STOCCOLMA-IL DISASTRO DEL GALEONE WASA
STOCCOLMA
IL DISASTRO DEL GALEONE WASA
Museo Wasa - 1.300.000 visitatori l'anno
10.000 visitatori giornalieri (alta stagione)
Nella bellissima Stoccolma c’è un relitto di un antico galeone da guerra svedese (custodito all’interno dell’omonimo museo ad esso dedicato), che ha avuto una fine tragica e paradossale proprio il giorno della sua inaugurazione. In ogni naufragio c’è un qualcosa che va storto, una forzatura ingegneristica, un errore umano in navigazione o più semplicemente una mancanza di rispetto dell’uomo verso le leggi del mare. Oggi vi raccontiamo la storia del galeone Vasa, la più grande nave da guerra mai costruita all’epoca, vanto della marina svedese ma incapace di navigare.
Durante la guerra dei Trent’anni (1618-1648), nella primavera del 1628, la flotta di Gustavo II Adolfo, re di Svezia, si arricchì di una nuova unità:
Il galeone a tre alberi Nya Wasa.
Il nome derivava dalla dinastia dei Wasa, alla quale Gustavo II apparteneva. Artigiani e artisti olandesi e svedesi, agli ordini di Henrik Hybertsson, aveva creato una splendida nave: il cassero di poppa raggiungeva i 20 metri d’altezza, di cui 15 sopra il livello del mare. L’albero maestro svettava a 52 metri d’altezza,
quelli di trinchetto e di maestra avevano vele quadre con vela di gabbia. L'albero di mezzana aveva una vela latina e, sul bompresso, c'era una civada. Complessivamente la nave poteva issare 1275 mq di vele che le consentivano di raggiungere una velocità di 10 nodi.
Gallerie esterne, cupole, arabeschi, bassorilievi e più di 700 statue di legno dorato ornavano l’opera morta, la parte emersa dello scafo.
Costruito a Stoccolma subì, prima ancora che scendesse in mare, numerose modifiche che influirono in modo disastroso sulla stabilità del galeone. Molte di queste furono richieste dal Re che interferì parecchio nella sua costruzione. La nave venne allungata e fu aggiunto un secondo ponte che permise di portare il numero dei cannoni a 64 pezzi. Il cassero era particolarmente alto e tutte le sovrastrutture furono pesantemente decorate. Fu imbarcato, oltre all'armamento completo, anche un enorme quantitativo di vasellame, quadri e arredi. La nave era imponente ma troppo stretta rispetto alla lunghezza ed al peso. Inoltre il baricentro era pericolosamente alto. Si cercò di porvi rimedio aumentando la zavorra ma questo avvicinò ancor più il ponte di batteria inferiore al pelo dell'acqua.
Alle quattro del pomeriggio del 10 agosto 1628 la nave uscì dal porto di Stoccolma per il viaggio inaugurale. Mollati gli ormeggi, la nave mise la prua su Alvsnabben, nell’arcipelago di Stoccolma. Rimorchiato fino a Södermalm, il maestoso veliero dai vivaci colori nazionali issò le prime vele di trinchetto, di mezzana e le due vele di gabbia.
Giunto a cento metri a sud dell’isolotto di Beckholmen, una raffica improvvisa investì il cassero di dritta, facendo sbandare la nave e provocando un rapido ingresso di acqua dai portelli aperti della seconda batteria.
Il timoniere fu molto bravo a recuperare la stabilità, ma una seconda raffica lo inclinò ancora. A questo punto l'acqua cominciò ad entrare dai portelli dei cannoni del ponte inferiore che erano aperti, e la nave affondò rapidamente.
In pochi minuti la nave la nave affondò in 32 metri d’acqua adagiandosi sul fianco sinistro. Circa 50 furono le vittime, ma con il Wasa andarono a fondo anche 100.000 riksdaler, la moneta svedese dell’epoca, pari a 50 milioni di dollari di oggi. Una vera catastrofe nazionale. Le operazioni di recupero furono subito effettuate. L’inglese Ian Bulmer riuscì a raddrizzare il relitto e a disalberarlo in parte. Nel 1664 lo svedese Hans Albrekt ed il tedesco Andreas Peckell, giovandosi di una campana pneumatica, recuperarono 53 dei 64 cannoni. Nel 1954 lo studiuoso Anders Franzen ed il campione subacqueo Arne Zetterström con la scuola navale subacquea svedese tentarono il recupero del relitto che, dopo sei anni, rivide la luce il 24 aprile 1961. Il relitto risultò miracolosamente ben conservato grazie alla ridotta salinità delle acque del Baltico, alla scarsa presenza di ossigeno nel fondale ed al fatto che la nave era costruita con massiccio legno di rovere. Il Wasa fa ora bella mostra di sé nel museo di Stoccolma che porta il suo nome e che fu inaugurato nel 1990 fornendoci l’unica preziosa testimonianza del veliero del XVII secolo.
Nelle sue sale si trovano anche i numerosissimi manufatti, fra cui 700 statue, che furono recuperati intorno al relitto.
ALBUM FOTOGRAFICO
Dati Nave:
Tipo: ..........................galeone a tre alberi
Varo: .........................1627
Lunghezza: .............metri 70 (dal bompresso
Larghezza: ..............metri 11,50
Immersione: ...........metri 4,80
Dislocamento: .......tonn. 1.400
Superficie velica: ...mq 1.150
Armamento: ...........Prima batteria: ....... 28 cannoni da 24 libbre
Seconda batteria:..... 22 cannoni da 24 libbre
Terza batteria: ......... 2 cannoni da 1 libbra
8 cannoni da 2 libbre
6 mortai da6 libbre
Equipaggio:............133 marinai, 300 soldati
Carlo GATTI
Rapallo venerdì 14 2017
BOSTON-TALL SHIPS CRUISE 2017
TALL SHIPS CRUISE
2017
BOSTON - MASSACHUSETTS
The Tall Ships Are Coming, The Tall Ships Are Coming!
Enjoy Boston’s scenic and historic inner harbor, view the majesty, and experience first-hand Boston’s rich maritime heritage with a safe and exciting Tall Ships cruise.
Over 40 extraordinary vessels, from around the world, with as many as 14 Class A Tall Ships, and dozens of other charismatic vessels, will descend upon Boston Harbor like enormous colorful butterflies. The city of Boston will be an official -and ONLY- host port for the Rendez-Vous 2017 Tall Ships Regatta -a last stop before arrival Quebec, Canada. Boston, Massachusetts has a long and storied history hosting the Tall Ships, with Massachusetts Bay Lines always participating as an important sponsor and experienced tour provider.
This year marks the 150th anniversary of the forming of the Confederation of Canada, a defining event in the national history of the United States and Canada. It has been suggested as many as 5-7 million visitors will visit Boston just for a glimpse of this peaceful armada.
While the Tall Ships are in port, dates will be reserved exclusively for cruises to view the Tall Ships. Each day, Mass Bay Lines vessels will offer Tall Ship sightseeing cruises, fully narrated by the Captain and crew. You’ll hear a detailed description of the ship’s structure and crew, its history, and other unique points of interest.
What's In Store
On Friday, June 16th, the day before the official festival begins, the large and charismatic sail ships arriving as honored guests and regatta participants, will dramatically anchor nearby setting the stage, under their masthead anchor lights, for a week like no other. This is an oft overlooked yet one of the most visually spectacular moments of the whole visit.
