IL BARCHILE - STORIA DI UNA FONTANA GENOVESE
IL BARCHILE
STORIA DI UNA FONTANA GENOVESE
Le fontane di Roma dimostrano come i romani abbiano sempre avuto una gran passione per le acque pubbliche, dagli acquedotti alle terme e come, dopo i secoli della decadenza, tale passione si sia esternata nella costruzione delle numerose fontane (oltre 2.000) che ancora oggi ornano vie e piazze romane.
Il grande musicista bolognese Ottorino Respighi ne immortalò alcune con il suo celebre poema sinfonico LE FONTANE DI ROMA (1916) ricco di suggestioni descrittive legate ad elementi musicali naturalistici e alla cultura popolare italiana.
Quell’antico classicismo mitologico romano approdò anche a Genova lasciando il BARCHILE nel cuore del nostro scalo, precisamente nelle calate interne, ed aveva lo scopo di dare prestigio alla città e al suo porto.
Intorno al BARCHILE solevano radunarsi gli equipaggi delle galee genovesi di ritorno dalle missioni anti saracene. Si lavavano e si ritempravano cantando quei ritornelli che aleggiavano da sempre tra le calate e che furono in seguito ripresi e immortalati da Faber per la gioia degli italiani di ieri e di oggi!
Il Ponte Reale visto da ponente
Nel 1643 la fontana fu commissionata dai facoltosi membri dei Protettori delle Compere di S. Giorgio (Istituto e prodotto tipico della storia genovese, fu la prima organizzazione di un debito pubblico in istituto bancario e di emissione che viene via via assumendo anche funzioni di compagnia coloniale e di navigazione) a Pier Antonio e Ottavio Corradi (i progettisti della vasca) e realizzata da Giambattista Garrè. I quattro delfini capovolti invece sono opera di G.B. Orsolino mentre la statua alata, allegoria della fama, aggiunta nel 1673, è stata scolpita da Jacopo Garvo.
La fontana di cui parliamo risale al 1647 fu progettata dall’architetto AICARDO per essere posizionate sul prolungamento del PONTE REALE, che era la proiezione che collegava gli SCAGNI armatoriali alle CALATE INTERNE del Porto Vecchio. Nel 1647, per arricchire la fontana con un getto più consistente, i vertici di Palazzo San Giorgio decisero di captare le acque provenienti dall'Acquasola. Per l'occasione venne costruito un acquedotto in tubi di marmo che, scorrendo sotto la terra, arrivava fino al Ponte Reale.
Nel 1673 la fontana venne spostata sul prolungamento di Ponte Reale, dove rimase per oltre cent'anni, sino al 1790.
Dal 1861, con un'apposita delibera municipale, il BARCHILE fu spostato al centro di Piazza Colombo. Pare che la causa della “trasmigrazione” fosse dovuta all’aumento del traffico commerciale sulle banchine del porto. Inizialmente la scelta non fu gradita, perché quella FONTANA era un vero e proprio Simbolo della Repubblica di Genova: manifestazione di ricchezza, storia e tradizione per tutti i portuali e non solo...
Lentamente Piazza Colombo acquisì più importanza, specialmente dopo i riassestamenti della viabilità cittadina di inizio Novecento e la fontana divenne parte integrante ed apprezzata della Piazza.
Anna Draghi Photo
Piazza Colombo - Il gruppo marmoreo è composto, nella parte inferiore di quattro delfini avvinghiati, in quella superiore di quattro cariatidi anch'esse intrecciate che levano in alto una grossa coppa di marmo dal cui centro si alza una fama alata* che suona il nicchio marino.
(Note prese in prestito dal Dizionario delle Strade di Genova)
*Fama Alata (dal latino fari che significa parlare), personificazione della voce pubblica nella mitologia romana, era una divinità allegorica.
Della sua personificazione parla Virgilio immaginandola creata dalla Terra dopo Ceo ed Encelado.
La si immaginava come un mostro alato gigantesco capace di spostarsi con grande velocità, coperto di piume sotto le quali si aprivano tantissimi occhi per vedere; per ascoltare, usava un numero iperbolico di orecchie e diffondeva le voci facendo risuonare infinite bocche nelle quali si agitavano altrettante lingue.
Questo mostro alato rappresentava allegoricamente le dicerie che nascono, si diffondono, acquistano credibilità, non fanno distinzione tra vero e falso, amplificano e distorcono a piacimento i fatti.
Anche Ovidio ne dà un'ampia descrizione nel libro XII delle Metamorfosi, collocandola ai confini della terra, all'interno di un edificio bronzeo, con un numero elevatissimo di entrate, nelle quali riecheggiavano tutti i vocaboli, anche quelli appena bisbigliati.
Questa fotografia fu scattata nel corso nel 2004. In occasione degli eventi legati a “Genova 2004 Capitale Europea della Cultura”, venne istallato in piazza Colombo un impianto scenografico per illuminare Il Barchile ovvero la fontana posta al centro della Piazza dove l’opera fu traslocata nel 1861 per abbellire la nuova piazza ottocentesca voluta dall’architetto Resasco. Non solo bellezza ma anche utilità visto che Il Barchile fungeva da abbeveratoio per cavalli e muli provenienti dalla campagna che vi transitavano carichi di verdure verso il Mercato Orientale.
Guardiamola più da vicino con due scatti del BRAVO fotografo Luciano Roselli che ringrazio anche a nome dei followers di Mare Nostrum Rapallo
Come diceva Eugenio Montale nella sua celebre lirica “Non chiederci la parola”.
“Anch’io non so chi sono ma so cosa non sono: Non sono un professore non ne posseggo i titoli, non sono un poeta non ne ho la sensibilità, né uno storico non ne annovero le competenze e nemmeno mi appartiene l’essere scrittore. Allora chi sono, chiederete voi? Sono un folle innamorato di Genova che soffre nel vedere la sua amata dimenticata e non rispettata. Ecco questo mio sito è da intendersi come un atto di amore per la propria bella. Genova è come una matura signora, un po’ in là con gli anni ma talmente ricca di fascino che per farti innamorare non ha nemmeno bisogno di svelarsi e tu, a poco a poco, rimani inebriato dalle sue meraviglie”.
Carlo GATTI
Rapallo, 7 Gennaio 2020
L’ARSENALE DI VENEZIA
L’ARSENALE DI VENEZIA
I primi arsenali militari marittimi costruiti in Europa nel Medioevo furono quelli che le nostre repubbliche marinare dovettero allestire per potervi fabbricare, armare e riparare le navi alle quali era affidata la loro potenza.
Di questi stabilimenti ci sono rimaste notizie, descrizioni e, per alcuni di essi, anche resti piuttosto cospicui che ci permettono, per quanto modificati in epoche posteriori, di farci un'idea chiara dell'importanza e della funzione di tali costruzioni.
Analogamente a quelli moderni, gli arsenali medievali erano costituiti da un complesso di bacini o darsene, sulle cui banchine erano sistemati scali - coperti o no -, officine, magazzini, fabbriche d'armi, uffici e altre costruzioni. L'insieme era cinto da mura dove si aprivano in genere solamente due aperture: la porta donde transitavano i navigli e quella verso terra, destinata al passaggio delle persone e dei materiali.
Se dell'arsenale amalfitano non ci è rimasto altro che due scali coperti, di quello genovese ci sono restate solamente delle notizie, tra le quali quella della data di costruzione nel sec. XIII e il nome dell'architetto, il genovese Boccanegra.
Dell'arsenale pisano abbiamo alcuni resti seminascosti, deturpati e parzialmente interrati, ma sufficienti a darci un'idea abbastanza chiara dello stabilimento, soprattutto se studiati col sussidio di notizie storiche e con quello della descrizione e dei rilievi che di essi ci ha lasciato l'architetto francese Rohault de Fleury, il quale li studiò nella seconda metà del secolo scorso, quando erano meglio conservati.
Degli Arsenali Repubblicani di Pisa e Genova ce ne siamo già occupati con servizi riportati sul sito di Mare Nostrum Rapallo (allegheremo i LINKS alla fine del presente lavoro).
LA DARSENA DI VENEZIA
Oggi ci occuperemo dell’Arsenale di Venezia, che pare essere ancor più interessante dei precedenti per la parte monumentale ancora esistente, per la sua vastità e per l'importanza storica.
Opera del Canaletto
L’enorme struttura dell’Arsenale vista dall’alto
Per oltre mille anni la Repubblica di Venezia ha rappresentato un punto di riferimento in Europa e nel Mondo.
La Serenissima ha basato per secoli il suo predominio sul commercio e sulla potenza della sua flotta.
Al centro di questo strapotere navale c’era l’Arsenale: un cantiere di 48 ettari che sorgeva nel centro della città e che a pieno regime sfornava una galea (nave da guerra e da commercio) in meno di 24 ore.
La costruzione navale mediterranea si perde nei tempi e l’arsenale di Venezia è soltanto quello che riuscì a passare, in tempi e modi lunghissimi, dalla costruzione artigianale a quella industriale.
