SUL LAGO LEMANO, DAI VIGNETI ALLE GALEE GENOVESI
Chi cerca trova
si propone come un raccoglitore di argomenti che leghino la Svizzera a Genova ed alla Liguria. Chi cerca trova significa semplicemente cogliere uno spunto per mettere in moto una ricerca e creare un documentario, che apra la strada a relazioni e conoscenze spesso inaspettate.
di Andrea Patrone e Marcella Rossi Patrone
La Svizzera e la Liguria concentrano entrambe una varietà unica di attrazioni turistiche e percorsi suggestivi. Le più evidenti caratteristiche in comune sono l’asprezza del territorio ed il fascino del paesaggio.
Sfogliando il catalogo di Svizzera Turismo siamo rimasti colpiti da questa immagine: le terrazze viticole del Lavaux, nel Canton Vaud, una zona che si affaccia sulle sponde nord orientali del lago di Ginevra, più propriamente lago Lemano.
Questi vigneti a terrazza ci hanno immediatamente ricordato quelli sul mar Ligure delle Cinque Terre, che dal 1997 sono Patrimonio dell’Umanità dell’ UNESCO con questa motivazione:
Scopriamo allora che dal 2007 anche la regione viticola del Lavaux è Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, eletta con questa motivazione:
Da Svizzera unica
Nel 2011 la Posta Svizzera ha dedicato al Lavaux tre speciali francobolli affiancati, mentre nel 2013 le Poste Italiane hanno dedicato un francobollo ordinario al Parco Nazionale delle Cinque Terre, nella serie tematica Parchi, giardini ed orti botanici d’Italia.
Entrambi i siti sono dunque zone eccezionali, dove la natura si incontra con il duro lavoro dell’uomo. Per sfruttare un soleggiamento ed un clima straordinari l’uomo ha inventato terrazze a picco sull’acqua, sorrette da muri in pietra.
Sotto i nostri occhi ci sono oggi due paesaggi fratelli, ricchi di storia e di fatica. Senza la presenza dei vigneti avrebbero un aspetto completamente diverso.
Il duro lavoro agricolo fu iniziato dai monaci benedettini e cistercensi, poi fu proseguito da generazioni di viticoltori. Nell’arco di millecinquecento anni i monaci ebbero un’influenza determinante sulla civiltà occidentale, non solo nelle attività di studio, ma anche nelle arti pratiche come l'agricoltura. Trasformarono terre disabitate in terre coltivate e furono i pionieri della produzione vinicola europea.
Tutti conosciamo il simbolismo che collega il cristianesimo alla vite e l’utilizzo liturgico del vino, ma i monaci andarono ben oltre: le proprietà viticole degli ordini monastici portarono continuità nella coltivazione, sedi di studio e sperimentazione, facile diffusione e trasmissione delle tecniche innovative. La viticoltura sistematica nel Lavaux si deve all’opera dei monaci cistercensi borgognoni, che avviarono i terrazzamenti dopo il Mille.
Sul Dizionario storico della Svizzera alla voce Cistercensi leggiamo: I cistercensi crearono un proprio sistema economico, nel quale ogni stabilimento aveva da cinque a 15 curtes (grangia), affidate soprattutto ai figli di contadini, i quali, come frati laici (i cosiddetti conversi), sfruttavano i terreni su vasta scala a seconda della posizione geografica - campicoltura nell'Altopiano, viticoltura lungo i laghi, allevamento nell'area Prealpina - e con metodi innovativi. Le eccedenze della produzione agricola e dei prodotti artigianali venivano vendute nei mercati cittadini. I cistercensi praticavano anche il commercio (sale, vino) e gli scambi finanziari.
Nell’Europa nel XII secolo erano presenti settecentoquarantadue monasteri cistercensi. Presso la città di Cheserex, nel Canton Vaud a 7 chilometri dal lago di Lemano, è ancora visitabile il convento di Bonmont, il primo convento in Svizzera entrato a far parte dell’ordine cistercense nell’anno 1131. Oggi è un monumento nazionale, aperto da Pasqua a ottobre per visite guidate e concerti.
I vigneti rimasero proprietà della Chiesa fino al XVI secolo, quando i Bernesi conquistarono il Vaud e vi insediarono i loro signori.
Prima del lavoro dei monaci benedettini, i 15 chilometri di vigneti terrazzati sul mare tra Levanto e La Spezia erano brulli, impervi e disabitati. Oggi sono famosi in tutto il Mondo come le Cinque Terre. Il monachesimo vi giunse presto, proveniente dall’abbazia di San Colombano a Bobbio. Tra il VII ed il X secolo Bobbio divenne un grande feudo monastico con possedimenti dal mar Ligure al Piemonte, ai laghi di Como e Garda, ai bacini del Ticino e del Po, fino al mar Adriatico. Il monachesimo si diffuse in Liguria anche nelle zone meno adatte ad accogliere importanti conventi, perché la regione funzionava da raccordo fra terraferma e mare. Oggi restano solo piccole testimonianze, tradizioni, nomi, ruderi. Eppure su una collina a 3 chilometri da Monterosso al Mare c’è ancora l’eremo benedettino di S. M. Maddalena, restaurato e divenuto residenza storica. Questo accolse i monaci benedettini dipendenti dal monastero di San Gerolamo della Cervara a Portofino. Fu titolato a S. Lorenzo in Terriccio ed è menzionato per la prima volta nel 1244. Non lontano dalle Cinque Terre, presso Talavorno in Lunigiana, si trovano invece i pochi resti del convento di S. Benedetto, menzionato per la prima volta nel 1014. Il convento e l’annessa casa del pellegrino sono ora casa colonica, mentre la chiesa è un rudere.
I monaci gettarono le basi dell’economia medievale, che attivò scambi via mare e via terra, sfruttando la navigazione lacustre.
Genova fu al centro del Mediterraneo ed il lago Lemano fu al centro delle comunicazioni terrestri europee.
E’ facile ora capire l’importanza ed i contatti che Genova ed il lago Lemano ebbero all’interno di tale sistema economico.
Il lago Lemano è il più grande lago dell’Europa occidentale.
