"MARINA DI EQUA": Naufragio assistito

MARINA DI EQUA - TITO CAMPANELLA

NAUFRAGATE

PREMESSA

 

I naufragi delle Bulk Carrier avvenuti a distanza di tre anni l’uno dall’altro, hanno in comune alcune coincidenze:

 

- Erano navi obsolete

 

- Avevano caricato laminati in Nord Europa

 

- Era inverno. Mare forza e onde alte 10 metri

 

- Sono affondate nello stesso cimitero di navi: Golfo di Guascogna

 

- Nessun superstite

 

- Naufragio assistito... per la MARINA DI EQUA

 

- Naufragio fantasma... per la TITO CAMPANELLA

 

 

I due articoli che seguono intendono essere una raccolta di dati, di testimonianze raccolte qua e là per tenere sempre accesa la fiamma del ricordo delle vittime, ma anche per tenere “alta la guardia” contro coloro che perseguono soltanto il profitto economico e considerano la SICUREZZA una tassa da pagare, non un cammino di civiltà da percorrere insieme.

 

 

 

33° ANNIVERSARIO DELL’AFFONDAMENTO DELLA BULK CARRIER

“MARINA DI EQUA”

UN NAUFRAGIO ASSISTITO

30 vittime, la perdita della nave e del suo carico. Questo é l’ennesimo tributo pagato al Golfo di Biscaglia

 

 

 

29 Dicembre 1981

 

La Marina d’Equa, 32mila tonnellate di stazza e 178 metri di lunghezza, di proprietà della compagnia Italmare, s’inabissò nel golfo di Biscaglia, a circa 175 miglia dalla costa spagnola di La Coruña, nel pomeriggio del 29 dicembre del 1981, trascinando in fondo al mare, in pochi secondi, il carico e i trenta marinai: undici di Meta, sette di Piano di Sorrento, uno di Sorrento e due di Massa Lubrense, insieme ai cinque di Torre del Greco, ai tre dell’isola di Procida ed all’unico cileno.

 

 


Monumento ai Caduti del Mare

In data 29 Dicembre 2006 si è commemorato a Meta il 25° anniversario della scomparsa dei trenta uomini di mare dell'equipaggio della M/n MARINA D’EQUA affondata nel golfo di Guascogna il 29-12-1981.

 

Alle ore 09.50 è stata celebrata una messa in suffragio dall'arcivescovo Mons. Felice Cece presso la Basilica di S. M. del Lauro.

 

Al termine della Santa messa, alla presenza della autorità civili, militari e religiose ci si è recati in corteo sino al largo "Stella Maris" per l'inaugurazione del monumento a tutti i caduti del mare scolpito dal M° Umberto De Martino. Sono intervenuti alla cerimonia diversi sindaci della penisola sorrentina, le autorità portuali di Napoli, e dalla Spagna la testimonianza di un ex marinaio della marina militare spagnola Josè Ignacio ANDRES, all'epoca impegnato nelle purtroppo vane operazioni di soccorso.

 

Alle 17.55, ora precisa in cui la nave è definitivamente inabissata in mare, due minuti di raccoglimento su tutta l'area comunale con rintocchi funerei delle campane di tutte le chiese e serrata estemporanea di tutti gli esercizi commerciali, con le luci spente.

Foto scattata dall’aereo francese poco prima dell’affondamento. La stiva n.1 appare scoperchiata.


La M/n MARINA D'EQUA durante la navigazione sul fiume WESER (Germania) tra BREMEN e BRAKE, alle 02.00 del 10.12.1981 subiva un'avaria ai generatori che le procurava un "Black-Out". Tale fenomeno, comportante l'arresto del Motore Principale, si ripeté più volte nell'arco di circa un'ora; allo scopo di evitare pericolose conseguenze,alle 02.55 fu deciso di ancorare dando fondo all'ancora di sinistra per una lunghezza. Durante la manovra, per effetto della corrente del fiume, la nave ruotò, toccando col lato dritto della poppa sul fondo del canale. Riparato l'inconveniente, la nave proseguì per Brace dove si ormeggiò regolarmente. Successivamente, il giorno 11, fu eseguita una visita occasionale allo scafo da parte del R.I.NA. (a seguito dell'incaglio) e confermata nella sua Classe, non essendo emerso alcun danno. Anche l'avaria ai generatori, individuatane la causa, fu  eliminata e dopo opportune prove, tutto fu trovato in ordine. Si trasferì quindi ad ANVERSA (Belgio) per imbarcare un carico di lamiere in rotoli (coils) e manufatti  metallici per un totale di Tonn. 30.196 da sbarcare in più porti del Golfo Messico.

 

IL VIAGGIO (In sintesi)

DESCRIZIONE DEI FATTI

 

26/12/81 07,18 Sbarcato il Pilota all'altezza della Boa A1 (largo di Ostenda)

 

 

 

26-27/12    Navigazione lungo il Canale della Manica seguendo le rotte prescritte

 

 

 

27/12/81 11,30 Posizione Lat. 49° N - Long. 04° W

 

 

 

28/12/81 12,00 Posizione Lat. 48° N - Long. 08° W

 

 

 

29/12/81 13,55 Posizione Lat. 45°35' N - Long. 11° W - SOS

 

 

 

29/12/81 14,43 La Nave "THEODORE FONTANE" (Germ.Est) riceve sul canale 16 la chiamata di soccorso del MARINA D’EQUA e subito cambia rotta per raggiungere la nave in pericolo.

 

 

 

29/12/81 14.50 circa Inverte la rotta puntando su Brest, mettendo il mare in poppa

 

 

 

29/1278115,36 Le due navi sono in "contatto visivo". e su richiesta del M.d'Equa procedono per Rotta = 070° - Velocità 7 nodi, la nave tedesca in assistenza (Stand-by)

 

 

 

29/12/81 15,47 Giunge sulla verticale del M.d'Equa un aereo "Atlantic 4 CZ" dirottato appositamente da altra missione da parte del CECLANT  (Comando dell'Atlantico della Marina Francese di Brest) che conferma la rotta e la velocità delle due navi.

 

 

 

29/12/81 16,34 Via Roma radio Il M. d'Equa comunica con la Società Armatrice.

 

 

 

29/12/81 17,00 Un altro aereo della Marina Francese (CXI) rileva il precedente (4 CZ) che rientra alla base per fine autonomia.

 

 

 

29/12/81 17,44 Il M.d'Equa chiede che l'equipaggio sia evacuato a mezzo elicotteri.

 

 

 

29/12/81 17,55 Posizione Lat. 45°41'N - Long. 09° 54' W - Le luci del M.d'Equa scompaiono dalla vista della nave tedesca e svanisce l'eco radar.

 

 

 

LA NAVE E' AFFONDATA

 

Queste, in modo sinottico, le ore drammatiche del naufragio. Alle 17,55 del 29 Dicembre 1981 a circa  320 miglia a SW di BREST, il MARINA D'EQUA s'inabissava nell'Atlantico in tempesta. Le cause del sinistro furono attribuite, dalla Commissione d'Inchiesta Ministeriale - come fatto iniziale  - al cedimento degli elementi n° 2 e 3 dei boccaporti della stiva n°1 e come causa finale -  al collasso della paratia tra la stiva 1e 2.

 

 

 

 

 

 

 

Il tutto per le proibitive condizioni del tempo instauratesi nei giorni 27, 28 e 29 Dicembre per la presenza di una depressione di 975 mb. (731 m/m) posizionata in Lat. 43°N e Long. 28°W  che provocava, sopratutto il 29 Dicembre, vento da SW forza 10 e mare  da WSW di altezza significativa di 11 metri. Il ché provocò, come detto, dapprima un notevole imbarco d'acqua nella stiva e, successivamente, per lo sbattimento della massa d'acqua penetrata nella stessa stiva n°1, il cedimento (collasso) della paratia stagna fra la stiva 1 e 2, con conseguente perdita di galleggiabilità e quindi l'affondamento della nave. Nel tragico epilogo, persero la vita trenta uomini di mare, il più giovani dei quali aveva solo diciassette anni.

 

 

Grado - Cognome – Nome - Luogo d'Origine

1- Comandante MASSA Michele Torre del Greco

2- 1° Ufficiale BUONOCORE Anselmo Meta

3- 2° Ufficiale ESPOSITO Raffaele Meta

4- 3° Ufficiale CASTELLANO Costantino Meta

5- All.Uff.Cop. PISANO Gennaro Sorrento

6- All.Uff.Cop. S.N: LAURO Salvatore Piano

7- Radio Telegr. POLESE Salvatore Torre del Greco

8- Dir. di Macchina GAGLIARDI Tullio Meta

9- 1° Macch. CIBELLI Pietro Procida

10- 2° Macch. VISAGGIO Giuseppe Procida

11- 3° Macch. MARESCA Luigi Meta

12- All.Uff.Macch. RUGGIERO Giovanni Meta

13- All.Macch.S.N. VINACCIA Angelo Sorrento

14- Nostromo CIOFFI Luigi Piano

15- Marinaio TORTORA Guglielmo Torre del Greco

16- Marinaio PALOMBA Raffaele Torre del Greco

17- Marinaio TORTORA Luigi Torre del Greco

18- Marinaio D'ELIA Giuseppe Piano

19- Marinaio QUINTANA CORREA Carlos Santiago (Cile)

20- Mozzo PEPE Michele Meta

21- Mozzo S.N. VINACCIA Francesco Piano

22- Caporale SCOTTO di MARRAZZO Giuseppe Procida

23- Operaio AVERSA Antonino Meta

24- Elettricista D'ANGELO Ciro Meta

25- Fuochista CIOFFI Antonio Piano

26- Giov. Macch. ESPOSITO Maurizio Meta

27- Cuoco ESPOSITO Antonio Meta

28- Picc. Cucina CACACE Pietro Massa Lubrense

29- Garz. 2^ GELZO Antonino Massa Lubrense

30- Piccolo PAESE Antonio Meta

Da un documento dattiloscritto riportante la dichiarazione del Comandante Dieter HOHLE resa a Rostock (Germania Est) l’8 Febbraio 1982.

 

………………………………….omissis……………………………

 

“Il giorno 29 dicembre alle ore 14,43 GMT l’Ufficiale di Guardia ricevette un messaggio sul canale 16 che diceva: SHIP ON MY PORTSIDE COME IN (Nave sulla mia sinistra, rispondete) ripetuto a brevi secondi con l’aggiunta: THIS IS A MAY-DAY CALL (Questa è una chiamata di soccorso)- Il 2° Ufficiale Hans Jurgen WOLF, appunto di guardia, rispose al messaggio e furono scambiati i nomi delle navi. Sul nostro radar appariva una sola eco sulla sinistra a circa 11 miglia di distanza ed era inequivocabilmente il M.d’E. Conseguentemente alle 14,50 GMT cambiammo rotta dirigendo per 125°sul bersaglio rilevato e potemmo comprendere meglio il messaggio che diceva : HATCHCOVERS N° 1 STOVE IN (?) (probabilmente Hold = Stiva) SINKING IN POSITION 45°40’N 10°53’W ( Pannelli di copertuta della stiva n° 1 stanno affondando nella posizione 45°40’N 10°53’W). Ci accorgemmo che la longitudine non era corretta. Più tardi la M.d’E. ci chiese a che ora l’avremmo raggiunta e fu risposto: ”IN 40 MINUTI”-

 

Alle 15,36 la M.d’E. ci chiese di metterci in “STAND-BY”  con rotta parallela alla sua, cioè 070°. Ormai la nave era visibile otticamente. Alle 15,50 il primo aereo (aereo militare francese) volò basso sopra di noi.- Dalle 15,54 ci fu uno scambio di messaggi a tre (noi – aereo –M.d’E.) ed apprendemmo che la M.d’E. dirigeva per BREST (distante 300 miglia) che aveva un equipaggio di 30 persone e richiedeva l’intervento di elicotteri per evacuare la gente. L’areo rispose però che a quella distanza l’area non era coperta da elicotteri di salvataggio francesi. Il M.d’E. replicò che dalle coste spagnole la distanza era inferiore e l’aereo rispose che doveva accertarsi se fosse operabile tale possibilità. Successivamente intercettammo un messaggio dell’aereo (francese) che aveva chiamato un peschereccio francese che era nelle vicinanze.

 

Quando fummo al traverso della MARINA D’EQUA. (distanza 0,7 mg. a dritta) notammo che i portelloni centrali della stiva n°1 erano mancanti. Non potei stabilire se questi portelloni erano caduti nelle stive o portati via. Le onde venivano da poppa, spazzavano sulla prua con creste che si rompevano vicino alla stiva n° 1 permettendo così all’acqua di entrare nella stiva. La prua della nave. era molto bassa sull’acqua. La MARINA D’EQUA è affondata alle 17,55 GMT (tempo medio di Greewnich) in posizione 45° 45’ N e 09°45’ W. Circa 10-15 minuti dopo, l’oscurità era totale.

 

 

 

Io non osservai direttamente l’affondamento, perché, in quel momento, ero all’interno del ponte ad ascoltare un messaggio della MARINA D’EQUA, che ascoltavo sul canale 16 VHF (canale di soccorso) ed era la parte finale del suddetto messaggio.

 

In questo messaggio dicevano che un peschereccio francese si stava portando rapidamente nelle vicinanze e sulla sua rotta. E’ mia opinione che la MARINA D’EQUA, al momento dell’affondamento, avesse una prua di circa 70° ed una velocità stimata al disopra dei 7 nodi. Al momento dell’affondamento il MARINA D’EQUA era sulla nostra dritta – a circa un miglio di distanza – mentre noi eravamo su una rotta parallela. L’affondamemto del MARINA D’EQUA, a mia stima, non deve aver superato i 20-30 secondi. Quando la vidi per l’ultima volta, notai il suo fanale rosso di sinistra e quello di maestra ancora accesi, l’antenna radar era in moto e penso che anche qualche luce nei locali interni fosse accesa.

 

 

 

Immediatamente dopo l’affondamento noi girammo sulla sinistra dando l’allarme generale e localizzammo il luogo dove la M.d’E. era scomparsa. All’arrivo notammo cinque o sei portelloni galleggiare, di colore grigio-marrone, una parte di lancia di salvataggio, uno zatterino gonfiabile inadoperato con ancora l’involucro ed altri due sommersi e parzialmente gonfiati. Al tempo dell’affondamento le condizioni meteorologiche erano: vento da 240° forza nove – mare forza otto.

 

 

Per completezza di informazione il Capitano HOHLE, precisa che le precedenti condimeteo erano state le seguenti:

 

12,00 GMT = Vento da 240° forza 9 –   Mare forza 8

 

13,00 GMT = Vento da 240° forza 9 –   Mare forza 8

 

14,00 GMT = Vento da 240° forza 10 – Mare forza 8

 

15,00 GMT = Vento da 240° forza 10 – Mare forza 8

 

16,00 GMT = Vento da 240° forza 9 –   Mare forza 8

 

Da quanto sopra, si evince che il picco massimo della tempesta si è verificato tra le 14,00 e le 16,00 GMT proprio nelle ore (14,43 e 15,36) dei messaggi di soccorso e di richieste di elicotteri.

 

Qui finisce la deposizione del Comandante del Theodore Fontane, che come già detto risulta da un dattiloscritto, peraltro privo di qualsiasi attestato di autenticità da parte di autorità consolari, ma comunque di notevole attendibilità.

