KUWAIT - CRONACA DI UNA COLLISIONE

KUWAIT

CRONACA DI UNA COLLISIONE


Il Kuwait é un emirato sovrano che si affaccia sul golfo Persico ed é incastonato tra l'Arabia Saudita a sud e l'Iraq a nord.

Il nome è il diminutivo di una parola araba che significa “fortezza costruita vicino all'acqua”. L'antico nome della regione era Qurayn.

il Kuwait è uno stato di modeste dimensioni, poco meno del Veneto, con una popolazione di un milione e 300.000 abitanti a cui si sommano due milioni e mezzo di immigrati, prevalentemente da Filippine, Pakistan e India, fondato su un’immensa risorsa, il petrolio, a cui si affianca una fiorente attività commerciale ed un welfare avanzatissimo.

Nonostante le dimensioni fisiche e demografiche, i numeri raggiungono quote considerevoli quando si vanno ad analizzare valori come la ricchezza, i livelli di produzione, investimenti e sviluppo.

La scoperta di enormi giacimenti petroliferi ha luogo negli anni ’30 del XXI secolo e lungo i decenni successivi, fino ad oggi, questa materia prima ha trainato lo sviluppo del paese. Uno dei fattori che contribuisce alla fama di apertura e democraticità del Kuwait è la sua costituzione, introdotta negli anni ’60.



Kuwait City é la capitale del Kuwait. Una città che si estende per 24 chilometri, unico grande centro abitato del Paese, presenta una grande varietà di grattacieli. Il più alto misura 400 metri ma c’è già l’idea di realizzarne uno ancora più ardito.

Oggi il Kuwait è una nazione che, pur nel pieno rispetto delle proprie tradizioni culturali e religiose, si sta aprendo molto all’Occidente e, in particolare all’Italia. Qui tutto ciò che è italiano piace moltissimo, dalla cucina alla moda alle auto, soprattutto le fuoriserie a marchio Ferrari o Maserati.

Grazie all’associazione Italia-Kuwait c’è stata la possibilità di conoscere da vicino questo Paese che è riuscito a ricostruirsi in tempo record dall’invasione di vent’anni fa da parte dell’Iraq.

MA IL MONDO PETROLIFERO DEL GOLFO PERSICO E’ MOLTO MENO ATTRAENTE……




CRONACA DI UNA COLLISIONE


T/n FINA ITALIA

Dati nave:

 

Anno di Costruzione

Cantiere di Costruzione

N° di Costruzione

Armatore

Bandiera

1956

Ansaldo – Genova Sestri

1509

Compagnia Marittima Palermitana - Palermo

Italiana

Stazza Lorda (t)

Stazza Netta

(t)

Portata Lorda (t)

Nominativo Internazionale

Porto di Registro

20.736

12.196

31.546

ICPA

Palermo

 

 

 

 

 

 

 

 

Mina Al Ahmadi, 25 Febbraio 1965.

Segue il Rapportino firmato dagli ufficiali di guardia che erano in manovra durante la collisione.

- Con la petroliera FINA ITALIA ci troviamo alla fonda a circa 2 miglia dalla testata del South Pier in attesa di ormeggiare per la caricazione di crude oil.

- Alle 03.00 il 2° Ufficiale di coperta allerta l’equipaggio riferendo che la nostra nave é attesa al North Pier di Mina Al Ahmadi (Kuwait) per caricare al pontile (Pier) N.11.

- Il North Pier Control ci fornisce le seguenti istruzioni:

- “Salpate e avvicinatevi per l’imbarco del Pilota”.

- Alle 03.10 si inizia a salpare.

- Alle 03.24 si dà il Pronti in Macchina

- Alle 03.30 àncora salpata; si procede ad andatura di manovra per il North  Pier.

- Alle 03.42 il Nord Pier Control chiede la nostra posizione:

- ci troviamo a 1,8 mg a Sud del Pier N.11. In avvicinamento lento essendo la nostra nave a “turbonave”.

- Subito dopo il N.P.C ci informa:

- “La T/N giapponese TOJO MARU ha disormeggiato dal Pier N.11 e ha preso il largo in direzione Levante”.

- Alle 03.45 il Pilota portuale della petroliera in movimento ci chiede via radio-VHF: “Può la TOJO MARU passarvi di prora tra voi e la costa”?

- Si risponde immediatamente: “ciò non é possibile non essendoci più spazio sufficiente per tale manovra - Stiamo procedendo per l’imbarco del pilota.

- Ci viene risposto OK a conferma della ricezione della nostra risposta (in inglese). Per non generare equivoci si segnala con due fischi brevi che si sta accostando a sinistra per lasciare maggior spazio alla nave in uscita verso il largo.

- Dalla TOJO MARU vengono emessi due fischi brevi per segnalare che anch’essi accostano a sinistra.

- Alle 03.48 si ferma la macchina per l’imbarco del pilota che sta dirigendo verso di noi sulla dritta.

- Improvvisamente si riscontra che la TOJO MARU, anziché accostare a sinistra come ha segnalato, sta accostando a dritta tagliandoci decisamente la rotta.

- Si mette la macchina Indietro a tutta forza per fermare il leggero abbrivo che ancora abbiamo in avanti per evitare la collisione.

- Sono le 03.50. Si chiede alla macchina manovra rapida e massima potenza indietro.

- Alle 03.52 si dà fondo l’ancora di dritta che rimane a picco essendo la nave ferma.

- La TOJO MARU sta intanto sfilando di prora ormai a poche decine di metri di distanza da noi e si ha l’impressione che stia sempre accostando a dritta proiettando la sua poppa contro la nostra prora.

- Infatti alle 03.53 la petroliera TOJO MARU urta col fianco sinistro, all’altezza del suo cassero poppiero, contro la nostra prora. Visto il rapido spostamento della sua poppa, l’urto é molto violento.

- Alle 03.56 macchina ferma. Si rimane all’ancora sul punto del sinistro a 0.6 miglia dalla testata Sud sul Rilevamento 316°, con due lunghezze di catena all’acqua.