Si trova per il 40% in Francia, nel dipartimento dell'Alta Savoia, e per il 60% in Svizzera.
Bagna il Canton Ginevra, il Canton Vallese e il Canton Vaud.
ECCO IL LAVAUX:
ECCO LE CITTA’ RIVIERASCHE:
Da oltre un secolo le città che si affacciano sul lago sono collegate tra loro da battelli. Dal 1873 opera la Compagnia Generale di Navigazione sul Lago Lemano (CGN), che ha sede a Losanna e fa navigare sedici imbarcazioni: dieci contemporanee e sei d’epoca.
Questa compagnia è conosciuta per i battelli a vapore Belle Époque, che dal 2011 sono parte dei monumenti storici del Canton Vaud.
Ma non è tutto. Sul lago naviga oggi la riproduzione semplificata di una galea mediterranea.
Si chiama La Liberté ed è stata costruita a Morges. Perché mai una galea in crociera sul Lemano? La Liberté ci ricorda che tra il XIII ed il XVIII secolo sul lago navigarono le galee dei Savoia, di Ginevra e di Berna. Ne ha disegnato le fattezze il dottore in scienze Oliver Gonet, nato sul Lemano. Gonet è pittore, scrittore e curatore di un interessante sito web.
Sebbene sui laghi svizzeri vi fosse una scarsa presenza di navi da guerra, a partire dal XIII secolo i Savoia mantennero una flottiglia sul lago, ormeggiata nel porto di Villeneuve, che serviva anche da cantiere navale. Successivamente la costruzione navale progredì grazie a Ginevrini, Bernesi e Zurighesi, per fronteggiare i savoiardi.
Il lago Lemano divenne un frequentato nodo commerciale presidiato da galee da guerra. In particolare il porto di Morges fu ultimato nel 1695 ad uso sia militare che commerciale.
Lago Lemano
Mappa disegnata nel 1635 dagli olandesi Willem e Joan Blaeu
Sapere che una galea mediterranea, parente delle antiche galee genovesi, naviga oggi sul lago Lemano, ci ha incuriositi a tal punto da progettare una visita a Morges, che dista da Genova circa 400 km.
L’efficiente rete autostradale svizzera ci ha permesso di raggiungere velocemente la costa nord orientale del Lemano e procedere direttamente fino a Morges, riconoscendo da lontano Villeneuve, Chillon, Montreaux, Vevey, Losanna, città costiere posizionate tra lago e vigneti.
Alla ricerca della galea La Liberté, la nostra prima tappa è stata quindi Morges, di fronte al maestoso Monte Bianco.
Siamo entrati in una città fiorita, con una grande strada pedonale ricca di mercatini, negozi e ristoranti, dove viene servito l’omonimo vino bianco.
Un castello medievale controlla il porto. Il castello fu fatto erigere dai Savoia nel 1286. E’ un classico esempio di quadrato savoiardo, ovvero fortificazione a pianta quadrata caratteristica della Savoia medievale, con la corte interna rialzata e quattro torri rotonde angolari a scopo difensivo.
Oggi ospita ben quattro musei: il Museo militare vodese, il Museo dell’artiglieria, il Museo della Gendarmeria vodese e il Museo svizzero delle figurine storiche.
Il castello di Morges ha una parte da protagonista nella storia vodese. Prima fu residenza dei conti e duchi di Savoia, poi dei funzionari bernesi.
A levante del porto c’è Quai Igor Stravinsky, la banchina in passeggiata a mare dedicata al famoso compositore russo, che visse in questa zona durante la prima guerra mondiale.
Qui ormeggia La Liberté, la galea, ovvero la nave utilizzata nel Mediterraneo per la guerra ed il commercio. Galea deriva dal greco γαλέoς ovvero squalo, perché lo scafo affusolato ne ricorda le sembianze. Dotata di remi e vele latine, era una nave agile e veloce.
La galea del Lemano naviga a scopo turistico e svolge un servizio di coinvolgenti crociere sul lago.
Siamo andati a vedere dov’è nata ed abbiamo passeggiato sul lungolago.
Varata a Morges nell’estate del 2001, alla presenza di oltre 45.000 spettatori, è stata costruita impiegando oltre 650 disoccupati, che hanno lavorato 5 anni per realizzarla, utilizzando le proprie competenze. E’ stata definita un sogno divenuto realtà.
Naviga a motore (110 passeggeri) ed a vela (60 passeggeri) con membri d’equipaggio. E’ dotata di due motori diesel da 150 CV, di 550m2 di vela e di 36 remi. Ogni remo necessita di tre vogatori.
Il progetto de La Liberté è nato nel 1992. Dopo due anni di progettazione e di ricerca finanziamenti, a Morges è stato costruito un cantiere navale.
Il libro Galère La Liberté. Du rêve à la réalité, pubblicato dalla casa editrice Cabétita nel 1998, ha narrato e documentato questo sogno.
La casa editrice Cabédita, nata nel Canton Vaud, dal 1988 si dedica a pubblicare libri di storia, memoria e tradizione nella collana chiamata Archivi viventi.
Nel 2004 anche Genova ha avuto la ricostruzione della propria galea, esposta al Galata, il Museo del Mare costruito dov’era l’antico Arsenale. E’ la fedele riproduzione della galea genovese San Francesco, risalente al 1620. Lunga 42 metri e alta 9, è posta sullo scivolo usato nell’Arsenale per varare le navi. E’ possibile salirvi per esplorarla e viverla.
Solo un cenno sulla galea genovese: era un’imbarcazione veloce e manovrabile, lunga dai 40 ai 50 metri. Poteva avere a bordo più di 400 uomini. L'equipaggio era formato da: comandante, nostromo, ufficiali militari e di manovra, soldati, cambusiere, barbiere medico, calafato e circa 200 marinai.
Da Morges abbiamo inseguito la galea La Liberté,
percorrendo con l’auto il lungolago, fino …
antichissimo centro culturale e commerciale capoluogo del Canton Vaud.
abbiamo proseguito …
vere perle della riviera svizzera,
che si erge in riva al lago…
E’ uno straordinario edificio acquatico eretto su un’isola rocciosa, che fu protezione naturale e posizione strategica sugli antichissimi transiti tra il Nord e il Sud dell’Europa.