Abbiamo consultato la Relazione della Commissione Ministeriale (Biblioteca Collegio Capitani-Compartimento di Napoli) ed in particolare al paragrafo “Condotta della Navigazione” così si esprime:

 

La nave navigava per SW con grosso mare in prora ad una velocità non superiore ai sei nodi quando si verificò il primo sinistro cioè il collasso dei pannelli della stiva n° 1.

 

……………omissis…………

 

E’ altresì  evidente che, dato il tipo di nave, le onde coprivano con frequenza la prora, per cui, la stiva n°1 con la boccaporta aperta, imbarcasse acqua continuamente. Vista l’impossibilità di reggere il mare per i violenti urti che la nave subiva al rovesciarsi delle onde sulla prora, il Comandante deve aver avvisato la macchina di tenersi pronti ad aumentare i giri al momento opportuno, quando, tra un’onda ed un’altra, fosse apparso possibile virare per mettersi col mare in poppa. Quantunque questa fosse notoriamente una manovra rischiosa, peraltro venne considerato un rischio preferibile e fu condotta a buon fine, non risulta esattamente quando, anche se è presumibile entro 1 ora circa dallo sfondamento della boccaporta.

 

…………omissis…………

 

La virata produsse la rottura delle rizze del carico in coperta (telefonata della nave agli Armatori alle 16,34) e ciò può aver fatto presumere che anche il carico nelle stive potesse aver avuto qualche spostamento, comunque la situazione si presentava, nel suo complesso, migliore, in quanto la nave non era più soggetta ai rudi impatti con le onde. Tuttavia la nave era appruata ed il mare lungo, più veloce della nave, entrava da poppavia nella stiva n°1 che si appesantiva sempre più.

 

………omissis………

 

La richiesta di soccorso via elicotteri dimostra la preoccupazione del Comandante, quantunque non sia facile valutare la misura di tale preoccupazione. E’ comunque certo che egli decise di tenere l’equipaggio a bordo sin quando la nave resistesse al mare, piuttosto che affrontare il rischio sicuro connesso con la scelta di farlo scendere in mare, con mezzi salvataggio che, benchè regolamentari, apparivano del tutto inadatti a quelle condizioni di vento e di mare. La commissione ritiene che la decisione fu calcolata e sofferta e presume che l’apparente tranquillità dell’equipaggio nelle ultime ore di vita dellla nave ed anche il senso della telefonata si possono interpretare come segno di responsabilità del Comandante e dell’equipaggio.

 

………omissis………

 

L’imprevisto accadde intorno alle 17,55 del 29 Dicembre, quando la nave affondò, infilandosi di prua in un’onda alla velocità fino ad allora tenuta di 7 nodi restando sommersa in meno di un minuto. La Commissione fa rilevare che l’affondamento in un tempo così breve, può essere collegato soltanto al collasso strutturale della paratia tra la stiva 1 e 2, difficilmente prevedibile senza l’ausilio di calcoli appositi eseguiti con mezzi e con teoria di non comune applicazione.

 

………omissis………

 

Dal paragrafo “ Commento al Traffico RT/RTF/VHF

 

 

Non si spiega come mai il Theodore Fontane non abbia ricevuto il segnale S.O.S. in RT 500 kc/s emesso alle 13,55 dalla Marina di Equa e successivamente ripetuto dalla stazione RT di La Coruna; anche se non ci fosse stato ascolto continuo sul T. Fontane, doveva scattare l’autoallarme. Si rileva altresì che l’autoallarme RT e RTF non è scattato su nessuna delle navi in zona.

 

………omissis………

 

 

Dal paragrafo Coordinamento delle operazioni

 

 

Il punto in cui si trovava la marina di Equa quando chiese soccorso alle 13,55 ed anche il punto in cui la nave affondò alle 17,55 si trovano nella zona di giurisdizione del Centro di Soccorso /SAR) di Plymouth /Gran Bretagna) , a poche miglia di distanza dei limiti delle Regioni dei Centri di Soccorso /SAR) di Madrid e di Brest.

 

………omissis………

 

Riteniamo con queste citazioni di aver in qualche modo apportato altre conoscenze e commenti al disastro della Marina di Equa. Aggiungiamo che in ogni modo parteciparono, dopo l’affondamento, alla ricerca di eventuali superstiti e per diversi giorni seguenti:

 

Mezzi navali

 

Oltre al Theodore Fontane, i pescherecci 280 e 120, peschereccio spagnolo Efru, M/n liberiana Mary Beth, peschereccio Monte Sant’Alberto, Piroscafi Churruca, Langara, AR 41, Lagollan Guidhe. Mari Conchi, Mironich

 

Mezzi aerei

 

Oltre agli arei della marina francese Atlantic 4 CZ e CXI che agirono prima dell’affondamento,gli aerei francesi P2H, Atlantic FXCXE, velivolo inglese Rescue 52, aereo Atlantic francese WH, Fokker spagnolo 27.

 

Quanto sopra fino al 1° Gennaio quando furono interrotte le ricerche. Ma su intervento del Governo italiano, le ricerche furono riprese il 2 e proseguite fino al 4 Gennaio. A quest’ultima ricerca parteciparono gli aerei: francese Atlantic WE, Fokker spagnolo 27, Atlantic italiano I-1015. Il risultato di questa complessa operazione di ricerca a cui hanno partecipato in tempi e a titolo diversi 12 mezzi navali e 10 aerei dalle 17,55 del 29 Dicembre 1981 alle 16,09 del 4 Gennaio 1982, ha portato all’avvistamento ....

 

 

DATA/ORA AVVISTAMENTO MEZZO

 

29/12-22,11     Theodore FONTANE        Due dinghy rossi con bande argentate – VUOTI

 

30/12-05,48           “              “          Due zatterini gonfiabili lanciatidall’aereofrancese –VUOTI

 

30/12-03,17     Aereo franc.FXCXR          Salvagente con luce- VUOTO

 

30/10-10,00     M/pesca Monte Sant’Alberto Massa estesa di nafta 45°54’N e 09°40’ W

 

30/12-16,42     P.fo Churruca                   Resti del naufragio tra 46°40’N/45°40’N e 10°W/09°W

 

30/12-12,30     P.fo Mary Beth                  Pezzo di un’imbarcazione e 1 zattera da 10 persone-

 

VUOTA in 46°06’N

 

30/12-12,55     P.fo Mari Conchi              Un salvagente con la dicutura Duncan

 

30/12-13,06              “         “                   Un salvagente con la dicitura Schothlite

 

04/01-17,15     M/n Camberra                       Avvistato un cadavere in 47°14’N e 06°48’W (*)

 

94/01-18,10     Aereo ital.I-1015               Esplora la zona su indicata con esito negativo

 

(*) circa 150 mg. a Nord Est dal punto di affondamento. Ho qualche riserva che possa essere un membro dell’equipaggio del MARINA DI EQUA. Però tutto può essere possibile. Rimane purtroppo deludente il mancato ritrovamento e/o recupero.

 

Cartina con le rotte seguite dalle due navi a partire dalle 12,00/12,30 fino alle 17,55 del 29/12/1981 ora dell’affondamento in 45°45’N e 09°45’W. In rosso la rotta della MARINA D’EQUA. In Blu la rotta della nave tedesca THODORE FONTANE.

 

CONCLUSIONI

La  Commissione ministeriale d’inchiesta sul naufragio della MARINA DI EQUA, composta da quindici membri – tra cui il Presidente (Consiglio di Stato) due ammiragli, un Capitano di Vascello (CP), sei ingegneri, tre Capitani Superiori di Lungo Corso, due avvocati – insediatosi il 12 Gennaio 1982, ha tenuto complessivamente 19 sedute plenarie e l’ultima – conclusiva – il 31 Gennaio 1983, ascoltato 25 testimonianze dirette o per rogatoria ed aver acquisito agli atti centinaia di documenti e decine di perizie tecniche ed aver effettuato tre visite di accertamento all’estero e dopo aver espresso alcune raccomandazioni per il miglioramento generale delle strutture e dotazioni delle navi esprimeva – tra l’altro – la richiesta di un  maggior dimensionamento dei pannelli dei boccaporti (colonna battente attuale da 7 metri a 11 metri ) dotazioni anche sulle navi da carico di tute protettive galleggianti e protettive della temperatura del mare da 2° a 30° ed all’unanimità così si esprimeva:

 

che il naufragio della MARINA DI EQUA e la conseguente perdita dell’equipaggio e del carico verificatosi il 29 Dicembre 1981 siano da attribuirsi alle circostanze eccezionali sopradescritte e che, pertanto, il sinistro sia avvenuto esclusivamente per caso fortuito, senza dolo o colpa da parte di chicchesia.”

A noi non resta altro che esprimere – a distanza di 25 anni - il rinnovato e più vivo cordoglio ai famigliari delle 30 vittime e notiamo comunque che una serie di circostanze particolarmente negative quali l’eccezionale cattivo tempo – la distanza dalla costa – l’impossibilità di usare i messi di salvataggio e, soprattutto la giovanissima età della maggior parte dell’equipaggio, rendono ancora drammaticamente collettivo il dolore per una tragedia che ha visto coinvolto tanti individui di questa costiera. A loro và il nostro pensiero e la preghiera: riposino in pace!

 

Fortunato IMPERATO


di LUIGI DE ROSA

Le onde colpivano lo scafo incessantemente, cazzotti in pieno volto, jab destro e sinistro, gancio destro e poi montante sinistro a stordirti. Upper cut infiniti d’acqua salata colpivano rabbiosi, senza pietà, e tu, niente,impotente, sbattuto sul ring della vita a resistere sul ponte di una nave. Un freddo micidiale ed un mare infernale, quel lontano dicembre del 1981, mi riempivano di sconforto l’anima; lo avevo detto ad Hans: “maledetta vita la nostra, anni interi su quest’acqua amara e pochi giorni a terra per carpire affetto a una moglie ed a dei figli che ti guardano di anno in anno, di imbarco in imbarco, come uno sconosciuto, vorrei farla finita!” Ma non so fare altro che governare una nave!”
Poi , d’improvviso, quel gracchiare sommesso e sempre più insistente della radio: ”SHIP ON MY PORTSIDE COME IN… THIS IS A MAY-DAY CALL…” Venisti tu, Hans (secondo ufficiale ) ad avvisarmi”: ”Herr Commander Dieter Hohle una nave è in difficoltà… Comandante, una nave italiana ha lanciato il may-day……” Mi precipitai sul ponte di comando, calcolai il tempo che rimaneva :”quaranta minuti e siamo lì” - Dio dammi di più!, pensai,gridai, pregai Arrivammo che la MARINA D’EQUA era lì, fuscello di metallo in un inferno salato, ago di bussola alla deriva senza più né nord né sud, il rumore di un aereo ci fece sperare in soccorsi che non giunsero mai in tempo,…non furono ali d’angelo a sorvolare i sogni, le speranze e il futuro di quei trenta marinai sorrentini, ma quelle impotenti di un semplice aereo militare francese!
A mio parere Signor giudice il mare inghiottì quella nave in venti, trenta secondi….
Vidi il fanale rosso di sinistra e quello di maestra ancora accesi e poi delle luci nei locali sparire nell’oscurità… in quel mare di pece, vidi quelle luci affievolirsi a poco a poco e poi sparire nella notte che non prevede il sorgere di una futura alba, le onde cucirono il sudario d’acqua che finì per inghiottire tutto e tutti.
Pensai alla luce che brilla negli occhi di una madre a cui danno il batuffolo di carne appena partorito ed alla luce che si spense negli occhi delle madri alle quali comunicarono che quel figlio non l’avrebbero più visto. Pensai al figlio e alla figlia, alle mogli che aspettano con gioia, timore e trepidazione il padre e marito che scende dalla scaletta a fine imbarco ed alla solitudine di quella scaletta vuota, poggiata sul fianco della nave…non scenderà più nessuno.

In ricordo dei trenta marinai della nave Marina d’Equa affondata al largo del Golfo di Biscaglia il 29 dicembre 1981

 

 

A cura del webmaster

Carlo GATTI

Rapallo, 23 Ottobre 2014



"TITO CAMPANELLA": Un naufragio fantasma...

“M/n TITO CAMPANELLA

UN NAUFRAGIO FANTASMA

 

14 gennaio 1984

 

La Bulk Carrier M/n TITO CAMPANELLA in navigazione

 

 

Armatore: AFRAMAR – Savona

 

Stazza lorda= 13.342 tonn.

 

Lunghezza ft.= 175,30 metri

 

Larghezza= 21 metri

 

Cantiere: Ansaldo S.A. Livorno

 

Varata:25-giugno-1961
Consegnata: gennaio 1962

 

Velocità: 13,50 nodi

 

Andata perduta in data 14 gennaio 1984  (Golfo di Biscaglia)

 

Ultima posizione: latitudine=45° Nord – longitudine= 8° Ovest in data 13 gennaio. Persero la vita l'intero equipaggio composto da 24 marittimi.

 

 

 

Oxelösund é una città della Svezia meridionale situata 92 km a SW di Stoccolma. La M/n TITO CAMPANELLA, al comando del C.L.C. Luigi Specchi di Viareggio, partì il 7 gennaio 1984 da questo porto con un carico di 20.000 tonnellate di laminati (steel plate) destinato ad Eleusis (Grecia), dove era attesa il 23 o 24 gennaio. La nave fece bunker a Flushing (Olanda) da dove ripartì il 12 gennaio. L’ultima comunicazione Nave-Roma Radio fu trasmessa il 14 gennaio: “navigazione regolare nel Golfo di Guascogna (Biscay). 100 miglia da Capo Villano” – (Estremità della penisola Iberica). La nave, da lì a pochi giorni, sarebbe entrata in Mediterraneo. Secondo i risultati dell’inchiesta parlamentare, che riportiamo in questo articolo, le condizioni avverse del mare incontrate nel Golfo di Biscaglia provocarono lo spostamento delle pesanti lamiere che avrebbero sfondato alcune paratie dello scafo nella stiva n.5. Da questa falla la nave avrebbe imbarcato tonnellate di mare in brevissimo tempo provocandone l’affondamento. La tragedia fu immediata e da bordo non ebbero neppure il tempo di attivare i soccorsi. A bordo c'erano 23 uomini e una donna, Alga Soligo Malfatti, 1° ufficiale di coperta e moglie del comandante.

«Sembra accertato», scrisse il 26 gennaio 1984 un’importata testata: «la Tito Campanella era fatiscente e non affidabile». Un giudizio che non deve stupire visto che un perito svedese, nel dicembre 1983, firmò un rapporto nel quale si diceva: «La nave presenta numerose deformazioni in tutte le stive, interessanti strutture trasversali e paratie». Inoltre, come sostenne la Commissione d'indagine, la stazione telegrafica di bordo era fatiscente, il personale a bordo insufficiente e i mezzi di salvataggio erano vecchi.

 

 

 

 

A distanza di 40 anni da quel tragico naufragio, siamo andati a visitare il porto di Oxelösund in Svezia. La giornata buia e piovosa ha reso ancora più triste il ricordo di quella lunga “bara” che trascinò con sé il suo equipaggio verso gli abissi.

