kruscev s’impegnò con Kennedy a rimuovere i missili già piazzati a Cuba;

in cambio richiese la dichiarazione pubblica di Kennedy che gli Stati Uniti non avrebbero mai invaso l’isola, né appoggiato altri tentativi d’invasione.

Giovedì 25 ottobre. Radio-Mosca trasmise una seconda lettera di Kruscev, nella quale il ritiro dei missili di Cuba era però condizionato alla rinuncia americana ai suoi missili Jupiter installati in Turchia.

Era il 28 ottobre. La crisi poteva dirsi terminata.

QUARANTACINQUE ANNI DOPO….

Secondo il materiale e le testimonianze pubblicate in questi ultimi anni in Russia e raccolte dal settimanale OGGI, il 27 ottobre 1962, con l’abbattimento (mai denunciato all’opinione pubblica) sui cieli di Cuba di un aereo spia americano, si verificò un episodio gravissimo nell’intera vicenda:

l’intercettazione di un sottomarino sovietico

a nord dell’isola che cercava di forzare l’accerchiamento americano di Cuba.

In quella terribile fase che stava per diventare una diabolica corrida tra le navi e gli aerei americani contro i sottomarini atomici sovietici, le forze della US Navy reagirono immediatamente con lanci di bombe di profondità che costrinsero il sottomarino ad emergere ed a comunicare che stava invertendo la rotta.

Secondo fonti storiche sovietiche, i sottomarini sovietici erano quattro ed appartenevano alla 69° Brigata della Flotta del Nord, contrassegnati dalla lettera B e dai numeri 4-36-59-130.

Ognuno dei mezzi era dotato di un missile con testata nucleare.

Gli attimi più difficili li vivemmo nelle acque delle Bahamas –dichiarò Vitalj Agafonov ex-comandante della Brigata dei sommergibili russi nella Campagna di Cuba - quando i nostri sottomarini penetrarono aldilà delle cinque linee americane di sbarramento, superando la soglia limite del blocco anticubano. Fummo circondati da sette navi americane che ci rinchiusero in un anello di ferro. Loro ci mitragliavano dagli aerei che volavano a bassissima quota. Nella zona più difficile finì il B-59, del capitano V.Savitzkij”.

Quello che accadde in quei momenti drammatici della mattina del 27 ottobre a bordo del B-59 è raccontato dall’ufficiale Orlov:

Dentro il sottomarino faceva un caldo infernale 40-50 gradi, in taluni punti anche 60°. Il contenuto di ossigeno era su valori ritenuti già pericolosi. Un marinaio di guardia cadde per terra perdendo i sensi: altri lo seguirono. Stavamo tentando di sfuggire dall’attacco di un incrociatore americano. La fuga continuò per quasi quattro ore. Improvvisamente, gli americani fecero esplodere una bomba vicino a noi.

Tutti pensarono: ecco la nostra morte.

Savistkij, che era al comando della nostra nave, non riuscì a contattare il comandante della nostra Marina. Dopo l’attacco di bombe di profondità, diventò furioso e chiamò l’ufficiale responsabile del missile a testata nucleare e gli ordinò di tenerlo pronto per il lancio.

– Può darsi che siamo già in guerra contro gli Stati Uniti, mentre noi qua stiamo facendo solo chiacchiere –

Gridò, motivando l’ordine di colpire l’America.

- “Adesso siamo pronti a colpirli. Forse noi moriremo, ma li affonderemo tutti quanti, così non copriremo di vergogna la Flotta Sovietica” –

Per fortuna, il comandante riuscì a controllare la sua rabbia e dopo un animato consulto con altri comandanti decise di affiorare…..

Occorre a questo punto fare attenzione alle ultime parole in corsivo: nascondono l’episodio chiave della storia del mondo. Per far partire il siluro nucleare contro l’incrociatore americano BEAGLE e innescare la terza guerra mondiale, sarebbe bastata al comandante l’approvazione dei suoi due vice comandanti. Per il lancio servivano tre “SI”. Per fortuna dell’umanità Arkhipov fu deciso e disse:

“Niet – Non lo lanciamo!”

Un voto contro due. Il B-59 emerse e si arrese. E la terra continuò a girare e le notti a seguire i giorni.

Il capitano di Fregata Arkhipov è stato l’unico dei tre ufficiali a non perdere il controllo della situazione. Il senso della realtà aveva evitato l’olocausto nucleare.