The defining moment however is the Parade of Sails this crowd pleasing event will take place on Saturday June 17th. Very few vessels will provide the requisite 5 hour charters scheduled for this historic occasion. Starting at 7:30 AM, our first cruise departs Rowes Wharf; passengers will be witnesses to an event as rare as an Aurora Borealis. Due to the absence of other ship traffic during the Parade (prohibited by USCG decree) our Captains and crew can focus your attention on the ships arriving under full sails without distraction. We encourage event planners and professional photographers to reserve this day (ASAP) to delight clients and capture many photographic angles of the ships under full sail. There are not enough words to describe the visual beauty and visceral joy that accompanies this experience.
Excitement is inevitable as ships from around the world sail into Massachusetts’s world renowned inner harbor. Make your reservations soon as dates will fill quickly. Private charters are available for groups as small as 45 or as large as 300. Public cruises are also available for singles, couples, families and private groups.
ALBUM FOTOGRAFICO
Eagle
Eagle
Pino SORIO
Carlo GATTI
31 luglio 2017
1494 - LA GUERRA DI RAPALLO
Settembre 1494 – LA GUERRA DI RAPALLO
L’ANTEFATTO
Papa Innocenzo VIII, in conflitto con Ferdinando I di Napoli a causa del mancato pagamento di quest'ultimo delle “decime ecclesiastiche”, aveva scomunicato il Re di Napoli con una Bolla dell’11 settembre 1489, offrendo il regno al sovrano francese Carlo VIII; nonostante nel 1492 Innocenzo, in punto di morte, avesse assolto Ferdinando, il regno rimase un “pomo della discordia” lanciato nelle politiche italiane. A questo si aggiunse la morte, quello stesso anno, di Lorenzo de’ Medici, Signore di Firenze e perno della stabilità politica tra gli stati regionali. Pacificati i rapporti con le potenze europee, Carlo VIII, che vantava attraverso la nonna paterna, Maria d’Angiò, un lontano diritto ereditario alla corona del Regno di Napoli, indirizzò le risorse della Francia verso la conquista di quel reame, incoraggiato da Ludovico Sforza, detto Il Moro (che ancora non era duca di Milano, ma ne era solo reggente).
QUADRO STORICO
Con la Prima guerra italiana (1494-1495) di Carlo VIII ebbe inizio la fase di apertura delle Guerre d’Italia del XVI secolo. Il conflitto vide da una parte Carlo VIII (Re di Francia dal 1483 al 1498)
ALLEATI:
Ducato di Milano
Repubblica di Genova
AVVERSARI:
Sacro Romano Impero
Spagna
- Alleanza dei maggiori stati italiani guidata da Papa Alessandro I, Repubblica di Venezia, lo Stato Pontificio, il Regno di Napoli ed il Ducato di Milano.
La riconquista del Sud della Penisola, già governato dalla Casata degli Angioini durante il secolo XIII, non comprendeva, nei progetti, anche la Sicilia. Quest'ultimo fatto depone a favore della tesi secondo la quale Carlo VIII non intendeva accrescere semplicemente i domini della sua Casata, ambizione comune a molte case regnanti di area mitteleuropea o anglosassone, ma farne piuttosto la base di partenza per quelle Crociate la cui eco era rinvigorita dalla cacciata degli arabi dall'ultimo possedimento spagnolo, il Regno di Granada (1492), avvenuta proprio in quegli anni. Il progetto politico della Res Publica Christiana Pro Recuperanda Terra Sancta aveva ancora presa nelle classi dirigenti europee nonostante la fine rovinosa cui andarono incontro sia la maggior parte di quel progetto stesso, sia coloro che intesero realizzarlo ben prima, intorno alla metà del Duecento.
LA BATTAGLIA DI RAPALLO
PIANA DI VALLE CRISTI
5 settembre 1494
Un evento poco conosciuto
Nell'ambito della Guerra d’Italia del 1494-1498, Carlo VIII discese in Italia il 3 settembre 1494 con un esercito di circa 30.000 effettivi dei quali 5.000 erano mercenari svizzeri, dotato di un'artiglieria moderna.
La battaglia di Rapallo fu combattuta:
- fra mercenari svizzeri, coi loro alleati genovesi e milanesi guidati da Luigi d’Orleans
- contro forze napoletane-aragonesi guidate da Giulio Orsini
In quel giorno la città di Rapallo venne invasa dalla flotta navale aragonese che sbarcò con 4.000 soldati comandati da Giulio Orsini, Obietto Fieschi e Fregosino Campofregoso per sollevare la popolazione rapallese contro Genova che era dedita alla signoria sforzesca. Tre giorni dopo (8 settembre) in città giunsero inoltre circa 2.500 soldati svizzeri che diedero vita ad uno scontro armato contro gli aragonesi presso il ponte sulle saline: tra le violenze generali e i saccheggi, si assistette all'uccisione di cinquanta malati ricoverati all'ospedale di Sant'Antonio (attuale sede del municipio) da parte degli elvetici.
MILANO, FRANCIA,NAPOLI - FUORIUSCITI GENOVA
Gaspare da San Severino Carlo di Brillac
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Obietto Fieschi
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Antonio Maria da San Severino Guido di Louviers
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Giulio Orsini P
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Galeazzo da San Severino Bravo
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Fregosino Fregoso FP
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Giovanni Adorno Onofrio Calabrese
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Orlandino Fregoso P
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Luigi d’Orléans Tommaso da Fermo
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Gianluigi Fieschi Avanzino Cassiana
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Francesco Fregoso P
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Riccardo Bevilacqua
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Paolo Battista Fregoso P
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Antonio di Baissay
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Angelo da Potenza
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Francesco Nardo
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Piennes
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Giovanni di Lagrange
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Francesi/sforzeschi:
1000 fanti svizzeri, fanti italiani;
Aragonesi: 40 uomini d’arme, balestrieri a cavallo, 3000 fanti. Attacco ad una testa di ponte aragonese portato da terra e dal mare; fallimento del contrattacco aragonese.
- I napoletani perdono circa 200 uomini, mentre altri 250 sono feriti. Gli svizzeri uccidono 60 fanti rifugiatisi nell’ospedale di San Lazzaro. Per il Floro nel combattimento restano uccisi d’ambo le parti 500 uomini.
-
Porta delle Saline. All'estremità occidentale del Lungomare Vittorio Veneto si trova la "Porta delle Saline", che delimita e divide dal mare la zona pedonale del centro storico. E' l'unica sopravvissuta delle cinque porte dell'antico "borgo murato", e deve il suo nome alla vicinanza con le Saline, di cui la famiglia genovese dei Doria aveva il monopolio, che furono in attività per molti secoli nella zona pianeggiante presso la spiaggia al centro del golfo. Nella parte che si affaccia verso il centro storico, è abbellita da un altare barocco che accoglie una riproduzione della celebre icona della Madonna di Montallegro. Ha evitato la demolizione grazie a successivi restauri, al contrario delle altre porte del vecchio borgo che, nel tempo, sono state demolite.
Flotta Navale d’Aragona
La flotta franco-genovese aveva stabilito una base a Rapallo, in Liguria, per assicurare gli approvvigionamenti all'esercito di Carlo VIII e soprattutto il trasporto delle pesantissime artiglierie. In quell'occasione i mercenari svizzeri al soldo del re di Francia avevano dato prova di una brutalità inusitata quanto inutile, saccheggiando la cittadina subito dopo uno scontro con le forze aragonesi. I francesi avevano avuto quindi modo di suscitare le ire dei rapallesi e con loro dei genovesi stessi, che si sarebbero vendicati l'anno seguente.