L’Arsenale di Venezia era una vera e propria città nella città: recintato da mura e con due porte d’accesso (una di terra e una di mare), ospitava residenze per i lavoratori, forni pubblici e magazzini per i cereali.
Era inoltre organizzato in modo tale che le galee venivano rimorchiate a dei punti di carico prestabiliti. Qui ricevevano tutti i materiali nautici, bellici e logistici necessari alla loro partenza.
Dalle torri della porta d’acqua venivano imbarcati alberi e cannoni, lungo il rio che porta al bacino San Marco ricevevano i remi e, alla fine del percorso, nei pressi della chiesa di San Biagio, venivano caricati i viveri, come farina e gallette salate.
La grande organizzazione veneziana ha portato l’Arsenale ad essere considerata l’antesignana della fabbrica come la conosciamo oggi.
In anticipo di alcuni secoli rispetto al modello della catena di montaggio fordista i veneziani già ai tempi della Serenissima sperimentarono la specializzazione delle mansioni all’interno dell’Arsenale facendo eseguire agli arsenalotti singole operazioni di assemblaggio utilizzando componenti standard.
La grande capacità marinara e l'efficienza nell'organizzazione economica delle imprese mercantili erano solo due dei fattori che determinarono la grandezza della marineria veneziana. Per assicurarsi la supremazia sui mari, Venezia doveva poter contare su un terzo fattore, non meno importante: la possibilità di costruire le sue navi.
Inizialmente, le navi veneziane venivano costruite in piccole officine private, poi, intorno all'anno 1200, queste attività furono raggruppate in un unico, grande cantiere pubblico: l'Arsenale.
In questa immensa struttura si muovevano progettisti, maestri d'ascia, operai specializzati. Gli operai dell'Arsenale, i cosiddetti arsenalotti, costituivano una comunità a parte nella città, depositaria di un patrimonio prezioso, tramandato di generazione in generazione e custodito gelosamente.
La tracciatura del sesto, vale a dire il disegno del profilo dello scafo di una nave, era un'operazione difficilissima, ed era svolta dal proto, la vera autorità dell'arsenale. Da questa fase dipendeva il successo in mare di un'imbarcazione, e richiedeva una grandissima esperienza. L'organizzazione all'interno del cantiere era addirittura all'avanguardia, con tanto di suddivisione del lavoro in reparti diversi, controllo di qualità sulle materie prime, standardizzazione di molte fasi produttive e, come abbiamo appena visto, persino la prima catena di montaggio della storia.
Questo ciclo di produzione, completo e autosufficiente, consentiva di costruire, nei periodi di massima richiesta, fino a tre grandi navi al giorno, e garantiva a Venezia un vero e proprio primato.
Le galere veneziane erano imbarcazioni agili e leggere. Non potevano trasportare un gran carico ma, in compenso, un equipaggio al completo garantiva la presenza a bordo di 180-200 uomini, il che rendeva queste navi piuttosto sicure. Oltre al capitano e ai marinai più esperti, l'equipaggio comprendeva i balestrieri, alcuni mercanti, il cartografo, lo scrivano, il medico che in genere era anche astronomo, e, naturalmente i rematori, i cosiddetti galeotti. L’accezione attuale di questi termini - ha avuto origine proprio da qui, dal fatto che la nave era a volte il luogo dove si scontava la pena ai lavori forzati, da cui il significato di galera, come prigione.
Fare il galeotto per guadagnarsi da vivere era considerato un segno di inferiorità. Tra i marinai, i galeotti erano quelli che si prestavano al lavoro più duro, esponendosi a condizioni di vita difficili e faticose. Nonostante fossero la categoria più umile, i galeotti erano anche i più richiesti. Ogni viaggio verso le Fiandre, o il Mar Nero, o alla volta di Cipro aveva bisogno di almeno una mezza dozzina di galere mercantili e un altissimo numero di rematori.
Per arruolare la ciurma il capitano metteva un tavolo sul molo di fronte a Palazzo Ducale e offriva degli anticipi pari, generalmente, a tre o quattro mesi di paga. Quando la nave stava per salpare, un banditore ne dava l'annuncio per tre giorni di seguito a Rialto e alla Basilica di San Marco. Chi non si presentava, e non erano in pochi a disertare, veniva cercato dai Signori di Notte, una sorta di polizia di quartiere, per essere imbarcato a forza o addirittura arrestato.
Le galere mercantili erano un mezzo di trasporto costoso, perciò occorreva compensare la spesa con carichi preziosi e con navi che tornassero presto in patria. Per ridurre i rischi, la Repubblica mise a punto un semplice ma efficace sistema di controllo sulle imprese mercantili: in pratica, provvedeva a costruire le galere e a organizzarne le rotte commerciali e poi le appaltava al miglior offerente, che naturalmente doveva dare garanzia al Senato sulla propria solvibilità. Dopodichè si mettevano all'asta le quote di partecipazione all'impresa.
Questo sistema ripartiva sia i rischi che gli utili, spingeva i mercanti alla collaborazione per il buon esito dell'impresa, e garantiva alla stessa Repubblica un ritorno economico che ammortizzava i costi delle imbarcazioni.
La Repubblica veneta ebbe in questo gigantesco stabilimento, che essa costruì nel 1104, doge Ordelaffo Falier, uno strumento formidabile della sua prosperità. Intorno alla primitiva piccola darsena, scavata fra le due isolette dette le Gemelle e comunicante per mezzo di un canale col bacino di S. Marco, venne successivamente costruita tutta una serie di opere che resero ben presto l'arsenale di Venezia uno stabilimento occupante, come anche attualmente, ben 32 ettari circa di superficie all'estremità orientale della città. Febbrile vi dovette essere il lavoro in alcune epoche. Così da occupare 16.000 operai e da suscitare nell'animo di Dante, che visitò spesso Venezia, l'ultima volta come ambasciatore di Guido da Polenta, l'impressione di cui son eco le celebri terzine del XXI dell'Inferno:
Quale ne l’arzanà de’ Viniziani
bolle l’inverno la tenace pece
a rimpalmare i legni lor non sani,
ché navicar non ponno – in quella vece
chi fa suo legno novo e chi ristoppa
le coste a quel che più vïaggi fece;
chi ribatte da proda e chi da poppa;
altri fa remi e altri volge sarte;
chi terzeruolo e artimon rintoppa;
tal, non per foco ma per divin’arte,
bollia là giuso una pegola spessa,
che ’nviscava la ripa d’ogne parte.
(Dante Alighieri, La divina Commedia, Inferno, Canto XXI, vv. 7-18)su_spacer]
Straordinario il portale d’accesso del 1460 dei tempi del doge Pasquale Malipiero attribuito all’architetto Gambello, a memoria del legame di Venezia con Roma antica e Costantinopoli con un richiamo preciso all’arco dei Sergi di Pola, da dove la famiglia Pola o Castropola era arrivata a Treviso negli stessi anni di erezione del portale in Arsenale.
Le torri d'entrata dell'antico
Arsenale Militare Marittimo di Venezia
Ai primitivi due accessi, quello marittimo e quello terrestre, situati tutt'e due dalla parte più antica dello stabilimento, ne venne aggiunto un terzo nel 1473 nel lato di levante, mettendo in comunicazione diretta la laguna con la parte dell'arsenale allora costruita, allo scopo di assicurare un comodo rifugio alle galee già pronte o in attesa di essere riparate. Quest'ingresso, chiuso al principio del secolo XVI, venne riaperto sotto il dominio napoleonico per poter permettere l'accesso all'arsenale dei potenti vascelli di quell'epoca e ricevette allora il nome di Porta Nuova di Mare. I due ingressi marittimi potevano essere sbarrati da cancelli di legno ed erano difesi da torri. Architettonicamente molto importante è l'ingresso terrestre, ricco portale ad arco, inquadrato da due coppie di colonne con capitelli bizantini e sul quale posa un'edicola a timpano recante in bassorilievo il leone di S. Marco. Questa bella opera architettonica venne eretta sotto il dogato di Pasquale Malipiero (1460) ed è attribuita da taluno al veronese fra' Giocondo, da altri ad Antonio Gambello.
Arsenale a Venezia, Statua della Giustizia
Arsenale a Venezia, Statua di Nettuno
Dopo la vittoria di Lepanto (1571) si conferì a questo portale il valore di monumento commemorativo arricchendolo con vittorie alate, con trofei e con la statua di S. Giustina, nella cui ricorrenza (7 ottobre) era avvenuta la battaglia. Tale carattere di arco trionfale dato al monumento venne accentuato collocan
do attorno alla cancellata che lo ricinge alcune sculture greche di varie epoche, raffiguranti leoni e che erano state portate a Venezia, come bottino di guerra, in più volte, e specialmente da Francesco Morosini dopo la riconquista della Morea (1687).
