D-VITTORIALE degli Italiani: Il Teatro
VITTORIALE DEGLI ITALIANI
IL TEATRO
"Preserveremo l'estremo rifugio della grazia: Il Vittoriale"
(G.d'Annunzio)
"Una conca marmorea sotto le stelle": così il poeta Gabriele d'Annunzio immaginava il teatro ideale per rappresentare i propri spettacoli, naturalmente immerso nella splendia cornice del Vittoriale, sull'esempio di quello di Wagner a Bayreuth.
Avrebbe dovuto chiamarsi "Parlaggio". Fu il Vate stesso a scegliere il luogo: un punto panoramico del parco, da cui si ammirano l'Isola del Garda, il Monte Baldo, la penisola di Sirmione e, soprattutto, la suggestiva Rocca di Manerba - in cui a Goethe pare di riconoscere il profilo di Dante.
Nel 1931 il Vate affidò l'opera all'architetto del Vittoriale, Gian Carlo Maroni, che mandò a Pompei perché pensasse la nuova realizzazione sull'esempio dell'anfiteatro romano più antico del mondo.
I lavori iniziarono tra il '34 e il '35 ma vennero presto interrotti per difficoltà finanziarie, aggravate dall'inizio della guerra e dalla morte del poeta. Ripresi per volontà della Fondazione vent'anni dopo, nel '52, terminarono l'anno successivo, a opera dell'architetto Mario Moretti e di Italo Maroni, fratello di Gian Carlo.
Carlo Gatti
Rapallo, 14.11.2012
C-VITTORIALE degli Italiani: La Prioria
Il VITTORIALE DEGLI ITALIANI
LA PRIORIA
Giordano Bruno Guerri, il Presidente della Fondazione
LA PRIORIA: così fu definita da Gabriele D’Annunzio la Casa-Museo che l’avrebbe accolto nella sua vecchiaia. L’ampia struttura occupa un terreno di nove ettari costellato da edifici, tra cui la Cittadella, il Museo della Guerra, gli Archivi, le Biblioteche e il Teatro, piazze, viali e fontane, nel comune di Gardone Riviera, in provincia di Brescia. Il complesso del Vittoriale svetta sul Lago di Garda ed ospita un vero e proprio museo colmo di reliquie, ricordi, cimeli e tracce del “vivere inimitabile” che il poeta-vate ha dedicato e donato agli italiani.
Nell’atto di donazione, stipulato da d’Annunzio il 22 dicembre 1923 e poi perfezionato nel 1930, il poeta dichiara e illustra i suoi intenti, sigillati nel motto araldico, apparentemente paradossale, inciso sul frontone all’ingresso del Vittoriale, tra due cornucopie: “Io ho quel che ho donato”.
“Io ho quel che ho donato”
G. D’Annunzio
« Io donai allo stato le case e le terre da me possedute nel comune di Gardone sul Garda così anche donai tutte le mie suppellettili interamente, senza eccettuarne veruna: e non soltanto quelle già collocate nelle mie case ma pur quelle che di anno in anno io vado scegliendo e disponendo e catalogando. Io vivo e lavoro, e faccio musica, nella solitudine del Vittoriale donato; e dedico alle mie mura l’assiduo amore che mi lega alle pagine de’ miei nuovi libri. Non soltanto ogni mia casa da me arredata, non soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da me scelto e raccolto nelle diverse età della mia vita fu sempre per me un modo di espressione, fu sempre per me di rivelazione spirituale, come un de’ miei poemi, come un de’ miei drammi, come un qualunque mio atto politico e militare, come una qualunque mia testimonianza di diritta e invitta fede. Per ciò m’ardisco io d’offrire al popolo italiano tutto quel che mi rimane, e tutto quel che da oggi io sia per acquistare e per aumentare col mio rinnovato lavoro: non pingue retaggio di ricchezza inerte ma nudo retaggio di immortale spirito, io son venuto a chiudere la mia tristezza e il mio silenzio in questa vecchia casa colonica, non tanto per umiliarmi quanto per porre a più difficile prova la mia virtù di creazione e trasfigurazione. Tutto infatti è qui da me creato o trasfigurato. Tutto qui mostra le impronte del mio stile, nel senso che io voglio dare allo stile. Il mio amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la mia aspirazione all’eroismo, il mio presentimento della Patria futura si manifestano qui in ogni ricerca di linea, in ogni accordo o disaccordo di colori. Non qui risànguinano le reliquie della nostra guerra? E non qui parlano o cantano le pietre superstiti delle città gloriose? Ogni rottame aspro è qui incastonato come una gemma rara. La grande prova tragica della nave ‘Puglia’ è posta in onore e in luce sul poggio. E qui non a impolverarsi ma a vivere son collocati i miei libri di studio, in così grande numero e di tanto pregio che superano forse ogni altra biblioteca di ricercatore e di ritrovatore solitario. Tutto è qui dunque una forma della mia mente, un aspetto della mia anima, una prova del mio fervore. Come la morte darà la mia salma all’Italia amata così mi sia concesso preservare il meglio della mia vita in questa offerta all’Italia amata. Ma da poco la mia salma ha già la sua arca sul colle denominato Mastio. Anche da poco ho fondato il Teatro aperto, e ordinato le scuole, le botteghe, le officine a rimembrare e rinnovellare le tradizioni italiane delle arti minori. Batto il ferro, soffio il vetro, incido le pietre dure, stampo i legni con un torchietto, colorisco le stoffe, intaglio l’osso e il bosso, interpreto i ricettarii di Caterina Sforza sottilizzo i profumi. »
La stipula dell’atto che dichiara la donazione del Vittoriale allo Stato, garantisce il finanziamento necessario alla sua costruzione: prende dunque avvio la Fabbrica, subito qualificata come Santa da d’Annunzio, il quale si avvale del giovane architetto Gian Carlo Maroni, battezzato ‘Maestro delle pietre vive’ che nel 1937, quando il Vittoriale diventerà una fondazione, ne assumerà la soprintendenza.