Da qui si possono percorrere stimolanti sentieri didattici che portano a conoscere la riviera.
Annotiamo che il lago Lemano fu una tappa della via Francigena.
L’arcivescovo di Canterbury Sigerico, di ritorno da Roma tra il 990 ed il 994, descrisse un percorso che verrà poi chiamato via Francigena.
La descrizione di Sigerico attesta che la via Francigena passava da Losanna, città commerciale fin dal VI secolo e sede vescovile, nota per la stupenda cattedrale medievale di Notre Dame.
E’ un documento fondamentale per la storia della comunicazione europea.
Il castello di Chillon esisteva già ai tempi di Sigerico. Apparteneva ai vescovi di Sion, capoluogo del Canton Vallese. Poi passò ai Savoia.
Secondo i documenti, dal 1150 il traffico navale sul Lago Lemano e la strada per il Passo del Gran San Bernardo erano controllati dalla Casa di Savoia, dinastia documentata dai primi anni del Mille.
Il territorio del Vaud dominava il Moncenisio ed il Gran San Bernardo, due rilevanti passaggi dei grandi itinerari commerciali. Era ottima fonte di reddito per i dazi doganali sulle merci trasportate. Per ragioni economiche e strategiche fu ampliato il castello. Nel 1214 fu fondata la città nuova di Chillon, l’odierna Villeneuve e fu eretta la chiesa di Saint-Paul, visibile oggi nella Grand-Rue. I Savoia mantennero una flotta e cantieri navali a Villeneuve.
I registri contabili di Chillon dell’anno 1258 citano l'esistenza di una galea appartenente al Conte di Savoia. Dal 1561 questi documenti sono a Torino, divenuta capitale del Ducato di Savoia.
I maestri d’ascia per dirigere il cantiere giunsero specialmente da Genova, nella cui area eccelleva la costruzione navale.
Sulla galea i soldati stavano a prua e dietro di loro c’erano le file dei rematori.
Con il vento favorevole, si issava la vela latina (triangolare) o le due vele latine sui due alberi di maestra al centro e di trinchetto a prua.
Il contabile del castello di Chillon annotò duecento “aulnes” di stoffa (quasi trecento metri quadrati) per confezionare le vele.
La galea più grande, varata verso il 1300, poteva portare fino a trecentottanta uomini.
Come nel Mediterraneo, dal XIII al XVIII secolo sul lago Lemano è testimoniata la navigazione di galee.
Venivano utilizzate per saccheggiare o proteggere le merci commerciate.
Le prime galee varate sul Lemano erano simili a quelle che combattevano nel Mediterraneo, ma furono adattate alle esigenze del lago.
Sul Lemano si combatterono delle vere battaglie navali e le galee ne furono protagoniste.
Nel 1536 il Vaud fu conquistato dai Bernesi ed il castello di Chillon divenne la residenza permanente del balivo, funzionario e rappresentante dell'autorità politica centrale.
Il territorio fu allora presidiato dalle galee bernesi Le Grand Ours e Le Petit Ours. Nel 1695 il porto di Morges fu ultimato per uso militare e commerciale. La flotta bernese venne disarmata alla fine del XVIII secolo. Nel 1803 fu fondato il Canton Vaud.
Una nota è dovuta.
Tutti sappiamo che la Svizzera com’è oggi risale al 1848. Prima è corretto parlare della storia di un mosaico di cantoni diversamente governati. I cantoni rurali tenevano un'assemblea popolare formata da tutti gli uomini dei comuni influenti e le funzioni amministrative prestigiose erano ricoperte da alcune famiglie. Nei cantoni di città come Zurigo, Basilea e Sciaffusa, l’amministrazione era affidata alle corporazioni. Altri cantoni di città come Berna, Lucerna, Friborgo, Soletta, erano gestiti dall’aristocrazia locale. I diversi cantoni si riunivano per discutere questioni comuni nella Dieta Federale, che trae le prime origini nel XIV secolo ed ancor prima dal Patto eterno confederale del Grütli tra le comunità di Uri, Svitto e Untervaldo.
Riportiamo le parole della professoressa Gabriella Airaldi, illustre medievalista genovese: …la marineria ligure ha una storia antica ed è l'unica tra quelle europee, che, molto prima di quella inglese, si sia proiettata nel mondo. In piena età medievale l'azione trainante svolta dal porto di Genova e dal network solido e interattivo di clan familiari…prevede, per una regione che diventa “porta” dell'Occidente europeo, un’inevitabile opzione marittima. Da quel momento in poi la Liguria diventa un centro di eccellenza per tutto ciò che ha a che vedere con la nave e la navigazione… Legati a una cultura dell'espansione e impegnati a sfidare orizzonti sempre più ampi i liguri sono obbligati all'approfondimento costante di strumenti e competenze tecniche essenziali, che non riguardano solo la loro cultura economica e uno shipping estremamente sofisticato, ma interessano tutto il territorio in funzione di una cantieristica sviluppata su tutta la costa, impegnata a elaborare e rielaborare costantemente una tipologia navale utile al cabotaggio o alla navigazione di lungo corso. … per quanto attiene i mestieri del mare le maestranze - dai maestri d'ascia ai calafati - sono assai richieste sul piano internazionale…
Così riemerge la storia dei maestri d’ascia liguri nel Castello di Chillon sul lago Lemano
Non a caso Lemano, secondo l’antica denominazione di origine greca Λιμένος Λίμνη, significa lago del porto.
λίμνη [-ης, ἡ] = lago, λιμήν [-ένος, ὁ] = porto.
Dai porti liguri ci si mosse quindi verso i porti svizzeri.
Non ci stupiranno ora le parole di Antonio Calegari, comandante della Marina Militare e Mercantile italiana, studioso di storia e letteratura navale, che nell’articolo Il passato di Rapallo sul mare scrisse: Rapallo manda persino sulle rive del Lemano alcuni suoi figli, un Sacolosi ed un Andreani, quali maestri d’ascia per la costruzione di galee sabaude.
