QUANDO I FIESCHI FINIRONO A BAGNO...
QUANDO I FIESCHI FINIRONO A BAGNO....
Silvan e Charly sono due “retired uomini di mare" che s’incontrano in DARSENA ogni mattina per il solito café delle 10. Quando non parlano di politica sforano “abusivamente” nella storia, e in questo specchio d’acqua di storia n’é passata tanta...
I nostri amici hanno appena visitato per l’ennesima volta la REPLICA della Galea custodita nel Galata Museo. Questa mattina, chissà perché, le parole: Darsena e Galea suscitano in loro un ricordo “curioso e poco noto” che intendono rievocare. L’inesorabile caduta politica ed economica della potente dinastia genovese dei FIESCHI. Già! Per ironia della sorte, fu proprio Gianluigi Fieschi (capo dei cospiratori), a cadere dallo scalandrone della GALEA che doveva assalire.
“Com’é possibile cadere dallo scalandrone di una galea ormeggiata qui davanti e mandare tutto a puttane?” – Si chiede Charly con lo sguardo rivolto verso Calata Cembalo.
“Facciamo un breve ripasso.
– suggerisce Silvan -
“Andrea Doria fu chiamato a Genova quando era Ammiraglio della flotta Portghese; fu chiamato perché, pur essendo Ligure, non era impelagato nelle beghe genovesi e lo chiamarono appunto per derimere le controversie. Accettò a condizione che lo nominassero Duce cioè dittatore, vivesse fuori Genova e restasse amico di Re Carlo di Spagna. Questa sua fedeltà al Sovrano la immortalò con la scritta lunga quanto il palazzo e che ancor oggi si legge nel marmo che divide il piano terreno dal primo piano della sua Villa a Fassolo. La vera svolta della sua carriera si realizzò quindi nel 1528 quando riuscì a firmare con Carlo V un’alleanza militare e finanziaria. Egli s’impegnava a mettere la flotta genovese al suo completo servizio; in cambio otteneva dall’imperatore e re di Spagna un ricchissimo compenso annuo per l’uso delle navi e piena libertà di commercio per Genova in tutti gli stati da lui dipendenti, a pari diritto con gli stessi spagnoli.
L’ascesa di Andrea Doria e di Genova – Andrea Doria, nato a Oneglia, in Liguria, il 30 novembre 1466, apparteneva a una delle quattro famiglie più eminenti di Genova: i Doria, gli Spìnola, i Fieschi e i Grimaldi, un ramo dei quali si era spostato a ovest e aveva fondato la dinastia dei principi di Monaco. L’ascesa di Andrea Doria e di Genova cominciò parallelamente all’epoca dei “conquistadores” e si svolse mentre la Spagna entrava a far parte dell’Impero di Carlo V d’Asburgo.
Andrea Doria, ormai anziano e quasi in disarmo, sperava di concludere la sua esistenza in gloria e tranquillità, magari nel famedio dei grandi. Purtroppo, suo nipote ed erede Giannettino Doria era molto ricco, potente ed arrogante e gli procurò molti nemici. All'inizio del 1547, Doria dovette così affrontare la più grave minaccia al potere sulla città che teneva ormai da un ventennio.
La Congiura dei Fieschi
Stemmi della famiglia Fieschi
I Fieschi, guelfi come i Grimaldi, costituivano assieme ai Doria ghibellini come gli Spinola uno dei quattro gruppi famigliari genovesi della più antica e potente aristocrazia. Il complotto ebbe al centro un giovane membro della consorteria: Giovanni Luigi (Gianluigi) Fieschi.
Giovanni Luigi Fieschi
Chi spinse Gian Luigi Fieschi ad organizzare il tentato colpo di Stato?”
- Si domanda Charly che ha pochi dubbi in proposito -
“Con ogni probabilità, il Fiesco era sostenuto da molti ambienti della politica italiana ed europea di allora interessati, più che altro, alle conseguenze che una manovra del genere poteva produrre. I mandanti più o meno occulti del giovane nobile sono spesso indicati nella Corte francese e in quella del papa Paolo III Farnese, interessati entrambe ad eliminare uno dei membri più importanti del “partito imperiale” in Italia. Qui, però, c’é da aggiungere un’annotazione di rilievo: la famiglia Fieschi diede alla chiesa due Pontefici (Innocenzo IV e Adriano V) e numerosi Cardinali e vescovi.
La vera ricostruzione storica andrebbe per le lunghe... Silvan scalpita per arrivare al CLOU della drammatica vicenda e attacca:
“Appena ventiduenne, Gianluigi Fieschi cercò infatti di rovesciare la supremazia dei Doria. Tuttavia, la CONGIURA programmata per la notte tra il 2 e 3 gennaio 1547 ai danni di Andrea Doria non riuscì a causa di un “incidente marinaro” che nessuno dei congiurati aveva preventivato. La cospirazione scattò il 3 gennaio 1547. Nella prima fase il piano prevedeva la presa delle “porte della città” e poi la cattura delle galee dei Doria, ormeggiate in Darsena, per liberare e quindi provocare l’insurrezione degli schiavi musulmani. Sparato il colpo di cannone convenuto, iniziò il combattimento.
L’AZIONE FINALE DELLA CONGIURA – Fu proprio in questa seconda fase della congiura che Gian Luigi Fieschi, proiettato all’arrembaggio di una galea dei Doria, scivolò dalla passerella, cadde nello specchio di mare interno della Darsena e fu inesorabilmente trascinato sui fondali del porto dal peso dell’armatura. Perso il Capo, i congiurati smarriti si dispersero velocemente ed il fallimento della sommossa fu inevitabile.
Il giorno seguente, Genova era di nuovo nel pieno controllo del suo Doge.
La punizione di Andrea Doria fu atroce e vendicativa per la morte dell’amato erede Giannettino, ucciso quella notte mentre usciva da palazzo di Fassolo.
I congiurati vennero messi a morte dopo un processo sommario. Il Doria bandì i Fieschi dalla città, fece radere al suolo il loro quartiere in Via Lata. Tutti i loro beni vennero espropriati: roccheforti, castelli, manieri e fortezze furono espugnati e in parte distrutti uno ad uno, con tutti i loro vasti possedimenti terrieri. Ebbe così fine il ruolo di questa famiglia nella vita politica genovese, l'unica delle quattro “grandi” a non avere grandi interessi nei commerci marittimi e nella finanza, ma che basava il suo potere sui numerosi feudi posseduti nell'entroterra.
Ecco la prima verità venire a galla: I Fieschi non erano mai stati “vicini al mare”, né fisicamente, né col portafoglio... La loro potenza si era espansa grazie alla influenze della politica e diplomazia del Vaticano in Europa.
Interrompe Charly: “possiamo dire che al Fiesco mancò il piede marino per tenersi dritto, magari sapeva cavalcare e combattere nelle campagne alle spalle di Genova, ma non sapeva nuotare, non conosceva i trabocchetti e le astuzie dei marinai delle Galee, né tanto meno possedeva u mestê do mainâ (esperienza del marinaio)”.
“Infatti – aggiunge Silvan - Il ramo più importante dei Fieschi fu quello dell’entroterra genovese, detto "di Torriglia" e di Savignone".
“Cosa ne fu del cadavere del Fiesco?” – Chiede Charly -
“Ripescato dopo giorni – risponde Silvan con tono solenne - Andrea Doria ordinò che i resti di Gian Luigi Fieschi fossero esposti per due mesi sul molo, dopodichè lo fece gettare al largo senza alcuna cerimonia: “perché avesse la tomba che si era scelto”.
Charly fa una interessante obiezione - “Voglio spezzare una lancia in favore di Gianluigi Fieschi. Sono d’accordo che il Fiesco sbagliò ad indossare l’armatura, che non era sicuramente adatta per muoversi con agilità e rapidità tra una galea e l’altra. Quello non era il suo campo ideale di battaglia e questo l’abbiamo capito! Ma quale uniforme avrebbe dovuto indossare per guidare i congiurati all’arrembaggio, di notte, in mezzo a nemici, schiavi islamici, tra uomini che non l’avevano mai visto? Come poteva dare ordini senza farsi riconoscere? Chi gli avrebbe riconosciuto il ruolo di DUX? Il ruolo è fondamentale perché costituisce il riferimento di base per tutte le azioni militari in corso. Forse il Fiesco, più campagnolo che marinaio, avrebbe avuto bisogno di un consigliere-ammiraglio. Purtroppo Andrea Doria era dall’altra parte...!
