USS WILLIAMSBURG Una Nave, Una Storia
USS WILLIAMSBURG
Una Nave, Una storia!
Un tempo si diceva:
“Ogni nave ha il proprio destino, come una persona, ed è scritto da qualche parte...”.
La nave (al maschile se militare, al femminile negli altri casi), nasce sullo scalo di costruzione, si muove sulla parabola dei sette mari, raggiunge il massimo splendore con la notorietà bellica o commerciale poi, con molta umiltà, restringe il suo raggio d’azione e infine, con la tristezza nel cuore, si mette in rotta per l’ultimo porto di destinazione. Ancora un sussulto arriva quando il suo fascino, sempre più rugoso e démodé, attira l’attenzione di un lugubre soggetto dello shipping: il demolitore navale, che promette di gestire il suo ultimo scorcio di vita nel modo più indolore. Nella fossa comune, infatti, il suo “corpo” è diviso in tante parti che saranno riciclate e torneranno a vivere e a navigare con altri nomi e sotto altre bandiere. Nel cimitero del cantiere, ultimo testimone della sua esistenza, restano i ricordi di una vita breve o lunga, scialba o gloriosa. Non c’è dubbio! All’ipotesi di una vita lunga e gloriosa è collegata la storia della USS WILLIAMSBURG che resiste al tempo da ben 80 anni, e ancora rifiuta le insistenti avances del demolitore, nell’attesa d’essere ancora una volta acquistata e rimessa in ordine, per riprendere il mare in quel punto della sua parabola esistenziale che si era fatalmente interrotta.
La USS Williamsburg fu varata nel 1930, venne sequestrata nel 1941 dalla Marina Militare e trasformata in nave da guerra, pattugliò per tutto la Seconda guerra mondiale le coste dell’Islanda.
Nel 1945, Truman fece ritornare la nave alla sua precedente struttura di yacht che divenne così la sua Casa Bianca navigante, sulla quale il Presidente disponeva di due pianoforti che amava suonare nella sua suîte e nella sala da pranzo. A bordo non mancavano le attrezzature necessarie per la pesca e le barche di servizio per le battute. Nel 1948, il Presidente Truman trascorse a bordo ben 17 weekends, e non mancarono le occasioni per ospitare famosi Capi di Stato.
A sinistra W.Churchil e Truman
Winston Churchill era particolarmente affezionato alla Williamsburg e nel 1952 si presentò a bordo con l’uniforme del Royal Yacht Squadroon. Tra gli altri illustri personaggi che firmarono il “Guest Book” di quel periodo si ricordano: Joseph Stalin, il Primo ministro inglese Clement Atlee, il Presidente del Messico Aleman, il Primo Ministro francese. Truman lo usò, inoltre, per le sue visite di Stato a Cuba, Portorico e alle Isole Vergini.
Quando negli anni ‘60, Truman ne decise la vendita, il suo successore Eisenhower, scelse per la Williamsburg una dignitosa vita come nave oceanografica. Nel 1972 fu trasformata in “ristorante galleggiante” a Filadelfia. Nei primi anni ’80, fu acquistata da un'Associazione che voleva trasformarla in Museo. Ma alla fine fu venduta al Cantiere Valdettaro di La Spezia (oggi scomparso), che aveva già curato il restauro dell' «Istranka», lo yacht del maresciallo Tito e del «Pacha III» di Carolina di Monaco.. (come ci riferisce V.Zaccagnino)
La Williamsburg alle Grazie-Spezia
Oggi, la nave presidenziale americana, utilizzata dal 1945 al 1953 da Harry Truman e Dwight Eisenhower, è solidamente ormeggiata alle Grazie-La Spezia con un look dimesso e trasandato. Del suo glorioso passato è rimasto soltanto il nome e lo shape che guardano tuttora, con aria di sfida, il passaggio di tante sorelle più giovani alle quali vorrebbe raccontare la sua inimitabile storia.
A bordo della “Casa Bianca” navigante vennero prese importantissime decisioni politiche che ancora oggi fanno sentire il proprio peso:
- La politica mondiale dopo il lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki
- L’esame dei risultati della Conferenza di Potsdam.
- La preparazione della Campagna presidenziale del 1948.
- La pianificazione della strategia americana durante la Guerra di Corea.
- La destituzione da comandante in capo in Corea del Generale Douglas MacArthur.
Ogni nave ha la sua storia, dicevamo, ma se la Williamsburg potesse parlare, forse potrebbe raccontarci di tanti e tanti segreti non ancora svelati dai nostri libri di storia.
Seguono gli interni della nave.
Carlo GATTI
Rapallo, 05.09.11
Rapallo: SANTUARIO DI N.S.MONTALLEGRO: Navi, Marinai e la Devozione Mariana
Il 2 Luglio 1557 apparve la Madonna a Montallegro (Rapallo) ed iniziò la Devozione Mariana nel Tigullio
Quadro Storico
Riforma e Controriforma
Il sacco di Roma del 1527 inferse un colpo molto duro a tutti i cattolici del mondo ed in particolare al Vaticano come centro della Cristianità, ma la Riforma Protestante che dilagava in quegli anni nell’Europa settentrionale, sconvolse ancor più in profondità lo scenario religioso poiché ruppe l’unità del Cristianesimo e rappresentò una sfida contro la Chiesa Romana, la sua organizzazione e i suoi dogmi. Com’è noto, ad azione corrisponde una reazione uguale e contraria! Infatti, Martin Lutero produsse uno scossone vigoroso all’interno delle strutture ecclesiastiche cattoliche, ma i “gagliardi” Papi dell’epoca risposero all’offensiva luterana con il Concilio di Trento che durò ben 18 anni, dal 1545 al 1563. Da questa lunga e meditata riflessione nacque la Controriforma che non si limitò soltanto alla difesa e alla definizione dei dogmi del Concilio, ma definì anche le linee d’azione che avrebbero proiettato una nuova luce, non solo spirituale, su tutto il Cattolicesimo nel mondo. Si aprì quindi un ampio scenario, in cui furono battezzati nuovi ordini religiosi: Teatini, Somaschi, Barnabiti, Scolopi ecc… ma, tra loro, furono particolarmente dinamici e incisivi l’Oratorio di S. Filippo Neri e la Compagnia di Gesù, fondata da Sant’Ignazio di Loyola. Questi due movimenti, così diversi nelle loro prospettive, esercitarono una profonda influenza nella composizione di un nuovo assetto strategico e da quel momento, anche le ricerche artistiche seguirono il nuovo orientamento emerso dalla Controriforma che, per la verità, era già in atto prima del Concilio di Trento, operando fortemente sugli animi e generando intensi e spesso tragici dissidi religiosi e spirituali. Una ventata d’aria fresca era quindi già calata sull’attività artistica figurativa, non tanto attraverso prescrizioni e diffide, quanto soprattutto attraverso il perenne conflitto tra il mai domo paganesimo e lo spirito cristiano, fonte spesso di compromessi e di pietismo religioso.
“Per due generazioni, il clima di Roma fu austero, antiumanista, antimondano, perfino antiartistico” (Wittkower).
Nasce l’Arte della Controriforma ed un nuovo modo di pregare
In definitiva, si può affermare che, alla grande portata storica del movimento riformistico si deve una serie di innovazioni, iniziative e normative che furono alla base di una vera rivoluzione che andò a toccare e a modificare nel profondo molti campi e citiamo, per l’occasione, quello dell’arte visiva ecclesiale. L’aggancio al Barocco fu inevitabile ed avvenne per opera dei Gesuiti che si affacciarono alla storia in modo provvidenziale, apportando una fiammata di genio razionale che si coniugò alla perfezione con la rinascita di una fede rinnovata. Furono persino coniati i termini, tuttora in discussione, di Arte dei Gesuiti, e Barocco come espressione della Controriforma. Le arti figurative ispirate agli episodi del Vangelo dovevano assumere un carattere chiaro, semplice e comprensibile a tutti; dovevano essere realistiche e suscitare uno stimolo emozionale verso la pietà. La Chiesa Cattolica poteva così contare su un sistema raffinato e sicuro di espressione artistica e religiosa capace di rappresentare l’invisibile. Il Santuario della Controriforma doveva avere preferibilmente una sola navata, una cupola, due campanili. La ricca e coloratissima scenografia dell’abside, del presbiterio e gli affreschi della cupola dovevano rapire il fedele e renderlo partecipe della divina rappresentazione. Nel precedente periodo Rinascimentale, tra il “sacro” raffigurato sulle pareti della Chiesa e la platea dei fedeli, esisteva un sipario, una specie di diaframma psicologico che confinava la comunità religiosa ad una distanza planetaria, a causa di quella severa purezza pittorica, da quella marcata perfezione stilistica di “maniera” (accademica) che era ostentata dall’alto. Con i nuovi orientamenti tridentini, quelle barriere visive e psicologiche che si frapponevano tra il cielo e la terra, saranno definitivamente abbattute per favorire l’introduzione di un nuovo rapporto di dialogo diretto, intenso e ravvicinato tra la Gerarchia Celeste e il popolo dei credenti. I pellegrini avranno libero accesso a partecipare, senza mediazione, alla rappresentazione dei racconti evangelici e si troveranno coinvolti e immedesimati nella sceneggiatura, per esempio, dell’emozionante Apparizione della SS.Vergine, oppure dell’immensa pietà della Dormizione della Vergine e della Sua gloriosa Assunzione. Da asettico spettatore di eventi eccezionali, ma freddi, il pellegrino si trasformerà in attore vero, capace di tensione ascetica e profonda partecipazione. Il suo duplice obiettivo sarà quello di tracciare un nuovo percorso spirituale e riporvi dentro l’emozione del dialogo avvenuto con il Divino. D’ora in poi i suoi strumenti saranno le preghiere recitate ad alta voce in comunità ed i canti corali che saliranno dagli spartiti e si diffonderanno come il profumo forte e al tempo stesso delicato dell’incenso.
Nuovi Baluardi a difesa della fede e della teologia
Alla Riforma Protestante, voluta e condotta con gran determinazione dal suo principale paladino Martin Lutero, dobbiamo quindi, paradossalmente, la costruzione dei Santuari Mariani che costellano le nostre colline. Infatti, la Riforma luterana negava a Maria il titolo di mediatrice, riservandolo solo a Cristo. “Per Lutero, che pur si rivolgeva alla Vergine chiamandola – Nostra Madre – e ne riconosceva la perpetua verginità, era accettabile il concetto che la Madonna pregasse per l’umanità, ma non si doveva invocarla per non correre il rischio di cadere nell’idolatria”. (G. Meriana) Si comprende facilmente come, partendo da posizioni di questo genere, si arrivasse a mettere in discussione il punto cardine su cui si fondava il Culto della Madonna tra i cattolici, che vedevano in Lei la mediatrice di grazie temporali e spirituali e come tale la veneravano nei Santuari con grande devozione. Genova, tradizionalmente occupata a curare gli interessi economici che ruotavano attorno al suo grande porto, era scoperta alle infiltrazioni luterane transalpine provenienti da Lione e Ginevra. Le nuove idee religiose s’insinuavano subdolamente al seguito dei maggiori commercianti dell’epoca, ed alcune tra le più importanti famiglie di nobili della Repubblica: Agostino Centurione, Orazio Pallavicino, Giacomo Fieschi ed altri… cedettero, in qualche misura, al fascino “protestante” di Calvino, Zwingli ed ovviamente Lutero. Ci furono anche processi pubblici, cambi di residenza, alcuni rapidi “ripensamenti”…e la “rivolta” rientrò presto nella normalità.
Foto n.1 - Il Santuario di Nostra Signora di Montallegro, che noi rapallesi abbiamo alle spalle, rientrava proprio in quella bianca schiera di 44 insormontabili baluardi di fede che furono costruiti lungo la cintura delle Prealpi, con il compito di rappresentare le vigili sentinelle nelle località più esposte all’influenza del mondo protestante.
La prima cappella fu subito costruita sul luogo dell’ Apparizione della SS. Vergine a Giovanni Chichizola, proprio in quel periodo tanto travagliato per la Chiesa Cattolica. Montallegro è lo spazio occupato dall’altare del Santuario dov’è avvenuto il “Sacro Evento”.
Mons leti, per alcuni è il “Monte della Morte” che si riferisce alla sconfitta dei Romani avvenuta nel 168 a.C. da parte dei Tigulli che provocò la morte del Console Quinto Petilio.
Mons laetus, per altri significa l’esatto contrario, “Monte di Gioia” per il dono dell’Apparizione e del senso di protezione divina che gratificò i rapallesi da quel fatidico giorno. Nel tempo, i cittadini di Rapallo vollero trasformare quella semplice e rustica pieve montana nel magnifico Santuario dall’inconfondibile facciata bianca marmorea che, simile a una diga voluta dalla “provvidenza”, protegge ancora, a distanza di 450 anni, la fede nelle nostre vallate.
Una Icona bizantina per - “mano divina” - approda misteriosamente sul Monte Leto
Maria, a conferma della sua misteriosa visita sul monte Leto, lasciò una piccola ICONA bizantina (cm. 18x15) che raffigura la Sua Dormizione e Transito.
“Questo è il mio riposo per sempre: Qui abiterò perché l’ho desiderato”….” Dì loro che Qui voglio essere onorata”. (Anonimo dal “IV Centenario dell’Apparizione della Madonna a Montallegro (1557-1957).
Foto n.2 - L’Icona, riflesso della presenza divina
E’ noto a tanti assidui pellegrini mariani, come sia sorprendente la somiglianza tra l’iconografia ortodossa della Vergine e numerose Sue Apparizioni. Qui ne vogliamo ricordare alcune.
Nel 1871, la Madonna apparve a cinque ragazzi di Pontmain, nella Mayenne (Belgio). Uno dei piccoli veggenti Eugene Barbedette affermava di non aver mai visto icone ortodosse. Non era che un povero contadinello, che ignorava persino l’esistenza della Russia. Sottoposto all’esame di numerose immagini della Vergine non trovò alcuna somiglianza con la Signora; in seguito, l’abbé Barré ebbe l’idea di sottoporgli l’icona della Madonna di Genazzano (località non distante da Roma), ed il ragazzo non ebbe la pur minima esitazione nel puntare il dito su molti particolari di perfetta somiglianza. Ma quel che forse è meno noto, sono le reazioni che ebbe Bernadette Soubirous, la piccola veggente di Lourdes, quando le si domandava a chi somigliasse la Vergine che lei aveva visto. Le furono mostrati dipinti di Raffaello, Murillo ecc…ed ebbe un sobbalzo di meraviglia soltanto quando vide l’icona della Vergine di Cambrai e urlò: “E’ Lei!” Ancora più sorprendente fu l’Apparizione di Gesù stesso, all’umile religiosa polacca Faustina Kowalska la prima domenica di Quaresima il 22 febbraio del 1931. “Gesù mi disse”: - La mia immagine nella tua anima esiste già. Voglio che questa icona, (dell’Amore Misericordioso) da te dipinta con un pennello, venga solennemente benedetta la prima domenica dopo Pasqua -
La Magia spirituale delle Icone
Un monaco del celebre Monastero che svetta sul monte Kikkos (Isola di Cipro), ci spiegò che le icone adempiono a una triplice funzione come strumento di insegnamento teologico, di contemplazione mistica, di partecipazione liturgica. “Non è l’icona opera d’arte, che è bella, ma è bella la sua verità spirituale, che è sprigionata in immagini dalla pittura, com’è rivelata in parole dalla Sacra Scrittura”. “Poiché l’icona attesta una presenza – spiegava – pregare davanti all’icona della Theotokos significa entrare in contatto con la Madre di Dio. L’icona soltanto la sostituisce e ne mantiene il fascino misterioso, perché l’arte iconografica, pur essendo figurativa e non astratta, non ha nulla in comune con il ritratto”. “Per mezzo dei miei occhi carnali che guardano l’icona la mia vita spirituale si immerge nel mistero della Incarnazione”. (Giovanni Damasceno) Oggi, grazie alle ispirate aperture ecumeniche del Concilio Vaticano II, il mondo cristiano Ortodosso e quello Cattolico, hanno trovato un punto d’incontro proprio nella spiritualità e la venerazione delle Icone. Oggi, non c’è cattolico che non abbia visto o sentito parlare della Icona della Madonna di Wladimir dei russi, della Icona della Madonna Nera di Czestochowa, della Icona Hodighitria, forse la più conosciuta essendo la copia dell’originale attribuita a S.Luca, e che non ha mai lasciato Costantinopoli, la Kykkiotissa di Cipro ed infine quelle del Monte Athos con le numerose altre sparse in tutta la Grecia, Bulgaria, Serbia ecc…
Alcuni Cenni sull’evento della Dormizione e Transito di Maria SS.
