CENNI SULLA COCCA, CARAVELLA E CARACCA

CENNI SULLA COCCA, CARAVELLA E CARACCA

CIVADA E CONTROCIVADA

La nave a vela, nelle sue varie forme e dimensioni, ha solcato i mari dal tempo delle civiltà più antiche, passando per le grandi scoperte geografiche, le rotte mercantili che hanno reso ricchi gli imperi coloniali e l’era dell’industrializzazione, la quale, all’inizio del XX secolo, ha portato alla sostituzione del veliero con le navi a motore.


COCCA ANSEATICA

Il primo veliero vero e proprio fu la COCCA (foto sopra), un’imbarcazione medievale che poteva raggiungere una stazza di 200-300 tonnellate. Essa può essere considerata la più importante delle navi a vela che seguirono il periodo delle navi a propulsione mista: remi e vele.

La cocca aveva il ponte di coperta, sotto il quale vi era la stiva. Successivamente, si aggiunse un ponte coperto più piccolo a prua e uno maggiore a poppa. Aveva un solo albero con una sola vela quadra e di grandi dimensioni.

La cocca é un prodotto dei mari del nord. Nasce intorno al XII secolo per realizzare gli scambi commerciali via mare tra nazioni isolate dal clima duro e da mari tempestosi. Dette condizioni climatiche favorirono costruzioni navali robuste e tecnicamente in grado di affrontare situazioni emergenziali pericolose: neve, ghiaccio, nebbie, tempeste ecc…

Si sviluppa quindi un nuovo tipo di nave chiamata

 

COCCA  ANSEATICA

 

Il nome deriva dalla LEGA ANSEATICA, che dominava il MARE DEL NORD e il BALTICO negli ultimi secoli del Medioevo.


Le cocche anseatiche presentavano un disegno che abbandonava la prua ricurva del passato scegliendone una dritta, formante un angolo di circa 60 gradi, bloccata da una lunga chiglia dritta con un dritto di poppa anch'esso quasi verticale, formante un angolo di 75 gradi. L'attrezzatura velica era composta da una vela quadra con bracci e boline in modo che la vela potesse essere orientata per favorire la spinta in avanti della nave con vento al traverso. La nave presentava le sovrastrutture agli estremi: castelli di prua e di poppa, rialzati ed utili in caso di scontro armato, in tempi in cui la pirateria era presente, armatissima e scaltra nella guerriglia navale nel mondo conosciuto di allora.

La vela quadra nel dettaglio


1. ferzi
3. lato di inferitura
7. terzaroli
8. matafioni dei terzaroli

La vela quadra era dotata di matafioni di terzarolo lungo il bordo inferiore in modo che il bordame venisse assicurato con i matafioni.

Lo scafo era rivestito di assi di legno, fasciame, di norma sovrapposte bordo su bordo.

Inizialmente la cocca presentava il solo albero di maestra, con vela quadra. Fu intorno al 1300 che si ebbe la fusione fra le tecniche costruttive del Nord e quelle mediterranee. L’alberatura della cocca, così come lo scafo e le sovrastrutture, venne rinforzata con l’aggiunta di un secondo albero a prora, detto di trinchetto e, in seguito, con l’installazione di un terzo albero, più piccolo, a poppa, detto di mezzana. Era nata la nave a tre alberi, resa più manovriera dalla presenza delle vele di prora e di poppa, mentre la vela dell’albero maestro conservava la sua funzione propulsiva. Le estremità superiori degli alberi vennero munite di coffe, piattaforme rotonde protette da parapetti o griglie che potevano contenere un certo numero di arcieri o balestrieri e, successivamente, di archibugieri.


Nel XIV secolo la
cocca arrivò ad avere sino a quattro alberi, attrezzati sia con vele quadre sia con vele latine; aveva una lunghezza massima di 30 mt fuori tutto, cioè dall’estremità della poppa a quella della prora, e di 20 mt al galleggiamento. Questo tipo di nave poteva trasportare circa 150 t di carico e veniva armata con un equipaggio di venti o trenta uomini; poteva imbarcare armi da fuoco pesanti, sia a scopo difensivo sia offensivo. La cocca fu per quasi quattro secoli la nave commerciale per eccellenza: nel corso del tempo le sue dimensioni aumentarono e, verso la fine del XV secolo, la sua capacità di carico toccò le 1000 tonnellate. L’evoluzione finale della cocca porterà alla nascita della caracca.


Le vele erano governate tramite il sartiame, una complicata serie di cime, bigotte e bozzelli. Le corde prese singolarmente venivano chiamate cime.

Inizialmente anche il timone per governare era formato da due remi fissati ai lati della poppa. In epoca successiva, invece, venne sviluppato un timone centrale di poppa, detto timone alla navaresca.


In Italia il timone poppiero unico venne detto alla navaresca, poiché fu applicato per la prima volta su imbarcazioni alla navaresca, con bordi alti e vele quadre, come le Cocche.

Si è così ritenuto che il timone di questo tipo fosse di origini nordiche, anche perché la sua prima inequivocabile attestazione è su di un sigillo del 1242 della città baltica di Elbing, rinomata per i suoi cantieri navali, (vedi foto sopra).


In realtà una delle 99 miniature, oggi raccolte nella Bibliothèque Nazionale di Parigi, dipinte nell’anno 1237 (anno 634 dell’Egira), che illustrano le 50 Moqamat (Conversazioni) di Abu Mohammaoud al-Qasìm al-Hariri (1054- 1121), mostra una nave con timone centrale, del quale sono chiaramente rappresentate tre coppie di femminelle ed agugliotti.

Appare evidente quindi, a parte la lieve precedenza cronologica di una rappresentazione rispetto all’altra, che il timone centrale si fosse sviluppato in modo indipendente nel Nord Europa,  nell’Oceano Indiano e nel Golfo Persico da dove, forse, venne diffuso nel Mediterraneo. Nel Milione (1271–1295) Marco Polo, sempre così attento alle novità, dice semplicemente che: le navi asiatiche hanno “un timone”, e non vi si sofferma, come se la cosa non gli fosse nuova.

 

CARAVELLA E CARACCA

L’erede della cocca fu la CARAVELLA, divenuta famosa per essere stata l’imbarcazione utilizzata da Cristoforo Colombo nei suoi viaggi verso le Americhe. Questo veliero nacque all’inizio del 1400 e la sua fortuna coincise con le grandi traversate oceaniche, per poi declinare verso il XVII secolo.

La caravella era una nave inizialmente di piccole dimensioni, il cui tonnellaggio aumentò solo in seguito, dandole una forma più panciuta e tonda. Di norma presentava tre alberi, con vele quadre e latine che le conferivano una buona velocità e doti manovriere. Era dotata inoltre di una novità nautica strutturale: l’albero di bompresso, che si stagliava obliquamente all’esterno della prua, e montava una vela quadra chiamata CIVADA. Questa velatura mista le consentiva di gestire con maggiore facilità le diverse condizioni di vento. E’ mia opinione personale che detta vela, oltre a determinare una spinta in avanti, fosse in grado di sollevare la prua con il mare di punta e, opportunamente manovrata, facilitasse le accostate.

