ANNI '60 - RICORDI DI BORDO E DINTORNI...

ANNI '60

RICORDI DI BORDO E DINTORNI...

Breve introduzione.

I marittimi non amano raccontare i propri trascorsi in mare perché pensano di non essere capiti dai “terrestri”... Ma come ben sappiamo, ogni regola ha le sue eccezioni, il comandante Nunzio Catena é una di queste.

Il saggio che oggi ci dà in lettura, riporta indietro di mezzo secolo le lancette dell’orologio facendo rivivere i personaggi di bordo con le loro mansioni  sulle “carrette” dei mari. Nunzio é stato imbarcato su quei “brutti anatroccoli” come Roosevelt definì i LIBERTY nella cerimonia del primo varo. Pochi naviganti del Nuovo Millennio conoscono l’epopea di queste navi che furono costruite e montate in pochi giorni nei cantieri USA, con  l’obiettivo  di rifornire l’Europa in guerra. Esse dovevano compiere soltanto una traversata atlantica, ma per molte di loro, la carriera terminò con la demolizione verso la fine degli anni ’60. In un’altra sezione del sito di Mare Nostrum Rapallo, abbiamo riportato una serie di articoli dedicati a queste navi definendole:

Le navi che vinsero la guerra e poi la pace”

Alcune Liberty furono rimotorizzate e trasformate internamente per il trasporto di auto-FIAT dall’Italia agli Stati Uniti adeguandosi, in parte, alle nuove esigenze del mercato. Nunzio ci parlerà di questo trasporto, del quale segnaliamo anche un video e altri simpatici  aneddoti. Riteniamo pertanto che molti anziani “lupi di mare”, leggendo questi ricordi, rivivranno una parte della loro gioventù, ma siamo inoltre convinti che anche le nuove generazioni di studenti nautici e giovani ufficiali in servizio troveranno in queste “testimonianze” notevoli spunti di riflessione su come si navigava al tempo dei loro nonni, senza strumenti elettronici, con il radar che andava in avaria nel momento in cui serviva, con il radiogoniometro inattendibile... molto spesso affidandosi soltanto al sestante e al buon senso marinaresco.

Buona lettura!

Carlo Gatti

webmaster

FINALMENTE SI NAVIGA...

Quando finalmente iniziai il Corso Capitani di coperta, ero talmente motivato che terminai l’anno scolastico 1961 con una buona media e fui invitato a partecipare al concorso della Lega Navale Italiana, a livello nazionale - alunni IV° Corso Istituti Nautici Italiani - e nel mese di Luglio, m’arrivò la comunicazione che avevo vinto il Viaggio Premio con la Flotta Lauro-Napoli (che aveva navi passeggeri dislocate in tutto il mondo).

Mamma, sempre previdente, mi disse: "micc(i) cacche maj de lan(a).. 'nz pò mai sapè, t(e) mann a dò fa lu fredd ..?!!!

(Traduzione: metti qualche maglia di lana, non si può mai sapere,  se ti mandano  dove fa freddo.? !!!")

Mamma aveva ragione! Grazie alle potenti raccomandazioni che avevo... quando mi presentai all’Armamento Lauro di Napoli, mi dissero: "vada ad Augusta (Sicilia), imbarchi sulla petroliera 'VOLERE' noleggiata sulla rotta Mina al Ahmadi (Golfo Persico) - Augusta!

Data la calura del Golfo Persico in estate, quel viaggio era noto con il nome: per l’inferno e ritorno. L’aria condizionata all’epoca era soltanto un privilegio di non molte navi passeggeri.

Partii e portai a termine il viaggio con soddisfazione e tanto interesse, e lo avrei anche ripetuto, ma non fu possibile per la riapertura della scuola a Ottobre. Ebbi delle ottime referenze da parte del Comandante, il quale mi disse: “Quando prende il Diploma, puo' imbarcare con Lauro..!!

IL 26/7/62,  conseguito finalmente il diploma di Allievo di Coperta (vedi il sospirato primo grado nella foto), un mio amico che aveva navigato mi consigliò d'inoltrare domanda d’imbarco alla Compagnia Italnavi di Genova. Era il 10 settembre e scrissi:

“Mi chiamo ... Nato il... a... ecc. ecc... Se sono necessarie raccomandazioni, non leggete oltre.”

In pratica, mi ero raccomandato da solo...!

Infatti, a stretto giro di posta, mi risposero di inviare il Libretto di Navigazione per essere messo al turno particolare, il che significava che sarei stato assunto, ma la mia partenza sarebbe dipesa dal numero di Allievi che mi precedevano.

Avrei dovuto baciare per terra per essere stato assunto..., ma quanto avrei dovuto aspettare? Non potevo più aspettare, ero logorato dall’attesa! Sarei ritornato da Lauro, magari anche con il diavolo, ma dovevo assolutamente partire. Subito!

All’epoca viaggiavo gratis in treno e quella sera stessa partii per Genova. La mattina seguente alle 9, mi presentai in Via Fiasella n.1, sede dell’ufficio d’Armamento. Mi presentai con la “lettera d’assunzione” all’addetto agli imbarchi che mi chiese il “libretto di navigazione”.

Al che io domado:

“Quanto tempo devo aspettare per imbarcare? Quanti Allievi sono prima di me?”

E quello con voce alterata mi risponde: “Cinque o sei!”

Al che io di rimando:

“No, grazie! mi ridia il libretto... Io devo imbarcare subito!”

Mentre stavamo parlando entrò un signore anziano con le sopracciglie che sembravano cespugli, ed in dialetto genovese chiese qualcosa all'impiegato.  Intuii  e m’intromisi:

“Comandante, io non posso aspettare, mi dispiace ma...”

Lui guardò il libretto, mi riguardò e disse all'impiegato":

“mettilo per primo!”

Tornai a casa passando da Roma. Il 25 sett. 1962 mi arrivò il telegramma: "Presentarsi domattina per imbarco".

Non sapevo in quel momento se dovevo essere finalmente Felice! In realtà lo ero... Però c'erano troppe cose alle quali ero legato. Mio nipote Vanni, sopratutto, aveva solo due anni, mi chiamava "ziò" e durante l'estate lo portavo con me.

La "vela" di nunzio

I "massi"

Mamma e papa' sarebbero rimasti soli, ma il loro dispiacere, minimamente dimostrato, era compensato dal fatto che dopo tanto ero riuscito a fare quello che volevo: la barca, i massi, gli amici e tutto ciò con cui ero cresciuto assieme e che ora dovevo lasciare.

In ultimo presi un po' della mia terra (sabbia), salutata mamma senza una lacrima mi disse:

"abbad a te mamm, pe' nu, nun tene' pensiero!"

traduzione: bada a te, mamma, per noi non aver pensiero.

Non avevo un’agenda vera e propria, ma una piccolina dove annotai le ore degli ultimi saluti... Alle 21,30 partiva il treno per Torino. Bisognava cambiare a Voghera per Genova dove si arrivava al mattino, in tempo per andare al "diurno" sotto la Stazione e lavarsi (con le locomotive a carbone s'arrivava neri come un marocchino..!!) per poi presentarsi in Compagnia. Sarei imbarcato su una nave nuova, la "PORTOVADO" che si trovava a Taranto.

Nel viaggio da Genova a Taranto, visto che dovevo passare da casa, mi sono fermato tra un treno e l'altro con la gioia di tutti...

A Taranto imbarcai sulla PORTOVADO, una nave da carico nuova e bella..! Caricammo grandi tubi di acciaio per un gasdotto costruito dalla SNAM che univa la Patagonia a Buenos Aires. Quel viaggio prevedeva lo scalo a Bahia Blanca, la navigazione lungo il Rio della Plata per caricare mais a Rosario e Villa Costitution, si completava il carico a Buenos Aires per poi ripartire per Genova. Viaggi meravigliosi, soste abbastanza lunghe nei porti, belle citta' e sopratutto belle ragazze! Ebbi la fortuna d’incontrare un equipaggio meraviglioso. Mi volevano tutti bene! Appena imbarcato, facevo la guardia con il 2° Ufficiale Nardini dalle 20 alle 24. Con lui mi sento ancora oggi al telefono.


M/n PORTOVADO

Ero felice e non mi sembrava vero di poter fare quello che avevo tanto sognato. Ho sempre dormito poco, mi ritiravo a mezzanotte ed alle 4 ero fresco come una rosa... e andavo dietro a tutto l'equipaggio per imparare il più possibile. Quando a bordo seppero la storia dei miei due diplomi: di macchina e di coperta, mi dissero: "noi siamo stati 'dei belinuin' ad aver fatto questa scuola. Ma tu sei un doppio 'belinun'..." Non voglio parlare delle varie avventure nel periodo che sono stato a bordo. Con alcuni diventammo proprio amici (Benvenuto, l'Allievo piu' anziano di me, Cesare Ferrero 3° ufficiale  (I tre dell'ave maria!). Dopo un anno, anche se spesso cambiavano i viaggi, dal punto di vista professionale, avrei voluto fare esperienze diverse per imparare meglio la professione. Un anziano Comandante mi diceva: “la barca vecchia fa il buon Capitano”! Cosi' quando vidi quei liberty feci come Ulisse con la maga Circe, ne fui incantato anche se fu molto difficile rinunciare a tutto quello che avevo a bordo di quella nave nuova!

Toccavo e ritoccavo quell'anello che avevo al dito regalatomi da mia madre il giorno del mio ventesimo compleanno, dove era scritto: "Nunzio e il Mare". Il destino ha voluto cosi': farmi incontrare Peppino di Bartolomeo... Il mio compagno di classe che ‘scappava’ dal Liberty Italvega. Io gli proposi il cambio e come ho già raccontato in altre occasioni, sono andato dal Comandante di Armamento che mi aveva conosciuto e gli dissi":

“Comandante, sono sul 'Portovado' da un anno e conosco anche quanti chiodi ci sono a bordo. Vorrei andare sull'Italvega”.

Mi guardò, abbozzò un sorriso e mi accontentò.

Così tagliai i ponti con il Sud America! Ma quando ritornai a casa, mi venne a trovare il famoso Peppino il quale, dopo l’esperienza del Portovado, si diede all’agricoltura per coltivare le sue terre. Peppino aveva un pacchetto in mano, me lo diede dicendomi il nome del mittente. Premetto che avevo sempre odiato indossare amuleti d'oro, all’epoca portavo al collo una catenella di rame con un'ancoretta usata dai modellisti di navi. Nel pacchetto c’era l'ancora che la sera dell'addio era rimasta impigliata nel 'suo' vestito... Viene da pensare alla Madama Butterfly. Quando arrivò il Portovado, lei stava aspettando sulla banchina insieme alle sue amiche. Peppino era imbarcato al mio posto e proprio a lui, prima della partenza, riconsegnò il pacchetto che conteneva un bigliettino: "Il Mare ha la forza di rompere anche le catene più forti..! Buon vento, Capitano". In quel momento, per quanto fossi troppo felice, la cosa mi fece pensare un pò:  “Quella persona non mi era affatto indifferente!” Forse ci sto' pensando più in questo momento in cui il tempo ha offuscato anche la sua immagine. Quanti ricordi!

Allievo di Coperta del Nuovo millennio

 

L’ALLIEVO DI COPERTA DEGLI ANNI ’60 lavorava in simbiosi con  il 1° UFFICIALE DI COPERTA, ossia il COMANDANTE in seconda della nave.

I gradi del 1° Ufficiale di coperta

Quando ritorno con la mente a quel periodo mi prende la nostalgia...

Io ho sempre sostenuto che buon Ufficiale si diventa da Allievo, perchè solo da Allievo puoi chiedere le cose che non sai e, se non lo fai in quei mesi, saràa difficile farlo in seguito, perchè una volta diventato 3° Ufficiale, ti viene male chiedere ad un altro Ufficiale quella cosa che non sai... e così quelle ombre te le porti dietro...

Le mie FUNZIONI e MANSIONI di Allievo di Coperta.

Sono di “guardia” (la cosiddetta “DIANA”) con il 1° Ufficiale di coperta nei seguenti orari 04/08 - 16/20

Dopo aver salutato il personale di guardia sul Ponte di Comando, il mio primo lavoro é quello di caricare il cronometro della nave in senso antiorario. Alla domanda: “perché”? Segue la risposta: “così ti svegli meglio”. Segue l’eventuale “correzione” da apportare su apposito registro (qualora l’Ufficiale R.T. (Marconi) avesse preso il segnale orario). Calcolo l’eventuale avanzo/ritardo del CRONOMETRO di bordo, altrimenti il Primo dirà di quanti minuti; dopodiché faccio il giro di tutti gli orologi di bordo: cabina del Comandante, sale mensa, cucina e avviso la Sezione Macchina.

Nella parte alta: Calcolo del Punto Nave. Esempio di Retta d'Altezza di sole trasportata all'ora della Meridiana

Calcolo del Punto Nave. Le sette Rette d'Altezza s'incrociano quasi nello stesso punto del grafico. Si tratta di un'ottima performance.

Varie ... a disposizione del 1° Ufficiale: navigazione in corso, controllo se vi sono modifiche alle caratteristiche dei fari e fanali, se la navigazione é sottocosta, oppure mi dedico alla preparazione del calcolo astronomico  chiamato: “osservazione astri al crepuscolo” per ottenere il punto nave, se la navigazione é in altomare. Ore 06,00 - Arriva il Nostromo con le “sonde sentine”, DDFF (doppi fondi), depositi acqua dolce ed altri depositi; aggiornamento dati sull’apposito registro e riporto il consumo giornaliero dell’acqua dolce, controllo eventuali anomalie con sonde precedenti. Seguono gli ordini del 1° Ufficiale al Nostromo per i lavori da effettuarsi in giornata. Appena giunge l’ora dell’osservazione, si procede con la seguente annotazione dati: orario esatto cronometro, allertato prima da: "Lesta" e poi "Stop" – e dalla contemporanea lettura dell’altezza dell’astro sull’orizzonte misurato al sestante dal 1° Ufficiale che scandisce il nome dell’astro. La stessa operazione si ripete per tutti gli astri osservati. Terminate le osservazioni astronomiche si procede piuttosto rapidamente con il calcolo del punto nave. Tempi operativi del 1°Uff. = 10/15 min, con conseguente senso di sconforto dell’Allievo... 2 ore se andava bene - specialmente le prime volte.

Al “Sorgere del sole”, si calcola l’Amplitudine (ortiva), per il controllo dell’eventuale errore della bussola che si registra sull’apposito Registro, con conseguente correzione della rotta al timoniere.

Sul brogliaccio del Ponte di Comando viene annotato tutto ciò che ha rilevanza nautica: di un punto cospicuo (faro, costa, boa ecc.), cambi di rotta, tutto quello che interessa la navigazione ed alla fine della guardia il tutto viene trascritto sul Giornale Nautico parte 2a, nell'apposito riquadro  e firmato dall’Ufficiale di guardia.

Smontato di guardia, il compito più odioso, almeno per il sottoscritto, (non ammettevo all’epoca di fare errori per colpa di altri), devo andare dal Cambusiere e chiedere il Menù del giorno per la Mensa del Com.te-D.M. degli Ufficiali, Sottufficiali e Comuni, quindi scriverli e metterli sui rispettivi tavoli. Premessa: a casa mia si mangiavano minestre semplici, chiamate per quelle che erano. La domenica, gnocchi o pasta all'uovo, (magari 'alla chitarra', specialità abruzzese). A bordo invece, il Cambusiere cominciava a dettare piatti con dei nomi stranieri che io non avevo mai sentito e quindi non ero in grado di scrivere, allora lo chiedevo all’interessato, il quale mi rispondeva in dialetto ligure: “che ne so io! Ho fatto la 5a Elementare. Tu hai le scuole alte..!!” Avevo il terrore di sbagliare, non sapevo a chi chiedere, se ci ripenso, mi sento male ancora adesso.