Veduta dell’Arsenale Vecchio con le Gaggiandre (imponenti tettoie acquatiche adibite al ricovero delle galere a remi)
Nell'interno dell'arsenale si conservano ancora alcuni degli antichi scali, alcune tettoie acquatiche (tra le quali, importanti, quelle cinquecentesche delle Gagiandre cioè "tartarughe" destinate al completamento delle galee già varate), la Tana o Casa del Canevo, lo scalo per la custodia del Bucintoro e l'ampio locale, lungo 150 metri, costruito verso la metà del sec. XVIII da Giuseppe Scalfarotto e destinato agli squadratori delle grandi ossature di navi.
L’interno delle Corderie
La Tana (così chiamata da Tanai, antico nome del fiume Don, alle cui bocche i Veneziani avevano gli stabilimenti commerciali che procuravano loro la canapa necessaria per la marina), ambiente destinato alla costruzione dei cordami e alla conservazione delle canape, venne ricostruita, al posto d'una più antica (1304), tra il I579 e il 1583, da Antonio da Ponte, l'architetto del Ponte di Rialto. Essa era un unico grandioso locale, lungo metri 316 e largo oltre 20, alto quasi altrettanto e diviso in tre navate da 84 colonne con capitelli dorici. Ora la Tana è suddivisa da tramezzi in varî magazzini.
Per la custodia del Bucintoro, il famoso naviglio riccamente adorno che la Repubblica usava nelle occasioni solenni, venne elevato tra il 1544 e il 1547, su disegno di Michele Sammicheli, veronese, un ampio locale con facciata di semplice e maschia architettura.
L'introduzione e il rapido aumentare dell'impiego delle armi da fuoco indussero ben presto le autorità della repubblica veneta a far confezionare e conservare in appositi reparti dell'arsenale sia le armi stesse sia le polveri e i proiettili. Alcuni gravi incendi, che avvennero al principio del sec. XVI nei locali dove si confezionavano e conservavano le polveri, indussero il senato veneto ad allontanare dall'arsenale i servizi pirotecnici, conservando solamente quelli che non presentassero pericoli per l'incolumità dello stabilimento. Tra essi, quello importante della fusione delle artiglierie in bronzo, affidato per più che quattro secoli alla famiglia Alberghetti.
Le armi da fuoco e le munizioni furono allora conservate nelle Nuove sale d'armi, nel Parco delle bombarde e in altre parti dell'arsenale. Nel 1772 venne istituito un Museo d'artiglieria, il quale accolse le armi fuori uso. che avevano un notevole valore artistico.
L'arsenale di Venezia era governato da due magistrati ambedue temporanei, l'uno detto dei sopravveditori e l'altro dei provveditori o patroni; i primi erano senatori, i secondi patrizi: queste due magistrature unite si chiamavano eccellentissima banca. I sopravveditori avevano potestà civile e penale su tutte le persone impiegate nell'arsenale; essi invigilavano gli atti dei patroni, dai quali dipendeva l'ammiraglio dell'arsenale, che sopraintendeva alle costruzioni, riparazioni e armamenti, avendo sotto di sé il primo architetto navale, e anche alle opere idrauliche per l'arsenale. Alla dipendenza di quest'ultimo era pure il capitano dell'arsenale, che aveva incarico di polizia. Le costruzioni navali erano comandate dal senato e intraprese e dirette dai seguenti tecnici: un primo architetto navale, un secondo architetto navale, un aiutante del primo architetto, otto architetti costruttori, sei sottoarchitetti costruttori, quattro aiutanti di sottoarchitetti, otto primi aiutanti delle compagnie, otto secondi aiutanti delle compagnie, otto terzi aiutanti delle compagnie. Ogni ramo d'arte aveva i suoi capi d'opera o proti, i maestri, un certo numero di operai di varie classi e i garzoni. Tutti gli operai erano militarmente ordinati e denominati arsenalotti con impiego a vita trasferibile ai figli.
L'arsenale di Venezia fu utilizzato pure come Arsenale della marina del regno d'Italia sotto Napoleone (1805-14). Indi subentrò l'Austria la quale, nel 1849, preferendo Pola a Venezia, vi intraprese la costruzione dell'arsenale, che divenne poi uno dei migliori e più efficienti arsenali d'Europa e passò, nel 1918 all'Italia, la quale però dopo pochi anni ne cedette molte parti e lo ridusse per il rimanente a semplice base navale.
Bibliografia:
Fuochi ad Est di Candia di Carlo Lucardi
Vascelli e fregate della Serenissima - Guido Ercole
Viva san Marco! Storia di una repubblica marinara - Guido Ercole
Sotto le bandiere di San Marco. Le armate della Serenissima di Alberto Prelli
In Venice today.com
Veneto Storia
Città di Venezia-Storia dell’Arsenale
L’Arsenale militare marittimo di Venezia
Best Venice Guides.it
News Storia: La Darsena Secolare
It.Venezia
Metropolitano.it
Dasa Light Your Life
Venipedia-Arsenale
CARLO GATTI
Rapallo, 29 Gennaio 2020
FUOCHI AD EST DI CANDIA - Romanzo storico
FUOCHI AD EST DI CANDIA
Romanzo storico - Di Carlo Giuseppe LUCARDI
Maometto II°, Sultano dell’Impero Ottomano – (ritratto da Gentile Bellini)
Alla morte del padre, Maometto II° salì di nuovo al trono e nel giro di soli due anni arrivò a porre fine all’Impero Bizantino conquistando il 29 maggio 1453 Costantinopoli (che era diventata per lui un'ossessione, tanto che cominciò a paragonarla ad una donna che aveva rifiutato il matrimonio di molti principi musulmani e che doveva diventare per forza sposa). L'assedio fu condotto con enorme spiegamento di forze, usando i più grandi cannoni allora esistenti al mondo e addirittura trasportando decine di navi sulla terra, trascinate a forza di braccia dagli schiavi dal Bosforo fino al Corno d’oro scavalcando le erte alture di Galata, per aggirare la celebre catena che bloccava l'imboccatura del Corno d'oro dal Mar di Marmara. Presa la città, Maometto II ne fece la nuova capitale dell'Impero ottomano col nome di Kostantîniyye, poté così fregiarsi oltre al titolo di "Sultano" anche di quello di "Qaysar-ı Rum", ovvero Cesare dei Romei, anche se risulta già attestato in particolar modo a livello popolare l'attuale nome di İstanbul.
Dopo questa conquista, il padişa dei turchi prese anche gli ultimi territori bizantini, il Despotato di Morea nel Peloponneso (1460) e l’Impero di Trebisonda sul Mar Nero (1461) A quel punto, nonostante lo sgomento dilagato in tutto l'Occidente, lo stato ottomano fu definitivamente riconosciuto nel mondo come un grande Impero.
La caduta di Costantinopoli nel 1453 aveva mostrato per la prima volta la vera potenza navale, oltreché terrestre, del nuovo Impero ottomano.
Venezia, sebbene sino all'ultimo fosse alleata con il morente Impero Romano d’Oriente, dopo la caduta dell'antica capitale imperiale si affrettò a mostrarsi compiacente coi nuovi padroni delle vie d'Oriente. Il 18 aprile 1454, l’ambasciatore Bartolomeo Marcello sottoscrisse infatti con il Sultano Maometto II° un trattato di reciproco riconoscimento.
Nonostante le apparenze, si trattò però di una tregua fragile, costantemente minacciata da piccole violazioni che potevano, in qualunque momento, essere sfruttate dai Turchi per scatenare un conflitto. La stessa Venezia, dal canto suo, dichiarava apertamente per bocca dei propri rappresentanti, in un concilio tenutosi a Mantova nel 1460, che l'accordo era stato costituito per necessità di difesa degli interessi in Oriente, ma che, qualora si fosse creata contro il Gran Turco una lega cristiana, Venezia sarebbe stata disponibile a parteciparvi.
In questa situazione veramente ingarbugliata, Venezia - Repubblica Marinara si trova a percorrere rotte difficili e insidiose per la sopravvivenza della stessa SERENISSIMA e delle sue basi medio-orientali.
Gli storici di professione, quando suggeriscono libri per l’approfondimento di un argomento di rilevanza storica, del tipo che stiamo trattando, raccomandano sempre la lettura di un Romanzo Storico che, sapendosi calare nella realtà del tempo, arricchisce e facilita la comprensione degli avvenimenti attraverso i personaggi di quel tempo che rispecchiano i fattori ambientali, politici, religiosi, linguistici, psicologici e comportamentali che ben poco hanno in comune con gli attuali parametri di valutazione in nostro possesso.
Ed ecco venirci in soccorso il romanzo storico di CARLO LUCARDI
Carlo Giuseppe Lucardi, nato a Genova il 21 maggio 1953, é un medico ex-ospedaliero, con la passione per la scrittura fin dai tempi dell’Università.
Carlo é socio di Mare Nostrum Rapallo da circa un anno e fa parte del gruppo:
Il suo libro, di cui ci occupiamo oggi, verrà presentato il 1°di febbraio dagli SCRITTORI IN RIVA AL MARE presso la Biblioteca di Rapallo. Seguirà la locandina.