Resisi conto, nel giro di pochi mesi, di aver fatto un pessimo affare, i principi italiani decisero di coalizzarsi, il Moro incluso, ma disponevano, tra tutti, di un esercito inadeguato quanto a dimensioni e a organizzazione. Per fortuna le Marine italiane, costantemente impegnate in duri pattugliamenti nel corso della propria lotta plurisecolare contro i pirati barbareschi, erano di ben altra pasta.
Infatti, il 2 maggio 1495, la flotta francese (sette galere, due fuste e due galeoni), comandata dal Sire de Molans si scontrò con la squadra genovese di Francesco Spinola e di Fabrizio Giustiniani, (otto galere, due saettie e una caracca).
Lo scontro avvenne all'alba, e fu una sconfitta totale per i francesi: tutte le navi vennero catturate, e, contemporaneamente, a terra, un contingente di truppe sbarcate dalla flotta genovese al comando di Gian Ludovico Fieschi e Giovanni Adorno, aiutati dai Rapallini, sbaragliarono i transalpini rimasti a terra prendendo il controllo dell'abitato. Furono così liberate trecento donne, rapite in Campania a titolo di ostaggi, mettendo altresì le mani su un fantastico bottino utilizzato, in seguito, per costruire la sontuosa chiesa dell’Annunziata, a Genova.
Il successo ottenuto venne incrementato pochi giorni dopo quando un convoglio di dodici velieri venne catturato nelle acque di Sestri Levante.
Nel bilancio della battaglia si devono considerare poi le ingenti ricchezze trasportate dalle navi dei transalpini, che comprendevano, tra l'altro, diverse donne e monache partenopee, e le porte bronzee di Castel Nuovo di Napoli. Porte che poco dopo vennero restituite, e che recano ancora, sul retro, i segni della battaglia di RAPALLO. Il resto del bottino fu distribuito tra i marinai, i soldati e i comandanti, e in parte venne usato per erigere la chiesa di Santa Maria Annunziata a Genova.
Dopo questa sconfitta la flotta francese cessò virtualmente di esistere per molti e molti anni. Ciò inoltre rese molto più precaria la situazione di Carlo VIII, che si vide costretto a ritirarsi dal momento che non poteva più contare né su vie di terra, (ora che non aveva più appoggi negli stati italiani), né su rotte di mare per i contatti con la Francia, l'approvvigionamento e la spedizione del bottino fatto in Italia, senza contare l'assenza di navi per trasportare la sua tanto poderosa quanto pesante e lenta artiglieria.
Per pura curiosità segnaliamo che in quei giorni di grande tensione nella sua Liguria, Cristoforo Colombo impegnato nel suo Secondo Viaggio nel NUOVO MONDO, si convinse che Cuba fosse un continente. Il 12 giugno 1494 si trovò di fronte all'isola di San Giovanni evangelista, a 100 miglia dalla fine dell'isola. Colombo fece firmare ad ognuno dei componenti delle caravelle un giuramento con il quale si affermava che si era giunti nelle Indie, nel continente. Nei giorni della Battaglia di Rapallo il grande Ammiraglio si ammalò e tornò a Isabela il 29 settembre 1494.
Carlo GATTI
Rapallo 20 luglio 2017
STELLA MARIS - CAMOGLI
STELLA MARIS
LA FESTA DELLA GENTE DI MARE E DELLA COSTA
La prima domenica d’agosto, ogni anno si celebra a Camogli la Festa della
Madonna Stella Maris
Le cerimonie religiose che ancora oggi si praticano in tanti porti del Mediterraneo sono incantesimi, perennemente reiterati contro il capriccio delle bufere e delle tempeste. Gli ex voto di marinai scampati al pericolo parlano di quella paura annidata nel cuore degli uomini, che mai si abbandonano a cuor leggero alla perfidia delle onde. E' alla Vergine Maria, "Stella Maris", Stella del Mare, che i marinai dell'occidente raccomandano i loro carichi, e soprattutto i loro corpi e le loro anime.
Fernand Braudel
Punta Chiappa - Camogli. Opera di F. Dal Pozzo dedicata alla Madonna Stella Maris (Stella del Mare)- Il mosaico s’ispira all’antichissimo affresco ritrovato nella chiesa di S.Nicolò.
La ricorrenza fu ideata nel 1924 da Don Nicolò Lavarello, Rettore della Chiesa di San Nicolò di Capodimonte e da allora ogni anno la prima domenica di agosto si ripete.
L’intera giornata è dedicata alla Madonna protettrice di chi va per mare.
Isola di Tinetto – La statua della Stella Maris
Camogli - STELLA MARIS; Giuseppe Bozzo, 2003
olio su tela cm 120 x 80
Maria, come recita un'antico inno, è, specialmente nel mese di Maggio, invocata come "Stella Maris". Perchè la Madonna viene chiamata "Stella del Mare"? Le stelle si presentano come un segnale luminoso e posseggono un loro fascino simpatico e misterioso per tutti noi, ma per quanti operano in mare esse sono sempre state fondamentali per la sicurezza della navigazione.
Quando il cielo era limpido e la notte serena, la loro fiammella era il richiamo rassicurante per il procedere in mare ed in vista della meta desiderata. Ed anche quando il firmamento restava oscurato dalle nuvole, era motivo di fiducia il pensiero che comunque le stelle al di là continuavano ad esistere e non cessavano di mandare la loro flebile luce, anche se momentaneamente non veniva percepita.
Nel mare della vita tutti abbiamo bisogno di avere qualche stella, che ci mandi la sua luce, ci indichi il cammino, ci doni sicurezza. Quando siamo sinceri con noi stessi sentiamo che non si può vivere in una continua oscurità e senza almeno qualche certezza. La notte della mente e del cuore fa paura, suscita ansia, blocca la vita e nessuno può essere talmente masochista da voler vivere in una situazione di perenne confusione e di vuoto interiore.
Abbiamo bisogno di luce spirituale per vivere sereni, vogliamo vedere davanti a noi il cammino da percorrere, desideriamo conoscere la strada del nostro destino e la meta della nostra vita.
Maria può essere quella guida materna che la nostra vita ricerca, si presenta come la stella luminosa del mattino delle nostre giornate, è la voce di quel navigatore spirituale che indica la strada da percorrere.
“Fate quello che Gesù vi dirà”. Ecco la voce della stella, ecco l’indicazione del navigatore. Ha un nome, Maria, e dice una cosa: “Fate quello che Gesù vi dirà”.
Maria è la stella del mare della vita, che manda la sua luce solo a quanti alzano gli occhi verso di lei e sanno mettersi nel silenzio, come quando vogliamo ascoltare il silenzio delle stelle.
Solo chi sa stare in silenzio può percepire la voce dell’altro che parla, riesce ad ascoltare i propri sentimenti, ha la capacità di rispondere agli interrogativi del suo cuore e quindi riesce a dare luce al cammino della propria vita.
La Stella Maris si festeggia la prima domenica di agosto. Questa festa risale al '400 ed è dedicata alla "Stella di Mare", titolo con il quale i marinai e pescatori venerano la Madonna.
La sera in chiusura della festa vengono lasciati in mare da imbarcazioni o a nuoto dai bagnanti migliaia di lumini accesi, che donano uno spettacolo suggestivo e imperdibile.