Fonti:
Airaldi Gabriella, Sabedores de mar, in Genova Impresa, rivista, 2/2009
Archivio di Stato di Torino
Calegari Antonio, Il passato di Rapallo sul mare, in Il Mare, rivista 11 Luglio 1954
Collectif Auteur, Galère La Liberté. Du rêve à la réalité, Edité par Cabédita, Yens-sur-Morges (Suisse) (1998)
Cox Eugene, The Green Count of Savoy: Amadeus VI and Transalpine Savoy in the Fourteenth Century, Princeton-New Jersey, Princeton University Press, 1967.
Dizionario Storico della Svizzera (DSS), Locarno, Armando Dadò editore, 2002
Gillard Charles La conquête du Pays de Vaud par les Bernois, in Dictionnaire historique de la Suisse, VII, s. v.
Gimpel Jean, The Medieval Machine: The Industrial Revolution of the Middle Ages Holt, Rinehart and Winston, Austin TX, 1976
Gonet Olivier, Lac Leman ou Lac de Genève - Le Léman: Son histoire, ses pirates, les galères savoyardes, sa géologie, l’eutrophisation - www.oliviergonet.com/
Kohler Eric Alain, Christian Reymond, Les Cahiers de la Bibliothéque de Chillon - N° 0 Le Léman des Voiles Latines, Exposition Château de Chillon, Mai-Juin 2005
Le Canton de Vaud 1803 - 1953, Ouvrage publié à l'occasion du cent cinquantième anniversaire de son entrée dans la Confédération , Edition Felix Perret, Lausanne, 1953
Naef Albert, La flottille de guerre de Chillon aux 13e et 14e siècles, Lausanne, 1904.
Penco Gregorio, Centri e movimenti monastici nella Liguria altomediovale, in: Benedictina vol. 10 (1956)
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TRABOCCHI E TRABOCCANTI
TRABUCCO, TRABOCCO, BILANCIA O TRAVOCCO.....e TRABOCCANTI
Il sole catturato... da Rossana!
La nave catturata... da Rossana!
Il Dannunziano "Trabocco Turchino" ormai fatiscente é stato recuperato dalla Regione.
Le foto che seguono le ha scattate il signor DINO PIETRANGELI che ha collaborato alla ricostruzione del TRABOCCO TURCHINO.
Il trabocco più famoso della costa abruzzese lasciato all’abbandono era un colpo al cuore, proprio nell’anno del 150° anniversario della nascita del Vate che lo rese celebre e che da “quella grande macchina pescatoria, simile allo scheletro colossale di un anfibio antidiluviano” , si lasciò ispirare ne Il Trionfo della morte, ad un passo dal suo eremo. Per fortuna la sorte della struttura sembra destinata ad una svolta: “Siamo riusciti a evitare che uno dei simboli dell’Abruzzo venisse inghiottito dal mare”. E’ il commento del Consigliere regionale, e Presidente della Commissione Bilancio, Emilio Nasuti a margine dell’approvazione della legge che stanzia un contributo di 40mila euro da destinare al Comune di San Vito Chietino per il restauro del trabocco di Punta Turchino, descritto da Gabriele D’Annunzio.
“Questo trabocco – spiega Nasuti – è l’unico di proprietà di un Comune, è il simbolo della costa frentana, raffigurato anche in un celebre dipinto di Michele Cascella. E’ interamente realizzato su palificazioni in legno senza fondazioni, ma e’ stato seriamente danneggiato dalle mareggiate degli ultimi anni. Per questo il Consiglio regionale ha deciso di concedere al Comune di San Vito un adeguato contributo per consolidare questo monumento, rappresentativo dell’operosità e della cultura delle genti d’Abruzzo”.
In questa breve premessa abbiamo gettato il seme per la rivisitazione di un tema assai poco conosciuto, specialmente da noi “tirrenici” che spesso abbiamo lo sguardo rivolto verso OVEST, in segno di riverenza per tutto ciò che portato dal vento di ponente ha sapore di novità, di business e di moda. Siamo inoltre esageratamente attratti e distratti dalle nostre coste... nella convinzione d’essere stati baciati, solo noi, dall’Amore di Dio che ci ha fatto nascere da queste parti.
Curiosa quindi questa improvvisa fascinazione verso il Mar Adriatico complice una frase di D’Annunzio che il mio amico Nunzio Catena mi ha recitato al telefono:
« La macchina pareva vivere d'armonia propria, avere un'aria ed un'effige di corpo d'anima » |
Gabriele D'Annunzio: Il trionfo della morte. |
Una serie di domande hanno cominciato a frullarmi nella testa. La “macchina” menzionata dal Vate, si chiama TRABUCCO nelle varianti abruzzesi, TRABOCCO, Bilancia o Travocco nelle varianti molisane e sono un elemento “di corpo e di anima” caratterizzante il paesaggio costiero del medio e basso Adriatico.
Cos’é e come funziona questo grande attrezzo da pesca?
Vi propongo questa definizione che mi sembra la più affidabile e precisa:
“Il trabocco è un'imponente costruzione realizzata in legno strutturale che consta di una piattaforma protesa sul mare ancorata alla roccia su grossi tronchi di Pino d'Aleppo, dalla quale si allungano, sospesi a qualche metro dall'acqua, due (o più) lunghi bracci, detti antenne, che sostengono un'enorme rete a maglie strette detta trabocchetto.”
In pratica il trabocco sfrutta la propria altezza e il lungo sbraccio delle proprie antenne per tenere il suo equipaggio al sicuro dalle insidie del mare agitato.
Lo sbraccio di prora di questo trabocco “furbacchione” ricorda l’albero di bompresso di un veliero un po’ sgangherato... che sfida il mare dall’alto tenendosene lontano con tutte le sue attrezzature marinare fatte di alberi, draglie, rizze, bozzelli e pulegge ecc...
In questa immagine si notano invece le attrezzature da pesca chiaramente “rubate” anch’esse al mondo delle navi ormai fuori moda: lunghi bighi da carico (antenne) dotati di amanti, amantigli, pescanti e tutto l’occorrente per ammainare e poi virare la rete a bilancia con il pescato.
Per saperne di più, mi intrattengo ancora un po’ al telefono con il mio amico Comandante Nunzio Catena, (socio di Mare Nostrum), che abita proprio da quelle parti: Ortona Mare.