- A causa dell’oscurità non si é in grado di constatare l’entità del danno, sia nostro che della nave giapponese. Ci si mette in contatto VHF con il N.P.C per assicurarci che non vi siano danni irreparabili a bordo della nave giapponese e per prestare eventuale assistenza. Ci viene riferito che non vi sono vittime tra l’equipaggio della TOJO MARU.

- Da quanto precede risulta evidente che si é agito con la massima prudenza e in ottemperanza al Regolamento Internazionale per evitare la collisione, ma che i nostri sforzi sono stati resi vani dalla manovra incomprensibile della TOJO MARU che essendosi dapprima allontana verso il largo, mostrandoci chiaramente il verde e passando a dritta della nostra prora, ha in seguito accostato verso di noi, cioè alla sua dritta per passare tra noi e la costa tagliandoci la rotta e inoltre segnalando la manovra di accostata a sinistra mentre accostava a dritta.

- Si fanno pertanto le più ampie riserve nei confronti di chi spetta, per tutti i danni subiti, visibili ed invisibili, per il tempo perduto, per eventuali perdite di nolo, per tutte le spese in qualsiasi modo sostenute in relazione al fatto salvo sempre il diritto dei proprietari della nave e dei noleggiatori d’intraprendere tutte le azioni ritenute utili per la salvaguardia dei loro interessi. Ritenendo l’incidente avvenuto per imperizia ed assoluta imprudenza da parte della TOJO MARU, si declina ogni e qualsiasi responsabilità.

Seguono le firme dei testimoni…….. omissis…….

Ripresa da terra, la TOJO MARU é appoggiata sul fondale. Soltanto le sovrastrutture rimangono emerse.

DINAMICA DELLA COLLISIONE


A = FINA ITALIA - B = TOJO MARU


La linea della costa é parallela alla rotta della nave B (TOJO MARU) (a destra) nel disegno.

I DANNI

La T/n FINA ITALIA rimase 40 giorni nel porto di Mina Al Ahmadi, affiancata presso una banchina isolata per essere sottoposta ad una “riparazione provvisoria” per renderla NAVIGABILE nel trasferimento in ballast (zavorra) verso l’Italia.

Una ditta norvegese fu incaricata di rendere stagna la prora (completamente schiacciata) con casse di cemento usate da sempre nei sinistri navali di questo tipo.

Il 1° Ufficiale di Coperta, l’Allievo Ufficiale di Coperta, il Nostromo e un Marinaio e che si trovavano al posto di manovra a prora, ebbero un comportamento eroico, ma disubbidirono all’ordine esplicito del Comandante che aveva loro impartito, con il Sistema Interfonico di bordo:

ABBANDONATE IL POSTO DI MANOVRA A PRORA!

Con zelo sicuramente eccessivo, la squadra di prora condotta dal 1° Ufficiale, rimase a prora per tentare l’impossibile: allascando e frenando l’àncora per “fare testa” con l’intento di spegnere l’abbrivo residuo.

Se La FINA ITALIA si fosse trovata in posizione avanzata soltanto di poche decine di metri, sarebbe stata colpita in una cisterna vuota con grande rischio di esplosione non essendo “gas free”.

Il Nostromo fu ricoverato in ospedale e successivamente sbarcato e rimpatriato a causa delle conseguenze fisiche sofferte nell’urto e per i traumi da shock da spavento. Il resto del personale riuscì ad arretrare e scendere dal cassero di prora prima che tutta la nave fosse investita da una intensa pioggia di scintille provocata dalla collisione e dallo sfregamento delle lamiere tra le due cisterne. Quel fuoco d’artificio fuori programma illuminò a giorno la rada di Mina e pensai: “Adesso tocca a noi saltare per aria… ma non era ancora destino…!

Buona parte di quei 40 giorni di sosta fu dedicata alle interrogazioni e testimonianze in Tribunale per l’istruzione della causa.

Alcuni anni dopo fui informato che la sentenza del Tribunale del Kuwait scagionò completamente la FINA ITALIA ed il suo equipaggio, attribuendo tutte le responsabilità della collisione al Comandante della TOJO MARU.

La sera prima di salpare per l’Italia: destinazione Fincantieri Muggiano di Spezia, il gigantesco norvegese Mr. Johanssen, responsabile dei lavori, pensò bene di festeggiare il suo FINE LAVORI ubriacandosi a bordo della FINA ITALIA.

Nessuno lo mandò via… ma ad un certo momento della notte volle togliere il disturbo e, rollando e beccheggiando alla gran puta… cadde in mare dallo scalandrone che si ergeva ben 15 metri sul livello del mare.

Dioniso, dio "ibrido" dalla multiforme natura maschile e femminile, animalesca e divina, tragica e comica, ci mise la cosiddetta PEZZA…

mettendo nella gola del marinaio di guardia un urlo d’allarme terrificante!

Bastarono pochi minuti per formare due squadre di marinai. Due di loro si tuffarono in mare per imbragarlo, altri tre lo sollevarono in banchina e poi sull’ambulanza giunta nel frattempo per trasportarlo all’ospedale. Quell’ubriacone di due metri che lavorò giorno e notte con grande dedizione e professionalità sulla nostra prora, si sputtanò con l’unico baccanale … che si concesse in quei 40 giorni come premio dei risultati raggiunti!

Insomma: fece tutto da solo!

Il Comandante Johanssen fu salvato da due sobri marò-nuotatori italiani che non ebbero alcuna esitazione sul da farsi…

Durante il passaggio del Canale di Suez, prima di rientrare in Mediterraneo, il nostro Comandante ricevette dal norvegese una gradita lettera di ringraziamento dedicata all’equipaggio della Fina Italia

ALCUNE CONSIDERAZIONI

Sono passati 53 anni esatti dalla collisione che poteva volgere in tragedia qualora, come abbiamo già fatto notare, fosse stata la TOJO MARU (fully ladden) a colpire la nostra petroliera all’altezza di una cisterna vuota, ma sicuramente con sacche di gas al suo interno. Come si può vedere da questa nota riportata sotto: il lavaggio delle cisterne con petrolio greggio e l’immissione di Gas Inerte nelle stesse sarà applicato per legge soltanto 20 anni dopo…

La gestione dell’impianto di gas inerte deve essere affidato a personale-abilitato.
Con decreto ministeriale in data 11/ 06 / 1986 ( GU 178 del 02/ 08 / 1986 ) sono stati istituiti corsi di addestramento sul lavaggio delle cisterne con petrolio greggio che devono essere seguiti dal personale addetto alle gestione di questa operazione.