Plastico della Darsena medievale con numerose Galee. Galata Museo
In questo dipinto del 1545, (due anni prima della Congiura), si notano i due settori: mare e terra della Darsena.
Tela di Cristoforo Grassi al Galata Museo
La Darsena occupata da numerose Galee in un dipinto d’epoca
Particolare dalla Carta Topografica della Città di Genova ed. Grondona 1846
Ecco come si presentava la Darsena a fine 800. Il vapore al centro della foto é ormeggiato alla calata Cembalo, occupata oggi dal sottomarino NAZARIO SAURO al GALATA MUSEO. A destra la calata Ansaldo de Mari, detta dell’ OROLOGIO occupata da maone. In primo piano la calata SIMONE VIGNOSO (Calata Vigne). UN TEMPO c’erano camalli e operai, magazzini e carichi. Oggi turisti e studenti, caffè e tavolini. Si potrebbero accostare come due istantanee le immagini della Darsena di ieri e quella dei giorni nostri e giocare a trovare le differenze. L’idea di un Open Air Museum, realizzato anche grazie alla collaborazione con la Regione Liguria, il Comune di Genova, le soprintendenze e l’Autorità Portuale, arriva però da lontano: «Ci siamo ispirati ai musei del Nord Europa. A quanto accade a Stoccolma, ad esempio, dove i vecchi docks non più utilizzati vengono affidati ai privati, che li usano per accogliere imbarcazioni storiche» Aggiunge ancora Pierangelo Campodonico (il direttore del Museo del Mare) «in altri posti, come Dunkerque o in certi piccole città della Bretagna, sono state recuperate intere aree degli antichi porti e aperte ai turisti. Questa stessa volontà alberga in tutti noi: dare ai genovesi uno spaccato di quanto accadeva lungo quei moli, nei primi anni del secolo scorso, quando l’attività ferveva tra i magazzini che portavano il nome delle colonie genovesi, Galata, Tabarca, Cembalo, Metelino, Scio ecc... Occorre fare in modo che fra quel passato di lavoro e di vita marinara, e il nostro presente, non ci sia un fossato.
Foto: Autorità Portuale di Genova - Archivio Storico - Il Porto visto dai fotografi - a cura di Danilo Cabona e Maria Grazia Gallino - ed. Amilcare Pizzi
GUIDA PAGANO 1934
Fine '800 - La DARSENA. Notare sullo sfondo la costruzione con lo stemma di Genova alle spalle della Calata Ansaldo de Mari, chiamata anche Calata Orologio dal grande disco “orario” che sovrasta l’edificio stesso.
Foto: Autorità Portuale di Genova - Archivio Storico - Il Porto visto dai fotografi - a cura di Danilo Cabona e Maria Grazia Gallino - ed. Amilcare Pizzi
ALBUM FOTOGRAFICO
dedicato al Casato dei FIESCHI
La basilica dei Fieschi, presso il borgo fliscano di San Salvatore (Lavagna)
Il Rosone della basilica
Il Portale
La Navata centrale
Ruderi del Castello di Santo Stefano d’Aveto
Ruderi del Castello di Savignone
Castello di Savignone: Fosca dei Fieschi e il fantasma del serpente
Il palazzo nobiliare fliscano presso il borgo di San Salvatore di Cogorno
Palazzo dei Fieschi a Casella
Veduta di Senarega (Valbrevenna) con il Castello Fieschi
Bastione nel centro di Varese Ligure
Particolare della torre del Piccinino - Varese Ligure
Torta dei Fieschi
Lavagna - Panoramica aerea di piazza Vittorio Veneto durante la festa.
La Torta dei Fieschi negli anni Cinquanta.
Lavagna - Panoramica della piazza dal palcoscenico: la torta è ancora coperta dal telo.
Lavagna - Il corteo storico scende dalla scalinata della basilica di Santo Stefano, addobbata per l'occasione (edizione 2012)
Lavagna - "Torta" e palco (edizione 2014)
Lavagna - Giocolieri sul palco (edizione 2013)
La rappresentazione dei figuranti ha preso le mosse nel corteo di sbandieratori, armigeri, musici, danzatori, damine, giullari, tamburini, arcieri, cavalieri: tutti in variopinti costumi medievali, hanno attraversato la città fermandosi davanti al Comune per salutare il sindaco.
Carlo GATTI
Rapallo, 30 maggio 2016
Questo saggio é dedicato alla memoria dell'amico SILVANO MASINI socio di MARE NOSTRUM RAPALLO, compagno di tanti viaggi sui rimorchiatori genovesi d'altomare e portuali. Silvan giunse alla tesi di laurea in Storia, con il massimo dei voti, ma decise di fermarsi... lo fece per amore della storia. Lui era e si sentiva soltanto un vero un uomo di mare.
Silvan ci manchi tanto!
IL RITROVAMENTO DEL PORTOLANO SACRO GENOVESE
IL RITROVAMENTO DEL PORTOLANO SACRO GENOVESE
Marcella Rossi Patrone
Nel 2013, a qualche hanno dal ritrovamento, la dottoressa Valentina Ruzzin ha pubblicato un incantevole saggio di storia medievale: La Bonna Parolla. Il portolano sacro genovese. Al convegno dal titolo Le Portulan sacré. La geographié religieuse de la navigation au Moyen Âge, tenutosi a Friburgo lo stesso anno, l’intervento genovese ha suscitato grande interesse per il valore scientifico della scoperta, presentata dalla stessa Ruzzin e contestualizzata dalla prof. Valeria Polonio. Abbiamo avuto il privilegio ed il piacere di incontrare entrambe; riteniamo valga la pena divulgare l’argomento.
L’autrice del saggio citato, che da oltre un decennio svolge ricerca storica sugli atti notarili liguri dei secoli XII-XV, ci spiega chiaramente cosa sia un portolano sacro, conosciuto tra gli esperti come Santa Parola: «Si tratta, volendola definire rapidamente nella sua sostanza, di una lunga preghiera in uso presso la marineria del medioevo, strutturata come un elenco di invocazioni volte ad impetrare il soccorso di Dio, di Maria, dei santi e dei beati patroni di alcuni particolari luoghi, il cui dettato è organizzato in prevalenza secondo un particolare itinerario geografico, che racchiude gran parte del mondo allora conosciuto». Fino al ritrovamento l’unico manoscritto tramandato risaliva ad un codice del tardo XV secolo, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Firenze. L’esemplare genovese, rinvenuto dalla dottoressa Ruzzin presso l’Archivio di Stato di Genova col titolo di Bonna Parolla, è l’unica altra testimonianza di questa devozione marittima.
Se l’origine e la diffusione della Santa Parola rimangono sconosciute, il manoscritto di Firenze ne ha descritto chiaramente l’uso:
«Incomincia la Santa Parole (sic). Si dice in galea o nave o altra fusta quando fussino stati alcuno giorno sanza vedere terra».
Tutti sanno del legame tra i santuari ed il mare, che si manifesta in modi e situazioni differenti. Alcuni santuari prendono spesso il nome dal mare o da santi protettori dei marinai, a loro volta i marinai ricordano bene i santuari costieri cui rivolgere le loro preghiere. Gli ex voto marinari rimangono poi la più semplice e visibile testimonianza di questo legame.