Purtroppo, soltanto da qualche anno si è saputo, con profonda amarezza, che Arkhipov fu arrestato al rientro in patria dai suoi stessi connazionali e poco dopo morì.

La portaerei USS Enterprise (CVN-65) fu la prima portaerei nucleare della storia. Ancora oggi è la portaerei più lunga del mondo, mentre è stata superata per tonnellaggio dalle navi della classe Nimitz.

- il 22 ottobre 1962: il presidente J.F.Kennedy annunciò pubblicamente che erano state scoperte delle basi di missili nucleari sovietici nell’isola di Cuba. La Enterprise entrò in azione appoggiata dalle portaerei Essex, Indipendente, Oriskany e Randolph.

- il 25 ottobre 1962: fu fermata la prima nave sovietica.

- il 28 ottobre 1962: il presidente Nikita Kruscev accettò di ritirare i missili da Cuba.

Con la fine della Guerra Fredda, molti Paesi conobbero la democrazia, ma cessò anche quell’equilibrio stabile tra le due superpotenze che aveva permesso il controllo del mondo in zone d’influenza.

Oggi si vive una fase di transizione out control e si assiste, purtroppo, alla proliferazione nucleare d’alcuni Stati come il Pakistan, la Corea del Nord e l’Iran, considerati a rischio perché guidati da leaders sostenuti da fazioni fanatiche, alle quali potrebbero un giorno dover pagare un conto molto salato!

In questi giorni, non a caso, si parla nel mondo di utopia del disarmo e proprio su questo punto occorrerà che i potenti della terra riflettano con molta lucidità, perché vi è un lato della scienza scientifico-militare che lascia, ora più che mai, esigui spazi alla sicurezza della umanità.

Carlo GATTI

Rapallo, 02.04.11

 


Navi Militari nel Tigullio in oltre cento anni di Storia

HANNO VISITATO RAPALLO

Navi militari nel Golfo del Tigullio in più di cento anni di storia

Maurizio Brescia

foto di Carlo Gatti

Da più di un secolo, la presenza di navi militari nelle acque del Tigullio antistanti Rapallo – come pure Santa Margherita Ligure, San Michele di Pagana e Portofino – è un elemento costante dell’orizzonte marittimo della nostra città. Da sempre legata al mare nei suoi molteplici aspetti, a partire per l’appunto dalle unità navali e mercantili, da quelle da pesca o da diporto, Rapallo ha “ospitato” – nel tempo – numerosissime navi da guerra appartenenti alle Marine delle nazioni più disparate, a testimonianza non soltanto di un fascino più propriamente turistico, ma anche della conoscenza e della valenza internazionale di una città nota e apprezzata in Italia e all’estero sin dalla fine del secolo XIX.

In effetti, galere e navi a vela sia genovesi sia turche erano più volte comparse nel Golfo nei secoli XVI e XVII e, per tutto il Settecento e la prima metà dell’Ottocento, fregate e vascelli francesi, spagnoli e inglesi dettero fondo nel Tigullio in più di un’occasione, in relazione alle vicende diplomatiche e militari che vedevano coinvolta la Repubblica di Genova.

Con il passaggio dei territori della Repubblica al Regno di Sardegna e – soprattutto – dopo la proclamazione del Regno d’Italia (1861), il Golfo del Tigullio e Rapallo iniziarono a vedere rafforzato quel ruolo di “ancoraggio di rappresentanza” (oltreché provvisto di fondo buon tenitore e protetto da buona parte delle traversie di vento e di mare) che, sino ai giorni nostri, avrebbero sempre mantenuto anche in ragione della vicinanza con i porti di Genova e della Spezia.

Per nostra fortuna, l’incremento quantitativo e qualitativo del rapporto tra Rapallo e le navi da guerra in visita alla città iniziò a verificarsi sul finire dell’Ottocento, in concomitanza con lo sviluppo – ormai a livello quasi “popolare” – di due nuove tecniche di documentazione e comunicazione: la fotografia e la stampa periodica locale.

A partire dagli anni Ottanta del secolo XIX la fotografia cominciò, difatti, ad assumere un ruolo documentale sempre più preponderante e – nello specifico campo navale – le immagini fotografiche iniziarono ad avere ampia diffusione presso il pubblico, venendo distribuite o vendute in occasione di vari, cerimonie e parate navali. Tutto ciò coincise con l’accresciuta importanza delle Marine della “belle époque”, strumento di prestigio, di politica estera e di pressione internazionale e utilizzate in queste vesti dalle principali nazioni europee e mondiali.

