L’AFFONDAMENTO DELLA MOTONAVE PAGANINI
28 giugno 1940
L’AFFONDAMENTO DELLA MOTONAVE PAGANINI
Rappresentazione pittorica del naufragio
Una tragedia dimenticata, come l'ha definita qualcuno, o comunque poco nota. È quella dell'affondamento della motonave Paganini, esplosa il 28 giugno 1940 al largo di Durazzo. A bordo del piroscafo c'erano oltre novecento soldati: provenivano per la maggior parte dalla Toscana, e in particolare da tre reparti fiorentini.
Due belle e felici immagini della PAGANINI in navigazione
L’affondamento della motonave “Paganini” fu forse il primo disastro della Seconda guerra mondiale. In quei giorni, si ammassavano truppe in Albania destinate all’occupazione della Grecia.
La sera del 27 Giugno del 1940, la motonave Paganini salpa da Bari facendo rotta per Durazzo. Si tratta di una nave civile di poco meno di 2.500 tonnellate, noleggiata alla Tirrenia.
L'imbarco avviene nella confusione più totale: non ci sono elenchi, per anni questo particolare agevolerà le illusioni di molte famiglie. Addirittura, quattro soldati di Anghiari fanno un salto a casa a casa per salutare le famiglie, perderanno la nave a loro destinata, saliranno sulla Paganini, per loro significa la morte. Un altro perde la nave per andare a comprare le sigarette, prenderà il piroscafo successivo, si salverà.
Al tramonto del 27 giugno il convoglio, formato dalla Paganini, da una nave cisterna, e dalla nave scorta cacciatorpediniere Fabrizi, parte alla volta dell'Albania.
La nave sbandata é in preda al fuoco, tra poco s’inabisserà
All’alba del 28 giugno la nave M/N PAGANINI ha un sussulto causato da un’esplosione nella stiva N.2. Immediatamente divampa un furioso incendio, la cui causa è tutt’ora controversa.
Le fiamme si levano subito altissime, grida, disperazione, panico. Il naufragio avviene alle 6,15 mentre la motonave si trova al largo di Durazzo.
A bordo del piroscafo, che può trasportare 58 passeggeri, oltre alle merci, vi sono oltre 900 soldati del diciannovesimo reggimento artiglieria e una sezione dell'Istituto geografico militare, entrambe di stanza a Firenze.
La maggior parte proviene della Provincia di Firenze, altri dalle città e dalle zone circostanti: Mugello, Chianti, Val di Sieve, Valdarno. Di queste zone si contano numerosi caduti, dispersi e naufraghi che furono tratti in salvo. Centinaia erano i soldati della val di Sieve presenti in Albania, inquadrati nei Reggimenti della Divisione Venezia.
Dei circa 220 morti e dispersi, secondo la lista pubblicata fino dalla sera dell’11 luglio, il 90% delle vittime era in forza al 19° Reggimento Artiglieria della Divisione di Fanteria Venezia di stanza a Firenze, con sede alla Caserma Baldissera, detta la Zecca.
In un mare di fuoco, i soccorsi sono difficili e scarsi, nonostante la vicinanza della costa albanese. Per molti giorni non si hanno notizie, poi l'11 luglio i famigliari apprendono dai giornali della sorte dei loro cari.
Il ministero della guerra invia alle famiglie le solite fredde parole di circostanza. I bollettini di guerra non parleranno mai dell'accaduto.
Secondo le indagini esperite dal tribunale di Tirana nel luglio 1940 l'incendio, scoppiato nella stiva n. 2 della motonave, è dovuto a sabotaggio.
Quanti furono i morti, i dispersi, i mutilati? Incertezze e carenze burocratiche hanno alimentato per anni le speranze di chi non si rassegna alla fine dei loro cari. C'è poi il mistero dei grandi invalidi: feriti straziati, privati degli arti e della vista che sarebbero stati ospitati in alcuni istituti fiorentini. Circostanza, anche questa che avrebbe alimentato la speranza di alcune madri e mogli che per anni sono state alla ricerca dei loro cari.
Il naufragio della Paganini è passato sotto silenzio, per quasi settant'anni non si è riusciti a sapere quasi niente. Cos'è accaduto veramente? Quanti sono i morti e i dispersi? Sono molti i misteri che hanno avvolto la fine della motonave che è costata la vita a oltre 219 soldati, secondo le fonti ufficiali, secondo altri la cifra complessiva sarebbe di 340 uomini.
Fa da sfondo alla tragedia il pressapochismo e l'impreparazione che caratterizza l'entrata in guerra dell'Italia e la vicenda della Paganini ne è la riprova lampante: soldati, armi, muli, paglia, fieno e macchinari sono sistemati alla rinfusa nelle stive e ammassati in coperta, mancano le scialuppe di salvataggio e le vie di fuga non sono adeguate all'abbandono veloce della nave, i giubbotti di salvataggio non sono adeguati e molti non sanno usarli.
La storiografia ufficiale si è dimenticata della Paganini, rimasta invece nella memoria di molti. Ogni anno nella basilica della Santissima Annunziata a Firenze è celebrata una Messa in suffragio dei caduti. L'appuntamento si ripeterà anche quest'anno alle 12 di lunedì 28 giugno.
IL DIFFICILE RECUPERO DEI NAUFRAGHI
La Fabrizi affiancò la Paganini sul lato dove si erano concentrati più uomini, e l’equipaggio della torpediniera si prodigò nel recuperare quanti più uomini possibile. In tutto la torpediniera riuscì a trarre in salvo 437 naufraghi, tra cui parecchi feriti ed ustionati, anche in modo grave.
Due immagini d'epoca della Paganini in fiamme al largo di Durazzo
Il relitto della Paganini, la cui posizione era nota ad alcuni abitanti di Durazzo, è stato ritrovato ed identificato nel gennaio 2009 da un gruppo di subacquei guidato da Cesare Balzi. La nave giace a 35 metri di profondità a 2,4 miglia dalla riva tra Durazzo e Capo Pali (ed a quattro miglia dall’uscita del porto di Durazzo), sbandata di 45 gradi a sinistra, con le strutture superiori che giungono a 28 metri; la prua è rivolta a sudovest, con rotta 210°. La zona prodiera è la più danneggiata, con parte del ponte e della plancia che sono crollate (non solo per effetto dell’incendio, ma anche a causa della pesca con la dinamite effettuata da alcuni pescatori locali), mentre la poppa è relativamente ben conservata, in particolare la poppa estrema, unica parte della nave a non essere stata raggiunta dall’incendio del 28 giugno 1940. I locali interni sono ricoperti da uno strato di sabbia e fango. La campana della Paganini è stata recuperata e restaurata ed è conservata dal National Center of the Stocktaging of Cultural Properties del Ministero del Turismo, Cultura, Gioventù e Sport dell’Albania, a Tirana.
Ogni anno, il 28 giugno – sin dal 1941, vengono commemorati i caduti della Paganini con una messa celebrata nella Basilica della Santissima Annunziata a Firenze.
ALCUNI DATI TECNICI E STORICI
Motonave mista da 2424 (o 2427) tsl, 1421 tsn e 2985 tpl, lunga 85,34-89,61 m, larga 12,19 e pescante 6,4, con velocità massima 13,7 nodi. Appartenente alla Società Anonima di Navigazione Tirrenia, con sede a Napoli, ed iscritta con matricola 55 al Compartimento Marittimo di Fiume.
Breve e parziale cronologia.
15 novembre 1927
Impostata nel Cantiere Navale Triestino di Monfalcone (numero di costruzione 194).
23 luglio 1928
Varata nel Cantiere Navale Triestino di Monfalcone.
29 settembre 1928
Completata per la Compagnia Adria Società Anonima di Navigazione, con sede a Fiume. Ha cinque gemelle: Donizetti, Puccini, Rossini, Verdi, Catalani (la serie «Musicisti»), tutte destinate ad andare perdute in guerra, tre di esse con fine particolarmente tragica. Possono trasportare 58 passeggeri più le merci.
1° gennaio 1937
Trasferita alla società Tirrenia, che ha assorbito la compagnia Adria. Unitamente alle gemelle, la Paganini, noleggiata dal Commissariato per la Marina Mercantile (Ministero delle Comunicazioni), presta servizio sulla linea n. 32 (Fiume-Venezia-Ancona-Bari-Catania-Malta-Messina-Palermo-Napoli-Livorno-Genova-Imperia-Marsiglia-Barcellona-Tarragona-Valencia-Fiume per totali 3997 miglia nautiche).