Ritorno sul ponte di comando per seguire la navigazione. Stiamo navigando sottocosta. Dò un’occhiata alla carta nautica, visualizzo i punti cospicui, prendo i rilevamenti e li disegno ottenendo il punto nave sulla carta nautica. Ripeto l’operazione con intervalli di tempo divisibili per 6.

Ogni lunedì devo cambiare la carta al barografo ed altri registratori settimanali. Un quarto d'ora prima della fine del turno di guardia, registro le voci richieste dalla pagina a sinistra del Giornale Nautico p. 2a (Rv, Rm, Rb, Mare: direzione e forza – Vento: direzione e forza - Cielo,...... – Visibilità .......- Barom. ....., tendenza... - Temper. term.asc...., term.bgt....- Umid.Rel......%. ed altri dati meteo.

Dalle 8 in poi: controllo lavori in coperta, e poi inizia il lavoro in segreteria. Nota dolente: a scuola nessuno mi aveva consigliato di imparare a scrivere a macchina, poiché a bordo sarebbe stato essenziale... Non voglio qui raccontare di quanti fogli ho buttato nel cestino perchè non me la sentivo di presentare al Comandante una lettera con una cancellatura!! Ho proprio sofferto per questa mia carenza e bastava che avessi qualche minuto libero, per fermarmi in segreteria  ed esercitarmi. In quella specie di “ufficio” finivo per passarci gran parte della giornata.

Poco prima delle 10.00 interrompo il lavoro che ho intrapreso, mi cambio e ritorno sul Ponte di Comando per il rito della retta d'altezza di sole, da “trasportare” e utilizzare con la meridiana alle 12.00 per la determinazione del Punto Nave a mezzogiorno.

Ritorno al lavoro che stavo facendo regolandomi di terminarlo per le 11.45, orario stabilito, fin dall’antichità, per l’incontro del Comandante con gli Ufficiali di Coperta sul Ponte per il calcolo congiunto del Punto Nave a mezzodì.

Come Allievo, mi pianto con gli occhi sul cronometro per annotare l'orario  della MERIDIANA del sole (l’altezza massima del sole nella giornata), e quindi l'angolo misurato dagli Ufficiali che sono tre e di solito, anche se di pochi secondi, le misure sono diverse. Quello che conta è la lettura effettuata del 1° Ufficiale, ma é d’uso fare anche la media matematica delle altezze rilevate, che è quella della quale si tiene conto nei calcoli. Ottenuto il Punto Nave a ½ dì, viene messo sulla carta, ed ogni Ufficiale calcola con le formule analitiche, la distanza percorsa dal ½ dì precedente e la velocità nelle ultime 24 ore. Si passa infine al calcolo delle miglia percorse dalla partenza ed alla velocità generale del viaggio.

Il Comandante controlla il punto-nave sulla carta e decide se ci sono le condizioni necessarie per apportare eventuali correzioni alla ROTTA.

Terminati i calcoli si va tutti a pranzo, eccetto il 3° Ufficiale che ha già pranzato alle 11, ed ora monta di quardia fino alle 16.00. L’ultimo compito della mattinata per l’Allievo di coperta consiste nel consegnare alla Sez. Macchinisti i dati giornalieri: la posizione della nave, le miglia percorse, la velocità effettuata, tramite i quali verranno calcolati i consumi di carburante, acqua ed altro. Poi di corsa a mensa, perchè la fame si fa sentire.

Se a bordo c'è un bell'ambiente, il pranzo è il momento più bello della giornata in cui ci si racconta le proprie avventure, ci si prende anche in giro e finalmente si dimenticano le malinconie ecc...

Di solito si festeggia sempre qualcosa... un buon pretesto per bere del buon vino e non il solito 'cancarone', quello che passa il 'convento'.

Di solito sono gli Allievi al primo imbarco che 'offrono o soffrono da bere...' per il passaggio di Gibilterra (le Colonne d'Ercole), per il passaggio dell'Equatore, la prima volta nel Nuovo Continente ecc. ma di solito si é felici di pagare (eccetto qualche soggetto ligure!!).  A bordo c'é anche il "quaderno delle musse" una specie di SPIA che segnala gli errori VERBALI (non professionali) degli ufficiali che incorrono in qualche “SVISTA” per cui si deve offrire da bere! Una volta ho detto: "sono passato all'una e il tuo oblò era 'acceso'..." - “paga da bere gondone!”

Dopo il pranzo segue l’ora della SIESTA, ma io non ho problemi di sonno, anzi, dormo pochissimo e ne approfitto per vedere sempre qualcosa di nuovo. Vado in segreteria ad esercitarmi a scrivere a macchina, se a qualcuno non dà fastidio il ticchettio della macchina da scrivere, altrimenti me ne andavo sul ponte, se al 3° Ufficiale non dà fastidio, ma credo che non gli sembri vero d’avere un Allievo pure lui, ed a me non sembra vero essere finalmente a bordo... la casa più bella del mondo!

Dalle 16.00 alle 20.00, monto di nuovo di guardia sul Ponte di Comando insieme al 1° Ufficiale. Il lavoro si svolge con più calma, specie in navigazione in mare aperto e con buona visibilità. Il Primo ha più tempo da dedicare a me: mi fa delle domande per saggiare la mia preparazione, mi spiega cose nuove, ed io ne approfitto per fargli quelle domande che ho in mente da tanto e finalmente trovo chi me le spiega.

Ho sempre pensato che buoni Ufficiali si diventa a partire dal grado di Allievo, quando è lecito e doveroso “chiedere” ciò che non si sa. Se ti restano delle lacune professionali  te le trascini quando sarai 3° e oltre, ma non avrai più il coraggio di chiedere lumi denunciando in giro la tua ignoranza....

L’esperienza che si accumula vicino al Primo Ufficiale é davvero notevole, lui é il Comandante in 2° della nave, e deve sapere tutto per poter sostituire il Comandante in caso di necessità. Al suo fianco si ha modo di imparare tutti i suoi compiti: la preparazione del piano di carico, con tutti i problemi che esso comporta, la stabilità, l’assetto, evitare 'tramacchi' per scaricare merce nei porti successivi, ecc.. ecc..

Ritorniamo agli incarichi dell’Allievo di coperta. E’ necessario aggiornare i Portolani, l’Elenco dei Fari e Fanali, la cui differenza consiste nella portata: sopra le 15 miglia i primi, sotto le 15 miglia i secondi. Inoltre ci sono le correzioni delle carte del viaggio tramite i Notices to Mariners che arrivano con la posta in ogni porto scalato. Oppure, se mancano pochi giorni all'arrivo in un grande porto come Genova, occorre fare le richieste di tutto il necessario che possa servire per il viaggio successivo. Nel nostro caso, si parla di un viaggio di tre mesi (in Pacifico, con il Liberty, con destinazione Vancouver).

C'é uno stampato diviso per settori: Coperta, Camera, Cucina e varie...comincia con: Aghi da velaio... ecc. e seguono centinaia di altre voci. Per fare la richiesta, occorre scrivere, per ogni voce, la rimanenza, che l'Allievo deve calcolare con il responsabile di ogni settore.

Il pennese, per esempio, é il responsabile delle pitture, pennelli e accessori vari. Il carpentiere é colui che provvede al rizzaggio del carico con travi, puntelli, costruzione di casci, quindi maneggia tavole, putrelle, chiodi, vernici ecc... Il nostromo é colui che segnala l’usura e la mancanza di cavi di ormeggio, cavi di acciaio consumati dei verricelli, ghie, lezzino ecc. C’é poi il cuoco/cambusiere con le sue ordinazioni di piatti, bicchieri, posate ed anche gli stuzzicadenti e la carta igienica... ed a proposito  di quest'ultima, c'è un aneddoto un po’ pesante, ma che non posso fare a meno di raccontare. Per ogni voce,  il 1°Ufficiale scrive la richiesta, ed all'arrivo in porto, il Com.te d'Armamento esamina la richiesta, chiede ragguagli  e di solito ne taglia una buona parte del quantitativo (i tagli ci sono sempre stati...non meravigliamoci di quelli odierni!). Il nostro viaggio, come abbiamo detto, dura circa 100 giorni, siamo 45 persone, quindi i rotoli di carta igienica sono diverse centinaia. Alla richiesta di tanta carta igienica il Com.te d'Armamento, esclama in dialetto genovese: "Belan, quantu papè da cù".  Al che il 1° Uff.le, senza scomporsi, risponde:"  'scia sà Cumandante, qui a bordo g’han tutti u vizio maledettu de nettase u cù..!!"

Beh, sto divagando un po’! Torniamo al calcolo dell'ora del tramonto del Sole e l'ora del crepuscolo, anche perchè dalle 18.00 alle 19.00  c'é il rilievo da parte del 3° Uff.le per permettere al 1° Uff.le di andare a cena insieme al sottoscritto, ma la mia cena é subordinata a quelle ore astronomiche che ho già calcolato in anticipo e che, in verità, mi interessano molto di più.  Così accade che spesso mi faccio lasciare un panino che divoro tranquillamente dopo le 20. Quindi c'é da misurare e calcolare l'amplitudine (occasa) e, come al mattino, compio le stesse operazioni: calcolo l’errore della bussola magnetica, seguita dalle registrazioni sugli appositi registri. L'unica differenza é che di solito, al tramonto, specialmente in certi posti, c'é un cielo meraviglioso e ti prende quella malinconia che solo Dante, con poche parole, poteva riassumere:

Era già l'ora che volge il disio

ai naviganti 'ntenerisce il core

lo dì c'han detto ai dolci amici addio"

Beh! non lasciamoci prendere dalla commozione.

C'e da preparare il calcolo per l'osservazione delle stelle che devono essere prese al crepuscolo serotino, finchè l'orizzonte è ancora ben definito. Quindi si procede con le stesse operazioni del crepuscolo mattutino.

Si procede con l’annotazione dell’orario-osservazione. Altezza di quattro stelle misurata con il sestante sull’orizzonte dal 3° Uff.le. Segue il calcolo per la determinazione del Punto Nave. Mentre gli Ufficiali possono usare un metodo più sbrigativo, l'Allievo deve usare le Tavole Logaritmiche, perchè all'esame di Patentino, é prescritto l’uso di quelle tavole. (Siamo nei primi anni ’60, l’esame é scritto ed orale, se non si supera la prova, si deve aspettare sei mesi per ripeterla).

Alle 19.00 il 1° Ufficiale torna sul ponte. Quindi viene messo il punto nave sulla carta nautica, e seguono le stesse procedure del mattino (brogliaccio, compilazione del Giornale Nautico Parte 2a, riordino della Sala Nautica. Alle 20.00 monta il 3° Ufficiale e il 1° Ufficiale gli lascia le consegne: se vi sono navi in vista, riferisce per ognuna la direzione e in particolare quelle che vengono rilevate con lo stesso angolo.

In vicinanza della costa mostra i vari fari con le proprie caratteristiche e le eventuali consegne lasciate dal Comandante.

Alle 20,00 termina il mio servizio di guardia. Mangio il mio panino, se non ho fatto in tempo a mangiarlo prima, poi vado a fumarmi una sigaretta a poppa... Mi piace tanto vedere la scia della nave, specie se nell'acqua ci sono quei microrganismi che la rendono fosforescente e mi fanno pensare...

Se la temperatura lo permette, vado in cabina, scrivo le cose più importanti della giornata sul mio diario, poi leggo qualcosa oppure scrivo a qualcuno/a.

Questo succede in navigazione, con tempo buono. Se il tempo é cattivo le cose da imparare sono altre.

Le cose cambiano quando la nave si trova in porto. Occorre dotarsi soprattutto di un block notes (formato tasca-camicia caki) e matita. Si deve prendere appunti di tutto: in quale stiva si lavora, a che ora è stata aperta. Se si lavora con mezzi di bordo o di terra. Annotare l’eventuali interruzioni nelle operazioni di carico/scarico, dalle .... alle....., la motivazione (se da addebitare al bordo, oppure a terra per la mancanza di camion, ecc...). Durante la caricazione o discarica, bisogna controllare, insieme all'addetto che carica/scarica, il numero dei pezzi (casse, cartoni, tavole ecc), perchè poi occorre riconsegnare quel quantitativo che abbiamo concordato (scritto poi sulle polizze di carico), per ogni divergenza avvisare il 1° Ufficiale. E tante altre cose che adesso non mi sovvengono, ma una la ricordo molto bene: CONOSCERE BENE LE LINGUE STRANIERE E SOPRATUTTO L'INGLESE..!!!!

Quanto ho scritto (e forse sembra tanto..!), sono i compiti principali che ogni giorno, tutti gli Allievi svolgevano abitualmente, su ogni tipo di nave nei primi Anni ’60. Chiaramente quello che “sembrava tanto” i primi giorni, in seguito diventava routine. Ma, oltre a questi incarichi, c'erano tante altre cose da fare che, a poco a poco, ti facevano conoscere la nave dalla sentina fino alla formaggetta.

Ora, di tutto quello che ho raccontato: di quanto si  faceva a bordo, e si aveva a disposizione per conoscere la nostra posizione in mare e per poter navigare da un porto  all'altro del mondo, non esiste più nulla o quasi.

Speriamo che, a bordo delle mega-navi villaggi turistici ambulanti, abbiano avuto il buon gusto di trovare un angolo (sacrificando qualche metro quadrato ai giardini con le palme), dove mettere una bacheca con questi oggetti: cronometro, bussola magnetica, chiesuola, effemeridi nautiche, sestante, squadrette, carte nautiche (cartacee), con delle frazioni sotto che indicavano: il numero di correzioni (Avvisi ai Naviganti) che dovevano essere apportate sulla carta. Oggi le carte elettroniche in uso a bordo, vengono aggiornate automaticamente).

Se devo essere sincero, mi piacerebbe sapere quali sono, oggigiorno, i compiti dell'Allievo di Coperta, oltre all'applicazione delle Norme per evitare gli abbordi in mare, che oggi sono facilitate dalla strumentazione esistente a bordo.

Avendo esercitato il ruolo di  Allievo Ufficiale di Coperta 50 anni fa, come sopra ho descritto, non saprei se dire a quelli di oggi: beati voi !!

Ognuno, si sa, rimpiange sempre la propria giovinezza, ma io rifarei l’Allievo Ufficiale allo stesso modo: amando il Mare con tutto quello di romantico ed d’avventuroso che riusciva a trasmetterci.

Da sinistra, 3°Uff. M. Gambetta, 2°Uff.G.Tosco, All.Cop. N.Catena

Per un certo periodo ho navigato con il Comandante Stefano Galleano, un vero gentleman. In navigazione, alle 11 offriva l’aperitivo sul ponte di comando. Nei porti americani (il nostro era un Liberty USA), ci ordinava d’indossare la divisa con dignità per mostrare e ricevere rispetto dalle Autorità che salivano a bordo...... anche se non avevamo più navi.

“Colpi di mare in faccia !”