La casa del poeta
- Il primo nucleo della ristrutturata residenza del poeta é la cosiddetta Prioria.
Il cancello dorato si apre e iniziamo il percorso incontrando la colonnina francescana sormontata da un canestro con melograni simbolo della abbondanza e fertilità.
- Accediamo alla Stanza del Mascheraio così chiamata dai versi composti dal poeta in occasione della visita di Mussolini al Vittoriale nel maggio del 1925:
Al visitatore: teco porti lo specchio di Narciso?
Questo é piombato vetro, o mascheraio.
Aggiusta le tue maschere al tuo viso
Ma pensa che sei vetro contro acciaio
- Passiamo nella Stanza della musica, le pareti sono rivestite di preziosi damaschi neri e argento per favorire l’acustica. E’ dedicata ai piaceri della musica. Oltre a numerosi strumenti musicali delle varie epoche, sulle pareti si trovano i ritratti di Cosima Liszt, Wagner, e le maschere di funerarie di Beethoven e di Listz. Fanno parte dell’arredamento oggetti déco – Diana cacciatrice, statuette orientali, colonne romane, calchi in gesso di sculture greche che compongono un’alchimia di disparati simboli culturali.
- Entriamo ora nella Stanza del mappamondo che é una delle grandi biblioteche del Vittoriale. Alle pareti vediamo circa seimila libri. L’occhio cade sulla maschera funebre di Napoleone, il busto in gesso di Michelangelo (considerato da sempre il Parente del poeta). In una nicchia c’é l’altro caposaldo culturale di D’Annunzio, Dante Alighieri, Dantes Adriacus in ricordo dell’impresa fiumana.
- Giungiamo così alla Zambracca il cui significato, “donna da camera”, deriva da un antica parola provenzale. In questo studiolo raccolto il poeta trascorreva, negli ultimi anni, la maggior parte del suo tempo; e qui D’Annunzio morì la sera del 1° marzo 1938. Sulla scrivania un prezioso scrittoio di Bucellati, orafo del Vittoriale. La testa d’aquila in argento di R.Brozzi, animali esotici in vetro di murano, la testa dell’Aurora di Michelangelo, i gessi dei cavalli di Fidia del Partenone.
- Ci avviciniamo alla Stanza della Leda, la camera da letto del Poeta che prende il nome da un grande gesso posto sul caminetto – in stile Déco con nicchie dorate e statuette di origine orientale e di vetro Lalique – raffigurante Leda amata da Giove trasformatosi in cigno. “Genio et voluptati” é il motto che si legge sull’architrave della porta mentre sul soffitto, decorato da Guido Marussig, sono riportati i versi danteschi “Tre donne intorno al cor mi son venute...”.
Anche qui il vasto assortimento di oggetti é straordinario: dai piatti arabo-persiani agli elefanti in maiolica cinese, dai bronzi cinesi alle maioliche azzurre ai mobili in stile orientale.
- Entriamo quindi nella La Veranda dell’Apollino che fu aggiunta da Maroni per schermare la luce diretta del sole nella stanza della Leda, e fungeva da saletta di lettura affacciata sui giardini del Vittoriale digradanti verso il lago. La stanza é decorata da riproduzioni di ritratti famosi del Rinascimento italiano, animali in porcellana Lenci e Rosenthal, tappeti e vasi persiani. Su un tavolino le fotografie della madre e di Eleonora Duse.
Bagno Blu
Bagno Blu-particolare
- Bagno Blu – Il bagno padronale é una specie di scrigno contenente oltre 600 oggetti. Sul soffitto si legge il motto “Ottima é l’acqua” da Pindaro, alle pareti le riproduzioni di degli ignudi della Cappella Sistina di Michelangelo, piastrelle persiane di ceramica e pietre preziose cinesi. Un blocco di malachite su cui si staglia un’antilope in vetro soffiato di Guido Balsamo Stella.