Le caravelle più grandi presentavano un cassero a poppa, vale a dire un castello sopraelevato rispetto a quello di prua. La potenza di fuoco della caravella era notevole, anche se non di grosso calibro, e necessitava di un equipaggio che si aggirasse tra i venti e i quaranta uomini.

Questo veliero, purtroppo, era soggetto a problemi strutturali (fragilità, poca protezione contro i parassiti) allo scafo e agli alberi, ma nel complesso si trattava della nave più affidabile e innovativa in circolazione, almeno fino all’avvento della CARACCA la cui fortuna durò dalla metà del XV alla metà del XVII secolo, ebbe origini prettamente mercantili. Di forma più tondeggiante rispetto alla cocca, presentava più ponti sovrapposti, castelli non sporgenti dallo scafo – di frequente costituiti a loro volta da più piattaforme – e una non disprezzabile capacità di artiglieria, per la prima volta disposta dietro a pannelli scorrevoli nella tipica formazione a batteria, in file orizzontali sovrapposte lungo le fiancate della nave.

La CARACCA era inizialmente utilizzata soprattutto dalla Lega Hanseatica nell’Europa del Nord e presentava una struttura velica e di sartiame piuttosto evoluta. Inoltre, per sfruttare al meglio il vento, oltre alle grandi vele quadre e alla vela latina all’albero di trinchetto, potevano essere issate anche vele poste più in alto lungo gli alberi, denominate vele di gabbia. Un ulteriore aiuto, come abbiamo appena visto, era fornito dalla vela di civada e dalla velatura di un quarto albero a poppa, detto albero di contromezzana o bonaventura. Le cime venivano assicurate alle lande: spranghe metalliche attraverso la quale ogni sartia era collegata allo scafo.

Grazie allo scafo accuratamente calatafato – cioè reso impermeabile – la caracca possedeva un’ottima resistenza alle intemperie, qualità che alla caravella mancava, e trasportava un maggiore carico di merci, armi e soldati, ragione per cui ebbe tanto successo nelle spedizioni intorno al mondo e sulle nuove rotte mercantili transoceaniche che fecero la fortuna degli imperi coloniali. Lo scafo era spesso rinforzato da parabordi che lo proteggevano dai contatti con altre navi o con gli scogli.

L’imbarcazione necessitava di un equipaggio di norma attorno ai cento uomini. Le caracche più grandi, però, potevano annoverare una ciurma composta da trecento o quattrocento marinai.

Benché la caracca costituisse un’evoluzione importante dell’architettura navale, la tecnica costruttiva non si fermò. Le rotte oceaniche erano impegnative, piene di pericoli ed imprevisti;  l’esperienza acquisita portò alle nascite del GALEONE, del VASCELLO, della FREGATA, dei CLIPPERS ecc

Una replica della Santa María ormeggiata vicino a Palos de la Frontera

La SANTA MARIA fu una CARACCA (nonostante comunemente venga ritenuta una CARAVELLA come le sue due compagne) e venne usata come nave ammiraglia della spedizione.

Costruita a Santander era molto robusta e faceva servizio mercantile con il nome di Galenda. Apparteneva a Juan De La Casa che la noleggiò per l'impresa. Aveva tre alberi con vele quadre ed una stazza che di circa 51 tonnellate. Era lunga 26,32 metri e larga 8 metri. L'albero di maestra era alto 26,6 metri con il grande trevo,coltellacci laterali, sul quale era dipinta la Croce di Castiglia e, sopra, una piccola vela di gabbia. Sull'albero di trinchetto c'era l'omonima vela e, sull'albero di mezzana, la vela latina triangolare.

Aveva un ponte di coperta, castello di prora e un cassero rialzato di poppa con l'alloggio del capitano. Il timone, come per le navi dell'epoca, era privo di ruota di comando e si trasmetteva il movimento al timone stesso per mezzo di due cime. Era la più lenta dei vascelli di Colombo. Portava quattro bombarde da 90 mm. – Colubrine e armi portatili nonché girevoli posti sul ponte inferiore e sui castelli di prua e di poppa.

Il GRANDE navigatore era partito il 3 Agosto 1492 dal porto di Palos de la Frontera, raggiunse il continente americano dopo 71 giorni di viaggio.

La SANTA MARIA, ammiraglia nella spedizione, era in grado di raggiungere i 10-12 nodi di velocità in condizioni favorevoli.

Il 25 dicembre 1492 l'equipaggio era in coperta e per un errore di manovra finì sugli scogli a Hispaniola e venne perduta. Colombo così si trasferì sulla NIÑA. Il relitto della Santa Maria venne ritrovato nel 1968. (A questo presunto relitto abbiamo dedicato un articolo sul nostro sito).

Un po’ di terminología essenziale


1) Controvelaccino

2) Velaccino

3) Parrocchetto

4) Trinchetto

5) Controcivada

6) Civada

7) Controvelaccio

8) Velaccio

9) Gabbia

10) Maestra

11) Belvedere

12) Mezzana

13) Coltellaccio della mezzana

 

CLONI DELLA CARACCA DI CRISTOFORO COLOMBO



Le foto (sopra e sotto) si riferiscono a “repliche” naviganti di caravelle dell’epoca di Cristoforo Colombo del periodo delle grandi scoperte, sono armate con due alberi e con vele tra loro di ugual ampiezza. Da notare come queste vele siano alquanto tondeggianti (venivano anche chiamate vele tonde). Sull'albero di mezzana è invece situata una vela latina con la sua lunga antenna. A prora, sull'albero di bompresso, la civada, che verrà in seguito sostituita dal fiocco.


Il bompresso, nell'evoluzione dalla galea al galeone, diventando ALBERO BOMPRESSO diagonale rispetto alla linea dello scafo, ed ospitante solitamente una sola vela, detta civada, in seguito, per rinforzarne l’effetto, compare una seconda vela sistemata su un prolungamento verticale dell'albero, detta controcivada.

Queste vele nate nel III secolo a.C. Con l'avvento della Vela Latina caddero in disuso, ma nel XV ricomparvero con la vela quadra insieme con la vela latina.

UN PASSO INDIETRO….