Ü Dragun incendiato
Durante la festa della Stella Maris, una processione di barche ornate a festa parte dal porticciolo di Camogli per raggiungere Punta Chiappa dove si trova l'altare della Madonna "Stella di Mare".
“Vi è un incanto nei boschi senza sentiero ed è un’estasi sulla spiaggia solitaria vi è un rifugio dove nessun importuno penetra. Accanto alla profondità del mare ed alla musica del suo frangersi riesco ad amare più la natura di quanto ami l’uomo. In questi colloqui riesco a liberarmi da quanto sono o credo di essere stato per essere un’unica cosa con l’universo e sentire quanto non riesco ancora ad esprimere e che non so neppure nascondere.“
Scritto da Lord George Gordon Byron allo Stella Maris nell’anno 1821
Ü Dragun – Sciabecco-Galea simbolo della città di Camogli
Alla processione tra le varie barche partecipa anche Ü Dragun. Una volta raggiunto lo scoglio di Punta Chiappa viene celebrata la Santa Messa.
Significato
Nome composto da Maria e Stella. Maria deriva dall'ebraico Maryàm e vuol dire "principessa, signora", mentre Stella ha origine latina ed il suo significato è "luminosa come un astro". Può comparire anche nelle forme Maria Stella o Maristella. Stella Maris ossia Stella del mare è un antico titolo utilizzato per Maria Vergine, madre di Gesù. L'onomastico può essere festeggiato il 12 settembre giorno dedicato al Santissimo Nome di Maria oppure l'11 maggio in memoria di Santa Stella martire.
L’immagine della STELLA MARIS qui raffigurata è forse la più conosciuta a bordo delle navi
MAESTRA E SIGNORA DEL MARE
Secondo questa interpretazione il nome di Maria deriverebbe da MOREH (ebr. Maestra-Signora) + YAM (=mare): come Maria, la sorella di Mosè, fu maestra delle donne ebree nel passaggio del Mar Rosso e Maestra nel canto di Vittoria (Es 15,20), così "Maria è la Maestra e la Signora del mare di questo secolo, che Ella ci fa attraversare conducendoci al cielo" (S.Ambrogio, Exhort. ad Virgines).
Altri autori antichi che suggeriscono questa interpretazione: Filone, S. Girolamo, S. Epifanio. Questo parallelo tipologico tra Maria sorella di Mosè e Maria, madre di Dio, è ripreso da S. Agostino, che chiama Maria "tympanistria nostra" (Maria sorella di Mosè e la suonatrice di timpano degli Ebrei, Maria SS. è la tympanistria nostra, cioé dei Cristiani: il cantico di Mosè del Nuovo Testamento sarebbe il Magnificat, cantato appunto da Maria: questa interpretazione è sostenuta oggi dal P. Le Deaut, uno dei più grandi conoscitori delle letteratura tergumica ed ebraica in genere: secondo questo autore, S. Luca avrebbe fatto volontariamente questo parallelismo.
LA STELLA MARIS
NELLA POESIA
Quando nel volto di Maria il poeta Giorgio Caproni ricordava con nostalgia inquieta la fede della sua infanzia: "Nel vago della notte, io disperso mi sorprendevo a pregare. Era la stella del mare".
Oggi festeggiamo il nostro destino, che è di vita e non di morte. Maria, assunta in cielo, dice che il miracolo della Resurrezione non è privilegio divino, ma meta per tutti. La Vergine ci precede, e ci mostra la via.
Non a caso una delle metafore più usate dai poeti di ogni tempo è proprio quella di Maria stella del cielo, che indica la rotta ai naviganti.
È un'immagine che usa anche Giorgio Caproni, uno dei massimi lirici del '900. Nella sua poesia Alla Foce, la sera (Frammento su un ricordo d'infanzia), tratto dalla raccolta Il conte di Kevenhuller, si trova una Maria luminosa, che abita il cielo:
La vedevo alta sul mare.
Altissima.
Bella.
All'infinito bella
più d'ogni altra stella.
Bianchissima, mi perforava
l'occhio:
la mente.
Viva.
Più viva della viva punta -
acciaiata - d'un ago.
Ne ignoravo il nome.
Il mare
mi suggeriva Maria.
Era ormai la mia
sola stella.
È, come dice il titolo, un ricordo d'infanzia: Caproni (1912-1990) è stato un poeta in perenne conflitto con il tema di Dio, che non si è risolto in una fede positiva. Eppure la misteriosa assenza di Dio non lo ha mai lasciato tranquillo. Ma da bambino aveva fede, con un particolare affetto per la Madonna:
Nel vago
della notte, io disperso
mi sorprendevo a pregare.
Era la stella del mare.
Caproni stesso racconta della sua devozione mariana in pagine bellissime, raccolte in Il mondo ha bisogno dei poeti. Intervista e autocommenti (1948-1990):
Da bambino, volevo tanto bene alla Madonna che, quando me ne regalarono una - tutta bianca, di gesso, forse una statuina della biancoceleste Madonna di Lourdes- mi venne addirittura voglia di costruirle una chiesuola.
La madonna cantata nella poesia è frutto del pennello di un pittore francese che Caproni bambino conosceva e frequentava: Jean Bourillon, a cui sono dedicati i versi. Un giorno il poeta vide un quadro preparato dall'artista per una festa di mare, con Maria sulle onde. E gli rimase profondamente impresso. Poi la vita gli fece perdere la fede, ma rimase il ricordo di quell'immagine e del suo autore:
La tua stella, Jean,
così remotamente morto
con la mia infanzia, e in una
con tutta la tua opera...
Jean
senza fortuna...
Amico
(in gioia e in disperazione)
dei miei sussulti...
Di me:
della mia diffrazione
nel tempo che ormai mi allontana -
sempre più mi allontana -
dalla nascita e - forse -
(oh Jean!) dalla mia stessa morte...
È esperienza comune: anche in chi ha perso la fede rimane un ricordo, una nostalgia forse, almeno della materna figura della Vergine. È un'eco che non abbandona il cuore dell'uomo.
Non si può guardare a Maria che con affetto e gratitudine:
«Ciao stella del mare» mi sorprendo a dire con voce sommessa. «Ciao mio povero Bourillon, che grazie al tuo quadro, e per virtù del tuo quadro, mi costringi ancora (e te ne sono grato) a salutare Maria, come la salutavo nella mia cameretta di fantolino fidente - bella e protettrice - a capo del mio lettuccio».
LA STELLA MARIS COME EFFIGE DI DEVOZIONE DEI MARINAI NACQUE IN QUESTO EREMO di S. NICOL0’ DI CAPODIMONTE - (foto sotto)
La Chiesa di San Nicolò di Capodimonte del XII secolo è situata a 97 metri sul mare lungo il sentiero che conduce dalla chiesa parrocchiale di San Rocco, 221 metri sul mare alla celebre Punta Chiappa. Qui la vegetazione mediterranea e di macchia raggiunge la sua più intensa espressione: pino silvestre, d’Aleppo, lecci centenari, querce, castagni, ulivi e poi la fragranza dei mirti, corbezzoli, eriche giganti, ginepri, ulivi selvatici, lecci nani, cactus, ginestre, caprifogli, pistacchi, alaterni, citisi, carrubi nani, melograni selvatici, timo, capperi e dovunque spunta la Isca con la quale gli abitanti del luogo fanno corde resistentissime all’acqua salata.