- Ritirata – Il piccolo ambiente contiene maschere lignee del teatro giapponese del secolo XVIII e una figurina femminile di porcellana di Rosenthal del 1927.
- Stanza del lebbroso – Fu concepita da D’Annunzio come camera funeraria, quindi é la stanza più ricca di simboli del Vittoriale. Cinque Sante (Caterina da Siena, Giuditta di Polonia, Elisabetta di d’Ungheria, Odilla d’Alsazia e Sibilla di Fiandria) appaiono al poeta come un sogno incitandolo alla rinuncia dei piaceri del mondo. D’Annunzio affidò il suo programma iconologico di questo ambiente a Guido Cadorin che tra il 1924 e il 1925 decorò il soffitto con cinque figure femminili volanti, ma i volti sono ritratti di donne legate a D’Annunzio. Notevole il dipinto di Cristo che benedice la Maddalena e sullo sfondo il dipinto di S.Francesco che abbraccia il lebbroso, ossia il poeta stesso, il prezioso San Sebastiano del secolo XVI, le vetrate di Pietro Chiesa con iscrizioni tratte dalle laudi francescane: tutto cospira al mito ascetico di d’Annunzio che fece realizzare a Maroni il letto a forma di culla-bara, per le sue meditazioni sul misztero della vita e della morte. Qui sarà esposta la sua salma fra l’1 e il 2 marzo 1938.
- Corridoio Via crucis - Così denominato dalle formelle in rame smaltato che rappresentano le stazioni della Via crucis, opera di Giuseppe Guidi.
- L’Officina, lo Studio dove D’Annunzio si ritirava a creare le sue opere, al quale si accede da una porta bassissima che costringe ad inchinarsi all’arte; é l’unica stanza in cui la luce può entrare liberamente.
- La Stanza di Cheli, così chiamata per la tartaruga morta per indigestione che campeggia, trasformata in bronzea scultura, come monito per i commensali.
- Lo scrittoio del monco, dove il poeta sbrigava la corrispondenza, chiamata ironicamente così per l’impossibilità di rispondere a tutte le lettere che gli arrivavano.
- La Stanza delle reliquie. Prima di divenire esclusivo ricettacolo delle "immagini di tutte le credenze", "degli aspetti di tutto il divino", la stanza delle reliquie era la stanza da pranzo e della musica, per questo veniva chiamata cenacolo, o stanza del contrappunto. Già all'origine conteneva reliquie di guerra e fiumane. Al centro del gonfalone, il serpente che si morde la coda (simbolo di eternità), le sette stelle dell'Orsa Maggiore. Le pareti sono ricoperte da cortinaggi con disegno a melagrana, e da un grande arazzo di soggetto biblico, appeso alla travatura, sormontato dal motto, giustificato dal fatto che d'Annunzio escludeva dai sette vizi capitali Lussuria e Prodigalità: Cinque le dita, cinque le peccata. La luce della stanza mistica è schermata dalla vetrata policroma, che rappresenta Santa Cecilia all'organo. L'alta travatura sorregge una teoria di santi lignei, di diversa provenienza, e reca i versi: Tutti gli idoli adorano il Dio vivo tutte le fedi attestan l'uomo eterno tutti i martiri annunziano un sorriso tutte le luci della santità fan d'un cuor d'uomo il sole e fan d'Ascesi l'Oriente dell'anima immortale Due gli altari della stanza: uno composto da una piramide di idoli orientali, alla cui cima è però la Madonna col Bambino, l'altro formato da un insieme di simboli religiosi e da reliquie cruente: al centro è infatti il volante spezzato dell'inglese Sir Henry Segrave, campione dell'entrobordo, morto il 13 giugno 1930 nel tentativo di superare, incitato dallo stesso Poeta, nelle acque del lago Windermere, il record di velocità. Testimoni del pericolo da egli stesso scampato sono, sotto le ali spiegate di un'aquila, il bassorilievo del Leone di San Marco, dono del comune di Genova, che commemora un discorso tenuto dal Poeta nel maggio 1915, per incitare gli italiani ad entrare in guerra; e un quadro di Marussig, dal medesimo soggetto, che ornava lo studio del Comandante a Fiume. Questo dipinto fu colpito da una scheggia di granata durante il "Natale di Sangue" (1920), ed è ora lesionato a memoria dell'incidente che avrebbe potuto costare la vita a d'Annunzio.