La nave “liberty” ITALVEGA paga un duro pedaggio alla barra del fiume Columbia River


M/n ITALVEGA (ex Liberty canadese) a Venezia (Foto di repertorio)

2/03/1964 – “Eravamo all'uscita del Columbia River, provenienti da  Portland (Oregon), con una copertata di legname (tavole-red wood), assicurata tutto a regola d'arte (con cavi acciaio, catene, cavi ecc.). Avevamo il Pilota a bordo, il quale ci aveva avvisato che fuori c'era un po' di mare lungo. Il Com.te fece rizzare le ancore, i bighi e ordinò di sgombrare la prora. Io ero l’allievo di coperta, in manovra ero sul Ponte di comando, addetto al brogliaccio e al telegrafo di macchina (era ancora quello meccanico..!!). Avvicinandoci alla barra lo spettacolo si faceva sempre più interessante, ma anche ricco d’incognite per quei relitti che affioravano insabbiati e sbandati  con gli alberi che sembravano croci battute dal vento e dal mare. La corrente piuttosto forte del fiume, incontrando l'onda di mare, ne provocava l'innalzamento. Si formava così un treno di onde di piccolo periodo e molto ravvicinate tra loro. La prora cominciò ad inabissarsi e poi a riaffiorare pesantemente, come cercasse di respirare affannosamente dopo una lunga apnea. Il punto di collisione tra il fiume ed il mare era ormai vicino e noi eravamo lì, tra l’incudine ed il martello per sfidare quella natura antica che recitava il suo ruolo con grande imponenza. Improvvisamente  si formò un vuoto, la prora precipitò e poi s’innalzò come per difendersi davanti ad un'onda gigantesca che era lì, di prora a dritta. Il Pilota  ebbe il tempo di urlare: “watch!” - Io mi attaccai ai galletti del finestrino, pensando ad alta voce: "se devo morire... lo voglio vedere!” -   L'onda si abbatté su di noi come un maglio con tutto il suo immenso peso sulla parte prodiera, urlando, frangendo e avvolgendo il ponte comando. Ricevuto il colpo da K.O. L'Italvega, s’inclinò paurosamente a sinistra, ma poi riuscì lentamente a riemergere! Dopo vari scrolloni si rimise in assetto ...

Come si vede dalla foto, l'onda battendo sulla plancia, aveva sfondato il finestrino dal quale osservavo la scena atterrito, frantumandomelo in faccia! Schegge pesanti di vetro antisfondamento, oltre il mio viso, andarono a picchiettare la paratia dietro il timoniere! Io subii diverse ferite da contusione e da taglio, ma ne valse la pena, ero ancora vivo !!  Non sono credente, ma le continue preghiere di mia madre, credo, siano valse a qualcosa....!!

Da una prima stima dei danni emerse che dalla coperta erano stati strappati interi settori di legnami, altri erano stati divelti e sparpagliati dappertutto, come si vede bene dal gruppo di foto riportate successivamente. In stiva i danni erano ancora più ingenti. Fortunatamente non ci furono gravi danni alle persone. Alcuni marinai si salvarono attaccandosi ai tubi passanti in coperta, oppure trovando altri appigli sul cielo del corridoio. Resistettero con la forza delle loro braccia e della disperazione a quell’improvvisa valanga  d'acqua che scese da prora verso poppa con una forza selvaggia, ma si salvarono!! Fuori dalla barra del fiume, il mare aveva riacquistato la sua dignità, era diventato improvvisamente docile e composto, proprio come l’umore dell’equipaggio che dopo lo scampato pericolo, imprecò reagendo a modo suo: “All'arrivo sbarco e non metterò più piede su una barca...! Magari vado a fare il minatore..., ma il mare non mi vedrà più!... ecc....”.

Tutti ripresero ben presto il proprio lavoro per rimettere in sicurezza la nave, ben sapendo che non era “straordinario retribuito”, ma pura normalità marinaresca.

Poi... bastava un po' di bonaccia, un bel tramonto, un porto, una lettera... e si dimenticava tutto..., perché quella era la vita che avevamo scelto, almeno fino alla prossima tempesta..!!

Rapporto e foto dei danni riportati dalla M/N ITALVEGA in uscita alla foce del Columbia River.


DANNI           (Archivio Nunzio Catena)

Sul sito di MARE NOSTRUM Rapallo, nella sezione Video della Home Page, abbiamo inserito un interessante Film-documentario della Liberty ITALTERRA, rimotorizzata e adattata al trasporto di autoveicoli FIAT sulla rotta Savona-Los Angeles. S’intitola:

LA NAVE DELLE MILLE AUTO

Qualche giorno dopo quel brutto episodio alla barra del Columbia River, per il quale rischiai di perdere la vista o fors’anche la testa..., ebbi modo di conoscere un signore il quale mi invitò a passare un weekend  con la sua famiglia, presso una tenuta che avevano presso la foce di un fiume, credo si chiamasse Clyde.

Un posto bellissimo sul Pacifico, dove onde lunghe e maestose rotolavano sulla spiaggia respingendo tutto ciò che il fiume tentava di riversare in mare ogni giorno. M’incamminai lungo la seaside e di fronte a quell’infinita bellezza mi sembrava di pregare a modo mio facendo lo slalom tra dune di rami secchi da anni bruciati dal sole e dal sale. Ad un certo punto mi trovai davanti ad una piccola radura, in mezzo alla quale il mio sguardo cadde su questa radice a forma di croce.

Era proprio una croce  naturale, non costruita. Rimasi bloccato e pensoso, non sapevo se raccoglierla come ricordo o lasciarla al suo destino “oceanico”. Poi decisi di prenderla pensando che forse era lì proprio per me. L' ho presa e l'ho appesa sulla paratia della mia cuccetta e, da allora, decisi che quella Croce sarebbe stata sempre con me...!!  Così è stato. Appena sposati, per prima cosa la sistemai sopra sul letto. Oggi é ancora al suo posto. Non posso dire che mi abbia portato fortuna, ma è ancora lì. La guardo ogni tanto e  le pongo qualche domanda...!

L'ho lasciata sempre così, come l'ho trovata. Non le ho passato neanche una mano di copale, per renderla più lucida affinché potesse emanare dalle sue cellule la sua protezione.

Anche l’ancora, ricordandomi vagamente la CROCE, l’ho sempre portata al collo come  simbolo marinaro di speranza e fortuna.

M/n ITALTERRA in uscita dal porto di Genova

Questa foto é stata scattata quando ero 3° Ufficiale sulla M/n ITALTERRA. Da qualche parte ho scritto che sulla Liberty ITALTERRA  era stata costruita la plancia sulla esistente controplancia, come si vede dalle tavole attaccate ai candelieri, per lasciare libera la plancia dove era stato costruito un lungo tavolo, per poter facilitare la compilazione dei piani di carico ed altro.

I Barracudda immortalati in queste foto, entrarono in sintonia con la velocità del nostro Liberty e finirono in pentola... Questi esemplari, li catturò il Comandante. Su questa nave (M/n ITALTERRA) sono stato imbarcato da 3° Ufficiale, per più di un anno, con il Com.te SOPRANI (nella foto), professionalmente in gamba e non solo come pescatore di BARRACUDA. In Adriatico, i miei amici li pescano insieme agli sgombri, ma non sono più grandi di 30 cm.  Tra qualche anno, con la tropicalizzazione del Mediterraneo raggiungeranno le stesse misure delle foto.

Dopo aver sostenuto con successo a Genova l'esame del Patentino per diventare 3° Ufficiale, volli ritornare su un altro Liberty.


IL 3° UFFICIALE  Coperta – ITALNAVI

Su quasi tutte le navi mercantili  di 50 anni fa, il servizio di guardia del 3°uff.le, era il seguente:  08.00/12.00 - 20.00/24.00

Il significato di questa “guardia quasi giornaliera” é intuitivo: in quanto si parla del più giovane ufficiale di bordo, capo guardia, che non disdegna sicuramente della presenza/consulenza del Comandante che spesso, durante il giorno, sale sul Ponte di Comando. Con la Soc. Italnavi, invece, il 3° Ufficiale faceva la guardia 12.00/16.00 e 00.00/04.00 ritenuta, giustamente la più solitaria. L'ultimo periodo da Allievo di coperta, il 1° Ufficiale o perchè avesse davvero da fare, o perchè faceva parte del tipo di 'addestramento', sempre più spesso mi lasciava solo di guardia (con la frase di rito: “se c'è qualcosa, chiama!”). Nei punti di traffico, in occasione di accostate ed anche nei momenti delle osservazioni stellari, me la sono sempre cavata egregiamente, forse perchè dietro di me  c'era qualcuno a quale rivolgermi!!

Ricorderò per sempre l’emozione della mia prima esperienza di “capo guardia” alla partenza da Genova come 3° Uff.le. Dopo le consegne passatemi dal 2° Uff.le, sempre gli stessi fari, le stesse operazioni da fare, eppure, mi tremavano le gambe! I punti nave li facevo ogni 15 minuti e sempre con i binocoli agli occhi, per controllare le luci delle navi in vista. Sembravo un soldatino con la carica, se ci ripenso ora, sono state sicuramente le  4 ore più lunghe della mia vita. Dietro di me non c'era nessuno che suggerisse... era subentrata la RESPONSABILITA’ che faceva la differenza. Da quel momento era tutto cambiato e solo allora ne sentivo il peso. Da Allievo, dinnanzi a qualsiasi dubbio o problema, volevo sapere il perchè, e per il 1° Ufficiale dovevo essere una bella rottura di p...! Ma da 3° Ufficiale, se avevo qualche dubbio a chi lo avrei chiesto? C’era di mezzo la dignità, l’onore, la professionalità. Il dubbio sarebbe rimasto con me. E credo che una buona massima sia questa: BUONI UFFICIALI, SI DIVENTA DA ALLIEVI.

Naturalmente, giorno dopo giorno, la tensione si allentava e poco alla volta le cose, sempre con la dovuta attenzione, rientravano nella normalità.

Oltre la guardia, il compito più gravoso per il 3° Ufficiale era:

LA CONTABILITÀ DI BORDO.

Sulle navi di bandiera italiana era consolidata tradizione di bordo che la contabilità fosse  a carico del 2° Ufficiale di bordo.  Faceva eccezione la Società Italnavi che attribuiva questo incarico al 3° Ufficiale di coperta.

Senza aver mai studiato qualcosa inerente la ragioneria, senza un manuale della materia da consultare a bordo, molto spesso capitava,  da  Allievo Ufficiale di coperta aspirante al grado di 3° Ufficiale, di  voler imparare a fare le paghe dell’equipaggio. Purtroppo, capitava anche che il 3° in carica non volesse mostrarti le “formule magiche”, forse per essere rimpianto quando sarebbe sbarcato... A me è capitato proprio così, ma misi in pratica il consiglio di mio padre che spesso mi diceva: “Ricordati figliolo che il mestiere lo devi rubare!” Mi diedi da fare e mentre il 3° Ufficiale era di guardia, io approfittavo per rubargli qualche segreto. Noi avevamo il Contratto Nazionale, e le paghe dovevano essere fatte a bordo con tutte le trattenute di legge e naturalmente secondo le istruzioni che via via giungevano dagli uffici di terra con il variare delle leggi, decreti, emendamenti ecc... Insomma era il tipico lavoro che prima e dopo quegli anni ’60 era svolto normalmente dai ragionieri di terra nei loro uffici armatoriali (scagni).

Sarà dura da capire per chiunque, ma noi sull'Italterra, non avevamo neppure la calcolatrice, la prima la vidi sulla Cesana ed era del tipo a manovella.

Dovendo moltiplicare per 9, si doveva abbassare nove volte la manovella. Una manna piovuta dal cielo...

A fine mese, il 1° Ufficiale consegnava il quaderno con i turni di guardia in porto: diurno, notturno, festivo, con le relative tariffe... poi il registro dell’overtime (ore di straordinario compiuto dall’equipaggio) per le quali c'erano da considerare le domeniche e i sabati in navigazione per gli ufficiali, oltre ad altre voci come i ratei della tredicesima e quattordicesima ecc. che sarebbe troppo lunghe elencare. Di 45 persone, non c'erano due  con lo stesso importo totale al quale, alla fine, si dovevano applicare le trattenute di legge. Terminata la contabilità per lo Stato e per la Compagnia, cominciava quella di bordo, vale a dire l’insieme delle spese fatte a bordo da ciascun membro dell’equipaggio che andavano in detrazione dallo stato paga.

1)  Il Cambusiere presentava al contabile di bordo un’infinità di bigliettini, su cui scriveva i consumi di bevande di ogni marittimo per ogni giorno del mese ed il prezzo corrispondente.

2)  Le rimesse alla famiglia in precedenza raccolte ed inviate all'Armatore

3)  Anticipi presi nelle varie valute nei vari porti (con valore cambio uff. di quel giorno).

4)  Sigarette, liquori, ed altri generi disponibili a bordo.

5)  Costo telegrammi e operazioni varie effettuate nel mese  dal Marconista.

6) Costo francobolli tramite Agenzia, (ultime lettere consegnate prima della partenza. Occorreva avere il Tariffario Postale di quello Stato per tutte le altre destinazioni, perchè spesso c'era qualche 'disgraziato' che scriveva dall'Argentina alla fidanzata svedese. A bordo c'era la bilancetta di precisione, cioé  l’Ufficiale Postale.

Il 3° Ufficiale era addetto alla "salute pubblica"

1)  Riempiva gli stampati  per visita medica dei marittimi che ne facevano richiesta.

2) All’estero accompagnava i marittimi dal medico fiduciario della Cassa Marittima e preparava la documentazione per l’Agenzia ed il Consolato in caso di sbarco: Libretto Navigazione, conteggio liquidazione e dichiarazione di soddisfazione....

3) Eventuale acquisto medicinali qualora prescritti ma non presenti a bordo. Eventuali cure come da prescrizione medica.

Il 3° Ufficiale era anche addetto al  "Servizio Doganale"

1) Prima dell’arrivo in porto, in ogni 'saletta' veniva lasciato un quaderno ove ogni membro dell'equipaggio, doveva annotare tutti i generi soggetti a dogana in suo possesso: sigarette, liquori, macchine fotografiche, apparati radio, registratori ecc.

Sigarette, liquori, caffé in dotazione alla nave erano tenuti in un apposito locale, al quale veniva applicato 'il sigillo'. La porta d’accesso  poteva essere aperta soltanto dopo la partenza, fuori dalle acque territoriali di quel Paese. Spesso, durante la sosta,  c'era una visita di controllo "la controvisita", per assicurarsi che gli articoli dichiarati fossero ancora a bordo e non venduti in quel porto. (Sarebbe interessante descrivere dove venivano nascoste certe merci di contrabbando, precisando tuttavia che in quegli anni non si sentiva ancora parlare di droga, ed era un genere completamente sconosciuto dai marittimi!).

Il 3° Ufficiale di coperta aveva anche il compito della cartografia, cioé la corretta tenuta dei  testi di bordo: Portolani, Fari e Fanali e l’aggiornamento delle carte in dotazione alla nave, sia quelle dell'Istituto Idrografico  della Marina,  (Avvisi ai Naviganti), sia quelle internazionali soggette a correzioni  (Notices to Mariners), oltre naturalmente a quelle che giungevano ogni giorno via radio a determinate ore.

L'Autorità Marittima esercitava periodicamente il controllo della cartografia di bordo.

Faceva parte della Sicurezza di bordo l’accurato controllo d’usura di tutti i mezzi di carico/scarico di bordo: bighi di carico, paranchi, pulegge, ghie, cavi ecc... con messa in evidenza, timbro e data controllo Ente  classificatore. Ed altro. In questa operazione il 3° Ufficiale era coadiuvato dall’Allievo di coperta.

2° UFFICIALE di Coperta era responsabile della Sicurezza

Il 2° Ufficiale, sulle navi - "Italnavi" faceva la guardia dalle 08.00/12.00 ed dalle 20.00/24.00. Il suo compito principale era sicurezza di bordo:

1) Lance di salvataggio

Controllo di tutte le dotazioni prescritte:

Eventuale scadenza di segnali di soccorso - fuochi a mano, razzi a paracadute, fumogeni ecc.. loro scadenza ed eventuale richiesta.

Controllo dotazioni viveri, acqua, loro scadenza ed eventuale richiesta.

Controllo e manutenzione  sistema ammaina/recupero Lance Salvataggio.

“Esercitazioni Periodiche di Abbandono Nave”, con istruzione equipaggio.

Prova RTF portatile lance salvataggio.

Ruolo emergenza aggiornato per tutte le persone dell'equipaggio con i vari compiti in caso di Abbandono Nave e consegna ad ognuno del cartellino indicante quale lancia assegnata e mansioni da svolgere.

Tenere aggiornato quaderno esercitazioni pratiche effettuate periodicamente e vistate da Com.te, per controllo Autorità Marittima.

Esercitazione simulata di "Uomo in Mare", con relativa prova di recupero di un fusto gettato fuoribordo.