La trama:
Il Sultano Maometto II° ha conquistato l’impero romano d’Oriente.
La sua fama d’invincibilità terrorizza tutto il mondo cristiano. Venezia deve concludere una pace svantaggiosa con lui per conservare le terre e i commerci che ancora possiede. A sugello del trattato il Sultano pretende che un carico d’armi da fuoco gli sia venduto in cambio di oro e gemme.
Maometto II pensa che coi rivoluzionari Hachen-Buchse (archibugi) a pietra focaia gli sarà facile togliere di mezzo i cavalieri di Rodi che gli impediscono la conquista di Roma.
Per essere sicuro del risultato, affida l’operazione al suo migliore fiduciario, Misha Pasha il Crudele.
Caracche a 3 e 4 alberi.
I veneziani chiedono che lo scambio avvenga in mare e caricano le armi su una caracca genovese-provenzale, la Dalfin.
Poseidone, Colui-che–scuote–il-mare, scatena una tempesta che disperde le navi, sicché la Dalfin viene catturata dalla galea del cavalier Vendramin.
(Cavaliere dell'Ordine dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme, detti anche Cavalieri di Cipro, Cavalieri di Rodi e noti come Cavalieri di Malta), è un ordine religioso cavalleresco nato intorno alla prima metà dell'XI secolo a Gerusalemme).
Giovanni, figlioccio del cavaliere, ne assume il comando e fa vela su Rodi, sfidando le squadre del Pasha.
Un laido vecchio imbarcato sulla nave (medico oscuro dei Savi di Alessandria), trama per impedirglielo, e la sua bellissima schiava–strega irretisce il giovane comandante. Tutto sembra perduto, ma l’Egeo degli antichi Eroi ancora una volta mischia le carte…
L’archibugio può essere considerata la prima vera arma da fuoco portatile capace di garantire una certa precisione nel tiro. Evoluzione del più primitivo e pericoloso “scoppietto”, anche noto come "cannone a mano" (handgun in lingua inglese) l'archibugio trovò poi sviluppo nel moschetto, dando origine al fucile moderno.
Data di produzione: 1450-1650
Un romanzo rosso come le fiamme degli Hachen-Buchse e verde come il mare delle isole greche.
Il primo di un ciclo di storie di mare fra l’Oriente e il Rinascimento, il Magnifico Lorenzo e Maometto II°, i corrotti cardinali e la magia oscura dei Savi di Alessandria.
L’autore del romanzo ha fatto una scelta precisa: quella d’imbarcarsi, di volta in volta, come cronista, sulle navi in cui si svolge un’azione bellica. A noi ricorda un novello Pigafetta che descrive la storia che vive in prima persona e che ci riferisce puntualmente con il linguaggio di bordo, talvolta rozzo e crudele, talvolta raffinato a seconda del palcoscenico che può essere turco, veneziano, genovese, ma anche misto…anzi molto eterogeno! Quindi ci s’imbatte in termini assolutamente veri, pittoreschi, rocamboleschi, ironici che ancora ora rifioriscono e risuonano negli angiporti più famosi del Mediterraneo.
Il vocabolario usato dallo scrittore é molto ampio… non solo nelle simpaticissime imprecazioni che non risparmiano neppure gli dei di varie provenienze…, ma dilaga persino nella terminologia tecnico-nautica che si estende ai bordi veneziani, genovesi, turchi, arabi, levantini ecc…
Lo stesso tipo di linguaggio, talvolta esilarante, é usato anche per illustrare le armi e persino istruendo il lettore sull’uso delle stesse durante le battaglie navali che sono descritte puntigliosamente sulla base di strategie studiate e praticate con estrema efficacia!
La presenza dell’autore a bordo dà al lettore la strana sensazione di essere imbarcato e guidato nelle varie esperienze di bordo e, i personaggi che via via incontra appaiono a prima vista meno strani, anzi più umani del previsto. Talvolta é persino più facile capire come oggi, rispetto al 1400, non sia cambiato così tanto il senso della vita, dell’umanità, del dolore, dell’onore, del bello e del brutto. Infine, anche la simpatia e l’antipatia dei personaggi di queste imbarcazioni “rinascimentali”, che sono spesso espressioni dell’ignoranza profonda mista a superstizione, diventano funzionali alla genialità che essi sanno esprimere nei momenti difficili. E’ l’epoca nello stupore per le nuove invenzioni che rendono il mondo pieno di speranze e gli uomini in arme validi attori sulla scena della modernità.
La lettura del romanzo é molto scorrevole anche se, a prima vista, potrebbe essere apprezzato come un testo esclusivo per appassionati di storia, un libro di nicchia per studenti di liceo ed anche universitari. Ma non é così, il romanzo é indubbiamente “erudito” emergendo in modo inequivocabile la preparazione culturale di alto livello con cui l’autore si é avvicinato a questo progetto storico profondamente marinaro, sia nelle descrizioni particolari delle caracche, delle galee di vario tipo, ma anche nella conoscenza del linguaggio di bordo, che passa dal veneziano all’arabo, dal turco a quello usato dai Cavalieri di Rodi, ma non é tutto perché ci desta altresì meraviglia anche l’esatta descrizione delle armature del tempo, l’uso delle armi bianche, ma anche di bombarde, colubrine, basilischi e soprattutto dei micidiali archibugi veneziani al loro esordio nella storia.
L’autore tratta con molta competenza il debutto della CARACCA genovese, una torre molto alta sulla superficie del mare, figlia della COCCA con le murate e le estremità progettate per cavalcare le onde atlantiche. Ricordiamo che la cocca genovese fu progettata per uscire da Gibilterra e raggiungere i mari del Nord Europa.
La storia ci ha insegnato, e lo fa tuttora, che la nazione con la tecnologia più avanzata in materia di costruzioni navali e di armamenti é candidata alla vittoria finale.
Venezia, nella realtà del XV secolo possiede l’Arsenale militare più famoso e potente del mondo di allora. Da quella realtà, come ci spiega più volte l’autore, escono le migliori navi e le migliori armi navali che sono il frutto di secoli di studi, d’esperimenti e di grandi innovazioni in tutti i campi da parte di celebri ingegneri, fonditori e navigatori.
Tuttavia il nemico che ha di fronte rappresenta la più forte potenza militare del mondo di allora. Come finirà questa storia?
Buona lettura!
Piccola caracca - ill. del XVI secolo.
Caracca - particolare da Caduta di Icaro di Pieter Bruegel il Vecchio (circa 1558)
Battaglia navale tra caracche e galee.
Il “galeone” NEPTUNE ormeggiato nel porto Antico di Genova é finto, ma rende l’idea e soprattutto l’atmosfera marinara di un’epoca ormai lontana che il nostro capoluogo non ha dimenticato. Forse, anche il nostro amico Carlo LUCARDI n’é stato “contagiato”??Chissà! Ce lo racconterà a voce… Per il momento gli rivolgiamo i nostri sinceri complimenti per la sua opera che potete trovare presso qualsiasi libraio.
Carlo GATTI
Rapallo, 23 Gennaio 2020
LA COLLINA DEGLI ULIVI - Poesia
LA COLLINA DEGLI ULIVI
La collina degli ulivi
Sulla collina dell’infanzia
caduti gli ultimi frutti,
si assopivano
le aeree chiome
degli antichi ulivi.
Improvvisi
libeccio o scirocco
–in gara con i marini flutti-
in argentee onde
le agitavano.
Nella notte
al cigolar dei rami
la casa
–nei sonni –
diventava un veliero:
in tempestose acque
ci trasportava
verso le lontane isole
sognate.
Maria Grazia Bertora
Scritta nel 2007 inedita
Rapallo, 30 Gennaio 2020
TSS EARNSLAW, LA NAVE A CARBONE PIU’ VECCHIA DEL MONDO
TSS EARNSLAW
LA NAVE A CARBONE PIU’ VECCHIA DEL MONDO
Viaggia ancora sul lago WAKATIPU
New Zealand del Sud
La Nuova Zelanda é uno stivale rovesciato composta da due grandi isole. Ha una Superficie di 268.021 Km2 - Poco meno dell'Italia 301.338 Km2 - Abitanti: 4.100.000.
Siamo “partiti” per la nuova Zelanda alla ricerca della nave in servizio più vecchia del mondo (109 anni). Nel suo palmarez si legge che ha ospitato la regina d’Inghilterra con il principe Filippo e quasi tutti gli ultimi Presidenti degli Stati Uniti.
Il mondo marittimo anglosassone é da sempre convinto che le navi abbiano un’anima come le persone, quindi un destino che talora é glorioso e va conservato come una reliquia e onorato come una bandiera nazionale! Noi italiani non siamo buoni recettori di questo sentimento che é tuttora sballottato tra le onde del nazionalismo e del patriottismo senza percepirne il vero confine.
