JOSEPH CONRAD UN ESPLORATORE DELLO SPIRITO MARINARO

JOSEPH CONRAD

UN ESPLORATORE DELLO SPIRITO MARINARO

 

PRIMA PARTE

Il 17.2.2012 dedicai un articolo per Mare Nostrum al veliero NARCISSUS il cui capitano, Joseph Conrad, divenne il celebre scrittore che tutti noi conosciamo. Sullo sfondo del racconto emerge il dipinto del famoso veliero (opera dell’artista G. Roberto) che é appeso sui muri della fede nel santuario di Montallegro (tanto caro a Emilio Carta), ma sulle vele di quel VELIERO c’é anche il marchio della marineria camoglina che porta il nome di Vittorio Bertolotto che ne fu il suo ultimo armatore.

 

NARCISSUS - IL VELIERO CHE NON VOLEVA MORIRE - di J. CONRAD

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=180;narcissus&catid=36;storia

 

SECONDA PARTE

IL NEGRO DEL NARCISSUS di Joseph CONRAD

Avventura e metafore di vita ancora attuali in un racconto autentico e avvincente

Nel sottotitolo della copertina c’é la chiave di lettura della SECONDA PARTE del nostro lavoro. Secondo i critici e gli studiosi, il racconto è visto come un’allegoria del tema della solidarietà e dell’isolamento, con il microcosmo della nave che rappresenta una versione in scala ridotta della società umana.

“The Nigger of the Narcissus”- (A Tale of the Sea), è un racconto di Conrad del 1897 considerato come l’inizio della sua carriera letteraria. Lo si indica talvolta come rappresentante dell’impressionismo in letteratura: il mare e le navi con i suoi equipaggi sono spesso raccontati, ieri come oggi, dai pennelli di grandi artisti che sanno cogliere lo spirito avventuroso dei marinai. La prefazione, scritta direttamente dall’autore, è considerata una sorta di manifesto letterario di Conrad.

Il protagonista, James Wait, è un marinaio nero delle Indie Occidentali imbarcato sul veliero mercantile “Narcissus”, lo scenario è la navigazione tra Bombay e Londra. Durante il viaggio Wait viene colpito da una grave malattia polmonare (tubercolosi?), forse contratta poco prima dell’imbarco. Cinque membri dell’equipaggio rischiano la vita per salvarlo durante una tempesta, al contrario il Capitano Allistoun ed il vecchio marinaio Singleton dimostrano freddezza e indifferenza preferendo concentrarsi sulle proprie funzioni di governo della nave

Ma chi era Joseph Conrad ?

(1857-1924)

Vita–e-Opere


Joseph Conrad Theodor Naleçs Korzenioowski nasce da genitori polacchi nella Ucraina occupata dai russi nel 1857. Nel 1868 i suoi genitori muoiono e lui va a vivere con uno zio che aveva una grande passione per la letteratura inglese. All'età di diciassette anni viene impegnato sulle navi francesi come marinaio e visita le Indie Occidentali e l’America Latina. Nel 1878 lo scrittore si reca in Inghilterra per la prima volta e nel 1886 ottiene la cittadinanza britannica, cambiando il suo nome in Joseph Conrad.

Il Capitano-scrittore serve per sedici anni nella Marina mercantile britannica prima di ritirarsi nel 1894. Nel 1883 fa parte dell’equipaggio della nave Narcissus a Bombay, un viaggio che ispirerà il suo romanzo del 1897 Il Negro del Narcissus.

Nel 1889, Conrad soddisfa il suo sogno raggiunge lo Stato Libero del Congo. Diventa Capitano di un battello a vapore in Congo, e assiste ad atrocità che sono riportate sia in Diari del Congo e in Cuore di tenebra nel 1902.

Gravemente malato, è costretto a lasciare il mondo delle navi e nel marzo 1896 si sposa con una signorina inglese, Jessie George. Vivranno per lo più a Londra e vicino a Canterbury, Kent. La coppia avrà due figli. Muore nel 1924. Le sue esperienze sul mare - la solitudine, la corruzione e la spietatezza umana - convergono a formare una visione cupa del mondo. Alla popolarità di Conrad non corrispose un analogo successo finanziario, la sua salute fu cagionevole ma molto intensa dal punto di vista letterario per il resto della sua vita. Questo scrittore di mare si é calato come pochi nell’animo umano in quella platea composita degli uomini di mare obbligati a convivere tra razze e religioni diverse, tra culture e opinioni politiche opposte. Ancora oggi i suoi libri sono studiati nelle maggiori università del mondo nelle facoltà di psichiatria. Morì nel 1924 per arresto cardiaco e fu seppellito nel cimitero di Canterbury (Kent, England), col nome di Korzeniowski

Conrad ha scritto tredici romanzi, ventotto racconti, due volumi di memorie e un gran numero di lettere. Tra le sue opere più significative sono
La Follia di Almayer (Almayer’s Folly, 1895).

Un reietto delle isole (An Outcast of the Island,s 1896), sullo sfondo di in paesaggi esotici uomini emarginati sono distrutti da sogni di potere e di ricchezza.
Il Negro del Narcisso (The Nigger of the Narcissus, 1897) è la storia di un marinaio nero morente su una nave e il comportamento del personale di bordo.
Gioventù (Youth, 1902) è il racconto di un lungo viaggio che diventa simbolo del passaggio dalla giovinezza alla maturità.

Cuore di tenebra (Heart of Darkness, 1902) è un romanzo che racconta un viaggio sul fiume Congo per salvare un commerciante d'avorio.
Tifone (Typhoon, 1903) parla di un capitano che riesce a guidare la sua nave durante un tifone.

Lord Jim, (1900) narra di un uomo che, dopo una vita vile, si redime con una morte eroica.

Nostromo (1904) è un romanzo politico ambientato durante la rivoluzione americana.

L'agente segreto (The Secret Agent, 1907), storia di una spia mediocre che costringe il fratello di sua moglie a un atto di terrorismo.
Sotto gli occhi dell'Occidente (Under Western Eyes, 1911) racconta il conflitto interiore di un rifugiato russo in Svizzera.
Chance (1913) è insolitamente centrata su un personaggio femminile, che sposa un capitano di aiutare il padre imprigionato; la narrazione è complessa con diversi narratori prendono e vari punti di vista.
Vittoria (Victory, 1915) è un romanzo tragico nei mari del Sud.
La Linea d’ombra (The Shadow Line, 1919) riferisce di un viaggio difficile, simbolo della crescita di un giovane uomo.


“Il mare si stendeva lontano, immenso e caliginoso, come l’immagine della vita, con la superficie scintillante e le profondità senza luce”
J. Conrad


Monumento a Joseph Conrad a Gdynia, sulla costa del mar Baltico in Polonia


Era calmo, freddo, imponente, maestoso. I marinai si erano avvicinati e stavano alle sue spalle. Sovrastava il più alto di mezza testa. Rispose: ‘Faccio parte dell’equipaggio.’ Scandì le parole con sicurezza e decisione. Il tono profondo e sonoro della sua voce si diffuse sul cassero nitidamente. Era beffardo per natura, come se dall’alto della sua statura, avesse contemplato tutta l’entità della follia umana e si fosse convinto di voler essere tollerante.



Secondo la critica più autorevole, il romanzo è un'allegoria sul tema della solidarietà e dell'isolamento, con il microcosmo della nave a rappresentare una versione in scala ridotta della società umana.

Il “Negro del NARCISSUS è una storia di mare ma è anche un’indagine sulla natura psicologica dell’uomo che reagisce con le sue passioni nello stesso contesto dove altri uomini pensano ed agiscono secondo le loro origine antropologiche.

La descrizione della tempesta raggiunge la bellezza dei grandi poeti antichi, ma il fortunale è anche nei cuori dell’equipaggio.

Il gigantesco marinaio negro Jimmy Wait imbarca sul Narcissus che é in partenza da Bombay per Londra. Il nativo delle West Indies si ammala pochi giorni dopo la partenza. A bordo emerge subito il dubbio che fosse già ammalato o peggio ancora che stia fingendo... Tante domande, nessuna risposta!

Il NARCISSUS fa rotta contro una furiosa tempesta sull’ormai vicino Capo di Buona Speranza. La navigazione si fa difficile e la malattia di Jimmy peggiora. Quando la tempesta si scatena in tutta la sua violenza le condizioni di Jimmy si aggravano e la sua sorte sembra segnata, ma nessuno capisce se la tempesta sta inseguendo proprio il povero Jimmy oppure la nave.

“Lo curiamo o le gettiamo in mare?” Pare essere questo l’atteggiamento dell’equipaggio che é vittima dell’irrazionale paura d’incorrere nell’eventuale contagio di un cadavere a bordo!

A bordo del Narcissus scrive Conrad “La falsità trionfava. Trionfava grazie al dubbio, la dabbenaggine, la pietà, il sentimentalismo… La pervicacia con la quale Jimmy si ostinava nel suo atteggiamento insincero di fronte alla verità inevitabile, aveva le proporzioni di un enigma mostruoso, di una manifestazione iperbolica che a volte suscitava un meravigliato, timoroso stupore… L’egoismo latente che si annida in tutti noi di fronte alla sofferenza si rivelava nella crescente preoccupazione che ci rodeva nel non volerlo veder morire… Era assurdo al punto da sembrare ispirato. Era unico e affascinante… Stava diventando irreale come un’apparizione… La sua presenza ci avviliva, ci scoraggiava…”.

Il capitano Alliston, da abile uomo di mare, salva la nave con i suoi ordini decisi e precisi, mostra grande coraggio nell’infondere all’equipaggio quella sua stessa forza che diventa decisiva per salvarsi.

Con il suo romanzo Conrad sembra dirci che la tempesta è necessaria per rivelare ad ognuno la sua parte più profonda, per ricordare ad ogni uomo la piccolezza della natura umana.