 

 

 

 

 

 

Quei poveri marittimi furono abbandonati  a se stessi, “prima, durante e dopo il naufragio”. Su quel famigerato epilogo, si lessero tante illazioni, supposizioni, intrecci di verità e menzogne che finirono per confondere le idee a tutti. Il caso si chiuse tra polemiche, inchieste di ogni tipo, ma senza una spiegazione attendibile. La verità sparì in Atlantico con il suo carico, forse “mal stivato”, e con il suo equipaggio incolpevole. La nave era obsoleta, ne veniva da un anno di disarmo e non era in ordine, né sotto il profilo meccanico, né per la robustezza dello scafo. Tuttavia, nessuno di quelli rimasti a terra pagò penalmente per quelle disattenzioni... sicuramente qualcuno pagò per farla partire!

 

“Chi é in mare naviga, chi é in terra giudica”

 

Si diceva un tempo. Purtroppo, chi muore non può difendersi e non può puntare il dito contro i veri responsabili, né raccontare il film di quella tragedia. Le Assicurazioni sistemarono le “cose terrene” e gli armatori girarono pagina... Al contrario, le mogli, i figli, i parenti e gli amici piangono da 40 anni quel dolore senza fine, soprattutto non dimenticano, e noi vecchi marinai con il sale nel sangue, siamo ancora e sempre con loro, con quello spirito di solidarietà che in terra si predica... ma che in mare si pratica sempre, allora come oggi.

 

 

Lo spirito di questo scritto é racchiuso in questo semplice collage di memorie, di ricordi, di articoli pubblicati, di foto raccolte qua e là affinché non si perda la memoria di un NAUFRAGIO ANNUNCIATO, di una “vergogna marinara” che non ha testimoni, ma solo silenziosi uomini di mare che ricordano con dolore quella triste perdita e intendono semplicemente tramandarlo alle nuove generazioni di marinai e alla grande Storia, per non dimenticare!

 

 

Vi mostriamo una serie d’immagini di Oxelösund e del suo porto. Un contesto di isolotti, pinete e canali che fanno da scudo a queste banchine fiancheggiate da dune di minerale che il vento solleva e sparge dovunque. Questi porti sono tutti uguali: isolati e squallidi!

 

 

 

 

 

Da una di queste banchine del porto di Oxelösund (Svezia), la nave mollò gli ormeggi per il suo ultimo viaggio. Superate le insidie del Mar Baltico e del Mare del Nord, fu inghiottita dalle onde del Golfo di Biscaglia. Nella tragedia persero la vita 24 persone dell'equipaggio.

Da questa Stazione uscì il Pilota che  vide la nave ed il suo equipaggio per l’ultima volta.

 

 

 

 

Nelle pagine che seguono, riportiamo una raccolta di articoli che uscirono sulla stampa in quei drammatici giorni e delle ottime foto che furono scattate a bordo alcuni mesi prima della tragedia e che ho raccolto dal BLOG “pagine di mare”. Segue infine la Relazione del Senatore dott. Aldo Pastore alla Camera dei Deputati in merito all'affondamento. Tale intervento, a nostro giudizio, fu molto efficace, preciso e puntuale sotto ogni punto di vista: amministrativo, tecnico-marinaro e politico. Da quella relazione emerse un quadro d’insieme che a definire DISASTROSO sarebbe molto riduttivo.

 

 

Purtroppo, dopo quanto é successo a Genova, il 7 maggio 2013, con l’abbattimento della Torre di Controllo dei Piloti da parte di una nave sub standard, non siamo più sicuri che TRAGEDIE come quella della TITO CAMPANELLA abbiano insegnato qualcosa agli “imprenditori del mare”.

 

E’ giusto affermare che nel campo della SICUREZZA NAVALE si sono fatti passi giganteschi, ma é soprattutto consigliabile non abbassare mai la guardia: contro certi “virus” che si annidano nelle pieghe della peggior marineria del pianeta, non esiste alcun vaccino.

 

 

 

 

Intervento alla Camera dei Deputati del Senatore dott. Aldo Pastore

 

 

Signor Presidente, Signor Ministro, Onorevoli Colleghi,

 

 

 

credo sia doveroso, da parte nostra, tributare un sentito riconoscimento ai componenti della Commissione d'Indagine Amministrativa per il lavoro svolto; si trattava di una inchiesta complessa e difficile, si dovevano valutare, con serena obiettività, tutta una serie di fatti e di circostanze in partenza difficilmente spiegabili o interpretabili; ebbene ritengo che la Commissione abbia svolto questo compito con serietà, diligenza e competenza.

 

 

 

Certo: esistono, nella documentazione presentata, ancora delle lacune, dei nodi non sciolti, dei problemi rimasti insoluti e non si tratta, signor Ministro, di problemi di scarsa importanza; tuttavia la Commissione è riuscita a giungere a conclusioni che mi paiono verosimili e pertanto largamente condivisibili.

 

 

 

Quali sono queste conclusioni?

 

 

 

La Commissione ritiene non esservi più alcun dubbio sulla scomparsa per naufragio della nave.

 

 

Aggiunge che il naufragio stesso è stato repentino ed imprevisto.

 

 

Inoltre la Commissione ritiene che la causa più probabile del Sinistro sia rappresentata da uno spostamento del carico, dovuto ai violenti e bruschi movimenti della nave soggetta ad un mare assai tempestoso.

 

 

In particolare (conclude la Commissione) è verosimile che lo spostamento sia avvenuto nella stiva numero cinque, in relazione al tipo di caricazione e rizzaggio eseguiti in tale settore; lo spostamento avrebbe provocato una falla sul fasciame esterno, determinando l'ingresso dell'acqua con il riempimento della stiva suddetta fino al piano di galleggiamento relativo.

 

 

La "Tito Campanella" affondò quindi parallelamente al proprio assetto, senza quindi che il personale sul ponte potesse tempestivamente rendersi conto di quanto stava accadendo.

 

 

 

 

Queste dunque le sintetiche conclusioni della Commissione di Indagine Amministrativa; ma, stando così le cose, noi tutti, signor Ministro, dobbiamo chiederci quali sono state le cause più antiche che hanno condotto al determinarsi di questo tragico evento.

 

 

E queste cause più remote noi le troviamo scritte qua e là nel contesto della relazione della Commissione; vogliamo aggiungere, in tal senso, che il lavoro della Commissione non ha fatto altro che confermare (totalmente o parzialmente) le certezze, le intuizioni o più semplicemente i sospetti che il nostro gruppo parlamentare aveva puntualmente denunciato nell'interrogazione presentata alla Camera in data 24 gennaio 1984.

 

 

Quali sono queste cause più antiche?

 

 

 

1) La vetustà della nave: si trattava di una nave costruita nell'anno 1962, ridotta (come da noi denunciato nella interrogazione) ad un "ammasso di ferro", rassomigliante ad "un relitto appena tirato su dal fondo".

 

 

Queste nostre affermazioni hanno trovato puntuale conferma nel rapporto redatto dal perito svedese Eric Baldall in data 26-27 dicembre 1983; in tale rapporto si legge, infatti, che "la nave presentava numerose deformazioni ed indentature in tutte le stive, interessanti strutture trasversali, paratie, cielo del doppio fondo ed anche la coperta; nessuna delle stive risultava asciutta: in particolare le stive 1, 3 e 6 contenevano da 7 a 70 centimetri di acqua; anche il ponte della nave è stato trovato rugginoso.

 

 

 

 

2) La stazione radio-telegrafica era fatiscente (come da noi puntualmente evidenziato); a tal proposito è vero che la Commissione ha affermato che "un giudizio esauriente sulla funzionalità delle apparecchiature radio-telegrafiche potrà essere dato solo quando sarà completata la raccolta di tutte le informazioni ancora mancanti", ma vi sono, nel contesto della relazione e della documentazione allegata, indizi certi che la stazione non era idonea allo scopo; basti accennare al contenuto del giornale radiotelegrafico del mese di dicembre 1983 (pagine 8 e 9 della relazione della Commissione di Indagine), regolarmente firmate dal Marconista e vistate dal Comandante della nave, o alle dichiarazioni dell'ex Marconista Nappi Raffaele (pagina 45 della relazione).

 

 

 

3) I mezzi di salvataggio a bordo erano sicuramente vetusti; di questo problema si parla soltanto incidentalmente nella relazione della Commissione; ma che la situazione al riguardo fosse disastrosa lo si deduce dalla descrizione fatta a pagina 5 di tali mezzi di salvataggio.

 

 

Essi erano rappresentati da:

 

 

n. 2 imbarcazioni da 40 posti ciascuna, una delle quali munite di motore;

 

 

n. 1 zattera da 20 posti sistemata a poppa;

 

 

n. 1 zattera autogonfiabile da 6 posti;

 

 

n. 40 giubbotti di salvataggio.

 

 

Orbene, l'età di questi mezzi di salvataggio coincideva con l'età della nave e non si sa se essi siano mai stati usati e se su di essi veniva eseguita una regolare e periodica opera di manutenzione.

 

 

L'unica eccezione è costituita dalla zattera di salvataggio autogonfiabile, che è stata sostituita nel corso dei lavori di riparazione e di manutenzione della nave, avvenuti dal 30 agosto al 17 settembre 1983.

 

 

 

4) Il carico delle lamiere è risultato eccedente, sproporzionato alle caratteristiche statiche della Tito Campanella e per di più sistemato in maniera assolutamente scorretta nelle stive della nave.

 

 

Questa affermazione (che peraltro era già presente nel testo della nostra interrogazione) ha trovato esatta conferma nei documenti acquisiti dalla Commissione ed in particolare risulta evidente nelle pagine 27-28 e 29 della relazione.

 

 

 

5) La composizione dell'equipaggio (così come risulta dalla tabella esibita dall'armatore) era insufficiente perchè non comprendeva né il terzo ufficiale di coperta, né il terzo ufficiale di macchina, espressamente previsti dalla Tabella di armamento, approvata nella riunione tenutasi il 23.10.1983 presso la Capitaneria di Porto di Savona tra l'armatore ed i rappresentanti sindacali.

 

 

Queste sono dunque, a nostro giudizio, le cause più antiche che hanno condotto al tragico evento.

 

 

Ma, signor Ministro, la Commissione d'Indagine Amministrativa ha dato altresì conferma alle nostre certezze ed ai nostri sospetti anche per quanto concerne i soccorsi prestati (o meglio non prestati) ed i ritardi con i quali si sono iniziate le ricerche del la nave scomparsa.

 

 

 

Dalla documentazione agli atti e dalla stessa relazione della Commissione si evince infatti che:

 

 

 

1) nessuna notizia sul mercantile è pervenuta in Italia dal 14 gennaio al 19 gennaio senza che alcuno, ai diversi livelli di responsabilità, si preoccupasse della totale assenza di notizie sul mercantile;

 

 

 

2) i mezzi di soccorso italiani hanno partecipato alle operazioni di ricerca in grave ritardo; questi delicati compiti sono stati, in effetti, delegati ai mezzi di soccorso spagnoli, portoghesi e francesi.

 

 

 

Dalla documentazione allegata alla relazione si ricava infatti che:

 

 

 

a) gli spagnoli hanno iniziato le ricerche della Tito Campanella al mattino del sabato 21.1.1984 (pag. 14) mediante aerei e successivamente hanno attivato alla ricerca anche la marina (pag. 20);

 

 

b) i portoghesi hanno partecipato alle ricerche mediante velivoli, inviati in data 23.1.1984 (pag. 21);

 

 

c) i francesi, dalla stessa data, hanno esplorato la zona nord della punta Estaca de Vares (pag. 51);

 

 

d) gli italiani hanno iniziato le ricerche soltanto all'alba del giorno 26 gennaio (pag. 13) mediante due aerei e due elicotteri, in grave ritardo quindi rispetto agli altri e soltanto dopo la visita a Madrid del ministro Carta (visita avvenuta il 24.1.1984).

 

 

 

Sorge, quindi, a questo punto, il problema delle responsabilità, pubbliche e private.

 

 

Certo: tali responsabilità saranno precisate dagli ulteriori accertamenti che verranno effettuati dalla Commissione d'inchiesta formale, prevista dall'art. 580 del Codice della Navigazione; è ovvio, d'altra parte, che ci troviamo di fronte a responsabilità di tipo diverso, alcune aventi rilevanza penale (e come tali di competenza della Magistratura ordinaria), altre aventi significato più propriamente politico.

 

 

Ma non saremmo sinceri e leali con noi stessi e con la società civile che qui rappresentiamo se, già sin d'ora, noi non esprimessimo il nostro pensiero su tali responsabilità, ben sapendo di pronunciare parole dure ed impietose verso tutti coloro che, in qualche modo, consideriamo coinvolti in questa dolorosa vicenda.

 

 

 

Ed allora dobbiamo dire, senza mezzi termini, che a nostro giudizio, portano grandi responsabilità:

 

 

 

1) La società armatrice:

 

 

- per aver consentito ad una nave di tal fatta di compiere viaggi di navigazione internazionali di lungo percorso;

 

 

- per aver posto in mare la Tito Campanella dal maggio all'agosto 1983 (dopo undici mesi di disarmo), senza far effettuare alcun lavoro di manutenzione (vedi pagina 24); per essersi disinteressata del destino della nave dal 14 gennaio al 19 gennaio, ben conoscendo le caratteristiche statiche del mercantile, ben conoscendo la difficile rotta seguita dalla nave e ben conoscendo, infine, quale tipo di bufera si era, in quei giorni scatenata sui mari percorsi dalla Tito Campanella;

 

 

- per avere provveduto a dotare la nave di un organico di personale insufficiente quantitativamente e qualitativamente.

 

 

 

2) Le autorità ed i tecnici preposti alla caricazione della nave (nel porto svedese di Oxelösund)

 

 

- per aver autorizzato ed effettuato un carico sproporzionato rispetto alle effettive possibilità della nave e, per di più, utilizzando un sistema di rizzaggio tecnicamente inidoneo.

 

 

 

3) Il RINA (Registro Navale Italiano).

 

 

 

- per aver dichiarato che la nave era in regola (con tutte le prescritte documentazioni) allorquando riprese i viaggi, partendo da Genova in data 17.9.1983, dopo aver effettuato i lavori di riparazione effettuati dalla ditta Mariotti, lavori che furono controllati dal RINA tramite i suoi Ispettori.

 

 

- Qualcuno, in particolare, deve venirci a spiegare la contraddizione esistente tra le dichiarazioni del RINA del settembre 1983 ed il rapporto del perito svedese Eric Baldall del dicembre 1983; confrontando le due documentazioni sembra addirittura di trovarci di fronte a due navi diverse, l'una quasi nuova, l'altra ridotta ad un ammasso di rottame; in buona sostanza qualcuno deve dirci come sia possibile che una nave possa aver subito un tale rapido deterioramento delle sue condizioni statiche e funzionali in soli tre mesi; sorge veramente il fondato sospetto che la certificazione del RINA sia stata in effetti una documentazione "di comodo" ad uso e consumo esclusivo dell'armatore.