2) Servizio Antincendio

Controllo scadenza e ricarica estintori esistenti a bordo.

Quadro generale della nave con ubicazione estintori con loro numero di riconoscimento  ed altri mezzi antincendio, asce, tute ecc.

Ubicazione e numero identificazione idranti, controllo stati manichette.

Controllo Stazione fissa CO2

Controllo pompe emergenza esaurimento icendio

Illustrazione periodica sull’uso di tutti i mezzi antincendio.

Ricarica estintori a schiuma e CO2 ecc.

Simulazione Incendio Grave a bordo. Controllo se ogni componente l'equipaggio, sia in grado di svolgere il suo compito.

Le Annotazione sull’apposito registro erano vistate dal Com.te e, a richiesta, anche da parte della Autorità Marittima, il cui controllo generale poteva essere anche di questo tipo: Il Comandante di bordo riceveva improvvisamente un messaggio dalla Capitaneria di questo tenore: “alle ore..., si è sviluppato un incendio in quel punto della nave... Provveda alle necessarie misure richieste...”

Procedura prevista:

- Segnale con fischio  per incendio grave a bordo, se in porto.

- Avvisare Autorità Marittima, Vigili del Fuoco che hanno a disposizione i mezzi antincendio.

- Altre precauzioni vengono prese qualora si tratti di una petroliera, nel qual caso può essere opportuno rimorchiare la nave in rada, secondo le normative di sicurezza vigenti.

Al termine della simulazione, l'Autorità Marittima rilasciava la sua valutazione sulla preparazione dell'equipaggio in base al tempo e ai mezzi impiegati.

M/n CESANA

In questa foto in divisa bianca da 2° Ufficiale, ero imbarcato sulla M/n CESANA (già dei COSTA). Anche il comandante Cervia, ci teneva che la indossassimo.

Quando mi sono sposato, a Roma, in una chiesa piuttosto esclusiva, c'erano tre fotografi ma siccome odiavo mettermi in posa per la foto con la zia, la cognata ecc. diedi 10.000 lire ad ognuno di loro purché se ne andassero. (Nel '67, 10.000 L. era una cifra...), non vi dico la reazione di quelli..”grazie dottò” e via. Ne ho tre o quattro, fatte di nascosto... da qualche parente. Che devo fare? Sono fatto così (male, lo riconosco).

Qui mi trovavo in una chiesetta...meravigliosa in  mezzo ad un villaggio  tropicale di palme e capanne. Dietro alla foto scrissi a mia futura moglie Marilena: “cerca una chiesetta così e ci sposiamo subito”.


La "giancada"

Quel villaggio era in un posto meraviglioso del Brasile, a Nord di Recife, era così bello che sono stato in forse se ripartire o meno... I pescatori usavano quelle giancade fatte  di pochi tronchi, con vele di stracci ricuciti. Ogni mattina ne uscivano una decina e forse ne rientravano otto alla sera!  C'era infatti una ragazza americana della FA0, che cercava di aiutare queste famiglie accudendo ad una marea di bimbi bisognosi e forse orfani. Ricordo che avevano un pozzo con una pompa non più funzionante e siccome da 2° Ufficiale avevo in carico i mezzi di sicurezza, provvidi a lasciargliene un paio che non erano più omolagate.

Prima di partire acquistai un carretto di generi alimentari che lasciai a quei bambini. So che non bisogna raccontare quando si fa del bene, ma oggi lo dico soltanto per far capire ciò che provavo per quelle persone. Da bordo presi cime e cimette per quei pescatori che mi diedero in cambio  conchiglie, un carapace di tartaruga e persino un’ancora ancora in ottimo stato, a dimostrazione del loro elevato grado di “marineria”.

Quel giorno, tornando a bordo, mi capitò di vedere davanti ad una capanna una coppia di europei che mi raccontarono in breve la loro storia. M’invitarono insieme all’Allievo che mi ero portato dietro, nella loro capanna dove l'unico mobile era il baule con il quale avevano spedito le loro poche cose. Erano due insegnanti belgi che avevano fatto una nuova scelta esistenziale.

Il marito della coppia, cercava di organizzare la vendita del pescato. Quei poveri pescatori erano sfruttati dai mafiosi locali, dai quali era già stato seriamente minacciato...

La moglie era incinta ed il loro coraggio è stato premiato da Dio: da Baires mi mandarono un biglietto che annunciava la nascita di un  bel maschietto.

Juanin

Avevano con loro una piccola scimmia della quale mi ero innamorato,  prima di partire me la regalarono e me la portai a casa come ricordo di quella straordinaria conoscenza... solo un matto come me poteva sfidare quel forte cambio di clima dal loro caldo al nostro inverno.

Dovevo sposarmi di lì a due mesi... Marilena credeva che fossi scomparso. Purtroppo  solo a Baires trovai  un ufficio postale.

Avevamo scalato Baires per caricare una copertata di casse di ananas, e ricordo che il caricatore, per impedire che si toccasse il carico, ci regalò 60 casse di ananas, che imbevuto di whisky era la fine del modo.

Vi presento Juanin dopo il bagno... Notare  l’eleganza con l’accappatoio fatto all’uncinetto dalla povera mamma.

L'ho chiamai così perchè il paese più vicino si chiamava Juan Pessoa. Ogni animale che “imbarcavo” lo chiamavo con il nome di provenienza.

Cercando di acclimatarlo, lì era estate e da noi inverno, mi feci dare dall'amico 1° Macchinista Giorgio Costaguta  (riviera di levante, ma non ricordo il paese) una lampada a raggi infrarossi, credo venisse usata in Sala Macchine per asciugare i motori elettrici. Avevo costruito una scala che utilizzavo per tenere Juanin ad una certa temperatura. Era la mascotte di bordo e la tenevo libera in cabina. Quando mi sdraiavo in cuccetta, Juanin si metteva sulla guida della tendina ed io parlavo con lui... Ad un certo punto mi addormentavo e lui veniva giù e con le sue manine mi apriva un occhio, come per dire: che fai, adesso non mi parli più ?? Era di un’intelligenza paurosa.

Quando scrivevo a Marilena, Juanin s’incazzava perchè non parlavo con lui, si sentiva escluso ed allora si metteva con la schiena contro la mano e puntava i piedini, come per fermarmi.

Quello stesso viaggio, non ricordo che porto fosse, vidi un cane sulla banchina... un lupo incrociato, lo ricobbi subito come un "cane di bordo" di qualche nave diretta in Inghilterra.  A quei tempi erano guai per chi teneva un cane a bordo, forse per questo lo avevano lasciato a terra.

Marilena mi dice spesso:  “tu dovevi fare il frate..” Perchè ho sempre fatto il tifo per i meno fortunati: uomini, animali oppure persone anziane. Per farla breve, prima di partire, raccolsi pure il cane chiamandolo Bubu. Non ci crederete, ma Bubu si metteva accovacciato vicino a me e appena chiudeva gli occhi, Juanin scendeva giù e gli tirava i baffi...! Giustamente  quello s’incazzava, ed io pensavo che prima o dopo Juanin sarebbe finito in un morso.. lo faceva 50 volte al giorno ed è riuscito a sopravvivere.

Quando  portai  Juanin a casa, gli feci la cuccetta con il guscio di mezza noce di cocco riempita di cotone e la sistemai sopra il caminetto.. a mia madre faceva un po’ impressione perchè diceva che assomigliava ad un topo...e ripensandoci, non aveva tutti i torti! Quando ripartii  se ne prese cura Marilena.

Purtroppo, dopo un’intensa nevicata, forse a causa del freddo o altro, Juanin diventò cieco e poco dopo morì.

Per fortuna, subito dopo nacque la mia prima figlia Marina, perchè io sono stato male, fisicamente e moralmente!

È vissuto poco più di un anno. Gli avevo fatto una gabbia nel gardinetto dalla parte della ferrovia, dove poteva saltare come voleva al riparo di gatti ecc.

La cagnetta Palma

In quel gardinetto, c'era la gabbia delle poiane, la villetta di "Palma", la cagnetta che avevo riportato da Las Palmas, il soggiorno diurno del pappagallo "Pedro", da Bahia Salvador che ha vissuto 26 anni, la sistemazione del Gabbiano "Ubaldo", ammaestrato.

Ubaldo, il gabbiano ammaestrato

Quando voleva, andava con i suoi amici, poi ritornava; una volta, forse si sarà innamorato, se ne andò e non è più tornato..! Adesso a Ortona Mare è cambiato tutto, la ferrovia ha sistemato il secondo binario ed ha costruito il Muro di Berlino a due metri da casa.

Se devo essere sincero, quella casa non mi piace più, la spiaggia è cambiata. Prima i sassi erano puliti ed il mare era a 20 mt. da casa; ora tutta quella sabbia è quasi polvere!

Sono scomparsi, sepolti dalla sabbia, i blocchi di cemento, sopra i quali andavo a studiare e a prendere il sole. A dirla con Celentano “Ora é cambiato tutto”.

Non ho finito di raccontare di "Bubù", che era una femmina e non vi dico del mucchio di problemi quando partorì otto  cuccioli da nutrire con l’integrazione di latte con il biberon e dei tentativi  per lasciarlo ai portuali un po’ indecisi cercando di corromperli anche con numerose stecche di sigarette. Purtroppo a bordo nessuno se la sentiva di gestire una situazione così complessa e laboriosa.

In effetti, la mia passione per gli animali é andata anche oltre .... e non posso nascondere che a bordo ho avuto una foca, piccolina, "Madrin" perchè l'avevo presa a P.to Madrin, in Patagonia. La tenevo nel bagno di una di quelle cabine destinate all'isolamento. Per andare incontro alle sue abitudini climatiche avevo chiuso i termosifoni, la tenevo immersa nell’acqua fredda e si nutriva soltanto di pesce vivo che io stesso pescavo. In seguito, quei figli di buona madre di colleghi, aprirono il termosifone... e feci appena in tempo a liberarla!

Ancora oggi, quando si parla di Juanin, noto che mia moglie Marilena, purtroppo, non mi ha ancora perdonato quel mese senza posta... e s’incazza ancora come una vespa, come se il fattaccio fosse successo la settimana scorsa, magari con una sudamericana alla fine del mundo...

IL PAPPAGALLO PEDRO

Pedro era un pappagallo brasiliano che portai come ricordo dall’ennesimo viaggio in Sud America. Aveva imparato a parlare discretamente ed era davvero uno spasso per tutti i bambini che venivano a trovarlo e con i quali parlava e rideva, sopratutto con loro.

Quando mi trasferii in Sardegna, lo lasciai ai miei genitori che per motivi di salute lo affidarono a zio Ferruccio (Ferro). Quando tornai definitivamente non ebbi il coraggio di riprenderglielo.  Stavano troppo bene insieme! Zio Ferro era un tipo tutto particolare... aveva una tromba-giocattolo di plastica con cui riusciva a suonare il Silenzio in maniera eccellente e 'Pedro' lo ripeteva alla Nini Rosso (di vecchia memoria). Gli zii non avevano figli e litigavano soltanto... così Pedro s’inserì nella famiglia assumendo il ruolo di paciere dialogando con Ferro dalla mattina alla sera.

Questo zio fumava anche il “bastone di S. Giuseppe” e dovette subire una tracheotomia  che lo relegò parecchio tempo in ospedale. Una sera, rispettando l’orario  di visita, gli portai Pedro dopo un viaggio avventuroso in auto... la povera bestia raccava come un mozzo al primo imbarco in mezzo ad una burrasca, ed ogni volta bestemmiava come un turco, perchè gli aveva insegnato anche quello, quando c'era qualcosa che non andava... Arrivati al varco, mi fermò il guardiano dicendomi: “dove va con quella bestia”. Di rimando risposi: “il Padrone di questo animale, è ricoverato qui da oltre due mesi, non ha parenti, questo è il suo unico convivente, perciò ha tutto il diritto di entrare!” Per farla breve, con un pacchetto di Marlboro risolsi, come sempre il  problema. Quando si rividero fu davvero una scena commovente. Dall’agitazione, Pedro non sapeva più cosa fare e dire che ci volle il primario per ristabilire un po’ di ordine... Pedro aveva preso posizione sul trespolo delle flebo e non c’era modo di spostarlo. Pedro rimase con Ferro fino all’ultimo, poi lo riportai con me, ma improvvisamente, dopo alcuni giorni, si ammalò di crepacuore e morì per seguire il suo alter ego nell’al di là. Pedro stette con noi 26 anni e diverse generazioni di bambini lo conobbero, giocarono e crebbero con lui. Pedro e Ferro erano entrambi ghiotti di peperoncino rosso, mangiavano le stesse cose e vivevano in simbiosi. Erano nati l’uno per l’altro...

C.I.R.M. – Una BENEMERITA ISTITUZIONE

SERVIZIO GRATUITO DI TELEMEDICINA

Il Centro Internazionale Radiomedico è sorto nel 1935, allo scopo di fornire assistenza radiomedica ai marittimi, imbarcati su navi senza medico a bordo, di qualsiasi nazionalità, in navigazione su tutti i mari.

Il CIRM ha la sua sede in Roma ed i suoi servizi medici, sono gratuiti. Essi includono l’interessamento per un eventuale trasbordo del paziente su nave fornita di servizi medici o, se la distanza lo permette, il prelievo del malato con mezzi navali o aerei per una rapida ospedalizzazione.

Spesso durante le tempestose traversate Atlantiche, capitava qualche imprevisto di salute ad un membro dell’equipaggio che generava preoccupazione, specialmente nel Comando di bordo che doveva in qualche modo trovare una soluzione al problema. E’ quindi giunto il momento per raccontare com’era organizzato il “servizio sanitario di bordo”, tramite una delle poche istituzioni della quale l’Italia poteva essere orgogliosa (in quanto al mondo ne esisteva una simile soltanto a New York). Sto parlando del  C.I.R.M. (Centro Internazionale Radio Medico), fondato inizialmente dal conte dott. Guido Guida il quale, aiutato da altri medici, assicurava gratuitamente l’assistenza medica agli equipaggi delle navi mercantili di qualsiasi nazionalità. Il primo presidente fu Guglielmo Marconi, in quanto allora era indispensabile la trasmissione R.T. ed i messaggi via Roma Radio, avevano la precedenza su tutti gli altri (sigla PAM PAM) ed erano gratuiti. Il C.I.R.M. era un Ente senza fini di lucro e veniva finanziato da offerte volontarie di Armatori e Marittimi, ai quali periodicamente venivano chieste, ed ognuno rispondeva con una cifra che rispecchiava la propria possibilità e sensibilità. C’è stato un periodo in cui si è rischiato di perdere questa unica ed utilissima istituzione, che fu poi ripotenziata grazie all’interessamento del Com.te Prospero Schiaffino, (Armamento Italnavi).  Premesso che ogni nave, a seconda dei viaggi e del numero delle persone imbarcate, doveva essere dotata di una infermeria e di medicine ben definite e consigliate dallo stesso C.I.R.M. che fossero quindi in grado di far fronte ai vari tipi malattie e soprattutto infortuni  che spesso si verificavano durante il viaggio. Ogni sei mesi, veniva effettuata da parte di un Medico della Sanità Marittima, un controllo sui medicinali ed altre dotazioni prescritte e rilasciava un Certificato di Visita Cassetta Medicinali, compreso il controllo della morfina e di altri stupefacenti prescritti, riportati su un apposito Registro Stupefacenti. Di solito il compito sanitario di bordo, veniva assegnato al 3^ Ufficiale, il quale era responsabile della gestione di questo settore. Durante il Corso all’Ist.Tec.Nautico, era prevista una ora settimanale di Igiene Navale, durante la quale, oltre allo studio delle varie parti del corpo, venivano descritti i vari tipi di malattie ed i relativi rimedi da prendere.  50 anni fa, quando ci s'imbarcava da 3°Ufficiale, si era responsabili di questo settore senza aver mai praticato una puntura! Negli USA, dove per tradizione è stata data molta importanza alla sicurezza, all’arrivo in porto, ancor prima d’iniziare le operazioni commerciali, veniva a bordo un infermiere il quale chiedeva dove era ubicata l’INFERMERIA, poi  applicava sulle paratie della nave le frecce che indicavano il percorso per raggiungerla. Spesso appariva la scritta : “SAFETY FIRST” e sottobordo era già pronta una apposita barella in caso di necessità. In fondo al pontile, lungo il quale erano ormeggiate diverse navi da entrambi i lati, c’era una Autoambulanza sempre operativa, con Medico a Bordo.