LA NAVE ONERARIA


NOTARE A PRORA (a destra del disegno) LA PRIMA CIVADA DELLA STORIA NAVALE

LA NAVE ONERARIA - Prima ancora di allestire una flotta da guerra, i Romani avevano un grande numero di mercantili: erano dette navi onerarie (dal latino onus, carico), cioè navi da carico. Con una forma piuttosto rotonda venivano spinte dalle vele: non vi erano rematori, per consentire al carico il maggior spazio possibile. La vela aveva una forma quadrata. Nella costruzione di questo tipo di navi, i Romani curavano particolarmente la chiglia, che fosse solida e impermeabile, su cui veniva stesa una lastra di piombo. Con questo sistema di protezione, l'acqua non filtrava assolutamente nella stiva e la merce trasportata poteva considerarsi al sicuro.
Sulla poppa v'era di solito un ornamento chiamato chenisco. Con questo tipo di nave i Romani svolgevano i loro commerci soprattutto nei vari porti del Mar Tirreno: trasportavano olio, vino, grano, frutta e bestiame. Quando i Romani ebbero una flotta militare, le navi onerarie servirono per il trasporto dei viveri, delle truppe, dei cavalli e delle macchine da guerra: catapulte e arieti.

La CIVADA nasce nel III secolo a.C. - Nel XV ricompare con la vela quadra e con la vela latina. Si tratta di una piccola Vela Quadra inferita al di sotto dell’albero di bompresso e da questo sostenuta al pennone di civada. La civada é comune nei vascelli del XVII e XVIII secolo.

La sua curiosa denominazione deriva, per l’analogia della sua forma originaria con il sacco d'avena (in provenzale civadiera), che si appendeva sotto il muso dei cavalli.

I velieri dei sec. XVII e XVIII avevano spesso, a proravia della civada, una seconda vela quadra chiamata controcivada che era sostenuta inizialmente dall'albero di civada, sopportato a sua volta dal bompresso e, in epoca successiva, sospesa allo stesso bompresso.

All'inizio del XIX secolo le vele quadre del bompresso non furono più utilizzate e al pennone di civada fu destinata la funzione di dare angolatura opportuna alle manovre fisse di ritenuta laterale dell'albero di bompresso.

Verso il sec. XIX le vele quadre al bompresso scomparvero e al pennone di civada (talvolta sostituito da due picchi disposti uno per lato trasversalmente all'albero di bompresso) fu affidata la funzione di dare angolo conveniente alle manovre laterali (venti) del bompresso.

Da queste trasformazioni sperimentate nei secoli, nacque il FIOCCO

IL MODELLISMO CI OFFRE LA POSSIBILITA’ DI ENTRARE NEI PARTICOLARI COSTRUTTIVI DELLA CIVADA


 

CARLO GATTI

Rapallo, 27 Marzo 2019

 


LE NAVI ROMANE DI PISA

LE NAVI ROMANE DI PISA


Vent’anni fa, nel dicembre 1998, durante i lavori di un nuovo centro delle Ferrovie dello Stato presso la stazione di Pisa - San Rossore, venne alla luce un eccezionale sito archeologico, a cinquecento metri dalla Torre pendente di PISA, cioè in pieno centro storico.

Dopo alcuni anni di scavi il tesoro arrivò a contare ben 31 navi romane di ogni tipo e misura, appartenente a differenti epoche storiche.

All’epoca in cui queste navi solcavano i mari, tra il II a.C. e il VII d.CPisa era un insediamento di media importanza nel Mediterraneo occidentale e si trovava in una zona cosiddetta di “porto diffuso”. L'area era solcata da canali navigabili e ricca di vie d’acqua simili a quelle che oggi si trovano ad Anversa e in altre siti del Nord Europa. Non c’era alcun porto a San Rossore, ma solo una estesa rada, un punto intermedio in cui le barche sostavano o partivano verso l’interno navigando in un dedalo di canali. Proprio per muoversi lungo questi corsi erano necessari piccoli barchini, ben tre sono oggi esposti nel Museo. Parliamo di un lontano periodo in cui Pisa era un porto militare distribuito su di un esteso porto fluviale canalizzato.

Già dopo i primi scavi promossi da Soprintendenza, gli archeologi si trovarono dinanzi a strutture banchinate, un pontile e una grande quantità di oggetti mobili, tra cui anfore, coperchi, ceramiche, manufatti, lucerne e attrezzature per la pesca. Gli esperti spiegarono che l’arretramento del mare aveva fatto sì che già nel Medioevo il porto di Pisa (che a quel tempo era una delle quattro Repubbliche marinare) fosse costruito più lontano dalla città, ma il trasporto dei detriti è proseguito, soprattutto per opera dell’Arno, e anche quel porto è stato inglobato dalla terraferma.

Pisa ha dunque perso nel tempo il suo forte legame col mare, ma il passato ogni tanto riaffiora dalla terra e rende testimonianza dei fatti che hanno scandito la storia di questa Repubblica marinara. Questo ritrovamento presentò fin dall’inizio caratteristiche di assoluta eccezionalità non solo per il gran numero di materiali finora individuati, ma per le stesse condizioni di conservazione delle imbarcazioni, alcune delle quali praticamente intatte, che restituiscono lo spettro di varie tipologie navali: dalle navi da carico alle barche fluviali, dai barconi a remi ai navicelli lagunari.

Le guide ci hanno spiegato che si tratta di relitti, rinvenuti in ottimo stato di conservazione in un’area dove un tempo un canale confluiva nel Serchio (Auser) e dove nel corso dei secoli affondarono numerose imbarcazioni a seguito di alluvioni.  La denominazione “Navi Romane” è un po’ impropria in quanto nel sito sono stati rinvenuti relitti non solo di epoca romana ma anche di quella ellenistica e medioevale e nello scavo sono stati portati alla luce reperti che risalgono fin dall’epoca etrusca (VII secolo A.C.)”.

IL MUSEO DELLE NAVI ROMANE

Dopo 18 anni d'attesa, dal 25 novembre scorso è aperto al pubblico il "Museo delle Navi Antiche" di Pisa, un primo nucleo di quella che sarà una delle più importanti e grandi esposizioni archeologiche sulla marineria antica, la cosiddetta "Pompei del mare", con 30 imbarcazioni di epoca romana e altomedievale (di cui 13 integre), risalenti ad un periodo che va dal I secolo d.C. e il VII d.C.

 

 

Nel disegno le varie navi in base alla loro posizione di ritrovamento contrassegnate dalla lettera corrispondente. I relitti rinvenuti permetteranno agli studiosi di ricostruire, grazie al ricco reperimento di “materiali”, una pagina di storia non solo pisana con le tecniche di allestimento delle imbarcazioni, il tipo di navigazione, nonché gli usi e le abitudini degli uomini che su tali mezzi si muovevano e vivevano insieme ai rapporti commerciali che intrattenevano lungo le rotte nel Mediterraneo.

 

GLI ARSENALI MEDICEI

 

Gli Arsenali medicei che accolgono le antiche navi di Pisa.

 




MASCHERA APOTROPAICA (primo piano)

I locali degli antichi Arsenali medicei voluti da Cosimo I Medici, per la costruzione delle galere dei Cavalieri dell’Ordine di Santo Stefano da lui istituito, e affidati all’opera dell’architetto Bernardo Buontalenti, accolgono quattro delle imbarcazioni ritrovate a pochi passi dalla Torre pendente, nell’area ferroviaria di Pisa-San Rossore, nel 1998.