Il piroscafo TSS EARNSLAW nell’attesa della sua crociera giornaliera
Su questa mappa del lago Wakatipu é marcata al centro la città di Queenstown capolinea della crociera della nave a carbone TSS Earnslaw una delle più antiche attrazioni turistiche di OTAGO.
Lago Wakatipu
Il TSS EARNSLAW in navigazione. Le crociere partono regolarmente durante il giorno.
La piacevole crociera di 90 minuti attraverso il lago Wakatipu mette in mostra alcuni spettacolari paesaggi alpini di Queenstown e offre la possibilità d’esplorare un pezzo della sua natura vivente.
UN PO’ DI STORIA
Il TSS Earnslaw è parte integrante della storia pioneristica di Queenstown di cui é anche l'icona più gettonata. Il piroscafo fu incaricato dalle ferrovie della Nuova Zelanda di servire le comunità intorno al lago Wakatipu. Lo Steamer Ship é stato varato nello stesso anno del TITANIC, il viaggio inaugurale (maiden voyage) della TSS Earnslaw avvenne il 18 ottobre 1912.
Conosciuta come La signora del lago, ha fornito un collegamento essenziale tra le comunità agricole isolate lungo il lago e il mondo esterno. Lunga 48 metri, era la più grande barca sul lago e trasportava passeggeri, pecore, bovini, posta e provviste.
Quasi demolita nel 1968, fu salvata e acquistata da Real Journeys e messa di nuovo in servizio per il trasporto passeggeri intorno al lago. Da allora il TSS Earnslaw è stata accuratamente restaurata nelle sue condizioni originali: tutto ciò che si vede di lei oggi è fedelmente identico all’aspetto del suo primo viaggio.
Oggi, la TSS Earnslaw è l'unica nave a vapore tuttora in funzione nell'emisfero meridionale, questa realtà le conferisce un alone epico unico al mondo.
Il TSS Earnslaw è apparso in diversi film tra cui un cameo in Indiana Jones e il Kingdom of the Crystal Skull come Amazon River Boat.
Parti della nave a strascico SS Venture nel King Kong di Peter Jackson sono state ispirate dal TSS Earnslaw. Il famoso compositore Ron Goodwin ha composto un brano musicale ispirato al ritmo delle macchine alternative della TSS Earnslaw.
Lo abbiamo già accennato, ma lo sapevate….?
Nel marzo 1990, il TSS Earnslaw ha trasportato la regina Elisabetta e il principe Filippo.
In altre occasioni sono state ospiti a bordo: il re e la regina del Belgio, il principe della Thailandia e numerosi presidenti degli Stati Uniti.
Seguono tre immagini d’epoca, un po’ ingiallite dal trascorrere del tempo, ma intatte nel loro fascino old fashion che si contrappone alla modernità “pacchiana” di tante navi che oggi solcano i sevenseas …
Il TSS Earnslaw è un piroscafo a doppia elica di epoca edoardiana*, l'unica nave a carbone che trasporta passeggeri nell'emisfero meridionale. È una delle più antiche attrazioni turistiche nel centro di Otago (una delle 16 regioni della N.Z. - situata nella parte Sud-Orientale dell’Isola Meridionale.
*L’Epoca Edoardiana (1901-1910)
L’Epoca Edoardiana è il periodo tra il 1901 ed il 1910, cioè l’epoca del regno di Edoardo VII.
Dopo la morte della regina Vittoria avvenuta il 22 gennaio 1901, il suo successore fu il primogenito Edoardo VII che segnò la fine dell’epoca vittoriana e l’inizio di un nuovo secolo.
Mentre la regina Vittoria non partecipava alle uscite in società (era solita ripetere “Noi no, che non ci divertiamo”), re Edoardo VII era un grande frequentatore di circoli mondani ed un grande viaggiatore.
La Londra ereditata dalla Regina Vittoria, era una Londra capitale di un impero che si estendeva per 4 Continenti e contava più di 500 milioni di abitanti.
VISITANDO LA NAVE …
TSS EARNSLAW
Cartatteristiche tecniche
Lunghezza: 51,2 m
Costruzione iniziata: 4 luglio 1911
Varo: 24 febbraio 1912
Pescaggio: 2,1 m
Velocità: 13 nodi
Sala Macchine
- La nave a carbone TSS Earnslaw è sottoposta a manutenzione annuale.
- Per ulteriori info rivolgersi: Centro visitatori Real Journeys, Steamer Wharf, 88 Beach Street, Queenstown
Sul depliant della Compagnia leggiamo:
QUEENSTOWN-DART RIVER SAFARI E CENA CON CROCIERA
Il tour di mezza giornata include un’emozionante escursione con un motoscafo moderno tipo Jetboat, una passeggiata in una foresta autoctona ed una gita in jeep: un’esperienza indimenticabile! Si raccomandano: abiti e scarpe comode - in inverno guanti e giacca impermeabile ed in estate cappellino ed occhiali da sole.
Nel pomeriggio inoltrato ci si imbarca su un vaporetto dello scorso secolo la TSS Earnslaw che ha solcato le acque del lago per oltre 100 anni ed é conosciuta affettuosamente come la SIGNORA DEL LAGO.
Si naviga attraverso il lago sino a raggiungere Walter Peak ove si visita in tutto relax i magnifici giardini della tenuta coloniale Colonel’s Homestead ove si é ospitati per una elegante cena nell’edificio originale. Il menù comprende le tipiche pietanze Neozelandesi a base di gustose carni e verdure seguite dall’immancabile dessert. Dopo la cena é possibile assistere ad uno spettacolo tipico degli allevamenti neozelandesi lo sheep shearing (tosatura delle pecore). Al termine si rientra a Queenstown sempre navigando sulla “signora del lago”.
A BORDO DELLA NAVE
Sala Macchine
La crociera sul lago è adatta a tutte le età. E’ possibile visitare la sala macchine per scoprire le due grandi macchine alternative (a vapore) al lavoro. Nelle vicinanze potrai vedere la raccolta di foto storiche nel nostro mini-museo, controllare il ponte e persino unirti a un cantante insieme al pianista.
Il pianista...
Oppure, se preferisci, rilassati e goditi un vino o una birra o un po' di cibo da caffetteria nel nostro Promenade Café a bordo.
DUE CHIACCHIERE CON IL COMANDANTE SUL PONTE DI COMANDO …
Telegrafo di macchina
Dopo averlo omaggiato del “crest” dei Piloti del porto di Genova, il cinquantenne barbuto Comandante m'invita sul Ponte di comando per scambiare due parole che presto diventano un’affabile conversazione tra vecchi amici avendo anche lui la Licenza di Pilotaggio del suo distretto, in pratica siamo colleghi che lavorano agli antipodi del mondo...
Ormai questa “vecchia signora” non ha più segreti per te …!
A dirti la verità appena mi distraggo un attimo mi frega... Ho lavorato su molte navi nella mia vita, ma nessuna di loro aveva la personalità di Earny ... dotata del temperamento di una anziana nobildonna decaduta... piena di sé, con poca umanità. Una signora scontrosa ed arrogante che vuole comandare in ogni situazione… perché é convinta che solo lei sappia ormeggiare e disormeggiare senza andare a sbattere… in fondo tutti la guardano, l'ammirano, parlano di lei... così si sente sempre bella e desiderata; in poche parole lei é il COMANDANTE ed io sono il suo timoniere...
Mi sembra di capire che tra voi ci sia un po' di rivalità: due primedonne sulla scena prima o poi fanno scintille...
Un po' di verità c'é nelle tue parole. Insomma non ci fidiamo troppo l’uno dell’altra ... ne parliamo spesso … a volte litighiamo, specialmente quando c’é vento di tramontana che ci scarroccia di pancia, purtroppo il nostro pescaggio é limitato a 2 metri a causa dei fondali. Inoltre, quando ci avviciniamo all’ormeggio, i turisti si spostano tutti dal lato banchina per vedere la manovra, la nave s’inclina, una delle due eliche fuoriesce e non lavora più come dovrebbe, per cui la Earnslaw tende ad accostare da un lato, dove incontra meno resistenza.
Ogni manovra risulta diversa da tutte le altre…
Una cosa é certa, se trasformassero la Earnslaw in una unità moderna con l’elica di prora, azipod ecc… tu faresti una vita migliore, ma la nave perderebbe quel fascino che attira turisti da tutto il mondo…!
Hai ragione! Devo anche dirti che spero di non essere io al comando qualora venisse in mente all’armatore di trasformarla in un “soggetto moderno”, facile da manovrare… sarebbe una noia tremenda! Questo antico “ferro”, come sai, ha il timone piccolo, le accostate sono lente e molto lunghe, le devi prevedere con largo anticipo ed é lì che mi diverto!
Allora provo ad andare sul personale… Ma tra voi, se non esiste un po’ di feeling, cos’altro vi tiene insieme?