Fu GRAZIE alla perizia del nostro Comandante Domenico Puppo di Porto Maurizio (Imperia) se oggi possiamo raccontare questa storia…

Quel giovane Comandante di 36 anni, erede di una “grande scuola” di marineria ligure, prese le decisioni giuste con grande freddezza, in una fase di grande confusione generata dall’imperizia totale sia del Comandante giapponese e forse anche per la imprecisa gestione del traffico operata dal Pilota UK del porto di Mina.

Del nostro Comandante ricordo un altro episodio significativo che accadde nel Canale della Manica durante una violentissima burrasca in cui la visibilità era pressoché azzerata! Navigavamo per NE verso la Danimarca, avevamo il radar in avaria e non esistevano ancora gli schemi di separazione del traffico navale nei punti più rischiosi.

Oltre ad avere un marinaio di vedetta a prora, il resto dell’equipaggio era allertato in vari punti esterni del Ponte di Comando per ascoltare i segnali da nebbia delle navi in transito da tutte le direzioni.

Improvvisamente si sentì il FISCHIO di una nave in avvicinamento da proravia. Il Comandante chiese al personale presente sul Ponte e sulle alette di plancia la direzione di provenienza del segnale. Tutti rispondemmo all’unisono: “Ci attraversa da sinistra! Tocca a lei manovrare e passarci di poppa!”

Ma il Comandante diede l’ordine che nessuno si aspettava:

tutto il timone a dritta”

Aveva ragione lui! La nave proveniva dalla nostra dritta! E toccava a noi manovrare per evitare la collisione.

In seguito il Comandante mi spiegò che quel giorno sulla Manica, oltre ai piovaschi intensi, c’era un vento forte dalla costa di NE che dava una accelerazione al segnale da nebbia della nave spingendolo più avanti, tanto da farcelo percepire sulla nostra sinistra.

Il Comandante Puppo era un assiduo e tenace osservatore della direzione del vento e non si fece fregare! Noi si!

ROTTE D'INCROCIO TRA DUE UNITA' A MOTORE


A sinistra la FINA ITALIA

Quando due unità a motore hanno rotte d'incrocio quella che rileva l'altra sulla dritta deve lasciare a questa la rotta libera manovrando in modo deciso e tempestivo.

Quella lezione mi servì per tutta la vita.

E’ utile che il Comandante ascolti tutti i pareri,

ma la decisione finale spetta sempre e solo a lui!

Segnali sonori in condizioni di visibilità ridotta.

In un'area di visibilità ridotta o nei pressi di essa, sia di giorno che di notte, i segnali prescritti in questa Regola devono essere usati come segue:
a) Una nave a propulsione meccanica che ha abbrivo, deve emettere, ad intervalli non superiori a 2 minuti, un suono prolungato.

La personalità di quell’uomo magro e basso di statura, con i baffetti ben curati e due occhi neri, piccoli e penetranti, riusciva SEMPRE a trasmettere tranquillità e freddezza! Ma l’uomo aveva anche un’altra arma in dotazione: era molto “parsimonioso” nel dare confidenza al prossimo, ma riusciva altresì a comunicare lo stesso calore umano di quei padri di altri tempi, un po’ severi ma presenti, che sapevano insegnare per amore e non per esibizione, per amore del mare e della nave, non per mostrare una eccelsa preparazione a noi giovani che, se era il caso, lo capivamo da soli… No! Il Comandante Puppo era un vero MAESTRO di vita e di mare!

“PORCA DELLA PUTTANONA !!!!!”

Era la sua abituale espressione che usava nei momenti di tensione e, ancora oggi, mi risuona dentro quando mi ritrovo negli stessi frangenti e la uso come se lui fosse sempre al mio fianco.

Giunti a Spezia a velocità ridotta, terminai i miei 15 mesi d’imbarco e sbarcai per convolare a nozze con mia moglie Gun Oskarsson in una chiesa cattolica in Svezia. Era il 25 Aprile del 1965. Erano passati due mesi esatti dalla collisione.

Molti anni dopo, in una notte di tramontana, salii da Pilota su una cisterna che faceva il “costiero” ed era diretta agli Oli Minerali nell’avamporto di Genova. Quando al buio riconobbi la voce del Comandante Puppo, ci abbracciammo provando una emozione molto forte. Erano passati 25 anni da quel lungo imbarco ma, come per incanto, decine di ricordi riapparvero su quel piccolo Ponte di Comando: quelle storie di mare appartenevano ad entrambi.

Gli dedicai la manovra sulle ancore, mi fece i complimenti e gli dissi:

“Il mio maestro é sempre lei! Porca della Puttanona!"

CARLO GATTI

Rapallo, 13 Marzo 2018

 

 

 


OSKAR IL GATTO INAFFONDABILE

OSCAR

 

IL GATTO INAFFONDABILE

 

(The Unsinkable!)

 

PREMESSA: I naviganti ed i terrestri in generale hanno poche cose in comune. Ogni nave é un’isola che naviga in un mare che divide gli Stati e le civiltà per categorie, razze, religioni ecc…

In terra si parla molto e si fa tanta politica che divide ancora di più i terrestri. In mare l’ambiente é asettico perché il buon senso, quello ANTICO come il mondo, suggerisce una forma di convivenza più saggia: “risparmiare tutte le energie per i giorni tempestosi, perché l’unico obiettivo é quello di arrivare in porto.”

Di problemi in mare ce ne sono anche troppi: navi vecchie e stanche,

logorate da avarie e toppe su cui vigilare… Tutti evitano di creare ulteriori problemi, ogni tentativo in quel senso sarebbe una stupidità inutile. In terra, come tutti sappiamo, esistono tanti problemi, ma i più comuni sono quelli che le persone si creano nei vari tentativi, spesso falliti, di migliorare la propria esistenza.

Tuttavia, tra questi due mondi che si frequentano poco, c’é un punto di contatto: l’amore per gli animali!