Museo navi romane Pisa - Interno

 


Il traghetto I durante l'allestimento del Museo.


Nave contrassegnata con la lettera C

 

Museo - la nave C


Museo di Pisa - la nave C

 

Il pezzo più affascinante è sicuramente la ricostruzione a grandezza naturale della nave contrassegnata con la lettera C datata degli inizi del I secolo d.C. e affondata mentre era ancora ormeggiata in banchina. Notevole il suo ritrovamento per l’eccellente stato di conservazione. Splendida ancora con i suoi colori originali di cui conservava notevole traccia: bianco con rifiniture in rosso e il simbolo, in nero, dell’occhio, il portafortuna di chi andava per mare. La chiglia di leccio, il fasciame, ovvero il rivestimento esterno, di pino, ma anche fico, frassino, leccio, olmo e ontano per le ordinate o costole, le parti che si incastrano trasversalmente sulla chiglia.

 

Museo delle navi antiche di Pisa, la nave C

Nello scafo sei banchi di voga su uno dei quali in caratteri greci la scritta “alkedo”, probabilmente la trascrizione della parola latina alcedo, gabbiano.


la nave C

Una delle navi restaurate ed esposte nella Sala V

 

La sala IV è dedicata alla tecnica di costruzioni delle navi

 

LE ANFORE GRECO-ROMANE


L'anfora è un vaso di terracotta a due manici, definiti anse, di forma affusolata o globulare utilizzato nell'antichità per il trasporto di derrate alimentari liquide o semiliquide, come vino, olio, salse di pesce (garu) conserve di frutta, miele, ecc. Le anfore si possono classificare in fenicie o puniche, greche, etrusche, della Magna Grecia  (greco-italiche antiche) e romane.

Dall'anfora greco arcaica si giunge alla romana di età repubblicana, attraverso una serie di passaggi ben descritti dall'archeologo francese Jean Pierre Joncheray. L'anfora greco arcaica del VII secolo a.C. si evolve nelle sue forme nella greco recente (V-IV secolo) e poi nella greco italica (III secolo a.C.) usata in età ellenistica dai coloni greci in Italia e adottata in seguito dai Romani; mi è capitato di vedere delle greco italiche con bolli romani. Il passaggio continua con la greco italica di transizione (II secolo a.C.) e arriva alla romana di età repubblicana 18).


L'orlo dapprima a ciambella circolare o piatto e orizzontale della greco arcaica, si sviluppa e si inclina progressivamente nell'anfora greco italica, greco italica di transizione, fino diventare verticale nella forma romana. Il collo si allunga: dai 15 centimetri si passa ai 40 nei più recenti, le anse si allungano seguendo il collo. La pancia a forma di trottola, nei tipi più antichi, diventa un'ogiva sempre più affusolata. La lunghezza totale arriva a 120 centimetri: e' forma tipica dell'anfora romana di età repubblicana varietà Dressel lA (II Sec. a.C.), lB (I secolo a.C.) e 1C (I secolo a.C.), conosciute come anfora di Marsiglia, anfora di Albenga, anfora di Capo Mele, dal nome dei luoghi dove sono state principalmente rinvenute. Questo tipo è detta vinaria, per distinguerla da quella di forma più panciuta, chiamata olearia (Dressel 6).

Comunque le anfore vinarie, come è stato constatato dai residui del contenuto, portavano olio e, viceversa, molte olearie contenevano vino.

LE ANFORE DEL MUSEO DELLE NAVI ROMANE DI PISA



UNA LUCERNA perfettamente conservata

 

La nave D in fase di allestimento

È una grande imbarcazione fluviale utilizzata per il trasporto della sabbia che veniva trainata da riva con due cavalli. Gli archeologi collocano il suo affondamento in età tardo gotica quando, travolta dall’ennesima alluvione, affondò nei pressi della sponda su fondali bassi, capovolgendosi.

 

Museo delle navi antiche di Pisa, il barchino F

 

Diversa non solo per dimensioni la nave indicata con la lettera F e con il numero 46. È stata datata II secolo d.C. ed appartiene alla categoria delle piccole imbarcazioni fluviali. Ripropone nella forma e nel tipo di pilotaggio la struttura di una gondola, facendoci intuire meglio quanto l’ambiente naturale e l’apparato portuale pisano assomigliassero a quelli della laguna veneta. Lo scafo, realizzato con legno di ontano e quercia, appare infatti deformato su di un lato proprio per la manovra di un solo rematore. Lo studio dei legnami utilizzati per la costruzione delle varie parti delle imbarcazioni ha confermato le antiche fonti che tramandano l’uso della quercia per le parti strutturali, come la chiglia, che devono essere più resistenti, ma anche frassino, olmo, leccio; per il fasciame invece prevale l’abete o il pino, più leggeri.

LA NAVE 1

Museo delle navi antiche di Pisa

il traghetto, la nave I

 

(Sopra e sotto)

Interamente in quercia il traghetto a fondo piatto per il trasporto del bestiame, contrassegnato dalla lettera I e dal numero 45. Datato IV-V secolo d.C., era rivestito da fasce chiodate in ferro in modo da proteggere lo scafo dai bassi fondali in cui manovrava, mossa dalla riva per mezzo di un argano.

 

Il traghetto per i bassi fondali, nave I

 

LA NAVE A

Museo delle navi antiche di Pisa

La nave A nella ricostruzione della Sala IV

Ultima sorpresa del nostro viaggio la grande Sala IV, con la prima nave, enorme, anche se ne manca una buona metà rimasta sotto i fabbricati della ferrovia, contrassegnata dalla lettera A, quella che ha dato il via a tutta la ricerca. Giace con i suoi grandi legni su un mare di sabbia che riproduce il cantiere di ritrovamento.

 

IMPERO ROMANO - CARTA STORICA


BIREME ROMANA – LIBURNA


 

TERMINOLOGIA TECNICO - NAVALE

NAVE ONERARIA


 

MODELLINO DEL TIPO NAVE - C (Museo Navi Romane Pisa)

Carlo GATTI

Rapallo, 6 Marzo 2019

 

 


LA MARCA DI BORDO LIBERO

LA MARCA DI BORDO LIBERO

UNA MAGISTRALE LEZIONE CI VENNE DALL’INGLESE SAMUEL PLIMSOLL

 


I genovesi, così come tanti turisti provenienti da ogni parte, oggi possono avventurarsi entro i limiti consentiti tra le calate del porto di Genova in cerca di qualche “scatto” marinaro da portarsi a casa e mostrare agli amici come ricordo di una giornata passata tra le “case” dei naviganti.

Si tratta di un incontro vivo e reale tra realtà esistenziali che fino a poco tempo fa, non solo si ignoravano, ma erano divise dalla cinta portuale interrotta soltanto da pochi varchi doganali presidiati dalle forze dell’ordine.