Provo ad essere sincero: alla sera sono felice di “legarla alle bitte”, lasciarla sola in castigo nel suo “brodo”, e andarmene a casa. Ma dopo un po’ sento che questa “son of a bitch” strapiena d’idiosincrasie… mi manca! Allora chiedo a mia moglie di venire a fare quattro passi, ritorniamo sottobordo, io per controllare che Earny non sia scappata senza di me… mentre mia moglie ogni volta cerca di capirne qualcosa di più… e credo che sia anche un po’ gelosa…
di CARLO GATTI
Rapallo, 2 gennaio 2020
ABBAZIA DELLA CERVARA - NOTA MARINARESCA
ABBAZIA DELLA CERVARA
NOTA MARINARESCA
DIETRO LA LAPIDE
Memoria del passaggio di papa Gregorio XI alla Cervara
Il papa Gregorio XI nacque il 9 maggio 1330 nel Castello di Maumont presso Rosiers-d'Égletons, nella regione francese del Limosino, morì a Roma il 27 marzo 1378. Fu l'ultimo dei Papi di Avignone, poiché nel 1377 riportò a Roma la sede papale dietro le preghiere di Caterina da Siena.
Fece una precoce carriera ecclesiastica e studiò all'Università di Angers. Nel 1342 canonico del capitolo della cattedrale di Rouen, poi di quello di Rodez e quindi di quella di Parigi, di cui divenne anche arcidiacono. Morto papa Urbano V nel 1370, venne eletto suo successore con voto unanime. Non essendo ancora divenuto sacerdote, dovette essere ordinato presbitero e vescovo prima dell'incoronazione ufficiale. Pierre Roger de Beaufort è stato il 201º Papa della Chiesa cattolica dal 1370 alla morte.
Una visita illustre arricchisce la storia della Cervara, efficacemente ricordata da una lapide marmorea nel chiostro.
Gregorio XI, alla fine di ottobre del 1376, era in viaggio per mare verso Roma col proposito di riportarvi la sede papale quando, scoppiata una tempesta, trovò rifugio a Portofino e ripartì l’indomani. Il viaggio però non poté continuare di nuovo per il maltempo. Servì quindi un ritorno al borgo nel giorno della solennità di Tutti I Santi festeggiati grandiosamente al monastero della Cervara, per la quale occasione concesse indulgenza ai futuri visitatori della chiesa abbaziale nella stessa ricorrenza (Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, 1550).
Gregorio XI, l’ultimo papa di Avignone, era stato eletto nel conclave del 29 dicembre 1370 e incoronato il 5 gennaio 1371 a 42 anni. Limosino, il suo nome era Pierre Roger ed era nipote di un altro papa avignonese, Clemente VI (1342-1352) che, destando qualche scandalo, lo aveva creato cardinale appena diciottenne. Nelle biografie viene presentato amante degli studi, compiuti soprattutto in Italia, a Perugia, di buoni costumi e di salute cagionevole.
Il cammino per riportare la sede papale a Roma era iniziato da Avignone il 13 settembre 1376 per continuare via mare da Marsiglia il 2 ottobre. Le dimensioni della flotta erano notevoli: trentadue galee e moltissime imbarcazioni tanto da sembrare una città sul mare.
Prima di Portofino un altro piccolo borgo aveva ospitato il papa per sosta forzosa infatti, poco dopo Marsiglia, si fermò alcuni giorni a Villefranche, a causa di una tempesta. Ripartito si fermò a Genova per undici giorni, dove celebrò la festa dei Santi Simone e Giuda. Quindi l’episodio portofinese e la visita alla Cervara: “ivit ad quoddam monasterium monachorum nigrorum, quod vocatur Sancti Hieronymi et distat a portu per tria milliaria; ubi celebravit et fuit factum officium solemniter”.
La presenza papale nel monastero fu occasione di gioia della comunità per quell’inaspettata speciale festa di Tutti i Santi; una lapide ricorda l’evento anche nel monastero. San Gerolamo della Cervara all’epoca della visita di Gregorio XI era un’istituzione benedettina in vigore da quindici anni, essendo stata fondata nel 1361 sotto l’impulso dell’allora vescovo genovese Guido Scetten.
Il viaggio di Gregorio XI continuò con altre soste, fu a Natale a Corneto (Tarquinia) e giunse trionfalmente a Roma il giorno 17 gennaio 1377. La parte romana della sua vita fu breve; un biografo lo descrive indebolito dal viaggio e carico di preoccupazioni, fino alla morte avvenuta la notte tra il 26 e il 27 marzo 1378.
A cura di Carlo GATTI
Rapallo, 16 Gennaio 2020
Nota bibliografica
B. Guillemain, Il papato ad Avignone in Storia della Chiesa (vol. XI) a cura di A. Fliche-V. Martin, Milano, 1994
L. A. Muratori, Vitae Romanorum Pontificum a sancto Petro usque ad Innocentium VIII in Rerum italicarum scriptores, Milano, 1734 (ristampa anastatica 1983)
LA CERVARA - ABBAZIA -S.Gerolamo al Monte di Portofino
LA CERVARA
ABBAZIA DI SAN GIROLAMO AL MONTE DI PORTOFINO
(XIV-XX SECOLO)
La posizione panoramica della Cervara, Abbazia di San Girolamo al Monte di Portofino, a picco sul mare tra Santa Margherita Ligure e Portofino rappresenta l’incontro tra il cielo ed il mare, tra la fede e l’umanità. Si tratta di una Abbazia che ha le caratteristiche di una fortezza con compiti di vedetta e difesa contro gli attacchi improvvisi dei saraceni.
In questa fotografia scattata da un drone, si nota la sua vicinanza a Portofino sullo sfondo.
Ma quando ci si rende conto che l'antico edificio di origine trecentesca è, in realtà, circondato da un meraviglioso giardino monumentale all'italiana, l'unico della Liguria, il desiderio di raggiungerla e visitarla si fa ancora più forte. Sebbene, infatti, il complesso abbaziale abbia conosciuto, nel corso dei secoli, periodi di alterne fortune, il recente restauro ne ha fatto oggi un luogo di grande fascino che, non a caso, si è trasformato in un'ambita location per eventi privati, meeting, concerti e convegni. Con il valore aggiunto di poter accogliere i propri ospiti per la notte in una delle 9 stanze ricavate nell'edificio principale dell'Abbazia e nell'antica Torre Saracena.
Il complesso abbaziale é qui visibile nella sua interezza. Ai suoi piedi sul mare, lo scoglio della CAREGA sovrastato dal Pino di Aleppo ancora in salute (?) dopo la recente mareggiata. Sullo sfondo a sinistra il Castello che ospita le famiglie Berlusconi.
L'Abbazia della Cervara, o Abbazia di San Girolamo al Monte di Portofino, è un ex complesso monastico, luogo di culto cattolico. Nel medioevo questo luogo, come tutto il tratto di costa affacciata sul golfo del Tigullio che scende a picco sul mare verso Portofino, era detto Silvaria (da silvas, la parola latina che significa "boschi"), perché era fitto di vegetazione. Il termine Silvaria venne poi italianizzato in "Cervara".
L’Abbazia di S. Gerolamo della Cervara é il tipico luogo in cui il tempo si è fermato ed invita a riscoprire la sua secolare storia. Con questa magica idea si sentono risuonare secoli di storia nelle sale e negli splendidi giardini. La Cervara risale al 1361, quando fu iniziata la costruzione di un monastero di San Girolamo. Si racconta che sia stato visitato da religiosi e persone celebri: dal sommo Petrarca a Santa Caterina da Siena e a numerosi papi, dal condottiero Giovanni d’Austria al letterato Piccolomini e allo scienziato Marconi. Ma le tracce più significative furono lasciate da Francesco I, il re di Francia, sconfitto e imprigionato nella torre a strapiombo sul Golfo del Tigullio.
Chi entra per la prima volta nell'abbazia della Cervara ha immediatamente la sensazione di scoprire un luogo selvaggio e solitario che pare essere il posto ideale per la meditazione e la preghiera. Questa percezione attirò l'interesse di Padre Lanfranco di San Siro, che vi soggiornò per qualche tempo. Fu lui ad avere l'idea di edificare un monastero di Benedettini nell'antica Villa della Cervara. Il 18 marzo 1360 i monaci Certosini, proprietari del terreno, acconsentirono alla vendita, e in pochi anni, con l'aiuto dell'arcivescovo di Genova Guido Scetten, venne fondato il monastero dedicato a San Gerolamo del Deserto.
ARTE
Nel 1506, Vincenzo Sauli commissionò al noto pittore fiammingo Gerard David un superbo polittico per l'altare maggiore della chiesa di cui la famiglia ottenne il giuspatronato. Il polittico, oggi smembrato in tre parti, é custodito rispettivamente al museo genovese di Palazzo Bianco, al Louvre e al Metropolitan Museum di New York, raffigura la Madonna con il Bambino, San Mauro e San Gerolamo, l'Annunciazione, la Crocifissione e Dio.