“Agli uomini ai quali, nella sua sdegnosa misericordia, esso concede un istante di tregua, il mare immortale offre nella propria giustizia, e pienamente, il privilegio, ambito del resto, di non riposare mai. Nell’infinita saggezza della sua grazia non consente loro di poter meditare con calma sull’acre e complesso sapore dell’esistenza, per tema che abbiano a ricordare e forse a rimpiangere la ricompensa di una tazza d’ispiratrice amarezza, tanto spesso assaggiata e altrettanto spesso sottratta alle loro labbra già irrigidite, ma pur sempre riluttanti. Questi uomini devono senza un istante di requie giustificare la propria vita all’eterna pietà…”.

Conrad non troverà mai le risposte alle sue domande esistenziali…

in balia del grande mare …del mare che tutto sapeva, e che avrebbe col tempo infallibilmente svelato a ciascuno la saggezza nascosta in ogni errore, la certezza latente del dubbio, il regno della salvezza, e della pace al di là delle frontiere del dolore e della paura”.

La visione che Conrad ha della nave e del suo equipaggio è racchiusa nelle righe che seguono e che svelano il segreto di quel delicato equilibrio che ognuno a bordo deve stabilire con sé stesso e con gli altri; si tratta dell’unico target che nessuno t’insegna a terra perché appartiene al mondo del mare: partire ed arrivare in sicurezza! Il traguardo lo si può raggiungere soltanto con quella disciplina interiore che nasce e si sviluppa nel rispetto e nella paura del Dio Mare. Forse è questo il vero collante dell’equipaggio per la riuscita della spedizione: uomini di mare, difficili da guidare ma facili da esaltare!

Il marinaio anche se rozzo ed ignorante quando entra in sintonia con il giusto spirito marinaresco diventa un professionista insostituibile nella sua mansione.

 

“(…) la nave, frammento staccato dalla terra, correva solitaria e rapida come un piccolo pianeta. Intorno ad essa gli abissi del cielo e del mare si univano in una irraggiungibile frontiera. (…) Essa aveva il suo futuro; viveva della vita di quegli esseri che si muovevano sopra i suoi ponti; come la terra che l’aveva confidata al mare, essa trasportava un intollerabile carico di speranze e di rimpianti … Essa correva schiumeggiando verso il Sud, come guidata dal coraggio di un’altra impresa. La ridente immensità del mare rimpiccioliva la misura del tempo. I giorni volavano uno dietro l’altro, rapidi e luminosi come il guizzare di un faro, e le notti, movimentate e brevi, parevano fuggevoli sogni..."

 

Qualcuno ha scritto con molta acutezza:

“Amato e odiato, James Wait lascia la terraferma per non ritrovarla più, perché certi viaggi durano per sempre, soprattutto quando resi immortali da una penna sincera, al punto da risultare crudele, come quella di Joseph Conrad”.

“Mentre odiavamo James Wait. Non riuscivamo a liberarci dal sospetto orribile che quel negro sorprendente facesse finta di essere malato, fosse stato testimone insensibile della nostra fatica, del nostro disprezzo, della nostra pazienza, e ora insensibile alla nostra solidarietà di fronte alla morte. Il nostro senso morale, per quanto imperfetto e vago, reagì con disgusto di fronte alla sua vile menzogna. Ma lui continuava a sostenere il suo ruolo con coraggio sorprendente. No! Non era possibile. Era stremato. Il suo temperamento insopportabile era solo il risultato dell’ossessione invincibile della morte che sentiva prossima. Chiunque si sarebbe indignato per una simile imperiosa compagna. Ma allora che razza di uomini eravamo noi con i nostri sospetti! Indignazione e dubbio erano in conflitto dentro di noi, travolgendo ogni nobile sentimento. E noi lo odiavamo a causa del nostro sospetto, lo detestavamo a causa del nostro dubbio. Non potevamo disprezzarlo impunemente e neppure compiangerlo senza ledere la nostra dignità. Così lo odiavamo e ce lo passavamo con cura di mano in mano”.

Per gli appassionati lettori di Conrad aggiungo anche LA LINEA D’OMBRA: “Come in guerra, anche sulla nave, l'unica speranza di salvezza sta nel fare con abnegazione e sacrificio ognuno la propria parte”.

Pochi giorni fa sono stato invitato a partecipare a un gioco su F/B: postare per 10 giorni dieci copertine di libri che ho amato particolarmente, senza spiegarne il perché.

Martedì ho scelto The Nigger of the NARCISSUS per la reminiscenza del suo messaggio morale che mi rimase impresso come l’allegoria della solidarietà….

Oggi stiamo vivendo la storia della pandemia Covid-19, e ho rivisto il negro James Wait, il misterioso reietto del Narcissus, ricoverato in una delle nostre RSA per gli anziani. La sua sorte é segnata perché una società “malata, cinica e crudele” ha deciso che la morte sia la soluzione di tanti problemi reali e psicologici. Una sorte di liberazione che in breve tempo sarà archiviata e dimenticata nelle celebrazioni che seguiranno la VITTORIA sul Virus…

The show must go on nella sua eterna attualità!

Vi segnalo un approfondimento su questo tema.

La strage silenziosa di anziani nelle RSA - “Macelleria messicana” nelle residenze per anziani

“Persone fragili, alcune anche affette da altre patologie, diventate terreno fertile per il virus che sta mettendo in ginocchio l’Italia. Uomini e donne che per troppo tempo hanno dovuto subire il triste clichè che toglieva dignità alle loro vite. "Tanto muoiono solo i vecchi", pensavano in tanti. Era come diventato una sorta di scudo per chi ancora si aggirava per le strade delle città indisturbato, senza protezioni, convinto che, quella del coronavirus, fosse tutta una bufala gonfiata dai media. Eppure, nonostante gli anziani fossero già stati individuati come la preda più facile da attaccare per il virus la realtà sembra raccontare che qualcuno non li ha protetti abbastanza”.

Termino proponendovi l’articolo di una brava giornalista che senza citare IL NEGRO DEL NARCISSUS ne é comunque una fedele interprete.

 

Redazione CDN (Calabria Diretta News)

21 Aprile 2020

Non c’è la violenza, non c’è la premeditazione, non c’è l’orrore del sangue ma quella che si va consumando nelle residenze per anziani è una mortalità che evoca gli stermini della rivoluzione messicana, diventati metafora di ogni mortalità di massa ingiustificata, incontrollata e incontrastata.

Non è soltanto la vicenda di Villa Torano col suo crescente numero di contagiati, dentro e fuori la struttura, con i comportamenti omissivi, le negligenze del personale, la superficialità irresponsabile della gestione, le compiacenze con la Protezione Civile e il Mater Domini di Catanzaro a rappresentare il luttuoso fenomeno di una mortalità anagrafica. E’ tutta l’Italia che rivela nei confronti delle residenze per anziani un atteggiamento di sistema senza controlli adeguati e una pressoché totale privatizzazione del settore che rappresenta uno dei business più redditizi sulla vecchiaia e sul bisogno di assistenza degli anziani.

Ci sarebbe un aspetto etico da considerare e cioè che gli anziani di oggi sono la generazione che ha conosciuto nella sua infanzia la guerra ma, soprattutto, che ha vissuto e realizzato la “ricostruzione”, il boom economico e la modernizzazione del Paese con governi a base democratica. Strappati agli affetti familiari, ricoverati come pazienti ad alto rischio e a bassa possibilità di guarigione, morti in solitudine in corsie congestionate e scaricati nelle loro bare, da camion militari, in spazi cimiteriali improvvisati, questi anziani se ne sono andati, comunque la si voglia mettere, portandosi dietro una percezione di ingratitudine che non meritavano. C’è una responsabilità morale che è ben diversa dalle responsabilità che la giustizia, a volerla considerare tale, avrà il compito di accertare.

Si sapeva che erano i più esposti e per i quali, quindi, bisognava predisporre e intervenire per tempo con dispositivi di protezione, mascherine e tamponi in primis. Invece, oltre a lasciarli indifesi, si è consentito che venissero infettati dall’esterno, per negligenza, incompetenza, cialtroneria politica e irresponsabilità di chi avrebbe dovuto agire.

Ognuno di noi sa, nella propria coscienza, quanto ha valutato, nella paura dilagante, il diritto alla vita degli over 70 se non over 65. Pare, addirittura, che in alcune fasi dell’emergenza e della penuria di ventilatori polmonari sia stato preso in considerazione il codice di guerra secondo il quale, presentandosi l’alternativa ineludibile di salvare un vecchio o un giovane, prevede che sia il vecchio a essere sacrificato. E si può tragicamente capire ma parliamo di codice di guerra, ovvero bombardamenti, massacri indiscriminati, ospedali da campo e carneficine da affrontare.

Niente di tutto questo nell’anno del Signore 2020 dove la “macelleria messicana” nelle residenze per anziani parte e si consuma nelle realtà ritenute eccellenti della sanità italiana, modello – a quanto si dice – invidiatoci a livello internazionale, per espandersi progressivamente in tutto il Paese.

Tutto questo in presenza di una pandemia che ha preso alla sprovvista l’intero pianeta, senza risparmiare le potenze mondiali più ricche, a partire dagli Stati Uniti. Ma il problema delle residenze per anziani esiste da prima che facesse irruzione il coronavirus.

Mettendo da parte, in questa analisi, le “case di riposo” oggetto di incursioni dei carabinieri, rivelatrici di condizioni sub-umane di trattamento paragonabili ai lager nazisti, è il caso di riportare alcuni numeri per comprendere perché le residenze per anziani rappresentano un business redditizio “anticiclico”, dove anticiclico significa che il settore non è soggetto a oscillazioni e crisi di mercato perché la “senilizzazione” ovvero l’invecchiamento della popolazione è una dinamica in espansione non compensata dalle nascite.

Una distinzione preliminare va fatta fra RSA (residenze sanitarie assistenziali) RA ( case di riposo o comunque di assistenza agli anziani ) e “pensioni” di iniziativa privata che sfuggono ad ogni autorizzazione e controllo. Le RSA che non sono a gestione pubblica sono a gestione privata e, nella maggior parte, convenzionate col servizio sanitario nazionale. Percepiscono per ogni paziente una retta mensile valutabile nell’ordine di 140/150 euro al giorno per paziente ma esistono anche quotazioni più basse fino ad arrivare alle “pensioni” più povere dove la retta può essere di 1.200 euro al mese.