10 giugno 1940
L’Italia fa il suo ingresso nella seconda guerra mondiale; la linea n. 32 viene sospesa e la Paganini viene fermata a Livorno.
La motonave viene poi noleggiata dal Ministero della Marina (senza essere requisita; altra fonte data l’inizio del noleggio al maggio 1940, anziché al giugno) per trasportare truppe in Albania, in previsione dell’invasione della Grecia.
18-26 giugno 1940
Lavori di adattamento alla mansione di trasporto truppe: nelle stive prodiere e poppiere vengono sistemate centinaia di cuccette per i soldati; vengono realizzati box per alloggiare gli animali; poi la nave si trasferisce a Taranto e qui viene armata con un cannone da 120/45 mm, sistemato a poppa, e due mitragliere contraeree binate da 13,2 mm, collocate sul cielo della plancia.
Per chi desiderasse approfondire l’argomento, segnalo il blog:
CON LA PELLE APPESA AL CHIODO
Carlo GATTI
Rapallo, 6 Novembre 2019
QUALI SONO LE NAVI PIU’ DIFFICILI DA MANOVRARE?
QUALI SONO LE NAVI PIU’ DIFFICILI DA MANOVRARE?
PASSANDO IL MOUSE SOPRA LE PAROLE SOTTOLINEATE , APPARE UNA FINESTRA A TENDINA CHE NE SPIEGA IL SIGNIFICATO.
Questa è una delle domande che mi sono sentito rivolgere più spesso, e la risposta non è né semplice né scontata.
Sono troppi i fattori che influenzano una statistica di questo tipo e vanno da quelli psicologici a quelli pratici.
In più di vent’anni di pilotaggio mi è capitato di manovrare una grande varietà di navi, pontoni, scafi particolari (vedi Concordia), manovre sperimentali, velieri, yachts, ecc., in situazioni estremamente diverse.
Tra le variabili più frequenti mi vengono in mente le condizioni meteomarine, i pescaggi, le superfici veliche, gli assetti, i tipi di timone e di propulsori, le avarie, gli equipaggi affidabili e quelli meno, ecc.
Anche le valutazioni soggettive influiscono notevolmente e variano con l’esperienza. Ricordo, per esempio, che i primi anni di pilotaggio arrivavano a Genova due navi Ro-Ro tunisine nuovissime e dalle ottime prestazioni: il Salammbo 7 e l’Ulysse. Nonostante occupassero onorevolmente i primi posti nella lista delle navi affidabili, per me erano sempre “vapori” da manovrare con grande attenzione. Il motivo: prima di diventare pilota navigavo sulle petroliere, le cui caratteristiche erano completamente diverse. Trovarmi su di un Ponte prodiero cambiava i parametri di evoluzione e le differenze nelle proporzioni tra masse e propulsori erano abissali. Intendo dire, che nelle prime esperienze da pilota un peso non trascurabile è dato dalla familiarità che si ha con i mezzi da manovrare.
Ponte di Comando della nave “Salammbo 7”
Vent’anni fa i thrusters erano optional poco diffusi. Ricordo un pilota, ora in pensione, che gli ultimi anni di navigazione, prima di diventare pilota, li aveva trascorsi a bordo delle bettoline per il bunker; risultato: era bravissimo nella manovra delle navi di piccole dimensioni, e un mago in quelle dove un buon uso delle ancore permetteva acrobazie piuttosto complesse.
Bettolina del bunker
E così, almeno per i primi tempi, ognuno ha preferenze che influenzano il metro di giudizio nella scala delle difficoltà di una manovra rispetto a un’altra.
Con il tempo la competenza e l’abilità si livellano; l’esperienza aiuta a riempire la personale cassetta degli attrezzi di strumenti che diventano utili in tutte le occasioni.
A questo punto entrano in campo i fattori caratteriali.
Tutti, prima o poi, raggiungono un livello che permette di operare in una ben definita zona di comfort.
Questo non vuol dire manovrare bene, significa semplicemente aver capito i propri limiti e aver trovato un equilibrio – più o meno forzato – che permette di portare le navi in banchina. Ovviamente c’è chi eccede nelle precauzioni, chi trova un limite più basso degli altri nelle differenti condizioni meteomarine e chi opera con tempi più lunghi.
È normale, fa parte del percorso di formazione. Il fatto diventa negativo quando ci si arresta al traguardo raggiunto, quando si ripetono le stesse manovre senza cercare di migliorare, quando ci si trova ad applicare sempre la stessa procedura senza adeguare il metro di valutazione al progredire dell’esperienza.
Mi rendo conto che, per riuscire a spiegarmi bene, devo precisare alcune cose:
- La teoria studiata sui libri, le manovre provate sui simulatori e i corsi in generale, sono utilissimi per costruire le basi da cui fare decollare in seguito la professionalità spinta dalla pratica e dall’esperienza.
- Le “procedure“, in generale, servono a mitigare i rischi che in questo lavoro non possono essere esclusi, ma devono essere viste come “linee guida”, “suggerimenti operativi” da adattare alle circostanze. Questo perché, come dicevo prima, le situazioni possibili sono infinite e imbrigliarsi in troppe regole può aiutare a scaricare parte delle responsabilità da in lato (se vogliamo dare un peso all’accezione negativa del pensiero burocratico), ma dall’altro condiziona il metro valutativo sulle variabili non previste.
- Uscire dalla “zona di comfort” non deve esser visto come un azzardo, ma piuttosto il passaggio al paragrafo successivo nel testo della preparazione personale.
- Una delle qualità fondamentali, richiesta a un buon pilota, è la capacità di giudicare le situazioni senza lasciarsi condizionare dalle pressioni esterne (commerciali, di traffico, personali, ecc.): se una cosa la si può fare, adottando tutti gli accorgimenti del caso, la si fa, altrimenti no. Facile a dirsi, difficile a farsi. Quando si lavora vicino al limite, il confine tra “il possibile” e “il rischioso” è veramente labile e la valutazione strettamente personale. Anche in questo caso il tempo e l’esperienza diventano gli occhiali che servono a mettere a fuoco un concetto inizialmente sbiadito.
Bene! Ritengo di aver tracciato in maniera efficace i confini entro i quali mi muoverò per rispondere alla domanda iniziale.
Dando quindi per scontata una sufficiente esperienza e preparazione, una maturità di giudizio consapevole e lasciando da parte le variabili eccezionali, elencherò le difficoltà principali per tipologia di nave.
- Navi di piccole dimensioni, senza bow thruster e ad avviamenti, ormai ce ne sono poche. Mi viene da dire “peccato”: erano davvero un’ottima palestra di manovra! Il fatto di avere i problemi ben focalizzati e le risorse ridotte al minimo, permette di concentrarsi sulla gestione di poche cose per volta. Mi spiego meglio. Per “problemi focalizzati”, intendo carenze talmente evidenti da non rivelarsi, al momento meno opportuno, come insidie nascoste, e quindi prevedibili in quanto dichiarate. Vi racconto un episodio di tanti anni fa per trasferire il concetto astratto alla pratica.
“Ero allievo pilota da circa sei mesi e accompagnavo alla partenza di una piccola Ro-Ro il Comandante Veglio. La nave, dotata di bow thruster e due eliche outwards a passo variabile, era ormeggiata sulle ancore con la poppa in banchina (andana).
Un vento di media intensità, circa 15/18 nodi, scivolava da poppa verso prora, rendendo frizzante l’aria mattutina di quella giornata di marzo.
Quel giorno, forte della mia inesperienza, ho inanellato una serie di errori incredibile.
Sulla lavagna dove venivano segnati i lavori, posta nella sala operativa, erano segnate due manovre a poca distanza l’una dall’altra: l’arrivo di una nave di merce varia di media grandezza e la partenza di una Ro-Ro ormeggiata di punta. Il Comandante Veglio mi chiese di andare con lui alla partenza ed io, dopo un breve confronto, acconsentii riluttante.
Pensavo fosse più interessante la manovra d’arrivo.
Mi convinse dicendomi che, seppure stretti con i tempi, probabilmente sarei riuscito a fare sia l’una che l’altra.