Dal libro “Ipotesi Su Maria” di Vittorio Messori, citiamo: “…stando al Credo cattolico l’Immacolata Madre di Dio, sempre Vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste - in anima e corpo –“Queste sono le parole del dogma dell’Assunzione, definito e proclamato da Pio XII solo nel 1950 ma creduto, nel suo oggetto, sin dai tempi dei Padri della Chiesa sia in Oriente che in Occidente. La festa della Dormizione, che ha in nuce l’Assunzione della Vergine Madre, è probabilmente la più antica delle feste mariane che uniscono la Chiesa universale”. Le versioni storiche che ci vengono tramandate sulle ultime ore terrene di Maria SS. sono numerose e quindi vengono sempre precedute dal termine “secondo la tradizione”. Sicuramente quella di S. Giovanni il Teologo, ossia l’Evangelista, è per noi la più toccante. Anche sul luogo della Dormizione e Transito di Maria SS. esiste almeno una doppia versione: - Quella di Gerusalemme: …gli Apostoli trasportarono la lettiga e deposero il suo corpo santo e prezioso in una tomba nuova del Getsemani. (S. Giovanni l’Apostolo-Teologo). Infatti, a pochi passi dal celebre Orto degli Ulivi presso il Getsemani, esiste la chiesa che racchiude il sepolcro vuoto di Maria SS. la quale è meta ogni anno di milioni di fedeli. Come si legge nei Vangeli, l’Apostolo Giovanni visse e morì ad Efeso. Anche gli Atti del primo Concilio di Efeso (431 d.C.) parlano di una casa in cui sarebbe vissuta la Madonna, situata nei pressi della Chiesa chiamata Doppia Chiesa di Maria e che fu sede del Concilio stesso. Questa seconda versione suscitò grande interesse quando una suora tedesca, stigmatizzata, Catharina Emmerich (1774-1824), mai mossasi dalla Westafalia, perché inchiodata ad un letto, preda d’indicibili sofferenze, descrisse con esattezza una località vicino ad Efeso in cui, una piccola casa era indicata come quella della Madonna. In effetti, nelle sue visioni, la suora disse: “Dopo l’Ascensione di N.S. Gesù cristo, Maria visse tre anni a Gerusalemme, tre a Betania e, infine, nove a Efeso……e qui si era stabilita la Santa Vergine”. Seguendo le indicazioni emerse dalla visione di suor Caterina, il frate lazzarista Eugene Poulin trovò le rovine di una piccola costruzione e di altri edifici che gli archeologi fanno risalire, con tutta probabilità, al tempo di Maria. Le visite che i pontefici Paolo VI (1967), Giovanni Paolo II (1979) a Benedetto XVI (2007) fecero a questo edificio sembrano dirimere le perplessità, motivate da valutazioni storiche, che avevano sino ad allora accompagnato la veridicità della presunta dimora della Madonna, certamente la seconda nella quale visse la Madre del Cristo, dopo la Crocefissione. La Casa di Maria, trasformata da monaci francesi in Cappella a croce greca, sorge nei pressi di una sorgente curativa e costituisce una meta frequentata di pellegrinaggi sin dai tempi più remoti, essendo l’immagine della Madonna venerata non solo dai Cristiani ma anche dai Mussulmani. Concludiamo questa breve ricerca sulla Dormizione e Transito della Vergine SS. con una riflessione sulla piccola Icona di Montallegro. Ciò che più ci ha colpito di questo piccolo “legno sacro” è la sua originalità, forse unicità al mondo nella rappresentazione dell’Evento.
“A sostenere Maria che rinasce alla vita non è solo il Figlio che Lei ha generato, come appare in tutte le altre icone conosciute, ma la Trinità che l’ha generata”.
(Dalla Mostra sulle Icone dedicate alla Dormizione e Transito di Maria esposte nel Santuario a ricordo dei 450 anni dall’Apparizione).
Origini della Tradizione Devozionale Alla Vergine Maria SS.
Accostandoci più da vicino a questo mondo affascinante e di rara suggestione ci siamo accorti che il Culto Mariano affonda le sue radici, unico caso nell’umanità, nei secoli precedenti la sua stessa nascita; perché il primo profeta d’Israele Elia (IX secolo a.c.), dimorando sul Monte Carmelo (giardino-paradiso di Dio), ebbe la visione della venuta della Vergine, che si alzava come una piccola nube dalla terra verso il monte, portando una provvidenziale pioggia, salvando così Israele da una devastante siccità. In quella piccola nube, tutti i cristiani hanno sempre visto una profetica immagine della Vergine Maria, che portando in sé il Verbo divino, ha dato la vita e la fecondità al mondo.
Tuttavia, la devozione alla Vergine Maria SS. è nata con un certo ritardo e soltanto dopo il Concilio di Efeso del 431, quando furono condannate le tesi di Nestorio, secondo cui Maria era madre di un uomo, non di Dio e le venne riconosciuto il titolo di “Dei Genitrix”. A celebrare questo importantissimo avvenimento ci pensò papa Sisto III (432-440) il quale fece costruire il primo santuario della cristianità sul colle dell’Esquilino a Roma. Da quell’approvazione, il culto di Maria si diffuse velocemente in tutte le direzioni come il più bel fiore di quel giardino di Dio, che divenne la Stella Polare, La Stella Maris del popolo cristiano. Le interpretazioni che sono state date sul significato del nome Maria sono davvero numerose. Una di queste, che a noi uomini di mare piace molto, fu data da San Girolamo che faceva risalire Maria alle parole ebraiche mar (goccia) e yam (mare), in latino stilla maris (goccia del mare) che, grazie ad una trascrizione errata divenne stella maris, cioè “Stella del Mare” che è rimasta una delle principali invocazioni alla Madonna.
Foto n.3 - Madonna del Carmine chiamata in soccorso dai naufraghi
L’Ordine Carmelitano partito dal Monte Carmelo in Palestina (Haifa) dove è attualmente ubicato il grande monastero carmelitano “Stella Maris”, si propagò in tutta l’Europa. Alla Madonna del Carmine, come è anche chiamata, sono dedicate chiese e santuari un po’ dappertutto. Essa, per la promessa fatta con lo scapolare, è onorata anche come “Madonna del Suffragio” e a volte è raffigurata che trae dalle fiamme dell’espiazione del Purgatorio le anime purificate. Nel secolo d’oro delle fondazioni dei principali Ordini religiosi cioè il XIII secolo, il culto per la Vergine Maria ebbe dei validissimi devoti propagatori: i Francescani (1209), i Domenicani (1216) i Carmelitani (1226), gli Agostiniani (1256) i Mercedari (S.Romualdo1218) ed i Servi di Maria (1233), a cui nei secoli successivi si aggiunsero altri Ordini e Congregazioni, costituendo una lode perenne alla comune Madre e Regina.
La più comune raffigurazione della Madonna dei naviganti, con le dovute varianti artistiche, proviene dalla chiesa di San Nicolò a Capodimonte, che si trova sull’impervia quanto suggestiva mulattiera sul versante di Punta Chiappa, che è di stile e costruzione romanica, anche se la tradizione fortemente radicata, la ritiene innalzata su una Cappella voluta dal Vescovo San Romolo nel 345. Dopo l’abbandono del XVI secolo, la chiesa è stata restaurata nel 1870 e successivamente, durante il recupero di strutture e motivi decorativi originari effettuati tra le due grandi guerre, sono emersi antichissimi affreschi fra cui una raffigurazione della STELLA MARIS che testimonia quanto sia antica la devozione dei marinai già a partire dall’alto medioevo.
Foto n.4 - Madonna “STELLA DEL MARE” venerata a bordo delle navi
Nel secolo scorso furono costituiti a Dublino, Londra, New Orleans, Filadelfia e Sidney i primi Seamen’s Clubs per marittimi cattolici ed il più importante fu quello di Montreal, fondato il 18 maggio 1893. Il 4 ottobre 1920 a Glasgow fu creato l’Apostolatus Maris Commitee, che ha per stemma un’ancora intrecciata ad un salvagente recante al centro il cuore di Gesù (vedi foto ). Tra gli obiettivi dell’organizzazione c’è quello di mettere in relazione tra loro i clubs esistenti e tra le iniziative prese c’è la realizzazione di alcuni centri di servizio e di preghiera, visita alle navi ed assistenza spirituale ed anche materiale ai marittimi.
Foto n.5 - Stemma dell'Apostalato del Mare
Il 25 gennaio 1932 nasce a Genova l’Apostolato del Mare in Italia. La direzione del Centro viene affidata dall’allora Arcivescovo Cardinale Minoretti alla Società di S.Vincenzo De’ Paoli, che per l’occasione fonda la Conferenza Stella Maris con sede in Via del Molo, all’ultimo piano di un vecchio palazzo nobiliare. Nel corso del 1932 sono quattordicimila i marittimi che passano dal ritrovo di Via del Molo.
L’ultima grande esternazione d’affetto e di considerazione verso la gente di mare si ha il 31 gennaio del 1997, quando il Santo Padre rivolge ai naviganti un “motu proprio”, in cui l’attualità ed il ruolo dell’Apostolato e delle Stelle Maris nella diffusione del Credo e dei principi cristiani nella società contemporanea viene perfettamente evidenziata:
“Stella Maris – sono le parole di Giovanni Paolo II – è da lungo tempo l’appellativo preferito con cui la gente di mare si rivolge a Colei nella cui protezione ha sempre confidato: la Vergine Maria.
Gesù Cristo, suo figlio, accompagnava i suoi discepoli nei viaggi sulle barche del tempo e li aiutava nelle loro fatiche e calmava le tempeste. Così anche la Chiesa accompagna gli uomini del mare, prendendo cura delle peculiari necessità spirituali di coloro che, per motivi di vario genere, vivono ed operano nell’ambiente marittimo”.
Votum fecit, gratiam excepit
Gli uomini di mare sparsi nel tempo, dalla preistoria ai giorni nostri, hanno sempre avuto un nemico in comune che resta immutato per la sua forza esplosiva e travolgente: la tempesta! Sebbene piccole, medie e grandi navi, tutte altamente tecnologiche ed automatizzate, solchino oggi i sette mari con grande disinvoltura, le statistiche, purtroppo, ci dicono che il numero dei naufragi, oggi, è sempre altissimo. Duemila anni fa i marinai si difendevano dai fortunali navigando in Mediterraneo soltanto nei mesi buoni tra la primavera e l’autunno e quando potevano, soltanto di giorno e in vista della costa.
Oggi le difese del marinaio sono scritte ed imposte dalle leggi sulla sicurezza della navigazione che sono approvate e rispettate da “quasi” tutto il mondo. Nell’avverbio virgolettato c’è la chiave di lettura del fenomeno che in mare si chiama deregulation e i naufragi avvengono non soltanto a causa delle tempeste, ma anche per gli incendi, le esplosioni, le collisioni e per l’impreparazione e l’insufficienza di personale qualificato.
Da questo quadro a tinte fosche è facile ora passare ad altri tipi di quadri che vanno ad arricchire lo stesso tema e precisamente quelli: Per Grazia Ricevuta, che continuano a salire e fissarsi ai muri dei Santuari Mariani che costellano le nostre coste per testimoniare l’incrollabile fede della gente di mare.
Prima del Cristianesimo, ex-voto in terracotta o legno, indirizzati a divinità anche minori, come la dea Mefite, sono stati ritrovati durante scavi di siti archeologici. In epoca romana, raccontano Virgilio, Cicerone, Orazio e Tibullo, i marinai usavano appendersi al collo tavolette votive dipinte, rivolte a Iside, dea che proteggeva dalle tempeste, ma anche a Nettuno, Castore e Polluce, numi protettori dei naviganti.
I naviganti credono in Dio anche quando, in certi frangenti, lo trattano a male parole, consci della propria debolezza, della paura e quindi del sentirsi abbandonati dal Supremo che tuttavia cercano con forza e con rabbia, per richiamare la Sua attenzione, per sentirlo vicino in quella natura ostile, a volte selvaggia che minaccia la loro esistenza. Poi, quando la tragedia è vicina, l’ultimo pensiero vola, sotto forma di preghiera e richiesta d’aiuto, verso la madre anzi, alla grande Madre di tutti, alla Vergine Misericordiosa, ultima speranza, ultima spiaggia d’approdo e di salvezza.
Alberi spezzati, prue ingavonate, lance di salvataggio travolte dai marosi, scogliere infernali, annegamenti, infortuni e naufragi, sono i ricordi degli scampati pericoli che rimangono incisi nella mente e negli occhi del sopravvissuto e che vengono tradotti in opere votive in legno, in acquerelli, in dipinti a tempera, ma anche su metalli pregiati. Gli ex-voto nascono così, da incubi vissuti che spesso vengono descritti ed affidati a dei veri artisti, pittori di navi, che ben conoscono l’arte della costruzione navale e sono quindi in grado di ricostruire fedelmente la scena apocalittica del disastro.
Altre volte invece sono opere semplici o addirittura infantili che testimoniano tuttavia il desiderio dell’autore di stabilire un legame autentico, esclusivo con Maria, per offrirLe un dono semplice che assomigli ad una preghiera che sgorga dal cuore senza alcuna mediazione.
Continuando ad esplorare in questa forma di devozione probabilmente coeva alla prima nave, ci siamo imbattuti anche in un ex-voto per grazia ricevuta, molto particolare: la Basilica di S.Giovanni Evangelista di Ravenna, fatta erigere da Galla Placidia come ringraziamento per essere scampata insieme al figlio, alla tempesta che investì la nave sulla quale si trovava durante un viaggio tra Ravenna e Bisanzio.
La tavoletta votiva è apparsa, in tutte le epoche, su tutte le sponde del Mediterraneo e persino nel vicino oriente ed è conosciuta anche altrove, specialmente nelle zone confinanti con l’Italia. Essa rientra in quella che è genericamente definita “arte popolare” e rappresenta una vera e propria miniera d’informazioni attraverso le quali è possibile seguire, ad esempio, l’evoluzione della nostra marineria.
Su disegni che datano dal XVI secolo in poi, vediamo rappresentati i trabaccoli, le galere e le galeazze, le saettìe, le tartane, le polacche, le felucone, le bombarde e quindi i brigantini, le navi ed i brigantini a palo, seguendo i progressi dell’architettura navale, fino alla raffigurazione di battelli a vapore che entrano in collisione con navi a vela, quasi a sottolineare il definitivo passaggio epocale, dalla vela al motore.
La tecnica seguita per la realizzazione delle tavolette votive è in genere pittura ad olio su tavoletta lignea; talvolta si è visto un acquerello su carta incollato poi sopra la tavoletta. Nel ‘700 fu molto usata la tela mentre, dal secolo scorso, sono stati introdotti altri materiali come lo zinco, il cartone, la masonite, il vetro. La grazia richiesta o ricevuta viene rappresentata in due o tre scene successive, sullo tesso disegno, e la posizione della divinità che intercede, - in genere la Madonna – è sempre nella parte alta, talvolta al centro, ma più frequentemente ad uno dei due angoli della tavola; nel ‘500 e nel ‘600 si usavano le formule V.F.G.A. oppure V.F.G.R. “Votum fecit et graziam Accepit o Recepit” disegnate in genere in basso a sinistra e ripetute tante volte quante sono state le grazie. Nei secoli successivi è stata usata la sigla P.G.R. o P.G.O. “per grazia ricevuta o ottenuta”.
Questa breve introduzione ci ha permesso d’entrare, con il dovuto rispetto e un po’ più consapevoli, nel mondo degli ex-voto che è ben rappresentato nel nostro Santuario di Montallegro che ne ospita qualche migliaio ed una parte notevole è dedicata alla Madonna dai marinai di Liguria a testimonianza della fede e della loro tradizione marinara a partire proprio da quel luglio 1557, anno dell’Apparizione della Vergine al popolano Chichizola, del quale ricorre quest’anno, come abbiamo già visto, il 450esimo anno.
NARCISSUS, IL VELIERO CHE NON VOLEVA MORIRE
Abbiamo scelto questa nave “speciale” così carica di ricordi letterari e nautici per compiere insieme a voi il primo tragitto tra le migliaia di “ringraziamenti” che sono giunti ininterrottamente come il flusso zampillante di acqua miracolosa che la stessa Vergine lasciò sul luogo della Visione quel 3 luglio 1557. Il quadro del veliero Narcissus che si trova nel Santuario di Montallegro non è diverso dai tanti ex-voto che si ammirano nelle pinacoteche della devozione tra le due riviere, ma la sua presenza nell’immaginario collettivo, richiama alla mente mari scatenati, calme equatoriali e la sottile psicologia di tanti personaggi descritti magistralmente dal più grande scrittore di storie di mare Josef Conrad, che proprio su quella nave imbarcò una prima volta da marinaio e poi da ufficiale di coperta con il brevetto di capitano di lungo corso che ottenne nel 1884. Quando Conrad lasciò il navigare nel 1894, s’immerse ancor più nel suo mondo marinaro e per trent’anni scrisse i suoi romanzi, saggi e racconti, fra i quali eccelle “The nigger of Narcissus”, Jimmy, il negro che si arruola a Bombay pur sapendo di essere afflitto dalla tubercolosi; Singleton il vecchio lupo di mare inglese, rispettoso delle leggi marinare e dei canoni della tradizione; Belfast il marinaio astuto come una volpe; Donkin il marinaio ribelle e poi gli ufficiali, il molto inglese Capitano Allistoun, calmo e indifferente, il Primo Ufficiale Baker, che desidera il comando più di ogni altra cosa, ma sa di non poterlo raggiungere…. Queste figure oggi sembrano uscite da un mondo immaginario, eppure sono reali e perfettamente aderenti a quel mondo della vela che, purtroppo, è stato velocemente superato dal progresso tecnico-scientifico e quasi dimenticato. - Scrive Conrad – “Il Narcissus era nato tra i vortici di fumo nero, fra lo squillo dei martelli che battono il ferro, sulle rive del Clyde. Sotto quel cielo grigio, su quel fiume rumoroso, vedono il giorno splendide creature che vengono al mondo per essere amate dagli uomini. Il Narcissus era di quella stirpe perfetta. Meno perfetto, forse, di tante altre navi, ma incomparabile perché era nostro e noi ne andavamo orgogliosi”. Varato a Glasgow nel 1875, il Narcissus navigò quasi sempre nei mari orientali e soltanto nel 1899 fu acquistato da Vittorio Bertolotto (1854-1934) ed impiegato sempre oltre i Capi. V. Bertolotto fu una delle maggiori figure armatoriali di Camogli, figlio del professor Lazzaro, patriota del Risorgimento, amico di Garibaldi e poi preside del Nautico di Camogli.