Nunzio, ho letto che i trabocchi non sono tutti uguali. E’ vero?
“Hai ragione. Vi sono due tipologie di trabocchi per due differenti tipi di costa.
Nella costa garganica, rocciosa e spesso a picco sul mare, l’impianto da pesca (il trabocco) necessita di un forte ancoraggio ad uno sperone di roccia, per potersi proiettare verso il mare con le sue lunghe antenne. Da quelle parti mancano, infatti, le golfate, le cale e i ridossi per i tradizionali pescatori imbarcati sui piccoli gozzi.
Diversa si presenta la costa abruzzese, i litorali sono meno profondi e viene usata una bilancia (rete), posta in posizione trasversale alla linea della costa. L’attrezzo, più o meno grande, pesca sopra la piattaforma marina, alla quale è collegata da un ponticello costituito da pedane di legno, inoltre le bilance hanno un solo argano, azionato elettricamente, anche quando il mare è perfettamente tranquillo e la rete è molto più piccola di quella dei trabocchi garganici.
Un’altra caratteristica che differenzia le due tipologie è la lunghezza ed il numero delle antenne, più estese sul Gargano (anche il doppio di quelle di Abruzzo e Molise); a Termoli le bilance hanno al massimo due antenne, sul Gargano e nel Nord Barese, a Barletta, Trani e Molfetta, sempre più di due.”
Questi attrezzi da pesca sono tuttora in uso? Oppure sono passati ormai alla storia...?
“I trabocchi di un tempo erano “macchine da pesca” bellissime e molto efficaci. Oggi alcune di loro sono state convertite in ristoranti diventando “macchine da soldi”. Qualche anno fa un mio parente comprò una villa sulla collina che domina dall’alto uno di questi trabocchi, quello del Turchino reso famoso, come ti ho detto, da D'Annunzio nel “Trionfo della morte”. Purtroppo, a causa dell'incuria, fu abbandonato e lasciato cadere in pezzi quando sarebbero state sufficienti qualche tavola e pochi fili di ferro per salvarlo. Per fortuna l’impianto è stato in seguito ricostruito con l’utilizzo di soldi pubblici, ma il risultato non ha nulla a che vedere con la copia originale di qualche secolo fa. La manutenzione ordinaria e straordinaria del trabocco avveniva all’epoca per opera degli stessi “traboccanti” che raccoglievano sulle spiagge tronchi di legno ed altro materiale di recupero ammassato sulle spiagge dal mareggiate.
La pesca al trabocco risale addirittura all’epoca dei fenici che, evidentemente, lasciarono il loro imprinting nel DNA dei pescatori abruzzesi. Nel 1600, forse “imboccati” dai francesi, ci fu un ritorno massiccio verso questa antica forma di pesca che consentiva di mangiare pesce tutto l’anno, anche e soprattutto durante i lunghi inverni burrascosi.
A questo punto della “fiaba” che pesca col trabocco nel mondo dei fenici, ti chiedo: come mai che insieme alla storia di quel popolo, aleggia un altro riferimento mediorientale: il Pino di Aleppo, l’antica città siriana che oggi sanguina a causa di una guerra senza fine.
Alcuni esemplari di Pino d’Aleppo
Tra Santa Margherita Ligure e Portofino svetta questo piccolo esemplare di Pino d’Aleppo che ha trovato ospitalità in una fessura dello scoglio “carega” (sedia).
Ecco come si presenta la corteccia di un Pino d’Aleppo
Continua Nunzio - “Il trabocco è tradizionalmente costruito col legno di Pino d'Aleppo, l’albero più diffuso in tutto il medio Adriatico; si tratta quindi di un legno pressoché inesauribile, modellabile, resistente alla salsedine ed elastico (il trabocco deve resistere alle forti raffiche di Maestrale che battono il basso Adriatico). Ma se ti piacciono le curiosità, te ne racconto un’altra: il termine “trabocco” deriva per sineddoche da quello della rete "trabocchetto", usato nell'uccellagione che é sinonimo di trappola. Il pesce, come un uccello, cade quindi nella trappola...
Entrando un po’ meglio nel dettaglio tecnico, ti assicuro che stiamo parlando di un tipo di pesca molto efficace, anche perché viene fatta a vista. Vale a dire, il trabocco non pesca pesce servendosi di strumenti elettronici, ma lo fa all’antica, forse alla fenicia... che consta nell'intercettare, con le grandi reti a trama fitta, i flussi di pesci che si spostano in cerca di “mangianza” lungo gli anfratti della costa. I trabocchi sono eretti a ridosso di punte rocciose orientate in genere verso SE o NO, in modo da poter sfruttare favorevolmente le correnti .Queste macchine sono molto diffuse e ancora operative lungo tutta la costa della Provincia di Chieti di cui sono originari, i trabocchi sono così frequenti che danno vita alla cosiddetta Costa dei Trabocchi , che si estende precisamente da Ortona a Vasto.
Nunzio, da quante persone é composto l’equipaggio di un trabocco?
“La rete (che tecnicamente è una rete a bilancia) viene calata in acqua grazie ad un complesso sistema de argani e, allo stesso modo, prontamente virata su per recuperare il pescato. Ad almeno due uomini è affidato il duro compito di azionare gli argani preposti alla manovra della gigantesca rete; nei piccoli trabocchi della costa molisana e abruzzese l'argano è azionato spesso elettricamente. Sul trabocco operano in norma quattro uomini, chiamati "traboccanti", che si spartiscono i compiti di avvistamento del pesce e di manovra.
Nunzio, ora tocca a me raccontarti una curiosità. Verso la metà degli Anni ’70 del secolo scorso, fu costruito un trabocco anche sulla costa ligure, a Vesima (nel ponente genovese). L'impianto fu dismesso quasi subito e resistette come struttura solo per alcuni anni.
“Probabilmente non c’é sangue fenicio dalle tue parti...” - sottolinea Nunzio.
Non sono granché informato, ma di una cosa sono certo: la corrente marina costante che bagna Vesima, proviene da una zona portuale lunga 25 KM... te lo immagini il gusto di quei pesci?