I cani e i gatti la fanno da padroni… e molto spesso imbarcano e sbarcano ognuno con il proprio marinaio, dopo imbarchi lunghi ed impegnativi.

I marittimi di una certa età ricordano certi incontri ravvicinati in oceano con vecchie carrette tirate su dal fondo, dopo giorni e giorni di cielo e mare.

Per vedere l’altro da vicino, si accostava un po’ di gradi per sbracciarsi a salutare, sentire abbaiare un cane, cantare il gallo se era l’alba e, a volte, quando si era sottovento ad una nave ligure, si poteva annusare l’aroma del basilico coltivato nei vasi a bordo che arrivava con l’odore di casa, pieno di nostalgia. Quando poi si era al traverso ci si scambiava il rito del fischio: un brivido che ti rimaneva a lungo sulla pelle. Si prendeva il binocolo e spesso si vedeva il Comandante con un gatto tra le braccia, oppure un cagnolone che gli scodinzolava tra le gambe in segno di festa.

Spesso dalla coperta partiva un urlo:

“A peggio di noi !!!”

Come se qualcuno trovasse in quell’ululato gettato al vento un motivo di consolazione…

Certe emozioni si provano solo in mare, tra marittimi che neppure si conoscono ma che si sentono fratelli nella solitudine, nella vita, nel destino di quasi tutti i rivieraschi del mondo.

Questa premessa ci dà lo spunto per addentrarci in un nuovo capitolo

da aggiungere nella “Saggistica Navale” del nostro sito nel quale, chi scrive dedicò insieme all’amico Bruno Malatesta, un articolo intitolato: “CANI MARINAI” da amare.

Di GATTI NAVIGANTI che raggiunsero una certa fama ne ricordiamo due: CHIPPY, gatto soriano, che accompagnò Ernest Shackleton nella spedizione-Endurance (1914-1917) in Antartide. Fu soppresso quando l'Endurance, ormai intrappolata dalla banchisa, non era più in grado di navigare e l'equipaggio fu costretto a proseguire a piedi;

SIMON, gatto arruolato come tradizione antica, mantenuta dagli Inglesi, quale portafortuna e scacciatopi sulla Royal Navy. Fu apprezzato ancor più per vere imprese eroiche e per ferite di guerra nel 1947-1949, meritandosi ambite decorazioni.

Ai gatti vengono riconosciuti dei super poteri, come la capacità di prevedere il meteo e tante altre situazioni più o meno pericolose che vanno ad intrecciarsi con superstizioni e stregonerie che si perdono nella notte dei tempi.

LA STORIA DEL GATTO OSCAR

OSCAR é il meno celebre tra i personaggi a quattro zampe, almeno sulla terraferma, perché la sua fama non nacque dalla fantasia di uno scrittore, ma dalle atrocità di una guerra sui mari che durò dal 1939 al 1945.

Oscar, gatto a macchie bianche e nere, fu mascotte “militarizzato” e roditore ufficiale sulla Bismarck della Kriegsmarine nel 1941, e su alcune unità della Royal Navy come vedremo in seguito.

IL LIBRETTO DI NAVIGAZIONE DI OSCAR

Il gatto-marinaio apparteneva ad un ignoto marinaio in servizio sulla nave da battaglia BISMARCK durante il suo primo e unico viaggio nel maggio del 1941.

La BISMARCK fu affondata in mare aperto dopo una lunga caccia e un intenso cannoneggiamento a opera della marina britannica. Il 27 maggio sopravvissero all'affondamento solo 115 marinai su oltre 2.200 imbarcati.

Il gatto fu trovato ore dopo l'affondamento, era sopravvissuto artigliando un carabottino di bordo. Venne recuperato dall'equipaggio del cacciatorpediniere HMS COSSACK che lo adottò. Il gatto fu ribattezzato Oscar dall'equipaggio britannico.

Oscar rimase a bordo del COSSACK per alcuni mesi, durante i quali la nave fu impiegata come unità di scorta nel Mediterraneo e nel Nord Atlantico. Il 24 ottobre 1941 il COSSACK partì da Gibilterra per scortare un convoglio verso il Regno Unito e fu silurato dal sommergibile tedesco U-563.

Colpito da un siluro, subì danni gravi che ne compromisero la stabilità: la prua era stata danneggiata per circa un terzo della lunghezza della nave, causando 159 vittime su 190 d’equipaggio.

Il cacciatorpediniere HMS LEGION tentò di rimorchiare la nave danneggiata tuttavia, un peggioramento delle condizioni meteo fece fallire il tentativo. Dopodiché l'equipaggio, compreso il gatto Oscar, fu tratto in salvo dal LEGION mentre il COSSACK affondava il 27 ottobre al largo di Gibilterra.

Qualche mese dopo, dalla portaerei UK HMS ARK ROYAL partì la richiesta per avere un gatto, come arma anti-topi. Così Oscar, nel frattempo soprannominato Unsinkable Sam, (l’inaffondabile) prese servizio sulla portaerei.

Durante un viaggio di ritorno dal Mediterraneo centrale, dove aveva lanciato degli aerei di rinforzo verso Malta, il 14 novembre 1941 la HMS ARK ROYAL venne silurata dal sottomarino U-81. Ogni tentativo di traino del relitto fallì per via delle enormi falle da cui entrò il mare vivo. La nave si capovolse a trenta miglia dalla costa di Gibilterra.

L'affondamento fu abbastanza lento tanto da permettere il salvataggio di tutto l'equipaggio, con l'eccezione di un solo uomo.

Unsinkable Sam fu recuperato dall'acqua, aggrappato ad un reperto galleggiante proveniente da una lancia distrutta.

In seguito fu assegnato all’ HMS LIGHTNING che, a sua volta, venne affondato in combattimento nel 1943 senza che Oskar subisse alcun danno fisico e morale....

Il suo ultimo imbarco ebbe luogo sull’ HMS LEGION (che lo aveva già raccolto dopo il siluramento del HMS COSSACK), ma la nave fece naufragio nel 1944. Oscar, arrabbiato ma in perfetta salute, si salvò ancora una volta. Scampato cinque volte alla morte, il fortunato felino venne soprannominato “The Unsinkable Sam” (l’inaffondabile) e divenne popolarissimo tra i marinai inglesi.