Carlo GATTI
Rapallo, 14.11.2012
B-VITTORIALE degli Italiani: Monumenti Esterni
IL VITTORIALE DEGLI ITALIANI
MONUMENTI ESTERNI
Il Vittoriale degli Italiani non è solo la stupefacente casa di Gabriele D'Annunzio, costruita a Gardone Riviere sulle rive del lago di Garda dal poeta-soldato con l'aiuto dell'architetto Giancarlo Maroni, ma un complesso di edifici, vie, piazze, un teatro all'aperto, giardini e corsi d'acqua eretto tra il 1921 e il 1938 a memoria della sua "vita inimitabile" e delle imprese degli italiani durante la Prima guerra mondiale. Il Vittoriale oggi è una fondazione aperta al pubblico e visitata ogni anno da circa 180.000 persone.
Ingresso del Vittoriale
Il Vittoriale si estende per circa nove ettari sulle colline di Gardone Riviera in posizione panoramica, dominante il lago. Accoglie il visitatore l'ingresso monumentale costituito da una coppia di archi al cui centro è collocata una fontana che reca in lettere bronzee un passo del Libro segreto, ultima opera scritta da Gabriele d'Annunzio: “Dentro da questa triplice cerchia di mura, ove tradotto è già in pietre vive quel libro religioso ch'io mi pensai preposto ai riti della patria e dei vincitori latini chiamato Il Vittoriale”. A sormontare la fontana una coppia di cornucopie e un timpano con il famoso motto dannunziano:
“Io ho quel che ho donato”
PILO DEL PIAVE – Costruito in pietra di Torri del Benaco, viene eretto tra il 1934-1935A rappresentare simbolicamente l’arcata spezzata di un ponte a ridosso del Piave. Sulla sommità venne collocata nel 1935 una versione della Vittoria del Piave incatenata ai piedi ma con le ali frementi, simbolo della volontà di resistenza dell’esercito italiano dopo la rotta di Caporetto.
Piazza Dalmata
Dalle arcate d'ingresso si snoda un duplice percorso: il primo in leggera salita conduce alla Prioria, la casa-museo di Gabriele d'Annunzio, e salendo ancora alla Nave militare Puglia e al Mausoleo degli Eroi con la tomba del poeta; il secondo porta verso i giardini, l'Arengo, e, attraverso una serie di terrazze degradanti verso il lago, si giunge alla limonaia e al frutteto.
Palazzo Schifamondo contiene il Museo della Guerra
Schifamondo è l'edificio destinato a diventare la nuova residenza del poeta, ma che non era ancora ultimato al momento della sua morte (1º marzo 1938 ). Il nome, ispirato da un passo di Guittone d'Arezzo e dalla residenza rinascimentale di Palazzo Schifanoia degli Estensi di Ferrara, manifesta il desiderio di isolamento del poeta. L'edificio venne concepito dall'architetto G. Maroni come l'interno di un transatlantico: finestre come oblò, vetrate alabastrine, ambienti rivestiti in boiserie di legno, corridoi alti e stretti e uno studio del tutto simile al ponte di comando di una nave, con decorazioni déco. Oggi ospita il Museo D'Annunzio Eroe. In quella che doveva diventare la sua nuova stanza da letto, venne esposto il corpo del poeta per la veglia pubblica nei giorni immediatamente successivi alla sua morte.
Schifamondo comprende anche l'Auditorium con una platea per duecento persone, utilizzato anche per convegni e manifestazioni; alla cupola è appeso l'aereo Ansaldo SVA del celebre Volo su Vienna . Negli spazi dell'auditorium è possibile vedere due piccole mostre fotografiche sulla vita di Gabriele d'Annunzio, sulla costruzione del Vittoriale e l'Omaggio a d'Annunzio, una mostra di artisti contemporanei che a d'Annunzio si sono ispirati: fra questi Giorgio de Chirico e Mario Pompei con i bozzetti per i costumi rispettivamente della Figlia di Iorio e di Parisina , Jonathan Meese, Luigi Ontani.
La Prioria e Lo zoccolo del Pilo Dalmata é composto da due pietre di macina provenienti da un antico frantoio locale, sulle quali sono incastonate, come una corona, otto teste barbute cinquecentesche. Una lunga scritta ricorda i nove anni dell’entrata in guerra dell’Italia (XXIV Maggio 1915) e i sette anni della battaglia avvenuta, il 27 Maggio 1917, alle foci del Timavo. A questa battaglia prese parte anche D’Annunzio, tra le cui braccia morì il comandante dei Lupi di Toscana il maggiore Giovanni Randaccio.