Dalla Palestina il cristianesimo si diffuse precocemente e rapidamente lungo le coste liguri, affacciate sul mar Mediterraneo. La sua radicata presenza affiancò per secoli le relazioni politiche e commerciali connesse alla navigazione, lungo le rotte mediterranee da e verso la terraferma. Dopo il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, sotto il dominio bizantino, longobardo e carolingio le vie del mare non persero importanza: la navigazione di cabotaggio fu praticata con perizia e continuità anche prima del X secolo, quando decollò l’attività marittima ligure. Lungo la costa passava infatti la rotta che univa i porti tirrenici a quelli del mediterraneo occidentale ed i liguri non dimenticarono mai l’esperienza acquisita con Etruschi, Romani e Bizantini. La documentazione rimane scarsa, comunque lo attestano alcuni particolari episodi che ci piace ricordare. Alla fine del VII secolo il mondo mediterraneo si trovò diviso in mondo romano germanico, mondo bizantino e mondo arabo, nuova espressione di uno stato teocratico in rapida espansione territoriale. Nei primi decenni dell’VIII secolo gli arabi invasero la Sardegna e si impadronirono di Cagliari, dov’erano custoditi i resti di Sant’Agostino. Il re cattolico longobardo Liutprando ordinò allora una spedizione navale per metterli in salvo e sbarcarli a Genova, da dove furono trasferiti a Pavia. Successivamente Carlo Magno assegnò ai territori liguri la protezione delle coste, isole comprese, e non esitò ad inviare in Liguria un proprio notaio perché allestisse una flotta adeguata al trasporto di un elefante, un ingombrante dono diplomatico del califfo di Bagdad; l’elefante fu sbarcato a Portovenere e raggiunse incolume la corte imperiale, dove visse per anni. Alla fine del IX secolo il vescovo Sabatino mandò alcune navi a Sanremo, per salvare e custodire a Genova le reliquie di San Romolo, in pericolo per le incursioni degli arabi stanziati a Frassineto, in Provenza. Nell’Alto Medioevo, quindi, la tradizione marinara ligure perdurò in difesa della dignità civile e della libertà religiosa. Nel 934 una flotta araba arrivò ad assaltare e saccheggiare Genova e la reazione fu immediata: una spedizione navale annientò il nemico, recuperando prigionieri e bottino. Quest’unica aggressione, ricordata con enfasi dagli annalisti di ambo le parti, confermò la forza della città, che nei decenni successivi passò definitivamente al contrattacco. Da questo momento Genova prese a costruire la propria affermazione sul mare con la supremazia navale, cui aggiunse la creazione di un geniale sistema mercantile e finanziario. Si cominciò a navigare studiando gli astri, i venti, le correnti e le coste, utilizzando lo scandaglio. Il cabotaggio permise di orientare la navigazione e di fare il punto nave riconoscendo il litorale, ma anche di localizzare le correnti e le secche, gli approdi e gli scogli. Quando gli strumenti di bordo erano scarsi, si tendeva a non perdere di vista la terraferma, appoggiandosi alla memoria geografica ed al portolano, che nel Medioevo si affermò come un vero e proprio genere letterario. I portolani indicavano qualsiasi irregolarità costiera utile e descrivevano le manovre necessarie per evitare i pericoli, avvalendosi di una tradizione ininterrotta di uso ed esperienza. Il Medioevo fu permeato di una religiosità che coinvolse la vita privata e le relazioni sociali, il pensiero e la parola. Il mare ebbe un’importante dimensione religiosa, connessa innanzi tutto ai pellegrinaggi nei luoghi santi della cristianità ed alle crociate, che rappresentarono anche un’esperienza marittima. Tra tempeste e bonacce, in mare si era in continuo pericolo e si recitavano le preghiere dei naviganti. Scrive l’Anonimo Genovese alla fine del XIII secolo:
«Noi chi semper naveghemo
E ‘n perigor semo
En questo perigoloso mar,
ni mai possamo repossar,
no devemo uncha cesar
lo pietoso De pregar
che ne scampe, con soi santi,
da li perigoli, chi son tanti,
…..
non compaiono né stelle, né sole, né luna;
scuro è il cielo di questa tempesta;
e non abbiamo nemmeno la speranza
di poter giunger al porto;
…..
En sì greve ruyna
no savemo aotra meixina
de qual alcun de noi spere
se no far a De preghere,
chi za mai no abandona
chi ge fa pregera bonna
e in gran tribulacion
sa tosto dar salvacion».
Mentre si faceva pregera bonna, con grande conforto si riconoscevano le chiese allineate luogo la costa, come i grani di un rosario. Molteplici usanze religiose si associarono così alla navigazione ed i santuari punteggiarono le coste, destinatari di preghiere e insieme puntuali riferimenti per le rotte.
Da oltre un secolo gli storici studiano la litania della Santa Parola recitata dai marinai medievali, ma la ritrovata versione genovese mostra oggi alcune differenze rilevanti. Rispetto a quella toscana, considerata mutila, la litania ligure ha la stessa struttura, ma aggiunge un’introduzione, un’orazione conclusiva e, come illustra Valentina Ruzzin, ha alcune particolarità. Premesso che le due versioni presentano la stessa la forma, che forniscono entrambe testimonianze religiose, storiche, geografiche, sociali ed economiche, soffermiamoci solo sul testo genovese.
La Bonna Parolla si divide in due parti: nella prima, secondo l’ordine gerarchico, ci si rivolge ai santi più importanti ed a quelli dei naviganti; nella seconda, che è la più lunga, ci si rivolge ai titolari di particolari luoghi sacri, presenti lungo le coste mediterranee e atlantiche. La litania segue una vera e propria rotta, che parte dal vicino Oriente e continua verso l’Europa senza alcuna rappresentazione grafica, come accade nel portolano. Per questo motivo si parla oggi di portolano sacro.
Resoconti di navigazione attestano che la marineria genovese ricorreva a questa preghiera in situazioni pericolose, particolarmente quando mancava la visibilità. Citiamo ad esempio il caso di Anselmo Adorno, nobile fiammingo di origine genovese, che nel 1470 salpò da Genova su una nave diretta in Terrasanta. L’Adorno descrisse come, per una fitta nebbia al largo della Sicilia, tutti gli imbarcati avessero intonato per diverse sere la Santa Parola.
La Bonna Parolla, prima solo immaginata, è ora leggibile. Lo scorso autunno, in occasione della mostra documentaria Tutti i Genovesi del Mondo, l’archivio di Stato di Genova ha esposto in una teca questo manoscritto anonimo, come primo documento. Appare scritta ordinatamente, sia pur con qualche correzione, in cinque colonne, su un bifoglio filigranato di secondo utilizzo. Recentemente la prof. Valeria Polonio ha anche tenuto la pubblica conferenza Andare per mare nel Medioevo: il portolano sacro dei liguri (Genova, 10 marzo 2016 Accademia Ligure di Scienze e Lettere – Palazzo Ducale).
La preghiera ligure si apre con l’esortazione illuminante
« Ostae su, varendomi, e diremo la Bonna Parolla da pardie, che Deo ne fassa salvi ».
tradotto
« Funi su, valentuomini, e diciamo la Buona Parola da partire, affinché Dio ci faccia salvi ». (Ruzzin)
Era quindi detta da pardie, ovvero per partire e benedire la partenza, non solo quando si navigava in difficoltà. Spiega Valentina Ruzzin: «Pensata dai genovesi per essere detta alla partenza, l’originaria litania potrebbe essersi propagata altrove, non diversamente da quel che è accaduto con altre realtà della nautica mediterranea… Dal momento che la partenza pare dunque essere il vero fulcro della Bonna Parolla genovese, si è proceduto ad indagare sommariamente alcune fonti documentarie in questa direzione». Cosicché si va a scoprire che questa pratica era comune già nella Genova del XIV secolo, tanto che un secolo dopo venne utilizzata come decorrenza ufficiale dei giorni di servizio pagati dal Comune agli imbarcati sulle galee.