IL PENSIONAMENTO DI OSCAR

Dopo l’ultimo naufragio, Oscar fu trasferito presso gli uffici del Governatore di Gibilterra e poi rimpatriato nel Regno Unito per essere affidato ad un marinaio di Belfast.

Prudentemente, (forse per salvargli la nomina di portasfiga…) l’Ammiragliato decise di tenerlo ben lontano dal mare e dopo un congedo onorevole, lo affidò - come riporta Detlef Bluhm nel libro ”Gatti di lungo corso” - in un istituto per marinai: House for Sailors di Belfast. Qui morì di morte naturale nel 1955.

Oscar è protagonista di un ritratto dal titolo: Oscar, il gatto della Bismarck eseguito dall'artista Georgina Shaw-Baker, di proprietà del National Maritime Museum di Greenwich.


Il ritratto di Georgina Shaw Baker è pregevole ma, a parere di qualcuno, non coglie in pieno il carattere coriaceo di Oscar e l’essere, dopo tanti naufragi, INCAZZATO NERO…

APPENDICE

LE NAVI DI OSCAR

LA BISMARCK

La BISMARCK fu una nave da battaglia tedesca della Seconda guerra mondiale, così battezzata in onore del cancelliere del XIX secolo Otto von Bismarck (1815-1898). È famosa per l'affondamento dell’incrociatore da battaglia HOOD e per la caccia successiva che le venne data che portò alla sua distruzione. Eponima della classe Bismarck, l'unica altra unità della stessa classe fu la TIRPITZ.


La nave da battaglia tedesca BISMARCK in navigazione

Cacciatorpediniere UK - HMS COSSACK


Cacciatorpediniere UK - HMS LEGION


Cacciatorpediniere UK - HMS LIGHTNING


La portaerei inglese HMS ARK ROYAL poco prima dell’affondamento

Carlo GATTI

Rapallo, 28 Marzo 2018

 

 


QUANDO UN MARITTIMO DIVENTA TERRESTRE

QUANDO UN MARITTIMO DIVENTA TERRESTRE

Si nasce con una “dotazione di base” fornita dalla natura, arricchita dai genitori e completata da un “ingrediente sconosciuto” che ci rende unici.

Quando veniamo al mondo siamo come un grosso libro ancora da scrivere: il nostro nome stampato sulla copertina, ma con le pagine al suo interno quasi completamente bianche.

In questo testo non verrà narrata la nostra storia, ma il modo in cui vivremo la nostra vita, che dipenderà da come verremo “programmati“.

Da quando si nasce, e per tutta la vita, si ricevono input dall’esterno: suoni, immagini, pensieri, odori, procedure, verità, bugie… qualsiasi cosa è un dato da elaborare e da gestire.

Una quantità immensa di segnali; ma come si difende il cervello dal sovraccarico di informazioni? Nella sua incredibile efficienza, crea dei “programmi” che  attivano degli “automatismi.

Guidare la macchina è un esempio efficace: volante, cambio, frizione, acceleratore, freno… operazioni in successione che vanno eseguite con un certo tempismo. Quando si impara a guidare è necessario ragionare su quanto si sta facendo, sulla giusta sequenza nei giusti tempi. La ripetizione dei gesti arriva a creare un programma nel cervello che permette di agire in automatico, senza pensare e senza più mettere in discussione quello che si deve fare.

Ogni volta che dobbiamo ricordare qualcosa che impariamo, si viene a creare un circuito elettrico tra diversi neuroni chiamato sinapsi“. In questo modo le informazioni che noi archiviamo possono interagire per dare forma a pensieri e conoscenze più profondi. Una volta creata, questa sinapsi non viene più messa in discussione (il fuoco brucia=non bisogna toccarlo, abbassare la maniglia=aprire la porta, allacciarsi le scarpe, scrivere, leggere, ecc.).

Acquisita una certa competenza, la stessa viene gestita da quella parte del cervello che si occupa dei processi automatici che non hanno più bisogno di essere verificati.

Quando il libro è vuoto i processi di programmazione sono semplici e lineari, ma cosa succede se, a distanza di anni, gli automatismi creati non sono più attuali? Quando ci si trova a dover adattare concetti nuovi a idee vecchie? Quando la natura porta a non mettere in discussione le “certezze” già archiviate?

Non è facile riprogrammare un circuito cerebrale, sovrascrivere una sinapsi, cambiare radicalmente idea su qualcosa…

In pratica, con il tempo, si rischia di prendere decisioni sulla base di programmi non più  corretti o non aggiornati, ma che, comunque, non vengono messi in discussione. Programmi che, fuori dal nostro controllo, influenzano i nostri pensieri.

Cosa centra tutto questo con “un marittimo che diventa terrestre”?

Quanto scritto sopra può essere la base per molti argomenti.

L’apertura mentale, la capacità di mettersi in discussione, la predisposizione a cambiare le abitudini affinché gli automatismi non diventino dei limiti. Rendersi conto che nulla è per sempre: cambiano i presupposti, le circostanze, i soggetti, le cose giuste e quelle sbagliate, le cose possibili e quelle impossibili, e pertanto possono e devono cambiare le idee e le prese di posizione.

La differenza tra marittimi e terrestri è simile a quella tra pesci di mare e pesci d’acqua dolce: creature che si sono adattate ad ambienti profondamente diversi tra loro; paragonarli, giudicarli o anche semplicemente parlarne, è tutt’altro che semplice, perché troppi sono gli ingredienti che vanno a modificare la realtà di ognuno.

Per i marittimi, bisogna considerare dove hanno vissuto e lavorato, perché la vita a bordo di una nave passeggeri è molto diversa da quella su di una petroliera, su di un rimorchiatore o su di un traghetto, e così le esperienze che si maturano nel tempo. La nazionalità dell’equipaggio, le rotte che si seguono, i porti che si toccano, il grado che si ricopre, la lunghezza dei contratti, ecc., tutto concorre a rendere difficile la catalogazione del marittimo “tipo”.

Il terrestre può essere un dipendente oppure un imprenditore, lavorare in una grande azienda oppure in proprio, fare il pendolare o lavorare in casa, e così via per un’infinità di variabili.