 

 

 

4) Il Governo italiano

 

 

In questa vicenda le responsabilità politiche del Governo possono ricondursi a due distinti tipi di omissione:

 

 

 

a) la prima (contingente e legata direttamente alle vicende della Tito Campanella) è costituita dal fatto che il nostro Governo ha provveduto ad organizzare e ad inviare i mezzi di soccorso con grave ritardo e senza un organico piano di intervento;

 

 

b) la seconda (di carattere più generale e che trascende l'episodio contingente e coinvolge responsabilità governative ben più ampie e complesse in tema di sicurezza del lavoro in mare) è costituita dal cronico e colpevole ritardo con il quale il Governo onora i trattati e le convenzioni internazionali sulla materia; desidero ricordare, a tal proposito, che dopo il naufragio della "AMOCO CADIZ" il Parlamento europeo ha predisposto una direttiva (trasformata dal Consiglio dei Ministri della Comunità in raccomandazione) contenente disposizioni precise in tema di standards minimi di navigabilità e contemplante, tra l'altro, ispezioni di bordo e l'immobilizzo delle navi in condizioni di substandard, prive cioè delle"condizioni minime"; ebbene il nostro Governo ha sempre e costantemente disatteso tale raccomandazione.

 

 

Analoghe considerazioni possono farsi relativamente alla Convenzione Internazionale SAR '79 relativa ai problemi della ricerca e del soccorso marittimo ed al Regolamento Internazionale delle radio-comunicazioni (emanato a Ginevra dall'Unione Internazionale delle Telecomunicazioni), destinato a facilitare la ricerca della posizione di relitti e di naufraghi nel corso di operazioni di ricerca e salvataggio.

 

 

 

Emergono dunque dalla relazione della Commissione, dalla documentazione allegata ed, in ultimo, dalle "conclusioni e proposte di carattere generale (pag. 63 e seguenti) 1.1 delle gravi e precise responsabilità politiche del Governo; e la conferma di questa assenza del Governo sul tema della sicurezza del lavoro in mare deriva altresì dal fatto che durante l'attuale legislatura il Governo, su questo argomento, è riuscito a varare soltanto il Disegno di Legge n. 1230, Disegno di Legge che, per la sua inconsistenza e per la sua fumosità, è stato addirittura dichiarato improponibile dalla Commissione affari costituzionali di questa Camera.

 

 

 

Concludo, signor Presidente, e voglio terminare questo mio intervento con un auspicio (auspicio che, peraltro, è implicitamente racchiuso anche nei suggerimenti formulati dalla Commissione d'Indagine Amministrativa); voglio cioè augurarmi che tragedie come quella della Tito Campanella e di molte altre navi che l'hanno preceduta non abbiano più a ripetersi in futuro; il progresso scientifico e tecnologico consentono oggi di ridurre, in misura significativa, il rischio del lavoro in mare; è compito del Governo, è compito del Parlamento far sì che la nostra legislazione nel settore vada al passo con i tempi ed anticipi, in qualche caso, le innovazioni tecnologiche più significative, tenendo presente che, costantemente, la vita e la dignità dell'uomo debbono prevalere sempre sulla logica mercantile del profitto.

CONCLUSIONE:

 

Le accuse lanciate dal sen. Pastore sono come un proiettore sul luogo del delitto, hanno il grande pregio di fare chiarezza su tanti punti oscuri e sono ancora oggi molto valide e più che giustificate.

 

 

 

 

 

 

 

Tuttavia, sullo sfondo della tragedia rimangono ancora alcuni interrogativi: com’é possibile, in tempo di pace, che una nave di grandi dimensioni come la “TITO CAMPANELLA” svanisca nel nulla senza lasciare tracce nell’etere (S.O.S-Chiamate di Soccorso), sul mare (lance di salvataggio-zattere) o residui sulla costa? La rotta obbligata che congiunge La Manica a Gibilterra é sempre affollata di navi, com’é possibile che nessuno si accorse della sua sparizione? Probabilmente le condizioni meteo marine erano pessime, ma non proibitive. Non si verificarono (grazie a Dio) altri naufragi in quella terribile zona di mare e non ci furono danni alle città costiere.

 

 

 

 

 

 

 

I motivi del naufragio vanno ricercati altrove. Per fortuna la Storia non ha premura...

 

 

 

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 20 ottobre 2014

 


 

 


TROMBE D'ARIA A GENOVA

 

 

LE TROMBE D’ARIA

UN INCUBO PER L’ARCO LIGURE ED IL PORTO DI GENOVA

Le cronache di mezzo agosto 2014 si sono dovute occupare, ancora una volta, di trombe d’aria che si sono abbattute sulla costa genovese provocando gravissimi danni materiali alle strutture del litorale. Per non dimenticare, abbiamo pensato di rievocare, a dieci anni esatti di distanza, i due episodi che misero in ginocchio il porto di Genova paralizzando il settore “containers” per un anno intero. A quei danni ingentissimi, si aggiunse la morte di un portuale genovese che rimase schiacciato dalla gru che doveva proteggerlo.

31.8.1994 - 17.9.1994

 

Due date che i genovesi non hanno più dimenticato

 

 

Il fenomeno meteorologico si ripeté dopo 17 giorni in un’altra zona del porto di Genova: otto gru furono abbattute.

 

Data

Zona

Tipo di gru

Danni Lire

Mor.Fer.

31

Agosto 1994

P.te Rubattino

Elevatori

 

1 - 50

17 Settem.1994

P.te Libia

Portainer

Centinaia di Miliardi

due date

Su tutto l’arco ligure si scatenarono in quel periodo gigantesche trombe d’aria che portarono scompiglio, allarmi, danni e morte. Forse sarebbe più corretto chiamarli tornado*, perché essi dimostarono la stessa forza distruttiva dei loro parenti americani.

La tromba d’aria si sta avvicinando minacciosa alla diga del porto di Genova.

 

Ai piedi della Lanterna si consumò questa ennesima tragedia. Di prora alla nave si vede la gru appena abbattuta. La “VECTIS ISLE” di appena 2.330 t. é stata risparmiata dalla tromba d’aria per pochi metri.

 

Il 1° settembre ’94, l’autore mise in partenza la piccola nave britannica Vectis Isle (vedi foto) da calata Bettolo ponente, a pochi metri dal punto in cui perse la vita lo sfortunato gruista genovese.

L’anziano comandante inglese era ancora sotto schock e raccontò la tragedia al pilota, così come la vide e la visse: “Seguivamo con apprensione la rotta a zig-zag dell’enorme tromba d’aria che proveniva dal mare, mentre eravamo rinchiusi dietro i vetri del nostro ponte di comando. Quando vidi quell’immensa colonna nera puntare decisamente verso il nostro molo, uscii sull’aletta ed urlai al gruista di scendere e scappare. Il portuale si rese conto immediatamente del pericolo, scese e si mise al riparo dietro la gru stessa, che forse, molte altre volte lo aveva protetto da fenomeni atmosferici ben più comuni.

Distruzione e morte. In primo piano la gru che ha investito lo sfortunato portuale. Le gru di Ponte Rubattino erano - “Elevatori Ansaldo IV” – da sei tonnellate costruiti nel 1952.

Nel frattempo il tornado (così lo definì) colpì ed ingoiò brutalmente la prima gru, quella che era posizionata in testata Rubattino, la sollevò e la scagliò come fosse un giocattolo verso la gru più vicina a noi, la stessa che divenne la tragica tomba di quel pover’uomo che vi si era rifugiato dietro.

Non avevo mai visto nulla di più terrificante! Mi creda, anch’io sono all’ultimo imbarco prima del mio “retire”.

 

Ma oggi sono ancora più triste perché ho saputo dal mio Agente che anche il gruista, la vittima del tornado, era al suo ultimo giorno di lavoro prima della pensione.”

 

Per avere una conferma, ancora più precisa, della forza immensa di queste trombe d’aria, si dovette attendere soltanto diciassette giorni, per assistere esterrefatti alla demolizione di gru alte più di venti metri ed un peso di centinaia di tonnellate.

9Queste gru erano del tipo Portainer, costruite dalle officine Reggiane su licenza Paceco e furono allestite nel 1971. Gru di questo tipo, sono tuttora operative, hanno una portata di 45 tonn. ed uno sbraccio di oltre quaranta metri.

Genova ed il suo porto dovettero attendere circa un anno, prima di vedere rimarginate quelle ferite che tante perplessità avevano suscitato non solo negli addetti ai lavori, ma soprattutto nell’opinione pubblica, tuttora incredula, dinanzi a ciò che razionalmente, è fuori statistica e si chiede:

“come è possibile che nel nostro organizzatissimo porto si possano verificare due identici e tragici incidenti, in tempi così ravvicinati”?

COME SI FORMA LA TROMBA D’ARIA?

 

L’insorgere di questo genere di fenomeni e’ strettamente legato alle condizioni atmosferiche. Quando si e’ in presenza di correnti d’aria calda negli strati inferiori e di correnti d’aria fredda negli strati piu’ alti, possono innescarsi fenomeni turbolenti. A causa della differenza di peso, l’aria calda degli strati sottostanti tende a salire verso l’alto, mentre quella fredda e’ spinta verso il basso. Se le condizioni delle correnti lo consentono, questo movimento di masse d’aria puo’ provocare un cilindro d’aria rotante intorno ad un asse perpendicolare al terreno. Processo di formazione di una tromba d’aria: la continua spinta delle correnti d’aria calda verso l’alto, puo’ allungare il cilindro d’aria verso l’alto creando appunto la tromba d’aria.

*Dalla grande enciclopedia “IL MARE”:

TORNADO: colonna d’aria posta in violenta rotazione, apparentemente sospesa alla base di un cumulolembo. Il terribile vortice presenta in genere un diametro di alcune centinaia di metri; ruota in senso antiorario e produce vento stimato da 100 a 300 km orari. La sua traiettoria è governata dalla sua nuvola madre. Il tornado che non è una per turbazione tropicale come uragani o tifoni, può verificarsi anche in Italia (Venezia 11 settembre 1970), ma raggiunge le massime frequenze in Australia e negli Stati Uniti dove se ne contano fino a 200 l’anno, specialmente nelle grandi pianure dei Fiumi Missisipi, Ohio e Missouri.

Carlo GATTI

Rapallo, 10 Ottobre 2014

 

 


GENOVA PRA' E GLI EX VOTO

GENOVA PRA’ e gli ex voto

 

 

 

Da ragazzino, per andare a scuola, attraversavo l’unica piazza a Prà degna di questa definizione; era eternamente battuta dalla tramontana che, da lì, si dipartiva per spazzare tutti i “carruggi” del mio paese. D’estate, svoltando l’angolo, poteva rappresentare un refrigerio ristoratore, specie se, come spesso capitava, ci si arrivava sudati dopo una lunga corsa per determinare chi fosse il primo; ma d’inverno, proprio no.

 

Si faticava, pur inclinati in avanti, ad attraversarla per la forza di quel vento gelido che ti respingeva, facendoci arrivare a scuola intirizziti, specie quando, ancora piccoli, frequentavamo le prime classi elementari; indossavamo i pantaloncini ricuperati dal fratello maggiore e non era certo lo smunto cappottino a ripararci le gambe rosse dai geloni, afflizione che oggi, con il benessere, è scomparsa.

 

Per fortuna, grazie alla pesante cartella, nessuno di noi è mai volato via col vento.

 


 

Sul fondo, proprio da dove arrivava la tramontana, quasi a chiudere la piazza, c’era una piccola chiesa dipinta a strisce orizzontali bianche e nere, la cui minuta sagoma non riusciva a deviarne le raffiche.

 

 

Era dedicata a San Rocco, il santo francese pellegrino, protettore dalla peste e sempre raffigurato mentre, sollevando un lembo della tonaca, mostra la gamba affetta da un bubbone; al suo fianco, accosciato, l’immancabile “bastardino” che tiene un pane in bocca.

 

Era, se pur minuta, l’unica chiesa della zona, ma tanto piccola e dimessa da non essere mai arrivata a divenire Parrocchia, anche se le anime che raccoglieva, ampiamente lo avrebbe giustificato,

 

La vera parrocchiale, Santa Maria Assunta dal nome altisonante rispetto all’altra, era un’antica pieve in Palmaro, situata al confine con il paese successivo e ancor più vicina ai canaloni lungo i quali scende a buttarsi in mare la tramontana, ma molto decentrata rispetto al paese di cui era Parrocchia.

 

S. Rocco, l’avevano costruita proprio dove un tempo c’era la spiaggia; così la vollero i pescatori che, anticamente, contribuirono ad erigerla. Pensarla lì, vicino alla spiaggia  mi fa venire in mente i versi del poeta Vincenzo Cardarelli, là dove nella sua <sera di Liguria > scrive:

 

Sepolto nella bruma il mare odora

le chiese sulla riva paion navi

che stanno per salpare

La edificarono lì sulla battigia perché, in caso di improvviso, impenetrabile “caligo”, agli uomini sul mare dava la certezza di poter tornare: bastava, in quella improvvisa impenetrabile nebbia, orientare le prue al suono delle sue campane, appositamente suonate a martello, per rientrare dalle loro donne, sempre in ansiosa attesa.

 

Lungo il lato di levante della vecchia chiesetta, scorreva un rigagnolo nel quale le donne lavavano i panni per poi asciugarli stesi tutt’attorno, sulla tiepida rena.

 

All’inizio del secolo scorso, quando costruirono la ferrovia, sottrassero al paese una fetta di spiaggia proprio davanti a San Rocco; sul tratto rimasto verso monte, vi pavimentarono quella piazza che io dovevo attraversare contro vento. La Domenica era, da quando la fecero, luogo d’incontro fra i contadini del circondario e i pescatori del borgo. L’estate poi, una serie di panchine di ghisa, ombreggiate dalle piante che ne contornavano il quadrato confine, permettevano agli anziani di ritemprarsi  alla brezza della sera.

 

In tempi recenti hanno demolito la chiesetta e realizzato una diversa e più moderna piazza. La nuova soluzione, quando la decisero a tavolino in un qualche Ufficio dell’Urbanistica Comunale della Grande Genova, avrebbe dovuto essere un luogo di “aggregazione sociale”; divenne invece una disordinata zona di parcheggi. Ancora una volta, ciò che i semplici popolani non vollero fare, lo attuarono i moderni, pretenziosi urbanisti.

 


 

All’interno di quella chiesetta, proprio appeso al centro del soffitto dell’unica piccola navata, c’era un grande modello di veliero navigante…nell’aria sopra le nostre teste, armato con mille sottili sartie che non ho mai capito se erano veri fili o ragnatele ricoperte da antica polvere; ogni volta che andavo la sotto a sognare, con lui navigavo nel mare della mia fantasia. M'avevano detto che era un “voto”; ma allora perché, mi chiedevo, al parroco hanno dato, come voto, un così bel regalo e invece a me, sulla pagella, pur chiamandoli con lo stesso nome mi rifilano sfilze di bassi e temutissimi “numeri”?

 

Solo quando non fui più capace di sognare, ne compresi la differenza sostanziale.

 

Quello è il primo “ex voto” che ricordo; in tutte le chiese legate alla vita di mare, ce ne sono o, meglio, ce n’erano, sino a che i fanatici interventi censori di Calvino e Lutero e successivamente quelli persecutori dei seguaci della rivoluzione francese a ciò sospinti dal vento che la seguì, ne fecero piazza pulita. In fine, ciò che era scampato da queste ottuse bufere, non sopravisse alla mal digerita voglia di modernità che sconvolse molti parroci subito dopo la fine dell’ultima guerra; li dispersero, vendendoli a privati o ad antiquari spregiudicati, favoriti in ciò anche dall’abituale incuria con la quale custodiamo le “cose di tutti”. Si è persa così, per sempre, una tangibile testimonianza della pochezza umana davanti al  temutissimo strapotere della natura o del destino.