La chiesa romanica fu fondata, secondo la tradizione, nel XII secolo dai monaci di San Rufo nei pressi di una già presente cappella intitolata a san Romolo del 345. Abbandonata dal XV secolo per le frequenti incursioni dei pirati e trasformata in abitazione civile dopo l'editto napoleonico, fu nuovamente riaperta al culto religioso dal 1870. Tra le tracce di affreschi vi è la raffigurazione di una Madonna che protegge un'imbarcazione, la Stella Maris, ripresa nel mosaico di Punta Chiappa e oggetto di venerazione durante le omonime festività religiose.
Tutto il complesso è stato abbandonato nel XV secolo a causa delle ricorrenti invasioni dei pirati saraceni, e trasformato in abitazioni civili durante il periodo napoleonico. Gli interventi di restauro effettuati tra il 1925 e il 1926 hanno restituito alla chiesa l'originale aspetto romanico con facciata in pietra viva e portale strombato con colonnine marmoree.
L'interno è caratterizzato da una pianta a T con tre absidi e unica navata in pietra nera sulla quale sono ancora visibili tracce di affreschi. Tra questi si nota la Madonna che protegge una barca durante una tempesta: è il tema della Stella Maris ripreso sulla stele a mosaico di Punta Chiappa.
Inizio modulo
Per il mio nuovo viaggio lungo le rotte della memoria, non cerco porti idonei alla partenza o ai ritorni; non cerco nave od equipaggio. La terra, la mia, farà da porto e da riparo; e magicamente sarà nave ed equipaggio. Insieme veleggeremo, fatalisticamente sospinti da ataviche maledizioni, da fallaci certezze, da vecchie e nuove paure, alla ricerca di serene spiagge, di gioiosi lidi. Alla Stella del Mare raccomando questo singolare veliero, insieme ai corpi ed alle anime del nostro equipaggio. A mia madre rivolgo pensiero e gratitudine e a lei dedico gli esiti incerti e le possibili conquiste del viaggio; a mia moglie, come ad ogni partenza, la promessa del primo abbraccio del ritorno.
Il comandante
ALBUM FOTOGRAFICO
Uno scorcio suggestivo di Punta Chiappa
Punta Chiappa - Camogli. Opera di F. Dal Pozzo dedicata alla Madonna Stella Maris (Stella del Mare).
Madonna del Tinetto
La statua della Madonna del Tinetto mi ha fatto ricordare un episodio molto vicino al cuore anche per ricordi familiari.
La statua era stata abbattuta da una mareggiata e prima della sua ricostruzione mio figlio, che è un video artista con il nome Masbedo, aveva girato un filmato e scattato delle foto che avevano portato ad aggiudicare a Masbedo il premio nazionale Gairo di fotografia. Il filmato, dal titolo:
"Schegge d'incanto in fondo al dubbio"
trattava della donna nella sua dimensione complessa all'interno della coppia. Per la realizzazione del filmato era servito l'appoggio della Capitaneria per posizionare l'artista sul basamento dove prima c'era la statua e la cosa era stata complicata dal fatto che avevano voluto girare anche con inquadrature di mare mosso.
(Marcello Bedogni)
Camogli nella notte della STELLA MARIS
CARLO GATTI
Rapallo, 21 Luglio 2017
IL MARE INNAMORATO
IL MARE INNAMORATO
Alcuni credono che il mare sia una cosa inanimata: un minerale. lnvece no. E un essere vivo, con un caratterino bizzarro e bizzoso con cui bisogna fare i conti. Se i pescatori gli portano via troppo pesce, se gli uomini lo sporcano troppo con i loro rifiuti o lo soffocano con il loro petrolio, allora si altera, incomincia ad ondeggiare, a sbuffare spruzzi d'acqua e, siccome è enorme, ogni suo movimento provoca danni anche a grande distanza. In un paesino poco conosciuto sulla costa della Liguria, viveva una bambina che amava molto il mare. Era ancora piccolina, ma già brava a camminare e a parlare. Il suo posto preferito per giocare era la spiaggia, anche se sassosa e scomoda. D'estate il suo più grande divertimento era fare il bagno. Ogni volta che arrivava vicino al mare, bagnava la manina, si faceva il segno della croce ripetendo una giaculatoria che le aveva insegnato la nonna: "Ciao Gesù, io ti saluto nel più bello del Creato", poi immergeva di nuovo la mano, assaggiava il sapore del mare e diceva sempre: “Com'è buono”. Infine, se era estate, correva dentro e si lasciava afferrare dall'onda senza paura ed esclamava: “Com'è forte!”. Il mare a furia di sentirsi dire: bello, buono e forte si intenerisce, quando arrivava la bambina, regolava l'onda per non farle male, attirava le correnti per spingere al largo rifiuti e meduse, insomma si faceva più bello per lei. I pescatori locali, come tutti, ascoltavano le previsioni del tempo prima di avventurarsi a pesca e, se erano troppo brutte, se ne stavano a casa a dormire per non rischiar la pelle. Ben presto però si accorsero che, nella loro zona, si verificava un fenomeno strano. La radio annunciava: venti da sud, sud-ovest, mare forza sei, burrasche, facendoli correre a rinforzar gli ormeggi e brontolare per la perdita di guadagno. Il giorno dopo invece, dopo un inizio burrascoso, il mare si quietava, non rispondeva al vento e tutto ritornava tranquillo. “Ehi, Dario, ma hai sentito anche tu le previsioni. Non ci azzeccano proprio”. “Io metto la barca in mare" diceva Piero. Ormai è passata l'ora buona, ma andiamo lo stesso. Non si capisce più niente” rispondeva Dario con un'aria sconsolata.
I poveretti mettevano le barche in mare e per qualche ora tutto filava liscio. Finché la bambina stava sulla spiaggia, il mare faceva per lei il bello e il buono e calmava i suoi furori, ma quando lei rientrava a casa, tornava a imbizzarrirsi e ancor più si infuriava contro quei due o tre pescatori, che avevano osato sfidare la sua potenza.
Il mare vuole rispetto e se lo si prende sottogamba, c'è da pagarla cara. Cosi una volta i poveri Dario, Piero e Simone si trovarono di colpo in balia delle onde.