Secondo l’Agenas, che opera per conto del governo nazionale, in Italia tutte le residenze per anziani, escluse quelle clandestine e fuorilegge, assommano a oltre 6 mila per complessivi 287.532 posti letto di cui centomila 282 a gestione pubblica e 171mila 445 a gestione privata. Le RSA in senso stretto sarebbero 2.475 per 220mila e 700 utenti.
Ma c’è molta confusione sui dati poiché il sommerso è difficilmente quantificabile.

Quello che è certo è che il settore è progressivamente finito negli appetiti di gruppi imprenditoriali, finanziariamente agguerriti, che ne hanno preso il controllo. Si va da realtà come quella di Villa Torano, capofila di altre residenze gestite dallo stesso gruppo, alle 55 residenze gestite dalla CIR di Carlo De Benedetti in molte regioni con un fatturato che si può immaginare.

Per quanto riguarda Villa Torano, la polemica esplosa riguarda,oltre all’espandersi incontrollato del contagio, il ruolo giocato nella vicenda dalla politica atteso il coinvolgimento di un esponente politico di Forza Italia, tal Parente, la cui consorte detiene il 40 per cento del pacchetto azionario del gruppo che gestisce più residenze per anziani. Al politico in questione e alle protezioni su cui può contare vengono ricondotte le anomale agevolazioni ottenute dalla Protezione Civile con la fornitura di 200 tamponi e con le controverse risultanze dei tamponi effettuati.

Nella polemica esplosa sui controlli non effettuati e sulle negligenze emerse è intervenuto Enzo Paolini che da anni, senza essere titolare di alcuna struttura sanitaria, rappresenta in Calabria, dopo averla rappresentata a livello nazionale, l’AIOP (Associazione Italiana Ospedalità Privata) ovvero quelle comunemente chiamate cliniche o case di cura che prevalentemente sono convenzionate col servizio sanitario e rappresentano “l’altra gamba” del servizio sanitario pubblico.

Paolini, in effetti, non rappresenta le RSA che sono un settore a parte ma ha ritenuto di dover intervenire sulla polemica esplosa su Villa Torano per chiarire cosa debba intendersi per sanità privata e cosa rappresentano le RSA, interessato alla distinzione per diversificare ruoli e responsabilità e scoraggiare ogni strumentalizzazione contro la sanità privata, generalizzando con Villa Torano. Intanto, per Paolini, nessuna indulgenza per chi opera fuori dalle regole e dai protocolli previsti dalla legge, sia che si tratti di cliniche private che di residenze per gli anziani.
Nessuna indulgenza e nessuna giustificazione ma sbaglia chi generalizza e dalla vicenda di Villa Torano trae giudizi sommari sulla sanità privata “tout court”, facendo così torto a chi opera con onestà e trasparenza. Semmai Paolini, superando le affermazioni del sindacato infermieri e le dolenze giustificate per la mancanza di dispositivi di protezionechiama in causa chi deve esercitare i necessari controlli dovuti, sia che si tratti di cliniche che di RSA. E qui sta il punto, dove emergono le supposte connivenze con la malapolitica .

Nessuno, né a destra né a sinistra, ha mai chiesto una verifica di quanti politici, tramite familiari o prestanome, hanno interessi nella sanità. Alcuni casi sono venuti alla luce, altri sono occultati o adeguatamente mascherati. Nelle residenze per anziani si stava male anche prima del coronavirus ma nessuno è andato a vedere.

Ora sembra che la magistratura inquirente abbia scoperto che qualcosa non va, che l’assenza di controlli nasconda qualcosa di più grave, che sulla pelle dei nostri vecchi siano state costruite rendite di posizione che, né a destra né a sinistra, si avverte la necessità di tenere sotto controllo rispetto alla qualità dei servizi e ai requisiti da osservare. In questo la mafia non c’entra o c’entra in compartecipazione di minoranza.

Non sarebbe un eccesso di zelo se, a parte i cartelli colombiani della droga e il coronavirus che incrementerà l’usura, ci fosse un giudice che avesse a cuore le ignominie consumate da gruppi di colletti bianchi, fra di loro collusi, a danno dei nostri vecchi. Ci sono i silenzi colpevoli di chi, ai vari livelli, facendo finta di non sapere, copre e protegge. Verosimilmente sono gli stessi ambienti che, a 60 giorni dal coronavirus, non hanno detto una parola sull’insabbiamento dei quattro nuovi ospedali di Gioia Tauro, Vibo, Sibari e Cosenza. Anche i calabresi, increduli su Villa Torano, tacciono.

Rassegnati al peggio.

redazione Paola Oggi

https://www.calabriadirettanews.com/author/stefania/

CARLO GATTI

Rapallo, 23 oprile 2020

 

 

 

 


UNA NOTTE DI TREGENDA

UNA NOTTE DI TREGENDA

M/N VULCANIA


Era la mia quarta traversata atlantica sulla M/n VULCANIA

La mia breve carriera era cominciata sulla piccola cisterna DIENAI quando ero ancora studente al Nautico di Camogli. Era usanza allora “staccare il libretto di navigazione” col grado di “mozzo” durante il periodo estivo; purtroppo finì male perché sbarcai a Bari con l’ASIATICA che nessuno ancora conosceva. Quella pandemia di origine aviaria era stata isolata in Cina nel 1954 e fece due milioni di morti.

Persi 17 kg e se sono ancora qui è per mera fortuna: in quello stesso anno fu preparato un vaccino che riuscì a contenere la malattia.

Persi un anno di scuola, ma non certo l’entusiasmo per la vita che avevo scelto. Mi diplomai e proseguii i miei imbarchi sulla petroliera NAESS COMPANION, sulla M/n SATURNIA sulla M/n MARCO POLO ed infine sulla M/n VULCANIA.


Il REX a New York (dipinto di Marco Locci)


Il MAURETANIA a New York (dipinto di Marco Locci)


L’HOMERIC a New York (dipinto di Marco Locci)

Ero felice perché l’itinerario del transatlantico VUCANIA prevedeva la sosta di 24 ore a New York il giorno di Natale! Ero l’Allievo Ufficiale più invidiato del mondo! Chi é stato nella CITY durante le feste natalizie, sa che alludo ad una atmosfera speciale … Inoltre si trattava del mio penultimo viaggio da Allievo Ufficiale prima di passare 3° Ufficiale dopo il superamento dell’esame di Patentino. Il mio futuro era delineato…

Ma l’argomento di oggi é di ben altra natura, trattandosi più propriamente di quell’atmosfera che ogni tanto trasforma le mie notti in incubi…

Com’è noto ai marinai di tutto il mondo, i cicloni tropicali (uragani) si sviluppano al largo della costa africana vicino a Capo Verde e si muovono verso ovest nel mare Caraibico.  Gli uragani possono formarsi da maggio a dicembre, ma sono più frequenti tra agosto e novembre. Le tempeste sono comuni nell'Atlantico del Nord durante l'inverno, rendendo pericolosa la traversata.

Le aree interessate a queste tempeste minacciano zone che hanno un raggio di circa 2.000 km e, per chi fa rotta dall’Europa al Canada, non ha modo di evitarle: se le becca tutte sul fianco sinistro!

Le anziane motonavi SATURNIA e VULCANIA erano molto collaudate per quelle rotte che raramente concedevano agli equipaggi traversate tranquille, nel senso che anche in assenza di depressioni, riservavano lunghe giornate e nottate di navigazione con nebbia, qualche volta in presenza di banchise o iceberg segnalati, e quasi sempre di pescatori che si avventuravano su grandi gozzi al largo di Terranova.

A volte capitava di passargli molto vicino e purtroppo anche d’investirli nonostante le emissioni di segnali previsti dai regolamenti internazionali. Erano quegli stessi pescatori portoghesi che le due navi citate della Italian Line imbarcavano prima della traversata atlantica: una parte a Lisbona e l’altra a Ponta Delgada (Isole Azzorre).

Una storia antica é legata alla pesca del merluzzo sui banchi di Terranova quando entrava in gioco la rivalità tra i pescatori di merluzzo di Gloucester (USA) e Lunenburg (Canada) in gare molto "accese" per arrivare primi sui Grandi Banchi di Terranova onde accaparrarsi i posti migliori. Esiste un film del 1937 (diretto da Victor Fleming con l’attore Spencer Tracy, che vinse l’Oscar per la sua interpretazione) quale trasposizione cinematografica del romanzo “Captains courageous” dello scrittore Rudyard Kipling, che riprende una di queste gare tra due autentiche golette d’epoca, genialmente ripresa dal regista, visione che costituisce oggi un prezioso e irripetibile e originale documento storico. Si racconta che la sequenza abbia strappato ad un vecchio pescatore che sedeva tra gli spettatori il grido: “Ma butè a l’orsa! No vedè che spachè duto!!”

Ancora nei primi anni ’60, quei grandi marinai” pescavano al bolentino proprio sulle rotte dei transatlantici e quando i loro gozzi erano colmi di merluzzi, ritornavano a terra, trasbordavano il pescato su un brigantino alla fonda dietro un’isola, facevano rifornimenti di viveri e poi ripartivano per il mare aperto.

Ci trovammo nel mese di giugno sul Rio Tejo a Lisbona, quando veniva celebrata la festa dei pescatori. Una processione sul fiume tra canti e bandiere, tra colori e la memoria di tanti pescatori che non fecero più ritorno in Lusitania. Il cardinale della città, in quella suggestiva cerimonia, benediceva il brigantino che partiva per Halifax (Canada) per dare inizio alla Campagna del merluzzo.