Foto n.6 - L’Ex-Voto, olio su tela, di cm 87x67 dell’artista G. Roberto rappresenta il Narcissus in grave difficoltà nel passaggio del terribile Capo Horn, durante il quale l’equipaggio e la nave si salvarono miracolosamente per intercessione della “Vergine Santissima di Montallegro” il 22-23 .9.1903.
La didascalia del quadro riporta la posizione geografica dell’avvenimento e i 12 nomi dell’equipaggio che offrono “in ringraziamento questo ricordo alla V.SS. di Montallegro (Rapallo) – Genova marzo 1904”. Se è vero che un veliero su quattro naufragava a Capo Horn, pensate quante navi sono state salvate con la costruzione del Canale di Panama avvenuto nel 1914!
Il 17 gennaio 1907, il Narcissus partì da Saint Louis du Rhone (Marsiglia) diretto a Talcahuano in Cile con un carico di gesso. A Capo Horn incappò in una violenta tempesta e dovette, per le gravi avarie riportate, ripiegare penosamente su Rio de Janeiro che raggiunse il 19 maggio successivo. Fu dichiarato “relitto” e perciò venne “abbandonato” alla Società Assicuratrice, la Mutua Assicurazioni Marittime Cristoforo Colombo di Camogli, presso cui il Narcissus era assicurato per lire 93.700. Ci fu uno strascico giudiziario che si risolse in questi termini: “la società assicuratrice contestava la legittimità della dichiarazione di abbandono della nave, che invece venne pienamente riconosciuta, con tutte le conseguenze in favore dell’armatore Bertolotto, dalla Corte d’Appello di Torino”. Rientrato in Italia, il veliero fu disalberato ed adibito a pontone nel porto di Genova. Nel 1917 fu riarmato e, con il nome di Iris venne iscritto al dipartimento marittimo di Rio de Janeiro dove, il 14 gennaio 1922, venuto a collisione con un’altra nave, affondò. Ancora una volta venne recuperato e tornò a navigare finchè, tre anni dopo, nel 1925, il suo proprietario falliva ed in tale frangente la nave, che fu nota nel mondo come Narcissus non ce la fece proprio a sopravvivere e dovette rassegnarsi alla demolizione, dopo ben 50 anni di vita, un vero record! La sua polena è attualmente conservata nel porto di Mystic, nel Connecticut.
Il Voto del Raguseo: Lasciamo il veliero Narcissus, il più celebre tra gli Ex-Voto marinari del Santuario di Montallegro, e proseguiamo il nostro itinerario devozionale incontrando oggi il più antico e forse il più “chiacchierato” tra gli omaggi Per Grazia Ricevuta alla SS. Vergine. Si tratta di una lamina d’argento offerta dal capitano di mare Nicola Allegretti di Ragusa (l’odierna Dubrovnik-Croazia meridionale) che, scampato miracolosamente al naufragio del suo non specificato veliero su Punta Mesco, a causa di una terribile burrasca da libeccio, trovò rifugio nel golfo Tigullio e si recò poi pellegrino al Santuario il 26 dicembre 1574.
Foto n.7 - L’ex-voto su lamina d’argento raffigura la “caracca ragusea”, simbolo di destrezza e perfezione tecnica. C’è capitato di scoprire proprio a Dubrovnik (ex-Ragusa) altri esempi di Ex-Voto marinari, molto simili ai nostri e quasi sempre rappresentati con la “caracca di epoca colombiana”.
Foto n.8 - La Caracca Ragusea, Ex-Voto Marinaro molto diffuso in Croazia.
La città dalmata fu capitale di quel libero Stato croato rimasto indipendente per quasi un millennio sotto il nome di Repubblica Marinara di Ragusa e con la sua consistente flotta mercantile fu l’unica degna rivale della Serenissima sull’Adriatico. Grandi politici e diplomatici furono i Rettori della Repubblica Marinara di Ragusa che seppero usarono, nella loro lunga storia, tutte le armi pacifiche per conservare la propria libertà.
Foto n.9 - Veduta della Ragusa vecchia avvolta dalle mura fortificate.
Ragusa cadde nel 1808, poco dopo Venezia e Genova per mano delle truppe napoleoniche. La città fortificata sul mare è rimasta intatta dal 1200 secondo un piano architettonico preciso, con le sue mura e i forti interamente conservati, con le sue centinaia di edifici pubblici (Divona, Zecca, Palazzo del Rettore), case e palazzi signorili, tante e tante chiese che testimoniano la fede cristiana-cattolica che è stata in reiterate e cruente vicende storiche l’ultimo confine, l’estremo baluardo contro l’espansionismo militare dell’Islam e di quello legato all’influenza politico-religiosa dell’ortodossia orientale. Il capitano Allegretta proveniva da questa realtà storico-geografica che per la sua peculiarità e grande fascino può ancora oggi reggere il confronto culturale con molte altre “perle” sicuramente più celebrate in Europa e nel mondo. Gli storici locali ci tramandano che la visita del Raguseo al Santuario di Montallegro si trasformò, molto presto, nel tentativo di recupero della Sacra Icona (la Dormizione di Maria), reclamata dalla comunità dalmata, che ne vantava la precedente proprietà. Ma qui, paradossalmente, avvenne un altro miracolo: il Senato genovese sentenziò, infatti, la restituzione del quadretto dell’Apparizione al termine di una vertenza legale che, tuttavia, non si realizzò a causa del misterioso rientro della Icona sul monte, che soltanto da quel momento cominciò a chiamarsi Monte Allegro per la felicità della popolazione che sentiva concretamente la protezione della Madonna. Lasciamo le questioni legali ed entriamo nel dettaglio dell’omaggio al Santuario, dal cui Codice Diplomatico (p.16-17) riportiamo:
“…Narra egli dunque di Nostra Signora del Monte il seguente bellissimo fatto, degno di perpetua memoria “ Dell’anno 1574 correndo naufragio Cap. Allegretti Raguseo con sua nave da mercanzia, che di là veniva a Genova, mentre si trovava nei nostri mari della Liguria, vicino a Monte Rosso delle Cinque Terre, radunatasi ha consolato tutta la ciurma, fecero voto unitamente a Dio, che se li avesse dall’imminente naufragio liberati, nel primo terreno o porto dove si fossero afferrati sarebbero tutti a piedi scalzi andati pellegrini alla Chiesa più memorabile per devozione che ivi fosse. Trascorsero per divina provvidenza portati dalla procellosa marea nel Golfo di Rapallo dove tranquillatasi la burrasca e accertati che la Chiesa di Santa Maria della Mont’Allegro che dalle spiagge li fu mostrata era la più rinomata per devozione e miracolosa che fosse non solo in queste parti, ma nei lidi della Liguria, pochi anni avanti colassù comparsa, non tardarono di andarla a visitare per adempire il voto fatto e vi portarono la tabella votiva o quadretto d’argento, in cui intagliata la Nave in atto di naufragare colla seguente inscrizione ancora oggi giorno nella Chiesa di detta Nostra Signora si vede.”
Velieri di Chiavari e Camogli “in pellegrinaggio” a Montallegro
Pro Schiaffino, da oltre 30 anni è il direttore del Museo Marinaro di Camogli. - “Comandante, nel presentare questa rubrica dedicata alla devozione mariana, ci siamo spesso imbattuti in avventure sofferte da equipaggi di Camogli e di Chiavari. Le due città rivierasche, così diverse tra loro, hanno avuto un passato marinaro di prima grandezza”. “Camogli è stata una grande flotta mercantile. Chiavari un intero settore mercantile. Camogli, racchiusa tra i monti, priva di strade e di retroterra aveva riversato tutta l’attività della sua gente sul mare e sui velieri. Si era espansa nel mondo al seguito dei suoi velieri ed aveva Agenzie e Provveditorati, ma erano solo al servizio dei capitani e degli armatori. Tali punti di riferimento erano appendici di Camogli, ma avulsi dal commercio del paese. Chiavari no! Gli esponenti di Chiavari erano commercianti che portavano le loro capacità produttive ed i loro prodotti nel mondo, e per farlo si servivano delle navi costruite da loro stessi secondo le proprie esigenze. Da ciò si deduce, per esempio, che in America e in Australia, non c’erano soltanto i loro rappresentanti, ma c’erano mercanti capaci di cercare nuovi spazi e clienti. Va da sé che quando le navi si convertirono al motore, quando cioè fu necessaria una capacità esclusiva nel costruirle, lasciarono ad altri il compito ed anche gestione”. La marineria di Chiavari è presente nel Santuario di Montallegro con due ex-voto di gran pregio. Si tratta del brigantino a palo “Francisca”, 683 tonn. di Stazza lorda, dell’Armatore Dall’Orso che fu costruito a Chiavari dai Cantieri di Matteo Tappani nel 1873. Il dipinto dell’artista Fred Wettening rappresenta il veliero in balia della tempesta con vele stracciate ed una trinchettina di fortuna per mantenersi alla cappa (con la prua al mare) per non essere travolto dalle onde. In alto a sinistra è finemente stilizzata l’icona venerata della Dormizione della Vergine.
Foto n.10 - Uragano sofferto dal Francisca nell’Oceano Indiano, 22.2.1874 -Tempera su carta di Fred Wettening.
Foto n.11 - Nave a palo Francisca, 1874. Lamina d’argento sbalzata.
Lo stesso avvenimento è ancora ricordato con una lamina d’argento sbalzata che raffigura il veliero che naviga a gonfie vele verso il suo destino. I due doni esprimono un contrasto: lo splendore, la velocità e la ricchezza di un veliero oceanico spinto da un buon vento, contro la caducità della vita, del rapido cambiamento del destino sottoposto alla spietata legge della natura avversa. Rivolgersi alla Vergine significa, per il marinaio, aggrapparsi ad un’ancora di salvezza, simulacro di croce, la speranza di continuare a vivere. Il brigantino affonderà nel 1887 probabilmente sotto i colpi del terribile monsone di SW che spesso arriva sul Capo di Buona Speranza con la massima forza della scala Beaufort. Il veliero proveniva dall’estremo oriente con un carico di riso. Il secondo ex-voto è riferito ad un altro brigantino a palo, il “Confidenza”, costruito nel 1872 per lo stesso Armatore Dall’Orso di Chiavari. Lo scampato naufragio si riferisce al ciclone incontrato al largo di Filadelfia il 9 settembre 1889 che fu così riassunto dal suo capitano Giuseppe Lagomarsino ….”conoscendo l’eminente pericolo della perdita del bastimento e vita fece voto a M.S.S. di Monte Allegro e per la grazia ottenuta fece del presente quadro a questo Santuario in memoria eterna”.
Foto n.12 - Brigantino a palo “Confidenza”. E’ un barco chiavarese per la navigazione atlantica. Dipinto su carta 78x57 cm. Secolo XIX.
In questa rappresentazione di gran pregio, la parte riservata all’iconografia sacra che riproduce l’apparizione della Vergine al veggente G. Chichizola è notevole e molto dettagliata. Quasi tutti i velieri sin qui riportati, sono registrati negli elenchi dei barchi che hanno superato indenni, più volte, il famigerato Capo Horn, un nome bestemmiato da generazioni di marinai, un mito nella storia della vela oceanica mercantile, un ricordo indelebile di disperate rimonte, un immenso e sinistro cimitero di navi, il simbolo del coraggio e dell’ardimento umano. L’ex-voto del Narcissus, che abbiamo già ammirato, si riferiva alla più sofferta delle tante “rimonte” di Capo Horn. Joseph Conrad li definì così: Marinai di Capo Horn: “ Una razza scontrosa e fedele, vigorosa e fiera, capace di ogni rinuncia e dedizione, con i suoi riti, i suoi usi, il suo coraggio e la sua fede…” A questo punto consentiteci di ricordare il Capitano Fortunato Schiaffino di Camogli che, in 21 rimonte di Capo Horn, effettuò sei salvataggi meritandosi medaglie ed encomi da governi stranieri.
Ex Voto e Pittori di Marina
La superstizione risale alle origini dell’umanità. E’ naturale che essa non abbia risparmiato i marinai, tanto più che il mare, con tutti i segreti che racchiude sotto la sua superficie ed oltre l’orizzonte, sembra un eccellente ambiente per favorire lo sviluppo del mistero, della credenza, delle favole. Scilla e Cariddi, le sirene, il grande serpente di mare, l’Olandese Volante, sono i vecchi temi duri a morire. L’occhio apotropaico dipinto sulla prua delle navi egizie scongiurava le stregonerie del maligno. L’occhio dipinto sulle giunche cinesi sorvegliava e proteggeva la rotta. Una coda di delfino o un vello di montone fissato sulla ruota di prua di un trabaccolo veneto scacciava i pericoli. “L’offerta di qualcosa di prezioso al mare infuriato allontana la tempesta”. Dicevano i vecchi marinai. Ma quando tutto è perduto, quando gli scongiuri non hanno più efficacia, non resta che inginocchiarsi a pregare promettendo al Madonna o al Santo patrono qualche regalo se interviene per far raggiungere la terra sani e salvi. Così, dalla fede di uomini semplici e profondamente credenti, è nato l’ex-voto. A partire dal sec.XVIII, l’ex-voto marinaro diventa una vera opera d’arte dipinto su tavola e poi, nel sec. XIX, su tela e telaio. Questi quadri raramente sono più grandi del formato 40X60, dato che i muri delle chiese hanno limitati spazi liberi e i pittori si sentono più a loro agio nel piccolo formato. Fra questi pittori c’è di tutto, ma raramente gli stessi marinai. In ogni caso, questi artisti sono almeno un po’ marinai. Si racconta loro l’avventura trascorsa, si descrive la nave (se questa è affondata) e il dipinto prende forma. E’ il naufragio, l’incendio, è l’incaglio sottocosta, è infine la fuga, a secco di vele, con un’onda che s’incappella sulla poppa e spazza tutto il ponte. Si vedono gli uomini in ginocchio sul cassero che implorano la Vergine o qualche santo e, in effetti, il miracolo avviene. In un angolo del quadro il cielo tempestoso si rompe e tra i nembi appare la Vergine, circondata da nuvolette fioccose e dorate, con il Bambino Gesù in braccio, che volge lo sguardo misericordioso sui marinai in pericolo. A mano a mano che la gente di mare si educa e impara a leggere, esige dal pittore di un ex-voto una fascia-legenda sotto il quadro come sui ritratti di navi. Lì, su quattro o cinque righe in scrittura nera su fondo chiaro, oppure viceversa, si può leggere il racconto del dramma, il nome della nave e dell’eroe dell’avventura, la data, le circostanze. Seguono ritualmente le quattro iniziali V.F.G.A. Votun Fecit, Gratiam Accepit (fece un voto, ricevette la grazia) oppure P.G.R. (Per Grazia Ricevuta). Questo era l’uso. Se nella produzione più antica l’autore del dipinto votivo marinaro è in genere ignoto, dalla metà dell’Ottocento l’ex-voto è per lo più eseguito da quegli artisti che vengono definiti “ritrattisti di navi”, le cui opere sono tendenzialmente firmate. Probabilmente la loro primaria attività era quella di disegnatori presso i Cantieri Navali e questo spiega l’abilità nella descrizione della nave, della dinamica dell’incidente, dell’attrezzatura velica.
Foto n.13 - Brigantino “BRICK” (cm.62,5x51) Secolo XIX. Pittore Domenico Gavarrone – Genova li 29 luglio 1870
“Grazia concessa da N.S. del Monte Allegro al Cap.no Filippo Valle in una tempesta sofferta il giorno 30 Gennaio 1869, nella Latitudine 49° 40’ N- Longitudine 09°35’ O, ed in riconoscenza di ciò questo quadro offre”.