Superato l'ingresso e presa la via verso la Prioria si incontrano il Pilo del Piave con la scultura della Vittoria incatenata dello scultore Arrigo Minerbi , il Pilo del Dare in brocca, cioè colpire nel segno, imbroccare. Sulla sinistra l'Anfiteatro progettato da Maroni fra il 1931 e il 1938 ma ultimato soltanto nel 1953. Ispirato ai teatri della classicità, e in particolar modo a quello di Pompei dove Maroni venne mandato in missione insieme allo scultore Renato Brozzi, gode di uno strabiliante panorama sul lago avendo come naturale scenografia il Monte Baldo, l'isola del Garda, la rocca di Manerba nella quale al poeta tedesco Goethe parve di ravvisare il profilo di Dante e la penisola di Sirmione. È sede ogni estate di una prestigiosa stagione di spettacoli che negli anni ha portato a calcare il palco i più grandi attori italiani, étoiles del mondo della danza come Carla Fracci ed Eleonora Abbagnato, star della musica internazionale come Lou Reed, Michael Bolton e Patty Smith .
Subito dopo il Pilo del Piave, vi é un altro simbolo di riscatto allusivo alle vittorie italiane della Prima Guerra Mondiale: Il Pilo del “Dare in brocca”. Significa “colpire nel segno” ed appunto al bersaglio centrato allude il medaglione in marmo, con le frecce, disegnato da Guido Marussing. Il pilo veniva utilizzato per issare bandiere e gonfaloni.
Salendo ancora si giunge alla Piazzetta Dalmata che prende il nome dal Pilo sovrastato dalla Vergine di Dalmazia. Su questo spazio si affacciano la Prioria, la casa-museo di Gabriele d'Annunzio, lo Schifamondo, le Torri degli Archivi e il Tempietto della Vittoria con una copia bronzea della celebre Vittoria Alata di Brescia di epoca classica. Sul lato destro è possibile ammirare due delle ultime automobili possedute da d'Annunzio nel corso della sua vita: la Fiat T4, con la quale fece il suo ingresso a Fiume il 12 settembre 1919, e l'Isotta Fraschini.
Nella foto, l’entrata della Prioria
La casa, precedentemente di proprietà del critico d’arte tedesco Henry Thode, è denominata dal poeta Prioria ovvero casa del priore, secondo una simbologia conventuale che si ritrova in molte parti del Vittoriale. L'antica facciata settecentesca della casa colonica viene trasformata e arricchita dal Maroni, tra 1923 e il 1927, con l'inserimento di antichi stemmi e lapidi che richiamano alla memoria la facciata del Palazzo Pretorio di Arezzo. Al centro della facciata un araldico levriere illustra il motto dannunziano “Né più fermo né più fedele”. Il pronao d'ingresso, in stile Novecento, è decorato con due Vittorie attribuite a Jacopo Sansovino, mentre sul battente della porta, sopra una bronzea Vittoria crocifissa di Guido Marussig, si legge il motto “Clausura, fin che s'apra - Silentium, fin che parli”.
Parte di Schifamondo con lo Stemma di D’Annunzio al centro
Lo Stemma di D’Annunzio. L’ala nuova del Vittoriale, detta Schifamondo, ospita l’Auditorium; di questi, al centro del soffitto é sospeso l’aereo SVA che D’Annunzio utilizzò per il volo su Vienna il 9 agosto 1918. Il 9 Agosto 2008, novanta anni dopo, a Gardone viene ricordata l'impresa del Volo: alcuni aerei SVA dello stesso tipo di quelli dell'Impresa, volano su Gardone gettando la riproduzione dello stesso volantino che fu lanciato su Vienna.
Lasciati i giardini e percorso Viale di Aligi si giunge alla Fontana del Delfino, che con la sua forma semi-circolare richiama un po' Piazza Esedra.
Percorrendo i "sentieri delle limonaie" e del giardino si arriva al frutteto ove é collocata la Canefora opera in bronzo di Napoleone Martinuzzi.
Carlo GATTI
Rapallo, 14.11.1012
A-VITTORIALE degli Italiani: Gabriele D'Annunzio
IL VITTORIALE DEGLI ITALIANI
GABRIELE D'ANNUNZIO
Gabriele D'Annunzio
Gabriele D'Annunzio, principe di Montenevoso, a volte scritto d'Annunzio, come usava firmarsi (Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera , 1°marzo 1938 ), è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo , militare , eroe di guerra, politico e giornalista italiano , simbolo del Decadentismo italiano del quale fu il più illustre rappresentante assieme a Giovanni Pascoli.
Soprannominato il Vate cioè "il profeta", occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924. Come letterato fu «eccezionale e ultimo interprete della più duratura tradizione poetica italiana…» e come politico lasciò un segno sulla sua epoca e una influenza sugli eventi che gli sarebbero succeduti.