Le motonavi VULCANIA a sinistra nella foto, e SATURNIA a destra mentre sono ormeggiate a Ponte dei Mille – Genova

I due transatlantici avevano uno scafo molto speciale; disponevano di alette anti rollio fisse di tipo antiquato, ma gli ingegneri navali degli anni ’20 del secolo scorso, avevano trovato una magica formula per cui non rollavano quasi mai, neppure con un forte mare al traverso, i loro movimenti conoscevano soltanto il beccheggio sull’asse trasversale. Ho avuto modo di conoscere passeggeri americani, anche famosi, che sceglievano queste due unità per compiere una serie di viaggi senza sbarcare, e raccontavano di privilegiare quelle navi per tre motivi: la cordialità degli equipaggi, l’amabilità di una nave che non faceva soffrire e per le godibilissime opere d’arte esistenti a bordo. L’itinerario di quegli anni era il seguente:

Venezia, Trieste, Palermo (o Messina), Napoli, Barcellona, Palma de Majorca, Gibilterra, Lisbona, Ponta Delgada (Azzorre), Halifax (Canada), Boston, New York. Il viaggio di ritorno comprendeva scali negli stessi porti del viaggio d'andata ed anche Patrasso (Grecia) e Dubrovnik (Jugoslavia).


Alette antirollio fisse


Stabilizzatori antirollio per grandi navi moderne

Retractable fin stabilizer on cruise ship MS Rotterdam

 

Cappella di bordo, é in corso la celebrazione della Messa domenicale. Da sinistra in prima fila: Allievo Ufficiale (A) Carlo Gatti, il 1° Ufficiale Claudio Cosulich, il Commissario Governativo, il Comandante Giovanni Peranovich e il Direttore di macchina.

A bordo del VULCANIA eravamo 4 Allievi ufficiali di coperta, due assegnati alla navigazione e al carico, gli altri due alla segreteria e alla posta diplomatica. Ogni viaggio ci scambiavamo i ruoli anche nelle manovre portuali. Le nostre cuccette, con due letti a castello, si trovavano dietro il ponte di comando sui due lati della nave e disposte nel senso trasversale.

 

E’ quasi mezzanotte. Il mio compagno di cabina (lato dritto della nave) é appena montato di guardia sul ponte di comando con l’incerata e il sudovest. Sono sveglio, ci salutiamo e già penso alla mia guardia, la “diana” (dalle 4 alle 08) con quel tempaccio in corso insieme al 1° Ufficiale che ad ogni difficoltà mi diceva: "Tegni duo a l'è l'arte ca intra!"

La nave sbatte, vibra e soffre sotto i colpi di mare che arrivano come mazzate sul fianco sinistro. Non riesco ad assopirmi, non per il rollio, ma piuttosto per un movimento della nave che inizia da un breve movimento di rollio sulla dritta, poi sale, si avvita e poi precipita verso il basso per impennarsi con la prora verso l’alto e ricadere velocemente con una panciata fragorosa. Si tratta di un balletto sinuoso e piuttosto ripetitivo che occorre controllare tenendosi ancorati alla difesa della branda per non cadere dalla cuccetta superiore e farsi male…

Avevo letto l’ultimo bollettino meteo e sapevo che la depressione che ci contrastava era vasta e potente, ma non avevo dubbi sulla tenuta della nave: la vecchia signora sapeva il fatto suo… la fama non la regala nessuno…lei se l'era meritata tutta e poi, ce l’aveva sempre fatta nonostante le inevitabili magagne dell'età …

M/N VULCANIA – TEMPESTA IN CORSO NEL NORD ATLANTICO INVERNO 1962

DUE NAVI IN DIFFICOLTA’ FOTOGRAFATE DALLA M/N VULCANIA

Ma ciò che non ci aspettavamo accadde!

Improvvisamente la nave viene colpita da un’onda che sembra sparata dal più potente cannone navale esistente, un’onda mostruosa, urlante e sibilante proprio come una cannonata… O forse abbiamo colpito una mina vagante nell’oceano? oppure siamo entrati in collisione con una altra nave? Penso alla collisione tra l’ANDREA DORIA e la STOCKHOLM di qualche anno prima e mi vengono in mente le immagini dell’affondamento della “signora dei mari”. Sono attimi lunghissimi. Questi pensieri mi martellano in testa nel tentativo di capirne la causa e sono più veloci delle parole che non riesco a pronunciare. Tiro un grosso respiro, cerco di rilassarmi e razionalmente penso ai possibili danni subiti dalla nave sul lato di sopravvento.

Il VULCANIA ha ancora un sussulto, si abbatte sulla dritta ed io mi ritrovo ammucchiato a paratia, con i piedi in testa … Poi, dopo alcuni movimenti inconsulti si raddrizza e si stabilizza. L’ufficiale di guardia ha accostato e si é messo alla cappa con la prua al mare. Anche i  giri dei motori sono stati calati al minimo. Suonano le sirene ed i campanelli di bordo… Mi precipito sul ponte di comando e ricevo l’ordine di portarmi insieme al mio Capo Guardia nella Classe Turistica da cui giungono le prime richieste d’aiuto.

Scendiamo di corsa lungo i ponti della nave, indugiamo soltanto qualche minuto… per valutare gli allagamenti sul lato sinistro nei locali più alti a causa di vetrate andate in frantumi e altri danni materiali di poca entità.

Giungiamo infine nella zona della Classe turistica e immediatamente ci rendiamo conto di trovarci nella trincea di una battaglia in corso. Il caruggio centrale lungo circa 70-80 metri é invaso dall’acqua di mare, ma é rosso di sangue. I passeggeri che si reggono in piedi si spostano come automi sotto schock. Le cabine sono aperte e allagate.

Si sentono lamenti, urli e pianti. Il direttore sanitario, il 1° medico di bordo e i cinque infermieri di bordo sono già al lavoro. Il Comandante della nave lancia via interfonico ripetuti appelli ai passeggeri di mantenere la calma rassicurandoli: “é tutto sotto controllo”. Infine invita, in tre lingue differenti, eventuali medici e personale paramedico presenti tra i passeggeri a prestare soccorso in Classe turistica.

Il Comandante in 2° fa sgombrare i passeggeri delle cabine di dritta per far posto ai feriti che sono circa una settantina. Per fortuna, dopo un controllo di tutte le cabine ormai evacuate, non si riscontrano decessi.

Tuttavia i feriti presentano ferite anche gravi alla testa, sul corpo e sugli arti. I tagli sono larghi e profondi.

I più gravi vengono portati nell’ospedale di bordo per tamponare le emorragie, suturare le ferite più gravi e ricomporre le numerose fratture.

In breve tempo, i medici di bordo sotto la regia del Comandante in 2° riescono ad organizzare un piano molto intelligente per isolare i feriti dal resto dei passeggeri e ripristinare la tranquillità e la ripresa della navigazione che, purtroppo, non è immediata in quanto tutte le cabine devono essere riparate per poter sostenere gli urti e le intemperanze di quella depressione atlantica che ci accompagnerà ancora per 3-4 giorni fino all’arrivo ad Halifax (Canada).

MA COS’E’ SUCCESSO?

Quell’onda apocalittica aveva sfondato non solo i vetri robustissimi degli oblò, ma anche le corazza (corazzetta) dello spessore di circa 15 mm. A mezzanotte i passeggeri erano tutti in cabina, molti soffrivano il mal di mare e la cuccetta per loro era il miglior rimedio, mentre invece si é dimostrata una trappola infernale. L’urto di quell’onda altissima non solo frantumò gli oblò e le sue difese, ma mitragliò quelle schegge metalliche e di vetro concentrandole in quei pochi metri quadrati delle cabine martoriando di ferite quei poveri  emigranti e pescatori portoghesi.

Per meglio comprendere la causa del disastro, propongo al lettore alcune foto che più di tante parole danno l’idea della forza esplosiva di quella ONDA ANOMALA che all’epoca nessuno chiamava in questo modo…

OBLO’ NAVALE E SUA CORAZZA dello spessore di 15 mm.


OBLO’ APERTO


A destra OBLO’ chiuso con i suoi galletti. A sinistra la sua corazza


OBLO’ chiuso e sigillato con la corazza

La foto sotto (che va opportunamente allargata) é relativa al transatlantico SATURNIA gemello del VULCANIA, in cui sono indicati i ponti della nave sul lato dritto, che corrispondo no perfettamente anche sul lato sinistro, esposto ai colpi di mare di quel viaggio dove si sono verificati i danni maggiori. Il Ponte contrassegnato con la lettera C nel cerchietto rosso, (il secondo dal basso) indica la fila di oblò della Classe Turistica della nave che sono i più vicini alla linea di galleggiamento.



SATURNIA/VULCANIA

Committente: Cosulich Line, Trieste.

Cantiere: Cantiere Navale Triestino (Cantieri Riuniti dell’Adriatico) di Monfalcone, Co. 160

Impostato: 30 maggio 1925.

Varato: 29 dicembre 1925.

Viaggio inaugurale: 21 settembre 1927.

Data fine: 7 ottobre 1965.

Dati tecnici.

Lunghezza: 192,50 mt.

Larghezza: 24,31 mt.

Immersione: 8,53 mt.

Stazza lorda: 23.940 tsl.

Stazza netta: 16.710 tsl.

Propulsione: Due diesel Burmeister & Wain 8 cilindri (840x1500 mm); 24.000 hp; due eliche.

Velocità di servizio: 19,25 nodi.

Velocità massima alle prove: 21,10 nodi.

Capacità d’imbarco nel 1927: 2.197 passeggeri in quattro classi.

Prima classe:           279 passeggeri.

Seconda classe:      257 passeggeri.

Classe Turistica:     309 passeggeri.

Terza classe:         1.352 passeggeri.

Equipaggio: 510 persone.

CONCLUSIONE

Il “ricordo giovanile” che oggi vi ho proposto, non l’ho mai dimenticato, non potevo dimenticare tutto quel sangue versato in quel caruggio e neppure IL GRANDE CUORE di quei medici e infermieri che per quattro giorni, sbattuti dalle onde, non chiusero occhio per rimanere vicino ai loro passeggeri infortunati per portarli vivi a destinazione. Ricordo ancora i loro sguardi stanchi ma luminosi e fieri che sono del tutto simili a quelli che oggi sono in trincea a combattere contro l’ONDA ANOMALA che ha investito il mondo intero ed é ancora più insidiosa perché invisibile e sconosciuta.