Dee n’aie (Dio ci aiuti), ripetevano i marinai genovesi ad ogni invocazione, iniziando a raccomandarsi per tre volte alla basilica del Santo Sepolcro, a Maria ed alla croce del Monte Calvario in Terrasanta, il vertice della devozione. Continuavano poi invocando i santi, 41 in ordine d’importanza, qui in ordine trascritti:
Sam Pee e Sam Pero de Roma
Sam Zoane Baptisto e lo Evangelisto
lo angero Sam Michael
lo angero Sam Raffael
lo angero Sam Carbie,
lo angero cherubim
lo angero serafim
lo apostolo Santo Andrea
lo apostolo mese Sam Iacomo
lo apostolo mese Sam Feripo
lo apostoro mese Sam Berthome
lo apostoro m(ese) Sam Simon e Iuda
lo apostoro m(ese) Sam Mathee
lo apostoro m(ese) Sam Tadee
lo apostoro m(ese) Sam Bernabe
lo apostoro m(ese) Sam Pee
lo apostoro m(ese) Sam Mathia
lo apostoro m(ese) ***
lo avangelista mese Sam Luca
lo avangelista mese Sam Marcho
lo evangelista mese Sama Zoane
lo evangelista mese Samb Mathee
lo martoro m(ese) Sam Lorenso
lo martoro m(ese) Sam Vicentio
lo martoro m(ese) Sam Sibastiam
lo martoro m(ese) Sam Stevam
lo martoro m(ese) Sam Fabian
lo docto m(ese) Sam Grigorio
lo docto m(ese) Sam Avostim
lo docto m(ese) Sam Anbroxio
lo docto m(ese) Sam Ieronimo
lo confesao m(ese) Sam Francesco
lo pricao m(ese) Sam Domeneg
lo barom m(ese) Santo Antogno Corposamto
lo barom m(ese) Santo Cristofam
lo acorreo mesamc Sam Micherozo
lo acorreo m(ese) Sam Theramo
lo cavare m(ese) Sam Zorzo
lo cavare m(ese) Sam Martino.
Nel terzultimo, Sam Theramo riconosciamo il protettore dei marinai Sant'Erasmo detto anche Sant’Elmo.
Da Oriente inizia poi il sacro itinerario, differente da quello toscano a volte per l’ordine d’invocazione, a volte per le località menzionate, a volte per le chiese menzionate. In volgare sono invocati ben 129 riferimenti e nell’ ordine si riconoscono:
1) il monastero di Santa Caterina,
1) il monastero di Santa Caterina, Monte Sinai
2) il monastero di Ayios Sabas, Alessandria d’Egitto
3) San Salvatore ?, Lattakieh
4) il monastero di Santa Maria, Monte Carmelo
5) la chiesa di San Giorgio (moschea al-Kidr), Beirut
6) il monastero di Stavrovouni
7) la chiesa di Santa Maria della Cava, Famagosta
8) la chiesa di San Giovanni, Rodi
9) la chiesa di Sant’Antonio, Rodi
10) il convento di San Francesco, Feodosija
11) la chiesa di San Michele, Pera (Istanbul)
12) Santa Sofia, Istanbul
13) la chiesa di Ayios Dimitrios, Thessaloniki
14) la chiesa di San Giorgio, Metilene
15) la chiesa di Sant’Isidoro, Chios
16) la chiesa di San Pantaleone, Chios
17) la chiesa di Santa Maria, Chios
18) la chiesa di Ayia Paraskevi, Candia
19) il monastero di San Michele, Capo Maleas
20) San Leone (?), Methoni
21) la chiesa di Sveti Vlaho, Dubrovnik
22) la chiesa di San Marco, Zara
23) la chiesa di San Marco, Venezia
24) la chiesa di San Ciriaco, Ancona
25) la chiesa di San Nicola, Bari
26) la basilica di San Michele Arcangelo,Monte Sant’Angelo
27) la chiesa di Santa Maria del Casale, Brindisi
28) la chiesa di San Cataldo, Taranto
29) la chiesa di Santa Maria di Leuca
30) la chiesa di Santa Maria della Scala, Messina
31) la chiesa di Santa Lucia, Siracusa
32) la chiesa di Sant’Agata, Catania
33) la chiesa di Santa Caterina, Malta
34) la cappella di San Dimitri, Garb, Gozo
35) San Cristoforo (?), Agrigento
36) Sant’Oberto (?), Sciacca
37) la chiesa Maria Santissima Annunziata, Trapani
38) la chiesa di Sant’Oliva, Palermo
39) la chiesa di San Bartolomeo, Lipari
40) la chiesa di Sant’Andrea, Amalfi
41) la chiesa di San Matteo, Salerno
42) la chiesa di San Costanzo, Capri
43) la chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, Napoli
44) lachiesa di Santa Restituta, Ischia
45) la chiesa della Santissima Annunziata, Gaeta
46) la chiesa della Santissima Trinità, Gaeta
47) Sette pomi (?), Roma
48) Santa Fermina di Civitavecchia
49) la chiesa di Santa Manza, Bonifacio
50) il convento di San Francesco, Calvi
51) la cappella di Sant’Antonino, Ersa
52) San Nicola (?), Piombino
53) San Ranieri di Pisa (santo patrono)
54) la chiesa di Santa Maria della Spina, Pisa
55) il santuario di Santa Liberata, Cerreto Guidi, Firenze
56) Volto Santo, Lucca
57) Santa Zita, Lucca
58) San Francesco di Assisi, La Spezia (?)
59) monastero di San Venerio del Tino, La Spezia
60) l’ eremo di Sant’Antonio di Punta Mesco, La Spezia
61) la chiesa di San Francesco, Chiavari
62) la chiesa di San Michele, San Michele di Pagana, Genova
63) Santa Margherita Ligure, Genova
64) l’abazia di San Fruttuoso, Capodimonte, Genova
65) la chiesa di San Nicolò, Capodimonte, Genova
66) la chiesa di San Gerolamo, Quarto, Genova
67) la chiesa di San Giuliano, Albaro, Genova
68) la chiesa di San Siro e Lorenzo, Genova
69) la chiesa di Nostra Signora del Carmine, Genova
70) la chiesa di Santa Maria del Garbo in Polcevera, Genova
71) la chiesa di Santa Maria, Coronata, Genova
72) la chiesa di Sant’Andrea, Sestri, Genova
73) la chiesa di Sant’Ambrogio,
74) la chiesa di San Pietro, Vesima, Genova
75) la chiesa di San Nazario e Celso, Arenzano, Genova
76) il convento di San Domenico, Varazze, Savona
77) la chiesa di Santa Maria, Savona
78) la chiesa di San Paragorio, Noli, Savona
79) l’abazia di Santa Maria di Finalpia, Savona
80) la chiesa di Santa Margherita, Noli, Savona
81) la chiesa di San Martino, Albenga, Savona
82) la chiesa di Sant’Elmo, Diano Marina, Imperia
83) la chiesa di San Maurizio, Porto Maurizio, Imperia
84) la cappella di Saint-Hospice, Cap Ferrat
85) Île Saint-Honorat (località)
86) Île Sainte-Marguerite (località)
87) abazia di Saint-Victor, Marseille
88) Sant’Antonio abate (reliquie), Vienne
89) chiesa di Saint-Paul, Narbonne
90) la chiesa di Saint-Pierre, Villeneuve-lès-Maguelone
91) la chiesa de Santa Eulalia, Barcelona
92) il monastero di Santa María de Montserrat, Barcelona
93) la chiesa di Santa María (detta La Ceu), Palma de Mallorca
94) la chiesa di Sant Nicolau, Palma de Mallorca
95) la chiesa di Santa María, Minorca
96) la chiesa di Santa María la Mayor, Ibiza
97) la chiesa de la Asunción de Nuestra Señora, Valencia
98) il monasterio de San Ginés de la Jara, Cartagena
99) la chiesa di Santa Cruz, Cádiz
100) El Puerto de Santa María, Cádiz
101) la chiesa di Santa María de la Sede, Sevilla
102) la chiesa di Santa Ana, Triana, Sevilla
103) Real Monasterio de Nuestra Señora de Guadalupe, Cáceres
104) Sanlúcar de Barrameda
105) il santuario de Nuestra Señora de Regla, Chipiona
106) Cabo de São Vicente
107) San Giuliano (?), Lisbona
108) Sant’Eustachio (?), Isole Berlengas
109) monastero di San Estevo (?), Isla de Faro
110) eremo di San Guillermo, Finisterre
111) la chiesa di Nuestra Señora de la Blanca, Muxía
112) Santiago de Compostela
113) La Coruña
114) monastero di Saint-Mathieu, Pointe Saint-Mathieu
115) cappella di St Clare, Dartmouth
116) il convento di St Francis, Plymouth
117) il priorato di Belvoir, Belvoir, Leicestershire
118) l’abazia di Netley, Netley, Hampshire
119) la chiesa di St Paul, Londra
120) la chiesa di St Thomas, Canterbury
121) la chiesa di Holy Cross, Goodnestone, Kent
122) San Luigi di Francia
123) la chiesa di Saint-Denis, Parigi
124) Sinte-Katherine, Ostende
125) San Giovanni (?), Sluis
126) San Cristoforo (?), Sluis
127) la basilica du Saint-Sang, Bruges
128) Unserer Lieben Frauen St. Marien, Altenburg
129) Reichsabtei Weingarten, Weingarten.