Dal punto di vista della storia dell'arte il monastero divenne il simbolo della diffusione della cultura fiamminga in Liguria, fatto di cui si ricorda anche il trittico portatile con l'Adorazione dei Magi (ora conservato nelle sale di Palazzo Bianco a Genova) di Pieter Coeke van Aelst, autore fiammingo della metà del Cinquecento, attivo ad Anversa, che stilisticamente guarda al manierismo italiano.
“I tre scomparti compongono uno spazio unitario, reso continuo dallo scorcio del pavimento, dalla struttura architettonica del trono e dall’arazzo “millefiori” che fa da sfondo alla Vergine e alle figure dei due santi. Questo tipo di arazzo veniva ritenuto metafora del Paradiso, popolato dalle diverse categorie di eletti – ai martiri alludono le rose, ai confessori le viole, i gigli alle vergini – e contribuisce a connotare come paradisiaco lo spazio che accoglie i sacri personaggi.
Al centro, assisa su un trono, Maria tiene in braccio Gesù e lo aiuta a staccare un acino da un grappolo d’uva, che allude al sacrificio della croce e al vino eucaristico salvezza. La gemma che riluce in fronte alla Vergine, applicata a una striscia di tessuto prezioso su cui è ricamato l’incipit dell’Ave Maria, allude alle parole del Salmista: “Vergine regale, ornata delle gemme di tante virtù, luminosa per lo splendore dello spirito e del corpo”, mentre la regalità di Maria, che le deriva dall’appartenere alla stirpe di David e dall’essere madre e sposa del Re dei Cieli, è ribadita dai versi del Salve Regina, ricamati in caratteri aurei lungo l’orlo del manto.
Il gesto della Madre e il suo apparente distacco sono segno della dolorosa accettazione del destino che attende il figlio così come lo sguardo di Cristo, unico fra tutti gli attori di questa silenziosa e solenne scena che fissi gli occhi dello spettatore, rammenta che per la salvezza di ciascuno Egli verserà il suo sangue”.
LA CHIESA ED IL CHIOSTRO
L’Abbazia vista dal lato di Levante
Interno della chiesa – Navata centrale
La pianta della chiesa è a croce latina; la sua abside inclinata é resa suggestiva dalla caratteristica abside inclinata che simula il capo reclinato di Cristo.
Le colonne che separano le tre navate appaiono essere costruite con blocchi alternati ardesia e marmo, nel tipico stile architettonico ligure, sono in realtà di mattoni ricoperti da intonaco bicolore.
Il chiostro è di forma quadrangolare a due ordini di volte.
La camera che ospitò papa Pio VII reduce da Savona
Durante i recenti lavori di restauro è stata scoperta una sepoltura che, con ogni probabilità, è dell’Arcivescovo di Genova Guido Scettin, poeta e letterato, compagno di studi e amico di Francesco Petrarca.
La Cervara è da sempre avvolta da un alone di fascino misterioso
Giardino monumentale all’italiana
LA STORIA DELLA CERVARA
Il luogo selvaggio e solitario dove sorge l'abbazia, ideale per la vita monastica, semplice e appartata, impregnata di meditazione e di preghiera, attirò l'interesse di Padre Lanfranco di San Siro, che qui soggiornò per qualche tempo. Fu lui ad avere l'idea di edificare un monastero di Benedettini nell'antica villa della Cervara. L’originaria costruzione fu innalzata il 18 marzo 1360 dai monaci Certosini di San Bartolomeo di Rivarolo, proprietari del terreno. In questo primo periodo di grande prosperità, il convento acquisì un notevole patrimonio immobiliare e, in pochi anni, con l'aiuto dell'arcivescovo di Genova Guido Scetten, venne fondato il monastero dedicato a San Gerolamo del Deserto.In breve il monastero divenne un'importante congregazione benedettina e nelle sue sale molti sono gli ospiti illustri che vi soggiornarono: nel 1376, su consiglio di S. Caterina da Siena, in contatto epistolare con il priore del monastero, Papa Gregorio XI si fermò alla Cervara durante il suo trasferimento da Avignone a Roma, vi officiò messa solenne e concesse al monastero privilegi papali. Nel 1496 vi soggiornò Massimiliano I Imperatore d'Austria, chiamato in Italia da Ludovico il Moro. Nel 1525 fu la volta di Francesco I di Valois, in un soggiorno forzato nella torre prigione, dopo la sconfitta di Pavia ad opera di Carlo V, prima del suo trasferimento verso la Spagna.
La storia della Cervara alterna periodi di grande gloria e potere ad altri di declino: all'inizio del '400 venne gravemente danneggiata durante il conflitto tra Guelfi e Ghibellini. Nel 1435 il pontefice Eugenio IV fa eseguire alcune restaurazioni, dando facoltà ai monaci benedettini della Cervara di assolvere usurai e ladri, purché, pentiti, facciano una congrua offerta al monastero. Grazie alla protezione del Papa il monastero rifiorisce, incorporando il cenobio di S. Fruttuoso ormai decaduto dagli antichi splendori, e radunando i maggiori monasteri del nord Italia.
Nel 1546 il priorato della Cervara venne innalzato al rango di abbazia da Papa Paolo III.
Nel 1550 iniziò la costruzione del chiostro, mentre nel 1553 iniziò quella di una poderosa torre difensiva in asse con l'ingresso della chiesa. Il manufatto riprende tutti gli elementi tipici delle torri di difesa e avvistamento; è purtroppo completamente perduto il grande affresco raffigurante San Gerolamo, che lo arricchiva sulla facciata prospiciente la chiesa.
Nel corso del XVII secolo, grazie alla munificenza della famiglia Sauli, furono effettuati più interventi di rimaneggiamento su tutto il complesso.
A seguito della democratizzazione della Repubblica di Genova, nel 1797 e della successiva nazionalizzazione dei beni degli enti religiosi, anche il complesso della Cervara subì una decisa spoliazione. I beni dell'abbazia furono distribuiti alle chiese parrocchiali della zona: in particolare molti degli arredi e degli apparati liturgici furono trasferiti alla chiesa di Nozarego e sono attualmente esposti al museo diocesano di Chiavari.
In seguito a violente scorrerie viene fortificata con torri di difesa e subisce notevoli trasformazioni architettoniche, fra cui la costruzione dei chiostri.
Nel 1798 comincia una rapida decadenza: in seguito alla soppressione delle corporazioni religiose, voluta dalla Rivoluzione Francese, il monastero viene abbandonato, saccheggiato, ridotto a casa colonica e abitazione.
Nel 1804 il complesso viene affidato ai frati trappisti che vi aprono una scuola; le difficili situazioni politiche, determinate da Napoleone, costringono però i frati ad andarsene, lasciando ricadere il monastero nell'abbandono e nella rovina.
Nel 1868 il complesso venne acquisito dal marchese Giacomo Durazzo, che ne eseguì importanti lavori di recupero e decise poi di venderlo ai Padri Somaschi, affinché la presenza dei religiosi potesse riportare il monastero a rivivere gli splendori del passato.
Nel 1901 il convento venne occupato dai Certosini di Montrieux (tra Marsiglia e Tolone) che vi rimarranno fino al 1937 quando la Cervara venne acquistata dai conti Trossi. Venne dichiarata monumento nazionale nel 1912.
Successivamente, i Padri Somaschi vendettero la Cervara a un gruppo di Certosini provenienti dalla Francia: i nuovi monaci ebbero gran cura dell’abbazia e anche del suo giardino, ma furono costretti a vendere nel 1937, anno in cui la Cervara fu definitivamente destinata a dimora privata.
Nel 1990 venne acquistata dall’attuale proprietà e divenne oggetto di consistenti lavori di restauro portati avanti con la supervisione della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici della Liguria.
Il complesso è circondato da un incantevole giardino monumentale, anticamente orto dei monaci, esteso su due livelli, entrato a far parte del circuito dei grandi Giardini Italiani.
Oggi la Cervara è sede di rilevanti eventi culturali. E’ inoltre possibile organizzarvi riunioni, feste, incontri di lavoro e ogni altro tipo di evento.
LA TORRE SARACENA
La Cervara diventa Abbazia nel 1546: in seguito a violenti attacchi viene fortificata con torri di difesa e subisce notevoli trasformazioni architettoniche, fra cui la costruzione dei chiostri.
“Una prigione niente male”. Deve aver pensato re Francesco I di Francia quando, sconfitto a Pavia nel 1525 dalle truppe di Carlo V di Spagna fu costretto alla prigionia nella piccola torre a strapiombo sul mare dell’Abbazia di Cervara. E' questo, infatti, uno dei panorami più belli sulla baia di Portofino, un punto strategico da cui un tempo si scrutava il mare per difendersi dai possibili attacchi dei nemici e da cui oggi guardano alcune delle camere che fanno della Certosa una romantica “maison de charme”.
I GIARDINO DEL COMPLESSO DELLA CERVARA
Nato come hortus di un’Abbazia benedettina, possiede uno dei rari giardini monumentali in Liguria, con pergole e terrazze a picco sul mare di Portofino. Tra le rarità botaniche un secolare albero del pepe e un glicine viola pluricentenario.