Diciamo grazie a medici e infermieri di ogni tempo, a quelli in prima linea e a quelli che lavorano nelle retroguardie. Diciamo grazie alle loro famiglie, che li seguono a distanza e li hanno quasi ceduti in prestito a ospedali e comunità. A breve, si spera, dovremo celebrare quei 200 medici che sono morti per salvare vite umane. Di loro non conosciamo neppure i nomi. Verso di loro abbiamo un debito di riconoscenza infinito! Non dimentichiamoli MAI!

Carlo GATTI

 

Rapallo, 17 Aprile 2020


LA SAGA DEI FLORIO

LA SAGA DEI FLORIO

“C’era una volta il SUD…” - Non é un film di Sergio Leone! Quella dei FLORIO é una storia vera, tutta italiana e siciliana in particolare, che é degna di essere raccontata alle nuove generazioni che ormai conoscono il Meridione soltanto attraverso la lente della propaganda che i media “regalano” quotidianamente alla mafia e al malaffare.

La storia dei Florio, la più prestigiosa famiglia siciliana del secondo Ottocento e dei primissimi anni del Novecento, ci racconta di collegamenti con i più alti vertici della finanza e dell’industria internazionale e rapporti con regnanti di tutta Europa. Oggi il loro nome in Italia e all’estero è ricordato soltanto da una marca di liquori: il Marsala e da una corsa automobilistica su strada, la Targa Florio, tra le più antiche d’Europa. Ma per l’immaginario collettivo siciliano e meridionale in genere i Florio da tempo sono entrati nella leggenda e nel mito; essi rappresentano gli uomini simbolo delle capacità imprenditoriali quando anche al Sud fiorivano iniziative industriali vincenti.

A quel tempo il nome Florio equivaleva, nel campo della navigazione mercantile, a quello degli Agnelli in quello automobilistico dei decenni successivi, o di Berlusconi nel settore televisivo ai giorni nostri.

Il brand FLORIO era noto in Italia e all’estero, perché i loro cento piroscafi solcavano tutti i mari del mondo e i loro prodotti (vini e tonno in scatola) e molto altro conquistavano i mercati italiani e stranieri.


Ignazio e Paolo Florio iniziano la loro avventura a Bagnara, un paesino della Calabria dove l’unica ricchezza è il mare. Hanno in società con il cognato una barca con la quale fanno il “traffico”, ma dopo l’ennesimo terremoto che distrugge la loro casa decidono di trasferirsi a Palermo, che è già una delle capitali del Mediterraneo.

All’inizio nessuno gli dà credito: sono solo “bagnaroti”, un marchio che gli rimarrà impresso per sempre. Ma i Florio hanno qualcosa in più degli altri, sembrano anticipare le mosse, precorrere i tempi, arrivano per primi, sbaragliano la concorrenza e ci riescono anche quando gli equilibri politici ed economici cambiano durante le sanguinose rivolte libertarie o le repressioni dei Borboni.

Con l’Unità d’Italia il loro avvocato è un tale Giolitti che gli assicurerà prosperità anche dopo l’avvento piemontese. Non gli viene negato nulla, neppure la nobiltà a lungo inseguita per la quale Vincenzo Florio è disposto persino a rinunciare all’amore. Ma loro sono gente autentica; spietati, è vero, ma sanno anche cedere ai sentimenti, così anche l’amore trionferà.

I generazione - Paolo Florio (1772-1807) lasciò Bagnara Calabra a causa del terremoto che colpì la parte della Calabria più vicina allo Stretto di Messina e si trasferì a Palermo.


Il capostipite dimostrò di possedere la vena dell’imprenditore aprendo un negozio di spezie provenienti dalle colonie, tra cui il chinino che serviva a curare la malaria. Quella attività divenne in breve tempo un centro commerciale di primo ordine. Quando morì nel 1807, il fratello Ignazio, dotato anch’egli di grandi capacità imprenditoriali, migliorò l’attività di famiglia decidendo di espandere i propri orizzonti acquistando due tonnare. Prese sotto le proprie ali il nipote Vincenzo, figlio di Paolo, lo fece studiare in Inghilterra ed ebbe l’intuito di avviarlo in quel “mondo particolare” nel quale tutti i Florio dimostreranno il loro valore.

Vincenzo Florio (Bagnara 1799-1868), alla morte dello zio Ignazio, aveva 29 anni e prese in mano il timone dell’azienda di famiglia.


II generazione Vincenzo Florio approdò a Palermo quando aveva pochi mesi e, crescendo in quell’ambiente famigliare particolarmente ricco di idee, riuscì piano piano a metterne in pratica una buona parte.


La tonnara di Favignana


Nel 1833 intraprese la produzione del celebre vino MARSALA, quella del tabacco e del cotone. Vincenzo acquisì tra le altre tonnare dello zio, anche quella dell’Arenella.
L’unica pecca di Vincenzo fu quella di non intuire le grandi potenzialità economiche che poteva trarre dalle tonnare. Infatti nel 1841 egli prese in affitto dai genovesi Pallavicino la tonnara di Favignana con un contratto di 18 anni. Nonostante l’attività producesse ottimi profitti, nel 1859 Vincenzo rescisse il contratto, facendo subentrare il genovese Giulio Drago nell’affitto di quella tonnara isolana a cui si deve la realizzazione del primo nucleo dello Stabilimento Florio ed importanti innovazioni nel settore della lavorazione del tonno.

C’é da dire che Vincenzo Florio, proprio nel 1841, era impegnato in altre iniziative molto più importanti: come la nascita del Cantiere Navale di Palermo che avrebbe segnato una svolta nella storia industriale della città modificandone la fisionomia e la vita sociale. Fondò a Palermo una fabbrica di macchinari a vapore, l'unica dell'isola e successivamente la fonderia ORETEA, moderna industria metallurgica complementare alle esigenze dell'attività armatoriale. Nella Sicilia preunitaria. Vincenzo Florio fondò in quel periodo anche la Compagnia di navigazione "Società battelli a vapore siciliani" che assicurava il collegamento tra Napoli, Palermo e Marsiglia e, naturalmente, tra i diversi porti della Sicilia.

Dopo l'unità d'Italia costituì la "Società Piroscafi Postali" stabilendo una convenzione con il governo.

I collegamenti locali navali si espansero fino a collegare l’America.

Oltreoceano, col supporto d’imprenditori inglesi, fondò la Anglo Sicilian Sulphur Company.

Nel 1868 fu nominato senatore del regno d’Italia. Morì in quello stesso anno lasciando un enorme patrimonio al figlio Ignazio, passato alla storia come Senior, per non confonderlo con l’altro Ignazio che gli successe dopo.


Ignazio Florio Senior

III generazione – Nel 1868 muore Vincenzo e gli succede il figlio Ignazio Senior (Palermo 1838 – 1891) il quale proseguì nel solco tracciato dal padre espandendo e potenziando ancora il giro d’affari di famiglia. Nel 1874 acquistò le isole di Favignana e Formica sperimentando la produzione e vendita di tonno conservato sott’olio e non più sotto sale. Fu un successo enorme!

Sotto la sua guida la Società “FLOTTE RIUNITE FLORIO” divenne la prima Compagnia di Navigazione Italiana.

Ignazio Senior diventò Senatore del Regno d’Italia come il padre Vincenzo.


Ignazio Florio Junior

IV generazione - Quando Ignazio Senior morì nel 1891, lasciò tre figli. Ignazio Junior, il più grande che si assunse l’onere della gestione del patrimonio familiare e lo fece con grande saggezza. Purtroppo il clima storico e politico in cui si trovò ad operare Ignazio junior non era più favorevole come prima, infatti gli affari dei Florio risentirono della situazione politico-sociale della Sicilia all’alba dell’Unità d’Italia e nei primi del ‘900. Ciononostante, Ignazio intraprese alcune nuove attività come la costruzione dei Cantieri Navali a Palermo (ancora oggi esistenti), acquisì miniere di zolfo di Caltanissetta e fece costruire per i malati di tubercolosi la splendida Villa Egea, che porta il nome della figlia, struttura che poi fu trasformata in albergo di lusso tuttora in auge. Uno dei successi maggiori Ignazio junior lo ebbe nella vita privata, sposando l’affascinate e carismatica donna Franca Notarbartolo di S. Giuliano. Bellissima e colta, Franca seppe creare intorno a sé un salotto internazionale di mondanità, raffinatezza e cultura, che divenne il cuore pulsante della società palermitana più “IN”. Ignazio e donna Franca erano famosi per il lusso, per i ricevimenti fatti in onore di personaggi illustri come Gabriele D’Annunzio, il tenore Caruso, lo Zar di Russia, il re d’Italia. L’Imperatore tedesco Guglielmo II fu ospite varie volte dei Florio.


Oltre ad ingrandire i cantieri navali ed i bacini di carenaggio, diede vita al quotidiano L’Ora, il cui primo numero uscì il 22 aprile 1900.

Nel 1906 il Cantiere Navale di Palermo, insieme ai cantieri di Ancona e Muggiano, legati nella loro attività alla società Navigazione Generale Italiana, confluì nella società Cantieri Navali Riuniti, con sede a Genova e successivamente trasformata in Società per Azioni, il 20% delle quali era controllato dalla Terni, a sua volta controllate dalla Banca Commerciale Italiana. Nel 1913 il Cantiere del Muggiano viene rilevato dall'adiacente Cantiere FGIAT-San Giorgio che era stato impiantato nel 1905, uscendo dalla società Cantieri Navali Riuniti.

Nel 1906 entra in scena anche Vincenzo, fratello d’Ignazio Junior rivelandosi un eccellente uomo d’affari, ma anche sportivo ed organizzatore di eventi celebri come la corsa automobilistica denominata “TARGA FLORIO”.

A lui si devono anche il “Giro Aereo di Sicilia” e il “Corso dei Fiori”.

I Florio furono, tra la fine dell’Ottocento e l'inizio del Novecento tra le famiglie più ricche d’Italia. La famiglia disponeva di una flotta di novantanove navi ed un impero che spaziava dalla chimica al vino, dal turismo all'industria del tonno.