L’attività dei fotografi locali (che hanno documentato la visita nel Tigullio di numerose unità) si affiancava poi a quella di studi professionali che, dalla Spezia a Taranto, da Tolone a Portsmouth, avviarono proprio in questo periodo una fiorente opera di documentazione storica, ritraendo un gran numero di unità e facendo pervenire sino ai nostri giorni importanti archivi di immagini dai quali – come avremo modo di chiarire più avanti – abbiamo attinto per reperire buona parte della documentazione iconografica inedita che presentiamo in questo nostro studio.

Al tempo stesso, tra il 1890 e i primi anni Cinquanta del secolo XX, veniva pubblicato a Rapallo un periodico settimanale indipendente, il cui titolo – “Il Mare” – ben rappresentava l’intimo legame tra la città, il Mar Ligure e tutto il Mediterraneo. Preciso e puntuale nel citare e commentare gli eventi che vedevano coinvolti Rapallo e i suoi abitanti, “Il Mare” non mancò mai di riportare la presenza di unità militari nelle acque del Tigullio, segnalandone con buon anticipo l’arrivo e informando i lettori sugli incontri di ufficiali ed equipaggi con la popolazione e le autorità locali.

Paradossalmente, la precisione delle cronache de “Il Mare” ha consentito di stilare un completo e dettagliato elenco di pressoché tutte le navi da guerra che hanno visitato Rapallo solamente sino ai primi anni del secondo dopoguerra, quando il settimanale cessò le pubblicazioni. Successivamente, altre testate locali riferirono (peraltro senza le medesime precisione e continuità) sulla permanenza di unità militari nel Tigullio, ma dagli anni Sessanta ai giorni nostri la documentazione disponibile, maggiormente frammentaria e dispersa, non ha consentito di poter concludere la ricerca con analoghi dettaglio e puntualità.

Tuttavia, basandoci sulle cronache locali de “Il Secolo XIX”, su quanto conservato negli archivi del Comune di Rapallo e in quelli di numerosi studiosi e appassionati locali di storia marittima e navale, ci auguriamo che anche la parte di questo articolo relativa agli anni più recenti possa presentare un quadro quanto più completo ed esauriente possibile.

La prima unità “ufficialmente” documentata a Rapallo da “Il Mare” (1898) è l’avviso Surprise, all’epoca utilizzato come panfilo reale dalla Mediterranean Fleet della Royal Navy;. Negli anni successivi, Rapallo ospitò consistenti aliquote della Marina britannica e – in particolare – va ricordata la visita del luglio 1901, quando ben 42 navi da guerra inglesi diedero la fonda nel Golfo del Tigullio; per l’occasione, a bordo della corazzata Renown alzava la sua insegna l’ammiraglio Sir John Fisher che, nella carica di Primo Lord del Mare, tra il 1904 e il 1911 avrebbe rivoluzionato gli ambienti navali europei e mondiali favorendo la costruzione e l’entrata in servizio dell’innovativa nave da battaglia Dreadnought e delle successive unità da essa derivate .

L’Italia, tuttavia, manteneva all’epoca uno stretto legame con l’Austria e la Germania per via della comune appartenenza alla Triplice Alleanza: nel 1908, insieme alle corazzate Napoli e Vittorio Emanuele (con a bordo S.M. il Re) era presente nelle acque del Tigullio la nave scuola Victoria Luise della Marina tedesca e – ancora nel giugno 1912 – nel corso di una visita nel nostro paese, l’imperatore di Germania Federico Guglielmo fece scalo a Rapallo a bordo dello yacht Hoenzhollern scortato dall’incrociatore corazzato Kolberg.

Le ultime unità tedesche in visita a Rapallo furono, nel febbraio 1914, l’incrociatore da battaglia Goeben e l’incrociatore leggero Breslau che – da lì a pochi mesi – avrebbero scritto le pagine di un’autentica epopea dopo lo scoppio della “Grande Guerra”, riuscendo a sfuggire alla caccia della Royal Navy e a raggiungere la Turchia, con la cui Marina prestarono servizio per numerosi anni ancora prima della loro radiazione .