Riusciamo a ricordare qualche chiesa o qualche località?
Per calarci nell’itinerario, su gentile concessione della dottoressa Valentina Ruzzin, replichiamo una delle quattro tavole geografiche della pubblicazione.
Scopriamo qualche punto?
Commentiamo brevemente. Nella parte medio orientale e adriatica l’itinerario ligure si concentra sulle colonie genovesi e sulle tradizionali mete commerciali, circumnaviga la Sicilia, tocca la Campania, il Lazio, la Corsica, la Toscana e chiaramente presta grandissima attenzione alla Liguria ed ai luoghi ad essa limitrofi. Prosegue lungo le coste francesi, iberiche, inglesi e torna sul continente menzionando i porti fiamminghi. Dopo l’itinerario, la litania continua con l’invocazione a nove sante: la bea Madarenna, madona Santa Catarina, m(adona) Santa Agneize, m(adona) Santa Lucia, m(adona) Santa Seseiria, m(adona) Santa Elizabeta, m(adona) Santa Apolonia, m(adona) Santa Orsora, madona Santa Ihaira, Santa Ihera. Santa Chiara è invocata per ultima e per due volte. Il testo genovese non si esaurisce con la duplice invocazione a santa Chiara, ma mostra il suo senso chiudendo con una preghiera che pare una liturgia: « …il capitano, come pare dai registri galearum, o persino un prete, se a terra? – si rivolge agli uomini di prua, prima in volgare e poi in latino, esortandoli a rispondere secondo un canone precostituito. L’equipaggio è prima di tutto oggetto di un invito a recitare tre Avemaria e tre Padre Nostro, per pregare Dio, la Vergine e messe San Giuliano, che hanno fatto uscire la nave da un buon porto, affinché la riconducano, con gli imbarcati e la mercanzia, ad uno ancora migliore; successivamente è partecipe di quella che pare una sorta di invocazione Commentiamo brevemente. Nella parte medio orientale e adriatica l’itinerario ligure si concentra sulle colonie genovesi e sulle tradizionali mete commerciali, circumnaviga la Sicilia, tocca la Campania, il Lazio, la Corsica, la Toscana e chiaramente presta grandissima attenzione alla Liguria ed ai luoghi ad essa limitrofi. Prosegue lungo le coste francesi, iberiche, inglesi e torna sul continente menzionando i porti fiamminghi. Dopo l’itinerario, la litania continua con l’invocazione a nove sante: la bea Madarenna, madona Santa Catarina, m(adona) Santa Agneize, m(adona) Santa Lucia, m(adona) Santa Seseiria, m(adona) Santa Elizabeta, m(adona) Santa Apolonia, m(adona) Santa Orsora, madona Santa Ihaira, Santa Ihera. Santa Chiara è invocata per ultima e per due volte. Il testo genovese non si esaurisce con la duplice invocazione a santa Chiara, ma mostra il suo senso chiudendo con una preghiera che pare una liturgia: « …il capitano, come pare dai registri galearum, o persino un prete, se a terra? – si rivolge agli uomini di prua, prima in volgare e poi in latino, esortandoli a rispondere secondo un canone precostituito. L’equipaggio è prima di tutto oggetto di un invito a recitare tre Avemaria e tre Padre Nostro, per pregare Dio, la Vergine e messe San Giuliano, che hanno fatto uscire la nave da un buon porto, affinché la riconducano, con gli imbarcati e la mercanzia, ad uno ancora migliore; successivamente è partecipe di quella che pare una sorta di invocazione scaramantica, forse, di non semplice interpretazione. Si richiamano oggetti reali – il ghindazzo, la sentina, il timone – posti in condizione di pericolo o una serie di eventualità cui scampare. Tutto è comunque volto a richiedere a Dio una bonna nocte per tutti… Con le ultime parole della litania si chiede a Dio una notte quieta, un mare tranquillo, un vento sicuro. Sono probabilmente originali, le sole esclusive di questa preghiera; sono semplici e dirette. In fondo, ad una buona navigazione non si può aggiungere altro». (Ruzzin)
Concludendo, il ritrovamento della Bonna Parolla testimonia come a Genova la litania marinara fosse già recitata nel XIV secolo ed apre a nuove ricerche. Evidentemente una caratteristica del portolano sacro fu quella di modificarsi nel tempo ad opera dei marinai, secondo le particolari devozioni, le trasformazioni delle chiese, le diverse rotte. Siamo di fronte ad una pagina fondamentale della storia marinara italiana in Europa: una geografia sacra, dove la funzione religiosa si sposa a quella geografico-orientativa, dove i simboli diventano anche segnali. Accade ancor oggi nel mondo della navigazione. E non dimentichiamo che i pescatori, di generazione in generazione, hanno tramandato le posizioni di pesca ricorrendo a precisi punti d’orientamento a terra, tra cui le chiese ed i campanili che orlano le coste europee.
Ringraziamo allora i giovani studiosi genovesi, impegnati in progetti esemplari di ricerca e didattica, che oggi affrontano la ricchezza della storia medievale, ne trasmettono la vivacità ed offrono indispensabili strumenti per la comprensione del mondo attuale. Ringraziamo chi li sostiene.
Genova Nervi, 16 maggio 2016
Bibliografia:
Anonimo Genovese, Le poesie storiche, testo e versione italiana a cura di Jean Nicolas, Editore Casabianca (per conto dell’associazione “A Compagna” di Genova), Sanremo, 1983.
Bacci Michele, Rohde Martin (Edité par), Le Portulan sacré. La geographié religieuse de la navigation au Moyen Âge, Colloque Fribourgeois 2013, De Gruyter, Germany, 2014.
Bacci Michele, Portolano sacro. Santuari e immagini sacre lungo le rotte di navigazione del Mediterraneo tra tardo Medioevo e prima età moderna, in: E. Thunø and G. Wolf (eds.), The Miraculous Image in the Middle Ages and Renaissance, L’Erma di Bretschneider, Rome, 2004, pp. 223- 248.
Bellomo Elena, Sapere nautico e geografi a sacra alle radici dei portolani medievali (secoli XII-XIII) [a stampa in Dio, il mare e gli uomini, Quaderni di storia religiosa”, 15 (2008), pp. 215-241
Mannoni Tiziano, Quando il mare diventa una grande via di comunicazione, in Storia della cultura ligure, a cura di Dino Puncuh, 2, Genova 2004 (Atti della Società Ligure di Storia Patria, n.s. 118)Ruzzin Valentina, La Bonna Parolla. Il portolano sacro genovese, Atti della Società Ligure di Storia Patria, Brigati, Genova, 2013.
Ruzzin Valentina, Alcune osservazioni in merito al ritrovamento della Bonna Parolla genovese, in Le Portulan sacré…(cit.), pag. 221.
Polonio Valeria, La Liguria e la sua originalità: una variante del Portolano sacro, in Le Portulan sacré…(cit.), pag. 227.