Gabriele D'Annunzio nasce a Pescara da famiglia borghese che vive grazie alla ricca eredità dello zio Antonio D'Annunzio. Compie gli studi liceali nel Collegio Cicognini di Prato distinguendosi sia per la condotta indisciplinata che per il suo accanimento nello studio unito ad una forte smania di primeggiare. Già negli anni di collegio, con la sua prima raccolta poetica PRIMO VERE, pubblicata a spese del padre, ottiene un precoce successo, in seguito al quale inizia a collaborare ai giornali letterari dell'epoca. Nel 1881, iscrittosi alla facoltà di Lettere, si trasferisce a Roma , dove, senza portare a termine gli studi universitari, conduce una vita sontuosa, ricca di amori e avventure. In breve tempo, collaborando a diversi periodici, sfruttando il mercato librario e giornalistico e orchestrando intorno alle sue opere spettacolari iniziative pubblicitarie, il giovane D'Annunzio diviene figura di primo piano della vita culturale e mondana romana.
Dopo il successo di Canto novo e di Terra vergine (1882), nel 1883 hanno grande risonanza la fuga e il matrimonio con la duchessina Maria Hardouin di Gallese, unione da cui nasceranno tre figli, ma che, a causa dei suoi continui tradimenti, durerà solo fino al 1890. Compone i versi l'Intermezzo di rime ('83), la cui «inverecondia» scatena un'accesa polemica; mentre nel 1886 esce la raccolta Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, poi divisa in due parti L'Isottèo e La Chimera (1890).
Ricco di risvolti autobiografici è il suo primo romanzo Il piacere (1889), che si colloca al vertice di questa mondana ed estetizzante giovinezza romana. Nel 1891 assediato dai creditori si allontana da Roma e si trasferisce insieme all'amico pittore Francesco Paolo Michetti a Napoli, dove, collaborando ai giornali locali trascorre due anni di «splendida miseria». La principessa Maria Gravina Cruyllas abbandona il marito e va a vivere con il poeta, dal quale ha una figlia. Alla fine del 1893 D'Annunzio è costretto a lasciare, a causa delle difficoltà economiche, anche Napoli.
Ritorna, con la Gravina e la figlioletta, in Abruzzo, ospite ancora del Michetti. Nel 1894 pubblica, dopo le raccolte poetiche Le elegie romane ('92) e Il poema paradisiaco ('93) e dopo i romanzi Giovanni Episcopo ('91) e L'innocente ('92), il suo nuovo romanzo Il trionfo della morte. I suoi testi inoltre cominciano a circolare anche fuori dall'Italia.
Nel 1895 esce La vergine delle rocce, il romanzo in cui si affaccia la teoria del superuomo e che dominerà tutta la sua produzione successiva. Inizia una relazione con l'attrice Eleonora Duse, descritta successivamente nel romanzo «veneziano» Il Fuoco (1900); e avvia una fitta produzione teatrale: Sogno d'un mattino di primavera ('97), Sogno d'un tramonto d'autunno, La città morta ('98), La Gioconda ('99), Francesca da Rimini (1901), La figlia di Jorio (1903).
Nel '97 viene eletto deputato, ma nel 1900, opponendosi al ministero Pelloux, abbandona la destra e si unisce all'estrema sinistra (in seguito non verrà più rieletto). Nel '98 mette fine al suo legame con la Gravina, da cui ha avuto un altro figlio. Si stabilisce a Settignano, nei pressi di Firenze, nella villa detta La Capponcina, dove vive lussuosamente prima assieme alla Duse, poi con il suo nuovo amore Alessandra di Rudinì. Intanto escono Le novelle della Pescara (1902) e i primi tre libri delle Laudi (1903).
Il 1906 è l'anno dell'amore per la contessa Giuseppina Mancini. Nel 1910 pubblica il romanzo Forse che sì, forse che no, e per sfuggire ai creditori, convinto dalla nuova amante Nathalie de Goloubeff, si rifugia in Francia.
Vive allora tra Parigi e una villa nelle Lande, ad Arcachon, partecipando alla vita mondana della belle époque internazionale. Compone opere in francese; al «Corriere della Sera» fa pervenire le prose Le faville del maglio; scrive la tragedia lirica La Parisina, musicata da Mascagni, e anche sceneggiature cinematografiche, come quella per il film Cabiria (1914).
Nel 1912, a celebrazione della guerra in Libia, esce il quarto libro delle Laudi. Nel 1915, nell'imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale, torna in Italia. Riacquista un ruolo di primo piano, tenendo accesi discorsi interventistici e, traducendo nella realtà il mito letterario di una vita inimitabile, partecipa a varie e ardite imprese belliche, ampiamente autocelebrate. Durante un incidente aereo viene ferito ad un occhio. A Venezia, costretto a una lunga convalescenza, scrive il Notturno, edito nel 1921.
Nonostante la perdita dell'occhio destro, diviene “eroe nazionale” partecipando a celebri imprese, quali la Beffa di Buccari e il Volo nel cielo di Vienna. Alla fine della guerra, conducendo una violenta battaglia per l'annessione all'Italia dell'Istria e della Dalmazia, alla testa di un gruppo di legionari nel 1919 marcia su Fiume e occupa la città, instaurandovi una singolare “repubblica”: la Reggenza italiana del Carnaro, che il governo Giolitti farà cadere nel 1920. Negli anni dell'avvento del Fascismo, nutrendo una certa diffidenza verso Mussolini e il suo partito, si ritira, celebrato come eroe nazionale, presso Gardone, sul lago di Garda, nella villa di Cargnacco, trasformato poi nel Museo-Mausoleo del Vittoriale degli Italiani.