Nella mia testa la partenza della Ro-Ro era meno interessante: sarebbe bastato salpare le ancore, fare un po’ di coppia con le macchine, mettere il bow thruster a sinistra e voilá, il gioco era fatto. Con questa idea in testa affrontai la manovra di disormeggio… e poi dovevo fare presto, se volevo finire in tempo per l’arrivo della “merce varia”.
Feci mollare tutti i cavi di poppa e salpare le ancore. Arrivate a tre lunghezze in acqua feci fermare il salpa ancore di sinistra.
Quasi subito il vento, che nella prima fase sembrava non avere alcuna influenza, cominciò a farsi sentire, costringendomi a compensare utilizzando le macchine e il timone. Per farla breve, mi trovai, una volta salpate le ancore, con la nave troppo vicina alla banchina di dritta. Per riuscire a mantenere il controllo aumentai la velocità, con il risultato che mi trovai ad affrontare l’accostata a sinistra per entrare in canale troppo abbrivato, troppo vicino alla banchina di dritta (e quindi senza il giro libero per accostare) e con il vento che mi spingeva verso la diga… Intervenne il Comandante Veglio, che mi tolse la manovra dalle mani e, non senza difficoltà, rimediò a una situazione che – errore dopo errore – avevo portato a un livello di criticità molto alto.
Manovra partenza nave in andana
Questo racconto vuole introdurre un concetto che ho vissuto e che ho riscontrato successivamente tra gli allievi entrati dopo di me:
- L’inesperienza porta a riconoscere, valutare e ad affrontare i problemi uno per volta, mano a mano che si presentano.
Cosa c’è di sbagliato in questo? A volte la soluzione migliore per il primo problema rende più complessa la risoluzione di quello successivo, scatenando una serie di reazioni che possono portare al disastro.
L’atteggiamento giusto è quello di individuare il “nocciolo”, ovvero il punto più delicato della manovra, e costruire la strategia in funzione di quello.
Nel caso della storia che vi ho raccontato, mi sarei dovuto focalizzare sulla necessità di affrontare l’entrata in canale sufficientemente sopravventato e con un’andatura tale da permettermi di conservare una riserva di macchina sufficiente a vincere le forze contrastanti.
Termino qui la prima parte dell’articolo. Nella seconda, che pubblicherò a breve, riporterò considerazioni e racconti sulle altre tipologie di navi. A presto.
di JOHN GATTI
Rapallo, 24 Novembre 2019
LE NAVI DEGLI EMIGRANTI
LE NAVI DEGLI EMIGRANTI
Furono molti i bastimenti che trasportarono nei loro viaggi transoceanici milioni di persone alla ricerca di fortuna in nuovi Continenti. Molte furono le persone che pur d'imbarcarsi vendettero quel poco che gli era rimasto: l'asino, la vigna, la casa, con la speranza di fare fortuna per poter un giorno ritornare.
Le piccole flotte di navigazione italiane dopo il 1870 furono curate e incentivate con sussidi dal Governo del Regno d'Italia: all'inizio del Novecento alcune di esse erano dei colossi grazie soprattutto al denaro degli emigranti.
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Negli ultimi decenni del XIX secolo il fenomeno dell'emigrazione iniziò ad avere numeri e aspetti che non poterono essere più sottovalutati e si fece sempre più stringente la necessità di provvedere ad una sua adeguata regolamentazione. E' in questa ottica che, con la legge Crispi del 30 dicembre 1888 n. 5866, si recepì il crescente fenomeno dell'emigrazione anche se, ancora per una volta, venne privilegiato l'aspetto repressivo a quello della tutela degli emigranti e dei loro diritti minimi. Con la nuova normativa, tuttavia, venne riconosciuto all’emigrante il pieno diritto di espatriare per motivi di lavoro ma furono introdotte delle discrete restrizioni dovute al mancato espletamento degli obblighi militari. La legge disciplinava, inoltre, tutti gli aspetti riferibili ai contratti di trasporto; introduceva la figura dell'agente che aveva il compito di rappresentare, in modo capillare sul territorio, gli interessi degli armatori e ne regolamentava le competenze in modo da garantire una sia pur blanda forma di tutela dell'emigrante nei confronti delle grandi compagnie di navigazione.
Sempre nell’ottica di questa filosofia, le norme stabilivano, infine, quali dovessero essere le condizioni minime relative alla sistemazione a bordo dei piroscafi a cui gli emigranti avevano diritto (1). La legge del 1888 ha il pregio di regolamentare per la prima volta in modo organico molti degli aspetti del flusso migratorio anche se non garantiva ancora in modo adeguato l'emigrante rispetto agli armatori e agli agenti delle compagnie di navigazione. Una delle critiche più sentite era quella che si esplicitava con la seguente considerazione “l'emigrante viene preso per mano fino al porto di imbarco e poi lasciato al proprio destino”.
La legge 31 gennaio 1901, n. 23
Dopo un ampio e articolato dibattito che vide come protagonisti diversi esponenti politici tra cui gli onorevoli Luzzatti e Pantano, si giungeva agli inizi del ‘900, alla formulazione di una nuova legge sull'emigrazione che finalmente veniva incontro agli emigranti tenendo in considerazione i loro diritti e assicurando efficaci strumenti di protezione. Si trattava della Frontespizio della legge del 1901legge n. 23 del 31 gennaio 1901. Il punto qualificante della nuova normativa fu quello di imporre la creazione di un unico ente di controllo, il Commissariato Generale per l'emigrazione (alle dipendenze del Ministero degli Affari esteri), a cui erano demandate tutte le incombenze relative al problema migratorio che, fino a quel momento erano state parcellizzate tra le diverse amministrazioni dello Stato (articolo 7). La legge, inoltre, aboliva gli agenti delle compagnie di navigazione e li sostituiva con i “rappresentanti dei vettori”, i quali, a loro volta furono obbligati, per diventare tali, a richiedere annualmente al Commissariato una specifica “patente di vettore” (articoli 13 e seguenti).
Per garantire un’adeguata tutela dell’emigrante la legge del 1901 istituiva delle commissioni ispettive nei vari porti di imbarco (Genova, Napoli, Palermo) con il compito di verificare se le navi impiegate a tale scopo rispondessero ai requisiti imposti dalle normative sanitarie. A bordo dei piroscafi, poi, furono previsti commissari viaggianti e medici militari che avevano il compito di verificare l’osservanza delle disposizioni sancite dal regolamento di attuazione della legge e l’adeguatezza degli spazi a disposizione degli emigranti. La protezione attiva della norma non si limitava a tutelare l'emigrante fino al momento dello sbarco in terra straniera, ma assicurava una adeguata protezione anche dopo la conclusione del viaggio con la creazione, nei principali paesi di immigrazione (anche se con ritardo e tra notevoli difficoltà), di patronati e di enti di tutela obbligati a fornire assistenza legale e sanitaria a chi ne avesse bisogno.
Furono istituite, inoltre, delle “commissioni arbitrali provinciali” che avevano il compito di intervenire in caso di controversie tra l’emigrante e il vettore di emigrazione o di un suo rappresentante (articoli 26 e 27). La legge del 1901 venne, in seguito, integrata dalla legge 2 agosto 1913 n. 1075 e dal decreto luogotenenziale del 29 agosto 1918 n. 1379 che rivedevano la normativa in materia di commissioni arbitrali (dando la facoltà agli ispettori d’emigrazione di derimere alcune controversie), e inasprivano le penali da comminare alle società di navigazione e ai loro agenti in caso di inosservanza della legge.
Con il testo unico del 1919 si intese, infine, riorganizzare tutta la normativa in materia di emigrazione conferendo maggiori poteri al Commissariato per l’emigrazione che fu in grado di intervenire nei paesi esteri in modo più incisivo per garantire l’emigrante con norme adeguate ai tempi e con il principio, finalmente del tutto affermato, della libertà di espatrio per motivi di lavoro (anche se era prevista la possibilità di impedire temporaneamente l’espatrio in quelle nazioni che non offrivano adeguati margini di sicurezza).
Il regime fascista e la fine del Commissariato per l’emigrazione
Con l’avvento del fascismo al potere, il fenomeno migratorio venne sottoposto dal regime ad un generale ripensamento che ne cambiò la natura arrivando, addirittura, ad abolire il termine “emigrante” per sostituirlo con quello di “lavoratore italiano all’estero”.