Rapallo, 20 maggio 2016
A 50 ANNI DALLA MORTE DI GILBERTO GOVI
A 50 ANNI DALLA MORTE DI
GILBERTO GOVI
A cinquant'anni dalla sua scomparsa, Genova celebra Gilberto Govi (1885-1966) con il progetto Gilberto Govi. Cinquant'anni dopo, ideato da Eugenio Buonaccorsi e realizzato dal Comune di Genova per onorare la vitalità del fondatore del teatro dialettale genovese e per tentare una lettura organica della sua multiforme attività.
Cinquant’anni dopo la sua morte, Gilberto Govi continua a rappresentare una delle figure più note e amate della nostra città, un simbolo con cui viene identificata l’anima della terra ligure. Govi ha utilizzato strumenti che sono quelli universali del grande teatro: una strepitosa mimica facciale, toni stralunati, ritmi straordinariamente efficaci delle battute e caratteri così forti e definiti nei suoi personaggi da costruire un’immagine “storica” di Genova e del genovese, che si è diffusa in tutto il mondo.
Lina Volonghi era solita ripetere: “Quando la gente e i critici lodano il mio senso di responsabilità e disciplina, lodano Gilberto Govi. Da lui ho imparato i tempi comici, il rispetto per il pubblico, il donarsi con estrema semplicità e grande sacrificio.”
Segue una testimonianza di Renzo Bagnasco
Faro di Punta Vagno – Genova
I giardini che portano il nome del grande commediografo genovese Gilberto Govi risalgono agli anni Ottanta.
Chi arriva o parte da Genova per nave, entrando o uscendo dal porto proprio sotto il faro di Punta Vagno, dove i piloti vanno ad accogliere le navi, non si accorge di essere sornionamente osservato da chi questa Città ha meglio rappresentato: l’attore Gilberto Govi, la cui statua è collocata nei giardini a lui intestati (li volle entrambi l’allora Sindaco Cerofolini, genovese doc).
Recitando in tutta Italia ci rese simpatici anche oltre confine, come vedremo fra poco. Genova, che qualcuno definì “matrigna”, pare non se lo sia più ricordato, proprio quest’anno che il 26 Aprile ricorreva il cinquantenario dalla morte. Non esiste di quella statua una cartolina che la ritragga fra le curiosità attrattive ne nessuna TV locale la inquadra mai, e credo, neppure la pagina genovese de IL SECOLO XIX l’ha mai segnalata, e allora lo facciamo noi con modestia, ma con l’amore verso questa nostra terra e lo vogliamo ricordare con un episodio inedito.
Nel 1981 visto che nessuno ne parlava più anche se le sue commedie per televisione erano seguite, noi (in allora) di Tele Genova prendemmo l’iniziativa di erigergli una statua. Si mobilitarono Vito Elio Petrucci e parecchi fra i più grandi cantautori e personaggi genovesi per, attraverso trasmissioni mirate, raccogliere fondi: dal grande cuore dei genovesi non arrivò una lira ma per fortuna intervennero le Banche e la statua fu realizzata dal Professor Stelvio Pestelli. Non fu compito facile perché ognuno vedeva Govi in base al personaggio che più gli era rimasto in mente, ma lui se ritratto come era, non lo avrebbe riconosciuto nessuno: si trovò un compromesso. Saputa la notizia, l’Associazione dei Liguri in Ticino, la vollero colà per esporla nella piazza delle Banche a Lugano.
Vi rimase una settimana fra la partecipazione di tutta la Città. Nell’occasione venne presentato dagli autori presso la locale importante libreria Melisa, il volume appena stampato < Lui Govi > di Vito Elio Petrucci e Cesare Viazzi con foto di Leoni, il fotografo che immortalò tutta Genova. Nel Palacongressi di Lugano proiettarono il film “Diavolo in convento”, e l’ultima sera vi fu uno spettacolo, sempre nel Palacongressi, presentato e coordinato da Pier Antonio Zannoni della Rai e vi parteciparono Petrucci, illustrando Govi come attore, il Maestro Renato de Barbieri suonò sul suo Guarnieri del Gesù alcuni Capricci di Paganini e la sua performance venne ripresa, come per altro il resto, dalla Televisione della Svizzera Italiana ma la sua fu irradiata anche in mezza Europa. In fine il Professore Mantero, il mago della mano di Savona, illustrò il risultato dei suoi studi sulle mani iperattive di Paganini affetto, secondo i suoi risultati, dal morbo di Alfan che lentamente rilassa le giunture con esito finale, per fortuna ormai solo a quei tempi, ineluttabili proprio come accadde al grande Maestro. Rientrammo, dopo questa settimana “genovese”, con statua e fondi colà raccolti che ci permisero di pagare tutti i debiti.
Perché però noi, a vario titolo gente di mare, parliamo di Govi oltre le premesse ?: perché lui spesso rappresentò un operatore del porto che portò a far conoscere a tutti i “furesti”, l’esistenza dei frugali “scagni”, vero cuore pulsante del porto di allora, ma altrove sconosciuti. Non dimentichiamo che, a quei tempi, si vendevano o si compravano navi di grano solo cavando dalle tasche in Piazza Banchi una manciata di ‘manitoba’ e, con una stretta di mano, l’affare era concluso quindi, più ‘nostro’ di così; ma non basta perche interpretò anche il ruolo di Giovanni Bevilacqua armatore e comandante (un tempo usava, ne sanno qualcosa i Camoglini attraverso i “carati”) nella sua indimenticabile commedia <Colpi di timone>.
BIOGRAFIA DI GILBERTO GOVI
"Si, sono genovese, anche se vanno stampando che non lo sono e se volete sincerarvene andate all'anagrafe!"
Gilberto Govi, al secolo Amerigo Armando, nasce nel popolare quartiere di Castelletto a Genova il 22 ottobre 1885, in via S. Ugo n. 13, da Anselmo, un funzionario delle Ferrovie di Modena, e dalla bolognese Francesca Gardini, detta Fanny. Gli viene dato il nome Gilberto in onore di un suo zio paterno: uno scienziato a cui é tuttora dedicata una via nella città di Parma.
Frequenta le scuole insieme al fratello Amleto, ma durante una vacanza a Bologna presso lo zio materno e attore dilettante Torquato inizia ad appassionarsi a divertirsi nel vederlo recitare. L'amore per quest'arte cresce sempre più, nonostante il padre desideri per lui una carriera nelle Ferrovie, e a dodici anni, nel 1897, recita già in una filodrammatica.
Il giovane Gilberto, ha la passione per il disegno e le caricature e frequenta per tre anni l'Accademia di Belle Arti, trovando poi lavoro come disegnatore alle Officine Elettriche Genovesi all'età di sedici anni. Dopo alcune esibizioni in un teatro di Bolzaneto, Govi s'iscrive all'Accademia filodrammatica del teatro "Nazionale" in stradone Sant'Agostino, un ambiente che Gilberto Govi considera tetro e dove é costretto a recitare in corretto italiano, in continua lotta con le regole di dizione. Ma le sue qualità di attore sono già avvertibili, tanto che alcuni critici ne rimangono colpiti. Questo però non basta a soddisfare Govi che nel sangue ha il dialetto.
La sua massima aspirazione é quella di entrare a far parte della compagnia del celeberrimo Virgilio Talli, e quando questi ebbe modo di assistere ad una sua rappresentazione fu talmente entusiasta della sua figura e dei suoi personaggi che lo stimolerà a proseguire la carriera suggerendogli di fondare un vero e proprio teatro dialettale genovese, che a quei tempi non aveva una tradizione consolidata. Con Alessandro Varaldo e Achille Chiarella, nel 1914 mette su una compagnia chiamata proprio la "Dialettale" che, dopo i primi spettacoli, riporta notevoli successi a Sampierdarena, a Sestri P. e perfino a Chiavari e Savona. Ma qui iniziano a nascere i contrasti con l'Accademia che gli pone un ultimatum: o dire addio al dialetto, o all'Accademia. Govi decide per il dialetto e si fa espellere dall'Accademia nel 1916, insieme a tutta la compagnia, dando vita ufficialmente al teatro genovese. L'attore verrà poi riammesso, come socio onorario, solo nel 1931.