Grazie ai Florio, i rapporti tra le due città di mare GENOVA e PALERMO sono sempre stati costanti e duraturi, felici e produttivi. Il padre del giovane Florio, il senatore Ignazio Florio, figlio di Vincenzo aveva costituito la SOCIETA’ NAVIGAZIONE GENERALE ITALIANA, nata dalla fusione dalle FLOTTE FLORIO E RUBATTINO, che aveva costituito la Società Esercizio Bacini, per la gestione di due bacini di carenaggio in costruzione a Genova.

DONNA FRANCA FLORIO

La Regina senza corona


Fotografia di Franca Florio a venti anni


Franca Florio a circa 30 anni:

 

Grazie alla sua passione automobilistica, Franca aveva dato vita alla rinomata TARGA FLORIO dando il via alla prima gara automobilistica in Sicilia. Una corsa che si sviluppava intorno al circuito delle Madonie con la partecipazione dei più famosi piloti del mondo.



Due fotografie per giornali europei di Franca Florio in cui viene descritta come “the best looking woman of Italy”:

Nota come la 'Regina di Sicilia' e discendente da una delle più nobili famiglie dell'aristocrazia siciliana, donna Franca era infatti l'indiscussa animatrice degli appuntamenti del bel mondo palermitano. Colta, intelligente, la dama parlava fluentemente quattro lingue e la sua eleganza sembra abbia sedotto centinaia di uomini, tra cui Gabriele d'Annunzio e Guglielmo II di Germania, per i quali era rispettivamente l'"Unica" e la "Stella d'Italia". Donna Franca era anche abile imprenditrice che aiutava il marito Ignazio negli affari di famiglia.


'Ritratto di Donna Franca Florio' realizzato da Giovanni Boldini

Per immortalare la bellezza e la grazia della moglie, nel 1901 Ignazio Florio commissionò al pittore ferrarese Giovanni Boldini un dipinto che ne rappresentasse degnamente l’eleganza.

Apriamo ora un breve capitolo di approfondimento dell’aspetto ARMATORIALE DEI FLORIO

Flotte Riunite Florio

Come abbiamo già accennato, Le Flotte Riunite Florio furono una Compagnia di Navigazione di Palermo, nata nel 1840 come Società dei battelli a vapore, ad opera dell'imprenditore Vincenzo FLORIO. Fu incorporata nel 1936 dallo Stato nella TIRRENIA DI NAVIGAZIONE.

 

Sotto il Regno delle Due Sicilie

La Società dei battelli a vapore siciliani nacque nel luglio 1840 per iniziativa di Vincenzo Florio, di Beniamino Ingham, di Gabriele Chiaramonte Bordonaro, che già possedevano battelli a vela, e di un gruppo di più di 120 soci minori.

Nel 1847, Vincenzo Florio fece venire a Palermo dalla Francia il piroscafo "Indépendent", in piena rivoluzione, sotto bandiera francese per essere al riparo dalle navi borboniche. Era nata l'Impresa Ignazio e Vincenzo Florio per la navigazione a vapore. Alla nave fu dato il nome di "Diligente" iniziando regolari viaggi intorno alla Sicilia.


Il Corriere siciliano di Vincenzo Florio (1852), 247 t

Nel 1851 fu ordinato ai cantieri Thompson di Glasgow il "Corriere siciliano", dalla potenza di 250 cv, capace di trasportare un centinaio di passeggeri tra prima e seconda classe. Destinato ad alcune linee mediterranee, arrivava sino a Marsiglia. Poi arrivò un terzo vapore, l'"Etna", di 326 tonnellate di stazza, sempre da Glasgow. Gli fu affidata la concessione del servizio postale tra Napoli e la Sicilia. Un nuovo bastimento, l'"Elettrico", raggiungeva l'eccezionale velocità, per quei tempi, di 13 nodi.

Quando Garibaldi sbarcò la Sicilia, il governo borbonico aveva requisito per il trasporto delle truppe quattro piroscafi della compagnia su cinque, ed uno era affondato al largo di Gaeta.

 

Dopo l'Unità d'Italia

L'Elettrico di Vincenzo Florio, 344 tonnellate (1859)

Nonostante queste perdite, grazie alle altre attività di famiglia, Vincenzo Florio fu in grado di riorganizzare la compagnia di navigazione: abbandonò la struttura familiare e la ricostituì in forma di Società in accomandita per azioni con un capitale di quattro milioni di lire. Così il 25 agosto 1861, venne costituita la Società in accomandita Piroscafi postali di Ignazio e Vincenzo Florio, con sede a Palermo.

Nel 1862 la Florio fu una delle quattro Compagnie che ottennero sovvenzioni dal governo italiano per il servizio postale: le linee esercite dalla Florio erano: la Palermo-Napoli e il cabotaggio intorno alla Sicilia con puntate verso gli arcipelaghi siciliani, Malta e Tunisi. Nel 1863 erano dodici le unità che componevano la flotta e la compagnia, ottimamente diretta, guadagnò ancora in forza economica e prestigio. Fu acquisita la Compagnia di navigazione a vapore La Trinacria, sorta a Palermo nel 1869 e fallita nel 1876 in conseguenza della crisi economica del 1873.

La convenzione postale del 1877 permise un'ulteriore espansione della Florio, che ormai era una delle uniche due grandi Compagnie di navigazione italiane: l'altra era la RUBATTINO. In tale occasione la società palermitana ottenne il cabotaggio del canale d’Otranto e dello Jonio, con i traghetti Ancona-Zara-Brindisi-Corfù, ma soprattutto ebbe le linee per Salonicco, Smirne, Costantinopoli, e Odessa. Fuori dalla convenzione, nel 1877 Florio inaugurò anche la linea per NEW YORK, che due anni dopo divenne Marsiglia-Palermo-New York.

La fusione con Rubattino

Il 4 settembre 1881 vedeva la luce la NAVIGAZIONE GENERALE ITALIANA N.G.I. (Società Riunite Florio e Rubattino). Ignazio Florio e Raffaele Rubattino conferirono le rispettive imprese ricevendo ciascuno il 40% delle azioni mentre il CREDITO MOBILIARE sottoscrisse il restante 20% del capitale. La sede fu fissata a Roma, mentre Genova e Palermo erano i compartimenti operativi. Coi suoi 83 piroscafi (subito passati ad oltre 100).

La Navigazione generale italiana (N.G.I.) si presentava come il più grande complesso armatoriale mai sorto in Italia.

Pochi anni dopo alcuni armatori genovesi presentarono però offerte più convenienti di quelle della Navigazione Generale per l'assunzione dei servizi convenzionati dallo Stato, mentre la compagnia, non era in grado di acquisire una nuova, grande flotta che sostituisse gli oltre cento bastimenti posseduti e iniziò la crisi. Fallita la N.G.I.

Si apre così l’ultimo capitolo…

Il Novecento, tuttavia, non fu prospero per i Florio. La prima guerra mondiale causò ingenti danni a molte delle attività, in particolare industriali e bancarie, della famiglia. Inoltre, né Ignazio né Vincenzo ebbero eredi maschi che potessero occuparsi direttamente del patrimonio. La prestigiosa famiglia fu costretta, dunque, a iniziare a vendere i propri averi e si ridusse in miseria, seppur mantenendo fama e orgoglio.

Nel 1989 si è spenta Giulia Florio, ultima erede della nota stirpe. Con la sua morte, si è conclusa quella dinastia che per quasi un secolo e mezzo ha regalato a Palermo e a tutta la Sicilia grandi fortune.

Echi dei grandi Armamenti FLORIO ci arrivano ancora…

Nel 1925 Ignazio Florio Jr fondò la Società di Navigazione Flotte Riunite Florio, che si fuse nel 1932 con la Compagnia Italiana Transatlantici per creare la:

Tirrenia - Flotte Riunite Florio - CITRA, poi salvata da FINMARE nel 1936 e nella TIRRENIA DI NAVIGAZIONE.

SOPRAVVIVONO I NOMI SUI TRAGHETTI NAZIONALI

VINCENZO FLORIO – RAFFAELE RUBATTINO

nella Soc. TIRRENIA DEL NUOVO MILLENNIO

La classe Vincenzo Florio è composta da due navi traghetto di tipo cruise ferry in servizio per TIRRENIA CIN. La Vincenzo Florio e la Raffaele Rubattino vennero costruite alla fine degli anni '90 nel Cantiere Navale Ferrari di Spezia, ma dopo il fallimento del costruttore, i traghetti vennero terminati in luoghi differenti. La 'Vincenzo Florio' fu ultimata nel Cantiere Navale I.N.M.A. a Spezia, mentre la “Raffaele Rubattino” presso i Nuovi Cantieri Apuania di Marina di Carrara. Le due unità entrarono in servizio nel 1999 e nel 2000 sulla rotta Napoli-Palermo.

VINCENZO FLORIO


RAFFAELE RUBATTINO


Le due navi gemelle hanno le seguenti caratteristiche: RO-PAX – Velocità: 22 nodi. Lunghezza180 mt, Larghezza: 26 mt, Stazza lorda: 31.041. Capacità passeggeri: 1471 passeggeri. Auto: 630

I LIBRI





Per i lettori appassionati dell’argomento, segnalo il LINK di Mare Nostrum Rapallo in cui compaiono i FLORIO in un contesto storico più generale:

LE NAVI PASSEGGERI DI LINEA ITALIANE

DAL 1900 AL 1970 - Visite: 181.650 – Lo studio fu firmato da Carlo Gatti il 20.02.12

 

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=188;navi-passeggeri&catid=36;storia&Itemid=163

 

Carlo GATTI

Rapallo, 14 Aprile 2020

 

 

 

 


GENOVA LA BANDIERA PER IL NUOVO PONTE - LA CHIESA DI SAN GIORGIO

 

GENOVA

LA BANDIERA PER IL NUOVO PONTE "ITALIA" (?)