 

Certo, anche inconsciamente, ad alimentare l’insicurezza di chi andava per mare c’era la fredda statistica che, al riguardo, parlava chiaro; dai registri navali si deduce che, nel 1800, su cento navi varate, solo trenta arrivavano alla “pensione” operando; tutte le altre finivano distrutte prima.

 

Questa vera e propria ecatombe, ben nota agli interessati, é alla base delle promesse fatte dal marinaio al suo Dio non solo per scaramanzia, anche se quest’ultima, si dava come imbarcata assieme all’equipaggio; era tangibilmente evocata, sotto forma di scritte o simboli, ben visibili sugli scafi, ad evidente scopo “preventivo”.

 

 

L’occhio di cubìa, il foro attraverso il quale oggi passa la catena dell’ancora, è un retaggio dell’antico occhio magico fenicio, un tempo dipinto a protezione sulle prue delle imbarcazioni, ma che ancor oggi lo si trova in molte barche del Sud e lungo la riviera Adriatica.

 

Queste testimonianze di patti, rispettati e  sciolti tutte le volte che  veniva superato il rischio, erano, per più della metà, dedicati a ricordare uno scampato naufragio, il pericolo più temuto, ma anche il più frequente documentando, nel frattempo, che l’aiuto soprannaturale, specie quello della Vergine, non è mai stato disgiunto all’innegabile perizia dei vecchi lupi di mare, nocchieri di quelle imbarcazioni.

 

L’esigua quantità d’ex voto arrivati sino a noi, riproducenti l’attimo in cui il singolo, ormai impotente, si sia salvato dal fortunale grazie al determinante aiuto divino o per essere stato sottratto ai marosi dal coraggioso intervento dei compagni di sventura, attesta che la sopravvivenza in mare era cosa rara e quasi mai riservata al singolo, assolutamente “disarmato” contro le forze scatenate della natura.

 

Ricorda Omero che lo stesso Agamennone, non appena la sua flotta raggiunse i lidi di Troia, offrì voti a Nettuno; come si vede, da sempre la marineria e gli ex voto hanno “navigato” di concerto.

 

Queste tangibili testimonianze, siano esse bassorilievi, quadri, sculture, sbalzi, incisioni o tele ricamate, documentavano l’episodio accaduto, visualizzando il sentimento di gratitudine dell’interessato per lo scampato pericolo; raramente furono eseguiti di pugno dell’offerente e, quei pochi realizzati, sono oggi facilmente riconoscibili perché ricchi di minuti dettagli, noti all’interessato ma non certo ad un pittore “routinier”, specializzato in ex voto a cui, all’epoca, spesso ci si rivolgeva.

 


 

Sono sempre eseguiti con tecnica ingenua e, sovente, dipinti su frammenti di rozze tele, le stesse utilizzate per riparare le vele o, se oleate, recuperate fra quelle pronte per rattoppare teloni impermeabili. Altri sono dipinti su fogli di rame, certamente scovati in cambusa fra i ricambi per rimpiazzare le tessere dello stesso metallo che rivestiva l’opera morta e che, molto spesso, venivano strappati dai più imprevedibili urti o strisciate. In tutti questi casi i colori utilizzati erano inequivocabilmente pitture grasse, sempre presenti a bordo per i ritocchi di manutenzione. L’autore, ormai in simbiosi con la nave sulla quale, spesso, vi aveva trascorso anni di navigazione senza più aver visto i propri congiunti, ne descriveva minutamente i particolari che ben conosceva, a scapito del “respiro artistico” che oggi ricerchiamo ma che lui, normalmente, non possedeva. Lo stesso ragionamento vale per le barche racchiuse in bottiglia e per le tipiche “mezze navi” incorniciate e sotto vetro e con i fiocchi di cotone impolverati a sopperire il mare.

 

La maggior parte degli ex voto, o come un tempo si diceva “tabelle votive”, giunti sino a noi, sono stati invece sovente realizzati da artigiani anonimi, che avevano bottega o presso i Santuari più frequentati dai marinai o lungo i moli dei porti. Nell’attesa dei clienti, si preparavano già un abbozzo di quadro per meglio valorizzarlo al momento di esibirlo al committente che n’avesse fatto richiesta; poi, a pagamento, apportavano quelle poche, indispensabili varianti o semplici specifiche per far sì che aderisse il più possibile all’episodio descritto loro dal cliente. In molti casi quindi, le navi o i panorami raffigurati non ci danno testimonianza di verità. Possono addirittura ritrarre imbarcazioni immaginarie che, però, divengono credibili grazie ai nomi e alle didascalie poste a chiarimento; quelle sì sempre veritiere.

 

Brigantino "N.S. del Monte Allegro" - 25 maggio 1858: Il Capitano Bartolomeo Rossi ed il suo equipaggio sono tratti in salvo dopo aver naufragato. (Autore: Domenico Gavarone)

 

Naturalmente le “tabelle votive” possono anche avere lampi artistici, secondo il sentire dell’artigiano che le ha realizzate, senza dimenticare che molto spesso giocava un ruolo importante il prezzo pagato dal committente, che poteva lievitare, non perché ne riconoscesse il maggior pregio, ma semplicemente perché desiderava far apportare quelle poche, ma indispensabili modifiche ad opere pressoché finite, così da rendere il più possibile aderente alla realtà la raffigurazione del fatto realmente accaduto. E’ intuibile che non tutto filasse liscio; il compromesso, anche qui, era indispensabile per far quadrare i magri risparmi di cui il marinaio poteva disporre, con l’ineludibile pressione morale che gli imponeva di sciogliere il voto, così come pattuito, <costi quello che costi >.

Nei casi in cui si fosse impegnato a scioglierlo al <primo porto che toccherò >, è naturale che dovesse orientare la propria scelta su qualcosa di quasi pronto, a scapito della veridicità dell’accaduto perché, se non poteva ritirarlo alla successiva franchigia, una volta aggiornato lo portava, seduta stante al Santuario e, di nascosto dai compagni. Quella promessa era una delle poche cose intime che poteva e doveva restare tale, fra chi era invece costretto a condividere diuturnamente tutto con tutti. O al Santuario prescelto o, se diversamente pattuito, lo donava poi a quello più prossimo al primo porto che avesse toccato.

 

Però non erano rari i casi in cui l’intero equipaggio si tassasse per donare un ex voto, degno del loro vascello.

 

A volte capitava che, versato il primo acconto, il committente sparisse per lungo tempo, per quello strano destino che accompagna la gente di mare e che faceva scrivere a Vittorio G. Rossi <sul mare l’uomo non lascia traccia di sé >.

 

Passato un ragionevole lasso di mesi, chi subentrava come acquirente allo “scomparso” che l’aveva commissionato, poteva ottenere forti sconti dal pittore, perché parte del prezzo lo aveva già pagato il primo; bastava, al solito, non richiedere molte varianti, per fare un affare con buona pace dei posteri, convinti di poterci sempre leggere una veritiera pagina di cronaca.

 

Molti furono anche gli “ex voto” realizzati su carta, rivelatasi poi facilmente deperibile per l’umidità sempre presente nelle vecchie Chiese, specie quelle vicino alle spiagge costruite, all’epoca, utilizzando la stessa sabbia di mare circostante, carica di sale mentre, altri, raramente arrivati sino a noi perché troppo fragili, erano dipinti su vetro anche se sarebbe più corretto dire “dietro il vetro”, con la stessa tecnica utilizzata dai cinesi per decorare, dipingendole dall’interno, le “sniff-bottles”; si tratta di raffigurare per primo, ciò che deve apparire in “primo piano” per chi guarda il vetro e poi sovrapponendovi i successivi “retro-piani” sino al fondale con le nuvole e, per ultimo, il cielo così che guardandolo appaia come il più lontano. Quelli che sono giunti sino a noi, si sono salvati perché il vetro li ha protetti dalla corrosione della polvere, dalle rare e grossolane ripuliture e dai fumi delle candele o dell’incenso che, proprio in quelle cappelle e per le stesse motivazioni devozionali, ardevano, sostentate da chi, a casa, aspettava pregando, il ritorno incolume del congiunto.

 

Non si hanno tracce di lavori eseguiti da artisti già affermati all’epoca mentre si conoscono alcuni nomi degli artigiani che andavano per la maggiore presso i committenti; firmavano le opere e, in molti casi, indicavano pure l’indirizzo della bottega. Si sa, da sempre, la pubblicità è l’anima del commercio.

 

Molto ricercati sono gli ex voto, oggi rarissimi perché oggetto d'interessata speculazione, scolpiti o incisi su avorio, ricavato da denti di capidoglio o similari; ormai veri e propri pezzi da museo, quelli istoriati nell’attorcigliato corno del narvalo, cetaceo dei mari artici.

 

Santuario di N.S. di Montallegro – Rapallo. L’ex-voto su lamina d’argento raffigura la “caracca ragusea”, simbolo di destrezza e perfezione tecnica. C’è capitato di scoprire proprio a Dubrovnik (ex-Ragusa) altri esempi di Ex-Voto marinari, molto simili ai nostri e quasi sempre rappresentati con la “caracca di epoca colombiana”.

 

Nel caso in cui l’ex voto fosse stato “solenne”, in altre parole, voluto dall’intero equipaggio, era fatto sbalzare su lastra d’argento (da non confondersi però con quelli a forma di cuore o arti che sono altra cosa) e raffigurava sempre il vascello “miracolato”; in questo caso, poiché tutti contribuivano alla spesa, ci si poteva permettere di far realizzare dal <fravego > (l’argentiere), un’opera di maggior impegno e costo.

 

Il Comandante, coinvolto in prima persona quale “coadiuvante della Divinità”, mai avrebbe voluto dare l’impressione ai devoti del luogo, specie se in zona era conosciuto, di aver lesinato sull’ex voto. Ne sarebbe andata della sua onorabilità, giacché nel cartiglio sempre appariva, oltre al nome del vascello, anche il suo che, è certo, in quel terribile frangente l’aveva abilmente pilotato a salvamento, naturalmente con l’indispensabile e decisivo aiuto dalla Vergine che, normalmente, era effigiata, quale apparizione, sopra l’albero di maestra.

 

I rischiosi viaggi in Terra Santa, i pericoli per raggiungere nuovi mercati e gli abbordaggi dei pirati, hanno per anni alimentato questa pratica, contribuendo non poco a quel florido mercato fra gli artigiani del settore.

 

Santuario di N.S. Montallegro - Rapallo – Nave a palo

FRANCISCA 1874. Lamina d’argento sbalzata.

 

 

In aggiunta a queste paure c’erano poi le intrinseche limitate sicurezze offerte sia dai velieri che dai precari ridossi utilizzati a mo’ di porti, spesso non protetti da ogni tipo di fortunale. In quelle cale generalmente i battelli sostavano direttamente davanti alla spiaggia prevista, insabbiandovi la prua per facilitare lo sbarco e la consegna delle merci; venivano assicurati piantando nella spiaggia due ancore divaricate fra loro e, di poppa, stessa misura ma con due ancore calate in mare. Questi accorgimenti evitavano che l’onda di poppa li potesse spiaggiare irreparabilmente né, in contrapposizione, che il risucchio li riportasse al largo.

 

Così ormeggiati, i marinai e gli uomini di fatica scaricavano la merce, utilizzando per sbarcare, precarie lunghe passerelle formate da tavole di legno sorrette da taccate, sulle quali camminare caricati della merce da recapitare; per farlo senza spezzare quelle sottili passerelle congiungenti i vari sostegni, era indispensabile adottare un armonioso passo ritmico, quasi di danza che, grazie al sincrono appoggiare dei piedi nel mentre l’asse “ritornava” dalla flessione precedente, permetteva a chi vi transitasse di caricarla nel punto, altrimenti debole, proprio  nell’attimo in cui, inarcata verso l’alto, garantiva il massimo della resistenza.

 

Gli "ex voto" non furono però un fenomeno solo Mediterraneo ma, come si riscontra sovente nella marineria mondiale, tutti gli addetti hanno, da sempre, adottati comportamenti equivalenti. Certo da noi, poiché il nostro mare fu il primo ad essere navigato, i marinai, come tutti coloro che appartengono alle fasce più indifese e maggiormente esposte ai pericoli, hanno da sempre affidato le loro vite al Soprannaturale, unica assicurazione gratuita, vecchia quanto l’uomo.

 

Non sempre i voti erano necessariamente sciolti nei nostri porti; per il marinaio, vero cittadino del mondo, ogni approdo era buono per “onorare” il debito di riconoscenza contratto in momenti terribili.

 

 

Il brigantino a palo ITALIA, costruito nei Cantieri di Varazze per l’Armatore Dall’Orso di Chiavari nel 1882, naufragò sull’isola di Tristan da Cunha nell’ottobre 1892.

 

Questa è la ragione per la quale si trovano testimonianze un po’ ovunque; si ha notizia di nostri ex voto, a Tristan de Cuna nelle omonime isole sperdute nell’oceano, dove esiste ancor oggi una comunità di liguri, sino ad arrivare alle lontane Falkland. Ad offrirli non erano però solo marinai nostrani; era pratica comune ai greci, ai francesi, agli spagnoli, ai tedeschi, agli austriaci, ai portoghesi ed agli Inglesi e poi, scoperte le Americhe, anche i marinai di laggiù continuarono la tradizione, retaggio dei loro padri europei. Persino i freddi nordici, ad iniziare dai Vichinghi, offrivano ex voto ai loro protettori che spesso, com’è facile immaginare, non coincidevano con i nostri: ma pur sempre d’ex voto offerti con lo stesso spirito si tratta!

 

Possiamo concludere con quanto ha scritto il Rettore del Santuario di Nostra Signora di Montallegro che domina il Golfo del Tigullio e, nel quale, forse più che altrove, si custodiscono il maggior numero di ex voto marinareschi, nella prefazione del bel volume “Ex voto a Montallegro”, edito dal Comune di Rapallo e redatto con perizia e amore da Maria Angela Bacigalupo, Pier Luigi Bennati ed Emilio Carta, appassionati e puntuali ricercatori, là dove conclude < Visti nel loro valore religioso, risultano un segno rivelatore dell’apertura trascendentale dello spirito umano e, riferiti all’evento mariano, costituiscono una chiara testimonianza di come esso viva e s’incarni specialmente nella cultura popolare. Per questo è legittimo l’appello: salviamo gli ex voto, custodiamoli con intelletto d’amore, sappiamo coglierne il messaggio.>

 

Renzo BAGNASCO

 

Rapallo, 11 Ottobre 2014

 

Tratto dal libro: “Liguria amore mio” – Mursia Editore

 

 

 

 

 


DALARNA, una regione svedese molto speciale.

 

 

DALARNA

una regione svedese molto speciale.

 

Partire per il Dalarna, regione centrale della Svezia, é per gli svedesi un‘immersione nella tradizione: qui vivono i troll,  babbo-natale (Jultomten), la festa del “midsommar” (24 giugno). Qui cominciano le colline e gli sport invernali, le terre dei Sami, i pascoli di renne e qualche incontro sgradito con lupi, orsi e alci.

 

 

 

Costumi del Dalarna


 

I grandi fiumi scendono tutti per Sud-Est e sfociano nel Golfo di Botnia. Fino al 1997 c’era in uso il “flottning” di tronchi tagliati nelle sterminate foreste di pini, abeti e betulle che erano trascinati dall’impetuosa corrente verso i porti del distretto di Gävle, Söderhamn, Hudiskvall, Sundsvall, Härnosand, Umeå ecc...