Gilberto si innamora di Caterina Franchi in arte Rina Gajoni, creatrice applaudita della popolare macchietta della "Luigina", un'attrice del suo gruppo, che aveva conosciuto nel 1911 per la prima volta e la sposa con una cerimonia intima e riservata il 26 settembre 1917. Rina Gajoni sarà sempre al suo fianco anche come partner nella compagnia teatrale e i due rimangono insieme fino alla fine, per 49 anni.
Govi fonda quindi una nuova compagnia: la "Compagnia dialettale genovese" e, dopo il debutto al teatro Paganini, inizia ad esibirsi nei maggiori teatri genovesi, con una prima sortita a Torino nel 1917. Dopo un lungo apprendistato il successo a livello nazionale arriva nel 1923 quando Govi presenta al teatro Filodrammatici di Milano la commedia "I manezzi pe' majà na figgia" di Nicolò Bacigalupo. Anche il "Corriere della Sera" ne fa una buona recensione. Il successo ottenuto però non gli monta la testa: per due anni ancora mantiene il suo impiego alternando il palcoscenico al tavolo di lavoro alle Officine. Lascia il mestiere di disegnatore solo alla fine del 1923 per dedicarsi completamente al teatro, ma gli inizi non sono facili, soprattutto per la scelta del repertorio da rappresentare, ma in breve tempo supera le difficoltà con uno stuolo di autori pronti a mettersi a disposizione di un astro nascente teatrale, come Niccolò Bacicalupo, Emanuele Canesi, Carlo Bocca, Luigi Orengo, Aldo Aquarone, Emerico Valentinetti, Enzo La Rosa, Sabatino Lopez, e tanti altri.
Tutti i testi che vengono scelti sono poi modificati dallo stesso Govi, tanto che gli autori lo contattano anticipatamente per concordare eventuali modifiche ai copioni in funzione delle sue preferenze. Redatti in italiano, i testi sono poi tradotti dall'attore in rigoroso dialetto genovese. Inoltre la sua abilità di disegnatore gli permette di inventare le maschere da cui nascono i personaggi da portare in scena. Disegna una serie di locandine con il suo volto, tracciato dalla sua mano ferma in tutte le posizioni, di fronte come di profilo, ed in ogni sua ruga ed espressione, che vengono esposte nei foyer dei teatri nei quali si esibisce come una galleria di quadri che entusiasma ulteriormente gli spettatori gratificandoli di un valore aggiunto.
Il 1926 vede il teatro genovese varcare i confini nazionali con una tourné e in Argentina e Uruguay dove riscuote applausi oceanici. Là trova infatti numerosi genovesi emigrati. Govi presenta sui palcoscenici di tutto il mondo 78 commedie (alcune delle quali registrate dalla televisione italiana e incise anche su vinile) tra le quali si ricordano "Pignasecca e Pignaverde", "Colpi di timone", "Maneggi per maritare una figliola".
Fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale la sua carriera é sempre in crescita, con varie tourné teatrali sia in Italia che all'estero. Nel 1928 recita a Roma, 1929 é a S. Rossore ospite di Vittorio Emanuele III, 1930 di nuovo all'estero a Parigi; in quegli anni Mussolini gli dona una foto con dedica come segno di sincero apprezzamento.
Nel 1942 inizia anche l'esperienza cinematografica che lo vede impegnato in quattro film il cui esito é piuttosto insoddisfacente: "Colpi di timone" (1942), diretto da Gennaro Righelli, "Che tempi!" (1947), diretto da Giorgio Bianchi, "Il diavolo in convento" (1950), diretto da Nunzio Malasomma e infine "Lui, lei e il nonno" (1961), girato a Napoli da Anton Giulio Majano e prodotto dall'armatore Achille Lauro, il suo unico film a colori. Ma i ritmi del cinema, con le ripetute pause, e la tecnica recitativa differente rispetto a quella del palcoscenico non lo entusiasmano. Ha però l'occasione di lanciare futuri comici: i giovanissimi Walter Chiari e Alberto Sordi.
Il conflitto mondiale non risparmia però la sua abitazione genovese, colpita dai pesanti bombardamenti portati dal mare e dal cielo. La guerra lo scuote profondamente e insieme alla casa l'attore vorrebbe ricostruire anche il proprio repertorio, che sente forse ormai superato da nuove proposte; in questo periodo é attanagliato da dubbi ed insicurezze, non riesce ad avere la consapevolezza che il pubblico lo gradisce ancora, nonostante il successo delle sue commedie sia sempre forte e la gente non lo abbandoni ed accorra sempre numerosa ai suoi spettacoli in ogni città in cui recita.
Govi non fa neppure a tempo ad avere un rapporto approfondito con la televisione, nata da poco, poiché si sta ormai avviando verso la parte finale della sua carriera; il piccolo schermo, tuttavia, gli consente, con la registrazione dal vivo di alcuni suoi spettacoli, di farsi conoscere dal grande pubblico. Questo ha inoltre permesso di salvare dalla distruzione sei sue commedie. Salvataggio avvenuto in maniera rocambolesca negli anni Settanta grazie ad un impiegato collezionista appassionato di teatro. Le commedie sono state riproposte da Vito Molinari e Mauro Manciotti nel 1979 in una trasmissione su Raitre a lui dedicata. Nell'estate del 2004 vengono ritrovate e pubblicate in DVD anche sei commedie radiofoniche inedite da lui interpretate.
Govi per gli spettatori di mezzo mondo rappresenta il vero genovese: furbo, sorridente e rude. Sulla scena é riuscito ad arricchire di umori genovesi i testi delle commedie del teatro dialettale raccontando il carattere del ligure come un coesistere di contrari: maschera e sentimento, immagine esterna e linee interiori, pubblico e privato; il ligure che sa guardare oltre l'apparenza delle cose e leggere dentro se stesso con una buona dose di humour sotto gli atteggiamenti da gente seria, anzi, per dirla con il suo amato dialetto, "stundaia".
Non mancano anche importanti riconoscimenti pubblici, ma non molti dalla sua città natale: a ricordarlo all'ombra della Lanterna rimangono i giardini "Gilberto Govi", edificati solo negli anni Ottanta nella zona storica della Foce e situati sopra il principale depuratore cittadino e la Sala Govi (ex Verdi) a Bolzaneto. I riconoscimenti principali che riceve sono: nel 1948 in onore del centenario del Risorgimento, negli anni '50 partecipa a una manifestazione benefica presso il Circo nazionale Togni a Genova, nel 1957 riceve una medaglia d'oro dal sindaco.
Nel 1960 organizza nuovamente la compagnia per l'ultima stagione della sua carriera (porta in scena la commedia "Il porto di casa mia", scritta dal poeta Sabatino Lopez: a 75 anni, capisce che é arrivato il momento di lasciare il palcoscenico e dedicarsi ad un meritato riposo, dichiarando: "Il teatro è come una bella donna: bisogna lasciarla prima che sia lei a lasciare te"), nel 1965 il sindaco gli consegna un'altra medaglia d'oro che da un lato riporta la scritta "A Govi, artista illustre, massimo interprete del teatro dialettale genovese, la citté con gratitudine, 22 ottobre 1965".
Prima di ammalarsi fa in tempo a comparire ancora sugli schermi televisivi in qualche rara intervista e in diversi Caroselli. Famoso quello del 1961 per una marca di TEA dove interpreta il simpatico personaggio di Baccere Baciccia, il portiere di un caseggiato genovese, conosciuto da tutti per la sua estrema tirchieria ma adorato dai bambini, ai quali ripete una frase rimasta celebre: "Da quell'orecchio, non ci sento; da quell'altro, così cosà...".
Il 28 aprile 1966 Gilberto Govi muore nella sua città. Ai funerali, celebrati nella centrale Chiesa di Santa Zita, affollatissima, partecipa tutta la città. Tra i presenti alla cerimonia, anche Erminio Macario, visibilmente commosso.
A cura di Carlo GATTI e Renzo BAGNASCO
Rapallo, 17 Maggio 2016
GIONA
GIONA
Giona non voleva
non voleva andare Giona
non in Oriente
non dove gli aveva detto Dio.