Uomini di mare

Approfondiamo ora, generalizzando, la conoscenza di alcune verità che vanno a influenzare quasi sicuramente le tracce delle sinapsi dei marittimi:

- la considerazione della “gerarchia” a bordo di una nave non è percepita allo stesso modo in una struttura terrestre. L’estremizzazione del concetto “dopo Dio ci sono io“, riferito al Comandante di una nave, vede la sua giustificazione proprio nella necessità di garantire un certo “ordine” che, in mezzo al mare, equivale a “sicurezza”. L’adattabilità dell’uomo è innegabile ed è dimostrata una volta di più in questo contesto: mesi e mesi lontani dalle abitudini, dai propri interessi, dagli amici, dai propri cari, costretti a dividere uno spazio ristretto e la compagnia di persone che non si conoscono, riunite assolutamente a caso e, spesso, di nazionalità – religione – età – cultura completamente diverse.  No donne. No vita sociale. No cinema. No birra con gli amici. No “ora stacco due giorni e mi rilasso“. Si potrebbe mai gestire una situazione tanto estrema senza una gerarchia ben precisa? Io sono convinto di no. Ma per capirlo e, soprattutto, per accettarlo, si deve entrare in quel mondo in punta di piedi, come ultima ruota del carro, occorre costruire lentamente delle sinapsi robuste e profonde, si deve capire e accettare. L’alternativa è saltare giù dalla giostra al primo porto, che è poi quello che succede a molte persone al primo imbarco.

- Il rapporto tra coloro che vivono in pochi metri quadrati 24 ore su 24 non può essere lo stesso che si viene a creare tra persone che si frequentano per sole 8 ore al giorno. L’importante concetto: “scegli saggiamente gli individui con cui arricchire la tua vita“, non ha possibilità di applicazione, e questo porta a “spaccati di esistenza”. Mi spiego meglio. A terra la vita gira a un ritmo più o meno costante, scandito dagli impegni lavorativi e da quelli famigliari. Le persone che l’arricchiscono (o la impoveriscono) sono sempre le stesse o cambiano lentamente nel tempo. Mi viene da pensare che la vita a terra scorre puntellata da equilibri che possiamo individuare nelle costanti e nelle certezze. Quella del marittimo si sviluppa, quanto meno, in due dimensioni: una nel contesto famigliare, dove spesso fatica a reinserirsi al termine di un imbarco e da cui poi fatica a staccarsi quando arriva il momento di ripartire; l’altra la ritrova a bordo (per circa otto mesi all’anno) dove l’ambiente cambia ogni volta e le costanti le àncora alla passione per il lavoro, alla solitudine, alla malinconia e all’egoismo in cui si rifugia per dare un senso a una routine che è umanamente difficile da accettare. Le parole “spaccati di esistenza”, quindi, intendono evidenziare come ogni periodo d’imbarco, caratterizzato da ingredienti sempre nuovi in un contesto sempre uguale, diventi un pezzo di vita a sé stante condiviso intensamente con persone che forse non si rivedranno più: ogni imbarco un ricordo circoscritto, un pezzo di vita che ha vita propria, quasi scollegata da quella vincolata tra la nascita e la morte.

Marittimo, così come per molti altri mestieri, lo si può diventare solo fino a una certa età. Età in cui le sinapsi non avranno ancora imposto i loro limiti.

Se si sarà già provato a lavorare a terra, se si sarà già conosciuta la possibilità di un rifugio cerebrale dai problemi quotidiani offerto da vite parallele (famiglia, amici, hobby, lavoro, ecc.), se si saranno già apprezzati i diritti e i vantaggi di una “gerarchia controllata, se la gelosia, la nostalgia, e mille altri validi motivi avranno già consolidato profonde sinapsi nel cervello, difficilmente si deciderà di accettare una vita in mezzo al mare, poco conosciuta, ancor meno considerata e, spesso, dimenticata (vedi elezioni politiche, diritti e protezione sociale, ministeri dedicati, garanzia di lavoro, titoli non riconosciuti, ecc.).

Quando i pensieri tendono a prendere questa direzione, mi viene in mente il titolo di un libro: “I vivi, i morti e i naviganti”. Parole che trasmettono l’idea di qualcosa che galleggia  immerso nella nebbia.

Viviamo in uno stivale che per 8000 chilometri è a contatto con il mare, eppure esiste ancora una netta separazione sociale tra chi lavora in un elemento e chi nell’altro.

Per pareggiare i conti della vita dei marittimi, lo Stato italiano deve fare ancora parecchia strada, dando magari un’occhiata a come viene trattato chi naviga sotto altre bandiere.

Ma, nonostante tutto, la nave è anche un rifugio.

Ho detto che la gerarchia è molto sentita, aggiungo che i ruoli, i doveri e i diritti sono ben definiti. I problemi sono quasi quotidiani, spesso indipendenti dalla volontà di qualcuno e il più delle volte legati agli elementi atmosferici, alle avarie, ai cambi di programma. Insomma, spesso si tratta di problemi pratici, risolvibili con la preparazione, la buona volontà e il rispetto delle competenze.

Il marittimo che diventa terrestre s’immerge in una burocrazia personale più profonda: scopre le scadenze, le bollette, le multe, e si accorge della differenza psicologica che passa tra la gestione della “cartaccia lavorativa” – dove si ha un tempo dedicato e previsto a cui ci si abitua – e quella in cui, non avendo più disponibili mesi liberi consecutivi, si rende necessaria una buona organizzazione del tempo. Realizza che non c’è più una seconda dimensione, che è svanita la possibilità di spostarsi in mare o a terra a seconda della convenienza.

Il gioco si fa più sottile, soprattutto se, prima di lasciare il mare, ha navigato per diversi anni.

I terrestri non sono pratici e semplici come i marittimi, per loro i problemi hanno molte facce e qualsiasi questione, a seconda di come viene guardata, ha più colori dell’arcobaleno. Il bianco e il nero, a cui era abituato chi navigava, hanno mutato di significato ampliando all’infinito le sfumature.

Tutto si complica. I rapporti con le persone, per esempio, diventano un mistero. A bordo, non cambiando l’ambiente e il contesto, in poco tempo i caratteri escono per quello che sono – non si può fingere – e di solito si raggiunge un equilibrio in tempi piuttosto brevi.