Il Brick è un tipo di brigantino, molto diffuso in Liguria, con due alberi a vele quadre, randa e fiocchi. L’artista ha rappresentato il veliero che riesce a mantenersi alla cappa, con la prua al mare, dispiegando la trinchettina a prora e la bassa gabbia a poppavia. Anche l’alberatura, la velatura e le manovre sono dipinte con un tratto molto nitido che rivelano la perfetta definizione delle caratteristiche del veliero, come soltanto un grande esperto disegnatore potrebbe eseguire. Il dipinto raffigura l’evento sofferto con drammaticità, colpi di mare in coperta e vento fortissimo che imbianca il mare di forza cinetica distruttiva. L’intercessione della Madonna è quindi uno spiraglio di luce che apre la via della salvezza. Domenico Gavarrone, genovese, è stato uno tra i più apprezzati e prolifici pittori di velieri dell’800 italiano e fu particolarmente attivo nel nostro capoluogo tra il 1845 ed il 1874. A quel tempo le sue opere avevano anche una funzione descrittiva, sia nell’ambito armatoriale, per la compravendita delle navi, sia propagandistica per i crescenti traffici migratori verso il “nuovo mondo”. La macchina fotografica era ai primordi e la pubblicità dell’intero settore navale era affidata a questi maestri “marinisti”. Nella pinacoteca del Santuario di N.S. del Boschetto a Camogli, si trovano tredici quadri di Domenico Gavarrone. Ventisette dello stesso autore sono conservati presso il Museo Marinaro di Camogli.
Incendio e successivo Affondamento della nave passeggeri genovese “BIANCA C.”
Agli inizi della pittura ad olio fino al sec. XVIII, le città pullulavano di ritrattisti. E’ del tutto naturale che anche i marinai, così come si faceva a terra per le persone care, desiderassero fissare su una tela l’immagine della loro nave, vero essere vivente per coloro che le consacrano l’esistenza. In questi casi, il più delle volte, non si può parlare di opere d’arte, ma della rappresentazione pittorica di un sentimento sincero che sale dal profondo e lega il marinaio alla propria nave e al mare. Della galleria degli ex-voto del Santuario di Montallegro, oggi abbiamo scelto la “drammatica scena” di una nave passeggeri in preda alle fiamme, che sicuramente non è opera di un artista, essendo la tela una chiara espressione di devozione semplice ed immediata, probabilmente eseguita in segno di ringraziamento da un marittimo scampato all’incendio. L’omaggio votivo ci riporta ad un tragico evento che accadde il 23.10.1961 e che, per il precipitare degli avvenimenti, tenne in allarme tante famiglie rivierasche per alcuni giorni.
Foto n.14 - Santuario N.S. di Montallegro. Ex-Voto: “Naufragio Bianca C. – 22 ottobre 1961 – armatori ed equipaggio nel 20° anniversario – 22 ottobre 1981. Appoggiato sul quadro c’è l’immagine a colori del quadretto miracoloso.
“Si incendia ed affonda nel Mar dei Carabi, il transatlantico genovese “Bianca C.” di 18 mila tonnellate. Quasi settecento persone si pongono in salvo con un’operazione esemplare per ordine e tempestività. Ci sono purtroppo delle vittime, causate dal sinistro in sala macchine che ha anche provocato l’incendio: sono il secondo ufficiale di macchina Natale Rodizza, di 33 anni genovese, ed il marinaio fuochista 50enne Umbro Ferrari, spezzino”.
Foto n.15 - La T/n “Bianca C.” in uscita dal porto di Genova.
Dall’aprile del 1959 la bella unità era impegnata in viaggi di crociera nei Carabi. L’incendio esplose nella rada di St. George nell’isola di Grenada (Antille) durante la manovra di ancoraggio in rada. L’incendio fu causato da una violenta esplosione allo starter del motore di sinistra che investì la sottostante cassa del fuel oil.
Foto n.16 - La “Bianca C.” è in preda alle fiamme. Tutte le biscagline sono state messe fuori bordo per agevolare l’evacuazione dei passeggeri e dell’equipaggio.
Foto n.17 - Francesco Crevato, lambito dalle fiamme, dirige stoicamente le operazioni di salvataggio.
Il comandante del “Bianca C.” Francesco Crevato riuscì, con estrema freddezza e in meno di mezz’ora, a dirigere e coordinare l’operazione di salvataggio dei passeggeri e dell’equipaggio. Benedetto Pellerano di Rapallo, vent’anni di servizio sulle navi della “Costa Armatori”, era l’operatore cinematografico all’epoca del naufragio della nave. “L’incendio partì dalla sala macchine ed in breve tempo si propagò dappertutto. Io mi avviai, come da regolamento, nel locale CO2 dove erano installate le grosse bombole per la distribuzione del prodotto antincendio. Persi i sensi e mi risvegliai tra le braccia del marinaio Maddalena che sicuramente mi salvò la vita trascinandomi verso una lancia di salvataggio. Mentre ci allontanavamo dalla nave in fiamme e quindi dal pericolo, forse non mi crederà, ma non eravamo contenti, un pezzo della nostra vita era lì e se ne stava andando, mentre molti nostri compagni erano ancora in pericolo…Rivissi quella scena come un incubo per molti anni e ancora adesso, durante qualche notte insonne, mi ritrovo ancora là, ai Carabi, mentre mi allontano dalla Bianca C. Giunti a terra, ci fu una gara di solidarietà tra la gente del posto che quasi litigava per prelevarci e portarci al sicuro verso le loro case. Il nostro gruppetto, formato da sei persone, fu subito prelevato ed allontanato su un piccolo furgone ed avviato verso una strana altura. La nostra meraviglia fu completa quando ci trovammo davanti alla prigione coloniale che stavano evacuando per sistemarci alla buona. Fummo tranquillizzati… e poco dopo provvedemmo a tirarci su il morale a modo nostro, nel frattempo al gruppo si erano aggiunti i carcerieri e qualche malandrino…ci contammo e buttammo gli spaghetti a cuocere nei buglioli “penali”. Dopo tre giorni la M/n Surriento della “Lauro” ci riportò dalle nostre famiglie in Italia”.
Un Naufragio A poche ore Dall’Arrivo A New York
Foto n.18 - Il brigantino a palo “Barone Podestà” comandanto dal Capitano camogliese Agostino de Gregori, in viaggio da Pensacola per S. Nazaire; con carico legno; il 10 settembre 1889, nel Golfo Stream a, 90 miglia da New York, dopo aver lottato due giorni con un furioso violentissimo fortunale da Est, soccombette per larga via d’acqua apertasi cagionandone la quasi totale immersione, e il rovesciamento, e quindi la rottura dell’alberatura rimanendo sopra le sartie di trinchetto privi di vitto, si venne salvati il, 13 detto, da un vapore pressoché sfiniti per i molti e inauditi patimenti sofferti. L’equipaggio riconoscente a N.S. del Monte per lo scampato pericolo questo quadro a perenne memoria dedica”.
Concludiamo questa rivisitazione nautico-devozionale con la scelta di questo pregiatissimo quadro che giganteggia per il suo forte realismo nella pinacoteca degli ex-voto del Santuario di N.S. di Montallegro.La dettagliata didascalia di questo drammatico naufragio, combacia alla perfezione con la descrizione pittorica di Angelo Arpe. Su questo percorso della devozione, che insieme abbiamo intrapreso da oltre un mese, ci siamo imbattuti in storie drammatiche, vissute e sofferte dagli equipaggi ormai condannati ad essere inghiottiti negli abissi dell’oceano e poi salvati all’ultimo momento, dalla mano misericordiosa della S.S. Vergine. Noi ci siamo trovati in quei frangenti e, forse per questo motivo, ci capita di provare ancora oggi una forte emozione ed un’incredibile ammirazione per questi nostri fratelli marinai rivieraschi dell’800 che sono sopravvissuti alle furie scatenate della tempesta soltanto per il loro immenso coraggio e l’incrollabile fede. L’evento rappresentato da A. Arpe è colto nel suo culmine drammatico, nel momento in cui il brigantino a palo Barone Podestà ha gli alberi di maestra e mezzana spezzati e si trovano ancora sottobordo. Le poche vele di manovra sono stracciate e quindi inservibili. Lo scafo, appesantito dai colpi di mare che hanno aperto una falla, è irrimediabilmente traversato alle onde che lo falciano, lo travolgono e lentamente lo distruggono. Il carico di legname stivato in coperta a causa dello sbandamento è scivolato in mare e galleggia tra i flutti. In alto a sinistra il pensiero squarcia le nuvole che appaiono come i grani di un rosario. L’equipaggio, per fuggire alla morte imminente, ha soltanto una via di scampo: la corsa disperata per avvinghiarsi alle griselle delle sartie semisommerse, che resistono appese all’ultimo albero piegato alla tempesta. Il veliero assume quindi la posizione sul fianco, tipica di un relitto in sospensione che non vuole affondare, è fortemente sbandato, tecnicamente si trova in equilibrio instabile; le sartie del brigantino, a causa del loro disegno strutturale inclinato, appaiono ora verticali sull’acqua, ed è proprio per questa fortunata coincidenza che l’equipaggio, con una forza fisica e d’animo che ha dell’incredibile, resistono tre giorni senza mangiare e dormire sino all’arrivo di un vapore che li raccoglierà sfiniti, ma vivi. Sembra quasi un passaggio di consegna tra il vecchio veliero che affonda ed il nuovo motore che avanza spavaldo nella storia. Siamo per la verità nella fase centrale di questo passaggio epocale, in cui le navi a motore ed i velieri in circolazione si pareggiano in numero e tonnellaggio, ma la vela sta ancora dimostrando la sua superiore economicità. Ricordate la collisione nel canale della Tasmania del 1904 che abbiamo raccontato in questa rubrica? In quella occasione fu un veliero di Camogli il “Fortunata Figari” a rimorchiare il vapore inglese “Conjee”, dopo aver salvato i passeggeri e l’equipaggio. Angelo Arpe, forse il più noto tra gli autori liguri di dipinti devozionali ottocenteschi, nacque a Bonassola; della sua vita si ipotizza la data di nascita,1825. La morte si suppone sia avvenuta circa nel 1900. Fu attivo a Genova nel corso della seconda metà dell’Ottocento. Arpe conosceva le attrezzature di bordo come un consumato nostromo e disegnava i velieri con un tratto nitido e sapiente, ma ciò che lo rese più famoso fu la sua sensibile interpretazione degli umori variabili del mare. Con ogni probabilità fece parte egli stesso del mondo marinaro durante l’epopea della vela. La sua lunga produzione pittorica inizia con un dipinto firmato e datato 1857, dove il tratto rivela incertezza e inesperienza, e termina con una tela firmata e datata 1896, che presenta i caratteri stilistici della sua compiuta maturità artistica. Le opere di Angelo Arpe sono considerate le più importanti del genere. Operò attivamente a Genova, dipinse numerose tele che si trovano come ex-voto in molte chiese e santuari della Liguria; i suoi dipinti sono conservati anche nel santuario di N.S. del Boschetto di Camogli, nel Museo Navale di Genova Pegli e nel Museo “Gio Bono Ferrari” di Camogli.
Qualcuno disse: “Quanta fede su quei muri!”
Carlo GATTI
Rapallo, 18.05.11
Un MARINAIO del Tigullio in Cina
Maurizio Brescia
17.05.11
Un marinaio del Tigullio in Cina
Gli archivi privati (o, più semplicemente, le raccolte di ricordi “di famiglia”) nascondono spesso documenti unici e inediti, immagini rare, cimeli di epoche passate…. tutti elementi di una storia – a torto, talvolta, definita “minore” – che quasi mai vengono portati alla luce per permetterne la conoscenza da parte del grande pubblico. Non è questo il caso della Famiglia Cocchi di Santa Margherita Ligure, un cui congiunto – il “marò” Natale Cocchi, per l’appunto – negli anni Trenta prestò servizio nella Regia Marina e, imbarcato sul posamine/cannoniera Lepanto, navigò nei mari dell’Estremo Oriente e fu spesso di base a Shanghai insieme alla sua nave. Con molta generosità, il figlio e la figlia di Natale Cocchi hanno messo a nostra disposizione l’imponente collezione di fotografie raccolte, e in parte direttamente scattate, dal loro padre durante il suo imbarco sul Lepanto e le navigazioni nelle acque della Cina.
Foto n.1 - Shanghai, seconda metà del 1937. La Lepanto (dietro alla quale si riconoscono i due fumaioli della seconda cannoniera italiana all’epoca presente nella zona, la Ermanno Carlotto), sul fiume Hwangpu insieme ad altre navi militari. In particolare, sono riconoscibili due unità francesi: l’ “avviso coloniale” D’Entrecasteaux e – sullo sfondo – l’incrociatore leggero Lamotte-Picquet (classe “Duguay-Trouin”), al quale sono affiancati alcuni mezzi d’uso locale tra cui una bettolina per il rifornimento della nafta.
Non si tratta della “solita” raccolta di fotografie stereotipate, raffiguranti soprattutto commilitoni sconosciuti o inquadrature turistiche dei luoghi visitati. Al contrario, nei quattro ricchi album fotografici di Natale Cocchi trovano spazio le unità navali italiane e di altre Marine che stazionarono a Shanghai nella seconda metà degli anni Trenta, immagini “belliche” dell’entrata in città delle truppe nipponiche all’epoca della guerra cino-giapponese, scene di vita quotidiana nelle strade e nei mercati, panorami del fiume e dei monumenti, “bellezze” locali, ed altri soggetti ancora. E’ questa una collezione significativa e consistente che – grazie alla passione, alla competenza e, perché no, al “fiuto” giornalistico dell’amico Emilio Carta – già a partire dallo scorso anno abbiamo avuto modo di iniziare a valutare, apprezzare e riordinare organicamente. La Mostra “Mare Nostrum” 2005 è quindi l’occasione per presentare non soltanto un “inedito” assoluto ma, quel che più conta, una testimonianza estremamente viva interessante, tanto dal punto di vista “navale” quanto da quello umano, di un importante e al tempo stesso poco conosciuto aspetto della storia passata della Marina Italiana. La presenza di unità della Regia Marina nelle acque cinesi aveva avuto inizio già nel 1866, con il viaggio in Estremo Oriente della pirocorvetta Magenta; altre unità italiane (tra esse Vesuvio, Vettor Pisani, Calabria, Elba) furono presenti in zona tra il 1898 e i primi anni del ‘900. All’epoca della “rivolta dei boxers” (1900), reparti da sbarco di marinai italiani presero parte all’occupazione di Pechino per ristabilire la sovranità dei paesi occidentali sul territorio delle legazioni commerciali colà stabilite. Successivamente, a partire dagli anni Venti, marinai del reggimento “San Marco” furono stanziati a Tien-Tsin per la difesa della concessione italiana e – nel 1925 – fu ricostituita la Divisione Navale dell’Estremo Oriente di cui fecero inizialmente parte l’incrociatore corazzato San Giorgio e la cannoniera Sebastiano Caboto. Nel 1935, con funzioni di nave coloniale, fu inviato in Cina il Lepanto (che affiancò a Shanghai e sul fiume Hwangpu la cannoniera Ermanno Carlotto, già presente in zona). Con il peggioramento dei rapporti cino-giapponesi, sfociati infine nell’invasione nipponica del territorio cinese (1937), la Regia Marina fu impegnata intensamente nella protezione degli interessi nazionali e degli altri paesi occidentali e, nel tempo, importanti unità italiane effettuarono lunghe crociere nelle acque cinesi e dell’Estremo Oriente: incrociatore Trento e cacciatorpediniere Espero (già nel 1932), esploratore Quarto (1935), incrociatore Montecuccoli (1937-38) e incrociatore Bartolomeo Colleoni (1938-39). Come vedremo, il Lepanto e il Carlotto, rimasti nelle acque cinesi successivamente allo scoppio della seconda guerra mondiale, furono autoaffondati dai loro equipaggi dopo l’8 settembre 1943 per evitare che cadessero nelle mani dei giapponesi. Natale Cocchi, nato a Marina di Campo (Isola d’Elba) il 5 maggio 1915, una volta ricevuta la chiamata alle armi per la sua classe fu arruolato nel 1936 nei ranghi della Regia Marina. Dopo un iniziale periodo di addestramento trascorso al “Deposito Marina” di Taranto, imbarcò sul cacciatorpediniere Freccia, all’epoca facente parte della 7a Squadriglia ct . Tra la metà del 1937 e gli ultimi mesi del 1938 prestò servizio nelle acque cinesi a bordo del Lepanto e, rientrato in patria verso la fine dell’anno, fu avviato in congedo. All’inizio del 1940 faceva parte dell’equipaggio del panfilo dei conti Della Gherardesca che, tra i vari porti della riviera, fece scalo anche a Santa Margherita Ligure: qui Natale Cocchi conobbe Angela Roccatagliata, con la quale si sposò dopo un breve fidanzamento. Richiamato in servizio poco dopo l’entrata in guerra dell’Italia, venne destinato presso le installazioni della difesa costiera dell’Isola d’Elba; successivamente all’armistizio, fu imbarcato su diversi dragamine della Regia Marina, “cobelliggeranti” al Sud con gli anglo-americani.