Non a Ninive
quel covo di depravati.
Non era suo compito
la salvezza di quei peccatori.
No, no e no
chi sono io
non un profeta, non un giusto
chi mi ascolta?
non ho voce potente
non ho fede invadente
Quel pizzico che mi resta
serve alla mia salvezza.
Dio ti sei sbagliato
non sono all’altezza.
Così Giona scelse l’0ccidente
come molti, troppi
avrebbero fatto dopo di lui.
Il mare diverrà torbido di dolore.
Dopo.
Ora no
Solo Giona è sulla rotta sbagliata.
Ma anche allora
il mare si alterò
la ciurma si allarmò.
Giona dormì.
finché non fu scosso
dalle domande dei marinai
che, credenti o no,
nelle tempeste pregano.
Quando Dio sceglie
non molla.
Giona lo capì.
prese la sua sacca e disse:
“Ho peccato contro il mio Dio
buttatemi a mare e sarete salvi.”
Così fecero e Giona fu inghiottito
da una balena.
Fu buio, fu silenzio.
Per tre giorni e tre notti
Giona ascoltò se stesso
E fu pronto.
La balena lo spiaggiò
E lui si incamminò.
Non convinto, ma convincente
annunciò per le strade di Ninive
pentimento e conversione.
Patì la sete, il caldo, la fatica
Dagli schiavi al re
tutti lo ascoltarono.
Dio ebbe pietà
di quel popolo penitente
e perdonò i loro inconsapevoli peccati.
Giona non gradì
“Lo sapevo, lo sapevo dall’inizio
che li avresti perdonati.
Misericordioso con loro
esigente e sordo con me.
Ora voglio solo morire.
solo la morte mi darà sollievo.”
Dio fece crescere allora
una pianta di ricino
che ombreggiò Giona
concedendogli sollievo.
La speranza non è certezza
il ricino seccò
e Giona riprese a lamentarsi
a invocare la morte.
E’ il tempo della pietà
pietà per il ricino
pietà per l’umanità
Giona uomo moderno
ha pietà solo per sé stesso.
Un po’ di storia....
Durante il regno di Geroboamo II, Giona profetizza un periodo di stabilità politica per le dieci tribù che costituiscono il regno del Nord (2Re 14:25). In questo stesso periodo, Ninive, capitale dell’Assiria, è al massimo della sua potenza e i suoi re nutrono mire espansionistiche sui territori di Israele e di Giuda. La prospettiva di essere conquistati dagli Assiri terrorizzava i popoli di quella regione.
Il profeta Giona ricevette un preciso ordine dal Signore: andare a Ninive, la capitale dell’Assiria e predicare contro la sua malvagità, offrendo ai Niniviti la possibilità di riconciliarsi con Dio. Ma Giona non voleva andare a Ninive, né gli sembrava giusto che a quei barbari Dio potesse far grazia nel caso in cui si fossero pentiti: così decise di fuggire, spingendosi verso i più lontani confini del mondo allora conosciuto. Ma non si può sfuggire a Dio. Il Signore scatenò una tempesta impetuosa e, mentre invocavano l’aiuto dei loro dei, i marinai tirarono a sorte per capire a causa di chi capitava quella disgrazia. La sorte cadde su Giona ed egli spiegò che era in fuga per non eseguire un ordine del suo Dio. Egli stesso suggerì all'equipaggio della nave di buttarlo in mare, era convinto che in tal modo la tempesta si sarebbe placata. Dopo qualche esitazione, i marinai fecero come Giona aveva loro suggerito. La tempesta si placò e il profeta fu inghiottito da un grosso pesce, nel cui ventre egli rimase per tre giorni e tre notti. Pregò con fervore e Dio lo esaudì ordinando al pesce di vomitarlo su una spiaggia. Dopo quegli avvenimenti, il Signore parlò ancora a Giona e questa volta il profeta ubbidì. Ninive era così estesa che ci vollero tre giorni per percorrerla, e in quei tre giorni Giona predicò un forte messaggio che invitava gli abitanti ad avvicinarsi a Dio e a convertirsi. Colpiti dal messaggio, i Niniviti si pentirono dei loro peccati. Allora il Signore, nella sua misericordia, ebbe pietà di loro e decise di non punirli. Giona però ne fu irritato: non riteneva giusto che fosse concessa una opportunità di redenzione ad un popolo del genere, che comunque avrebbe continuato ad essere una minaccia per il popolo di Israele. La cosa più logica sarebbe stata che Dio li sterminasse e salvaguardasse il suo popolo. Eppure Dio ebbe compassione di quella popolazione, dimostrando a Giona che il suo amore è riservato a tutti gli uomini ed Egli ascolta chiunque si rivolga a lui con pentimento.
Romani Giuseppe, Marina in tempesta con Giona inghiottito dalla balena
Giona viene risputato dalla balena per ordine di Dio e lasciato sotto un albero di zucche.
Gesù paragona l'episodio perfino alla sua stessa morte e risurrezione, raffigurandosi con lui: "...perché, come Giona rimase dentro al grosso pesce tre giorni e tre notti, così io, il Messia, resterò sepolto nel cuore della terra tre giorni e tre notti. Nel Giorno del giudizio gli abitanti di Ninive si leveranno contro questo paese, e lo condanneranno, perché quando Giona predicò, essi si pentirono e, lasciata la cattiva strada, si convertirono a Dio. Eppure ora qualcuno ben più grande di Giona è qui" (Matteo 12:40-41).
ADA BOTTINI
4 Maggio 2016
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IL MARE E L'UOMO
IL MARE E L’UOMO
Non posso cambiare la direzione del vento ma posso sistemare le vele in modo da poter raggiungere la mia destinazione.
Tanto, tanto tempo fa, quando tu non eri ancora nato, quando ancora nessun uomo, nessuna donna erano ancora nati, il mondo, era grande, fresco, pulito.
C’erano il Sole e la Luna che si davano il cambio per illuminare quello spettacolo tutto nuovo e le stelle curiose che adocchiavano da lontano.
Il mare poi, oh Dio, cos’era il mare! Immenso, colorato con tutti i colori dell’arcobaleno più l’oro e l’argento oppure trasparente ed anche poco abitato e questo era il guaio. Il mare si sentiva tanto bello e gli dispiaceva che non ci fosse nessuno ad ammirarlo.; così un giorno chiamò Dio con il vocione possente delle tempeste e gli disse: ”Signore, Tu mi hai creato forte, possente, magnifico. Hai messo in me le prime forme di vita, ma questi esseri che abitano nel mio grembo neanche si accorgono delle mie doti, pensano solo a mangiare e a riprodursi. Crea un essere diverso che sia capace di ammirarmi”
Il Signore fece il sordo a quella proposta un po’ prepotente e neanche gli rispose.
Passarono ancora tanti anni. Il mare si sentiva sempre più solo e poco valorizzato, si sentiva depresso e triste, non aveva neanche più voglia di imbizzarirsi e di scagliarsi contro gli scogli tutti nuovi che aveva incominciato a rompere con le sue ondate gigantesche. Un giorno, mentre era calmo, calmo, parlò di nuovo al Signore con il sussurro dell’onda sulla spiaggia.
Signore, Dio creatore di tutte le cose, io ho bisogno di qualcuno che mi parli, che giochi con me, che si diverta tra le mie onde. Ti prego, Signore, crea un essere intelligente, che sappia di essere vivo e apprezzi la Tua creazione.”
E il Signore così gli rispose: “Oh mare brontolone e incontentabile, perché vuoi che il mondo sia abitato da esseri diversi dagli animali e dalle piante? Questi non ti fanno alcun male, ma un essere diverso potrebbe avere il desiderio di diventare il padrone di tutto, di servirsi di te per i suoi comodi e di danneggiarti..”
“Può essere Signore, ma voglio tentare lo stesso, la solitudine è troppo brutta!”
Così Dio creò l’uomo.
Chissà se il mare si è pentito di quell’antica richiesta….
ADA BOTTINI
Rapallo, 3 Maggio 2016