LA CHIESA DI SAN GIORGIO

Con il posizionamento dell’ultimo impalcato, la struttura del nuovo ponte per Genova è conclusa. Una grande emozione e un grande traguardo non solo per la Liguria ma per l’Italia intera, un modello, quello del cantiere del ponte, per un Paese intero e guardato da tutto il mondo con grande ammirazione.


Partiamo da questo felice EVENTO facendo riferimento alla bandiera di San Giorgio, simbolo di Genova che collega la storia antica a quella moderna nel segno della lotta perenne contro il male e gli infausti accadimenti.

Qualche settimana fa, proprio per ricordare e commemorare le gesta di questo Santo importante e popolare per la nostra regione, ci siamo soffermati sul panoramico Santuario che svetta a Portofino su quel promontorio dove il mare si sposa con le nostre verdi colline.


La Chiesa di San Giorgio a Genova é ubicata nella omonima piazza al centro della mappa (goccia blu)

Oggi, andiamo alla scoperta di San Giorgio in una chiesa nascosta nei caruggi appena dietro il Porto Vecchio. Un tempio dalla storia antica, travagliata, appoggiato tra le case civili che lo sostengono per non farlo cadere nell’oblio. Eppure esso rappresenta uno di quei frammenti che la Grande Storia lascia cadere durante il suo tortuoso cammino, ma che poi vengono provvidenzialmente raccolti e conservati dalle nostre chiese, veri “musei della fede” che noi dimentichiamo, nascondiamo e qualche volta demoliamo perché impediscono l’espansione della città.

La piccola suggestiva piazza San Giorgio fu nel secolo XI il primo mercato della città e da allora funge da sagrato a due chiese rotonde e attigue: San GiorgioSan Torpete, un santo venerato dai pisani. Genova e Pisa si facevano la guerra ma sapevano anche intrattenere proficui rapporti commerciali e intorno a questa chiesa aveva residenza la comunità pisana.


La chiesa di San Giorgio fu fondata prima dell’anno mille, ma fu ricostruita nelle forme attuali dai Teatini (il fondatore fu San Gaetano di Thiene) tra il 1695 e il 1700 con pianta centrale e cupola rotonda, mentre la facciata risale al 1859. La torre medievale degli Alberici, sopra al palazzo a sinistra della chiesa, venne curiosamente adattata a campanile.

San Torpete, costruita intorno al 1100, divenne chiesa gentilizia della famiglia Cattaneo e fu ricostruita nel 1730. L’interno è impreziosito con decorazioni a stucchi e nella controfacciata si può ammirare l’opera di Carbone “San Torpete illeso tra le fiere”.

La Chiesa di San Giorgio non è l’unica basilica di Genova con antichissime origini e il santo guerriero non è il patrono della città; ma il culto di San Giorgio e l’importanza data alla chiesa che porta il suo nome sono eccezionalmente significativi, soprattutto a partire dalle Crociate, quando l’immagine del santo che trafigge il drago sotto la bandiera con la croce rossa su fondo bianco fu portata in tutto il Mediterraneo.

La chiesa ha una pianta ottagonale: lo sguardo di chi entra é catturato dallo spazio che si allarga, e si spinge verso la cupola, illuminata da grandi finestroni.

Tra le ricche decorazioni, si segnalano gli affreschi e le tele di importanti pittori genovesi e non, come San Gaetano di Thiene che riceve dalla Vergine il Bambino di Domenico Piola, Martirio di San Giorgio di Luca Cambiaso, seconda metà del ‘500 appartenenti alla chiesa precedente), la Pietà di A. Sanchez Cohelo (Sec.XVI),  il Cristo paziente e Santa Caterina Fieschi di Domenico Guidobono e poi sono presenti altri due artisti: Santo Panario e Giuseppe Isola
Lo stile neoclassico di metà ‘800 degli esterni si amalgama  con il tessuto del centro storico genovese: l’ampia facciata ricurva con le decorazioni in stucco bianco su fondo verde pastello crea un bel contrasto con la scura e stretta prospettiva dei caruggi.


Attraverso i secoli, anche dopo la caduta dell’impero romano, si conserva la funzione del foro come centro della vita della città: nell’Alto Medioevo qui si convocava il popolo e si teneva un fiorente mercato.

Le prime fonti certe sulla chiesa partono dall’anno 964, e si ritiene che nei primi secoli del nuovo millennio l’originaria basilica o cappella fosse divenuta collegiata. (Il titolo di collegiata veniva dato dalla Santa sede poiché vi era un collegio di canonici e l'Arciprete insieme ai beneficiati. Oggi nelle parrocchie non vi sono più né canonici né beneficiati, a mala pena un sacerdote; queste chiese hanno perso questo titolo, a mala pena ce ne sono ancora in cattedrale.)

Nel secolo XI la piazza omonima era un fiorente mercato (il più antico fra quelli cittadini situati immediatamente a ridosso dell'area portuale), posta in posizione strategica lungo l'asse - l'odierna via Giustiniani - che collegava il porto con Porta Soprana.
Nulla rimane, però, dell'edificio primitivo: infatti il tempio venne rifondato alla fine del XVII secolo dai padri Teatini, che l'avevano acquisito nel 1629. La costruzione, a pianta ottagonale, si presenta con cupola rotonda e facciata curvilinea, rifatta a metà dell'Ottocento e decorata in stile neoclassico; il campanile risulta impostato su di una casa vicina, poiché si tratta del riadattamento della torre medievale degli Alberici.

Perché vi ho parlato di questa chiesa? Essenzialmente per alcuni suoi primati storici che oggi vanno ricordati:

La BANDIERA E LA RINNOVATA VIABILITA’

1) - Si suppone che il luogo sacro fosse intitolato al santo della Cappadocia fin dalla sua fondazione, avvenuta quando il culto di San Giorgio giunse a Genova con la milizia bizantina di cui era protettore. Il legame tra esercito e santo guerriero rimarrà per secoli, visto che la chiesa di San Giorgio, Santuario della Patria, conservava il vessillo della Repubblica, che era consegnato al capitano generale dell’armata navale genovese quando salpava a protezione verso una missione. La chiesa bizantina era sorta sull’area dell’antico foro romano: un raro slargo pianeggiante allo snodo tra il riparo naturale del porto antico e il nucleo abitativo originario – al tempo castrum - sulla collina di Sarzano.

2) - Per avere un’idea della rilevanza di questo sito, si pensi che la piazza fungeva da punto di origine per la misurazione delle distanze in miglia romane sulle vie Aurelia e Postumia che qui si incrociavano. Questa pratica diede origine a una serie di toponimi riferiti alle pietre miliari come QuartoQuintoSestri (IV, V e VI milium ab urbe Janua), Pontedecimo (Pons ad X milium). Il fatto che tali toponimi siano giunti fino a noi, suggerisce il ruolo svolto da questo incrocio di assi viari nella millenaria genesi del territorio.

3) - Inoltre aggiungerei l’importanza della Chiesa di San Giorgio per la sua vicinanza alle calate interne del Porto Antico: un luogo di culto che nei secoli ha rappresentato per la gente di mare e per i pellegrini, il luogo d’incontro di civiltà, di religioni e di pacifica convivenza.

La chiesa è attualmente affidata in gestione temporanea alla comunità ortodossa genovese; in particolare vi vengono officiate le funzioni della Chiesa della Santissima Trasfigurazione del Signore dipendente dal Patriarcato di Mosca. Essa é promotrice e coordinatrice di alcune missioni ortodosse in Liguria (La Spezia, Varazze e Chiavari in cerca di sede stabile). Pertanto oggi, grazie alla Chiesa Ortodossa Russa, la chiesa di San Giorgio e la piazza omonima, “rivivono” e cantano la loro “antica storia” per la gioia dei fedeli, dei turisti e degli amanti di questa splendida città. Padre Marian (Mario) Selvini, originario di Uscio,  é il chierico parrocchiale che ho avuto il piacere di conoscere. L'altro presbitero parrocchiale é P. Ioann Malish, ucraino.

“Genova è un’antica città italiana situata sulle rive del Mar Ligure. La città è conosciuta come il più grande porto d’Italia e del Mediterraneo. I genovesi, come gli altri italiani, sono in gran parte cattolici romani. A Genova ci sono chiese ortodosse di tre giurisdizioni: del Patriarcato Ecumenico, di quello di Romania e di quello di Mosca. La più grande chiesa (come quasi ovunque in Italia) è quella romena. Alla chiesa del Patriarcato Ecumenico vanno per lo più i greci locali (la chiesa greca di Genova è stata la prima a essere fondata). La chiesa più diversificata etnicamente e, a quanto pare, più missionaria è quella del Patriarcato di Mosca”.


Si noti il campanile, inglobato in una casa vicina, riadattamento della torre medievale degli Alberici.



La cupola

Il volto di un angelo in bassorilievo


Le icone bizantine venerate dagli ortodossi


L’altare Maggiore parzialmente protetto dall’Iconostasi


La Grande Pasqua Russa - Le uova rosse…





MARIAM SELVINI a destra  é con l'altro presbitero P.IOANN MALISH (ucraino)

 

LA PASQUA ORTODOSSA


La data della Pasqua ortodossa non coincide con quella della Pasqua cattolica, dato che la chiesa ortodossa segue il calendario giuliano e non quello gregoriano, anche se a volte le due festività cadono nello stesso giorno. La Pasqua ortodossa viene celebrata la prima domenica dopo la prima luna dall’equinozio di primavera.

Una settimana prima della Pasqua gli ortodossi, come tutti i cristiani, festeggiano l'ingresso di Gesù a Gerusalemme o la Domenica delle Palme. In Russia l'entrata del Signore a Gerusalemme non si chiama Domenica delle Palme, ma dei salici: nella fredda Russia le palme non crescono, però secondo la credenza popolare proprio in questo periodo ogni anno spuntano le gemme dei salici. Ecco perche questo giorno si chiama in Russia la "Domenica dei Salici". Gli ortodossi hanno l'usanza di conservare nel corso dell'anno i rametti dei salici benedetti e usarli per abbellire le icone e per proteggere le case dalle malattie.