Foto n.2 - Gennaio 1938. Natale Cocchi (a sinistra) e un commilitone all’estrema prora della R.N. Lepanto. Mentre il marinaio sulla destra indossa la divisa “ordinaria invernale”, quella di Natale Cocchi è la divisa estiva in tela grigia per i reparti terrestri della Regia Marina (in uso tra gli anni Venti e gli anni Trenta). E’ probabile che l’uso di tale divisa fosse stato autorizzato dal Comando locale per l’espletamento di servizi di guardia a bordo, ove non si rendesse necessario l’uso di un abbigliamento più formale e “da regolamento”.
Dopo la seconda guerra mondiale, Natale Cocchi lasciò definitivamente l’Isola d’Elba – dove vivono oggi le sorelle Dora e Adria e il fratello Ilio – e si trasferì a Santa Margherita Ligure, che annovera tuttora tra i suoi concittadini la moglie e i figli Pinuccia e Cesare, con le rispettive famiglie. Il mare, tuttavia, gli era “entrato nel sangue”, e Natale Cocchi intraprese ben presto la carriera marittima, navigando su numerose navi mercantili sino al 1970, anno della sua scomparsa.
Foto n.3 - La cannoniera Lepanto alla fonda a Shanghai nell’autunno del 1937.
Sicuramente, però, il periodo più “avventuroso”, e – sotto molti aspetti – anche maggiormente formativo, della sua vita fu quello trascorso nelle lontane acque della Cina a bordo del Lepanto, e ne sono la prova gli album fotografici che oggi, a quasi settant’anni di distanza, fanno rivivere non soltanto i suoi ricordi personali ma anche le vicende, ormai entrate nella storia, che ebbero come protagoniste le unità della Regia Marina in Estremo Oriente negli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale.
[1] Sin dall’entrata in servizio (1931/32) i ct. della classe “Freccia” (Freccia, Dardo, Saetta e Strale) andarono a costituire la 7a Squadriglia ct., con il Freccia caposquadriglia. I similari “Folgore” (Folgore, Baleno, Fulmine e Lampo) erano riuniti nell’8a Squadriglia. Freccia e Dardo, unici superstiti di queste otto unità verso la fine del conflitto, nell’estate 1943 furono aggregati alla 15a Squadriglia ct.
Nota dell’autore
Se non diversamente indicato, tutte le fotografie presentate in queste pagine fanno parte della “Collezione Cocchi” e – come meglio verrà specificato più avanti – sono state scatatte tra il 1936 e la fine del 1938. Per quanto possibile, si è cercato di datare ciascuna di esse nella maniera più attendibile anche se, in taluni casi, ci si è dovuti limitare ad una datazione generica in assenza di elementi tali da consentire una maggiore precisione.
Le immagini della collezione sono pubblicate per gentile concessione dei Figli e degli Eredi di Natale Cocchi che, in tale veste, ne sono i soli e legittimi proprietari.
Il contesto storico
L’interesse dell’Europa e del mondo occidentale per l’Oriente, e per la Cina in particolare, può essere fatto risalire già ai tempi del medioevo : è ben noto, ad esempio, il famoso Milione (scritto nel 1298), nel quale il commerciante ed esploratore veneziano Marco Polo narrava le sue esperienze e avventure alla corte di Cublai, Gran Khan dei Tartari, e i suoi viaggi nelle terre favolose del Catai (Cina) e del Cipango (Giappone) . Nei secoli successivi gli interscambi con la Cina aumentarono gradatamente e, soprattutto a partire dal secolo XVIII, la dilagante moda delle “cineserie” portò ad un forte sviluppo delle importazioni di porcellana, seta, giada e – naturalmente – tè da parte delle principali nazioni europee. Tuttavia, Canton restava l’unico porto cinese aperto ai commerci con l’occidente, e mercanti e viaggiatori europei erano soggetti a forti restrizioni in materia di residenza e normative doganali, mentre la grande massa degli scambi era appannaggio di commercianti e compagnie cinesi. Nel 1835 l’Inghilterra, dopo aver ottenuto l’autorizzazione a stabilire una base commerciale a Canton, iniziò ad importare dalla propria colonia del Bengala grandi quantità di oppio, fortissimamente richiesto dal mercato interno cinese. Quattro anni dopo, l’imperatore della Cina proibì l’importazione dell’oppio britannico adducendo motivi di salute pubblica ma – in realtà – tentando in tal modo di favorire i produttori e i commercianti nazionali.
Foto n.4 - La Cina negli anni Trenta, con indicate le principali località citate nel testo.
La confisca e la successiva distruzione di enormi quantitativi di oppio britannico da parte delle autorità cinesi portarono, nel 1840, al bombardamento di Canton da parte della Royal Navy e allo scoppio della “prima guerra dell’oppio”: con il trattato di Nanchino (1842) la Cina – sconfitta – apriva al commercio inglese i porti di Canton, Amoy, Shanghai, Ning-Po e Fu-Chou cedendo alla Gran Bretagna, nel contempo, l’isola di Hong-Kong. L’insoddisfazione di entrambe le parti per gli accordi del 1842 fu la causa, tra il 1856 e il 1860, di un nuovo conflitto che – questa volta – vedeva riunite contro la Cina tanto la Francia quanto la Gran Bretagna . Con il trattato di Pechino (25 ottobre 1860), ulteriori undici porti vennero aperti alle nazioni europee, le quali potevano occupare piccole porzioni di territorio cinese (“concessioni”) aventi il privilegio dell’extraterritorialità. Inoltre, fu imposto l’accredito di regolari rappresentanze diplomatiche dei paesi europei presso il governo del “Celeste Impero”. La presenza delle concessioni occidentali sul territorio cinese, per forza di cose, diede origine a diverse situazioni di segno opposto. Da un lato, i cinesi che vivevano e lavoravano all’interno di esse potevano usufruire di condizioni economiche e lavorative nettamente migliori di quelle dei loro altri compatrioti, avendo inoltre accesso ad ambienti e situazioni culturali moderni se non – talvolta – addirittura all’avanguardia. Dall’altro, nel resto del territorio cinese, su buona parte della popolazione avevano presa ideali xenofobi ed antioccidentali che, spesso, portavano ad atti di violenza e uccisioni nei confronti degli stranieri e dei missionari che vivevano al di fuori dei territori delle concessioni. Verso la fine del secolo XIX anche il Giappone e la Russia (rispettivamente con l’isola di Formosa e Port Arthur) ottenevano in concessione porzioni del territorio cinese.
-----------------------------------------------
2 Tuttavia, in tempi ancora più lontani, le spedizioni di Alessandro Magno e – successivamente – i resoconti di viaggiatori e commercianti bizantini avevano già fatto intravedere quali estensioni di terre (e quali ricchezze) caratterizzassero il medio e il lontano Oriente.
3 L’opera fu dettata, in francese, da Marco Polo a Rusticiano (o Rustichello) da Pisa, trovandosi entrambi prigionieri dei genovesi dopo la battaglia della Meloria (1284). Il titolo originale era Le livre de Marco Polo citoyen de Venise, dit Million, où on conte les merveilles du monde.
4 Nel corso dell’occupazione di Pechino, per rappresaglia contro l’esecuzione sommaria di alcuni prigionieri occidentali, le truppe britanniche al comando di Lord Elgin incendiarono il “Palazzo d’Estate” dell’imperatore cinese.
Foto n.5 - Costruzioni tradizionale di Shanghai fotografati da Natale Cocchi all’epoca del suo imbarco a bordo della Lepanto.
L’attività dei movimenti xenofobi fu incoraggiata dall’imperatrice Tsu-Hi la quale – in particolare – favorì il proliferare di società segrete, bande e gruppi al limite della legalità che, negli ultimi anni dell’Ottocento si distinsero per atti di violenza, attentati e massacri di stranieri e cittadini delle nazioni europee. Il gruppo xenofobo maggiormente rilevante era quello noto come “Pugilato dello Spirito” (o “Pugilato della Giusta Armonia”), i cui membri furono denominati dagli occidentali – erroneamente ma con una certa incisività – con il termine di “Boxers”, e la rivolta armata che, nel giugno 1900, li vide protagonisti (soprattutto a Pechino), passò quindi alla storia come “Rivolta dei Boxers”. Una spedizione internazionale sbarcò nei pressi di Taku per sedare i disordini e le truppe occidentali marciarono su Pechino, che fu occupata: nei combattimenti si distinsero anche reparti di marinai italiani che contribuirono in misura considerevole alla difesa degli interessi europei e al ristabilimento dell’ordine nelle concessioni e nei territori limitrofi. Nel settembre 1901 la Cina firmò un trattato con le nazioni occidentali che, oltre al versamento di forti indennizzi, manteneva inalterato il regime e l’estensione territoriale delle concessioni. In seguito al trattato, anche l’Italia potè disporre di proprie concessioni, a Tien-Tsin (nei pressi di Pechino) e a Shanghai; nella pratica, sino alla seconda guerra mondiale ben 105 porti e località fluviali restarono aperti al commercio internazionale, e 51 tra essi ospitavano anche una o più concessioni di 18 diversi paesi. I soli Stati Uniti non disponevano di una concessione propria, ma collaboravano con la Gran Bretagna nell’amministrazione della concessione di quest’ultima a Shanghai; gli U.S.A., inoltre, godevano di clausole economiche e doganali particolarmente favorevoli nel commercio e nell’interscambio con la Cina. La vita degli europei nelle concessioni continuava intanto a scorrere tra commerci, ricevimenti, affari finanziari, corse di cavalli e attività diplomatiche, mentre la Cina viveva un’epoca di grandi trasformazioni. Nel 1911 scoppiò la rivoluzione che, nel febbraio del 1912, portò alla caduta della casa imperiale e all’instaurazione della repubblica; successivamente agli eventi della prima guerra mondiale iniziarono a verificarsi tensioni tra le componenti politiche nazionalista (che faceva capo a Chang Kai Shek) e comunista (già allora sotto la guida di Mao Tse Tung). Ne conseguì una latente guerra civile di cui, nel 1931, approfittò il Giappone occupando la Manciuria; il 7 luglio 1937, in seguito a un incidente di frontiera presso Pechino, iniziò il conflitto cino-giapponese che – entro la fine dell’anno – avrebbe portato alla conquista di Pechino, Shanghai e Nanchino da parte delle truppe di Tokyo. Nel corso dell’occupazione giapponese della Cina (e, in particolare, di Shanghai e del basso corso dello Yang-Tze-Kiang), le Marine europee e degli Stati Uniti si trovarono fortemente impegnate nella protezione degli interessi nazionali e nella difesa delle concessioni stesse, spesso prese di mira dall’artiglieria e dall’aviazione nipponiche. Con l’inizio della seconda guerra mondiale, e la conseguente occupazione giapponese di ulteriori zone della Cina, i territori delle concessioni si trovarono sempre più isolati e, al termine del conflitto o pochi anni dopo, ritornarono tutti sotto il controllo della Cina popolare, ad esclusione della colonia portoghese di Macao e di quella britannica di Hong Kong .
-----------------------------------
(5) Macao è, a tutt’oggi, l’ultimo lembo di territorio cinese sotto la sovranità di uno stato europeo; in base agli accordi del 1842, Hong Kong è tornata sotto il controllo cinese (sia pure con ampie garanzie di autonomia politica ed economica) il 1° luglio 1997.
Foto n. 6 - Inverno 1937-38. Una vista “panoramica” del fiume Hwangpu, scattata dalla zona litoranea del centro di Shanghai. Le unità militari raffigurate sono, nell’ordine da sinistra:
Incrociatore USS Augusta (Stati Uniti) – Un gruppo di tre unità britanniche composto da uno sloop coloniale tipo “Bridgewater” o “Hastings”, un incrociatore tipo “D” e, sulla dritta di quest’ultimo, un altro sloop – Incrociatore Lamotte-Picquet e “avviso” D’Entrecasteaux (Francia) – La cannoniera italiana Lepanto dietro alla quale sono visibili i fumaioli della Ermanno Carlotto – Un gruppo di tre unità americane che, dalla più vicina alla più lontana, potrebbero essere identificate con un dragamine tipo “Bird”, la cannoniera Isabel e la cannoniera Sacramento – Un altro “avviso” francese tipo “Bougainville”, gemello del D’Entrecasteaux – un cacciatorpediniere olandese classe “Van Ghent”. Nel tratto di fiume in alto a sinistra (nella foto praticamente al di sopra delle alberature dell’Augusta), sono visibili tre unità giapponesi: due cacciatorpediniere classe “Momi” o “Wakatake” e, al centro il vecchio incrociatore corazzato Yakumo del 1899.
Nota sull’orografia
Buona parte dell’attività delle unità navali europee stazionarie in Cina, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio della seconda guerra mondiale, si svolse sulle coste cinesi da Tien-Tsin a Canton e – in particolare – sui tre grandi fiumi che attraversano la Cina da Ovest a Est: l’Hoang-Ho (Fiume Giallo) a Nord, lo Yang-Tse-Kiang (Fiume azzurro) al centro e il Si-Kiang (Fiume Rosso) a Sud.
Il più lungo e importante tra questi è lo Yang-Tse-Kiang, (oltre 5.200 km dalle sorgenti nel Tibet alla foce); attraversa la regione dello Yunnan e sulle sue rive sorgono le importanti città di Chung-King, Fu-Chou, Hank-ow e Nanchino; è navigabile dalla foce sino a 2.650 km verso l’interno e ha sempre costituito un’importante via di comunicazione per tutta la Cina centrale. A poca distanza dalla foce sorge la città di Shanghai, il cui fiume (Hwangpu) è collegato allo Yang-Tse-Kiang da una serie di canali.
La navigazione sul fiume dipende stagionalmente dalle piene (dovute allo scioglimento delle nevi himalayane), il cui regime può portare a enormi variazioni nella profondità delle acque: nel 1939, ad esempio, si passò dai 3/5 metri minimi della stagione invernale ai 65 metri fatti registrare tra luglio e agosto (*).
Questa particolarissima situazione idrografica va tenuta presente per meglio comprendere l’attività operativa – e le specifiche caratteristiche tecniche – che contraddistinguevano tutte le unità fluviali passate ormai alla storia come “Cannoniere della Cina”.
_________
(*) Sullo Yang-Tse-Kiang i dislivelli tra la stagione secca e quella di “piena” possono far riscontrare valori ancora più ampi: dati rilevati dalla marina francese indicano, per alcuni anni all’inizio del ‘900, valori compresi tra i 5 e i 106 metri! (Fonte: Estival, B., Les Cannonières de Chine 1900-1945, pag. 15, op. cit. in bibliografia)
Le cannoniere
“…. Cannoniera: unità navale di dimensioni ridotte, solitamente armata con un certo numero di pezzi di artiglieria di medio calibro; contraddistinta da una velocità non elevata e da un limitato pescaggio, viene impiegata sui fiumi e nelle acque costiere ….”
Questa definizione è tratta da uno tra i più autorevoli dizionari navali e consente di apprezzare le principali caratteristiche di una particolare tipologia di bastimento che, nei decenni a cavallo tra la fine dell’Ottocento e la seconda guerra mondiale, fu largamente utilizzato dalle principali Marine mondiali.
(6) Palmer, J., Jane’s Dictionary of Naval Terms, pag. 101, op. cit. in bibliografia.