Scalandrone di una Nave scarica


Scalandrone di una Nave carica


Scalandrone di una nave passeggeri

Poi, una volta giunti sottobordo, i turisti in transito scoprono che la scala a murata, chiamata scala reale o scalandrone (foto sopra), é presidiata da un marinaio che nega, ovviamente, l’accesso a bordo agli estranei, e allora i nostri amici si accontentano di perlustrare la fiancata lato banchina con l’intento di catturare qualche curiosità che subito non capiscono ma che intendono svolgere in seguito, in tutta tranquillità, come certi “compitini” dei figli o dei nipoti…

Questa volta la signora Maria col marito Ernesto si sono soffermati incuriositi dinnanzi ad uno strano insieme di “segni bianchi stampati” a centro nave sulla murata della nave di cui non hanno capito nulla. Hanno visto anche un ufficiale avvicinarsi a questo strano simbolo e scrivere qualcosa sullo smartphone subito dopo aver sentito la sua voce gridare alla radio portatile: “Siamo alla marca!” (foto sotto).


Ecco come si presenta la Marca di BORDO LIBERO su ciascun lato della nave.

In questo caso la nave é alla marca. Il livello del mare lambisce la linea orizzontale che taglia in due il disco di Plimsoll.

Giunti a casa Ernesto, un impiegato di banca che conosco da molti anni, mi ha telefonato chiedendomi lumi su quella frase pronunciata in quella circostanza dall’ufficiale di guardia della nave.

Ai miei amici dedico questo articolo il cui unico scopo é quello di trasferire qualche “infarinatura nautica” alla loro legittima curiosità. Null’altro!

COS’E’ LA MARCA DEL BORDO LIBERO?

Tutte le navi impegnate in viaggi internazionali e battenti bandiera di paesi aderenti alla Convenzione Internazionale sul Bordo Libero devono avere un marchio visualizzato sul fasciame esterno (di solito realizzata a mezzo di lamierini saldati) e chiamato:

OCCHIO (anche Disco) DI PLIMSOLL

Esso indica fino a quale livello la nave, una volta caricata, può immergersi e navigare in sicurezza. In fin dei conti indica assai semplicemente quanto carico può portare la nave.

UN PO’ DI STORIA:

Fin dall’antichità i capitani di navi onerarie greco-romane dovettero combattere contro l’ingordigia dei caricatori portuali che insistevano per appesantire il più possibile la nave, la quale doveva però misurarsi con il serio problema della “sicurezza della navigazione”, cioè la possibilità di conservare una quota di Bordo Libero, cioè di galleggiabilità, di riserva di spinta che le avrebbe garantito la sopravvivenza nelle burrasche del Mare Nostrum.

I capitani più duri e determinati a non farsi “sopraffare” dall’ingordigia dei “terrestri” (armatori, noleggiatori, caricatori ecc..) furono di sicuro i più longevi della loro epoca…!

 

Passarono molti secoli prima che un “ILLUMINATO” personaggio entrasse sulla scena del mondo marittimo, l’uomo ideale dotato di coraggio e determinazione che facesse giustizia su questo millenario problema che dovette inspiegabilmente protrarsi fino alla seconda metà dell'800.

Quel grande amico della gente di mare si chiamava Samuel Plimsoll e fu un deputato del Parlamento britannico.

Questo grande politico si era fortemente indignato per la strage di marinai dovuta al cinismo di molti armatori che facevano navigare vecchie carrette stracariche, spesso con l'unico scopo di intascare il premio dell'assicurazione dopo il naufragio delle stesse…

“I marinai non avevano alcun diritto, addirittura venivano arrestati se, dopo aver verificato le pessime condizioni di navigabilità, rifiutavano l'imbarco. Nonostante gli ostacoli frapposti da parecchi membri della Camera (che era folta di armatori) e dallo stesso Disraeli*, riuscì, dopo parecchie lotte (13 accuse per diffamazione, perdita della casa, ecc.) ad imporre nel 1876 la presenza di tale marca.

Ma, inizialmente, la legge prevedeva una linea di carico a cura dell'armatore, che la posizionava dove gli pareva. Addirittura un capitano la mise (per scherno) sul fumaiolo…!

Ci vollero altri 14 anni per regolare definitivamente la faccenda, dopodiché Plimsoll si dedicò a regolamentare anche i carichi sul ponte (legname)”.

L'opinione pubblica era ovviamente schierata con lui!

*- Benjamin Disraeli, I° conte di Beaconsfield (Londra, 21 dicembre 1804 – Londra, 19 aprile 1881), è stato un politico e scrittore britannico. Ha fatto parte del Partito Conservatore ed è stato Primo Ministro del Regno due volte: dal 27 febbraio al 3 dicembre 1868, dal 20 febbraio 1874 al 23 aprile 1880.

UNA CURIOSITA’

Il celebre logo della Underground di Londra riproduce appunto la Plimsoll mark, quella che oggi é stampata su tutte le navi che circolano per i sevenseas.

Dal 1876, a bordo di ogni nave, deve essere presente ed in corso di validità il Certificato di Bordo Libero rilasciato per conto dello Stato del quale la nave batte bandiera da una società di classifica, in Italia dal REGISTRO NAVALE ITALIANO - RINA. Sul certificato sono riportate le posizioni geometriche della marca; la nave dovrà essere caricata in modo tale che la linea orizzontale dell'occhio di Plimsoll non venga mai immersa.

In questo modo si definisce un volume stagno che va dal piano di galleggiamento fino al ponte di bordo libero, e che costituisce la riserva di spinta dell'unità.


Oltre alla linea di fede principale che taglia il disco (riferita alla navigazione in acque marine in estate), l'occhio di Plimsoll ne può riportare altre poste leggermente sopra o sotto alla principale; queste linee supplementari si riferiscono alle navigazioni in acque dolci o acque dolci tropicali (linee poste sopra la principale) oppure navigazione invernale o invernale nord atlantico (per le linee poste sotto quella principale); le prime tengono in considerazione la salinità del mare che fa salire o scendere la linea di galleggiamento della nave, le seconde: le condimeteo più pericolose delle varie zone geografiche.

La posizione verticale della marca di bordo libero è stabilita da apposite tabelle ed è funzione della lunghezza e del tipo di nave.

Le lettere che compaiono sulla marca di bordo libero indicano da quale Società di Classifica è certificata la nave, pertanto:

RI indica una unità classificata dal Registro Italiano Navale

BV una del Bureau Veritas.

……..


LA SCALA DEI PESCAGGI

Oltre che a centro nave, come abbiamo visto finora, anche sulle estremità della prora e della poppa esiste una scala graduata, composta da cifre bianche aventi ordine pari (2,4,6,8,ecc.); tali cifre sono alte un decimetro e lo spazio tra un numero e l'altro è anch'esso di un decimetro. Lo scopo è quello di misurare l’immersione della nave, ossia il PESCAGGIO DELLA NAVE a prora, nel caso della fotografia, oppure quello similare a poppa.