Dopo qualche anno ricordo che anche in Italia si fecero dei passi avanti nella preparazione sanitaria degli ufficiali naviganti. Per esempio, fu richiesto agli ufficiali di coperta di presenziare un certo numero di ore in un Pronto Soccorso. La prestazione veniva registrata sul Libretto di Navigazione dell’interessato. Purtroppo, come ho riferito in precedenza, da 3° Ufficiale, il mio primo impatto con la siringa fu traumatico. A farne la spesa fu il Direttore di Macchina che stoicamente subì il mio tremolio con le  titubanze della prima puntura. Pur conoscendo la tecnica esatta di come fare un'iniezione, lottavo contro la paura di fargli male e la mortificazione qualora la mia imperizia fosse venuta all’orecchio del Comandante...

Con l’anzianità di servizio acquisii esperienza. Quando facevamo rifornimento di medicinali a Genova, mi facevo regalare dei profilattici da consegnare all’equipaggio, soprattutto a quei ‘disgraziati’ cui non mancavano le tentazioni... durante i viaggi in Sud America (Argentina e Brasile). Ricordo una loro tipica definizione:  “i gondoni in vendita da quelle parti li fanno con pezzi di camera d’aria di biciclette”. Comunque, dopo un paio di giorni, dalla partenza dal Brasile, si formava la coda davanti all’infermeria di bordo. “Sior purtroppo mi brucia...” - La diagnosi era sempre la stessa: scolo (Blenorragia!).

50 anni fa, non c’erano le siringhe "usa e getta" e sapendo come di solito si svolgevano le cose, avevo diversi bollitori per sterilizzare gli attrezzi che consegnavo ad ognuno dei pazienti che, istruiti adeguatamente, dovevano presentarsi alle 12 meno ¼, e alle 23,45 davanti alla mia cabina, pronti per la terapia di penicillina (tipo calce).

“Se ti fa male, domani non venire” - “No, sior, va bene, grazie!” Con un po’ di umorismo, devo dire che era divertente osservare i miei pazienti dal Ponte di Comando mentre camminavano verso la cala del pennese per prendere pennelli e pitture.... Camminavano tutti allo stesso modo: con una gamba tesa...!

Prima di continuare, desidero raccontare questo episodio, accaduto a LONG BEACH, a bordo  dell’ “Italterra” quando ero 3° Ufficiale, addetto a questo servizio. Eravamo in partenza. Durante la chiusura della stiva, si stavano sistemando i pannò sulle galeotte, un marinaio cadde accidentalmente in stiva. Data l’organizzazione appena descritta, in un attimo il marinaio si trovò sull’ambulanza e, presi alcuni suoi effetti personali, giungemmo a sirene spiegate all’ospedale dov’era tutto pronto per intervenire sul malcapitato. Il medico, Via Radio, aveva diagnosticato e concordato l’intervento. M'informai subito sul da farsi per procedere allo sbarco urgente del marittimo, la nave era in partenza. Con grande meraviglia mi risposero che nel giro di qualche ora il marinaio sarebbe stato dimesso e in grado d’affrontare il viaggio di ritorno. Infatti, poco dopo me lo riconsegnarono mummificato, con un rifornimento di qualche chilometro di garze e stecche di legno di varie misure, con raccomandazioni e istruzioni da osservare per il viaggio di ritorno. Adesso possiamo anche sorriderci sopra, ma quando occorreva medicarlo, soltanto per srotolarlo ci voleva più di una persona, era una specie di girarrosto e la persona più utile a bordo era il carpentiere che sapeva riposizionare tutte le stecche alle parti infortunate. Comunque all’arrivo in Italia, era migliorato di molto.

Ritorniamo all’organizzazione sanitaria di bordo.

Ogni  marittimo, aveva una sua cartella clinica, ed in caso di necessità, il Comandante inviava al C.I.R.M. le notizie essenziali circa il tipo di malattia, con la descrizione dei sintomi e siccome non era permesso (privacy) trasmettere in fonia le notizie, queste venivano codificate con gruppi di 5 o 6 lettere, con un codice particolare. Il C.I.R.M. emetteva una diagnosi e, conoscendo le medicine esistenti a bordo, prescriveva la cura e dava l’appuntamento per i successivi appuntamenti per l'aggiornamento delle condizioni del paziente. Nei casi gravi in cui era ritenuto necessario d’intervento medico, il Centro si accertava della presenza in zona di navi passeggeri o militari, oppure consigliava il dirottamento verso il porto più vicino.

Un caso analogo successe proprio a noi. Partiti da Lisbona  l’11 gennaio ‘64 diretti a Long Beach via Panama, l’Allievo M.F. vomitava ripetutamente, e subito si pensò che fosse a causa del mare molto mosso. Infatti, il Comandante per evitare danni al carico, accostò di 180°. Purtroppo il malessere continuava. Anche la cura prescritta dal C.I.R.M. sembrava inefficace. Alle 18.40 del 14 gennaio, il Comandante decise di tornare indietro per sbarcare l’Allievo sull’Isola di Madeira! Portata la velocità al massimo, si fece rotta per  Funchal dove si arrivò il 15 gennaio ‘64 alle ore 06.35. Il Pilota ci portò alla fonda a ridosso del molo, e terminata la manovra giunse subito il medico. Seguì un'immediata visita del medico che consigliò lo sbarco del povero Allievo per sospetta peritonite. Alle 11.15 si salpò e si riprese navigazione per Panama.....!

Un altro salvataggio del C.I.R.M.

Le due foto riportate sotto, si riferiscono allo sbarco dell'Operaio Meccanico M.P. dall' "ITALTERRA" sempre a Funchal. Fui proprio io ad accompagnarlo all'ospedale, all’epoca ero il 3° Ufficiale di bordo, responsabile  della "salute a bordo". Il marittimo era stato colpito tre giorni prima da 'angina pectoris' durante il viaggio di ritorno, da Panama a Gibilterra. Grazie ai consigli del CIRM fu sbarcato e, da notizie successive, fummo informati che aveva superato abbastanza bene  gli effetti di quell'episodio.

In quella occasione sarei potuto morire, ma le preghiere di mia madre mi salvarono ancora una volta. Stavamo per toccare la banchina con un mezzo dei barcaioli locali del porto di Funchal, scivolai mentre mi accingevo a saltare e finii in mare tra la banchina e lo scafo di quel pesante barcone che preso dall'onda della risacca, stava per schiacciarmi. Proprio in quel momento in cui immaginai la mia fine, sentii una mano che mi afferrava da dietro sollevandomi verso la salvezza. Non era ancora giunto il momento segnato dal "Destino"!

Lo sbarco di un marittimo

IL MARCONISTA  - “Marconi” – R.O.

Sulle navi passeggeri i Marconisti erano tre e coprivano le 24 h. Il 1° Radiotelegrafista (Capo Stazione Radio) aveva il grado di 1° Ufficiale, gli altri da 2° Ufficiale, mentre sulle navi da carico ve ne era uno soltanto e svolgeva un orario a seconda della posizione della nave.

Il loro regno era la Stazione Radio ed i loro compiti principali erano:

1) Ascolto continuo di eventuali messaggi di soccorso, pericolo ecc..

2) Ascolto liste traffico per eventuale traffico in arrivo.

3) Trasmissione eventuali messaggi da bordo a terra.

4) Ascolto segnale orario per correzione cronometro di bordo.

5) Ascolto Avvisi ai Naviganti, riguardanti la nostra zona di navigazione.

6) Ascolto Bollettini Meteo.

Quando c'era  cattivo tempo, Marconi arrivava con quella 'velina' (un po’ diversa da quelle di Berlusca.. )  dove era scritto:  Una depressione di ......mb, in posizione Lat..... e Long......., si muove in direzione..... E qualche altra notizia.., queste erano le previsioni disponibili del tempo. Il Comandante, a seconda della profondità della depressione e della sua direzione, delle caratteristiche della nave, del carico ed altri parametri,  stabiliva la rotta più opportuna.

7) Ascolto notizie ANSA:

Come facesse quel “cristiano” con le cuffie a ricevere quella stampa trasmessa ad una velocità superiore a 120 caratteri al minuto, per me resta un mistero! So che il momento più bello della giornata per noi arrivava a mezzogiorno, quando si poteva leggere ciò che succedeva nel mondo, ed era il nostro unico contatto con la terraferma.

Questa era la 'potente', si fa per dire... RADIO dei LIBERTY con la quale il povero Marconi doveva inviare i messaggi dal Pacifico  all’Italia!!

Ricevitori automatici. Tutte le navi hanno dei ricevitori automatici così sistemati:

1)  Stazione radio/marconista, 2) Plancia 3) Cabina Com.te. Questi ricevitori si mettevano in funzione automaticamente allorquando una nave, prima di emettere l'SOS, trasmetteva il Segnale d’Allarme composto di una serie di 12 linee in  1 minuto con il compito di mettere in allarme tutti i ricevitori automatici delle navi in navigazione, alle quali perveniva anche il nominativo della nave in difficoltà e la sua posizione.

OROLOGIO DI BORDO - STAZIONE RT

I  settori colorati dell'orologio (vedi foto) indicano tutt'oggi i tre minuti obbligatori di silenzio radio, in modo da poter ricevere anche i segnali radio di soccorso più deboli perché lontani. Sulla frequenza internazionale di soccorso 2182 in fonia, si esegue per 2 periodi all'ora, da xx.00 a xx.03 di ogni ora e da xx.30 a xx.33 di ogni mezz'ora. Sulla frequenza di 500 kHz in grafia, da xx.15 a xx.18 e da xx.45 a xx.48 .

E poi Marconi era la 'speranza' che risolveva qualsiasi problema elettrico.

Non funzionava quella specie di radar? Arrivava lui con il tester e tutti  trattenevano il respiro nell’attesa del responso. Poi seguiva la ricerca affannosa del relais di rispetto nelle nelle  spare parts.

Il Marconista di bordo era invidiato da tutti perchè all'arrivo in porto, essendo vietate le trasmissioni radio, era fuori servizio fino alla partenza. Per questo motivo l'ultima lettera alle famiglie, prima di partire, la spediva sempre lui.

Davvero struggente, per quelli della mia generazione, l'ultimo messaggio emesso da Roma Radio :  CQ CQ CQ  DE  IAR IAR IAR   che annunciava che dalle 00.00 UTC dei 01/01/2004 le Stazioni Radio Italiane terminavano il proprio servizio, e chiudeva:

"Good look and fair winds to maritime community  stop"

Ormai le comunicazioni a bordo delle navi, sono regolate da quanto previsto dal GMDSS  per quanto riguarda strumentazione e personale addetto.

Erano 'brutti tempi' per andare per mare allora, ma il tempo fa dimenticare le cose brutte ed il tutto, riguardandolo ora,  sembra più bello, tanto da rimpiangerlo!

Il Marconista era la salvezza della nave, fino all'estremo SOS, ma a volte bastava ricevere una sola 'parola', per ridare il sonno ad una persona che l'attendeva  con grande ansia.

Tra fidanzati, spesso si usava un brevissimo messaggio che significava tutto OK. La mia era "PENSOTI"...

Molto spesso Marconi era anche un amico e partecipava anche lui alle mie ansie: "Marco'...  la prossima 'Lista di traffico' a che ora è?  Senti pure Londra...vedi tu..!

Quando finalmente quel "Pensoti" arrivava, Marconi veniva di corsa a dirmelo in cabina, se ero da quelle parti!

Quel giorno, sul tavolo della Mensa Ufficiali, si notavano tanti fiaschetti di Chianti.. E alla domanda: “Chi offre”?  La risposta era "U Cadenna", perchè?  Per "INTIMO GAUDIO".

Testo e foto di

Nunzio Catena

Con la complicità del Presidente-Webmaster Carlo Gatti con il quale condivido tanti ricordi ed esperienze degli Anni '60.

 

Ortona, 31 Marzo 2014

 

 

 


L'OPERAZIONE "GROG"

L’OPERAZIONE “GROG”

Il bombardamento navale di Genova del 9 febbraio 1941, effettuato dalle unità della “Forza H” al comando dell’amm. Somerville: l’interpretazione britannica del “command of the sea” nel Mediterraneo occidentale e le manchevolezze dello strumento aeronavale italiano poche settimane prima di Matapan.

Nel corso della seconda guerra mondiale, il Mar Ligure ha costituito un teatro operativo quasi di secondo piano: infatti, non sono molti gli eventi navali di rilievo che hanno avuto luogo nel Golfo di Genova e nelle acque limitrofe, e – tra il 1940 e il 1943 – le potenzialità industriali e cantieristiche della Liguria ebbero sicuramente preminenza rispetto ad aspetti più propriamente bellici ed operativi.

In realtà, il 14 giugno 1940, dopo soli quattro giorni dall’entrata in guerra dell’Italia, quattro incrociatori ed undici cacciatorpediniere francesi – usciti da Tolone – erano giunti di sorpresa di fronte alle zone industriali di Savona-Vado e Genova effettuando un breve bombardamento.  La pronta reazione delle batterie costiere, dei treni armati della Regia Marina e l’intervento della torpediniera Calatafimi costrinsero al ritiro la squadra francese che, sulla rotta di rientro, fu anche attaccata dai Mas della 13a Squadriglia (1).

L’armistizio tra l’Asse e la Francia, tuttavia, rese le acque liguri molto più tranquille e – nel contempo – la Regia Marina e la Royal Navy furono subito coinvolte nella protezione diretta e indiretta dei propri traffici convogliati, su rotte la cui natura rendeva inevitabile il confronto tra le due flotte nel Canale di Sicilia, nelle acque libiche, nella zona di Malta e nel Mar Ionio (2).

Se allo scontro di Punta Stilo la Regia Marina poteva allineare due sole corazzate (Giulio Cesare e Conte di Cavour), all’inizio dell’autunno del 1940 la squadra da battaglia italiana era forte di sei unità, con il rientro in servizio dell’Andrea Doria e del Caio Duilio successivo a un lungo periodo di lavori di rimodernamento, e la piena operatività delle nuove “35.000” Vittorio Veneto e Littorio.


Il Renown all’ancora a Scapa Flow, all’inizio del 1942. L’incrociatore da battaglia partecipò al bombardamento navale di Genova in questa configurazione di armamento; tuttavia, all’epoca, l’unità era ancora verniciata con il grigio scuro tipo “Home Fleet”, dato che la mimetizzazione fu applicata solamente verso l’estate del 1941,  (Foto imperial War Museum)

Questo consistente e omogeneo gruppo di unità maggiori costituiva una notevole fonte di preoccupazione per i vertici della Mediterranean Fleet: fu pertanto pianificato l’attacco contro la base di Taranto nel corso del quale, la notte sul 12 novembre 1940, gli aerosiluranti “Swordfish” della portaerei Illustrious danneggiarono le corazzate Littorio, Duilio e Cavour.  I lavori di riparazione del Littorio si svolsero presso l’Arsenale di Taranto, mentre il Duilio – rimesso in condizioni di galleggiabilità ai primi di gennaio 1941 – raggiunse Genova il 28 gennaio venendo subito immesso in bacino per il completamento del raddobbo.  Il Cavour, danneggiato molto più gravemente, fu trasferito a Trieste ma – all’atto della proclamazione dell’armistizio l’8 settembre 1943 – i lavori di ricostruzione erano ancora ben lontani dall’essere terminati (3).