A terra l’umore e la personalità cambiano più volte al giorno, a seconda che ci si trovi in famiglia, al lavoro, tra amici: muta l’ambiente, il contesto, il ruolo e il modo di porsi, a volte, per cambiare, basta anche solo indossare o togliere la cravatta…

Ma stravolgere le abitudini è spesso una cosa positiva. Si deve uscire dalla zona di “comfort”, quella dove tutto è famigliare, rimettere in discussione gli automatismi creati nel cervello fino a quel momento, costruire nuove sinapsi e adattarsi al cambiamento.

Lo possono fare tutti?

Non credo. Ci vuole una certa predisposizione, la fortuna di capitare nell’ambiente giusto, una forte motivazione e l’elasticità necessaria a mettere in discussione le certezze create fino a quel momento.

Il marittimo che diventa terrestre è, in definitiva, il classico pesce fuor d’acqua e la velocità/possibilità di adattamento dipenderà, in buona misura, dal suo carattere e dalla famigliarità che sarà riuscito a conservare con l’ambiente solido.

Avrà comunque un modo di vedere le cose differente, che a volte sarà un pregio e altre un limite, ma che sicuramente aiuterà a riflettere.

Quando sei su una nave tra cielo e acqua sai a cosa devi stare attento: il mare non è amico di nessuno; a terra anche questo non è mai così chiaro.

 

JOHN GATTI

Rapallo, 5 Marzo 2018

 


I POSTINI DEL MARE

I POSTINI DEL MARE

Il biglietto da visita “ecumenico” dei frati cattolici del monastero delle Isole Shetland è, paradossalmente, rappresentato da una rustica targa di legno che riporta una frase pronunciata da un famoso tedesco luterano, ed è in bella vista per chi approda alla darsena dello scoglio.

“L’Europa è nata in pellegrinaggio e la sua lingua materna è il Cristianesimo” J.W.Goethe

I Frati e la Posta

Le malelingue esistono dalla notte dei tempi, ma stranamente ristagnano sulla terraferma e mai sul mare, dove la solidarietà è più praticata che promessa. I naviganti adorano quei dodici frati che gli indicano sempre la via di casa; ma tanto affetto risale anche ad una vecchia pratica che si perde nei ricordi più remoti dei marinai della vela e che ora vi raccontiamo.

Se il tempo è sereno, il veliero in arrivo dall’America avvista la scopa luminosa del faro a moltissime miglia di distanza e s’avvicina bordeggiando a cuor leggero verso quella magica luce bianca. Nell’attesa dell’alba, temporeggia navigando a spirale per capire il giro del vento e della corrente intorno al Monastero, evitando con maestria d’incagliare sulle sue secche. Infine ammaina la lancia che, cautamente, dirige verso la piccola darsena. Da questo momento, a bordo, iniziano a battere le campane e se il vento allontana i rintocchi, sparano qualche colpo di falconetto (cannoncino di piccolo calibro) per attirare l’attenzione. I frati rispondono con i gravi rintocchi delle grosse campane che spuntano da ciascun lato del campanile, poco al disotto della lanterna. Suonano a festa in segno di saluto. I marinai s’arrampicano sulle sartie cantando inni di gioia e rimangono a lungo con le gambe divaricate sui marciapiedi dei pennoni, aggrappati alle vele gonfie di vento. In questa cornice di pura poesia, comincia il rito della posta. Quando il montacarichi scende dalla rupe, s’avvicina il momento più atteso dall’equipaggio del veliero e l’ansia si trasforma in autentica felicità. I frati consegnano le lettere al capo-barca e ritirano la posta dei marinai da spedire alle famiglie.

Ma La scialuppa non viaggia mai vuota verso il faro...

Gli equipaggi dei velieri che solcano abitualmente queste latitudini difficili, sono molto generosi e considerano quei frati come gli avamposti delle loro famiglie che sperano di vedere al più presto.

Dei religiosi conoscono nomi, abitudini, gusti, punti deboli e ben sanno quanto un po’ di tabacco, una torta fresca ed una bottiglia di Rhum, siano graditi al Convento, che non lesina benedizioni, preghiere e qualche canto gregoriano che, si sa, sono un po’ difficili da imparare...

Il servizio che i Carmelitani prestano come faristi, non è retribuito con denaro, ma il Comune da cui dipendono, invia loro, settimanalmente, l’occorrente per sopravvivere e curarsi, e con lo stesso cutter che li collega alla terraferma, l’Ufficio Postale spedisce al Frate Guardiano la posta destinata agli equipaggi dei velieri. Persino i grandi e piccoli armatori approfittano della loro disponibilità per consegnare le istruzioni del viaggio ai loro comandanti: porti di destinazione, noli, tipi di carico, cambio equipaggio, rifornimenti ecc…


Navigare necesse est... ma a volte ne vale la pena!

Per chi proviene dal largo, il faro-Monastero appare come una nave vista di prora, che al posto del Jack(l’asta della bandiera sulla prua) mostra il faro che, a sua volta, sembra un minareto ai mussulmani ed un campanile ai cristiani; insomma, è un esempio architettonico di sincretismo religioso, una costruzione sui generis, che offre un misto di sacro e profano, che non è arte pura, ma è sicuramente funzionale, e per chi giunge ai suoi piedi all’alba oppure al tramonto, ricorda un rosso palcoscenico dove si esibisce un Illustre Mago disceso dall’alto e venuto da lontano.

Carlo GATTI

 

IL SERVIZIO POSTALE (dei volontari) NELLO STRETTO DI MESSINA

 

Il nostro amico Comandante Nunzio Catena ha dei ricordi vivissimi di quando transitava lo Stretto di Messina ed entrava in contatto con

I POSTINI DEL MARE

Di recente Nunzio ha scoperto un bellissimo articolo apparso su:

FAMIGLIA CRISTIANA

firmato da Franca Zambonini che vi segnalo.