Sempre in questa ottica, l’emigrazione (i lavoratori italiani all’estero, appunto) fu sfruttata anche a fini propagandistici e di politica estera. Dal punto di vista legislativo il fascismo tenne fede a questo cambiamento di politica tanto che con il D.L. 26 aprile 1927, n. 628 fu abolito il Commissariato per l’emigrazione che diventò una “semplice” direzione generale del Ministero degli Affari Esteri (la Direzione generale degli italiani all’estero).
FONTI - LINK:
LE NAVI PASSEGGERI DI LINEA ITALIANE - DAL 1900 AL 1970
file:///Users/carlogatti/Desktop/Le%20NAVI%20PASSEGGERI%20di%20Linea%20italiane%201900-1970.webarchive
IL SOGNO AMERICANO
http://www.terraiblea.it/files/IL%20SOGNO%20AMERICANO.pdf
ALBUM FOTOGRAFICO
In questa stupenda immagine scattata nel 1926 sul ponte di Comando di una nave passeggeri del Lloyd Sabaudo, si vedono due personaggi della nostra Riviera di Levante: in primo piano, davanti al timoniere, il 1° Ufficiale chiavarese ERNANI ANDREATTA (Sr), un Commissario di bordo ed il celebre ANTONIO LENA Comandante del CONTE DI DAVOIA. Infine a destra tre passeggeri della 1a classe.
In aggiunta alle foto contenute nel mio artico: LE NAVI PASSEGGERI DI LINEA - DAL 1900 AL 1970, riportiamo, in ordine cronologico, n.15 foto di navi famose nella loro epoca per aver trasportato numerosi emigranti dall'Italia al Nord America.
PERSEO
LOMBARDIA
FLORIDA
REGINA D'ITALIA
MANIFESTO PUBBLICITARIO
DUCA DEGLI ABRUZZI
RE D'ITALIA
AMERICA
GIULIO CESARE
DUILIO
A sinistra: PRINCIPESSA MAFALDA
DUCA DI GENOVA
GIUSEPPE VERDI
CONTE ROSSO
ROMA
CARLO GATTI
Rapallo, 19 Novembre 2019
ELLIS ISLAND (1892-1954)
ELLIS ISLAND (1892-1954)
FU LA META DEI POPOLI EUROPEI CHE INSIEME RISCOPRIRONO
THE NEW WORLD
Ellis Island è un isolotto parzialmente artificiale alla foce del fiume Hudson nella baia di New York. L'originaria superficie (poco più di un ettaro) fu incrementata fra il 1890 e il 1930 con i detriti derivanti dagli scavi della Metropolitana di New York, fino a raggiungere gli attuali 11 ettari.
Antico arsenale militare, dal 1892 al 1954, anno della sua chiusura, è stato il principale punto d'ingresso per gli immigrati che sbarcavano negli Stati Uniti. Attualmente l'edificio ospita l'Ellis Island Immigration Museum che è visitabile utilizzando il medesimo biglietto e traghetto che consente l'accesso anche alla vicina Statua della Libertà.
MUSEO DELL’IMMIGRAZIONE DI ELLIS ISLAND
ECCO DOVE SI TROVA
Nel Museo dell'emigrazione a New York ci sono ancora le valigie piene di suppellettili e di povero abbigliamento delle persone che reimbarcate per l'Italia, nella disperazione si buttavano nelle acque gelide della baia andando quasi sempre incontro alla morte.
Museo dell’Immigrazione – Ellis Island
UNA BREVE CITAZIONE
La Sinfonia n. 9 in mi minore di Antonín Dvořák (op. 95), nota anche col titolo di Sinfonia "Dal Nuovo Mondo", fu pubblicata come sinfonia n. 5, ma è in realtà la nona ed ultima fra le sinfonie di Dvořák (pron.Dvorgiak).
Il titolo si riferisce evidentemente al NUOVO MONDO, ossia il Continente Americano, dato che la sinfonia fu composta quando il compositore ceco era direttore del New York National Conservatory of Music. La cultura americana stimolò e arricchì Dvořák, che propose una sinfonia di matrice classica europea, spiritual afroamericani e la musica dei nativi americani, ma contaminata dalla musica autoctona, come gli spoirituaal afroamericani e la musica dei nativi americani.
Questa citazione ha una sua logica storica in quanto fu composta nel 1893 a New York, l’anno successivo all’apertura di ELLIS ISLAND. La sinfonia fu eseguita in prima assoluta alla Carnegie Hall il 16 dicembre di quello stesso anno dalla New York Philharmonic diretta da Anton Seidl, ottenendo un enorme successo.
Neil Armstrong portò l'opera sulla LUNA durante la missione APOLLO 11, la prima con atterraggio sulla Luna, nel 1969.
UN PO’ DI STORIA
Fra il 1880 e il 1915 approdano negli Stati Uniti quattro milioni di italiani, su 9 milioni circa di emigranti che scelsero di attraversare l'Oceano verso le Americhe. Le cifre non tengono conto del gran numero di persone che rientrò in Italia: una quota considerevole (50/60%) nel periodo 1900-1914.
Circa il settanta per cento proveniva dal Meridione, anche se fra il 1876 ed il 1900 la maggior parte degli emigrati era del Nord Italia con il quarantacinque per cento composto solo da Veneto, Friuli Venezia Giulia e Piemonte.
Le motivazioni che spinsero masse di milioni di Meridionali ad emigrare furono molteplici.
Durante l'invasione Piemontese, operata senza dichiarazione di guerra, dal Regno delle due Sicilie, i macchinari delle fabbriche, non dimentichiamo che Napoli era allora una città all'avanguardia in campo industriale, furono portati al Nord dove in seguito sorsero le industrie del Piemonte, della Lombardia e della Liguria.
Le popolazioni del Meridione, devastato dalle guerra con circa un milione di morti, da cataclismi naturali (il terremoto del 1908 con l'onda di marea nello Stretto di Messina uccise più di 100,000 persone nella sola città di Messina) depredato dall'esercito, dissanguato dal potere ancora di stampo feudale, non ebbero alternativa ad emigrare in massa. Il Sistema Feudale , ancora perfettamente efficiente, permetteva che la proprietà terriera ereditaria determinasse il potere politico ed economico, lo status sociale, di ogni individuo. In questo modo, le classi povere non ebbero praticamente alcuna possibilità di migliorare la propria condizione.
Da aggiungere ai motivi dell'esodo la crisi agraria dal 1880 in poi, successivamente l'aggravarsi delle imposte nelle campagne meridionali dopo l'unificazione del paese, il declino dei vecchi mestieri artigiani, delle industrie domestiche, la crisi della piccola proprietà e delle aziende montane, delle manifatture rurali.
Gli Stati Uniti dal 1880 aprirono le porte all'immigrazione nel pieno dell'avvio del loro sviluppo capitalistico; le navi portavano merci in Europa e ritornavano cariche di emigranti. I costi delle navi per l'America erano inferiori a quelli dei treni per il Nord Europa, per questo milioni di persone scelsero di attraversare l'Oceano.
L'arrivo in America era caratterizzato dal trauma dei controlli medici e amministrativi durissimi, specialmente ad Ellis Island, l'Isola delle Lacrime.
I primi 700 emigranti attraccano a Ellis Island il 1 gennaio 1892. Alla fine dell'anno saranno oltre 450mila gli immigrati passati dall'isola di fronte a Manhattan. Il picco sarà raggiunto nel 1907, con oltre 1 milione di arrivi, tanto da indurre le autorità newyorchesi a potenziare la struttura con un ampliamento importante, e ad affidare ad un commissario all'immigrazione, William Williams, la gestione del personale di Ellis Island per estirpare la piaga dilagante della corruzione.
Con lo scoppio della Grande Guerra l'attività del centro diminuì sensibilmente, e per un periodo la struttura fu destinata alla detenzione dei cosiddetti "enemy aliens", i potenziali nemici di origini straniere presenti sul territorio e sospettati di spionaggio.
Soltanto tre anni dopo la fine delle ostilità iniziò il declino di Ellis Island per effetto dell'Immigration Quota Act voluto dal Presidente Warren G. Harding, seguito nel 1924 dal National Origins Act, che fissava un tetto al flusso di immigrazione sul territorio Usa, stabilendo anche le quote massime per i rispettivi Paesi di provenienza.