Le tre restanti corazzate efficienti (Veneto, Doria e Cesare) furono dislocate prima a Napoli e poi alla Spezia, per allontanarle dalla minaccia costituita dall’aviazione navale inglese, ma i loro movimenti erano seguiti – sia pure con precisione non assoluta – dalla ricognizione e dai servizi informativi della Marina britannica.  Verso la fine di gennaio del 1941, difatti, la Royal Navy riteneva che a Genova si trovassero ai lavori il Littorio e il Cesare; in realtà si trattava invece del Duilio e del Cesare, ma quest’ultimo si trasferì alla Spezia ai primi di febbraio, raggiungendo colà il Veneto e il Doria.

Da qualche tempo, considerati gli ottimi risultati conseguiti nella “Taranto Night”, i Comandi della Royal Navy stavano meditando di realizzare una nuova azione di notevole effetto dimostrativo, oltre che militare, contro un obiettivo costiero italiano.

Nei comandi britannici iniziò quindi a maturare la convinzione che convenisse attaccare un porto nel Tirreno per dare l’impressione alla Regia Marina che neppure le nostre basi nella zona potessero essere ritenute sicure, e la città di Genova fu prescelta come obiettivo di un bombardamento navale per molteplici motivi.

La rotta seguita dalla “Forza H” nel corso dell’operazione “Grog”.  Linea continua: rotta di andata –  Linea tratteggiata: rotta di ritorno.

1 – Uscita da Gibilterra delle unità inglesi tra le 12.00 e le 17.00 del 6 febbraio 1941

2 – Posizione alle 19.25 del 7 febbraio

3 – Ore 02.00 dell’8 febbraio: i ct. Jupiter e Firedrake vengono distaccati presso le Baleari per effettuare trasmissioni r.t. aventi lo scopo di trarre in inganno le stazioni radiogoniometriche italiane

4 – Posizione alle 20.00 dell’8 febbraio

5 – Posizione alle 05.10 del 9 febbraio

6 – Azione di fuoco condotta tra le 08.14 e le 08.45 del 9 febbraio

7 – Posizione alle 20.00 del 9 febbraio

8 – Posizione alle 14.00 del 10 febbraio

9 – Rientro a Gibilterra della “Forza H” nel pomeriggio dell’11 febbraio 1941

Innanzitutto, le strutture industriali della città ne facevano un obiettivo di grande importanza dal punto di vista economico, militare e psicologico; le difese costiere di Genova risultavano di entità poco temibile e – in ultimo - i grandi fondali del Golfo Ligure, fin sotto la costa, avrebbero permesso alle navi di avvicinarsi a distanza utile di tiro, senza correre il rischio di incappare in campi minati.

La presenza a Genova di due corazzate italiane fu nota a Gibilterra solamente alla fine di gennaio (anche se, come abbiamo visto, dall’inizio di febbraio nel porto ligure si trovava il solo Duilio) e – a differenza di quanto affermato nel dopoguerra anche da una certa memorialistica britannica – non costituì l’elemento principale nella pianificazione di un’azione dalle preminenti valenze emozionali e strategiche, compresa una “dimostrazione di forza” nei confronti della Spagna franchista, allo scopo di farne perseverare la politica di neutralità.


La nave da battaglia Malaya nel 1931/32, probabilmente a Gibilterra, successivamente ai lavori di radicale ricostruzione svoltisi presso l’Arsenale di Portsmouth tra il settembre 1927 e il febbraio 1929.  Oltre al miglioramento della protezione e dell’apparato motore, una modifica estetica molto importante riguardò gli scarichi delle caldaie, riuniti in un unico fumaiolo di grandi dimensioni che rimpiazzò i due originari.  La Malaya è verniciata con il grigio scuro delle unità appartenenti alla Home Fleet; sullo sfondo, un incrociatore pesante tipo “County” (a sinistra) e – a destra – l’incrociatore pesante York.  (Coll. M. Brescia)

La “Forza H”


La portaerei Ark Royal, in una fotografia risalente ai primi mesi della seconda guerra mondiale.  L’unità è sorvolata da alcuni aerosiluranti Fairey “Swordfish” che – sebbene antiquati e dalle prestazioni non certo eccezionali – giocarono un ruolo fondamentale nell’attacco contro la base navale di Taranto (notte sul 12 novembre 1940), e nelle operazioni che portarono all’affondamento, in Atlantico, della corazzata tedesca Bismarck (maggio 1941).  (Coll. M. Brescia)

Durante la seconda guerra mondiale, e non soltanto per quanto riguarda il teatro del Mediterraneo, la Royal Navy identificò spesso i propri gruppi o “Forze” navali (“Forces”) secondo un metodo alfabetico.  Nel tempo, ad esempio, operarono la “Forza K” (da Malta), la “Forza Q”, la “Forza Z” (in Estremo Oriente), la “Forza A”, ecc.; la “Forza H” fu costituita a Gibilterra verso la fine di giugno del 1940 per colmare il “vuoto” navale venutosi a creare nel Mediterraneo occidentale in seguito all’armistizio tra la Francia e l’Asse.

Al vertice della “Forza H” fu destinato l’amm. Sir James Somerville al comando del quale, inizialmente, furono posti l’incrociatore da battaglia Hood, le corazzate Resolution e Valiant, la portaerei Ark Royal, incrociatori e cacciatorpediniere, tutte unità trasferite dalla Home Fleet.

Ancorché di base a Gibilterra (sede di un Comando Superiore navale), la “Forza H” era un reparto autonomo, e l’amm. Somerville dipendeva direttamente dall’Ammiragliato di Londra; questa peculiare situazione era dovuta alla natura strategica della “Forza H” che – per la particolare posizione di Gibilterra – poteva essere chiamata ad operare flessibilmente, come in effetti avvenne, tanto in Atlantico quanto nel Mediterraneo.

Una delle prime uscite operative della “Forza H” fu l’azione contro le navi francesi a Mers-el-Kebir (3/6 luglio 1940) (17).  Unità della “Forza H”, che avevano nel frattempo sostituito parte di quelle originarie,  furono presenti alla battaglia di Capo Teulada (27 novembre 1940), al bombardamento navale di Genova e alla ricerca della Bismarck (maggio 1941), andando inoltre a costituire la scorta di numerosi convogli in Atlantico e nel Mediterraneo tra il 1941 e il 1942.

La “Forza H” operò attivamente nel corso degli sbarchi in Nord Africa del novembre 1942 (operazione “Torch”) e degli sbarchi in Sicilia e a Salerno dell’estate 1943 (operazioni “Husky” e “Avalanche”).  Poco dopo l’armistizio fra l’Italia e gli alleati, venuta a cessare la minaccia costituita dalla flotta italiana, il Comando fu disciolto e le unità che ne facevano parte furono riassegnate alla Home Fleet ed alla Eastern Fleet della Royal Navy.

I preliminari e l’esecuzione di “Grog”

Un’immagine prebellica dell’incrociatore Sheffield, datata 24 giugno 1938, scattata a Portsmouth e proveniente dal noto archivio fotografico “Wright & Logan”.  Si noti la linea elegante – ancorché massiccia – dell’unità, con i due hangar razionalmente posizionati ai lati del fumaiolo prodiero.  Sui “Southampton”, per la prima volta a bordo di incrociatori britannici, l’armamento principale da 152 mm era sistemato in torri trinate.  (Foto Wright & Logan)

La nave da battaglia Vittorio Veneto, a bordo della quale imbarcò l’amm. Jachino durante l’infruttuosa ricerca delle unità inglesi che bombardarono Genova il 9 febbraio 1941.  Il Veneto è qui ripreso all’ormeggio alla boa, nel Mar Grande di Taranto, nella tarda estate del 1940.  (Coll. A. Fraccaroli)

Tra le unità facenti parte della ”Forza H” il 9 febbraio 1941 vi era anche il cacciatorpediniere Encounter, qui raffigurato nel luglio 1938, in uscita dalla base navale di Portsmouth.  Anche a distanza ravvicinata, soprattutto negli anni precedenti alla seconda guerra mondiale, era piuttosto difficile distinguere esternamente i caccia appartenenti alle classi dalla “A” alla “I”.  L’Encounter è verniciato con il grigio scuro delle unità facenti parte della “Home Fleet”.  (Foto Wright & Logan, g.c. Biblioteca “A. Maj”, Bergamo, Fondo “Occhini”)

L’ammiraglio Sir James Somerville a bordo del Renown

(D.S.O., K.C.B., K.B.E., G.C.B., G.B.E.)

Comandante della “Forza H” – luglio 1940 / marzo 1942

L’ammiraglio Sir James Somerville era preposto al comando della “Forza H” sin dalla sua costituzione nell’estate del 1940, e – a gennaio del 1941 – coordinò la pianificazione dell’operazione “Grog”, il bombardamento navale di Genova del 9 febbraio successivo.

James Somerville era nato a Weybridge, nel Surrey, il 17 luglio 1882; nel 1897 entrò a far parte – come cadetto – della Royal Navy raggiungendo, nel 1904, il grado di sottotenente di vascello.

Durante la prima guerra mondiale si specializzò nel campo delle radiotrasmissioni sino a diventare uno dei massimi esperti della Marina britannica in questa innovativa materia; capitano di fregata nel 1915, nel 1916 fu decorato con il Distinguished Service Order (D.S.O.) per il servizio prestato a Gallipoli e nei Dardanelli.

Nel 1921 giunse la promozione a capitano di vascello e – in questo grado – seguirono numerose destinazioni di servizio: direttore dell’Ufficio Segnalamenti dell’Ammiragliato, aiutante di bandiera dell’amm. John D. Kelly, istruttore all’Imperial Defence College e comandante dell’incrociatore HMS Norfolk.

Promosso commodoro nel 1932 e contrammiraglio (Vice Admiral) l’anno successivo, tra il 1935 e il 1938 fu il comandante delle Flottiglie ct. della Mediterranean Fleet.  Nel 1939, prima del suo ritiro dal servizio attivo (18), all’atto del quale fu decorato con la nomina a Cavaliere dell’Ordine del Bagno (K.C.B.), fu il C. in C. del settore navale delle Indie Orientali con il grado di ammiraglio di divisione (Rear Admiral).

Nel maggio del 1940 l’amm. Somerville fu richiamato in servizio, entrando inizialmente a far parte dello “staff” dell’amm. Bertram Ramsay che pianificò l’evacuazione del corpo di spedizione inglese da Dunkerque.  Successivamente – a luglio – con il grado di ammiraglio di squadra (Admiral) gli fu assegnato il comando della “Forza H”, appena costituita a Gibilterra.

In poco meno di due anni, Sir James Somerville portò più volte al combattimento la “Forza H”: Mers-el-Kebir (luglio 1940), Capo Teulada (novembre 1940), operazione “Excess” (rifornimento di Malta, gennaio 1941), bombardamento navale di Genova (febbraio 1941), caccia alla Bismarck (maggio 1941), operazione “Halberd” (un altro rifornimento di Malta, settembre 1941).  Per i risultati ottenuti, alla fine del 1941 fu decorato con il cavalierato dell’Ordine dell’Impero Britannico (K.B.E.).

A marzo del 1942 l’amm. Somerville passò al comando della Eastern Fleet della Royal Navy, la cui base principale si trovava a Trincomalee nell’isola di Ceylon: seguì un lungo periodo dedicato al rafforzamento delle strutture logistiche ed operative della Flotta seguito – tra marzo e luglio del 1944 – da numerose operazioni contro capisaldi giapponesi nella zona (Isole Cocos, Sabang, Soerabaya e Sumatra).

Ad agosto del 1944 fu rilevato al comando della Eastern Fleet dall’amm. Bruce Fraser e, nominato cavaliere di Gran Croce dell’Ordine del Bagno (G.C.B.), fu destinato a Washington con l’importante incarico di capo della Delegazione Navale inglese presso il Governo degli Stati Uniti.

A maggio del 1945 Sir James Somerville fu promosso al grado di “Admiral of the Fleet” e, al momento del suo definitivo congedo dal servizio (1946) ricevette il cavalierato di Gran Croce dell’Ordine dell’Impero Britannico (G.B.E.).

Ritiratosi a Dinder House (Wells) nel Somerset, morì il 19 marzo 1949.

I Preliminari e l’esecuzione di “GROG”

Malta, novembre 1937.  Un dettaglio della zona centrale di dritta della Malaya, recentemente rientrata in squadra dopo un periodo di lavori (ottobre 1934 / dicembre 1936) nel corso dei quali sono state imbarcate le sistemazioni aeronautiche ed è stato potenziato l’armamento antiaerei dell’unità.  Si notino, difatti, la catapulta trasversale e, ai lati del fumaiolo, gli hangar e l’impianto quadruplo per mg. da 40 mm tipo “pom-pom”. Sulla torre “B” è applicata la “fascia di neutralità” blu bianca e rossa che identificava le unità inglesi all’epoca della guerra civile spagnola.  (Foto Wright & Logan)

La “Forza H” (costituita dalla corazzata Malaya, dall’incrociatore da battaglia Renown, dall’incrociatore leggero Sheffield, dalla portaerei Ark Royal e da dieci cacciatorpediniere) lasciò Gibilterra il 31 gennaio 1941.  Il gruppo navale fece rotta a Sud delle Baleari, con il duplice obiettivo di un attacco alla diga del Tirso in Sardegna con bombardieri ed aerosiluranti (il mattino del 2 febbraio), e del bombardamento navale di Genova il giorno successivo.

Come previsto dal piano di operazioni, otto velivoli dell’Ark Royal attaccarono la diga del Tirso alle 08.00 del 2 febbraio (senza tuttavia conseguire risultati di rilievo), ma le condizioni meteo in forte peggioramento sconsigliarono il proseguimento della missione, e le unità britanniche – sempre transitando a Sud delle Baleari – fecero rientro a Gibilterra nella tarda serata del 3 febbraio.

L’Ammiragliato predispose, con partenza il 6 febbraio, la ripetizione della missione, denominandola  “Grog”, in accordo alla tradizione navale britannica che – durante la seconda guerra mondiale –  assegnava ad ogni operazione un nome in codice scelto tra un’onomastica quanto mai varia e differenziata (4).

L’operazione “Grog” fu studiata con modalità esecutive che ne garantissero quanto possibile la segretezza e, nella fattispecie, le unità della “Forza H” (le stesse che avevano preso parte all’azione contro la diga del Tirso) furono suddivise in tre gruppi, con finta partenza in ore diurne verso l’Atlantico, simulando la protezione di un convoglio diretto in Gran Bretagna che si stava riunendo a Gibilterra.  Tanto all’andata quanto al rientro era previsto il passaggio a Nord delle Baleari, con un itinerario del tutto nuovo e difficilmente presumibile da parte italiana; infine, il bombardamento navale di Genova avrebbe avuto la preminenza, con un attacco secondario degli aerei dell’Ark Royal sulla raffineria petrolifera di Livorno.

L’incrociatore da battaglia Renown nel 1919, poco dopo la fine della “Grande Guerra”.  Insieme al gemello Repulse furono le penultime unità di questo tipo immesse in servizio dalla Royal Navy: saranno seguite – nel 1920 – dall’HMS Hood, affondato dalla corazzata tedesca Bismarck a maggio del 1941.  (Coll. M. Brescia)


Un idro “Walrus” in decollo dalla catapulta di una nave britannica.