Il Dalarna, per queste sue caratteristiche a tinte molto forti, é in prima fila nel regalare simboli, marchi e loghi al settore turistico della Svezia.

 

 

La Vasaloppet è una gara di sci di fondo su lunga distanza (maratona sciistica), che si svolge annualmente in questa regione, la prima domenica di marzo. È la più vecchia, più lunga e più grande gara di sci di fondo del mondo. Durante l'ottantesima edizione, disputata il 7 marzo 2004,  circa 15.500 sciatori gareggiarono nella gara principale, che si svolge su una distanza di 90 chilometri tra il villaggio di Sälen e la città di Mora.  Un totale di 40.000 persone hanno partecipato ad una delle sette gare tenutesi nella prima settimana di marzo. La gara nacque nel 1922,  ispirandosi al percorso che il futuro Re Gustavo Vasa aveva compiuto nel 1520.  Il vincitore della prima edizione fu Ernst Alm di Norsjö che ancora oggi è il più giovane vincitore della gara.

 

 

Il Dalarna é la regione della Svezia centrale dove si fondono il modernismo europeo con le lunghe distanze nevose e piene d’incognite. Da questa terra di artisti, citiamo soltanto i pittori Carl Larsson e Anders Zorn, provengono quasi tutti i simboli della Svezia: i cavallini colorati (Dalahästen) nella foto, i pupazzi di alci e caproni, le corna di renna e di altri cervidi, le pitture, i tessuti particolari, gli orologi e i coltelli di Mora.

 

 

Da queste parti sono abbastanza frequenti le collisioni stradali con gli alci.

 

 

Più a Nord ci s’imbatte facilmente in branchi di renne.

 

 

 

Sopravvivono gli accampamenti Lapponi che qui si chiamano Sami. Non mancano gli orsi bruni che ogni tanto si aggirano tra le case e le linci, secondo le statistiche, sono 1.500.

 

 

I laghi pullulano di lucci che superano il metro di lunghezza.

 

Ci siamo mossi sul parallelo che dal porto di Gävle (Botten Havet) giunge al lussureggiante lago Siljan, costellato da decine e decine di isolotti dove gli svedesi vanno a rifugiarsi d’estate presso quelle casette rosse di legno (sommarstuga) con i bordi bianchi che fanno capolino tra i boschi. Il colore rosso scuro delle abitazioni di campagna di tutta la Svezia, é fabbricato nella città di Falun, e si chiama “Rosso Falun”. La nostra meta é proprio questa città di provincia, 26° posto in classifica con i suoi  35.000 abitanti, a metà strada sul parallelo che unisce il Siljan a Gävle.

 

In questa parte della Svezia, che é molto lontana dai rumori delle grandi città, il bisbiglio umano non supera mai quello del vento, anche nei giorni di bonaccia. Persino le martellate degli operai sulla strada sembrano chiedere scusa ai passanti, e sono ovattate.

Ci prepariamo mentalmente ad un soggiorno rilassante, dedicato alla raccolta di funghi porcini (ignorati dalla cucina locale), mirtilli neri e rossi, di qualche pescata di lucci e alla caccia fotografica di alci, lepri, caprioli, falchi che all’imbrunire escono dai boschi e pare abitino solo da queste parti.

 

Entrando da Ovest nel centro abitato, ci accorgiamo di uno strano museo all’aperto tra dune di minerale e qualche monumento: si tratta di un complesso minerario di rame, tra i più importanti al mondo. Ormai dismesso e convertito all’archeologia industriale. Qui tutto si rinnova in continuazione e guai a non avere il tom-tom aggiornato.

 

 

A poco a poco scopriamo una decina di Chiese tra cui svetta l’imponente duomo “Kristine Kyrka” del 1600 (foto sopra). Tra un filare di case e l’altro del centro città, si penetra in macchie di verde che coprono tutto: monumenti e ville importanti, fontane e supermercati. Pare che da queste parti abbia importanza soltanto l’aria che si respira. I Verdi impazzirebbero di gioia!

 

 

Questa strana costruzione a lamelle é una delle sedi universitarie di Falun

 

Rimaniamo basiti quando scopriamo che 18.000 studenti universitari arrivano ogni anno a Falun da tutto il mondo per i corsi ERASMUS e per le eccellenti facoltà umanistiche, linguistiche e per quelle scientifiche di Borlänge, situata a 12 km di autostrada.

 

Ci spostiamo verso il centro universitario, ubicato alla periferia Est della città. Qui iniziano le pinete e i filari di candide betulle che, a loro volta, fanno da schermo ad un Centro Sportivo tra i più grandi al mondo. In primo piano si notano le piscine scoperte. A destra inizia il Centro sportivo di cui riportiamo il grafico qui sotto. Cominciamo a non capirci più niente!

Rappresentazione grafica degli impianti sportivi invernali di Falun. Non appaiono gli impianti estivi: campi da calcio, bandy, basket, galoppatoio, golf che circondano l’intero struttura rettangolare.

 

 

 

Entriamo all’Università. Pare che la luce i colori e la funzionalità siano state le principali linee guida degli architetti.

 

 

 

 

Questa é la biblioteca dell’Università: 2.600 m2 d’estensione, 400 posti per gli studenti. 3.600 metri disponibili per i libri.  Disegnata dagli architetti danesi Anders Lonka, Martin Laursen e Martin Krogh, l’opera ha ricevuto quest’anno il 1° premio dalla World Architecture Festival. Ogni tavolino espone la bandierina della lingua parlata dagli studenti in quel momento.

 

A poco a poco scopriamo che pur parlando svedese, non ci si può permettere alcuna distrazione perché l’interlocutore locale ti si rivolge subito in inglese. Qui tutti parlano la lingua inglese senza il minimo intoppo. La stessa università usa l’inglese anche per i corsi di svedese. Gli stessi esami in lingua locale prevedono l’inglese come lingua base per la comunicazione. La futura classe dirigente che viene formata da queste parti, come si può facilmente intuire, si serve di parametri ben lontani da quelli nostrani.

 

 

Questo é lo Ski Jumping di Falun che nel 2014 ha ospitato il Campionato del mondo della specialità. Nel 2015 qui si terrà il FIS Nordic Ski World Championships: Sci di fondo, otto specialità - dal 18 febbraio al 1 marzo 2015. Gare di salto dal 19 febbraio al 28 febbraio 2015. Combinata Nordica dal 20 al 28 febbraio 2015.

 

Usciamo dall’università con un vago senso di vergogna... ma siamo rincuorati dalla visione di questo gigantesco trampolino per il salto con gli sci che ci proietta nel mondo dei sogni... Scattiamo qualche foto e ci troviamo davanti ad un centro Sportivo di dimensioni esagerate. Entriamo, andiamo al Bar e chiediamo informazioni. Veniamo a sapere che per tutto il mese di febbraio 2015 si svolgeranno i Campionati del mondo di discipline nordiche e che gli alberghi, pensioni, abitazioni private ecc... sono prenotati da cinque anni.

 

Ecco come si presenta il “generale” inverno da queste parti...

 

 

Da ogni lato di questo lunghissimo corridoio, di cui non si riesce ad vederne la fine, si notano, attraverso ampie vetrate, palestre di ogni tipo, campi di basket, curling, hockey, piscine, campi da tennis, piste di atletica ecc...In questa struttura esiste anche uno dei più attrezzati laboratori del Paese per la fisiologia dello sport.

 

 

Confrontando i prezzi esposti per la pratica di ciascuna disciplina sportiva, ci accorgiamo che vivere lo sport in Svezia costa meno che in Italia, e ci spieghiamo come il pagare le tasse a “governi onesti” sia la chiave di lettura per capire le ragioni di quelle posizioni occupate dai Paesi Scandinavi ai vertici delle classifiche mondiali

 

Ogni volta che veniamo da queste parti, notiamo quanto la gente sia calma e nello stesso tempo attiva  nel compiere opere pubbliche e private di notevole modernità. I migliori cervelli, da queste parti, sono al loro posto, cioé in alto. Qui si raggiungono le vette per meriti acquisiti, non per i voti raccolti nelle sedi dei partiti. Qui non esiste il politico di professione, ma é premiato il politico che porta le novità che necessitano al Paese e le sappia realizzare.

 

Che dire ancora? Forse é meglio soprassedere ... chiedendoci: se questa é la “provincia svedese”, chissà cosa ci toccherà vedere nelle grandi città sulla stessa latitudine di Stoccolma?

 

Conclusione: Il modello nordico é off limits per gli italiani e ci viene in mente una citazione che é sempre attuale nel nostro Paese: gli Inglesi il commercio, i Francesi lo spirito, gli Italiani l’odio di parte.

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 10 Ottobre 2014

 

 


A CACCIA DI AURORE BOREALI

A CACCIA DI AURORE BOREALI

Galileo tentò di dare una spiegazione scientifica al fenomeno dandogli il nome che tutti conosciamo, ma si dovette arrivare all’800 per avere la prima “autentica” spiegazione dell’aurora boreale dal fisico norvegese Kristian Birkeland. L’evento è dovuto al flusso di radiazioni che provengono dal Sole ed entrano in contatto con il campo magnetico della Terra, formando particelle elettriche che a contatto con l’atmosfera emettono una luce spettrale.

Le teorie di Birkeland non furono mai del tutto accettate dalla comunità scientifica e la conferma delle sue intuizioni si ebbe soltanto dopo il lancio in orbita del primo satellite nel 1960.

 

Diciamo subito che per uno scandinavo del Centro Sud della Scandinavia é abbastanza raro assistere ad una Aurora Boreale, ma non é facile neppure vederla danzare oltre il circolo polare artico. Il fenomeno si delinea raramente e senza appuntamento, con fasci di luce a spirale verde e fluorescente, gialla, azzurra e violetta. Un tempo la spettacolare visione intimoriva le popolazioni della taiga Nordica che le attribuivano origini divine da cui scaturirono leggende fantastiche.  Per gli Inuit é la danza dei bambini morti; la volpe “Revontulet” disegna per i Lapponi scintille variopinte che proietta con la lunga coda sulla terra dove si formerebbero sentieri di neve luminosi che aiutano gli spiriti a ritornare alle loro case.

 

 

 

La studentessa Gun Marie Gatti (che ha messo la prua a NORD per ragioni di studio), ha avuto la fortuna di fotografare l’Aurora Boreale sopra il cielo di Falun (Dalarna-Svezia). Era il 13 settembre 2014. L’affascinante spettacolo é durato dalle 00.30 alle 01.15.

 

Secondo gli scienziati il picco solare, chiamato Solar Maximum, che ha una ciclicità di 11 anni, si avrà proprio nell'inverno 2014/2015. Eccezionali tempeste magnetiche solari solleveranno nel cosmo folate di particelle energetiche tingendo di verde, rosso e viola le notti dei Sami.

Non manca l’industria turistica legata al fenomeno Aurora Boreale.

 

Si può soggiornare nelle cittadine dei diversi paesi lapponi. Nella parte svedese, i più audaci possono optare per il piccolo villaggio di Jukkasjärvi, non lontano da Kiruna, dove si trova il famoso Albergo di ghiaccio. A Kiruna c’é la possibilità d’imbarcare su un Jetstream32 (circa 850 euro), si superano le nuvole con maggiore possibilità di vedere l'aurora boreale. La durata del volo è di circa 45 minuti per un'escursione che dura in totale tre ore. Le stesse possibilità d’osservazione sono offerte nella Norvegia artica, a Tromsø o alle isole Lofoten, oppure a Rovaniemi in Finlandia, situata a breve distanza dal Napapiiri (Circolo Polare Artico). Ad Alta, nel nord della Norvegia, vengono organizzati safari notturni in motoslitta lungo le vaste pianure innevate tra boschi di betulle che salgono verso gli altopiani. Si dice che sia ancora più entusiasmante poter ammirare l'Aurora Boreale dall'aereo in un volo notturno organizzato dallo Spaceport Sweden . 
 Si può anche scegliere un itinerario di più giorni con pernottamento in rifugi o nelle tradizionali tende Sami tra le montagne.
Per i meno avventurosi, é consigliabile una comoda crociera a bordo dei postali Hurtigruten che da Bergen risalgono la costa norvegese, superano Capo Nord e giungono al capolinea Kirkenes. Per noi latini-rivieraschi, questo é il modo più comodo per godersi le notti artiche.

 


 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 10 Ottobre 2014

 


 

 

 

 


NAVIGARE TRA I GHIACCI - 2 -

NAVIGAZIONE NEI GHIACCI

 

 

L'amico e collaboratore Maurizio Brescia, Vicepresidente di Mare Nostrum, ci ha inviato una serie di interessanti immagini relative ad un viaggio nel Golfo di Botnia a fine dello scorso anno. Ecco il suo resoconto.

 

Il 28 dicembre 2009 ho effettuato una navigazione di un giorno a bordo del rompighiaccio finlandese Sampo, con partenza e arrivo nel porto di Kemi (Finlandia settentrionale). La navigazione ha avuto luogo nelle acque settentrionali del Golfo di Botnia, che divide la Svezia dalla Finlandia.


Il rompighiaccio Sampo nelle acque gelate del Golfo di Botnia

(Foto Maurizio Brescia)

Il Sampo è stato varato nel 1961 dai cantieri Wartsila di Helsinki e - sin verso la metà degli anni Novanta - ha prestato servizio con l'Autorità Marittima finlandese. Successivamente è passato in gestione alla municipalità di Kemi che,oltre ad utilizzarlo per compiti "istituzionali" in zona, lo ha destinato ad un uso maggiormente "turistico" per  brevi crociere giornaliere e di durata anche più lunga.
 Il Sampo è lungo 75 mt., disloca circa 3.500 t. e dispone di un apparato motore diesel elettrico su due assi, composto da quattro motori Wärtsila e da quattro generatori, per circa 19.000 cv di potenza.

 

 

Alcune belle immagini del viaggio di Maurizio Brescia

La navigazione sul Sampo è davvero consigliabile a tutti gli appassionati di cose di mare. Per maggiori informazioni è visitabile il sito http://www.sampotours.com/ (anche in italiano).

 

Maurizio BRESCIA

webmaster Carlo Gatti

18 Ottobre 2014

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PILOTI GÄVLE - GOLFO DI BOTNIA

 

STAZIONE PILOTI BÖNAN – GÄVLE

 

GOLFO DI BOTNIA

Il porto di Gävle si trova nella parte meridionale del Golfo di Botnia. Appare nella parte alta della cartina. Le isole Åland costituiscono la porta d’accesso al golfo. I Piloti coordinano il servizio anche dei porti limitrofi e da questa stazione le navi possono imbarcare, facoltativamente, il Pilota per qualsiasi destinazione del Botten Havet.

 

 

 

 

 

 

Il Golfo di Botnia, parte settentrionale del Mar Baltico, é un'insenatura larga da 100 a 200 km e lunga 600, con coste frastagliate fronteggiate da isole spianate dalla glaciazione quaternaria. Per i molti corsi d'acqua che vi sfociano e la scarsa evaporazione, le sue acque sono pochissimo salate e il golfo gela in inverno.