Dalla Grande Depressione alla Seconda guerra mondiale Ellis Island fu praticamente svuotata, funzionando negli anni della guerra come ospedale militare. Dal 1950 alla chiusura definitiva alla metà di novembre del 1954, l'isola che accolse milioni di nuovi americani fu in parte ceduta alla Guardia Costiera e in parte adibita a centro di detenzione ed espulsione per stranieri sospettati di attività sovversive e di legami con i comunisti durante gli anni della Guerra Fredda.
Oggi è sede del Museo dell'Immigrazione e dal 1965 monumento nazionale degli Stati Uniti.
Il porto di Ellis Island ha accolto più di 12 milioni di aspiranti cittadini statunitensi (prima della sua apertura altri 8 milioni transitarono per il Castle Garden Immigration Depot di Manhattan), che all'arrivo dovevano esibire i documenti di viaggio con le informazioni della nave che li aveva portati a New York. I Medici del Servizio Immigrazione controllavano rapidamente ciascun immigrante, contrassegnando sulla schiena con un gesso, quelli che dovevano essere sottoposti ad un ulteriore esame per accertarne le condizioni di salute (ad esempio: PG per donna incinta, K per ernia e X per problemi mentali).
Chi superava questo primo esame, veniva poi accompagnato nella Sala dei Registri, dove erano attesi da ispettori che registravano nome, luogo di nascita, stato civile, luogo di destinazione, disponibilità di denaro, riferimenti a conoscenti già presenti nel paese, professione e precedenti penali. Ricevevano alla fine il permesso di sbarcare e venivano accompagnati al molo del traghetto per Manhattan.
I "marchiati" venivano inviati in un'altra stanza per controlli più approfonditi. Secondo il vademecum destinato ai nuovi venuti, "i vecchi, i deformi, i ciechi, i sordi e tutti coloro che soffrono di malattie contagiose, aberrazioni mentali e qualsiasi altra infermità sono inesorabilmente esclusi dal suolo americano". Tuttavia risulta che solo il due percento degli immigranti siano stati respinti. Per i ritenuti non idonei, c'era l'immediato reimbarco sulla stessa nave che li aveva portati negli Stati Uniti, la quale, in base alla legislazione americana, aveva l'obbligo di riportarli al porto di provenienza.
Il picco più alto si ebbe nel 1907 con 1.004.756 persone approdate.
Dal 1917, modifiche alle norme d'ingresso limitarono i flussi immigratori. Venne introdotto il test dell'alfabetismo e dal 1924 vennero approvate le quote d'ingresso: 17.000 dall’Irlanda, 7.500 dal Regno Unito, 7.400 dall’Italia e 2.700 dalla Russia. La Depressione del 1929 ridusse ulteriormente il numero degli immigrati, dai 241.700 del 1930 ai 97.000 del 1931 e 35.000 nel 1932. Contemporaneamente Ellis Island diventò anche un centro di detenzione per i rimpatri forzati: dissidenti politici, anarchici, senza denaro e senza lavoro vennero obbligati a tornare al loro paese d'origine. Gli espulsi a forza dagli Stati Uniti furono 62.000 nel 1931, 103.000 l'anno successivo e 127.000 nel 1933.
Durante la Seconda guerra mondiale vi furono detenuti cittadini giapponesi, italiani e tedeschi e il 12 novembre 1954 il Servizio Immigrazione chiuse definitivamente, spostando i propri uffici a Manhattan. Dopo una parziale ristrutturazione negli anni ottanta, dal 1990 ospita il Museo dell'Immigrazione.
QUANDO LE FOTOGRAFIE RACCONTANO PIU’ DELLE PAROLE…
DOVE SI TROVA ELLIS ISLAND?
LE FOTO A SEGUIRE, DOVREBBERO AVERE ... UN ORDINE CRONOLOGICO A PARTIRE DAL 1 GENNAIO 1892 FINO ALLA META’ DEL NOVEMBRE 1954
1927 – Ellis Island ripresa dall’alto
Rappresentazione pittorica della speranza dipinta sui visi dei nostri emigranti dinanzi alla agognata AMERICA!
Ellis Island – E’ l’ora di pranzo
Circa 10 milioni di americani possono rintracciare le loro radici attraverso Ellis lsland. Al primo piano, sul retro, c’è la mostra "La popolazione d’America", che narra quattro secoli di immigrazione americana, offrendo un ritratto statistico di coloro che arrivavano: chi erano, da dove venivano, perché venivano.
Ellis Island, intorno al 1895. (Hulton Archive/Getty Images
Arrivo di emigranti ad Ellis Island, 1902
Anno 1902
Un gruppo di immigrati attendono di fare la visita medica presso a Ellis Island, prima di poter essere ammessi negli Stati Uniti, nel 1904.(Hulton Archive/Getty Images)
Controllo molto accurato della vista
Un gruppo di immigrati ebrei inglesi attendono l'ispezione a Ellis Island, prima di poter entrare negli Stati Uniti (Hulton Archive/Getty Images)
Due immigrati ebrei a Ellis Island con lo sfondo dei grattacieli di Manhattan
Un funzionario doganale distribuisce le etichette dell'immigrazione a una famiglia di immigrati tedeschi presso la sala di registrazione a Ellis Island. (Lewis Hine W/Getty Images)
Gli immigrati dall’Europa viaggiavano letteralmente ammassati…
La suffragetta inglese Emmeline Pankhurst, subito dopo il suo rilascio da Ellis Island, il 27 ottobre 1913. (Topical Press Agency/Getty Images)
Alcuni bambini che giocano su un carro a Ellis Island. Il carro ha scritto di lato 'Zio Sam' ed è decorato con numerose bandiere americane (Augustus Sherman/Hulton Archive/Getty Images)
Alcuni immigrati si sottopongono ad uno dei numerosi esami medici per completare le procedure per uscire da Ellis Island ed entrare negli Stati Uniti, nell'agosto del 1923. (Topical Press Agency/Getty Images)
Una foto, scattata prima della Prima Guerra Mondiale, di alcuni immigrati che pranzano a Ellis Island.
Alcuni immigrati in coda per bere a Ellis Island, nel 1920. (General Photographic Agency/Getty Images)
Uno sguardo intenso sul proprio futuro… é scolpito sul volto di una giovane immigrata ebrea russa a Ellis Island. (Lewis W Hine/Getty Images)
Una famiglia di immigrati italiani a bordo di un traghetto a Ellis Island. Lewis Hine W/Getty Images)
Il presidente americano Lyndon Johnson mentre parla a Ellis Island, dopo aver firmato il nuovo progetto di legge sull'immigrazione, ai piedi della Statua della Libertà. Sullo sfondo lo skyline di New York dell'epoca. (Central Press/Getty Images)
Un gruppo di bambini con un'insegnante, nel 1943: a molti giovani immigrati vennero insegnate diverse lingue durante il soggiorno a Ellis Island. (B. Newman/Three Lions/Getty Images)
Michael Corrie, un bambino di 9 anni rifugiato dall'Inghilterra, sul traghetto per Ellis Island da New York durante la Seconda guerra mondiale. Evacuato da Bedford nel 1941, Corrie arrivò a New York senza un visto d'ingresso, poiché suo padre si era dimenticato di darglielo e dovette andare a Ellis Island (Keystone/Hulton Archive/Getty Images)
Henry "Red" Johnson (terzo da sinistra con il cappello bianco) mentre lascia il New Jersey, l'11 aprile 1932, in compagnia di alcuni funzionari dell'immigrazione e della polizia, verso Ellis Island. Verrà consegnato alle autorità federali per un'udienza con l'accusa di aver infranto le leggi sull'immigrazione. Johnson era un marinaio amico di Betty Gow, la babysitter del figlio di Charles Lindbergh: i due furono accusati di aver rapito il bambino, che fu in seguito trovato morto. Per il crimine fu poi condannato Bruno Richard Hauptmann, un immigrato clandestino tedesco, mentre Johnson venne espulso. (AP Photo)
Henri Barbusse, lo scrittore e pacifista francese, in una foto al suo arrivo a New York a bordo della nave Berengaria, il 29 settembre 1933. Si dichiarò membro del partito comunista e fu detenuto a Ellis Island prima di poter entrare nel Paese. (AP Photo)
Alcuni visitatori della stazione di detenzione di Ellis Island mentre arrivano sul traghetto da Manhattan il 13 giugno 1947. Il recinto di filo spinato racchiudeva l'area riservata ai detenuti in attesa di conoscere il loro destino. Molti di loro venivano espulsi e rimandati nel luogo di nascita dei genitori.