Il giardino de La Cervara rappresenta l’unico giardino storico in Liguria che si affaccia sul mediterraneo ed ha una struttura all’italiana. Di solito un giardino non è mai situato direttamente a picco sul mare, poiché i fiori e le piante sono danneggiati dalla salsedine. Invece il giardino all’italiana del complesso della Cervara, fiorisce splendido sul mare del Tigullio. Visitando ogni suo angolo si ha la netta sensazione di essere circondati dal mare ma sempre immersi in un’oasi di verde unica e originale.
Giardino all’italiana visto da un’altra prospettiva
In questa immagine ripresa da un drone, il complesso abbaziale svela anche i suoi segreti architettonici visti dalla prospettiva collinare.
Nella parte a monte, si trova un altro giardino, ricavato da un terreno una volta coltivato a fasce, da dove si perde la vista del giardino monumentale, ma non quella del mare, e si guadagna la cornice della caratteristica macchia mediterranea: l'antico bosco mediterraneo è pieno di aromi e di fruscii. Il leccio domina incontrastato nella macchia, il pino d’Aleppo, il lentisco, il viburno, il corbezzolo e tutte le altre essenze gli fanno corona. Ognuno si è ritagliato una nicchia nella quale prospera e fiorisce. Sempre nella parte rivolta verso il monte, è stato mantenuto il tradizionale orto in cui i monaci, fin dal medioevo coltivavano i "semplici" (varietà vegetali con virtù medicamentose), piante officinali ed erbe aromatiche del promontorio di Portofino; basse siepi di bosso riquadrano particelle che alternano tali coltivazioni a rari esemplari di agrumi in vasi di cotto, come era tradizione nelle abbazie.
Una porzione del giardino in cui sono coltivati, tra gli altri, il cedro pane, il limone ritorto, il limone fiorentino, il bergamotto, il chinotto, l’arancio amaro, il pompelmo, il calamondino variegato, il nadarino cinese o Nagami, la fortunella ovale, e le “mani di Buddha”.
(sopra e sotto) La statua del putto
Il giardino dei semplici
LA STATUA DEL PUTTO
Intorno al giardino e all'edificio principale, terrazze e giardini si alternano incorniciati da pergole, colonne dipinte o di mattone, piante rare e fioriture eccezionali che si rubano l'attenzione a seconda della stagione: una ombreggiata corte prende il nome da una ultra secolare e di dimensioni monumentali pianta di glicine. Le colonne del giardino superiore sono interamente ricoperte da gelsomino profumato la bougainvillea, i rari caperi rosa, la bigonia, l’uva, l'albero del pepe rosa, le camelie, le rose, le ortensie, le sterilizie e diverse altre specie.
Il giardino "dei Semplici" e quello "delle Esperidi"
Il giardino delle Esperidi è un luogo leggendario della mitologia greca. Era stato donato da Gea a Zeus che, a sua volta, lo aveva dato ad Era come regalo nuziale ed in esso cresceva un melo dai frutti d'oro che era custodito dal drago Ladone e dalle tre Esperidi.
Nell’Eden in cui siamo immersi, la vita brulica di esseri grandi e piccoli: dalla rara splendida farfalla Charaxes jausius che si nutre solo delle foglie dell’Arbutus unedo, all’upupa schiamazzante, dell’Arbutus unedo, ad una schiera di altri svariati uccelli presenti, ma assolutamente invisibili. S'intravedono le tracce della volpe e quelle inequivocabili del cinghiale.
… angoli di paradiso…
… quando anche i profumi si sposano…
… senza parole…
LA CERVARA OGGI
Il progetto di recupero
Nel 1990 Gianenrico Mapelli acquista l'abbazia e dà inizio ad un’opera di restauro senza precedenti che restituisce al monastero la sua antica bellezza. Grazie alla Cooperativa Arti e Mestieri, ogni prima e terza domenica del mese è possibile visitare questa splendida abbazia e suoi giardini all'italiana. La visita, guidata da storici dell'arte, inizia dal seicentesco portale, da dove è possibile godere di un panorama che abbraccia tutto il Golfo del Tigullio. Dal cortile, con la cinquecentesca torre di difesa assai simile a quella dell'abbazia di San Fruttuoso di Camogli, si raggiunge il chiostro inferiore e la cappella, passando per la porticina dei monaci. Ad accompagnare questa parte della visita c'è un sottofondo di musica sacra che ci rimanda ad atmosfere lontane di vita quotidiana dei monaci. Splendido il giardino superiore, formato da 60 pilastri ricoperti da gelsomini e buganvillee. Inoltre, è possibile visitare la nuova "sala della colonna", un ambiente sotterraneo, forse antica cripta o primitiva fondazione monastica che ospiterà l'archivio storico del monastero.
Suite rifinite con tessuti pregiati, pavimenti in ardesia o legno e mobili antichi, ricavate oltre che nella Torre Saracena nel corpo centrale dell'Abbazia. Ambienti dove si respirano tutti i sette secoli di storia de La Cervara.
Dal cortile, con la cinquecentesca torre di difesa assai simile a quella dell'Abbazia di San Fruttuoso di Camogli, si raggiunge il chiostro inferiore e la cappella, passando per la porticina dei monaci. Bello il giardino superiore, formato da 60 pilastri ricoperti da gelsomini e buganvillee. E' possibile anche visitare la nuova "sala della colonna", un ambiente sotterraneo, forse antica cripta o primitiva fondazione monastica che ospiterà l'archivio storico del monastero.
I lavori condotti alla Cervara, dichiarato Monumento Regionale della Liguria nel 1996, si sono svolti sotto la supervisione della Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici, che si sono avvalsi dell'intervento di Pinin Brambilla Barcilon, la celebre restauratrice del Cenacolo di Leonardo.
Per chi desiderasse ammirare questi capolavori dell'uomo e della natura, la Cervara apre le porte al pubblico durante la bella stagione, da marzo a ottobre, prima e terza domenica del mese alle 10.00, alle 11.00 e alle 12.00, offrendo ai visitatori l'opportunità di esplorarla su prenotazione attraverso interessanti visite guidate che portano alla scoperta dei suoi angoli più belli. Fiore all'occhiello dell'elegante complesso panoramico è proprio il giardino monumentale. Un magnifico spazio verde su due livelli collegati da una rete di pergole e gradini di raccordo. Non è affatto un caso se nel 2012 La Cervara è stata insignita del primo premio Grandi Giardini Italiani per il più alto livello di manutenzione, buon governo e cura di un giardino visitabile. Grazie alla realizzazione di una nuova terrazza dedicata, la massiccia opera di restauro ha saputo valorizzare a pieno il sistema di terrazze esistenti ed il prezioso glicine monumentale. E grazie al contributo di un gruppo di stagisti della Fondazione Minoprio il giardino è stato arricchito di una importante collezione di piante mediterranee.
ULTERIORI ISTRUZIONI PER LA VISITA DELLA ABBAZIA
Una guida della Regione Liguria ti accompagnerà a scoprire i segreti del giardino e dell’Abbazia della Cervara.
Le visite guidate sono alle ore 10.00, 11.00 e 12.00
Puoi prenotare anche chiamando il Numero verde 800-652110 oppure inviando una mail a visite@cervara.it
Visite guidate istituzionali
Biglietto intero Euro 12,00 | Biglietto ridotto Euro 10,00 (aderenti Fai, Touring Club e over 65)
Biglietto omaggio per i ragazzi sotto i 14 anni (accompagnati da un adulto).
Le visite alla Cervara si tengono sempre, da marzo a ottobre, la prima e la terza domenica del mese. Calendario delle visite guidate: http://www.cervara.it/visite/calendario-sante-messe-e-visite-guidate?mc_cid=1bcb614f39&mc_eid=bf942c865c
Gruppi
Con un minimo di 30 persone e prenotazione obbligatoria, è possibile visitare l’Abbazia ogni giorno dell’anno accompagnati da guide accreditate anche in lingua inglese, tedesca, spagnola e francese.
È inoltre possibile far seguire alle visite un aperitivo o un pranzo a buffet.
La Cervara - Una gita a - L'abbazia di Cervara https://www.giardinaggio.it/giardinaggio/una-gita-a/la-cervara.asp#ixzz6AqPnlp9H
Bibliografia
Guida d’Italia – Liguria – Touring Club Italiano
LIGURIAN GARDENS
Fiori di Liguria – G.Nicolini – A.Moreschi
Musei di Genova
Città Metropolitana – Fuori Genova
Genovagando furiporta
Associazioni Albergatori
Wikipedia
Visite Guidate all’abbazia della Cervara
FlorArte
Turismo.it
Turismo in Liguria
Mondointasca – Turismo e cultura del viaggiare
Tigullio news
VANITY FAIR
La maggiorana – Persa
Protagonisti alla Cervara
CARLO GATTI
Rapallo, 15 Gennaio 2020