Proprio in queste settimane, dall’Adriatico provengono echi di conflitti ambientali: le estrazioni petrolifere che metterebbero in pericolo il turismo, le risorse ambientali e la stessa cultura enogastronomica. E’ così?
“A partire dal 2007 è in corso una dura mobilitazione della popolazione della costa e dell'entroterra abruzzese, finalizzata ad impedire la costruzione di impianti d’estrazione e trasformazione del petrolio nel territorio.
Il primo impianto che ha destato le preoccupazioni degli abitanti è stato il cosiddetto centro olii, ovvero un grande impianto (127.000 m²) di deidrosolforazione del petrolio greggio, progettato dall'ENI. La zona interessata è quella di contrada Feudo, nel cuore della produzione vitivinicola abruzzese. I timori della popolazione riguardano le ricadute sulla salute dell'esposizione all'idrogeno solforato, la distruzione della fiorente economia agricola e gli effetti negativi sul turismo. L'impianto dovrebbe sorgere infatti nelle immediate vicinanze della costa dei Trabocchi. Di recente la legge regionale n. 14 del 2009 ha sospeso la costruzione del centro, ma molte compagnie hanno presentato progetti per la realizzazione di piattaforme marine per l'estrazione e la lavorazione del petrolio, non interessate da tale legge.
Secondo quanto pubblicato il 6 maggio 2010 dal sito www.diebucke.it, lo scorso 18 aprile si è svolta a San Vito una manifestazione contro la petrolizzazione della riviera abruzzese che ha raccolto circa 5000 partecipanti”.
Ritornando al TRABOCCHI, vogliamo chiudere con una buona notizia:
Dal 2015 i Trabocchi diventano Patrimonio UNESCO, Life Style Regione Abruzzo.
Alcuni trabocchi sono stati ricostruiti negli ultimi anni, grazie anche a finanziamenti pubblici come ad esempio la legge regionale abruzzese n.99 del 16/9/1997, ma hanno però perso da tempo la loro funzione economica che nei secoli scorsi ne faceva la principale fonte di sostentamento di intere famiglie di pescatori, acquistando in compenso il ruolo di “simboli culturali” e di attrattiva turistica. Alcuni trabocchi sono stati persino convertiti in ristoranti.
ALBUM FOTOGRAFICO
Bruno Verì
“Per quasi tre generazioni i trabocchi hanno rappresentato il mezzo di sostentamento dei miei antenati" – racconta Bruno Verì, traboccante storico e artefice di questa trovata che sta rivoluzionando il turismo locale – "Mio nonno, e prima di lui il mio bisnonno, con il pescato locale riuscivano a sfamare tutta la famiglia”.
Come abbiamo già visto, é proprio questa, infatti, la funzione originaria dei trabocchi. Palafitte di legno dove sono ‘montate’ reti che vengono calate in acqua, per poi essere sollevate con il pesce intrappolato tra le maglie di corda.
D’altra parte, lo stesso Gabriele D’Annunzio parla del trabocco (o trabucco, com’era chiamato un tempo) come di “una strana macchina da pesca, tutta composta di tavole e di travi, simile a un ragno colossale”. Quella del trabocco, secondo altre fonti, sarebbe una tradizione contadina, più che marinara; gli agricoltori che vivevano nei pressi della costa, spaventati dal mare ed incapaci di nuotare, inventarono questi marchingegni proprio per riuscire a pescare senza dover affrontare il moto ondoso.
Trabocco a Rodi Garganico
La vita intorno ad un trabocco
Trabocco a Molinella
Trabocco a Peschici
Trabocco Valle del Surdo – Villa Rosa
Trabocco Ristorante “Eredi di Tramalcione”
Il ristorante Trabocco Sasso della Cajana prende il nome da uno scoglio poco distante che emerge dalle onde e dà riposo ai gabbiani (la Cajana).
Se di giorno è bello, il Trabocco di notte è magico. La struttura in legno centenaria sospesa su grossi pali ad alcuni metri sul livello dell’acqua, offre la sera, una suggestione ancora più grande. L’atmosfera che si respira sulla piattaforma del trabocco, mentre soffia la serale brezza marina è incantevole ed incantevole è il sapore della cucina tipica abruzzese. Le centenarie strutture un tempo utilizzate dai pescatori, oggi ben si prestano a degustazioni di prodotti e piatti locali.
Trabocco Punta rocciosa
Il Trabocco Pesce Palombo a Rocca San Giovanni
Sono tantissimi i turisti, provenienti da tutta Italia e da tutto il mondo, che scelgono una vacanza sulla Costa dei Trabocchi proprio per cenare su queste suggestive palafitte sul mare, dove il pescato locale – e in parte i pesci catturati direttamente dalle reti del trabocco – offrono una succulenta cena genuina e gustosa.
Il tratto della Costa dei Trabocchi tra Fossacesia e San Vito
Un Trabocco allestito per un matrimonio
Ringrazio il Comandante Nunzio Catena per l'intervista concessa a MARE NOSTRUM RAPALLO.
05 giugno 2016
San Vito, inaugurato il trabocco del Turchino
Dopo il crollo di due anni fa, torna a nuova vita il trabocco che il Comune utilizzerà per attività didattiche e culturali. I lavori di ristrutturazione sono costati 185 mila euro.
Il taglio del nastro del rinnovato...
SAN VITO CHIETINO. Odora di legno e mare il nuovo trabocco di Punta Turchino. Legno di acacia, larice e pino che luccica non eroso dal tempo e dalla salsedine. La passerella è di nuovo integra, non ridotta ad un filo. Il piano pesca e il casotto poggiano su binari nuovi fissati su scogli ma anche su basi di cemento. La «strana macchina da pesca, tutta composta di tavole e di travi, simili ad un ragno colossale», come scrisse D’Annunzio nel “Trionfo della morte”, è tornata a vivere a due anni dal crollo avvenuto nella notte tra il 26 e il 27 luglio 2014. Ieri l’inaugurazione alla presenza anche degli alunni di quinta elementare delle scuole di San Vito marina e paese e della contrada di Sant’Apollinare.