Alcuni giovani detenuti a Ellis Island che giocano mentre i genitori cercano di chiarire con l'immigrazione i problemi che impediscono loro l'ingresso a New York il 1° agosto, 1951. (AP Photo/Dan Grossi)
Arne Petterson è l'ultimo straniero a lasciare Ellis Island per entrare a New York, prima della chiusura del principale punto d'ingresso per gli immigranti. La foto ritrae Petterson sul traghetto da Ellis Island, il 12 novembre 1954. Petterson, un marinaio norvegese di Narvik, è stato rilasciato sulla parola grazie a un amico non identificato, che gli fece da sponsor per la cittadinanza. (AP Photo)
Pearl Buck, vincitrice del premio Nobel, apparve davanti a una commissione del Senato per discutere su una proposta per l'uso futuro di Ellis Island, a New York, il 6 dicembre, 1962. Pearl Buck, che era all'epoca la presidentessa del Consiglio di fondazione di una scuola di formazione a Vineland nel New Jersey, aveva proposto di usare l'isola per aprire un centro diagnostico internazionale per le persone con disabilità. Nella foto con il suo progetto.
Una foto del 1924 della stanza in cui avvenivano le registrazioni degli immigrati a Ellis Island (AP Photo/
La foto di una guardia tra alcuni cittadini giapponesi in viaggio verso Ellis Island su una barca l'11 agosto 1945, dopo il loro arrivo a New York dall'Europa sulla SS Santa Rosa. Facevano parte di un gruppo di 158 cittadini giapponesi che sarebbero stati imprigionati come nemici stranieri. (AP Photo/Matty Zimmerman)
Harry Ferguson, mentre viene fotografato all'arrivo a Ellis Island, il 7 gennaio 1933. Si era fatto passare per il principe Michael Romanoff, per essere ammesso negli Stati Uniti. Ferguson fu scoperto e doveva essere espulso, ma scappò da Ellis Island per poter partecipare ad uno spettacolo teatrale. (AP Photo)
1927- New York - Ellis Island vista dall’alto
In questa bella immagine dall’alto si vede chiaramente la banchina d’ormeggio dei traghetti che trasportavano gli immigrati dai Piers dei transatlantici al controllo di Ellis Island
APPENDICE
MUSEO GALATA DEL MARE
GENOVA
"Da Genova a Ellis Island. Il viaggio per mare ai tempi della migrazione italiana" è la grande mostra sull'emigrazione italiana visitabile a partire dal 19 giugno al Galata Museo del Mare. L'allestimento - 8 sale in 3 gallerie per un totale di circa 1200 metri quadri - che intende mostrare le condizioni di viaggio degli emigranti diretti negli Stati Uniti nel periodo tra il 1892 (anno in cui entra in funzione Ellis Island) e il 1914 (scoppio del primo conflitto mondiale) rappresenta una tappa essenziale nel percorso che il Comune di Genova / Istituzione Mu.MA - Musei del Mare e della Navigazione si è prefisso per la realizzazione del "MEM - Museo dell'Emigrazione", quale sezione all'interno del Galata Museo del Mare.
Dopo il grande successo rappresentato dalla realizzazione della Sala "Piroscafo", una ricostruzione ambientale, che unisce allestimenti marittimi originali ad elementi multimediali (un simulatore navale, completo di videoproiezione, manovrabile dalla timoneria), il Galata Museo del Mare, con il sostegno della Regione Liguria e della Compagnia di San Paolo, sponsor sia della mostra che del nuovo allestimento museale MEM, prosegue sul filone del viaggio tra Otto e Novecento.
Rispetto alle mostre tradizionali sul tema dell'emigrazione, per lo più fotografiche e documentarie, "Da Genova a Ellis Island" vuole far rivivere al Visitatore l'esperienza "emigrazione". Munito di un passaporto e di un biglietto di viaggio, il Visitatore arriverà a Genova e qui incontrerà la realtà di una città che, in pieno sviluppo industriale, vive sull'emigrante eppure lo disprezza e lo considera un problema sociale. Attenderà, come molti, all'addiaccio - magari per giorni - l'arrivo del proprio battello e poi entrerà nella ricostruzione dell'antica stazione marittima di Ponte Federico Guglielmo (oggi è Ponte dei Mille) e, dopo i controlli e le raccomandazioni, potrà salire a bordo del piroscafo di emigrazione.
Come il momento dell'imbarco e della partenza è, nella vicenda dell'emigrazione, l'ora più drammatica, quando si tagliano i legami con la propria terra e i propri affetti, così nella mostra "Da Genova a Ellis Island" il centro emozionale è la grande scena dell'imbarco, con la ricostruzione della Stazione Marittima, del Molo e la fiancata del piroscafo "Taormina" ricostruita nei minimi dettagli a grandezza naturale, sulla scorta dei disegni originali conservati dal museo: e così, fisicamente, il Visitatore salirà a bordo, in cerca della sua cuccetta, nei cameroni comuni (divisi in uomini e donne) o potrà esplorare gli ambienti di servizio: come i bagni, il refettorio, la sala medica, ma anche la prigione - dove venivano rinchiusi i violenti e i clandestini - e l'Ufficio del Commissario di bordo.
Un viaggio negli ambienti del piroscafo d'emigrazione e, co contemporaneamente, un vero viaggio "virtuale". Dagli oblò e dalle finestrature sarà possibile vedere il mare, in diverse condizioni di luce, di giorno, al tramonto e durante una notte di luna, e infine passare sotto la Statua della Libertà, il momento del pathos e della commozione. Ma questa non è la fine del viaggio. Il Visitatore, da emigrante, sbarcherà a Ellis Island, l'isola a due miglia da New York: qui entrerà nella Inspection Line, il percorso fatto di visite mediche, interrogatori e test per verificare se possedeva i requisiti per essere accolto in America. E qui verrà ricostruito il percorso, fatto di attese, domande, visite, oltre a mostrare ciò che accadeva a chi non era in regola, o era malato o comunque giudicato non idoneo a entrare negli Stati Uniti. L'ultima scena, infine, apre le porte del Nuovo Mondo o, più esattamente, la città di New York dove la gran parte degli emigranti giunti dall'Europa si fermava alle prese con i problemi concreti del trovare un lavoro, una casa, curare la salute e sbarcare il lunario.
"Per realizzare la mostra Da Genova a Ellis Island - commenta Maria Paola Profumo, Presidente del Mu.Ma - abbiamo sviluppato una coproduzione, tra l'Istituzione Mu.MA e l'Ellis Island Immigration Museum di New York. Il contatto diretto e la collaborazione con anche l'Ambasciata USA in Italia, ha permesso visite, invio di materiale e documentazione. Un contatto importante, perché va ricordato, che gli italiani che passarono a Ellis Island furono oltre 3.000.000, una percentuale enorme sui circa 12.000.000 che tra il 1892 e il 1956 - periodo di funzionamento dell'isola - vi transitarono, il che fa del nostro popolo quello che maggiormente dovette subire le procedure e i controlli di questa fase dell'immigrazione americana".
Se Ellis Island Immigration Museum, struttura visitata ogni anno da milioni e milioni di visitatori, americani e no, luogo simbolo del "melting pot" è il partner di riferimento della mostra, l'elenco delle collaborazioni è molto lungo e qualificato. "La mostra si avvale della collaborazione di alcuni dei centri di studio sull'emigrazione e di raccolta documentaria più importanti in Italia: come la Fondazione Paolo Cresci di Lucca, che ha collaborato per la parte iconografica e documentaria, con l'Archivio Ligure di Scrittura Popolare, diretto da Antonio Gibelli che ha messo a disposizione l'importante e variegata documentazione di lettere e immagini, per lo più di emigranti liguri, o il CISEI - Centro Internazionale di Studi sulla Emigrazione Italiana di Genova. Così come va ricordata la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma che ha messo a disposizione della mostra il dipinto più famoso e significativo dell'emigrazione italiana: "Gli Emigranti" di Angiolo Tommasi. Datato 1895, misura 4 metri x 3 e rapprsenta un grande affresco che mostra l'attesa degli emigranti, uomini e donne, vecchi e bambini, di regioni diverse. E dove li mostra? Proprio a Genova, lungo il Ponte Federico Guglielmo".