"Maria santissima, cosa succede?" gridava uno nella radio. L'altro a fatica rispondeva: "Presto, tiriamo su le reti. Cerchiamo di tornare in porto". ll terzo, sopraffatto dall'urlo del vento e dal mugghiar del mare, non riusciva a sentirli e, tra una bestemmia e una preghiera, tagliò la rete per affrettare il ritorno. Meglio perdere la rete che la vita, pensava con le lacrime agli occhi, senza capacitarsi di un cambiamento del tempo così repentino. Uno dopo l'altro ammaccati e grondanti rientrarono in porto, accolti con sollievo dai familiari, ma rimbrottati aspramente dalle autorità marittime, che non capivano come dei professionisti fossero usciti in mare con le previsioni catastrofiche annunciate. Inoltre non era la prima volta che lo facevano. Due sere dopo, passata la burrasca, i tre s'interrogavano ancora, davanti a un bicchiere di vino, sulle avventure vissute, anche se l'ultima era stata la peggiore. “In tanti anni non mi era mai capitato, che il mare cambiasse così improvvisamente” disse Dario. “Previsioni sbagliate, ne ho sentite tante”, riprese Piero, ma nelle realtà una cosa del genere non l'avevo mai vissuta, né sentita raccontare”. "A me è venuta voglia di cambiar mestiere” borbottò Simone, che aveva perso anche la rete. “No, dai non ti scoraggiare;” gli rispose Dario, la rete la ricompriamo con il fondo del Circolo; l'abbiamo fondato apposta per venire incontro alle vittime di incidenti che possono capitare a tutti noi, la cosa importante è che dobbiamo capire cosa è successo per non caderci un'altra volta” riprese pensieroso. “Sai, Agostina, quella bambina che sta vicino a me" disse Simone distrattamente, quando ha saputo quello che è successo, mi ha chiesto: "Perché non hai fatto una carezza al mare? Così si calmava". Beata innocenza. Per Piero fu come una rivelazione. “Accidenti, disse anche le altre volte e andata così. Il mare è brutto, poi ad una certa ora si calma, soltanto qui nel nostro golfo e, dopo qualche ora ricomincia il finimondo. "C'è qualcosa sotto!" concluse. “Cosa intendi con "qualcosa sotto"? gli chiese Dario. “Non lo so, ma dobbiamo indagare, vedere cosa succede in paese, quando il mare si calma. Non è normale”, rispose Piero. Dopo una settimana la situazione si ripeté identica. Previsioni cattive, tutti in porto, ma invece di starsene a casa a dormire, i nostri tre pescatori di divisero i compiti dell'indagine. “Tu Dario vai in chiesa a vedere se fanno qualche funzione Particolare”, disse Piero.” Tu Simone, controlla Agostina, la tua vicina di casa. Io intanto giro un po' per il paese e per il porto e sento cosa si dice” decise Piero. Dario non era un frequentatore abituale della chiesa e ci entrò con un certo imbarazzo. La chiesa era deserta, la luce scarsa penetrava dai vetri colorati in modo uniforme. A tratti però, durante qualche schiarita, la luce si intensificava e si raccoglieva in raggi obliqui, che andavano ad illuminare, come fari, un altare laterale tappezzato di ex-voto, dove era esposta una Madonna. Dario guardò incuriosito le pareti, che circondavano l'altare: i quadretti esposti rappresentavano per lo più scene di mare in burrasca, battelli inclinati con le vele ammainate e marinai imploranti. Sì, i suoi avi ne avevano passato delle belle in mare e nei momenti più bui si erano rivolti alla Madonna per aiuto. Lui non ci credeva molto, ma capiva come potesse essere successo. Così un po' vergognoso accese una candela, accompagnando il gesto con questo pensiero: "Fa' che non succeda più»" Poi se ne uscì senza aver ottenuto le informazioni che cercava. In chiesa non c'era nessuna funzione, anzi non c'era anima viva. Simone era affacciato alla finestra della cucina, quando vide Agostina uscire di casa con secchiello e paletta, accompagnata dalla mamma. “Ma dove andate con questo tempo?” chiese. “Alla spiaggia" rispose Agostina sorridendo. “Non scherzare. Quando il mare è grosso se la mangia la tua spiaggia" insistette Simone. Dove andiamo noi è riparato, intervenne la madre, e poi ad una cert'ora si calma sempre". Simone rimase interdetto. Lì per lì non sapeva se controbattere, se seguire le due vicine o se correre dagli amici araccontare quello che aveva sentito. L'indecisione gli fu fatale, perché nel frattempo le due si erano allontanate e lui non riuscì a ritrovarle. Uscì comunque di casa e si diresse verso il porto, dove incontrò Piero, intento a chiacchierare animatamente con due vecchi pescatori in pensione. Essi sfidavano il brutto tempo pur di non mancare all'abituale appuntamento sul porto, dove erano soliti trascorrere le mattinate rievocando le avventure passate e brontolando sul presente. “Ma come ve lo spiegate voi questo tempo matto?' stava chiedendo Piero al più anziano dei due. “Quando ero giovane io, le mareggiate c'erano solo d'autunno. Quelle sì, che erano mareggiate. L'onda arrivava contro le pareti della chiesa e gli spruzzi bagnavano le vetrate. Così, quando eravamo in chiesa, ci sembrava di essere in barca. Più sicuri, però. Poi hanno costruito questa barriera di scogli per proteggere le fondamenta della chiesa e il mare ha preso un altro giro. Non ci capisco più niente” rispose quello. “lo so” riprese con pazienza Piero "vi ricordate se il mare era così variabile? Agitato, poi quasi calmo e poi di nuovo in burrasca nello stesso giorno?” “No, no, rispose l'altro "se era scirocco durava tre giorni, se era libeccio un giorno e una notte, poi piano piano si calmava. Il maestrale non ci dava tanto fastidio. Bastava stare all'interno del golfo, ma allora si pescava lo stesso. Non come adesso che se non andate al largo, non prendete niente". “E secondo voi, cosa può essere a rendere il mare così matto?”. Chiese ancora Piero. “Eh lo so io, lo so io, rispose il primo. La bomba atomica, gli esperimenti. Ecco cos'è. Dopo la guerra niente è stato più come prima”... concluse scrollando il capo. Intervenne Simone dando di gomito a Piero.
“Vieni al bar" disse "che ti devo raccontare una cosa". Lì, al riparo da orecchie indiscrete, gli disse in quattro e quattr'otto cosa gli avevano detto Agostina e sua madre. A Piero pareva una scemenza e mentre stavano discutendo arrivò anche Dario, che non aveva scoperto niente. Uscirono insieme e guardarono il mare: pareva un agnellino innocente con le sue piccole onde a ricciolo bianco. Uno scherzo. “Un imbroglione" gli urlò Piero vedrai che scopriremo il tuo trucco. Insieme si incamminarono verso le spiagge di levante e lì, in una piccola insenatura protetta dagli scogli, videro Agostina che giocava beatamente con i piedi nell'acqua e sua madre, che faceva la maglia. "Avete un bel coraggio voi due, incominciò Piero "a star sulla spiaggia con questo tempo”. “Vede che il mare si è calmato?" rispose la signora guardando Simone "siamo fortunate. Noi veniamo quasi tutti i giorni alla spiaggia. Quando Agostina andrà a scuola sarà diverso, ma per adesso ce la godiamo". “Buon divertimento allora» risposero i tre allontanandosi, con la testa confusa da pensieri contrastanti. Non ne parlarono più tra loro, per timore di essere presi per creduloni, però, come per un tacito accordo si misero a turno sulle tracce di Agostina. Il fenomeno del mare, che si calmava, quando Agostina era sulla spiaggia, si verificava sempre. Non sapevano che spiegazione dare, non intendevano parlarne ad altri, ma tra loro presero alcune decisioni. “Senti”, disse Piero rivolto a Simone "devi invitare Agostina sulla barca a pescare". Ma mi è d'impiccio, sei matto. Una bambina di quattro anni in barca a pescare, si ribellò Simone. “Cos'hai in mente?, chiese Dario. “Ho pensato che Agostina potrebbe essere il nostro portafortuna”, rispose Piero. Simone, che la conosce meglio, la porta in barca due o tre volte