 

Verso la fine degli anni ’90, durante un pilotaggio nel porto di Genova, conobbi il comandante svedese Anders Nordin, il quale mi raccontò che suo padre, pilota del porto di Gävle, morì assiderato per essere caduto in mare dalla  biscaglina di una nave. Negli anni successivi andai a trovare due volte i colleghi di quel distretto, in due stagioni diverse, per rendermi conto delle difficoltà oggettive del pilotaggio nel Golfo di Botnia. In estate il pilotaggio é addirittura piacevole, sia per la natura lussureggiante, sia per la luminosità ed il clima decisamente mite. In inverno il panorama cambia completamente e la navigazione é ostacolata dal freddo polare, dalla scarsa visibilità e soprattutto da formazioni di ghiacco che possono raggiungere il mezzo metro di spessore al Sud e raddoppiarsi nel nord del bacino.

 

Si racconta che in questa parte del mondo la navigazione sia sempre stata difficile, e addirittura interdetta per sei mesi l’anno. Questo blocco totale dei trasporti marittimi ha da sempre inciso negativamente sull’economia di questi Paesi che si affacciano sul golfo. La Svezia sfrutta ben 20 miniere di minerali ferrosi molto pregiati, le più importanti si trovano proprio nel Nord del Paese: Kiruna, Gällivare e Skellefteå. Ancora oggi, nonostante l’avvento di potentissimi rompighiaccio che hanno aperto la navigazione anche nei mesi invernali, il maggior porto d’imbarco del minerale svedese é Narvik (Nord Norvegia) dove il mare é mitigato dal passaggio della Correte del Golfo (temp. dell’acqua del mare intorno ai 6-7°) e non ghiaccia mai. E’ storicamente interessante il collegamento tra la miniera di Kiruna e il porto di Narvik tramite una linea ferroviaria di 168 km che fu costruita ai primi del ‘900 e che funziona ancora oggi. I tedeschi se ne impossessarono nel giugno del 1940 e per 5 lunghi anni di occupazione della Norvegia, sfruttarono il porto di Narvik per l’imbarco del minerale necessario a costruire armamenti bellici in patria.

LA RIVOLUZIONE COMPIUTA DAI ROMPIGHIACCIO

 

Con l’avvento dei rompighiaccio sempre più potenti ed attrezzati per guidare le navi, la navigazione commerciale di ogni tipo é assicurata, anche in condizioni estreme. Nel settore Nord del Golfo il ghiaccio può avere anche uno spessore molto maggiore di quello riportato, ma tende a calare spostandosi a sud. Non mi addentro nei particolari tecnici della navigazione con l’assistenza del rompighiaccio, li troverete leggendo il “rapporto” molto dettagliato del Comandante camoglino Michele Gazzale che ha avuto l’opportunità di navigare nel Golfo di Botnia in quelle condizioni. L’accuratissima descrizione di tutti gli aspetti nautici ed anche umani la trovate nell’articolo  che segue questa introduzione, si chiama: NAVIGAZIONE TRA I GHIACCI”

 

Le foto che seguono mostrano alcuni rompighiaccio svedesi di epoche diverse.

 

 

 

Rompighiaccio “THULE”

 

 

Rompighiaccio “HYMER”

 

 

 

Rompighiaccio “ATLE”

Luleå (nella foto) é il porto più settentrionale del Golfo di Botnia. Come si può notare, la presenza di 3 rompighiaccio moderni e molto potenti in porto, dà l’idea del lavoro che li attende nel periodo invernale. Nella foto, notiamo l’alta struttura della nave spostata verso proravia per aggiungere peso alla nave, la cui prora non taglia il ghiaccio, come erroneamente si é portati a credere, ma lo spacca scivolandoci sopra ad alta velocità.

 

Per vincere un determinato spessore di ghiaccio, (nei settori polari può raggiungere anche gli 8 metri), occorre un rompighiaccio di adeguata potenza e stazza. Affronteremo questo interessante argomento nel prossimo capitolo.

 

 

Come si può notare in questa tabella, se la temperatura dell’acqua di mare é di -5°, inizia subito la Zona Critica per un soggetto in buone condizioni psicofisiche, ma dopo circa 30 minuti d’immersione si entra nella Zona Letale.

 

 

In Svezia ci sono 220 Piloti di cui 6 sono donne. Nel Bottenhavet (Golfo di Botnia) avvengono circa 4.000 pilotaggi l’anno, di cui la metà si attuano nel distretto di Gävle,  200 km c.ca a Nord di Stoccolma.

 

I video YouTube che seguono, li potete vedere nella sezione VIDEO della Home Page di questo sito.

In questo primo YouTube vi mostriamo un piacevole pilotaggio estivo tra isolotti e villette con piscina in cui tutto appare molto “paradisiaco”.

https://www.youtube.com/watch?v=5laUCdOeTbU

In questo secondo YouTube vi mostriamo l’abbordaggio del pilota a bordo

 

https://www.youtube.com/watch?v=txIM8d2ZPoY

In questo  terzo YouTube vi mostriamo un’interessante esercitazione dei Piloti che si tuffano in mare per collaudare “tute speciali” contro l’assideramento.

 

https://www.youtube.com/watch?v=LqvwnF0PrzM

In questo quarto YouTube vi mostriamo alcuni rimorchiatori-rompighiaccio in azione davanti al porto di Gävle.

 

https://www.youtube.com/watch?v=goCMe2PGkYI

Sjöfartsverket Gävle lotsstation - Autorità Portuale - Sede dei piloti di Gävle

 

 

 

BÖNAN, sede dei piloti di Gävle. A sinistra il vecchio faro del 1600 che oggi ospita il Museo dei Piloti. In centro, le abitazioni, gli uffici e la direzione del traffico. A destra un grande magazzino per le varie attrezzature. A destra (vedi foto sotto) il molo con l’ormeggio delle pilotine ed altre imbarcazioni.

 

 

 

La robusta pilotina d’altomare mostra la colorazione arancione tipica delle imbarcazioni di salvataggio. Notare il sistema d’imbarco del pilota. Ogni Corpo Piloti, in qualsiasi parte del mondo, sceglie il sistema d’imbarco più idoneo alle caratteristiche meteo marine locali

 

 

Questo tipo di pilotina  é usata principalmente in inverno. L’elica pesca 5 metri per evitare di danneggiarsi nell’impatto con il ghiaccio.

 

Uno dei due operatori del Centro Direzionale che coordina il Pilotaggio del distretto.

 

 

Il vecchio faro di Bönan, oggi Museo dei Piloti, é curato e conservato con amore per raccontare la storia dei Piloti di questo distretto.

 

 

La cucina d’epoca sistemata alla base del faro.

 

Siamo nella seconda metà dell’800. Queste sono le prime immagini di Piloti scattate da una macchina fotografica.

 

Navi e Bandiere nazionali. Le navi a motore non erano ancora in alto mare...

 

Alla base del Faro, sono custoditi i cimeli più importanti delle pilotine di un tempo.

 

 

Il cuore del Faro. La lampada con gli specchi di riflessione della luce nei suoi vari stadi. Bozzelli e redance fanno da cornice a questa significativa rappresentazione marinara.

Vista interna del Faro. Calibrato intreccio di scale, rinforzi e sostegni di legno che offrono un’assoluta sicurezza alla vecchia struttura. Al centro penzola la vela del cutter che abbordava le navi per l’imbarco dei Piloti locali.

 

 

Siamo nel 1932. Il modello della pilotina appeso sopra la ruota del timone é un campione didattico di notevole importanza. Si nota il profondo pescaggio del mezzo per evitare che le pale dell’elica si danneggino contro il ghiaccio. Il disegno complessivo dello scafo ricorda il modello norvegese “Colin Archer” che divenne celebre per la sua adattabilità al moto ondoso oceanico. Il disegno fu adottato per la costruzione di lance di salvataggio marine e sicure. La presenza di due alberi e il boma prelude ancora al possibile impiego di tela.

 

Carlo GATTI

 

Rapallo, 17 ottobre 2014

 

 


NAVIGARE TRA I GHIACCI -1 -

NAVIGARE TRA I GHIACCI

Premessa. La nave effettua viaggi dai porti del Mediterraneo diretta verso quelli della Finlandia passando attraverso la Manica, il Canale di Kiel ed il Mar Baltico. Viaggi lunghi fino ad arrivare ad Oulu nell’estremo Nord del Golfo di Botnia: un mare stretto mediamente 110 miglia, tra la Svezia e la Finlandia, sgombro dai ghiacci della banchisa solamente da fine Maggio a metà Novembre. Il Golfo è lungo circa 440 miglia che si estendono per N-NE dal parallelo 60° fin quasi a 66° N.

Fu verso la fine del mese di aprile 2009 che ebbi il battesimo del ghiaccio; imbarcato con il grado di terzo ufficiale di coperta sulla Oil/Chemical Tanker Acquamarina battente bandiera italiana (12003 ton. Summer dwt.; 6600kw di potenza apparato motore) appartenente alla Società di Navigazione Finbeta S.p.A. di Savona: destinazione Oulu, piccolo porto in fondo al Golfo di Bothnia, lat. 65°31' N long. 25°32' E, con un carico di prodotti chimici per l’industria finlandese.
Provenienti dal Mediterraneo, dall’inizio di aprile già si respirava aria di primavera; rimasi piuttosto sorpreso quando, transitati attraverso il canale di Kiel, fummo informati sia dall’Agenzia del luogo che dai Bollettini meteorologici della presenza, sulla nostra rotta, di zone di ghiaccio con spessore non inferiore a 80 cm!
La salinità, già bassa nel Mar Baltico, decresce ancor più verso Nord nel Golfo di Botnia. La temperatura dell’aria scende di molti gradi sotto lo zero.
La navigazione fu tranquilla fino al traverso di Markeskallen Light con ingresso nel Golfo, rotta per Nord, attraverso il passaggio di Sodra Kvarken. Circa 20 miglia prima del transito per Nordvalen, in contatto con Bothnia VTS, via VHF ch 67, ricevemmo le coordinate di una serie di punti (waypoints) da seguire: ci allarmammo un poco, ciò significava che le acque non erano sicure per la navigazione. Avendo già navigato in questi mari, in stagioni diverse, avevo avuto modo di constatare le eccezionali condizioni di visibilità spesso verificabili e, dopo il tramonto, mentre rilevavo il primo ufficiale impegnato per la cena, il Comandante, salito sul ponte di comando a dare un’occhiata, mi fece notare, sulla nostra dritta, una lunga striscia bianca all’orizzonte, confusa con il cielo nuvoloso: era il riverbero dello strato di ghiaccio ammassato sulle coste finlandesi, come riscontrabile dalle carte del ghiaccio ricevute via meteo-fax: eravamo a oltre 30 miglia dalla costa ed era il segno che ci stavamo avvicinando all’area pericolosa: l’azzurro mare cambiava colore diventando grigio-verde, l’assenza di brezza ne rendeva la superficie di apparenza oleosa.
Non passarono più di due ore, a circa 14 nodi, quando avvistammo, all’orizzonte, i potenti riflettori del rompighiaccio di sentinella: attendeva noi. Informato il Comandante, fu avvisata anche la Macchina affinché potesse dare tutta potenza disponibile per evitare di rimanere presi dalla morsa del ghiaccio.
Contattati dal rompighiaccio (icebreaker), ricevemmo istruzioni di procedere, a tutta forza, nella sua direzione, rimanendo stand-by pronti per l’ascolto sul suo canale di servizio: ogni icebreaker è in ascolto sul VHF Ch 16 e in MF 2332 kHz, ma utilizza un canale differente per le operazioni con la propria assistita o il proprio convoglio per non interferire nel traffico delle radiocomunicazioni sempre intenso. I Canali di lavoro sono facilmente ricavabili dalle pubblicazioni nautiche o dalle carte meteo del ghiaccio dove si trovano, continuamente aggiornate, le posizioni di tutti i rompighiaccio in servizio e, in ultimo, dalle informazioni visualizzate attraverso l’A.I.S.
Nel momento in cui entrammo in contatto con il primo ghiaccio di una certa consistenza, ma piuttosto fragile, con mia sorpresa, data la poca esperienza in materia, notai che la nostra traccia, sul ghiaccio, era chiaramente evidenziata dal Radar, senza dubbio un grande aiuto quando ci si deve mettere nella scia del rompighiaccio. Sceso il buio e accesi tutti i proiettori che illuminavano la traccia, conducemmo navigazione a vista, seguendo il rompighiaccio che individuava, grazie all’esperienza del suo capitano, gli strati di ghiaccio più facili da spezzare.
Un carico di lavoro pesante per il nostro Comando e tutto l’equipaggio: la navigazione sotto guida può durare molte ore e giorni interi durante gli inverni più rigidi e il ghiaccio scende a basse latitudini, lo “stridolio” del ghiaccio che scorre lungo lo scafo non permette un tranquillo riposo.

Ho sperimentato che il momento più critico si verifica quando, per le eccezionali condizioni meteo, il passaggio compreso fra l’icebreaker e la propria nave si richiude senza darti la possibilità di navigare a distanza di sicurezza: allora il rompighiaccio è costretto a prendere la nave a rimorchio: bisogna avere particolare attenzione e abilità nelle manovre quando l’icebreakear si “infila” sotto la prua della nave per formare un corpo unico (v. figure). Si diventa, praticamente, il timone dello stesso rompighiaccio; non bisogna dimenticare di rispondere con un’accostata opposta alla direzione verso cui l’icebreaker vuole dirigere: spesso il Comandante dell’icebreaker chiede un aiuto per agevolare la propria accostata.
Ovviamente si tratta di un aiuto nel dirigere la prua perché in quanto a potenza non c’è confronto fra i loro 15/16 MW e i nostri 6600 KW.

Nota del webmaster:

In questo modello del rompighiaccio SAMPO, (foto di Maurizio Brescia) si nota a poppa l'apparato descritto e disegnato nel presente articolo. Qui sotto riportiamo l'ingrandimento.

Sotto certi punti di vista è divertente manovrare nel ghiaccio, devo ringraziare il Comandante G. Russo: per la sua fiducia, ho imparato a stare al timone nella scia del rompighiaccio e, soprattutto, a non rimanere bloccato: può sembrare facile, ma bisogna imparare qualche accorgimento …! È questione di attimi!
La manovra per sbarcare il pilota, ricordo, è stata sorprendente, non mi era mai capitato di vederlo sbarcare, a piedi, sul ghiaccio ed “imbarcare” sulla pilotina costituita da una motoslitta!
Non sempre l’esperienza può bastare in certe situazioni: impossibile dimenticare l’ultimo imbarco, con un inverno più rigido rispetto agli ultimi anni, quando in uscita dal porto di Rauma (Fl), sempre dietro al rompighiaccio, lasciato il pilota, riuscimmo a navigare, forse, per un paio di miglia: poi la potente mano della Natura ci fermò. Il Comandante Failla, con l’esperienza di una brillante carriera svolta a battere questi mari, rimase sul ponte non so quante ore nel tentativo di trovare un varco in una direzione qualsiasi pur di liberarci, manovrando di macchina e timone, ma quando, oltre a noi,

Posizione di sicurezza ICEBREAKER in funzione di rimorchiatore

 

Vista Dall'alto

Sistema NAVE-ICEBRTEAKER in manovra

altre due navi, a poca distanza ebbero lo stesso problema, comprendemmo che, forse, non c’era più una via apribile: il ghiaccio si era compattato molto bene; non ci restava che chiamare l’icebreaker e rimanere in attesa. Non è piacevole rimanere in balia del ghiaccio!
Arrivò il rompighiaccio che, con la sua potenza da gigante dei mari, ci avvolse come in un materno abbraccio e, dopo un paio di evoluzioni intorno per rompere il ghiaccio, ci accolse, come la chioccia con i suoi pulcini, e in convoglio, ci fece raggiungere acque più libere. Proseguimmo da soli cercando il passaggio più sicuro attraverso gli strati di ghiaccio più sottili: più con l’abilità dell’uomo di mare che attraverso la strumentazione, io sto cercando di acquisirla e, vi assicuro, è un’esperienza indimenticabile che segnerà la mia vita per sempre!