Successivamente agli anni del conflitto 1915-1918, la Regia Marina inviò più volte importanti unità nel Tigullio. Negli anni Venti, le corazzate classe “Cavour” e “Doria” furono spesso alla fonda dinanzi a Rapallo, riscuotendo un notevole successo presso la popolazione locale e i villeggianti, che numerosi salirono a bordo di queste unità. Negli anni Trenta, i consistenti programmi di rafforzamento della flotta italiana fecero sì che nuove e potenti navi giungessero in visita alla città: nel gennaio 1932 gli incrociatori Trento e Trieste (al comando del c.amm. Solari), nel luglio 1934 la Seconda Squadra Navale (con quattro incrociatori classe “Condottieri”, otto esploratori tipo “Navigatori” e la nave appoggio idrovolanti Miraglia), nel luglio dell’anno successivo l’incrociatore pesante Gorizia e nel 1937 – sempre a luglio – la nave da battaglia Cavour al termine del periodo di grandi lavori nel corso dei quali era stata estesamente rimodernata.

Nel medesimo periodo, la Royal Navy (che utilizzava con continuità la Mediterranean Fleet nel ruolo diplomatico e di “presenza navale”) giunse più volte in forze nel Tigullio. Nel luglio 1924 diedero fondo di fronte a Rapallo quattro incrociatori leggeri tipo “C” al comando dell’amm. Gatfield, e analoghe unità si presentarono nei due anni successivi, insieme a varie corazzate e alla portaerei Eagle.; ad aprile del 1929 la portaerei Courageous si trattenne per una settimana nelle acque di Rapallo e negli anni Trenta fu la volta degli incrociatori pesanti Sussex (aprile 1934) e Shropshire (nel 1935). L’ultima unità britannica che visitò Rapallo prima della seconda guerra mondiale, dopo un anno di “vuoto” nel 1936 dovuto alla crisi italo-britannica conseguente alla guerra d’Etiopia, fu – ad aprile del 1937 – la corazzata Barham.

I tragici anni del secondo conflitto mondiale fecero ben presto dimenticare questi “scambi di cortesie” in ambito navale, e gli ancoraggi e i sorgitori minori del Mar Ligure – un’area, va ricordato, quasi di secondo piano dal punto di vista dell’attività operativa delle contrapposte flotte italiana e britannica – dovettero anch’essi vivere un duro periodo di lutti e privazioni. Sicuramente, unità di scorta, ausiliarie e di uso locale fecero scalo a Rapallo e nel Tigullio ma, per numerosi e comprensibili motivi, non esiste una sufficiente documentazione – cartacea o fotografica – della loro permanenza in zona.

Con la fine del conflitto, la mutata situazione strategica internazionale fece del Mediterraneo un crocevia dei movimenti navali delle flotte dell’Alleanza Atlantica e, già a marzo del 1947, erano presenti nel Tigullio due unità inglesi, la portaerei Ocean e il cacciatorpediniere Raider, facenti parte di un gruppo operativo al comando dell’amm. Sir Cecil Harcourt.


A partire da questi anni – e continuando sino al termine della “guerra fredda” nei primi anni Novanta – la presenza navale più consistente e significativa nel “Mare Nostrum” sarebbe però stata quella delle unità della Sesta Flotta della Marina degli Stati Uniti.

Tra il 22 e il 24 giugno del 1949 si ancorò davanti a Rapallo la grande portaerei americana Coral Sea che, all’epoca, insieme alle gemelle Midway e Franklin D. Roosevelt costituiva la classe di unità di questo tipo più grandi e potenti al mondo . Da allora, le navi statunitensi fecero scalo a Rapallo con regolarità e – nel tempo – incrociatori lanciamissili, cacciatorpediniere, unità da sbarco e navi ausiliarie visitarono la città, spesso in veste ufficiale di ospiti dell’Amministrazione Comunale. Non possiamo ricordarle tutte in queste brevi note, e citeremo solamente alcune tra le più importanti: cacciatorpediniere Irwin e H.R. Dickson (marzo 1955), portaerei Randolph (luglio 1965), incrociatore lanciamissili Albany (luglio 1977), nave da sbarco Portland (1980) e l’elenco potrebbe ancora continuare…

Anche La Marina Militare Italiana, ricostituita nel dopoguerra utilizzando le poche unità sopravvissute al conflitto, e dal cui numero andarono detratte le navi cedute ad alcune nazioni vincitrici o demolite su richiesta degli Alleati , riprese ben presto le crociere estive delle proprie unità e, ad agosto del 1949, giunsero in visita a Rapallo l’incrociatore Raimondo Montecuccoli e la corazzata Duilio .