La lettura dei Pescaggi di Prora, di Poppa, e del Centro (occhio di Plimsoll) permettono di capire in qualsiasi momento se la nave é appruata, appoppata, o in linea (heaven keel).


Memorial to Samuel Plimsoll on Victoria Embankment, London


UN’ALTRA CURIOSITA’


SCARPE DA GINNASTICA

“Indossate scarpe da ginnastica il 10 febbraio e pagate £ 1 per RNLI - Royal National Lifeboat Institution perché il 10 febbraio è il compleanno di Samuel Plimsoll.

Questa campagna, che si ripete il 10 febbraio 2019, è guidata da Nicolette Jones, autrice di: The Plimsoll Sensation

La grande campagna per salvare vite in mare (vincitore del Premio marittimo di Mountbatten).

Samuel Plimsoll, 'The Sailor's Friend', ha salvato e continua a salvare innumerevoli vite introducendo la linea di carico che porta il suo nome sul lato delle navi mercantili. S. Plimsoll fece una campagna instancabile per la sicurezza dei marinai, e fece quasi cadere il governo di Disraeli e divenne un eroe nazionale e un nome familiare per tutto lo SHIPPING internazionale. Nacque a Bristol il 10 febbraio 1824 e morì a Folkestone il 4 giugno 1898.

Il 10 febbraio è stato riconosciuto come "Plimsoll Day" nel calendario britannico per decenni dopo la sua morte.

Scarpe da ginnastica

“Siamo stati nominati in suo onore nel 1876 (quando la sua campagna di denuncia per un loadline lo aveva reso celebre) da un rappresentante della Liverpool Rubber Company, perché, essendo la tela sopra e la gomma sotto, le scarpe potevano essere tranquillamente immersi nell'acqua solo fino a un certo punto - come una nave mercantile”.

Per raccogliere fondi per le RNLI (scialuppe di salvataggio) il 10/11 febbraio viene chiesto di indossare scarpe da ginnastica a casa, a scuola e sul lavoro e donare £ 1 …...

 

Negli ultimi anni, gli studenti delle scuole di Folkestone, dove è sepolto Plimsoll, hanno indossato scarpe da ginnastica e raccolto questi fondi del Plimsoll Day per donarli alla Littlestone Lifeboat Station che li destina all’addestramento dei giovani al salvataggio in mare.


Il RNLI costa 385.000 sterline al giorno per essere gestito con donazioni pubbliche, anche se i suoi
lifeboatmen sono volontari. 22 vite vengono salvate ogni giorno.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 20 Marzo 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


MICOPERI 7000 - AGGIORNAMENTO - SAIPEM 7000

MICOPERI 7000

AGGIORNAMENTO

SAIPEM 7000

A questa gigantesca unità italiana, costruita presso i Cantieri Navali di Monfalcone, abbiamo già dedicato un articolo relativo alla sua costruzione e alla sua storia. Vi riproponiamo il LINK:

M-7000 - ORGOGLIO ITALIANO SUI MARI

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=385;m7000&catid=53;marittimo&Itemid=160

Costruzione n° 5824 - MICOPERI 7000

La Micoperi 7000 è una nave officina semi-sommergibile munita di due gigantesche gru dalla portata di 7000 tonnellate ciascuna; nel suo genere è la più grande e potente unità di tutto il mondo. Fa ormai a buon diritto parte della storia del Cantiere lo sforzo delle maestranze che ha reso possibile il rispetto dell'impegno: esattamente due anni di intenso lavoro la 7000 ha potuto così lasciare le acque dell'Adriatico diretta in Brasile dove ha iniziato la sua attività

Nave gru semisommergibile costruita nel 1987 (Impostazione 19. 12. 1985, varo 15. 12. 1986, consegna 15. 12. 1987).

117812 tsl - 35343 tsn - 18370 tpl - 175,00 x 87,00 x 43,50 m - propulsione diesel/elettrica - potenza installata 75600 HP (50600 kw) - 8 eliche - 9,5 nodi - capacità di sollevamento 14000 Tonnellate - alloggi per 680 persone - Equip.: 120.

La complessità delle caratteristiche costruttive e funzionali sfugge invero ad una descrizione contenuta; pure sinteticamente si potrà illustrare la struttura generale della nave come formata da due scafi, lunghi 165 metri e larghi ciascuno 33, sormontati da tre colonne ciascuno ed una piattaforma, lunga 175 metri, cui vanno aggiunte le strutture per le imbarcazioni di salvataggio per una lunghezza massima fuori tutto di 190 metri, e una larghezza massima di 87 metri.

Il torrione alloggi, sistemato nella parte poppiera, è composto da cinque ponti sovrastati dalla tuga comando e dall'eliporto, e può ospitare 800 persone.

Le due mastodontiche gru, sistemate su due virole del diametro di 28 metri, nella parte prodiera della nave, raggiungono un'altezza dal ponte di oltre 75 metri, con un braccio di 140 metri attrezzato con 4 ganci. Il gigantismo sembra essere il modulo di misura generale della nave e delle sue dotazioni. Sedici ancore da 40 tonnellate ciascuna fissate a cavi da 96 mm di diametro e lunghi 3.550 metri garantiscono il posizionamento della nave a mezzo di verricelli di dimensioni inedite (dieci metri di lunghezza per sei di larghezza ed altrettanti di altezza); un impianto di zavorra basato su quattro elettropompe della portata di 6.000 metri cubi/ora ciascuna, con collettori da un metro di diametro collegati alle casse che regolano l'assetto e l'immersione della nave (di queste, quattordici sono destinate al zavorramento rapido con prese mare munite di valvole a farfalla del diametro di due metri ciascuna: il tutto comandato e regolato da un calcolatore attraverso un impianto di telecomando delle valvole e dei macchinari).

La propulsione, le gru e tutti gli impianti di bordo sono mossi da motori elettrici, alimentati da una centrale composta da otto diesel-alternatori da 5.500 KW, due da 2.800 KW e da un generatore d'emergenza da 1.100 KW, per un totale di 50.600 KW.

La nave è munita di tutti i comfort per le persone imbarcate, compresa una grande piscina coperta, una sauna, una sala di ginnastica, dei saloni di ricreazione, le mense e due cinema oltre, naturalmente, a cabine con servizi privati, all'impianto completo d'aria condizionata ed ampi locali di servizio e agli spogliatoi.

Durante i collaudi effettuati in Adriatico la MICOPERI 7000 ha superato tutte le prove ed è riuscita a sollevare, con le due gru in tandem, 14.600 tonnellate.

15. 12. 1987 MICOPERI 7000: Micoperi S. p. A. – Milano.