Una nota fotografia del Renown, datata 17 agosto 1943.  A fine mese, il primo ministro Winston Churchill e i più importanti capi militari britannici (reduci dalla conferenza di Quebec) imbarcheranno ad Halifax sul Renown, a bordo del quale rientreranno nel Regno Unito.  (Foto Imperial War Museum)

L’Ark Royal a marzo del 1939, in entrata a Portsmouth.  La struttura cilindrica in testa d’albero alloggia un radiofaro “Type 72” per la guida degli aerei imbarcati; I cavi delle antenne radio sono tesi tra gli alberi a traliccio posti ai lati del ponte di volo.  Tali strutture potevano essere abbattute verso l’esterno durante le operazioni di decollo e appontaggio dei velivoli.  (Foto Wright & Logan)

Il Duncan verso la metà del 1942, quando – ormai destinato in Atlantico – faceva parte del Western Approaches Command della Royal Navy.  Si notino le più significative modifiche apportate, nei primi anni di guerra, sui caccia di questo tipo: ribassamento del fumaiolo poppiero (per migliorare i campi di tiro delle armi antiaerei) e installazione di un radar per la scoperta di superficie tipo “271”, alloggiato nella struttura cilindrica che ha sostituito la d/t sul cielo della plancia. (Foto imperial War Museum A 20158, g.c. Biblioteca “A. Maj”, Bergamo, Fondo “Occhini”)

Le unità britanniche uscirono dalla base di Gibilterra nel pomeriggio del 6 febbraio 1941, apparentemente impegnate nella scorta di un convoglio effettivamente diretto in Inghilterra.

-       tra le 12.00 e le 14.00 lasciarono il porto i cacciatorpediniere del Gruppo 2: Fearless (capo squadriglia) (5), Foxhound, Foresight, Fury, Encounter e Jersey, che diressero verso levante come se avessero dovuto effettuare un’esercitazione  o un pattugliamento antisom

-       Alle 13.30 lasciò la rada il convoglio, composto da 16 mercantili e 9 siluranti, diretto in Inghilterra.

-       Alle 17.00 partirono il Renown, il Malaya, lo Sheffield e l’Ark Royal (Gruppo 1), insieme ai cacciatorpediniere del Gruppo 3 (Duncan, Isis, Firedrake e Jupiter).

I cacciatorpediniere del Gruppo 2, dopo aver effettuato una ricerca antisom nello stretto di Gibilterra, diressero verso il punto di riunione con le altre unità della “Forza H”, previsto a Nord di Maiorca per le 08.30 dell’8 febbraio.

Le unità dei Gruppi 1 e 3, una volta entrate in Atlantico, invertirono la rotta, ripassarono isolatamente lo stretto durante la notte e si riunirono circa 55 miglia a levante di Gibilterra verso le 04.00 del 7 febbraio.  Alle 19.25 dello stesso 7 febbraio accostarono verso Nord/Nord-Ovest per passare tra Ibiza e Maiorca riunendosi, nella mattinata dell’8 con il primo gruppo di ct.

I caccia Jupiter e Firedrake furono distaccati a levante di Maiorca con l’ordine di effettuare trasmissioni r.t. che, se intercettate e radiogonometrate, avrebbero potuto trarre in inganno i Comandi italiani sull’itinerario realmente seguito dalla “Forza H” (il che, peraltro, non avvenne).

Nelle prime ore dell’8 la “Forza H” accostò verso Nord-Est attraversando, con questa direttrice, il Golfo del Leone per trovarsi, alle 03.00 del 9 febbraio, una cinquantina di miglia a Sud di Hyeres.

Da qui, la rotta delle unità inglesi proseguì per 70° in modo da raggiungere, attorno alle 06.00, una zona a Sud-Ovest del punto medio della congiungente Capo Corso / Genova.

Alle 05.00 la portaerei Ark Royal (scortata dai ct. Duncan, Isis ed Encounter) iniziò a manovrare autonomamente e, alle 06.00 raggiunse un punto equidistante (70 miglia) dalla Spezia e da Livorno e procedette al lancio di 14 “Swordfish” che effettuarono il previsto bombardamento della raffineria di Livorno e il minamento degli accessi al Golfo della Spezia.

Il Renown, il Malaya e lo Sheffield, scortati dai cinque cacciatorpediniere residui, accostarono verso Nord in modo da trovarsi, alle 07.52, ad una dozzina di miglia a Sud del promontorio di Portofino.  Dopo aver fatto il punto, le navi ridussero la velocità a 18 nodi e accostarono per 290°.  Su questa rotta, tra le 08.14 e le 08.45 del 9 febbraio 1941, avvenne l’azione di fuoco: alcune variazioni di rotta fecero sì che il bombardamento iniziasse ad una distanza di 19.000 metri, terminando a 21.200 metri e passando per la distanza minima di 16.200 metri alla trentesima salva del Renown.

Contro Genova furono sparati 125 proietti da 381 mm e 400 da 114 mm dal Renown; la Malaya sparò 148 colpi da 381 mm (6), mentre 782 furono i proietti da 152 mm dello Sheffield.  In totale, circa 200 tonnellate di acciaio ed esplosivo si abbatterono sul capoluogo ligure.

Anche se, come già abbiamo avuto modo di rilevare, l’operazione “Grog” fu pianificata soprattutto con valenze strategiche riconducibili anche a situazioni di “guerra psicologica”, non va dimenticato che la città di Genova costituiva comunque una agglomerato rilevante di obiettivi molto importanti dal punto di vista portuale, cantieristico e industriale.

Innanzitutto lo stesso porto, da sempre fulcro dell’economia cittadina: alle calate ed agli accosti del “Porto Vecchio” e del “Bacino della Lanterna”, all’inizio degli anni Trenta era stato aggiunto il “Bacino di Sampierdarena”, protetto da una diga foranea di nuova costruzione e comprendente i Ponti Canepa, Libia, Somalia, Eritrea ed Etiopia.  Nel 1941, come del resto anche oggi, importanti installazioni nell’ambito portuale di levante erano costituite dai bacini nella zona del Molo Giano, dagli accosti petroliferi di Calata Canzio, e dalla centrale elettrica situata ai piedi della Lanterna.

A ponente della foce del Polcevera si trovavano l’area industriale ed i cantieri navali della Società Ansaldo anche se, abbastanza stranamente, questi ultimi non furono colpiti con continuità dal fuoco britannico.

Bombardamento navale di Genova (aree più scure: zone ove registrò una maggior concentrazione dei punti di caduta dei colpi britannici)

1 – Molo Principe Umberto (attuale “diga foranea”)

2 – Ponti Eritrea e Somalia

3- Ponte Parodi

4- Zona Bacini

5- Zona dell’Ospedale Galliera

6- Stazione Brignole

7- Stazione Principe

8- Zona industriale della Valpolcevera

9- Cantieri Navali Ansaldo

10- Batteria “Mameli”

Un’immagine rara ed eccezionale: il Renown, ripreso dall’interno del torrione di comando della corazzata Malaya, mentre apre il fuoco durante il bombardamento navale di Genova.  Si tratta, probabilmente, dell’unico documento fotografico raffigurante unità inglesi durante l’azione del 9 febbraio 1941.  La formazione era composta dal Renown (capofila e nave ammiraglia), seguito da Malaya e Sheffield, con due cacciatorpediniere di scorta sul lato dritto (verso terra) e tre su quello sinistro.  (Foto Imperial War Museum A4046, g.c. Biblioteca “A. Maj”, Bergamo, Fondo “Occhini”)

Uno “Swordfish” appartenente allo Squadron n° 818 e conservato in perfette condizioni di volo, ripreso recentemente in Inghilterra durante una manifestazione aerea.  Un “Walrus” e due “Swordfish”  osservarono e diressero il tiro delle navi britanniche durante il bombardamento navale di Genova.  (Archivio Fleet Air Arm)

Nelle ultime versioni Mk IV e Mk V il “Walrus” venne denominato “Seagull”; qui vediamo il Mk V conservato al museo della RAF a Hendon, nei pressi di Londra.  (Archivio Fleet Air Arm

Un  palazzo di Piazza Cavour colpito da un proietto da 381mm, in una foto scattata – probabilmente – nel primo pomeriggio del 9 febbraio 1941.  (g.c. Archivio !Il Secolo XIX”)

Infine, nella valle del Polcevera (tra Rivarolo e la foce del torrente) erano riunite numerose fabbriche, depositi petroliferi e di materiali, officine ed altre installazioni industriali che, di per se’, costituivano – dopo il porto – il gruppo di obiettivi più importanti dell’ambito genovese, e la concentrazione in una zona sostanzialmente ristretta di queste strutture facilitò sicuramente la conduzione e la direzione del tiro, contro di esse, da parte delle unità britanniche.

Poco meno del 50% dei proietti da 381 e 152 mm cadde in acqua; circa un terzo colpì la città, con particolare addensamento sulle zone del porto e della Val Polcevera.  I colpi da 114 mm del Renown furono invece diretti verso la zona del Molo Principe Umberto (7), ma la loro concentrazione nel breve periodo in cui il Renown si trovò a distanze intorno ai 16.000 metri (prossime alla gittata massima dei cannoni di questo calibro) impedì la corretta osservazione dei punti di caduta.

Il bombardamento non colpì obiettivi militari; in effetti, l’unico bersaglio di questo tipo era costituito dalla nave da battaglia Caio Duilio ai lavori nella zona bacini del porto, ma nessun proietto raggiunse questa unità.

I danni subiti dalle unità mercantili presenti in porto furono minimi.  Due colpi (di cui uno di grosso calibro) raggiunsero il piroscafo Salpi, che peraltro non affondò; un altro piroscafo – il Garibaldi – si trovava a secco in un bacino di carenaggio e riportò alcuni squarci nella carena; la nave scuola Garaventa (ex incrociatore-torpediniere Caprera del 1894), fu l’unica unità affondata durante il bombardamento navale.

In aggiunta alle industrie della Val Polcevera, nell’ambito portuale i proietti britannici raggiunsero soprattutto i ponti Somalia ed Eritrea, la darsena a levante di Ponte Parodi (attuale zona dell’Acquario), i Magazzini del Cotone e la zona dei bacini al Molo Giano.

Pressochè nulla la reazione delle difese costiere dell’area genovese, come ebbe modo di evidenziare anche l’amm. Somerville nella sua relazione sull’operazione “Grog” (8).

Un bombardamento effettuato in breve tempo, da una distanza non certo ravvicinata, e condotto più “per zone” che per obiettivi specifici non poteva non causare danni anche alle aree residenziali ed abitative della città.

Si dovettero registrare danni, anche gravi, in tutta la porzione del centro compresa tra la foce del Bisagno, la congiungente Brignole-Corvetto e la Stazione Principe;  anche Sampierdarena fu colpita, nella zona prospiciente l’attuale Lungomare Canepa.

Un proietto da 381 mm che colpì, senza esplodere, la cattedrale di San Lorenzo.  E’ tuttora conservato all’interno della chiesa, con a fianco una lapide commemorativa dell’evento.

Più nel dettaglio, subirono danni di varia natura la Cattedrale di S. Lorenzo, l’Ospedale Galliera e la Biblioteca “Berio”, Piazza Manin e Via Galata.  Circa 250 case furono distrutte, e tra la popolazione civile si dovettero registrare 144 morti, 272 feriti e circa 2.500 senzatetto.

Infine, come previsto dal piano britannico, gli aerei (soprattutto Fairey “Swordfish”) dell’Ark Royal attaccarono Livorno e La Spezia.  Nella città toscana fu colpita la locale raffineria petrolifera, ma due velivoli – per un errore di rotta – colpirono la stazione ferroviaria e l’aeroporto di Pisa.  I quattro aerei che attaccarono La Spezia sganciarono alcune mine nei pressi delle entrate del Golfo delimitate dai due estremi della diga foranea (9).

Terminata l’azione di fuoco, le navi inglesi diressero per 180° al fine di ricongiungersi con il gruppo dell’Ark Royal circa 35 miglia a Sud di Vesima.  Sin qui, i movimenti della “Forza H”  che – seguendo sostanzialmente la stessa rotta dell’andata ma passando a Nord di Ibiza – fece rientro a Gibilterra nel tardo pomeriggio dell’11 febbraio.

In precedenza, alle 10.15 del 10 febbraio, i ct. Jupiter e Firedrake – rimasti presso le Baleari – si erano riuniti alla squadra.

Tuttavia, l’uscita delle navi inglesi da Gibilterra il precedente 6 febbraio era stata subito comunicata a Roma dai nostri informatori nella zona (10), con l’esatta indicazione delle ore e dei nomi delle unità e, nonostante che le apparenze facessero prospettare una partenza verso l’Atlantico, Supermarina ritenne – correttamente – che durante la notte il grosso della “Forza H” avrebbe fatto rientro nel Mediterraneo.

L’Ufficio Piani e Operazioni di Supermarina diramò, pertanto, una serie di disposizioni che avrebbero consentito il dispiegamento di numerose unità per fronteggiare un’azione navale inglese, tanto rivolta a colpire obiettivi in Sardegna quanto, eventualmente, posti anche più a settentrione, nella zona del Mar Ligure.

Fu ordinata la partenza da Messina degli incrociatori della 3a Divisione (Trento, Trieste e Bolzano) agli ordini dell’amm. Sansonetti e le tre unità, scortate da altrettanti cacciatorpediniere, salparono alle 07.00 dell’8 febbraio.

La corazzata Andrea Doria a Trieste nel settembre 1940, al termine dei lavori di trasformazione svolti presso i Cantieri Riuniti dell'Adriatico.  (Foto E. Mioni, Trieste - collezione Maurizio Brescia.

Ancorché caratterizzato da un diverso disegno dello scafo e delle sovrastrutture, il Bolzano (qui fotografato alla fonda il 10 marzo 1938) replicava alcune caratteristiche negative dei “Trento”.  Costruito dopo gli “Zara” (sicuramente tra i migliori incrociatori tipo “Washington” realizzati dalle varie Marine nella prima metà degli anni Trenta), per via delle linee comunque eleganti ed armoniose fu definito, anche negli ambienti ufficiali, “un errore splendidamente riuscito”.  (Foto A. Fraccaroli)

Le volate dei pezzi da 320/44 delle torri prodiere della corazzata Andrea Doria, verso la metà del 1942. (Coll. M. Brescia.

Movimenti navali del 9 febbraio 1941

Linea puntinata: rotta della “Forza H” in allontanamento da Genova – Linea tratteggiata: rotta seguita dalla 3a Divisione in arrivo da Messina sino al punto di riunione con la 5a Divisione – Linea continua: rotta del gruppo navale italiano (5a Divisione dalla Spezia, 5a e 3a Divisione riunite a partire dal punto “2”) – Linea spezzata: rotta del convoglio francese.

1 – Uscita dalla Spezia delle corazzate della 5a Divisione (tardo pomeriggio dell’8 febbraio)

2 – Punto di riunione, a Nord dell’Asinara, tra le unità della 5a Divisione e quelle della 3a Divisione (ore 08.00 del 9 febbraio)

3 – Bombardamento navale di Genova, condotto dalla “Forza H” tra le 08.14 e le 08.45

4 – Lancio, tra le 08.55 e le 09.35, degli idroricognitori del Trento e del Bolzano, che effettueranno un’infruttuosa ricerca del nemico ad Ovest della Sardegna

5 – Posizione della squadra italiana alle 12.30; lancio dell’idroricognitore del Trieste che, volando verso Nord-Ovest, passerà a poche decine di miglia dalla “Forza H” senza avvistarla

6 – Ore 14.30: punto di minima distanza (30 miglia) tra le unità inglesi e quelle italiane

7 – Ore 15.50: identificato il convoglio dei mercantili francesi, le navi italiane accostano per 270° nel tentativo di raggiungere la “Forza H”, ma quest’ultima si trova ormai nel punto “8”, a Sud di Hyeres, ad una distanza troppo grande per essere interecettata

9 – Ore 19.00: le navi italiane dirigono per Est

Nella serata dello stesso giorno, le navi da battaglia Vittorio Veneto, Giulio Cesare e Andrea Doria della 5a Divisione (al comando dell’amm. Jachino, comandante superiore in mare)  lasciarono La Spezia scortate dai sette cacciatorpediniere della 10a e della 13a Squadriglia.

La Regia Aeronautica e il Comando Marina di Cagliari avevano nel frattempo predisposto, nel corso di tutta la giornata dell’8, una serie di ricognizioni aeree ad Ovest della Sardegna che – tuttavia – non consentirono l’individuazione della “Forza H” la quale, come abbiamo visto, si trovava in navigazione più a Nord.