Foto n.7 - La cannoniera francese Doudart de Lagrée in una suggestiva immagine scattata da Natale Cocchi. Anche la Marina francese – dall’inizio del secolo sino alla fine degli anni Trenta – dislocò sui fiumi cinesi numerose cannoniere per la protezione delle proprie concessioni: a Shanghai, ad esempio, la superficie della concessione francese era pari a circa la metà di quella, complessiva, delle concessioni di tutti gli altri paesi occidentali. La cannoniera Doudart de Lagrée portava il nome di un ufficiale della Marina francese, morto nel 1868 durante un viaggio di esplorazione dal Mekong allo Yunnan. Costruita nel 1905 a Nantes dai cantieri La Brosse et Fouché in 13 sezioni, fu spedita smontata in Cina e riassemblata a Kiukiang; fu intensamente utilizzata nella zona di Shanghai e sul fiume Yang-Tze-Kiang passando in riserva a Shanghai nel dicembre 1939 e venendo infine demolita nella seconda metà del 1941. Lo sviluppo delle politiche coloniali in Africa e in Asia pose le nazioni europee (e, successivamente, anche il Giappone gli Stati Uniti) nella condizione di dover ricoprire numerosi ruoli nei quali le “tradizionali” navi da guerra non potevano essere impiegate al meglio delle loro potenzialità: controllo del corso di grandi fiumi e di frastagliate zone costiere, protezione di porti e aree commerciali, “presenza” navale e soprattutto politica nei confronti di potentati locali speso ostili, attività di “polizia coloniale”, repressione di moti e rivolte e molti altri ancora. Tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta del secolo XIX nasceva così la cannoniera il cui aspetto – soprattutto per le unità di cui era previsto l’impiego fluviale – non sarebbe sostanzialmente mutato nel tempo: scafo molto basso sull’acqua, sovrastrutture dalle notevoli dimensioni, uno o due grandi fumaioli, apparato motore non potentissimo ma affidabile e di facile conduzione. L’Inghilterra e la Francia, per via dei notevoli impegni militari nei loro vasti possedimenti coloniali, realizzarono un grande numero di unità; tuttavia, all’inizio del Novecento anche il Giappone, la Russia, l’Italia, la Germania, l’Olanda e altri paesi costruirono un certo quantitativo di cannoniere il cui impiego, per l’appunto, si concentrò sui fiumi e nelle acque costiere cinesi . Come abbiamo visto, le vicende militari e politiche della Cina tra le due guerre mondiali resero necessaria una continua presenza in zona delle Marine occidentali, ed alcune cannoniere furono fatte costruire direttamente in Cina per accelerare i tempi del loro impiego ed evitare lunghi trasferimenti via mare o l’invio delle unità – smontate – dalla madrepatria. In questo contesto, navi di maggiori dimensioni (posamine, sloops, corvette, ma anche cacciatorpediniere e incrociatori) furono utilizzate come unità stazionarie, spesso con compiti diplomatici o per “mostrar bandiera” nell’espletamento di quella che – non a caso – è stata definita “politica (o diplomazia) delle cannoniere”. La seconda guerra mondiale portò alla nascita di un nuovo tipo di cannoniera, impiegata per l’appoggio ad operazioni di sbarco, per il contrasto al cabotaggio costiero nemico e per il trasporto di “commandos” e incursori. Si trattava di un’unità veloce e di piccole dimensioni, spesso ottenuta dalla conversione di motosiluranti a bordo delle quali – una volta sbarcati i siluri e le apparecchiature per il loro lancio – erano installate mitragliere di vario calibro, mortai o cannoni leggeri . Negli anni del secondo dopoguerra, ormai scomparsi gli imperi coloniali nei quali le cannoniere “tradizionali” avevano trovato un così grande impiego, ha avuto luogo l’evoluzione finale della cannoniera, direttamente derivata dalle unità appena descritte costruite tra il 1940 e il 1945.
[7] Non va dimenticato che anche molte Marine sudamericane utilizzarono cannoniere sui grandi fiumi del continente, non già nella conduzione di politiche coloniali ma – assai spesso – nell’ambito dei conflitti armati che, di volta in volta, videro coinvolti numerosi paesi della zona tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del secolo XX°.
[8] Numerose cannoniere di questo tipo, espressamente costruite o ricavate dalla trasformazione di mezzi da sbarco, furono utilizzate dalla “Riverine Force” dell’U.S. Navy nel corso della guerra del Viet-Nam.
Foto n.8 - L’incrociatore pesante britannico HMS Suffolk alla fonda nel tratto del fiume Hwangpu di fronte alla zona centrale di Shanghai nell’autunno del 1937. All’epoca, il Suffolk e il Cumberland erano le sole due unità tipo “County”, su un totale di tredici, ad imbarcare sistemazioni aeronautiche di nuovo tipo (catapulta brandeggiabile e un vistoso hangar) a poppavia dei fumaioli. Si noti l’idrovolante Supermarine “Walrus”, un velivolo che sarebbe stato intensamente impiegato dalla Royal Navy nel corso di tutto il secondo conflitto mondiale. Alla fine del 1937, la Royal Navy allineava in Estremo Oriente (“on China Station”), ben nove incrociatori: Birmingham, Capetown, Cardiff, Cornwall, Cumberland, Danae, Dorsetshire, Kent e Suffolk. Con l’adozione di missili antinave, apparecchiature radar per la scoperta e la direzione del tiro, cannoni a tiro rapido e apparati motore diesel o turbogas di grande potenza, le attuali cannoniere lanciamissili costituiscono uno degli “elementi di punta” di numerose Marine (non soltanto minori…) e, proiettate nel futuro, non mancano tuttavia di farci ricordare le unità del passato, ormai entrate nella storia, da cui hanno avuto origine.
Foto n.9 - Acque del fiume Hwangpu, estate 1938. Un’immagine tipicamente “coloniale” della Lepanto, attorniata da imbarcazioni locali che – secondo la migliore tradizione orientale – “assediavano” le unità occidentali proponendo transazioni commerciali di ogni genere e sorta. Si noti che parte dell’equipaggio (a prora, a poppa e sul cielo della tuga) è schierato per rendere gli onori, probabilmente in occasione dell’arrivo di qualche personalità imbarcata sulla motobarca (francese?) visibile a poppa della Lepanto.
La Regia Nave Lepanto, impostata nel 1925 presso i Cantieri Navali Riuniti di Ancona ed entrata in servizio due anni dopo, faceva parte – insieme alle gemelle Azio (unità capoclasse), Legnano, Ostia, Dardanelli e Milazzo – di una serie di unità progettate dall'allora colonnello (GN) Francesco Rotundi, nei primi anni Venti, come posamine e navi coloniali. Difatti, secondo il progetto originario, l’impiego principale degli “Azio” sarebbe stato quello di proteggere, mediante la posa di sbarramenti difensivi, le coste delle colonie e dei possedimenti italiani nel Mediterraneo e nel Mar Rosso.
Foto n.10 - Una vista laterale della Lepanto come appariva nel 1937/38, all’epoca dell’imbarco di Natale Cocchi.
Tuttavia, nel periodo tra le due guerre queste navi furono dei veri e propri "tuttofare" grazie, in primo luogo, alle loro eccellenti qualità nautiche che resero possibile lo svolgimento di una molteplicità di ruoli (cannoniera, nave scuola, nave idrografica, unità stazionaria all'estero, ecc.) tanto nelle acque nazionali quanto in quelle delle colonie e in lontane destinazioni oltremare. La velocità degli “Azio”, dopo l’aggiunta di pesi susseguente alle modifiche apportate durante la costruzione, risultò inferiore di almeno un nodo rispetto a quella prevista in sede di progetto, non precludendone – comunque – anche l’utilizzo in funzione di nave-scorta. Gli “Azio” furono allestiti con un certo lusso, anche in vista del’assolvimento di compiti di rappresentanza all'estero ed ebbero in dotazione, per lo stesso motivo, una potente stazione radio, disponendo nel contempo di isolamenti termici nella previsione di lunghe permanenze in climi tropicali. Il disegno dello scafo era molto simile a quello di similari unità (“sloops”, navi coloniali ecc.) che – tra gli anni Venti e gli anni Trenta – stavano entrando in servizio con le principali Marine: tagliamare pressoché diritto, notevole altezza di costruzione con conseguente elevato bordo libero, castello di prora che si estendeva per oltre un terzo della lunghezza dello scafo. A poppavia del castello di prora, una tuga di ampie dimensioni arrivava sino in prossimità della poppa; all’estremità poppiera del ponte di castello si elevava il blocco plancia/timoneria, su due livelli, con controplancia scoperta. Procedendo verso poppa si incontravano il fumaiolo, leggermente inclinato all’indietro, gli osteriggi del locale macchine e la stazione di governo secondaria. Gli alberi, verticali, erano due del tipo a stilo senza montanti. I locali equipaggio trovavano sistemazione nel sottocastello e, a proravia, sul ponte di primo corridoio; le cabine e i camerini degli ufficiali e dei sottufficiali di grado più elevato erano raggruppate anch’esse sul ponte di primo corridoio, a poppavia dei locali macchine. L’apparato propulsivo era costituito da due caldaie e da due macchine alternative per complessivi 1.500hp; due cannoni da 102/35 erano collocati – rispettivamente – sul ponte di castello a proravia del blocco plancia/timoneria, e sul cielo dell’estremità poppiera della tuga. La Lepanto, in particolare, imbarcava anche una mitragliera da 40/39, a differenza delle altre unità della classe il cui armamento secondario era invece costituito da un cannone antiaerei da 76/40. Le dotazioni marinaresche comprendevano numerose motobarche e imbarcazioni di servizio, le cui gruette erano collocate a centronave, sui due lati del ponte di coperta; come abbiamo già avuto modo di accennare, le doti di tenuta al mare e di manovrabilità erano ottime, sia per le caratteristiche molto marine dello scafo, sia per la suddivisione su due assi dell’apparato propulsivo.m. Durante la seconda guerra mondiale - oltre che come posamine, dragamine e navi pattuglia – Azio, Legnano e Ostia furono utilizzati anche in missioni di scorta al traffico e come navi sede comando. Nel 1931 una versione leggermente maggiorata di questi posamine – in grado di raggiungere, questa volta, i previsti 16 nodi – venne proposta in due esemplari come nucleo della nuova Marina dell'lraq, appena diventato indipendente. Le trattative furono però compromesse dall’improvvisa morte del sovrano iracheno; lo stesso programma fu in seguito proposto all'lran, che ordinò una versione aggiornata degli "Azio (classe "Badr”, su due unità). I successivi programmi della Regia Marina relativi alla riproduzione di questo riuscito tipo di nave (ulteriormente aggiornata e in un buon numero di esemplari), furono però sempre frustrati da carenze di bilancio che – addirittura – nell'estate del 1937 portarono a definire con il Venezuela la cessione proprio di due unità della classe (Dardanelli e Milazzo), in cambio della fornitura di una consistente partita di nafta per caldaie. Merita menzione, infine, il fatto che le indovinate linee d'acqua degli “Azio” vennero riutilizzate, nel 1941, in occasione della progettazione di quelle che sarebbero diventate le riuscite corvette della classe "Gabbiano".
Foto n.11 - Un picchetto armato a poppa della Lepanto nell’imminenza di una cerimonia o dell’arrivo a bordo di qualche personalità civile o militare. Si notino, da sinistra, un Capo di 3a Classe, un 2° Capo e otto marinai, apparentemente tutti “Comuni di 1a Classe” appartenenti a varie categorie. Foto estate 1937 o, alternativamente, 1938.
Mentre l’Azio sopravvisse al conflitto e fu radiato solamente nel 1957, Ostia e Legnano andarono perduti nel corso della seconda guerra mondiale: l’Ostia fu autoaffondata a Massaua l’8 aprile 1941, nell’imminenza della resa della piazzaforte alle truppe inglesi; il Legnano fu colpito e affondato nella rada di porto Lago (Isola di Lero), nel corso di un bombardamento aereo tedesco, il 5 ottobre 1943. Il Lepanto fu inviata a Shanghai nel 1935 per sostituire la cannoniera Sebastiano Caboto e affiancare l’Ermanno Carlotto nel servizio coloniale; da allora rimase sempre dislocato in Cina e, come abbiamo avuto modo di accennare in precedenza, fu autoaffondato dal proprio equipaggio subito dopo l’armistizio, il 9 settembre 1943, per evitare che cadesse sotto il controllo nipponico. Tuttavia, nel febbraio del 1944 l’unità fu recuperata dalla Marina giapponese che la reimmise in servizio, assegnadole il nome di Okitsu e sostituendo l’armamento originario con un cannone da 76 mm e 8 mitragliere da 25 mm. Al termine delle ostilità l’ex-Lepanto passò in carico alla Marina cinese, che – con il nome di Sien Ning – la mantenne in attività sino al 1956, anno della sua radiazione.
Posamine classe “Azio” – caratteristiche tecniche
Costruiti tra il 1925 e il 1927 – Cantiere Navale Triestino, Monfalcone (Ostia, Dardanelli e Milazzo) – Cantieri Navali Riuniti, Ancona (Azio, Legnano e Lepanto)
Dislocamento: 625 tonn
Lunghezza: 62,5 m – Larghezza 8,7 m – Immersione: 2,4 m
Apparato motore: 2 caldaie a nafta a tubi d’acqua tipo “Thornycroft” e due macchine alternative – 1.500 hp – 2 assi – Velocità: 15 nodi
Armamento: 2 cannoni da 102/35, 1 cannone da 76/40 (Lepanto: 1 mg da 40/39), sistemazioni per il trasporto e la posa di 80 mine
Equipaggio: 5 ufficiali e 69 tra sottufficiali, sottocapi e comuni
La cannoniera Ermanno Carlotto.
Al pari di altre Marine occidentali, anche la Regia Marina fece costruire una cannoniera direttamente in Cina, per evitare i costi di smontaggio, trasporto dall’Italia alla Cina e riassemblaggio “in loco” dell’unità. Si trattava della Ermanno Carlotto, costruita tra il 1914 e il 1921 (con una lunga pausa dovuta allo scoppio della prima guerra mondiale) dai cantieri Shanghai Dock Engineering; lunga 48,8 metri, aveva un ridottissimo pescaggio (0,8 m) al fine di facilitare la navigazione nelle acque più basse dei fiumi cinesi, un dislocamento di 180 tonn ed era armata con due cannoni da 76 mm. L’Ermanno Carlotto prestò un lungo e ininterrotto servizio a Shanghai e sullo Yang-Tse-Kiang sino alla data dell’armistizio; il 9 settembre 1943 – al pari del Lepanto – fu autoaffondato dall’equipaggio. Recuperato dai giapponesi, fu impiegato sino alla fine del conflitto con il nome di Narumi; nel 1946 passò alla Marina della Cina Nazionalista col nome di Kiang Kun. Affondato nel corso di un bombardamento comunista nel 1947, l’ex-Carlotto fu recuperato nel 1953 e immesso in servizio nella Marina della Cina Popolare, sempre con il nome di Kiang Kun. Fu definitivamente radiato nel 1958.
________________
La cannoniera Ermanno Carlotto portava il nome del s.t.v. Ermanno Carlotto, Medaglia d’Oro al V.M. alla memoria, nato a Ceva (Cuneo) il 30 novembre 1878. Allievo dell'Accademia Navale di Livorno dal novembre 1892, nell'agosto del 1896, conseguì la nomina a guardiamarina e imbarcò sull'incrociatore corazzato Carlo Alberto in procinto di salpare dall'Italia per una crociera addestrativa nelle Americhe e nei mari dell'Estremo Oriente. Nel 1900 conseguì la promozione a sottotenente di vascello, prendendo imbarco sull'ariete torpediniere Elba, stazionario nel Mare della Cina nell'ambito della Divisione Navale dell'Estremo Oriente. Nell'occasione della rivolta xenofoba in Cina, al comando di un drappello di 20 uomini sbarcati dall'Elba, partecipò alla difesa di Tien-Tsin assaltata dai Boxer; il 19 giugno 1900 cadde colpito gravemente mentre, allo scoperto, dirigeva il fuoco dei suoi uomini durante un cruentissimo assalto dei Boxer all'edificio della Scuola Militare che stava difendendo. Mori il giorno 27 dello stesso mese.
________________
Nel corso della campagna di Cina del 1900 furono concesse tre ulteriori Medaglie d’Oro al V.M.: al sottocapo torpediniere Vincenzo Rossi (alla memoria), al s.t.v. Angelo Olivieri e al t.v. Federico Tommaso Paolini.
La vicenda della USS Panay
La cannoniera Panay, costruita tra il 1925 e il 1928, insieme alla gemella Oahu, dal cantiere Kiangnan Dockyard and Engineering Works di Shanghai, prestò sempre servizio in Estremo Oriente, soprattutto sul fiume Yang-Tse-Kiang. Il 12 dicembre 1937, attorno alle 13.30, mentre scortava tre chiatte per il trasporto di combustibili a monte di Nanchino, fu attaccata da alcuni aerei giapponesi che la colpirono con numerose bombe causandone l’affondamento pochi minuti prima delle 16. Il comandante dell’unità – capitano di corvetta (Lieutenant Commander) J.J. Hughes – fu ferito nel corso dell’azione e due membri dell’equipaggio furono uccisi; undici uomini tra ufficiali, sottocapi e comuni, risultarono inoltre gravemente feriti. A bordo della Panay erano imbarcati, in qualità di corrispondenti di guerra, i giornalisti italiani Luigi Barzini jr. e Sandro Sandri: quest’ultimo morì in seguito alle numerose ferite da schegge riportate all’addome e il c.v. Alberto da Zara, comandante dell’incrociatore Montecuccoli all’epoca presente a Shanghai, richiese ed ottenne le scuse ufficiali giapponesi per la morte del giornalista. Inoltre, Da Zara fece mutare in Sandro Sandri il nome del piroscafo italiano Yung Kong impiegato nei traffici commerciali sullo Yang-Tse (*). Gli Stati Uniti ricevettero le scuse ufficiali nipponiche per l’affondamento della Panay; inoltre, un forte indennizzo fu versato a Washington dal governo giapponese. Tuttavia, i fatti concernenti la Panay possono essere intesi come uno dei primi segni del deterioramento delle relazioni nippo-americane che – poco meno di quattro anni dopo – avrebbe portato all’attacco di Pearl Harbor e all’ingresso degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale. L’epopea delle cannoniere dell’U.S. Navy in Cina ha trovato, in tempi più recenti, anche riscontri cinematografici: ricordiamo, in particolare il film The Sand Pebbles del 1966 (diretto e prodotto da Robert Wise, noto in Italia con il titolo di Quelli della San Pablo e interpretato da Steve McQueen, Richard Crenna, Candice Bergen, Richard Attenborough e Marayat Andriane). Tratto dal romanzo omonimo di Richard McKenna del 1962, il film ruota attorno sulle vicende dell’equipaggio di una cannoniera americana sul fiume Yang-Tse-Kiang alla fine degli anni Venti.