Qui, pressoché in solitudine, nonostante gli onori tributatigli dal regime, raccogliendo le reliquie della sua gloriosa vita, il vecchio esteta trascorre una malinconica vecchiaia sino alla morte avvenuta il primo marzo 1938.
Se l’Italia é un Paese di santi, poeti, navigatori e amatori... Gabriele D’Annunzio é l’emblema che raccoglie tutte queste peculiarità. Come si fa a non amarlo?
Carlo GATTI
Rapallo, 14.11.1012
Un "SUPERSTITE" del REX
EZIO STARNINI
Un "superstite" del REX
Mare Nostrum 2012 ha operato un full immersion nel periodo più glorioso della marineria italiana e forse, senza neppure accorgercene, ci siamo imbarcati sul mitico REX dove abbiamo conosciuto personaggi della Riviera che, con la loro tipica semplicità marinara, ci hanno fatto rivivere momenti di autentica magia.
EZIO STARNINI é uno degli ultimi superstiti dell’epoca d’oro dei transatlantici, uno dei pochi che ancora oggi possa dire con orgoglio:
“Nel viaggio inaugurale del REX e del CONTE DI SAVOIA, c’ero anch’io! Avevo 16 anni, ero ascensorista e da Piccolo di Camera fui promosso Garzone di prima scelta. Un carrierone!”
In effetti, sfogliando il suo libretto di navigazione, scorrono gli imbarchi che fece sia con il Comandante Francesco Tarabotto (Rex), sia con il comandante Antonio Lena (Conte di Savoia) sulla quale rimase per ben quattro anni.
Totalizzò in tutto 42 mesi e rotti giorni di navigazione. Nel 1936 rimase “incastrato” in Marina e si fece anche tutta la Seconda guerra mondiale riportando anche gravi ferite. L'8 settembre del ‘43 dovette scappare senza ordini (come tanti italiani... purtroppo!). Si rifugiò sui monti fino alla fine della guerra. Nel dopoguerra si diplomò ‘ragioniere’ e fece un’ottima carriera nella MOBIL OIL a Roma dove diventò dirigente d’Azienda.
Ezio Starnini (nell'ovale), era uno sportivo e faceva parte della squadra di pallacanestro del CONTE DI SAVOIA. Nella foto giganteggia Primo Carnera, il più grande boxeur italiano (in tutti i sensi...) che viaggiava su quella nave, diretto in America alla conquista del titolo mondiale dei pesi massimi. Concedeteci un’amena curiosità: di ritorno dagli States, il pugile venne borseggiato in un vicolo dell’angiporto genovese. Il fatto venne riportato da IL SECOLO XIX e il ladro – aggiungiamo noi con un pizzico di preoccupazione - doveva essere un temerario considerando la stazza di Carnera che se si fosse accorto in tempo del furto lo avrebbe sicuramente conciato per le feste!
EZIO STARNINI, 96 anni, (nella foto) é una persona speciale, un vero signore d'altri tempi. Al suo curriculum occorre aggiungere un “tassello mancante”, infatti, il nostro 'superstite' è anche estremamente attivo come scrittore avendo recentemente pubblicato un libro dal titolo, appunto:
"IL TASSELLO MANCANTE"
Ezio ha voluto darci un ‘assaggio’ della sua vena letteraria con una testimonianza che vi proponiamo qui di seguito: é il racconto di un’emergenza che visse personalmente sul Conte di Savoia al comando di Antonio Lena.
VISSUTO D'EPOCA SUL CONTE DI SAVOIA
Nel Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari, osservo interessato i modelli in scala di due grandi transatlantici: il REX e il CONTE DI SAVOIA. Noto in essi la perfetta riproduzione, dei particolari: l'armamento, Ie verande, il Sun-deck, gli arredi esterni nella loro stupenda minuziosità, gli ampi oblò a finestra del Ponte A ... il Salone-Colonna!
Ed eccomi, a novantasei anni, avulso dalla realtà e riprovare, con emozione crescente, un episodio nel mio vissuto d'epoca: groom sedicenne, ascensorista a bordo del Conte di Savoia in rotta verso New York.
Vengo svegliato a notte fonda dal Capitan d'arme che, sbrigativo, con due marinai di coperta mi sloggia dal letto, mi allontana in malo modo e si appropria del materasso. Al mio sbalordito e ritroso : "Ehi... che fate?... Perche?", risponde brusco: "Una falla nella murata di babordo; imbarca acqua e bisogna tamponarla. Tu porta l'ascensore del Ponte A, su, al Salone Colonna. Stai pronto e zitto."