Genova, secondo Pierangelo Campodonico che è il curatore della mostra con il collaudato staff di museologi del Galata Museo del Mare, non è un "luogo qualunque dell'emigrazione italiana: è la porta attraverso la quale passano buona parte degli moltre 29.000.000 milioni di italiani che partono per l'emigrazione. E' perciò doveroso realizzare nella nostra città un luogo dove si possa fare memoria di questo".
Collaborazioni scientifiche, ma non solo: "una mostra non è un libro - prosegue Campodonico - pertanto abbiamo posto molta attenzione alle forme espressive: e così siamo stati aiutati dalla Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova, che ha messo "in scena" molti dei documenti raccolti, registrandoli, a voce e in video, a creare la straordinaria colonna sonora della mostra, fatta da musiche dell'emigrazione, ma anche e soprattutto da dialoghi, monologhi, testi di lettere, avvisi e avvertimenti che accompagneranno il Visitatore-Emigrante lungo il percorso. Ma anche l'iconografia ha la sua parte, e così l'Istituto Artistico Nicolò Barabino, con il suo corso di ritrattistica ha realizzato la reinterpretazione dei ritratti fotografici di Augustus Sherman, impiegato e fotografo di Ellis Island, le cui immagini rappresentano nel modo più struggente l'ansia e le speranze degli emigranti, ma anche la loro straordinaria varietà etnica e culturale".
Una mostra "diversa", nelle attese del Galata Museo del Mare, destinata a non essere il tradizionale percorso artistico o documentario in uno dei grandi temi del Novecento e della modernità, ma soprattutto "un percorso emozionale, segnato dall'ansia e dalla speranza. Perché la storia dell'emigrazione è una storia di uomini e donne, di persone, di sentimenti. E gli stessi sentimenti che furono dei nostri padri, sono oggi quelli di tanti emigranti tra noi, non dobbiamo scordarcerlo. E' questo il senso di una memoria civile", conclude Maria Paola Profumo.
CARLO GATTI
Rapallo, giovedì 14 Novembre 2019
I DEFUNTI DELL'ASSOCIAZIONE MARE NOSTRUM RAPALLO
I DEFUNTI
DELL'ASSOCIAZIONE MARE NOSTRUM RAPALLO
SILVANO MASINI
Nacque a Genova nel 1935. Con Silvano abbiamo scritto a quattro mani: “CON LE BARCACCE NEL CUORE”. Silvano ci ha lasciati il giorno della 1° presentazione del nostro libro. Era il 27 luglio 2007. Gli telefonai e con un fil di voce mi disse: “Carlo mi dispiace di non poter venire, ma proprio non ce la faccio. Mi raccomando il nostro libro, pensaci tu”. Dopo qualche ora partì per il suo ultimo viaggio. Quel giorno lo ricordo come uno dei più tristi della mia vita. Silvano aveva appena compiuto 73 anni. Direttore di macchina con la Soc. RR, era una persona molto colta, amava il mare, i rimorchiatori, la musica classica.
In tarda età Silvano si laureò in Storia Medievale. Silvano, con il suo incredibile entusiasmo e professionalità, avrebbe voluto e potuto dare ancora tanto alla nostra Associazione marinara.
Ne siamo certi, da lassù Silvano continuerà a “spingere” sulla nostra vela.
STEFANO RISSO (Nitti)
STEFANO RISSO - nacque a Taranto nel 1934 per ragioni “belliche”, come diceva lui scherzosamente, in quanto suo padre in quel periodo era ufficiale di Marina in quella Base Militare. Ma la sua famiglia, da diverse generazioni, era originaria del Rione Scogli di Chiavari. E’ mancato a Sestri Levante il 28 Dicembre 2014 all’età di 80 anni.
Stefano Risso, conosciuto da tutti col nomignolo “Nitti”, era figlio di Luigi Risso, Tenente di Vascello della Regia Marina, scomparso in mare nel settembre 1940 a bordo della torpediniera Palestro. Fu insignito della medaglia d’argento al Valor Militare, a lui è intitolata via L. Risso nel suo Rione Scogli, a-Chiavari.
Laureato in ingegneria Navale, ha vissuto 43 anni di matrimonio con Andreina Varani, che lo ha assistito con una commovente dedizione fino all’ultimo istante della sua vita. Personaggio poliedrico che, oltre ad aver acquisito un indiscutibile successo professionale, ha saputo concretizzare la sua creatività per il disegno e per il modellismo navale; aveva una memoria di ferro e grazie ad essa teneva seguitissime conferenze alla Lega Navale italiana.
UMBERTO RICCI
Siamo nati lo stesso anno. Con Umberto (Berto) ho compiuto tutto il percorso scolastico, dall’Asilo, alle Medie e poi al Nautico di Camogli. La vita ci ha visti impegnati su ROTTE diverse, ma quando divenne DIACONO avevamo una specie di appuntamento settimanale … proprio in questa Chiesa, ed io prendevo l’OSTIA solo da lui e poi ci stringevamo la mano.
Umberto é mancato Venerdì 24 Gennaio 2014, aveva 73 anni, era ricoverato all’Ospedale di Lavagna.
Umberto Ricci, come tutti sanno, é stato un politico e storico che s’impegnò con AMORE per la citta di Rapallo, nacque il 29 Aprile 1940, navigò come allievo capitano di macchina, si imbarcò poi sulle navi per l’America, fu anche collaboratore di Monsignor Daneri, Arciprete di Rapallo e, per 40 anni, fu addetto sociale del Patronato e fondatore dei Volontari del Soccorso di Sant’Anna, presidente del Corpo Bandistico Città di Rapallo. La sua carriera politica nella DC lo vide anche consigliere comunale e assessore del Comune di Rapallo, conobbe anche Aldo Moro e Giulio Andreotti. Il vuoto che Berto ha lasciato non verrà mai colmato.
ELVI SBARBARO-MARTINI
La nostra cara Amica ELVI é mancata il 30 gennaio 2014 all’Ospedale di San Martino (Ge) dopo un breve ricovero. ELVI era una Camoglina doc con il sangue impregnato di tradizioni dialettali e marinare, viaggiava spesso con la nave al comando del marito Guido. Amava la sua Camogli e s’iscrisse con suo marito alla nostra Associazione perché adorava le Storie di Mare che noi le raccontavamo. Donna intelligente e simpaticissima, ci ha lasciato tanti ricordi legati ad incontri di natura culturale-marinara e di allegria conviviale. La sua casa sul porto di Camogli era diventata la sede distaccata di Mare Nostrum per gli EVENTI marinari e non solo della sua città.
MARCO LOCCI
MARCO LOCCI - È salito a bordo per l’ultimo viaggio, il più misterioso, senza nemmeno avere il tempo di preparare il suo baule da marinaio. Così, all’improvviso, tradito da un insulto cardiaco nella sua casa di San Massimo, il 5 maggio 2015 se ne è andato Marco Locci, pittore di navi e non solo. Marco é stato una delle colonne di Mare Nostrum Rapallo con le sue numerosissime mostre.
Nacque a Genova nel 1951 ed intraprese la carriera artistica all’inizio degli anni Settanta quando, giovane studente di Architettura, venne rapito dai fermenti culturali del periodo. Nel 1976 entrò nel Gruppo Miloto. Marco cominciò ad organizzare performances e installazioni, ad allestire documenti fotografici, a progettare improbabili modelli di fantasiose macchine volanti.
Sempre in quegli anni prese forma l’epopea dei Patanchi, immaginario popolo lillipuziano che affolla, come un esercito di nere formiche, tavole e tavole di una mitologia personale colma di meraviglia e di sorridente ironia. Locci descrisse l’universo dei Patanchi con la minuzia di un etnografo dell’Ottocento sbarcato su un’isola remota oltre l’orizzonte.
Questo gusto del viaggio per mare, tra insidie e incanti, domineranno la pittura di Locci a partire dagli anni Ottanta. Le navi diventano protagoniste, anzi, il pittore diventa “ritrattista” di navi, personaggi che con carni di legno e di acciaio solcano il mare oscuro. Spavalde e fragili. Sole come tutti noi. Marco vinse molti premi come pittore di navi. I suoi quadri sono famosi in tutto il mondo.
AMEDEO DEVOTO
AMEDEO DEVOTO - Il Poeta dell’immagine - Nato a Chiavari l’8 settembre 1935 si è spento nella notte del 6 Dicembre 2013. Amedeo Devoto, pittore e artista eclettico originario del Rione Scogli a Chiavari. Aveva 78 anni e da tempo era sofferente a causa di una grave malattia. Il decesso è avvenuto nell’Ospedale di Sestri L.