________________
(*) Il piroscafo era stato costruito in Cina nel 1935 ed apparteneva all’armatore Mario Rocco Cuzzi, residente a Shanghai. Andò perduto per cause imprecisate, nelle acque cinesi, successivamente all’8 settembre 1943.
La “Collezione Cocchi”
Elemento centrale del nostro studio, e fonte dell’inedita iconografia presentata su questo fascicolo e nelle sezioni espositive della Mostra “Mare Nostrum 2005”, è dunque la ricca collezione di fotografie scattate e raccolte da Natale Cocchi durante il servizio prestato nella Regia Marina, con particolare riferimento all’imbarco sul Lepanto e alle navigazioni nei mari della Cina. Riteniamo che, in abbinamento alle immagini più belle e significative, possa costituire motivo di interesse riportare i punti più importanti della relazione, redatta a suo tempo dall’autore, al termine del lavoro di riordino e catalogazione della collezione. Sarà così possibile inquadrare al meglio i principali aspetti che contraddistinguono la “Collezione Cocchi”, sicuramente una delle pochissime raccolte fotografiche riferite all’attività della Regia Marina in Cina negli anni Trenta e l’unica tra queste – sino ad oggi – ad essere stata studiata, valutata e, quel che più conta, portata a conoscenza del pubblico e degli appassionati.
Datazione
Purtroppo non è stato possibile reperire un “estratto matricolare” di Natale Cocchi in quanto, per i sottocapi e i “comuni”, né la Direzione del Personale (Maripers), né – tantomeno – l’Ufficio Storico della Marina Militare conservano in archivio tale documento per un periodo di tempo lungo come i quasi settant’anni trascorsi dall’epoca del suo arruolamento, servizio e congedo. Tuttavia, in considerazione della classe di nascita (1915) del nostro “marò”, della durata (all’epoca trenta / trentasei mesi) del servizio di leva in Marina, e confortati dalle date riportate sul retro di alcune fotografie della collezione riteniamo di poter redigere, con sufficiente precisione, uno “stato di servizio presunto” che riportiamo di seguito.
· Arruolamento nella Regia Marina verso la fine del 1935 e iniziale detinazione al “Deposito Marina” di Taranto.
· Imbarco sul cacciatorpediniere Freccia tra la metà del 1936 e la primavera del 1937.
· Destinazione a bordo del posamine/cannoniera Lepanto e trasferimento a Shanghai entro la metà del 1937.
· Permanenza a bordo del Lepanto sino a novembre del 1938 (compresa una crociera in Giappone nell’ottobre del 1938).
· Rientro in Italia e avvio in congedo tra la fine del 1938 e – al massimo – i primissimi mesi del 1939.
(10) Il documento ufficiale redatto dai competenti Organi ed Uffici della Marina ove sono registrate le destinazioni, la promozioni, i trasferimenti, le date di arruolamento e congedo, i richiami e tutti gli altri elementi di interesse relativi al periodo di servizio di un militare in seno alla Forza Armata.
La maggioranza delle fotografie della “Collezione Cocchi” sono comunque state scattate (o acquistate) durante l’imbarco sul Lepanto e, di conseguenza, risalgono tutte al periodò metà 1937 / fine 1938.
Aspetto della collezione fotografica.
La “Collezione fotografica ‘CocchI’” è composta da oltre 500 fotografie raccolte in quattro album e, in piccola parte, contenute in una busta. Tre album sono chiaramente di produzione cinese, due con copertina in legno laccato con disegni di paesaggi ed uno con una copertina in finta pelle. La copertina del quarto album riporta – ricamato a colori, su sfondo azzurro – lo stemma sabaudo sormontato dalla corona (come nella bandiera della R.M.), e reca il motto della R.N. Lepanto “In hoc signo vinces”. Le dimensioni dei quattro album sono circa di cm 25 x 35. La grande maggioranza delle fotografie (tutte originali dell’epoca, in bianco e nero) è di piccole dimensioni. I formati sono variabili: quadrati (cm 4 x 4, 5 x 5 ecc.) o rettangolari (cm 5 x 7 o 6 x 8); non mancano tuttavia fotografie in formato cartolina (cm 8 x 12 oppure 10 x 15). Infine, sono presenti alcune viste panoramiche di grandi dimensioni (ca. cm 10 x 25). Va rilevata l’ottima qualità delle immagini che, solo in minima parte, denotano “segni del tempo” quali macchie, pieghe o abrasioni che, peraltro, sono state facilmente eliminate in sede di restauro “informatico” della collezione.
Origine e provenienza delle fotografie
Un certo numero di immagini, raffiguranti soprattutto membri dell’equipaggio del Lepanto, particolari dell’unità, foto di altre navi italiane e di unità estere a Shanghai, appaiono scattate dal Cocchi stesso o da altri marinai del Lepanto. Alcune fotografie del Lepanto sono con certezza foto “ufficiali” dell’unità, raffiguranti la cannoniera alla fonda e cerimonie militari svoltesi tanto a bordo quanto a terra, con partecipazioni di picchetti armati dell’equipaggio. Infine, un quantitativo considerevole di fotografie è stato sicuramente acquistato “in loco” dal Cocchi soprattutto in Cina e – in piccola parte – in Giappone.
Foto n.12 - Estate 1938. Visita di un’alta carica del P.N.F. a bordo dell’incrociatore Raimondo Montecuccoli. Sullo sfondo (lato sinistro della barbetta della torre n. 3), è visibile il motto della nave “Con risolutezza con rapidità”, tratto dagli Aforismi di guerra dello stesso Montecuccoli e riferito all’elevata velocità delle unità di questa classe. Il Montecuccoli possedeva anche il motto non ufficiale “Centum Oculi” (riportato nel quadrato ufficiali), anch’esso attribuito al condottiero rinascimentale e che compendiava le sue virtù di attenzione e di apprezzamento della situazione tattica. Si racconta che nel corso della scontro di Pantelleria (15 giugno 1942), lo scoppio di un colpo a bordo avrebbe asportato la “O” di oculi senza causare altri danni: da allora, a ricordo della fortunata circostanza, il motto fu poi tramandato nella forma “Centum Øculi ”.
Immagini utilizzate e criteri di scelta
Dal totale delle immagini che costituiscono la “Collezione CocchI” (comprendente, come detto, oltre 500 elementi), sono state utilizzate 184 fotografie per la scelta delle quali ci si è rifatti alla serie di criteri di seguito indicata:
· Valore storico della fotografia in relazione ai fatti in cui il Lepanto e il suo equipaggio si sono trovati coinvolti.
· Evidenziazione di specifici aspetti storico-documentali.
· Aspetti della vita di bordo dell’equipaggio.
· Aspetti della vita quotidiana della popolazione locale.
· Interesse tecnico-documentale per quanto riguarda le fotografie di unità navali, sia italiane sia estere.
· Qualità della fotografia (luminosità, corretta esposizione, contrasto, supporto cartaceo ecc.).
Tecniche di scansione e supporti informatici
Tutte le fotografie sono state rilevate utilizzando uno scanner “Epson 1250” alla risoluzione di 500 dpi. I documenti così ricavati, in formato jpg, sono stati trattati con il programma “Adobe Photoshop 7.0” (su sistema operativo Mac 9.0) per migliorare, inizialmente, soprattutto la luminosità e il contrasto delle immagini. In questa prima fase di valorizzazione, si è inoltre provveduto a “centrare” maggiormente le fotografie eliminando bordi, parti laterali deteriorate, elementi non di interesse (porzioni troppo ampie di mare, di cielo ecc.). E’ stato successivamente portato a termine un restauro informatico qualitativamente esteso delle immagini per le quali era necessario eliminare macchie, righe, segni di piegatura ecc., curando peraltro di mantenere inalterati gli elementi fondamentali, il soggetto di ogni fotografia e l’aspetto generale del documento.
[11] Un certo numero di fotografie, inoltre sono state sicuramente scattate (o acquisite) da Natale Cocchi all’epoca del suo imbarco sul ct. Freccia.
Classificazione delle immagini
Al fine di classificare le fotografie, perlomeno in una sede iniziale di parziale raggruppamento in categorie, le 184 immagini prescelte sono state riunite in 14 gruppi così suddivisi (tra parentesi è indicato il numero di fotografie presenti in ogni gruppo):
· R.N. Lepanto (25) – Fotografie raffiguranti l’unità alla fonda a Shanghai o particolari delle installazioni di bordo, dell’armamento imbarcato, degli elementi dell’allestimento ecc.
· Navi Regia Marina a Shanghai (6) – Fotografie di altre unità italiane in acque cinesi dall’inizio degli anni Trenta al 1937.
· Navi altre Marine a Shanghai (26) – Immagini di unità navali francesi, inglesi, statunitensi, tedesche, olandesi, cinesi, giapponesi e di Marine minori presenti a Shanghai e sul fiume Hwangpu all’epoca della permanenza del Cocchi nella zona.
· Cannoniere (7) – Specifico gruppo di fotografie raffiguranti cannoniere di varie nazionalità, sicuramente il tipo di unità “stazionaria” maggiormente utilizzata dalle Marine occidentali in Cina sino agli anni precedenti la seconda guerra mondiale.
· Motobarche (3) – Alcune imbarcazioni di servizio di unità navali presenti a Shanghai nel 1937-38.
- Equipaggi (28) – In questo gruppo di fotografie sono raffigurati soprattutto marinai e ufficiali del Freccia e della Lepanto, sia a bordo sia a terra. Sono state incluse anche le fotografie di marinai imbarcati su unità estere scattate durante visite di questi ultimi a bordo della Lepanto.
- Shanghai città, architetture e paesaggi (18) – Viste di Shanghai, del fiume e delle strade principali del centro; immagini di pagode e monumenti più alcune viste “turistiche” dei fiumi Hwangpu e Yang-Tze-Kiang.
- Attacco giapponese (19) – Fotografie raffiguranti le truppe nipponiche che entrano a Shanghai durante la guerra cino-giapponese del 1937; alcune immagini documentano le distruzioni e i danni subiti dall’area urbana.
- Popolazione cinese (8) – Scene di vita della popolazione locale nelle vie di Shanghai.
- Giunche (10) – Fotografie di queste tipiche imbarcazioni impegnate nei traffici commerciali nel porto fluviale di Shanghai e lungo il fium Hwangpu.
- Bellezze locali (5) – Fotografie (alcune anche con dedica!) che testimoniano le “conquiste” dei marinai della Lepanto in Cina.
- Grande Muraglia (4) – Immagini della Grande Muraglia, probabilmente acquistate dal Cocchi a Shanghai.
- Giappone (6) – Durante l’imbarco sulla Lepanto, nell’ottobre 1938 il Cocchi fece scalo anche in Giappone (Tokyo, Kyoto e Yokohama). Il fatto è documentato da cinque immagini di monumenti di queste tre località e da un “biglietto di franchigia”, anch’esso conservato in uno degli album.
- Navi Regia Marina in Italia (20) – In effetti, si tratta di un gruppo di immagini “scorporato” dai precedenti: Natale Cocchi, come abbiamo visto, imbarcò sul ct. Freccia prima di essere destinato sulla Lepanto, ed il fatto è testimoniato da diverse fotografie dello stesso. Freccia, delle corazzate Doria e Duilio a Taranto, e di altre unità in porto sia a Taranto sia alla Spezia.
Foto n.13 - Un’inconsueta vista della zona centrale dell’incrociatore Raimondo Montecuccoli ripreso a Shanghai, nelle acque del fiume Hwangpu, durante la permanenza nella zona protrattasi dal settembre 1937 al settembre 1938. Si notino i due idrovolanti IMAM Ro.43 sulla catapulta, con la caratteristica colorazione bianca e rossa della superficie dell’ala superiore.
Le 184 immagini, il commento relativo a ciascuna di esse e tutta la documentazione acquisita e prodotta nell’ambito della valorizzazione della “Collezione Cocchi” sono stati salvati su una serie di CD-ROM al fine di permetterne la conservazione e il successivo utilizzo in ulterirori iniziative culturali, in accordo con la considerazione che la ricerca storica deve sempre nascere da un esame critico di tutti i documenti che è possibile rintracciare, compresi – come nel caso appena esaminato – quelli fotografici. Le fotografie che abbiamo presentato costituiscono l’anteprima di una collezione unica nel suo genere che – per la ricchezza qualitativa e quantitativa delle immagini che la compongono – assume un valore molto significativo nel campo della documentazione storica e dell’iconografia navale in particolare. Il “ritrovamento” e, soprattutto, l’aver potuto portare a conoscenza del grosso pubblico una raccolta fotografica vasta e articolata quale è per l’appunto la “Collezione Cocchi”, è una di quelle occasioni – ormai purtroppo sempre più rare, particolarmente nel campo navale – grazie alle quali è possibile rendere disponibili e fruibili archivi non ancora conosciuti e, al tempo stesso, completi e di grande valore. Se il ritrovare immagini navali inedite risalenti all’epoca della seconda guerra mondiale è, ai giorni nostri, un fatto piuttosto raro, è cosa ancora più rara e sorprendente venire a conoscenza di nuove e sconosciute fotografie scattate ancora in precedenza, nei primi decenni del secolo XX°. Ci sono poi fortunati casi – quale è stato per l’appunto quello della Famiglia Cocchi – in cui viene consentito di poter utilizzare una raccolta fotografica nell’ambito di un’approfoindita ricerca storico-documentale….. Ed allora, proprio grazie ad occasioni come questa, lo storico, l’appassionato o il semplice amante delle “cose di mare” possono sempre sperare che il mare continuerà ad essere un’inesauribile fonte di avventura, di sorprese, forse anche di vicende tragiche ma – sicuramente – anche fonte di un grande insegnamento e maestro di vita senza pari al mondo.
Foto n.14 - Artiglieria giapponese impiegata nelle operazioni che portarono alla conquista di Shanghai. L’immagine fu probabilmente acquistata “in loco” da Natale Cocchi, in tempi successivi all’occupazione della città da parte dei giapponesi.