 

Al termine della interessante conferenza gli studenti di V classe rivolgono domande.

1) Con quali criteri il V.T.S. dà le rotte ed i punti di accostata?
Risposta: in base alle varie carte meteo-oceanografiche di previsione e di situazione nelle diverse zone: sono proprio gli stessi icebreaker in stand-by, i rompighiaccio in attesa, che fanno il servizio di scorta verso ogni porto di destinazione. Icebreaker proprio alla deriva nel ghiaccio, in alcune zone strategiche, come potrebbero essere i passaggi ristretti di Nordvalen o più semplicemente ai limiti della “banchisa”, dove il ghiaccio inizia ad essere troppo compatto per una navigazione senza scorta. Nel bisogno i rompighiaccio vengono a scortare le navi ed aprire la via a chi non resta “impantanato”. Gli icebreaker danno ai VTS informazioni dirette. Le accostate possono arrivare a 30° o 40°. Quando in zona il vento viene dai quadranti orientali l’accumulo di ghiaccio è lungo la costa svedese; troviamo i WP più vicini alla costa finlandese; e viceversa con i venti occidentali.

2) A che distanza la nave segue il rompighiaccio di guida? Qual è la velocità di manovra?
Risposta: la velocità, diciamo, è sempre la massima possibile; noi avevamo una velocità con macchine “Full Ahead”(tutta forza avanti) di 14 nodi; non succede quasi mai che venga richiesto di procedere più lentamente, a meno che non si stia procedendo in convoglio … allora tutte le navi si devono adeguare a quella che ha la velocità minore, o comunque con potenza motore inferiore. Ecco!! ciò che chiede talvolta il comandante dell’icebreaker, quando si arriva in area di operazioni e prima di iniziare il convoglio: è proprio la potenza dei motori e la massima velocità della nave. Una curiosità: è capitato di ricevere la richiesta di attendere qualche ora fermi nel ghiaccio, o di aspettare l’arrivo del convoglio “in discesa” dal mar di Bothnia, o di attendere un'altra nave in modo da unirci al convoglio “in salita”. La distanza tra nave e rompighiaccio che guida una sola nave non supera 1000 metri. Il Capitano dell’icebreaker ed il Comandante della nave sono in continuo contatto radio. Se la nave ha difficoltà a mantenere la velocità perché il ghiaccio tende a ricompattarsi in breve tempo, i due Master concordano per navigare più vicini e mantenere una adeguata velocità minore: l’icebreaker si avvicina alla nave riducendo temporaneamente la velocità più di quanto l’abbia ridotta la nave. Dopo aver ridotto il corridoio di transito tra le due unità, il rompighiaccio si porta alla stessa nuova velocità della nave. Il minor tempo di transito della nave è tale da anticipare il processo di ricompattamento; la nave sfugge alla morsa della pack. Per la sicurezza del convoglio la brevità dell’intervallo vale, in tal caso, più della lunghezza del convoglio.

3) È difficile far rimanere la nave nel varco, lo stretto canale aperto dell’icebreaker? Chi sta al timone, il marinaio o l’ufficiale?
Risposta: alla seconda domanda risponderò dopo. Non è facile spiegare come intervenire per rimanere nel corridoio di transito aperto dal rompighiaccio, manovrare per non andare a strisciare il pack sotto l’azione del vento. Si è guidati dall’intuito; è necessario agire correttamente e prontamente col timone. Non sempre si riesce; c’è la corrente, talvolta; ma la corrente è subdola, non si vede. Non è piacevole portare la nave (anche se contro volontà) a strisciare contro il ghiaccio e udire lo “stridio” delle lamiere ed avvertire il rischio di traversare la nave, possibile preludio di finire attanagliati dalla banchisa.

4) Se la nave è presa dalla morsa del ghiaccio come agite? La nave ha il doppio scafo?
Risposta: la prima preoccupazione del comandante è quella di avvertire il direttore di Macchina. L’elica non deve essere bloccata dal ghiaccio; deve sempre girare perché deve smuovere l’acqua d’intorno. Se la nave ha l’elica a passo fisso si deve far girare molto lentamente l’elica, cioè con i giri (al minuto) al minimo. Se la nave ha l’elica a passo vario si mette il propulsore a passo zero. Tutte le chimichiere sono costruite col doppio scafo.

5) È importante conoscere lo spessore del ghiaccio?
Risposta: si. L’indicazione dello spessore del ghiaccio, nelle varie zone, è contenuta nelle cartine meteofax, e in quelle che si trovano sui siti internet, per le navi che hanno il collegamento con la rete; in generale il VTS, durante il contatto via VHF, dà un'indicazione sullo spessore massimo del ghiaccio; informa sulla situazione generale che si troverà lungo la rotta per il porto di destinazione. Qualche volta lo strato supera 1 metro. Sappiamo che l’acqua marina di circolazione del raffreddamento viene dalle prese: basse o alte. Se la nave, in zavorra, navigasse con le prese alte e rimanesse nell’abbraccio del pack non andrebbe incontro ad altri problemi a condizione che sia stato fatto un preventivo maggiore zavorramento per evitare l’occlusione delle prese da parte della morsa del ghiaccio.

6) Ha mai incontrato lastroni di ghiaccio isolati e non segnalati?
Risposta: se il lastrone di ghiaccio è grande, è raro che sfugga all’avvistamento e … alla segnalazione, sempre doverosa da parte di una nave. L’incontro capita spesso, verso la fine della stagione, quando il ghiaccio si disperde e inizia a dividersi in parti; perciò si naviga sempre coi proiettori accesi di notte, proprio per cercare di avvistare ed evitare il più possibile i pezzi più grossi. È vero che la nave è classificata ICE Class, ma è meglio non fidarsi; scontrare un pezzo di ghiaccio alla massima velocità non è molto … bello; meglio evitare, se possibile. Sovente si fanno accostate su accostate pur di evitare il ghiaccio!

7) Ha mai incontrato, in altri mari, un iceberg?
Risposta: no. “In altri mari” è precisazione corretta. Gli iceberg hanno un’origine precisa: si staccano dai nevai delle montagne alte, scoscese; scendono a valle e finiscono in mare, come ad esempio (lo saprete tutti) le terre della Groenlandia ed altre. Il Golfo di Bothnia è circondato da terre pianeggianti o quasi. Meglio così, un problema in meno. Ma non è esclusa la possibilità, con altri viaggi, di fare la conoscenza!

Cari giovani, le incombenze dell’Ufficiale a bordo sono numerose. Seguire alla lettera le procedure come da “check list” … le “continue Ispezioni delle maggiori Compagnie Petrolifere” … l’ufficiale rischia di perdere l’altro aspetto della professionalità, anche se poco conosciuto e riconosciuto, ma non per questo meno importante dei tanti controlli. Intendo dire non si deve perdere di vista l’importanza dell'esperienza vera dell'uomo di mare. Da Allievo non ho mai perso occasione per tenermi stretto il timone, sapendo che certe esperienze avrei rischiato di non poterle più provare direttamente. Rispondo alla domanda in sospeso. Di norma il marinaio è al timone. Ma non bisogna dimenticare che l’ufficiale è responsabile della guardia. Egli è motivato se nel tirocinio di allievo ha acquisito esperienze preziose; tra cui, ripeto, saper stare al timone (col consenso del Primo e col pretesto di dare al Marinaio un po’ di riposo …). Solamente così, da ufficiale, si è pronti a dare un tempestivo suggerimento al timoniere o rilevare il marinaio poco esperto in particolari frangenti. L’Ufficiale, nel servizio di guardia, non sta al timone perché già occupato a mettere i punti nave sulla carta nautica, seguire la navigazione e a intrattenere comunicazioni VHF con l’icebreaker, ovviamente col Comandante a sovrintendere. Solamente l’ufficiale che ha conoscenza dei problemi e possiede il senso della professionalità nell’emergenza va oltre la routine e sa fronteggiare una situazione difficile.

 

 

a cura dell’Ufficiale di Navigazione II

Michele Gazzale

Rapallo, 14 ottobre 2014

 

 

Mi complimento con il Comandante Michele Gazzale, camoglino DOC, per questa cronaca in diretta di "navigazione sul ghiaccio". Non solo é raro capitare con la nave nel Golfo di Botnia, ma é altrettanto raro che un ufficiale racconti in modo così dettagliato e avvincente questa sua esperienza, la quale é sicuramente degna di essere diffusa, con la presente documentazione fotografica e grafica, presso tutti gli Istituti Nautici Italiani.

Webmaster Carlo Gatti

 

 

 

 


NAVI PASSEGGERI NEL TIGULLIO

 

NAVI PASSEGGERI NEL TIGULLIO

 

In questa immagine si nota una nave della P&O alla fonda nel Tigullio. Notare i simboli delle due eliche prodiere di manovra. La nave é ultra moderna. La sicurezza é assicurata.

Chi ebbe l’ardire di emettere l’ordinanza post-Giglio, forse ha cambiato idea. Nel frattempo, qualcuno del ramo deve avergli consigliato di farsi  una crociera nell’arcipelago di Stoccolma, dove le stesse navi da crociera che sostano a Venezia, sbucano improvvisamente dal nulla svettando tra le betulle degli isolotti e poi si “sfiorano in controcorsa” con altre navi di simili dimensioni. Ma, attenzione: gli svedesi non sono degli incoscienti e concedono il passaggio soltanto a quelle navi, anche superiori ai 250 metri di lunghezza, che hanno particolari ed eccezionali caratteristiche di manovra e di tecnologia.

 

Lo stesso spettacolo viene offerto in Norvegia dai grandi postali super tecnologici dell’Hurtigruten che collegano il sud della Norvegia fino ai confini della Russia sfidando scogliere e altri ostacoli naturali in climi difficili e spesso ostili.

 

 

 

In questa stupenda immagine della Royal Princess (P&O) dei primi anni ’70 davanti a Santa Margherita, notiamo innanzitutto la sua vicinanza all’imboccatura del porto. La nave era di tipo tradizionale e non aveva le eliche trasversali di manovra (a prora e a poppa). Noi riteniamo che soltanto per queste navi, superate ed obsolete, dovrebbe valere l’obbligo di ancorare oltre il limite previsto dalle ordinanze. Tuttavia, occorre anche sottolineare che, in cinquant’anni di attività crocieristica nel nostro golfo,  non si é registrato neppure un incidente.

Noi italiani, malati di burocrazia, ma soprattutto d’incompetenza marinara, pur avendo la fortuna di godere del clima più bello del mondo e di spazi ampi e luminosi, ci complichiamo la vita con divieti assurdi che impediscono alle navi ultramoderne di operare e portare quei benefici economici che sono stati, per lungo tempo e per lunga tradizione la nostra più importante risorsa.

Vi siete mai chiesti dove sono finiti i nostri grandi armatori del passato? Il discorso sarebbe troppo lungo, ma vi posso assicurare che le “vie del Mare” sono lastricate di Armamenti falliti per la mancanza di una programmazione del settore trasporti.  Le tanto auspicate “riforme” del sistema MARE-Italia non sono neppure in agenda del nostro Primo Ministro, mentre il resto d’Europa ha  sistemato d’autorità,  da almeno 30 anni, le persone giuste al posto giusto.

 

Ritornando al tema, vorrei porre la vostra attenzione su un particolare che forse vi é sfuggito. Nell’incontro tra esperti tenutosi nel municipio di Rapallo nei giorni scorsi per individuare il punto di fonda per le navi passeggeri, mancava la persona che più di ogni altro avrebbe potuto parlare di navi da crociera, di punti di fonda, di problemi attinenti lo sbarco/imbarco dei passeggeri e della GESTIONE MANAGERIALE DI UNA NAVE MODERNA. Soltanto un Comandante in carriera, o a riposo da poco tempo, conosce e può suggerire soluzioni attendibili con cognizione di causa. Quel Comandante-fantasma avrebbe potuto spiegare ai presenti come queste cose funzionano in Grecia, lunghe le coste Dalmate, in Turchia, ma anche in altre decine di rade del Mediterraneo. Nei porti Caraibici di Cozumel, St. Maarten, St. Lucia, Tortola, Martinica, Gaudaloupe, St. Thomas, Grenada, Barbados, Antigua, St. Kitts, Nevis, Haiti, Jamaica, Portorico, Isla Margherita ecc... esistono banchine (anche tipo finger) completamente sconosciute dai nostri responsabili ministeriali. Inoltre,  in alcune isole, dove le navi devono rimanere  all’ancora perchè le banchine sono occupate, il servizio viene effettuato  da speciali  lance locali, munite anche di bow thruster (elica di prora).  In altre, come Grand Cayman, dove per la configurazione della costa non è possibile costruire banchine, a terra dispongono di Tenders locali (da 250 persone), sufficienti per traghettare i passeggeri di 4 navi di grosso tonnellaggio alla fonda.

 

I problemi si risolvono accogliendo le soluzioni suggerite dai Comandanti-naviganti e non bloccando “burocraticamente” i flussi crocieristici soltanto perché un imbecille é finito sugli scogli ... nonostante altri Comandanti ne avessero sconsigliato il passaggio al comando. Le navi  portano lavoro e denaro ed é un crimine mandarle via!

 

 

In questa foto di 15 anni fa, notiamo che la nave da crociera del nuovo millennio Carnival Destiny aveva già TRE eliche di prora (i tre puntini neri sono visibili a destra dell’ancora). Con questa innovazione tecnologica i Comandanti sono in grado di operare in qualsiasi condizione meteo avendo la possibilità di far ruotare la nave su se stessa, evitando di compiere curve pericolose vicino alla costa o ad altre navi all’ancora. La stessa capacità evolutiva é applicata anche sulla poppa.

Concludiamo con un breve “cenno tecnico” destinato alle orecchie di  chi ha la volontà di capire e agire: le navi moderne si avvicinano a poche centinaia di metri dai porti che non hanno strutture per riceverli, come nel Tigullio, rimangono “ferme” usando le eliche trasversali, sbarcano i passeggeri sulle lance (che dovrebbero essere Tenders locali) li trasportano a terra e poi ritornano in rada. La stessa operazione (con o senza il pilota portuale) viene eseguita per reimbarcare i passeggeri e riportarli a bordo prima della partenza nave per un’altra destinazione. I burocrati di Stato non vogliono conoscere queste opzioni, perché le temono e le respingono essendo troppo rischiose per la loro “poltrona”. Ad ognuno il suo!

Ma é da “marinai da tempo buono” fissare dei limiti senza tener conto dei cambiamenti del tempo. Solo un Comandante può scegliere la soluzione più sicura per ogni condizione ambientale.

 

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 10 Ottobre 2014