col mare buono, per farle prendere confidenza. Un giorno, quando ci sarà burrasca usciremo tutti e tre sulla barca di Simone con Agostina e magari non ci succede niente. Peschiamo quando tutti gli altri sono in porto. Possiamo vendere al prezzo che vogliamo, se siamo gli unici ad averlo" concluse. “Mi pare un'idea disonesta e pericolosa”, disse Dario. “E anche sciocca, esclamò Simone io non ci sto. Lasciatemi in pace! “Ohi te, che fai il cavaliere” lo rimbrottò Piero. "Ti devi ricomprar la rete. Vorrai mantenere la tua famiglia in qualche modo? Non facciamo niente di male, sfruttiamo solo un segreto, che gli altri non conoscono». In breve Piero vinse la resistenza degli altri due e Agostina fu invitata a pesca. La prima volta la mamma rifiutò, poi cedette alle insistenze del pescatore e della bambina. "Dai mamma, lasciami andare. Deve essere bellissimo stare in mezzo al mare. Anch'io da grande farò la pescatrice" insistette Agostina. “Si, la rana pescatrice" rise la madre. Per due volte Agostina uscì in barca con Simone. Il mare era calmo, i pericoli lontani e la piccolina tornò a casa orgogliosa con qualche pesce in mano. Una sera dopo aver ascoltato alla radio le previsioni del tempo, che annunciavano vento forte e mare agitato i tre si telefonarono. Piero, che era la mente del gruppo, organizzò il lavoro per il giorno dopo. Si accordarono per uscire in mare tutti e tre sulla barca di Simone con Agostina come protezione contro la furia del mare. Naturalmente dovevano ricorrere ad uno stratagemma per ingannare la mamma di Agostina. Questa parte antipatica toccò a Simone. “Buongiorno signora. Oggi è brutto tempo e non si va. Se vuole porto Agostina a fare un giretto, tanto sono disoccupato”. “Perché no?”, rispose la madre, che era indaffarata ad impastar ravioli. “La copra bene, che tira vento”, suggerì il pescatore. Una volta fuori di casa Simone disse ad Agostina: ti confido un segreto, che deve restare tra noi, per non spaventare la mamma. Ti porto in barca anche oggi. Non aver paura. Vedrai che emozione, disse sorridendo, quasi sicuro che il mare si sarebbe calmato, vedendo la barca con Agostina sopra. La bambina non rispose. Gli camminava a fianco in silenzio, preoccupata per la bugia, ma curiosa di vedere il mare in burrasca. Appena la barca con i quattro doppiò il molo del porto, si trovò in difficoltà. il mare era davvero spaventoso: era impossibile calar le reti e difficilissimo timonare. Piero e Dario, a fatica, presero Agostina sotto le ascelle e alzarono le braccia la cielo come per offrirla in voto urlando: ”Mare, mare, calmati. Guarda chi c'è a bordo!”. A quel punto scoppiò il finimondo. Il mare, vedendo che quei pazzi avevano osato sfidarlo usando Agostina come scudo, perse del tutto la ragione e si scagliò con forza contro la barca sballottandola come fosse stata una foglia secca. Agostina era sicura che se avesse potuto mettere la mano in acqua e accarezzare il mare, quello si sarebbe placato, ma lì a prua, tenuta come una polena dai due pescatori, era davvero spaventata. Incominciò a pianger e a invocare la mamma. Piero urlava a Simone: “Vira, vira. Rientriamo”. L'amico aveva difficoltà di manovra, mentre era di fianco, un'ondata più vigorosa delle altre, si abbatté sul battello spaccandolo in due. Era il naufragio, altro che pesca miracolosa. In un attimo, mentre la barca colava a picco, i tre avevano capito il loro errore. Preoccupati per la bambina, cercavano di afferrarla e salvarla, ma il mare aveva già deciso. Un'onda orlata di spuma bianca la rapì dalle loro mani, che annaspavano e la fece sparire alla loro vista. Agostina si trovò a cavallo di quest'onda anomala, che, senza mai infrangersi, galoppava veloce verso la solita spiaggetta dove amorosamente la posò a terra fradicia e piangente. I tre aggrappati ai rottami del battello intanto cercavano di galleggiare, mentre il mare s'infuriava contro di loro. Passarono un quarto d'ora lungo un secolo tra pianti, insulti e preghiere. Agostina a terra si chiedeva che fine avesse fatto il suo amico Simone e gli altri due pazzi, che l'avevano presa e sollevata e chiedeva al mare di salvarli, di avere pietà di loro. Il mare sembrava sordo quel giorno, ma dopo un po' si calmò. Adagio, adagio i tre pescatori avevano raggiunto la riva terrorizzati e ammaccati. Naturalmente non la passarono liscia. Oltre alla perdita della barca, dovettero subire un processo e furono condannati a tre anni di prigione. In prigione ebbero modo di riflettere e decisero di cambiar mestiere, perché avevano intuito che il mare non avrebbe perdonato un'altra mancanza di rispetto. Era già andata bene così.
ADA BOTTINI
17 Luglio 2017
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LA GALLETTA DEL MARINAIO
LA GALLETTA DEL MARINAIO
UN PO’ DI STORIA
Le leggende dei lupi di mare raccontano che la razione giornaliera di acqua era prevista in tre litri a persona. Il cibo era costituito principalmente da patate, legumi secchi, carne salata e stoccafisso. Per anni piatto dei poveri anche sulla terra ferma ed oggi pietanza costosissima dove ti servono scagliette di stoccafisso con una marea di patate, polenta bianca, gialla e birulò e il tutto pepato a più non posso. Come nel “Cundigiun” erano sempre presenti le gallette che venivano conservate in cassoni foderati di zinco per mantenerle lontane dall’umidità, dagli scarafaggi e dai topi ma, ciò nonostante, dopo un paio di mesi di navigazione, spesso le gallette venivano “abitate” da vermi biancastri ma guai a buttarle. Si prendevano e si adagiavano, o meglio, si sbattevano più volte sul tavolo, se non sulla coperta, per esserne liberate dai vermetti e renderle così mangiabili. A bordo erano conservati anche: fagioli, ceci, fave, patate. Non mancavano l’aglio, le cipolle e il lardo che serviva necessari per fare il minestrone.
Velieri e CADRAI nel porto di Genova
Certo che non mancava il pesce pescato fresco sul posto. Cioè in mare. I marinai riuscivano facilmente ad arpionare un delfino; la carne veniva tagliata a strisce ed accatastata in un mastello coperto da dei pesi per far defluire il sangue. Dopo qualche giorno venivano messe in salamoia e poi venivano appese al sole ad essiccare. Dicono si trattasse di una squisitezza. Poi denominata “mosciame” e oggi proibitissimo. Alcuni fanno derivare il termine dal genovese “muscio” ossia persona di gusti difficili o comunque difficile da accontentare, tanto era considerato succulento.
E ora parliamo delle gallette e, nello specifico, delle gallette del marinaio.
La galletta era un prodotto a chilometro zero ma a “miglia” infinite. Era nata, come focaccina secca, quasi immangiabile se non bagnata, ideale sostituto del pane da mettere nelle zuppe e nelle insalate.
Le prime notizie risalgono al 1500 e riguardano l’uso delle gallette sui velieri, sciabecchi, galeoni ecc.
A bordo la galletta era l'unico “pane” per i marinai e si conservava per lunghi periodi. Per prepararla si usava una ricetta semplice: farina, acqua, malto, lievito di birra e sale.
Venivano infornate e cotte e la consistenza finale, era quella di una ciambellotta dura come il marmo. Le gallette a chilometro zero, venivano poi imbarcate per i lunghi viaggi. Prima dell’uso, venivano bagnate con l'acqua di mare, olio d'oliva e acciughe salate e ne veniva fuori una pietanza povera che non richiedeva cottura, non sempre possibile sulle barche dell’epoca e su quelle da pesca.
La galletta si sposava bene anche con il cibo che in contadini consumavano spesso quando si recavano nell’entroterra per falciare e fare provvista di fieno per l’invero. Non vi era casa di ogni frazione che non avesse almeno una bella mucca e il fogliame (fugiacu) e il fieno non poteva mancare in inverno.