Amedeo Devoto aveva dedicato la sua vita artistica al Rione natio degli Scogli, con grandissima dedizione e impegno fino al punto di diventarne uno dei protagonisti più affascinanti della sua importante storia marinara.
Uomo semplice e discreto, appassionato di arte pittorica, seppe estendere la sua competenza professionale anche ad altri campi: l’incisione, la progettazione navale, la meccanica, la costruzione di strumenti musicali e la modellistica. Nel 2006 la Società Economica di Chiavari gli conferì il Premio Turio-Copello.
Fin dagli albori del nascente Museo Marinaro Tommasino-Andreatta, Amedeo Devoto fu uno tra gli artefici principali della progettazione, sviluppo e realizzazione finale dell’istituzione che oggi é Museo Statale. Ha lasciato la moglie Ida, i figli Stefania, Elisa, Nicola, Renzo, e un vuoto incolmabile tra i tanti amici e conoscenti. Amedeo Devoto subentrò a Marco Locci come curatore artistico delle annuali Mostre al Castello.
CLAUDIO MOLFINO
CLAUDIO MOLFINO - All’età di 58 anni é mancato prematuramente il 4 maggio 2017, lasciando nel dolore la moglie Stefania e la sua adorata figlia Clarissa. Fu Socio fondatore di Mare Nostrum, di cui è anche il creatore del logo. “Persona tanto buona e brava quanto modesta” – Così potremmo definire Claudio, che non voleva mai apparire, ma lavorava tanto e bene dietro le quinte. Egli era molto ironico e come tutte le persone intelligenti era anche allegro e sempre di buon umore. Claudio amava definirsi un appassionato d’arte, ma i suoi scritti sul mensile IL MARE rivelarono ben presto una vasta cultura da vero esperto e critico in questo ambito; grande era l’amore che esprimeva con la divulgazione delle opere pittoriche e scultoree delle nostre chiese e persino nelle pievi più nascoste del nostro comprensorio. Claudio, anche quando non poteva esporre la sua consueta Mostra fotografica a causa di lavori in corso o per inagibilità del suo locale, amava talmente Mare Nostrum che la viveva in nostra compagnia dalla apertura sino alla chiusura del cancello, seduto accanto a noi rinunciando ai suoi numerosi impegni quotidiani. Egli era attratto dalle avventure e vicissitudini degli uomini di mare, da noi raccontate in innumerevoli conferenze, esperienze che lui amava rivivere attraverso i nostri volti e le nostre parole. Nel suo animo, Claudio aveva molte “incrostazioni di salino” e si sentiva intimamente un uomo di mare, uno di noi.
RINO CASARETO
RINO CASARETO - venerdì 25 maggio 2018 è mancato il socio Rino Casareto di Camogli, fratello del nostro caro socio Nino Casareto, entrambi Amici e Sostenitori molto presenti di Mare Nostrum Rapallo.
Rino è stato in gioventù un buon pallanuotista, un esemplare uomo di mare, un valente Comandante di navi ed in seguito, come suo fratello Nino, un MAESTRO di Pilotaggio nel Porto di Spezia. Rino era anche un grande appassionato di Storia Navale, come tutti noi, ma soprattutto uno sposo ed un padre eccezionale e, per noi uomini di mare come lui, un carissimo compagno di Avventure ed anche di sofferenze sempre condivise nelle nostre lunghe conversazioni! Rino ci manca e ci mancherà sempre!
SCIPIONE D’ESTE
SCIPIONE D’ESTE - Venezia 1963 - Rapallo 13 novembre 2018 – Il giorno della sua ascesa al cielo, l’intera città di Rapallo cadde nel più profondo dolore. Presidente del consiglio d’amministrazione della cooperativa Letizia Tallini, aveva praticamente salvato l’Istituto Gianelli quando l’Istituzione scolastica rapallese era entrata in crisi. Persona di grande sensibilità, generosità ed altruismo, era particolarmente apprezzato e stimato come professionista e per essere stato un grande Uomo, un Padre e Marito esemplare. Per il grande Amore dedicato all’Istituto Gianelli di Rapallo, così é stato scritto: “Senza la forza che hai profuso alla nostra scuola oggi non solo avremmo perso te ma, il Gianelli come lo abbiamo conosciuto, vissuto e amato non esisterebbe più”. Ha lasciato nel dolore la moglie Hanna, i figli Sofia, Camilla e Leonardo e naturalmente tutti noi parenti e amici che lo abbiamo conosciuto da vicino come tesoriere di Mare Nostrum, appassionato di storie di mare, esperto velista, collezionista di cartoline antiche di Rapallo che amava dal profondo del suo animo.
EMILIO CARTA
EMILIO CARTA - Rapallo 1946 - Lavagna 2 dicembre 2018 é mancato il giornalista Emilio Carta, colui che aveva gestito per molti anni l’Ufficio Stampa del Comune di Rapallo. E’ stato un operoso corrispondente del Secolo XIX, conosciuto e benvoluto dall’intera città di Rapallo e non solo.
Emilio Carta ha dedicato numerosi libri alla storia della nostra città e alle sue tradizioni; al mare, alle navi e alla navigazione alla quale dedicò pagine letterarie bellissime, ma volle concludere la sua esistenza con la scrittura di tanti romanzi gialli che avevano, come marchio letterario, lo sfondo storico reale ed uno scenario rivierasco. Emilio era un vulcano di idee e di progetti che poi concretizzava nonostante un male incurabile che lo martirizzò con 33 interventi. Operazioni che lui, la sua Marziana e la figlia Valentina affrontarono con estremo coraggio e stoicismo fino all’ultimo momento della sua vita. E’ stato direttore di molte testate giornalistiche, ma quella che ha amato di più é stata IL MARE.
Mare Nostrum Rapallo nacque dal nulla, per una sua idea che seppe sviluppare e portare avanti per circa 30 anni. Sul sito della nostra Associazione, si trova tutto il suo operato di giornalista, scrittore ed eccelso organizzatore di EVENTI, MOSTRE, CONVEGNI insieme ai suoi Amici e collaboratori. Rapallo non potrà mai dimenticare il suo OPERATO, la sua SIMPATIA ed INTELLIGENZA.
CONCLUDO: rivolgendo il nostro fraterno pensiero ai nostri carissimi COMPAGNI DI VIAGGIO, che hanno lasciato MARE NOSTRUM RAPALLO nel corso di questi anni per salire al CAELUM NOSTRUM che un giorno ci rivedrà ancora una volta insieme dove:
il naufragar m’é dolce in questo mare!
Cicerone diceva che “la vita dei morti sta nella memoria dei vivi”. Ebbene, cari AMICI, Voi ci avete lasciato increduli ad affrontare un enorme vuoto, ma abbiamo la certezza che rimarrete sempre nella nostra mente e nei nostri cuori!
COMUNICAZIONE
Giovedì 12 Dicembre 2019, alle 17.30 presso la Chiesa di San Francesco verranno commemorati i DEFUNTI dell’Associazione Mare Nostrum Rapallo. La Messa sarà celebrata da padre Francesco Fissori.
Alle 20.00 seguirà la CENA DI NATALE presso la nostra sede: HOTEL EUROPA
Carlo GATTI
Rapallo, 29 Gennaio 2019
MATRIOSKA - Poesia
MATRIOSKA
Dipinto di Marco LOCCI
Non so quando nascerai figlio mio
E se sarai sano, forte, amato.
Posso solo tenerti qui. Avvolto. Con ogni tempo. Con ogni vento.
Nascosto agli sguardi.
Germoglio di vita.
Da quando le gru scavano la terra e le prime timide radici si scrivevano di te tra le zolle, io c’ero. E sto qui.
Stiracchiati tranquillo anche stamattina.
Allungati, trave su trave, un mattone sull’altro.
Punta il ditino al cielo, mentre gli sorridi.
Non vedo l’ora di scomparire.
Perché solo allora tu apparirai.
E sarai madre e padre di risvegli e colazioni e addii.
Risate e urla ti squarceranno le mura. I baci sulle scale te le scalderanno.
Ti coloreranno l’aria i vasi di fiori sui pianerottoli.
E i panni stesi ti accarezzeranno i balconi.
Quando sarai tu spazio per l’altro.
Allora sarai vivo, figlio mio.
SELENE CATENA
Rapallo, 20 Novembre 2019