In assenza di precise indicazioni sui movimenti della “Forza H”, le tre corazzate della 5a Divisione (uscite dalla Spezia) e gli incrociatori della 3a Divisione (provenienti da Messina) si riunirono – insieme a 10 cacciatorpediniere di scorta – a Nord dell’Asinara alle 08.00 del 9 febbraio 1941.

Ebbe inizio, a questo punto, una serie (sotto alcuni aspetti quasi incredibile) di avvenimenti, sfortunati ritardi e inconvenienti che – per i più svariati motivi – non rese possibile l’intercettazione della “Forza H” da parte delle unità italiane, precludendo così la possibilità di uno scontro che, vista la relatività delle forze in campo, avrebbe potuto avere esiti molto favorevoli per la Regia Marina.

Le ricognizioni aeree, innanzitutto, “coprirono” una zona posta più a Sud del Mar Ligure, nella presunzione che la “Forza H” si trovasse in mare per la protezione indiretta di un convoglio in navigazione tra Gibilterra a Malta (11).

Gli stessi idrovolanti del Trento e del Bolzano, lanciati tra le 08.55 e le 09.35 del 9 febbraio, effettuarono una ricognizione al largo della costa occidentale della Sardegna (ammarando poi a Cagliari al termine della missione), quindi completamente al di fuori della zona di operazioni delle navi inglesi.

Le prime notizie sulla presenza della “Forza H” davanti a Genova giunsero a Supermarina tra le 07.40 e le 08.32; alle 09.00 (quando il bombardamento era ormai cessato) il Comando del dipartimento della Spezia informò Roma che era in corso un’azione navale contro Genova.  Solamente alle 10.00 fu possibile far assumere rotta Nord al nostro gruppo navale (12) che – sino ad allora – aveva navigato verso ponente ritenendo, in assenza di informazioni, che le unità britanniche si trovassero ad Ovest della Sardegna.

Le navi italiane, giunte poco dopo le 13.00 a ponente della parte centrale della Corsica, accostarono per 30° (Nord/Nord-Est) in quanto alcune segnalazioni della ricognizione della Regia Aeronautica informavano sulla presenza di una portaerei e di altre unità maggiori nel Golfo Ligure indicando, peraltro, posizioni diverse (e nessuna delle quali sufficientemente precisa).

Ne consegue che i messaggi provenienti dalla Regia Aeronautica erano quanto mai contraddittori, e va inoltre considerato il fatto che i velivoli informavano via radio il proprio Comando il quale – a sua volta – “girava” il messaggio a Superaereo:  Superaereo informava quindi Supermarina che provvedeva, infine, a trasmettere l’informazione al Comando Superiore in mare.  Questo complesso giro di messaggi (per di più cifrati, talvolta sopracifrati, e da decrittare ad ogni passaggio) tra Forze Armate e Comandi diversi rendeva quindi intempestive le segnalazioni dei ricognitori.  Gli equipaggi dei velivoli, inoltre, non erano ancora stati addestrati per lo specifico compito della ricognizione marittima, manifestando di conseguenza gravi lacune nel riconoscimento delle unità (tanto nazionali quanto nemiche) e nel corretto apprezzamento dei loro elementi del moto (13).

Alcuni bombardieri Br.20, attorno alle 13.00, individuarono e attaccarono le navi inglesi (peraltro senza danneggiarle), ma l’amm. Jachino non fu informato tempestivamente di questa azione in quanto gli equipaggi degli apparecchi mantennero il silenzio radio ed informarono i propri Comandi solamente al rientro.  In precedenza (alle 11.40) un ricognitore CANT Z.506 della 287a Squadriglia aveva avvistato la “Forza H” una quarantina di miglia a Nord-Ovest di Capo Corso, ma era stato abbattuto subito dopo dalla caccia dell’Ark Royal e l’equipaggio, recuperato nel pomeriggio da una torpediniera, poté far pervenire un rapporto di scoperta solamente nella tarda serata, quando il gruppo navale dell’amm. Jachino non aveva più la possibilità di avvicinare le unità inglesi.

L’ultimo “colpo” a questa catena di manchevolezze, eventi negativi e sfortunate coincidenze fu assestato dalla presenza, in zona, di un convoglio mercantile francese diretto da Marsiglia a Biserta e la cui rotta lo avrebbe portato a passare a Nord e – successivamente – ad Est della Corsica.

Alle 15.24, una cinquantina di miglia a ponente di capo Corso, il Trieste avvistò le alberature delle navi da carico francesi e trasmise il segnale di scoperta alle altre unità italiane.  Lo scontro con la “Forza H” sembrava imminente, al punto che sul Veneto (ad una distanza di 32.000 metri) il Direttore del tiro diede l’ordine di caricare i pezzi dell’armamento principale.

Fu quindi grande la delusione degli equipaggi italiani quando – alle 15.48 – le unità francesi furono effettivamente identificate come tali (14): a nulla valse far accostare la squadra italiana per 270° dato che, a quell’ora, le navi britanniche, si trovavano ormai a grande distanza (molto al largo della costa francese, a Sud di Hyeres) e sarebbe stato impossibile raggiungerle, anche navigando alla massima velocità.

Alle 18.00 l’amm. Jachino diede ordine di assumere rotta Nord e, un’ora dopo, la squadra della Regia Marina diresse per Est riducendo la velocità.  Le navi italiane incrociarono nel Mar Ligure durante la notte; nel corso della mattinata del 10 febbraio, infine, Supermarina ordinò alle corazzate di far rotta su Napoli ed alla 3a Divisione di rientrare a Messina.

Si concluse così, con un “nulla di fatto”, una delle più limpide occasioni mai occorse alla Regia Marina, nel corso di tutto il conflitto, per dare battaglia alla Royal Navy in condizioni di netta superiorità.  Ai 14 pezzi da 381 mm e ai 24 da 152 mm (15) delle unità maggiori inglesi, si sarebbero difatti contrapposti 9 pezzi da 381 mm, 20 da 320 mm e 24 da 203 mm delle corazzate e degli incrociatori italiani; inoltre, considerati gli aspetti tattici dell’ipotetica azione di fuoco, la presenza dell’Ark Royal e dei suoi velivoli non sarebbe risultata – probabilmente – determinante.

Con il bombardamento navale di Genova del 9 febbraio 1941, la “Forza H” compì una delle più audaci azioni della guerra navale nel Mediterraneo, degna delle migliori tradizioni della Royal Navy.  Per le Forze Navali italiane si trattò, in buona sostanza, di una “occasione perduta” dovuta – in buona parte – alla scarsa cooperazione tra Marina e Aeronautica (per non parlare della mancanza di una vera e propria Aviazione di Marina), reale e più significativo “tallone d’Achille” di tutta la guerra navale italiana tra il 1940 e il 1943.

Tuttavia, va anche rilevato il comportamento non certo combattivo manifestato dalla squadra italiana, al di là delle giustificazioni addotte dall’amm. Jachino nel dopoguerra (19); tutto ciò quando erano ben note le critiche di scarsa propensione all’offensiva mosse da quest’ultimo al suo predecessore Campioni.  Peraltro, non bisogna disgiungere questi fatti dalle direttive che contraddistinsero tutta la nostra guerra navale, tese a preservare quanto più possibile l’integrità della squadra da battaglia – tanto per il mantenimento della “fleet in being” quanto essendo ben nota l’impossibilità di sostituire unità maggiori eventualmente perdute o anche solo danneggiate gravemente.

Forse, anche per questi motivi l’operazione “Grog” – a torto – è stata considerata, talvolta, un evento di secondo piano, ma ancora più rilevante sarebbe stato, nel breve, il prosieguo della contrapposizione tra la Regia Marina e la Royal Navy.

Poco meno di due mesi dopo, difatti, con rapporti di forza invertiti (e sulla base, va ricordato, di un’ “intelligence” nemica che aveva in “ULTRA” il suo punto focale) lo scontro di Matapan tra unità italiane e britanniche ebbe purtroppo esiti del tutto opposti, come testimoniato dal sacrificio dei 2.303 uomini del Pola, dello Zara, del Fiume, del Carducci e dell’Alfieri (16) che persero la vita nel corso di quel breve combattimento, nella notte tra il 28 e il 29 marzo 1941.

Maurizio Brescia

Vicepresidente Associazione Mare Nostrum

- L’articolo pubblicato sul n.161 (febbraio 2007) della rivista mensile “STORIA MILITARE” - (Albertelli Edizioni Speciali)

Note:

(1) Si veda: Hervieux, P.: Il bombardamento navale del 14 giugno 1940, in “STORIA Militare” n. 110 (novembre 2002)

(2) La Marina italiana si trovò infatti impegnata con direttrice Nord-Sud per il sostegno logistico del fronte libico, mentre l’attività della Marina britannica era indirizzata sul corso dei paralleli, con operazioni di rifornimento di Malta aventi come punti di partenza Alessandria o Gibilterra, e trasferimenti di unità navali tra queste due basi strategiche.

(3) Si veda: Bagnasco, E.: Perdita e recupero della R.N. Conte di Cavour, in “STORIA Militare” n. 26 (novembre 1995)

(4) Il “grog” è una sorta di “ponce” a base di rum, succo di limone ed acqua calda che a bordo delle navi britanniche – sino agli anni Settanta – costituiva uno dei generi di conforto più apprezzati dagli equipaggi.

(5) In effetti, il Fearless non era attrezzato come capo squadriglia (flotilla leader), ma come capo sezione (divisional leader).  Tuttavia, in mancanza di un’unità specificatamente equipaggiata per questo ruolo, operò come capo squadriglia nel corso dell’operazione “Grog”.

(6) Non è noto il numero dei colpi da 152 mm tirati dalla Malaya.

(7) Di fronte a Sampierdarena, ai giorni nostri semplicemente denominato “diga foranea”.

(8) “. . . Il solo contrasto incontrato dalle navi bombardanti fu quello del tiro di una batteria da 152 mm (si trattava della Batteria “Mameli”, posta sulle alture di Pegli – n.d.r.) e del tiro c.a. diretto contro il velivolo osservatore del tiro.  In entrambi i casi il tiro fu del tutto insufficiente.  Tuttavia, durante una parte del bombardamento, fu disposto che i due ct. posti dal lato della costa facessero fuoco, sia per controbattere il tiro da terra sia per mascherare la composizione della forza bombardante . . .”(da: Fioravanzo, G., Le azioni navali in Mediterraneo dal 10-VI-1940 al 31-III-1941, pagg. 361-363 – op. cit. in bibliografia). L’osservazione del tiro fu effettuata da un “Walrus” dello Sheffield e da due “Swordfish” in versione idro del Malaya e del Renown. Lo stesso Sheffield provvedette, al termine dell’azione di fuoco, al recupero del proprio velivolo nonché di quello del Malaya; lo “Swordfish” del Renown fu invece recuperato dalla portaerei Ark Royal. (Fonte: Macintyre, D., Fighting Admiral, pag. 111 – op. cit. in bibliografia). Il volume del Fioravanzo riporta invece che l’osservazione del tiro fu effettuata da uno “Swordfish” dell’Ark Royal che rientrò sulla portaerei al termine dell’azione di fuoco.  A sua volta, M.A. Bragadin (Il dramma della Marina Italiana – op.cit. in bibliografia, pag. 71) indica in tre il numero degli “Swordfish” della portaerei britannica che operarono su Genova durante il bombardamento. E’ tuttavia probabile che la storiografia italiana sia piuttosto imprecisa sull’argomento, dato che – all’epoca della pubblicazione – gli autori dei due volumi citati non avevano ancora potuto prendere visione della ricordata opera del Macintyre e di altra documentazione di fonte britannica.

(9) La maggior parte delle mine furono sganciate nei pressi dell’accesso di levante, anche se quello utilizzato all’epoca (come pure oggi) dalle unità in uscita era quello di ponente.  Tuttavia, come vedremo più avanti, per maggior sicurezza nell’attesa del dragaggio degli ordigni, al termine dell’infruttuosa ricerca del nemico fu ordinato alle tre corazzate di dirigersi su Napoli.

(10) Va ricordato che, per tutta la durata della guerra, nel territorio spagnolo confinante con Gibilterra fu attiva, con successo, una fitta rete di informatori e agenti della Regia Marina la cui opera – inoltre – fu particolarmente importante per il supporto di “intelligence” alle operazioni dei mezzi d’assalto italiani contro la base britannica. Si veda, in proposito: Pitacco, G.: La “X MAS” ad Algeciras e i mezzi “R”, in “STORIA Militare” n. 31 (aprile 1996).

(11) Una volta nota l’uscita della “Forza H” da Gibilterra, Supermarina allertò i corrispondenti comandi della R.A. e – tra l’8 e il 9 febbraio – consistenti gruppi di velivoli furono utilizzati per la ricerca delle unità britanniche. La Regia Aeronautica impiegò 32 idrovolanti della ricognizione marittima: 20 Cant Z. 501 e 12 trimotori Cant Z. 506; ad essi vanno aggiunti i tre idroricognitori Ro.43 lanciati dalle unità italiane durante l’infruttuosa ricerca del nemico. La Ia Squadra aerea (Comando a Milano) Impiegò nove bombardieri Br. 20 e 2 caccia; la IIIa Squadra aerea (Roma) utilizzò 15 bombardieri Cant Z. 1007, un apparecchio dello stesso tipo attrezzato come ricognitore e sette caccia. Il comando R.A. della Sardegna impiegò 30 bombardieri S.79 ed otto ricognitori (4 Cant Z. 506 e 4 S.79); a questi aerei vanno aggiunti due ricognitori S.79 della IIa Squadra aerea (Palermo). Il X° CAT (Corpo Aereo Tedesco), di base in Sicilia con Comando a Catania, impiegò – per l’occasione – 53 bombardieri, 14 ricognitori e 18 caccia che, nel corso delle operazioni, si appoggiarono  anche agli aeroporti della Sardegna.

(12) Con una certa tempestività, il Comando Marina di Genova segnalò a Supermarina l’inizio del bombardamento navale, ma l’informazione fu ricevuta a bordo del Veneto soltanto poco prima delle 10.00, quando le navi britanniche si stavano ormai allontanando dal Golfo di Genova.

(13) Sono purtroppo ben note le medesime manchevolezze che, a Punta Silo, portarono velivoli della R.A. ad attaccare unità navali nazionali, fortunatamente senza colpirle (è d’altro canto pensabile che il medesimo, scarso, risultato avrebbe potuto caratterizzare un attacco contro navi britanniche).

(14) La rotta del convoglio era nota alla commissione armistiziale italo-francese, ma – probabilmente per l’assenza di contatti diretti tra quest’ultima e Supermarina – il Comando superiore in mare non fu avvertito di questo importante elemento “perturbatore” dell’apprezzamento della situazione.

(15) Peraltro, è probabile che i 12 pezzi da 152 mm dell’armamento secondario della Malaya avrebbero avuto ben poche possibilità di essere utilizzati nel corso di un ipotetico scontro con le navi italiane.

(16) A queste vittime vanno aggiunti anche i tre caduti dell’Oriani, che – pur non affondando – ricevette alcuni colpi nella zona dell’apparato motore.

(17) Si veda, in proposito: Cernuschi, E., Mers-El-Kebir, 3 luglio 1940 (parti 1a e 2a), in “STORIA Militare” n. 80 e 81 (maggio e giugno 2000).

(18) Anche se per il “pensionamento” furono ufficialmente addotti motivi di salute, il collocamento a riposo fu forse dovuto anche ad un incidente “professionale” che, ad Aden, aveva visto l’HMS Norfolk, nave ammiraglia di Somerville, coinvolta in una collisione con una similare unità.

(19) Jachino, A.: Tramonto di una grande Marina (op. cit. in bibliografia)

Bibliografia

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Rapallo, 28 Marzo 2014