1992: Saipem S. p. A. - Affittuaria Ramo di Azienda di Micoperi S. p. A. - San Donato Milanese, reg. a Palermo

199.. SAIPEM 7000: Saipem Luxembourg S. A. – Nassau.

31. 12. 2003: in servizio.

(AMA)

· Scheda tecnica

Nome:

MICOPERI 7000

Tipo:

Nave-Gru semi-somm.

Committente:

Micoperi S.p.A. - Milano

N. costruzione:

5824

N. assemblaggio:

N. complet.:

Data d'impostazione:

19/12/1985

Data varo:

15/12/1986

Data consegna:

15/12/1987

TSL:

121500

TPL:

18370

TDS:

-

Lunghezza (m):

175.00

Altezza (m):

43.50

Larghezza (m):

87.00

Motore:

DE

Potenza (CV):

75600

Propulsione:

8E

Velocità (nodi):

9.5

ALBUM FOTOGRAFICO - Uno

MICOPERI 7000

SAIPEM 7000

 

Il servizio che segue contiene un ampio Album fotografico che illustra la sua operatività.

MICOPERI 7000 - Port Elizabeth (S.A.)

CARATTERISTICHE  AGGIORNATE

S7000

TIPO DI NAVE

 

Semi sommergibile autopropulsa con posizionamento dinamico

 

CARATTERISTICHE NAVE

Lunghezza fuori tutto 197.95 m

Piattaforma di coperta 175 m x 87 m x 8.5 m

Scafi inferiori 165 m x 33 m x 11.25/15.25 m

Altezza al ponte di coperta  43.5 m

Coperta  area 9,000  metri quadri

Massimo .carico in coperta 15,000 tons

Pescaggio operativo 27.5 m

Pescaggio di sopravvivenza 18.5 m

Pescaggio di navigazione  10.5 m

Velocità di navigazione 9.5 nodi

 

SISTEMA DI ORMEGGIO

14 x 1,350 kw verricelli a singolo tamburo, ciascuno con 3350 m x 3”3/4 cavi di ormeggio e ancore ad alta presa da 40 tons ciascuna 2 verricelli  salpancore 100%  ridondanti con sistema SDPM , ciascuno con  550 m x 5 1/8”di catena con ancora da 34.5 tons.

 

PROPULSIONE E THRUSTERS

Tutti a passo fisso e a giri variabili

4 propulsori  azimutali posteriori  da  4,500 kw

4 unità anteriori da 3,000 kw retrattili e  azimutali

2 unità anteriori da 5,500 kw retrattili e  azimutali

2 bow thrusters da 2,500 kw

 

SISTEMA  ZAVORRA

Sistema computerizzato con possibilità di simulazione  composto da:

4 elettro pompe a 10 KV di zavorra da 6,000 tons/h

40 casse di zavorra x un totale di  83,700 metri cubi

14 casse di zavorra rapida  x un totale di 26,000 metri cubi

 

GRU  PRINCIPALI

2 gru gemelle Amhoist Saipem 7000 modello rotazione completa installate a prora

Massimo sollevamento in tandem : 14,000 tons

Massimo sollevamento singolo: 7,000 tons

6,000 tons con rotazione a 45 m rad./50 m in tieback

Aux. 1 : 2,500 tons

Aux. 2 : 900 tons con possibilità di scendere fino a 450 m sotto il livello del mare

Candeletta da  120 tons

 

DISPONIBILITÀ  BATTIPALI

2 Menck MHU 3,000  battipali idraulici

2 Menck MHU 1,700       “            “

2 Menck MHU 1,000       “            “

2 Menck MHU 600          “            “

1 Menck MHU 220          “            “

1 Menck MHU 195          “            “

2 Gruppi di potenza  battipali subacquei/superficie

1 hydraulic hammer compensatore “Slim” e “Free” riding mode capability

Clampe idrauliche interne ed esterne per movimentazione pali con diametri  20” a 102” i./o. dia.

2 sistemi di livellamento con diametri da  66” - 72” - 900 t. di portata

2 sistemi di livellamento esterni da 1,000 tons

 

MACCHINARI MOVIMENTO COPERTA

1 x 70 tons gru cingolata Kobelco

1 x 35 tons gru idraulica gommata da coperta

2 x 5 tons  fork lifts

 

POTENZA  INSTALLATA

Potenza totale installata 70,000 kw, 10,000 Volt

12 generatori a nafta  pesante divisi in 6 separati locali macchina

antincendio

 

ALLOGGI  EQUIPAGGIO

388 cabine climatizzate  singole o doppie per 725 persone

Palestra, cinema, internal radio/TV, sala da pranzo principale x 400 posti  e sala ufficiali da 70 posti, sale di ricreazione, bar-caffetterie

 

ELIPORTO

Certificato per due  elicotteri BV234 LR Chinook  (uno  parcheggiato)

Sistema certificato rifornimento elicotteri

 

SISTEMA  VARO  IN J-LAY

Diametro tubi da 4” a  32”

Sistema di tensionamento laying  750 tons con tensionatori  fino a 2,000 tons con clampe

Torre Laying con  angolo da  90° - 110°

Sistema di abbandono/recupero con verricello a doppio argano con capacità di tiro  di 750 tons (fino a 2,000 tons con le  clampe)

1 stazione di saldatura

1 stazione NDT e riparazione

Tubi a quattro giunti

Capacità stoccaggio tubi fino  6,000 tons

The torre è autoinstallante e smontabile con l’ausilio delle proprie gru della Saipem 700



ATTUALMENTE  LA  S7000  SI  TROVA  A  ROTTERDAM  NEL CANTIERE  DAMEN  PER  LA  SOSTITUZIONE  DEL  SISTEMA  DI  POSIZIONAMENTO  DINAMICO -  VERRA’  INSTALLATO  IL NUOVO  DP3  E LA SOSTA  PREVISTA  SARA’  DI  3

ALBUM FOTOGRAFICO - DUE

Recupero dello Shottel

D.M. Pino SORIO

Rapallo, 12 Marzo 2019


QUASI UNA RIVELAZIONE - Poesia


Maria Grazia BERTORA

Rapallo, 29 Marzo 2019


MEMORIA IN SERVIZIO PERMANENTE (Poesia)

 

 

 

MEMORIA IN SERVIZIO PERMANENTE


 

Per noi

Ragazzi anni '60

è la Riviera

Il volo dalla città

la bellezza del mondo

il richiamo atteso.

Sugli scogli

pizza fredda

birra calda

sapore di sale

sapore di mare.

In villa

incontri nuovi.

Tra gli ulivi

verdazzurro, giallo

di acqua, di monte, di fiore.

L'Aurelia ancora

mi porta lì

in servizio permanente

di memoria.


Gabriella VEZZOSI

Rapallo  2014

 

 

 


NOSTRA SIGNORA DELLA FORTUNA - UNA POLENA MARIANA

 

NOSTRA SIGNORA DELLA FORTUNA

UNA POLENA MARIANA


Franco Casoni, l’ultimo costruttore di polene nel suo laboratorio di Chiavari.