Burbero come quando era entrato, seguendo i marinai con l'ingombro esce dalla cabina senz'altro aggiungere. Sconcertato, mi domando perché proprio il "mio materasso", e non ... La risposta mi viene spontanea; occorre, subito, un ascensorista e un materasso?
Eccoli pronti, l'uno e l'altro contemporaneamente; nel bisogno la praticità è preziosa!
Mi vesto in fretta, mentre nel cervello in subbuglio i pensieri si accalcano: una falla?; quanto sotto se imbarca? E in pieno Gulfstream. II silenzio delle macchine mi dice che la nave è ferma, ragiono. Per niente impaurito, salgo agile per conosciute scale e corridoi, raggiungo presto l'ascensore del Ponte A e lo porto su, al Salone Colonna, meraviglia d'arte e vanto della Classe di lusso della nave. Entro ed osservo stranito la scena nella luce abbassata del vasto locale. Il Comandante Lena, il Primo Ufficiale e un Terzo, il Capo Allogi mio diretto superiore - due garzoni di sala, sono sporti dalla finestre sulla murata, gli splendidi tendaggi arrotolati, poltrone dorate spinte altrove, il prezioso tappeto parzialmente ripiegato... disordine. Trovo spazio, mi sporgo, sull'immensità buia e corro con gli occhi nella luce incrociata di due fari puntati sulla murata, in basso, all'altezza del Ponte C, in corrispondenza verticale con Ie finestre dove si trovano il Comandante e il Primo Ufficiale.
Dal portello aperto sul bagagliaio in quella precaria luminosità esce lento un tavolone grezzamente squadrato, col mio materasso inchiavardato: il tampone. Legato a dei cavi, scorre in basso a piccoli strappi accompagnato dalla luce dei fari; scende giù fino al pelo dell'acqua; acqua per fortuna non molto agitata, ma sempre mare dell'Oceano Atlantico, nel pieno della corrente ascensionale del Golfo, non lontano dalla punta Nord del famigerato triangolo delle Bermude. Nella chiazza di luce, calato con una robusta cima al petto, appare un uomo, Egli si agguanta al tampone, ad ampi gesti verso I'alto ne coordina la posizione, quindi, saldamente aggrappato al pesante aggeggio, affonda, scompare.
I fari battono il mare, ma la luce non mostra l'uomo faticare, privo del respiro, nell'opera viva della nave; non penetra I'agitata compattezza marina. Un paio di metri sotto il livello, in apnea, nell'acqua gelida e irrequieta, I'uomo farà una cosa straordinaria: profittando del vorticare del gorgo, ma pure temendone la forza attrattiva, farà scorrere sul corpo grinzoso della nave, il grosso, riluttante e mobile tampone sulla falla; col residuo delle forze fisiche e del respiro, cercherà di sistemarlo al meglio sullo squarcio dai margini sghembi e taglienti fra gli impeti del gorgo e risalirà all'aria stremato.
Teso quasi allo spasimo, fisso con gli occhi sbarrati la macchia di luce sul mare che copre I'uomo da troppo tempo: minuti, ma quanti? II tempo scorre lento e l'ansia ! Un improvviso rigurgito su quella superficie agitata, è il segno che la falla è finalmente otturata; ma il breve sollievo non sminuisce I'ansia: I'uomo ? ... Egli affiora nel ribollio dell'acqua, la testa ... respira; la corda al petto si tende ed egli è issato velocemente nel ventre delta nave, giusto da dove ne era uscito per I'arduo compito.
II Comandante si erge lento, sul suo volto un sorriso fugace lascia il posto al consueto tono di fermezza; dalle labbra semiserrate, un "bravo" appena si ode,
Affiancato dal Primo Ufficiale sollecito e sorridente; e da tutti seguito, s'avvia spedito all'uscita - che io ho appena oltrepassato. Senza fermarsi, con voce chiara scandisce:
"Domattina, quassù deve essere tutto in perfetto ordine. Ora scendiamo nel bagagliaio del Ponte C. Stringerò la mano a un mio eroico marinaio".
Di quell'uomo, del marinaio Gennaro Donnarumma divenni amico allorchè, stringendogli anch'io la mano, ebbi modo di raccontargli Ie mie ansie. Modestamente, come semplice e modesto egli stesso era, sorridendo mi disse: "Embè.. guagliò, quando c'e da fare, si fa, Non te lo scordare",
Ed io, come questo racconto-verità lo dimostra, ancora ricordo.
Ezio Starnini
A cura di
Carlo GATTI
Rapallo, 22.11.2012
Si ringraziano i com.ti Ernani Andreatta ed Enzo Gaggero. Alla loro disponibilità si deve la presente testimonianza.