Nell’aprile del 1957 l’intera Squadra Navale, con l’incrociatore Duca degli Abruzzi, si presentò nel Tigullio; nel 1964 giunse in visita l’incrociatore lanciamissili Giuseppe Garibaldi a bordo del quale alzava la sua insegna l’amm. Michelagnoli, “CINCNAV” e futuro Capo di Stato Maggiore della Marina Militare.

Giungiamo così ai giorni nostri, in un periodo in cui la cronaca non è ancora diventata storia: gli scenari internazionali sono cambiati rispetto a quelli del dopoguerra e – con l’uscita dell’Unione Sovietica dall’arena politico-militare mondiale – i rinnovati impegni delle Marine della NATO (a partire da quella italiana) ne hanno portato l’attività operativa in aree diverse dal Mediterraneo Occidentale, e dal Mar Ligure in particolare. Per quanto riguarda la Marina degli Stati Uniti, va poi considerata una sensibile riduzione numerica che, negli ultimi quindici anni, ha portato ad una contrazione nel numero delle unità in servizio attivo, oggi poco più della metà delle quasi 600 navi in servizio nel 1991.

Tuttavia, negli ultimi anni – a dimostrazione dell’importanza “di immagine” che la nostra Marina continua ad assegnare alle proprie unità, e compatibilmente con le esigenze di bilancio – sono giunte in visita nel Tigullio moderne ed importanti unità della Marina Militare, tra le quali vale la pena di ricordare le fregate Libeccio e Scirocco, il cacciamine Termoli e il rifornitore di squadra Vesuvio.

Riteniamo quindi giusto concludere queste brevi note con quanto scrive Pierangelo Campodonico, riferendosi al XVI secolo, ma con parole sempre attinenti ed attuali anche ai giorni nostri: “… Da sempre le navi da guerra sono leggibili non solo secondo la funzionalità militare, ma anche secondo la funzionalità simbolica . . . la dimostrazione di forza, potenza e ricchezza si addice a questo criterio . . .” . E, ci permettiamo di aggiungere, sono anche la fonte di un fascino del tutto unico e particolare come – in più di cento anni – hanno potuto “assaporare” gli abitanti di Rapallo e di tutto il Tigullio.

Maurizio Brescia

Un sentito ringraziamento va al capitano Umberto Ricci – un profondo conoscitore della storia e delle vicende di Rapallo e del Tigullio – che, oltre ad avere “lanciato” per primo l’idea che ha dato origine a questo studio, ha messo a disposizione i propri archivi e la sua completa collezione del periodico “Il mare”.

Anche gli amici Emilio Carta e Carlo Gatti, co-autori insieme al sottoscritto di __________________, hanno fattivamente e generosamente collaborato fornendo fotografie, pubblicazioni ed altri documenti.

 


La concezione che Fisher aveva della "capital ship" era però molto più estrema ed egli, infatti, volle fortemente la costruzione di un congruo numero di incrociatori da batta­glia, ovvero di unità maggiori che, a scapito dei valori della protezione, riunissero in un unico scafo l'armamento prin­cipale di una corazzata e la velocità di un incrociatore.

Il Goeben, in particolare, con il nome di Yawuz Sultan Selim prima e di Yavuz poi, venne mantenuto in servizio addirittura sino all’inizio degli anni Sessanta!

All’entrata in servizio (1946/47) le tre unità (dislocamento oltre 45.000 tonn, lunghezza 300,5 m, velocità 33 nodi e armamento composto da 18 cannoni da 127/54) imbarcavano un gruppo di volo composto da ben 137 aerei.

Alla Francia andarono gli incrociatori leggeri Attilio Regolo e Scipione Africano, nonché un certo numero di cacciatorpediniere; l’URSS ricevette, in conto riparazioni danni di guerra, la corazzata Giulio Cesare, l’incrociatore Duca d’Aosta, la nave scuola Cristoforo Colombo e alcune siluranti; alla Grecia fu destinato l’incrociatore Eugenio di Savoia. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, cui erano destinate le navi da battaglia Vittorio Veneto e Italia (ex Littorio), non richiesero la consegna delle unità ma, per contro, ne pretesero la demolizione.

Si trattava di una delle due corazzate (l’altra era la gemella Andrea Doria) rimaste all’Italia, in base alle clausole del trattato di pace, dopo la conclusione del conflitto.

Comandante in Capo della Squadra Navale.

P. Campodonico, Andrea Doria, Genova, Tormena Editore, 1997 – pag. 124.

Rapallo, 05.04.11