Quasi cento assi di acacia raccolti nella fase di luna calante a gennaio (per il cui taglio San Vito ha pagato 15.500 euro dopo aver rifiutato le acacie che voleva regalare il Comune di Lanciano a far da base, legno di larice per la passerella lunga circa 60 metri e la piattaforma di 98 metri quadrati; legno di pino per il casotto, binari nuovi su cui poggiano le basi della struttura. «Il trabocco è composto di tre pezzi», spiega l’architetto Anna Colacioppo che ha curato il progetto, «passerella, piano pesca e casotto. La passerella, è fatta di sette segmenti e sale fino al piano pesca che è quattro metri sul livello del mare. Abbiamo usato l’acacia per la struttura e le parti basilari, il larice per le assi della passerella e del piano pesca e il pino per il casotto. C’è anche del cemento dove mancavano gli scogli. È l’unico trabocco che protende molto verso il mare (ed è anche l’unico di proprietà di un Comune, ndc) quindi ha bisogno di protezione e cura». Protezione chiesta anche dal sindaco Rocco Catenaro alla Regione mesi fa. «Ho chiesto protezioni, delle scogliere», dice Catenaro, «per evitare che si possa compromettere di nuovo la stabilità del trabocco e per rallentare l’erosione della costa al Promontorio dannunziano, che sta mettendo a rischio anche il sedime ferroviario dismesso. Oggi, però, spazio alla festa, al trabocco costruito dalla ditta Mari Ter srl di Ortona. Un lavoro complesso, su un progetto presentato dal Comune poco prima che la “macchina pescatoria” sprofondasse in mare. Un lavoro costato 185mila euro, 110mila dati dalla Regione e 75mila sborsati dal Comune. Il trabocco sarà utilizzato per attività culturali e didattiche e la
manutenzione sarà affidata a due traboccanti». Dopo il taglio del nastro, divisi in gruppi di 30, sono stati in molti a salire sul trabocco, a scattare foto sulla piattaforma con alle spalle il mare turchino che si confondeva con l’orizzonte. (t.d.r.)
NOTE AGGIUNTIVE SUI “TRABOCCHI DA FIUME”
di NUNZIO CATENA
Notare l'angolo della rete del trabocco.
Nella foto di molti anni fa, io sono ai remi, mia sorella ha il fazzoletto in testa.
Arcobaleno a Ortona (Foto-Rossana)
LA PESCA IN ADRIATICO
Le Paranze da pesca Abruzzesi
TRABOCCHI DA FIUME
Note aggiuntive del Comandante Nunzio Catena
Bilancia del fiume SALINE (Pescara)
Proponiamo una prima volta questa foto per la splendida rappresentazione paesaggistica. In seguito la esamineremo dal punto di vista costruttivo.
- In questo tipo di pesca, occorre salpare la rete nel momento in cui passa il pesce, per cui il traboccante si affida alla dea bendata! Molti usano legare un pesce vivo al centro della rete con il compito di richiamare altre prede.
Una moltitudine di Trabocchi sul fiume Saline (vicino Pescara)
Schizzo di una “bilancia” moderna da fiume
Il Trabocco (o 'bilancia') da fiume é un attrezzo composto di due bilancieri, chiamate anche pertiche o verghelle, (vedi disegno sopra) che sono metalliche ed incrociate allo scopo di sostenere una rete quadrata che viene sollevata ed abbassata da un paranco fissato ad un'asta (oppure può essere direttamente salpato con l'asta). Pare che, attualmente, la misura massima consentita della rete, per uso professionale, sia di mt 4 per lato e dev'essere di tipo amovibile.
Per poter recuperare il pesce dalla rete, occorre ruotare il “traversone” di 90 gradi e portarlo sulla riva come dimostra questa foto in cui si notano le pertiche di acacia.
I TRABOCCHI DI UNA VOLTA, (vedi foto sopra), disponevano di due bilancieri (pertiche o verghelle), composte da rami curvi ed invecchiati appositamente, giuntati l’uno sull'altro (ricordavano le costole della sezione maestra di una barca capovolta).
Le pertiche altro non erano che rami di acacia (Spino di Giuda) che, notoriamente, sono resistenti agli sforzi ed alle intemperie marine.
Le pertiche di acacia presentavano un ulteriore vantaggio: modellate al fuoco, si flettevano molto poco sotto il peso del pescato. Al contrario, quelle attuali in acciaio si flettono parecchio e riducono la superficie utile per la dinamica di quel tipo di pesca.
Riproponiamo questa bellissima foto per definire meglio i particolari delle verghelle della bilancia che si incrociano tra loro e penzolano da un longherone di 12-13 mt di lunghezza), formato da più travi, unite da un adeguato tondino (o piattina) di ferro per evitare deformazioni da sforzo. All'altra estremità (sulla riva) viene fissato un contrappeso con lo scopo di diminuire lo sforzo da applicare al penzolo utilizzato per salpare la rete dall'acqua. Questo lungo traversone viene fulcrato (ancorato) alla cima di un palo fissato sulla sponda del fiume con dei puntelli laterali che lo fissano al terreno, per trattenerlo durante le piene del fiume che a volte sono così impetuose da trascinare tutto l’armamentario in mare. In questi casi non rimane che attendere la bonaccia per andarlo a recuperare prima che un “intruso” lo trovi per primo e ne pretenda il dovuto compenso.
In questa ulteriore foto d’epoca, che desideriamo proporre e tramandare alle nuove generazioni, si notano i Trabocchi in posizione di “riposo” per recuperare il pescato. Nei pressi della foce, a seconda della corrente entrante/uscente, l’acqua é più o meno salmastra. Questa situazione ambientale e variabile, favorisce il transito di molte specie ittiche tra cui: cefali, spigole e qualche passera.
IL MONDO DEI TRABOCCHI HA ISPIRATO ANCHE IL CELEBRE MODELLISTA DI ORTONA
TOMMASO IEZZI
Giornata di vento teso. I trabocchi visti dal colle di San Donato dove é situato il cimitero militare canadese di Ortona.