A cura di Carlo Gatti e Nunzio Catena

Rapallo,  5 Marzo 2018

 

 


L'ANTICO PORTO DI CESAREA MARITTIMA

CESAREA MARITTIMA

ISRAELE

Dopo aver visitato ed esplorato gli antichi porti di Claudio, Ostia, Traiano, Mileto, Nemi ed altri, oggi andiamo a Cesarea Marittima per riscoprire altre novità sull’ingegneria degli antichi romani che non finiscono mai di stupirci.

"Il sogno di Re Erode: Cesarea sul Mare"




Questo mosaico, rinvenuto a Caesarea Maritima, di epoca romano-bizantina, dà l'idea della bellezza della città  e dei suoi monumenti. Il mosaico policromo é abbellito con animali, piante, alberi e motivi geometrici. Al suo centro regna una divinità femminile locale, di nome Kalokeria, un nome sicuramente grecizzato di una Dea locale, che mostra, come Dea della fertilità e della prosperità,  un cesto di frutti della terra, che doveva assicurare la ricchezza alla bellissima città.

Questo libro: "Il sogno di Re Erode: Cesarea sul Mare" pubblicato negli anni ottanta, tratta del materiale raccolto per una mostra in Israele, ed offre una splendida narrazione della rinascita archeologica di una delle città più belle dell’Impero Romano di Oriente e del suo porto di prima grandezza: Cesarea Marittima, la quale competeva dunque con Leptis Magna, il Pireo-Atene, Ostia, Alessandria, Rodi e molti altri, per tutta una circolazione straordinaria di beni ed il passaggio di idee e dottrine Oriente-Occidente e viceversa.

Oggi CESAREA si presenta così…






Oggi Cesarea ce la possiamo solo immaginare in tutta la sua bellezza con le ricostruzioni degli studiosi.




La fonte principale di informazioni é lo storico ebreo Giuseppe Flavio. Situata 40 km a nord dell’attuale Tel Aviv, Caesarea Maritima venne fondata lungo una delle più importanti vie di comunicazione che collegavano le aree popolate del Medio Oriente con la costa mediterranea. La costruzione della grande città fu condotta a ritmi sostenuti con il lavoro di migliaia di operai e schiavi, e terminata in tempi davvero brevi (nove o dieci anni prima di Cristo).

Un acquedotto forniva a Cesarea l’acqua potabile, e un sistema di fogne sotto la città portava al mare acqua e liquame. L’impresa più importante però fu la costruzione del porto artificiale.

UN PO DI STORIA:

Erode il Grande (regnate tra il 40 e il 4 a.C.) aveva ricevuto in dono il sito da Cesare Augusto insieme a Samaria e ad altre città minori. Dopo avere ricostruito Samaria, che chiamò Sebaste, rivolse l’attenzione alla costa e iniziò la costruzione di una città e di un magnifico porto presso la Torre di Stratone, costruzione che richiese 10-12 anni; l’inaugurazione avvenne (secondo alcune fonti autorevoli) verso il 10 a.C. Trattandosi di opere costruite in onore di Cesare Augusto, Erode chiamò la città Cesarea e il porto Sebastos (che in greco significa Augusto). La città era bellissima, sia per i materiali edili impiegati sia sotto il profilo architettonico; c’erano un tempio, un teatro e un anfiteatro abbastanza grandi da ospitare una folla numerosa.

La città venne costruita ampliando a dismisura il piccolo porto villaggio di Straton (detto anche “Torre di Straton”), nato secoli precedenti come scalo per i traffici marittimi tra Fenicia ed Egitto. Tra alterne vicende Cesarea durò fino al 1265, quando le truppe musulmane, guidate dal sultano mamelucco Baybars, posero fine alla sua millenaria esistenza allo scopo di privare i crociati di una formidabile base di penetrazione in Terrasanta. La città era già stata conquistata da Saladino nel 1187; ripresa dai crociati francesi dopo circa vent’anni, venne fortificata nel 1251 per volere di re Luigi IX di Francia, ma le possenti mura, tutt’oggi visibili attorno al nucleo centrale della cittadella, non bastarono a fermare la furia dei Mamelucchi, decisi a ributtare in mare gli invasori. Da quel momento le rovine di Cesarea divennero il regno della sabbia e della salsedine. Il sogno di Erode fu inghiottito dalle dune costiere.

La città possedeva un porto molto grande con un molo che proteggeva gli attracchi da sud e da ovest. Sul porto si ergeva il tempio di Augusto e Roma, in posizione sopraelevata. Un doppio acquedotto portava l'acqua in città dalle sorgenti del Monte Carmelo. I ruderi di un imponente anfiteatro sono ancora visibili oggi come resti del citato acquedotto. La città era fiorente e abitata da popolazioni di varia etnia, ebrei, greci, romani, samaritani. Fu molto ben descritta da Flavio Giuseppe nei suoi libri Guerra giudaica e Antichità giudaiche.


Il Teatro di Cesarea Marittima (sopra e sotto)

Cesarea Marittima, Israele: colonne del parco archeologico

Il suo porto fu inaugurato nel 10 a.C. dallo stesso Erode in onore di Cesare Augusto. Per costruirlo si usò un tipo di cemento idraulico messo a punto dai romani: la «pozzolana», un miscuglio di polvere vulcanica del Vesuvio, fango e pietrisco che si indurisce a contatto con l'acqua. Ci vollero dodici anni e migliaia di uomini per portare a termine l'opera: molti furono fatti venire anche da Roma. Tra loro si distinguevano i tuffatori che si immergevano trattenendo semplicemente il fiato oppure in campane subacquee.

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CONCLUSIONE

La prosperità si ebbe finché resse l'impero romano che senza razzismi o preclusioni, favorì i commerci ed ogni tipo di arte in ogni parte e ad ogni gente del suo impero. Quando però questo decadde vennero a mancare cultura, scuole, leggi, commerci e ricchezze, e tutto ricadde nella barbarie. Da qui l'oscuro medioevo.

Bibliografia:

-Geografia e Archeologia

-Biblioteca on line

-I porti romani sul mare

-Associazione culturale Liutprand: il cemento degli antichi romani

-Il sito archeologico di Cesarea Marittima

-Daniele Mancini Archeologia

-Terrasanta.net

-Archeologia Viva-vivere il passato. Capire il presente.

-IMPERIUM ROMANO

-FELICI: La ricerca sui porti romani in cementizio.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 22 Marzo 2018