Postfazione
. . . quello che non dovrebbe mai accadere
Non sempre, purtroppo, raccolte documentali e fotografiche “private” beneficiano di un’adeguata conoscenza da parte del pubblico e, assai spesso, album contenenti immagini d’altri tempi o cartelle ricche di testimonianze scritte di epoche passate languono in polverose soffitte, sul fondo di bauli o all’interno di cassetti dimenticati. Dal punto di vista della ricerca storica (e, più in generale, da quello della conservazione culturale), la situazione si fa poi spesso drammatica con la scomparsa di chi – magari con un certosino lavoro di anni – ha costituito e accresciuto nel tempo ragguardevoli collezioni, spesso inedite e insostituibili testimonianze di avvenimenti del passato. Archivi di assoluta importanza, tanto dal punto di vista quantitativo quanto – soprattutto – da quello qualitativo, alla morte dei loro “curatori” sono spesso dispersi dagli eredi che, quando non destinano alle discariche pubbliche materiali e documentazioni forse unici, alienano spesso il tutto ad antiquari e “bancarellari”, disperdendo in tal modo (e per sempre) elementi culturali di grande rilevanza. Addentrandoci nel più specifico campo del collezionismo fotografico navale, l’opportuna valorizzazione di raccolte dal grande valore storico-iconografico, quale è stato il fortunato caso, appena esaminato, dei quattro album della famiglia Cocchi, non è quindi – purtroppo – la norma. E’ questo uno stato di cose non limitato al solo nostro paese, e ritengo possa risultare interessante per i lettori ricordare un evento (nel quale mi sono trovato direttamente coinvolto) che ha riguardato la “dispersione” di un vasto archivio di fotografie navali, avvenuta in quella che può essere considerata la “patria” del collezionismo in generale, e di quello militare in particolare: la Gran Bretagna. Dal 1990 sono iscritto al “Naval Photograph Club”, un’associazione privata con sede in Inghilterra i cui membri – soprattutto inglesi ma alcuni dei quali residenti in altri paesi europei, negli U.S.A. e in Australia – sono legati dalla comune passione per la storia navale e per le fotografie di navi militari dalla seconda metà dell’800 ai giorni nostri. I soci del Club, tre/quattro volte all’anno, ricevono una “newsletter” contenente numerose informazioni ed un catalogo in base al quale è possibile acquistare, tramite la Segreteria del Club, fotografie (soprattutto di navi britanniche) di ottima qualità ad un prezzo più che accettabile. Con la “newsletter” della primavera del 1996 giunse la comunicazione che il Socio Ron Hinschliffe era deceduto e che la vedova – bontà sua! – metteva all’asta tra i membri del Club gli album fotografici del defunto marito. Anche se riferita alla sola Royal Navy, dalla descrizione si trattava a prima vista di una collezione piuttosto imponente: due album per le corazzate, altrettanti per le portaerei, tre per gli incrociatori, cinque e tre – rispettivamente – per cacciatorpediniere e sommergibili ed un ulteriore paio per le unità ausiliarie. Tuttavia, non avendo personalmente conosciuto Ron Hinschliffe, non sapevo assolutamente quali potessero essere la qualità e le dimensioni reali della sua collezione, e inviai quindi un’offerta sicuramente modesta sia nei termini economici sia in quelli “di scelta”: venticinque sterline per ciascuno dei due album delle corazzate, in seguito avrei deciso il da farsi… Fu perciò grande il mio stupore quando ricevetti la comunicazione che il mio “bid” era stato accettato: ritenni a quel punto che avrei presto ricevuto una delle tante “bufale” in circolazione nel nostro campo, costituite da poche foto conosciutissime, magari neppure in originale ma sbiadite riproduzioni di copie già di per sé scadenti e forse anche rovinate da macchie, scritte e tracce della più svariata natura. Misi quindi in conto di aver mal speso cinquanta sterline (più altre quindici per le spese postali): un centinaio di euro attuali che, sicuramente, dispiacerebbe a chiunque rimettere ma la cui mancanza non avrebbe certo cambiato radicalmente lo stato delle mie finanze. Quando ricevetti un voluminoso pacco ricoperto da numerosi francobolli delle Poste di Sua Maestà fui quasi colto dalla paura di aprirlo, temendo di veder materializzati i miei timori e di dover registrare tra le “perdite” le famose sessantacinque sterline.m Ma, incredibilmente, i fatti mi smentivano: davanti ai miei occhi si trovavano più di 400 splendide fotografie relative a tutte le corazzate che, nell’arco di un secolo, avevano prestato servizio con la Royal Navy: dalla pirofregata Warrior del 1861 alla nave da battaglia Vanguard, l’ultima corazzata britannica, entrata in servizio nel 1945 e radiata nel 1960. L’elemento più significativo e stupefacente non era però dovuto al numero delle immagini (già di per sé ampiamente ripagante della spesa), ma dalla loro qualità, e individuai subito parecchi originali degli studi Cribb e Wright & Logan, insieme a fotografie provenienti dalle raccolte dell’Imperial War Museum e del National Maritime Museum di Greenwich. Le sorprese non erano però terminate, perché nelle pagine dei due album si trovavano numerose altre fotografie, sicuramente inedite, scattate da membri dell’equipaggio di svariate unità durante le due guerre mondiali: non già le solite immagini “di gruppo” di marinai o ufficiali, ma belle viste d’insieme delle navi o dettagli dell’armamento e delle installazioni di bordo. Evidentemente Ron Hinschliffe aveva svolto un lavoro di grande ricerca e catalogazione, e sul retro di parecchie immagini erano annotati il nome e l’indirizzo dello studio fotografico o dell’antiquario presso cui la fotografia era stata acquistata nonché il prezzo, spesso congruo ma mai “fuori mercato”, a testimonianza della passione e della competenza che animavano questo collezionista d’oltremanica.
Foto n.15 - Natale Cocchi in franchigia a Shanghai, nell’estate del 1938, a bordo di un caratterisico “risciò”.
In ultimo, un particolare gruppo di fotografie attrasse la mia attenzione. Si trattava di qualche decina di immagini risalenti agli ultimi due decenni del secolo XIX° ed ai primi due del XX°, originariamente in bianco e nero ma colorate “a mano” secondo una delicata tecnica in uso proprio in quel periodo: queste fotografie erano state utilizzate come cartoline postali, e sul retro si trovavano non soltanto il testo e l’indirizzo del destinatario, ma era presente – soprattutto – il francobollo “d’epoca”, debitamente annullato con il timbro postale! Resomi conto del grande valore storico e documentale dei due album ora in mio possesso, non feci fatica ad immaginare che anche gli altri quindici potessero avere le medesime caratteristiche, e mi affrettai a contattare il Segretario del Club segnalandogli la mia intenzione di acquistarli tutti “in blocco”, ovviamente al medesimo prezzo di venticinque sterline l’uno.
[12] Termine inglese che sta ad indicare tanto la “puntata” in un gioco d’azzardo quanto l’offerta per partecipare ad un’asta.
Peraltro, come temevo, mi fu comunicato che la vedova di Ron Hinschliffe aveva già “alienato” tutto, e quel che è peggio, i vari album erano andati suddivisi tra più persone: un collezionista aveva acquistato quelli delle portaerei, i tre relativi agli incrociatori erano stati rilevati da un appassionato statunitense , quelli dei cacciatorpediniere – addirittura – erano stati suddivisi tra appassionati diversi, e così via… L’unica “consolazione” derivava dal fatto che tutti gli album erano stati acquistati da “professionisti” del settore, ed essi stessi tutti Soci del Naval Photograph Club: quindi, ognuno di noi – anche se residenti in diversi paesi – avrebbe continuato a conservare, sia pure in maniera “diffusa”, la collezione di Ron Hinschliffe la cui consistenza complessiva può venire valutata in più di 4.000 “pezzi”. Purtroppo, nei termini appena descritti andò definitivamente disperso l’ “unicum” costituito dall’interezza della collezione il cui valore – non soltanto economico, ma soprattutto storico, culturale ed iconografico – sarebbe stato notevolmente accresciuto dal poter conservare insieme i diciasette album, possibilmente in un singolo archivio, pubblico o privato che fosse. A riprova della ricchezza e della vasta organicità dell’ormai dispersa “Collezione Hinschliffe”, parecchie fotografie dei due album acquisiti dal sottoscritto sono state valorizzate in tre miei articoli comparsi sulle pagine di “Storia Militare”, il mensile della casa editrice Albertelli Edizioni Speciali (diretto dal noto storico navale Eminio Bagnasco), a cui collaboro sin dalla fondazione nel’ottobre 1993 . In aggiunta, ulteriori fotografie sono state utilizzate per illustrare parzialmente altri lavori miei e di altri “colleghi”, ed ho in progetto per il futuro almeno altri due articoli che, come corredo iconografico, utilizzeranno esclusivamente immagini rivenienti dai due album di cui – così “fortunosamente” – entrai in possesso nove anni fa. Il sentimento con cui concludere questa narrazione è, purtroppo, il rimpianto: il rimpianto di quale opera di divulgazione e valorizzazione sarebbe stato possibile realizzare avendo a disposizione l’intera collezione, originata dalla passione e dalla competenza di Ron Hinschliffe e così incoscientemente “dispersa” dalla sua ineffabile vedova.
Foto n.16 - L’interesse quasi “giornalistico” di Natale Cocchi per i diversi aspetti della vita della popolazione locale è testimoniato da questa serie di immagini che ritraggono scene quotidiane sul fiume Hwangpu e nelle strade di Shanghai. Negli anni Trenta, le condizioni di vita del cinese medio erano sotto taluni aspetti ancora quelle dei secoli passati, e queste fotografie costituiscono quindi un elemento di grande interesse in quanto testimonianza di situazioni e stili di vita ormai scomparsi dalla Cina contemporanea.
Bibliografia
AA.VV., Almanacco Navale 1941, XIX, Roma, Ufficio Collegamento e Stampa della R. Marina, 1940
AA.VV., I Motti delle Navi Militari Italiane, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1998
AA.VV., Navi Militari Perdute, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1975
Andò, E., Incrociatori Leggeri classe “Montecuccoli”, Voll.7/I e 7/II vecchia serie “Orizzonte Mare”, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1982
Bagnasco, E., Brescia, M., Cacciatorpediniere classi “Freccia/Folgore”, “Maestrale” e “Oriani”, Voll. 14/I e 14/II nuova serie “Orizzonte Mare”, Parma, Ermanno Albertelli Editore, 1997
Bagnasco, E., Cernuschi, E, Le Navi da Guerra Italiane 1940-1945, Parma, Ermanno Albertelli Editore, 2003
Brice, M., The Royal Navy and the Sino-Japanese Incident, 1937-1941, Londra, Ian Allan, 1973
Brown, D.K.,The Grand Fleet – Warship Design and Development 1906-1922, Londra, Chatam Publishing, 1999
Cernuschi, E., Le navi coloniali italiane, in “STORIA Militare” n. 44 (maggio 1997)
Del Giudice E. e V., La Marina Militare Italiana – uniformi, fregi e distintivi dal 1861 a oggi, Parma, Ermanno Albertelli Editore, 1997
Estival, B., Les Cannonières de Chine 1900-1945, Nantes, Marines Editions, 2001
Fraccaroli, A., Marina Militare Italiana 1946, Parma, Albertelli Edizioni Speciali, 1996
Id., Italian Warships of WW II, Londra, Ian Allan, 1968
Giorgerini, G., Gli Incrociatori della Seconda Guerra Mondiale, Parma, Ermanno Albertelli Editore, 1974
Labayle Couhat, J., French Warships of WW II, Londra, Ian Allan, 1971
Lenton, H.T., British Cruisers, Londra, MacDonald & Co., 1973
Lenton, H.T. e Colledge, J.J.,Warships of WW II – British and Commonwealth Navies, Londra, Ian Allan, 1973
Orlando, S., Granatieri in Cina, in “STORIA Militare” n. 118 (luglio 2003)
Pagano, G., Navi Mercantili Perdute, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1997
Palmer, J., Jane’s Dictionary of Naval Terms, Londra, MacDonald and Jane’s, 1975
Paoletti, C., La Marina Italiana in Estremo Oriente – 1866-2000, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 2000
Perissinotto, M., Shangai 1937, in “STORIA Militare” n. 30 (marzo 1996)
Silverstone, P.H., U.S. Warships of WW II, Londra, Ian Allan, 1971
Watts, A.J., Japanese Warships of WW II, Londra, Ian Allan, 1966
[13] Venni in seguito a sapere che si trattava del noto storico navale Paul H. Silverstone, autore – tra l’altro – del volume U.S. Warships of WW II, edito dalla casa editrice inglese Ian Allan.
[14] 9 luglio 1940: un "punto di vista" inglese (n° 43 – aprile 1997). Si tratta dell’analisi di un assoluto “inedito”, ovvero l’unica immagine conosciuta di una nave da battaglia britannica (nella fattispecie l’HMS Warspite) sotto il fuoco italiano alla battaglia di Punta Stilo. – Gli incrociatori da battaglia della Royal Navy (n° 59 – agosto 1998). Un articolo fotografico relativo alle sedici unità di questo tipo che, in entrambi i conflitti mondiali, prestarono servizio con la Marina britannica. – Le navi da battaglia britanniche della Grande Guerra (n. 114 – marzo 2003). Un altro articolo fotografico, analogo al precedente, realizzato utilizzando numerose immagini inedite delle “dreadnought” inglesi della prima guerra mondiale.
Risorse Internet
(Sito “ufficiale” della Marina Italiana)
(Ottimo sito, riferito soprattutto all’attività delle cannoniere inglesi in Cina ma con elenchi completi e dettagli relativi anche alle cannoniere di altra nazionalità)
http://www.geocities.com/Vienna/5047/yangpatships.html
(Cannoniere dell’U.S. Navy in Cina)
(Attività delle cannoniere, soprattutto francesi, sui fiumi della Cina)
(Sito italiano sulla missione del Trento e dell’Espero in Cina nel 1932)
http://iaodb.ish-lyon.cnrs.fr/Shanghai/index.php
(Immagini e fotografie di Shanghai dall’800 ai giorni nostri)
http://www.mrash.fr/iao/cartSH/listmap.html
(Carte e mappe di Shangai)
Foto n.17 - La “corazzata di seconda classe” HMS Renown, entrata in servizio nel 1895, è qui raffigurata verso la fine del secolo XIX durante una crociera con alcuni membri della famiglia reale britannica a bordo. Si noti, difatti, il “Royal Standard” al picco dell’albero di maestra. (Coll. M. Brescia – già coll. R. Hinschliffe
Foto n.18 - L’incrociatore da battaglia HMS Hood in uscita da Portsmouth, agosto 1939. Tra le due guerre, l'armamento dell'Hood (otto pezzi da 381/42) ed il suo aspetto maestoso ed aggressivo ne avevano fatto l'unità più famosa della Royal Navy presso il grosso pubblico. Fu quindi enorme l'emozione suscitata in Inghilterra dall'affondamento dell'unità, avvenuto il 24 maggio 1941 nel Canale di Danimarca durante il noto scontro con la Bismarck ed il Prinz Eugen. (Foto Wright & Logan, coll. M. Brescia – già coll. R. Hinschliffe)
L’autore e l’organizzazione della Mostra “Mare Nostrum” ringraziano tutti coloro che hanno prestato un fattivo aiuto consentendo di realizzare questo lavoro di ricerca storica.
Una citazione particolare, innanzitutto, per i figli di Natale Cocchi – Pinuccia e Cesare – che hanno cortesemente messo a disposizione le immagini della straordinaria collezione fotografica “di famiglia”. La Casa Editrice Albertelli di Parma, da parte sua, ha autorizzato l’uso e l’adattamento di testi tratti dal volume di E. Bagnasco ed E. Cernuschi Le Navi da Guerra Italiane 1940-1945 (edito nel 2003), e pubblicherà un articolo relativo alla “collezione Cocchi” sulle pagine del mensile “Storia Militare”. Un ringraziamento a quanti hanno contribuito ad identificare le navi meno conosciute raffigurate nelle fotografie: Dr. Duncan Veasey (Presidente del Naval Photograph Club) e gli amici Fulvio Petronio, Deryck Swetnam e Vince O’Hara. Quest’ultimo, inoltre, ha seguito le fasi tecniche della pubblicazione di un articolo concernente la
Tuttavia, in tempi ancora più lontani, le spedizioni di Alessandro Magno e – successivamente – i resoconti di viaggiatori e commercianti bizantini avevano già fatto intravedere quali estensioni di terre (e quali ricchezze) caratterizzassero il medio e il lontano Oriente.
L’opera fu dettata, in francese, da Marco Polo a Rusticiano (o Rustichello) da Pisa, trovandosi entrambi prigionieri dei genovesi dopo la battaglia della Meloria (1284). Il titolo originale era Le livre de Marco Polo citoyen de Venise, dit Million, où on conte les merveilles du monde.
Nel corso dell’occupazione di Pechino, per rappresaglia contro l’esecuzione sommaria di alcuni prigionieri occidentali, le truppe britanniche al comando di Lord Elgin incendiarono il “Palazzo d’Estate” dell’imperatore cinese.
Macao è, a tutt’oggi, l’ultimo lembo di territorio cinese sotto la sovranità di uno stato europeo; in base agli accordi del 1842, Hong Kong è tornata sotto il controllo cinese (sia pure con ampie garanzie di autonomia politica ed economica) il 1° luglio 1997.
Non va dimenticato che anche molte Marine sudamericane utilizzarono cannoniere sui grandi fiumi del continente, non già nella conduzione di politiche coloniali ma – assai spesso – nell’ambito dei conflitti armati che, di volta in volta, videro coinvolti numerosi paesi della zona tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del secolo XX°.
Numerose cannoniere di questo tipo, espressamente costruite o ricavate dalla trasformazione di mezzi da sbarco, furono utilizzate dalla “Riverine Force” dell’U.S. Navy nel corso della guerra del Viet-Nam.
Parzialmente adattato da: Bagnasco, E., Cernuschi, E, Le Navi da Guerra Italiane 1940-1945, pag. 305/306, op. cit. in bibliografia.
Il documento ufficiale redatto dai competenti Organi ed Uffici della Marina ove sono registrate le destinazioni, la promozioni, i trasferimenti, le date di arruolamento e congedo, i richiami e tutti gli altri elementi di interesse relativi al periodo di servizio di un militare in seno alla Forza Armata.
Un certo numero di fotografie, inoltre sono state sicuramente scattate (o acquisite) da Natale Cocchi all’epoca del suo imbarco sul ct. Freccia.
Termine inglese che sta ad indicare tanto la “puntata” in un gioco d’azzardo quanto l’offerta per partecipare ad un’asta.
Venni in seguito a sapere che si trattava del noto storico navale Paul H. Silverstone, autore – tra l’altro – del volume U.S. Warships of WW II, edito dalla casa editrice inglese Ian Allan.
9 luglio 1940: un "punto di vista" inglese (n° 43 – aprile 1997). Si tratta dell’analisi di un assoluto “inedito”, ovvero l’unica immagine conosciuta di una nave da battaglia britannica (nella fattispecie l’HMS Warspite) sotto il fuoco italiano alla battaglia di Punta Stilo. – Gli incrociatori da battaglia della Royal Navy (n° 59 – agosto 1998). Un articolo fotografico relativo alle sedici unità di questo tipo che, in entrambi i conflitti mondiali, prestarono servizio con la Marina britannica. – Le navi da battaglia britanniche della Grande Guerra (n. 114 – marzo 2003). Un altro articolo fotografico, analogo al precedente, realizzato utilizzando numerose immagini inedite delle “dreadnought” inglesi della prima guerra mondiale.