Chiudo con queste opere d'arte di Rossana Di Paolo
Trabocco della Torretta
Ripreso dal fotografo di Zoagli
Cesare MALATESTA
Carlo GATTI
Rapallo, 23 Marzo 2016
PERCHE’ È INDISPENSABILE UNA TORRE PILOTI
PERCHE’ È INDISPENSABILE UNA TORRE PILOTI
Quando una nave deve uscire da un bacino di carenaggio, galleggia al centro di una vasca e, per imbarcare il pilota, si utilizza una gabbia aperta, che viene sollevata da una gru per permettergli di raggiungere il Ponte di Comando.
Fino a quando la gabbia è a terra, con lo sguardo si abbraccia la vita del cantiere confinata tra gli edifici e gli ostacoli che la vista incontra.
A venti metri di altezza si intravedono il Molo Vecchio, la testata di Ponte Assereto, le gru della Sanità…
A quota quaranta "ci si affaccia alla finestra": i monti spariscono nell’acqua a Capo Mele, il palazzo della Nira nasconde gli yachts della marina; s’intuisce appena l'esistenza dell’imboccatura e, alle spalle, una fetta del Porto Antico.
A sessanta metri di altezza si apre un nuovo mondo e tutto appare sotto controllo: Punta Chiappa sullo sfondo a Levante, le navi che atterrano con la prua su Punta Vagno, i vapori alla fonda a sud della Diga, la Sanità e l’intero arco del Porto Antico, il canale di Sampierdarena e oltre, fino alle gru del Porto Contenitori VTE prossime all’imboccatura di ponente.
Si vedono le navi evoluire tra le testate dei pontili e le bettoline transitare da una banchina all’altra, mentre le cicatrici bianche che serpeggiano tra le calate fanno intuire a colpo d'occhio l'intensità e la direzione del vento, che per motivi orografici fa breccia e rimbalza con angolazioni diverse.
Dall'orientamento delle navi alla fonda si percepisce la direzione e la forza della corrente, e con uno sguardo si riesce a valutare la dinamica e il potenziale pericolo per una nave in uscita che andrebbe a incrociarne un’altra in entrata nel punto più stretto.
Da quell’altezza appare chiara l'importanza di un punto di vista che abbracci tutto il golfo di Genova.
Nonostante la strumentazione abbia assunto un ruolo determinante e abbia alzato il livello di sicurezza, mettendo a disposizione numerose informazioni estremamente importanti, è pur sempre fondamentale che questi imput vadano interpretati e utilizzati come ausilio alla formazione pratica costruita sull'esperienza.
Renzo PIANO: Il Progetto della Torre Piloti del Porto di Genova
I maggiori porti del mondo hanno reti anemometriche, correntometri, un'adeguata illuminazione delle banchine e un programma periodico di dragaggio con monitoraggio sistematico delle quote dei fondali; e ovviamente dispongono di una Torre di Controllo che, oltre a raccogliere i dati e a utilizzarli per la sicurezza della vita umana, delle strutture portuali e a salvaguardia dell'ambiente, permette all'uomo la visione diretta e l'utilizzo coerente, dopo le giuste valutazioni, di tutti gli ausili tecnologici e informatici di cui deve essere giustamente dotata.
Tutti i 25 chilometri di porto soffrono di un mancato adeguamento degli spazi, e ci si trova a gestire navi tre volte più grandi di quelle per cui è stato costruito il porto.
La posizione geografica, la direzione presa dallo sviluppo economico marittimo, le concrete possibilità che, con un’adeguata e oculata gestione delle risorse, potrebbero dar vita a uno scenario che vedrebbe Genova La Superba protagonista dello shipping in tutte le sue sfaccettature e, non ultima, l’ambizione che dovremmo avere quando si parla di Mare, di Lavoro e di Futuro, ricordando quello che siamo stati in passato, dovrebbero bastare a convincerci a guardare avanti; dovrebbero bastare a convincerci a guardare oltre; oltre alla burocrazia, oltre alle posizioni di partito, oltre ai cavilli amministrativi, drasticamente capaci di bloccare lo sviluppo di un intero paese.
I terminalisti stanno portando avanti ingenti investimenti per adeguare le strutture esistenti alle dimensioni delle nuove navi, il che vuol dire, tradotto in parole povere: quello che possono lo stanno facendo.
Gli Armatori, gli Agenti Marittimi e i portuali in genere, hanno condiviso con noi la difficile strada che ha messo la città in condizione, rispettando i parametri di sicurezza, di restare in gioco sulla piattaforma europea.
La Capitaneria ha saputo cavalcare i cambiamenti, restando arbitro e direttore di una partita complessa, giocata sul filo del rasoio.
Noi Piloti, in seguito al tragico evento del 2013, abbiamo trasferito la Stazione Operativa a Ponte Colombo che, oltre ai limiti già descritti, è dotata di una strumentazione insufficiente e permette una visione limitata a una piccola porzione del Porto Vecchio.
La posta in gioco, in termine di posti di lavoro e di affermazione di identità/risorsa economica per l’Italia e l’Europa, è molto alta.
Da sinistra: Amm. Vincenzo Melone - Arch. Renzo Piano - Dott. Luigi Merlo - C.P. Jhon Gatti.
Nell’attesa della costruzione della nuova Torre, il destino ci ha costretti a una revisione totale del sistema Porto/Piloti/Controllo. Un progetto partito dall’impulso deciso dell’Ammiraglio Melone e del Presidente Merlo, due persone dotate di grande senso pratico e di una lucida visione d’insieme.
Sono questi i motivi che ci devono spingere a cogliere l'opportunità che ci è stata offerta dall'Architetto Renzo Piano come una priorità, come la possibilità di far partire il cambiamento di cui tanto ha bisogno il porto di Genova, agendo sulla parola Sicurezza, seguita dalla parola Efficienza e chiusa dalla parola Professionalità.
Dobbiamo partire dalla nuova Torre di Controllo, biglietto da visita e strumento indispensabile per il Porto di Genova!
JOHN GATTI
Capo Pilota del Porto di Genova
Socio Fondatore dell'Associazione MARE NOSTRUM RAPALLO
Questo articolo é apparso il 17 marzo 2016 sul quotidiano SECOLO XIX di Genova.
Rapallo, 20 Marzo 2016