LE GALLETTE DEL MARINAIO – OGGI
Panificio Maccarini – San Rocco di Camogli
Le famose gallette “Maccarini” servite calde
Tra gli scenari mozzafiato del Parco Naturale Regionale di Portofino e gli scorci incantevoli di località come Camogli e le sue frazioni, si respira aria di mare, di storia e di tradizione, tutte racchiuse in un unico prodotto della gastronomia locale che evoca l’antica vita di bordo dei naviganti liguri: la Galletta del Marinaio.
Incastonata tra mare e monti lungo la Rivera Ligure di Levante, Camogli sorge in riva al mare in una zona della costa compresa nel Parco Naturale Regionale di Portofino. Lo storico porticciolo e l’antica tradizione marinara contribuiscono ad ammantare di fascino le atmosfere incantate della cittadina ricca di suggestioni e di testimonianze del suo passato glorioso. Gli scorci mozzafiato e la posizione strategica rendono Camogli il punto di partenza ideale per visitare la Riviera di Levante ed i dintorni ricchi di paesaggi incontaminati che spaziano dalle cime innevate alle acque limpide del mar Ligure, e le numerose frazioni pittoresche e ricche di storia. Tra di esse merita una particolare menzione quella di San Rocco, facilmente raggiungibile percorrendo uno dei numerosi sentieri che si snodano dall’abitato di Camogli. Questo piccolo borgo vanta una posizione mozzafiato e si mostra come una splendida terrazza a picco sul mare dominata dalla bellissima chiesa di San Rocco edificata nella seconda metà del XIX secolo dai naviganti di San Rocco al posto della Cappella Campestre, ormai insufficiente ad accogliere tutti gli abitanti della frazione. Proprio lungo la strada per la chiesa, sorge lo storico panificio Maccarini dove si prepara ancora oggi la Galletta del Marinaio, una delle specialità più rappresentative della tradizione locale. Oltre a dedicarsi ai piaceri del palato, vale, però, la pena proseguire anche nell’esplorazione del territorio intraprendendo splendidi itinerari lungo i sentieri che raggiungono le più interessanti località del Monte di Portofino. Proseguendo, infine, verso il Golfo del Tigullio, una delle zone più apprezzate dai turisti di tutto il mondo, si raggiunge un’area caratterizzata dalla natura incontaminata dell’area protetta che lascia immediatamente il posto a località vibranti e vivaci come Portofino, meta prediletta del jet set internazionale, Lavagna, che custodisce uno dei principali porti turistici del Mediterraneo, Rapallo dove storia, arte e scenari da sogno si fondono in tutt’uno dalle suggestioni uniche, e Santa Margherita Ligure che, assieme a Sestri Levante, offre numerose incantevoli insenature in cui immergersi.
L’INGREDIENTE: Sono passati due secoli da quando sulle navi che salpavano dai porti liguri fecero la loro comparsa le Gallette del Marinaio. Erano tempi in cui le imbarcazioni a vela e i loro equipaggi rimanevano in mare per lunghissimi periodi, senza toccare porti, potendo contare soltanto sulle provviste imbarcate alla partenza che dovevano avere, dunque, la prerogativa di mantenersi a lungo. Proprio in quest’ottica nacque la croccante Galletta che a lungo accompagnò i marinai di leudi e pescherecci e che, soprattutto, si manteneva a lungo, anche per diversi mesi. Non è un caso, dunque, che questa croccante specialità sia diventata in breve tempo uno degli alimenti più diffusi tra gli equipaggi che potevano consumarla dopo averla fatta semplicemente rinvenire in acqua, accompagnata generalmente con le acciughe e condita con un poco di olio. Era questo il pasto tipico dei marinai. Una ricetta semplice chiamata Capponadda. Nonostante le necessità a bordo delle navi siano oggi profondamente cambiate e le comodità introdotte consentano una maggiore libertà nella scelta delle provviste da imbarcare, la Galletta non è mai scomparsa ed anzi è diventata un prodotto tipico estremamente rappresentativo della tradizione marinara che può essere gustato nella sua versione originale recandosi nello storico panificio della famiglia Maccarini, probabilmente l’unico che ancora la prepara secondo l’antica ricetta rimasta identica a quella di due secoli fa.
Le lettere di un affezionato cliente, il celebre Vittorio G. Rossi
Qui le Gallette del Marinaio sono una vera istituzione, al punto da aver fatto il giro del mondo e da essere state apprezzate da personalità illustri come Vittorio G. Rossi che ha riservato allo storico negozio dei Maccarini una dedica speciale.
Ricetta e varianti:
La capponadda originale, quella che si mangiava sulle navi, si prepara rompendo le gallette, strofinandoci sopra uno spicchio d’aglio e imbevendole di acqua e aceto per farle rinvenire. A parte bisogna spezzettare dei pomodorini, delle uova sode, e delle acciughe, aggiungendo capperi e olive. Gli ingredienti vanno poi messi in un recipiente largo, insieme al mosciame di tonno sbriciolato (o al tonno in scatola come dignitoso ripiego): a questo punto si uniscono le gallette scolate, rigirando il tutto con una generosa dose di olio d’oliva. Attenzione, gli integralisti della capponadda non tollerano l’uso della bottarga né dei sottaceti, che qualcuno ha provato a infilare nell’insalata.
Nome e nascita incerti:
Antica CAMBUSA
Sull’origine del nome della capponadda ci sono versioni contrastanti. C’è chi sostiene che il termine derivi dal latino caupona (taverna), a rimarcare la provenienza popolare del piatto, e chi suggerisce un’ipotesi più sofisticata: “capón de galea” era il nome ironico che si dava al pane duro dei marinai, richiamando la prelibata carne del cappone, appannaggio solo delle mense dei nobili genovesi. La carta d’identità della capponadda è incerta anche alla voce “luogo di nascita”: vari paesi della riviera di Levante se ne contendono la cittadinanza, neanche si trattasse di Cristoforo Colombo. È possibile che la sua prima apparizione sia avvenuta sui leudi, le imbarcazioni a vela con le quali i pescatori di Camogli andavano a pescare le acciughe in mare aperto. Proprio a San Rocco di Camogli (come a Chiavari del resto), hanno avuto l’idea di allestire una sagra della capponadda.
Una famiglia allargata?
Nonostante il nome, la capponadda non c’entra niente con la caponata di melanzane tipica della Sicilia. Di dubbia legittimità anche la parentela con il cappon magro, piatto tradizionale ligure a base di pesce e verdure con cui condivide l’origine del nome ma, a quanto pare, non della ricetta. Piuttosto, è ravvisabile un legame con la panzanella toscana, un classico “piatto di riciclo”, ideato per non buttare il pane raffermo.
Capponadda d’oltremare
Proprio come facevano i marinai della Repubblica di Genova, la capponadda ha colonizzato e imposto il proprio dominio su un territorio straniero. È infatti un piatto tipico anche di Carloforte, città fondata sull’isola di San Pietro, nella Sardegna sud-occidentale. Il motivo? All’inizio del XVIII secolo una colonia di liguri al seguito dei Lomellini, signori di Pegli, si trasferì sull’isola su invito di Carlo Emanuele III di Savoia (dal quale la città prende il nome), abbandonando l’isola della Tunisia che avevano occupato in precedenza. E sulle loro navi, c’è da scommettere, non mancava la capponadda.
GATTI CARLO
Sabato 8 luglio 2017