Una polena benaugurante per la Goletta Verde, l'imbarcazione di Legambiente che da anni attraversa il Mediterraneo per monitorare lo stato del mare italiano. L'ha realizzata lo scultore chiavarese Franco Casoni e consegnata al Comandante, che l'ha issata e legata alla barca per poi “battezzarla” prima nel mare e poi con un goccio di vino rosso. Una tradizione marinara rivisitata dagli ambientalisti quando tempo fa si sono ritrovati, prima della partenza alla volta della Toscana, sul molo del porto turistico di Chiavari.

Non solo i marinai, ma anche i “mezzi marinai” che vivono e risiedono sulla costa, sanno cos’é la POLENA di un veliero, forse per averla “ereditata” dai racconti dei nonni, oppure per averla vista in qualche oratorio vicino al porticciolo, o tra gli ex voto dei Santuari, veri e propri musei marinari che vigilano sui nostri borghi che hanno le radici sul bagnasciuga.

Oggi qualche polena viaggia ancora sotto il bompresso delle navi scuola (Tall Ships) e di qualche armatore di Yacht innamorato del passato eroico e fiabesco, irto di pericoli e di ostacoli, ma sempre avvincente agli occhi di chi ama il mare e la sua storia.

La polena era parte integrante del tagliamare delle navi di un tempo… spaccava le onde del mare, ne assorbiva la forza più viva per proteggere scafo e marinai da marosi, ma per quegli equipaggi lontani, ma mai dimenticati, era soprattutto uno scudo soprannaturale dai poteri addirittura mistici.

La polena doveva essere particolarmente robusta, forse indistruttibile perché la superstizione degli equipaggi prevedeva, in caso di lesioni o cedimenti della stessa, presagi di sventure nautiche per la spedizione.


La Polena della "STAD AMSTERDAM" (Veliero-Clipper Passeggeri)

LA POLENA ERA QUINDI UN MISTO DI SACRO E PROFANO della quale, spesso, oppure solo qualche volta… i marinai s’innamoravano, specialmente quando quel simulacro proteso verso le onde, era un volto femminile, una dea o semplicemente il busto nudo e turgido della moglie dell’armatore.

UNA POLENA MARIANA

Presso la chiesa di San Carlo in via Balbi a Genova, sull’altare maggiore, fa mostra di sé la statua della Madonna rinvenuta in acque portuali il 22 gennaio del 1636 dopo una furiosa tempesta da libeccio che aveva in quei giorni devastato il porto di Genova affondando centinaia di imbarcazioni. Custodita per un periodo in casa Lomellini, le furono poi attribuiti molti miracoli e per questo motivo, con una sontuosa cerimonia, fu collocata nel sito dove oggi si trova. E’ una scultura lignea straordinaria perché, mentre è ben visibile la sua struttura originaria che è semplice, stilizzata e di una certa rigidità, riesce nel contempo ad esprimere la sua dolcezza di Madre Misericordiosa.

Ben presto gli esperti del settore si accorsero che quella statua di MARIA, monca e molto danneggiata in qualche sua parte, altro non era che l’unico reperto sopravvissuto al naufragio di un legno irlandese e si trattava proprio della sua POLENA.


Raffigurazione pittorica di un galeone nella tempesta

Sono passati 363 anni da quel sensazionale ritrovamento della polena raffigurante la Madonna scaraventata in mare dalla violenza delle onde e poi scarrocciata indenne sottovento fino alla Darsena evitando miracolosamente un galeone che ne ostruiva l’imboccatura.

A portarla in salvo fu un uomo di Levanto, un venditore di vino, a tutti noto come il Figlio del Merlo, fu lui a portare a salvamento la Statua di Nostra Signora della Fortuna, era il 22 gennaio del 1636.



IL SIMULACRO DI MARIA CHE TIENE GESU’ BAMBINO SUL BRACCIO SINISTRO E SULL’ALTRO LA CORONA DEL ROSARIO, HA ANCORA OGGI IL POTERE DI UNIRE CON UNA IMPIOMBATURA MARINARA, LA FEDE DEI MARINAI E LA VOCAZIONE MERCANTILE DEI GENOVESI.


La Madonna della Fortuna e assai venerata dai Genovesi, anche perché alla statua fu attribuito il miracoloso salvataggio di una bimba caduta da una finestra di quello stesso edificio ove era conservata. Il prodigio fu confermato dal Papa Urbano VIII e la statua, alla quale fu attributo il titolo di Nostra Signora della Fortuna, fu solennemente incoronata il 17 gennaio del 1637, primo anniversario del naufragio, ed esposta alla venerazione dei fedeli nella chiesa di San Vittore, da cui fu trasferita in San Carlo nel 1799. La tradizione popolare: il si dice dei fedeli… vuole che la statua si sarebbe mossa da sola per posarsi sul piedistallo che era stato per lei preparato.


La statua-polena della Madonna col piccolo Gesù fu restaurata da artisti famosi e poi rivestita e venerata come la Regina della tradizione Mariana amata da milioni di cristiani cattolici e ortodossi.


MADONNA DELLA FORTUNA

Primo piano

PREGHIERA ALLA MADONNA DELLA FORTUNA

Ricordati, o pietosissima Vergine, Nostra Signora della Fortuna, non essersi mai udito al mondo che alcuno abbia ricorso al Tuo patrocinio, implorato il Tuo aiuto, chiesto la Tua protezione e sia stato abbandonato. Animato da tale confidenza, a Te ricorro o Madre, Vergine delle vergini, a Te vengo e peccatore contrito innanzi a Te mi prostro. Non volere o Madre del Verbo disprezzar le mie preghiere, ma ascoltami propizia ed esaudiscimi. Amen.

Fonti:

https://www.placidasignora.com/tag/nostra-signora-della-fortuna/.

http://www.biagiogamba.it/nostra-signora-della-fortuna-una-polena-irlandese/.

http://www.genovatoday.it/eventi/cultura/leggenda-madonna-fortuna.html.

https://dearmissfletcher.wordpress.com/2017/09/11/genova-1636-i-prodigi-di-nostra-signora-della-fortuna/.

https://biscobreak.altervista.org/2018/01/nostra-signora-della-fortuna/.

https://www.tripadvisor.it/ShowUserReviews-g187823-d9802069-r370038768-Chiesa_dei_Santi_Vittore_e_Carlo-Genoa_Italian_Riviera_Liguria.html.

https://musicasacra.forumfree.it/?t=50740573.

 

Un RINGRAZIAMENTO particolare a Miss Fletcher per regalarci meravigliosi spunti di riflessione ed immagini di grande pregio.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 13 Marzo 2019


VELA (Poesia)

VELA

 

Maria Grazia BERTORA

 

Rapallo, 7 Marzo 2019