Alla Domenica dei salici segue la settimana santa di Passione, la più rigida per quanto riguarda il digiuno. Da lunedì a sabato compreso, chi osserva il digiuno rinuncia non soltanto alla carne, al latte e al pesce, ma anche all'olio vegetale. Mercoledì e venerdì, quando si commemorano il tradimento di Giuda e la crocifissione di Cristo è preferibile non mangiare nulla. Il lunedì santo, e soltanto una volta all'anno, il Patriarca russo celebra la cerimonia della benedizione del crisma. Il crisma è una miscela particolare di oli profumati, resine e altre sostanze. Viene distribuito a ciascuna parrocchia per compiere il rito del battesimo e della cresima e dell'unzione degli infermi. Per questo esiste anche il detto: "Siamo tutti unti dallo stesso olio", abbiamo cioè tutti qualcosa in comune. Il luogo in cui avviene questa ceremonia è il monastero Donskoj di Mosca.

La preparazione liturgica alla Pasqua inizia il mercoledì, quando ha luogo la prima celebrazione importante, dedicata alla Passione del Signore. Anticipa la celebrazione mattutina del giovedì durante la quale gli ortodossi ricordano l'Ultima cena e accorrono in chiesa a comunicarsi in ricordo della prima Eucarestia. Durante il Giovedì Santo i credenti si preparano alla Pasqua in cucina: cuociono e dipingono le uova, preparano in una particolare forma di legno la Paskha di tvorog e mettono in forno i kulich. Gli ortodossi hanno appena il tempo di sistemare la casa per poi andare di sera di nuovo a messa dove vengono letti i dodici passi del Vangelo che descrivono la passione di Cristo. Tutto il giorno seguente, il Venerdì Santo, è dedicato esclusivamente alle liturgie: la mattina, al posto della messa tradizionale, si leggono le Ore. Quindi alle 14 inizia la "compieta santa", nella quale si ricorda la morte di Gesù e la sua Deposizione. Al centro della chiesa si espone un lenzuolo con la raffigurazione del Cristo morto. La "piccola compieta", che inizia alle 17, ha termine con la "sepoltura" del sudario che viene portato all'altare.

Il sabato è il giorno in cui si dovrebbe commemorare la presenza di Cristo nel sepolcro, ma in realtà nelle case russe e nelle strade regna un'atmosfera vivace: i padroni di casa si affrettano a imbandire una ricca tavola, i bambini e gli anziani corrono in chiesa a benedire i kulich, le Pashka e le uova preparate il giovedì prima. Il sabato a mezzanotte i fedeli si riuniscono, accendono ognuno il proprio cero e seguono la croce che viene portata in processione. Le campane suonano a festa e tutti si abbracciano tre volte; poi inizia laliturgia pasquale che dura fino all’alba. La mattina del giorno di Pasqua le famiglie si recano sulla tomba di un parente, dove viene consumato il pranzo. Durante i quaranta giorni successivi alla Pasqua, è di rito salutare chi si incontra con "Cristo è risorto"(Khristos voskres) ed è consuetudine ricevere in risposta "Veramente è risorto" (Voistinu voskres).

Durante il pranzo di Pasqua, famiglia e amici si riuniscono intorno a un grande tavolo, coperto con piatti di pesce e carni fredde. Al centro della tavola viene posta la cesta delle uova colorate. Il pranzo inizia con la tradizionale battaglia delle uova: ognuno sceglie un uovo e lo tiene in modo che si veda solo un estremo, che il vicino cercherà di colpire. E’ un’occasione di festa, sia per i credenti che non, i brindisi sono molti e sicuramente si riuscirà a gustare un pranzo delizioso. Per la chiesa ortodossa la Pasqua è la festa più importante, che si trascorre in famiglia e con gli amici, mentre durante l'intera settimana santa si hanno celebrazioni speciali. Alcune tradizioni legate alla Pasqua, al pari di molte altre tradizioni russe, abbinano credenze cristiane e pagane. Una di queste risale ai primi cristiani e vuole che il giorno di Pasqua si indossino soltanto vestiti nuovi (simbolo di vita nuova). Un’altra tradizione consiste nell’alzarsi all’alba per prevedere come sarà il tempo nell’estate seguente. Gli altri giorni del periodo pasquale sono tutti abbinati a un significato particolare: al mercoledì non si lavora, altrimenti il raccolto sarà rovinato dalla grandine; il giovedì è il giorno dedicato al culto dei defunti; e il venerdì è il giorno nel quale chiedere e ottenere il perdono dai propri cari e dai propri amici. Il Sabato Santo, i fedeli portano in chiesa i piatti tradizionali, preparati in casa, per farli benedire: le uova colorate, la paska, torta di ricotta con frutta candita, mandorle e uva passa, e il kulič, dolce cilindrico simile al panettone. Al centro vengono infilati dei ceri accesi con il sacerdote che si appresta a spargerli di acqua benedetta.

Non c’è Pasqua senza uova… Una fase obbligatoria delle preparazioni è la consuetudine a dipingere uova, meglio se con la tinta naturale. Questa tradizione è collegata al fatto che la Pasqua coincide con l’inizio della primavera, anticamente era celebrata con riti per la fecondità ed il rinnovamento della natura. Dipingere uova insieme ai bambini significa trasmettere loro i nostri valori, raccontare il senso di una grande festa. L’uovo di cioccolato della Pasqua occidentale è praticamente sconosciuto in Russia. Sono invece molto popolari e diffuse le uova di Pasqua fatte a mano, solitamente dipinte semplicemente di rosso per rappresentare il sangue di Cristo, ma in giro si trovano anche uova molto più elaborate.

NATALE ORTODOSSO

Gli ortodossi utilizzano il calendario giuliano e non quello gregoriano. Di conseguenza, ricorrendo al calendario istituito da Giulio Cesare e non quello da Papa Gregorio XIII, la data è posticipata. Le due Chiese, però, oltre ad avere la differenza del calendario, hanno altri piccoli particolari che si distinguono tra loro. Ecco quali sono le differenze! Differenze tra Natale Ortodosso e Natale Cattolico Tutti i Cristiani festeggiano il Natale, anche se le Chiese Cristiane lo celebrano in modo differente. Il Natale Ortodosso e quello Cattolico, oltre ad avere due date completamente diverse, hanno altre piccole differenze tra loro. Ad esempio, il Presepe non è un simbolo che appartiene alla Chiesa Ortodossa rispetto ai Cattolici che lo utilizzano come simbolo principale religioso della festa.

Oltre al Presepe, anche l’albero di Natale non viene inserito in tutte le confessioni religiose ortodosse, ma solo in alcune. I cristiani, invece, se ne prendono molto cura andando nei minimi particolari per farlo sempre nel modo giusto. Il simbolo del Natale Ortodosso, invece di essere il Presepe o altre icone particolari che i cattolici utilizzano, è una candela.  La Vigilia di Natale cristiana prevede festeggiamenti dalla sera tardi fino alla mezzanotte del 25 dicembre per poter celebrare in compagnia di parenti e amici la nascita di Gesù. Grandi cene, divertimento e giochi da tavola sono i protagonisti della Vigilia, l’opposto di ciò che fanno gli ortodossi. Quest’ultimi, infatti, non festeggiano assolutamente allo stesso modo. Inoltre, l’Avvento, il periodo religioso che anticipa il Natale, è sostanzialmente diverso ed è caratterizzata da un sacrificio che chi è religioso deve effettuare, ovvero il digiuno. Infatti questo periodo si può anche chiamare digiuno della natività o quaresima invernale o di Natale. Inizia, per chi adotta il calendario giuliano, il 28 novembre; invece per altri il 15 dello stesso mese. Una festa ortodossa, quindi, che è molto diversa da quella cattolica a cui siamo abituati.








Il P. Giovanni La Michela, originario di Genova, é il parroco della comunità

COMMENTI ED OPINIONI DEI VISITATORI

La chiesa dal particolare colore verde mare ha una storia molto travagliata con una ricostruzione nel medioevo e una successiva dopo la seconda guerra mondiale fino ad arrivare ai giorni nostri quando la chiesa si trasforma in un luogo di culto ortodosso. Ancora oggi all'interno tutte le decorazioni sono perfettamente conservate ma si affiancano a quelle del culto ortodosso. Spettacolare la Cappella di S. Caterina attribuita al Guidobono e quella dedicata a S. Gaetano di Thiene con il dipinto di Domenico Piola. La chiesa è aperta raramente vicino al portale gli orari delle celebrazioni se si arriva un po' prima è possibile visitare la chiesa.

Il campanile e il cavalcavia

Sempre mi ha stupito il cavalcavia che collega la chiesa alle case, sovrastando via dei Giustiniani, ma mai avevo notato il campanile che spunta sopra i tetti delle case, inglobato in un edificio, trasformazione della torre medievale degli Alberigi.
Dalla piazza parte la misurazione delle distanze sulle vie Aurelia e Postumia.
La Chiesa è spesso chiusa, ma ricordo di esservi entrata durante una celebrazione ortodossa molto partecipata ed affascinante.
Per non dire delle tele di Luca Cambiaso!

Quanta storia è passata di qua

Si tratta di una piccola chiesa situata nella piazza omonima, nel Centro Storico di Genova, accanto alla chiesa di San Torpete.
Già la posizione è storica, infatti piazza San Giorgio corrisponderebbe al foro della città romana. La chiesa di San Giorgio risalirebbe a prima dell'Anno Mille e in questa chiesa era custodito lo stendardo di guerra della Repubblica di Genova, che aveva San Giorgio come patrono. Attorno al Cinquecento fu ricostruita perché pericolante. Da allora ha subito numerose ricostruzioni, tanto che la facciata è di metà Ottocento.
Anche i bombardamenti della seconda guerra mondiale l'hanno gravemente danneggiata. Singolare che la statua della Madonna sia rimasta intatta in mezzo alle macerie!
Ora c'è ancora un cantiere. La facciata è singolare, curvilinea e di color verde pallido.
C'è anche una bella cupola.

Ringrazio Il prof. Giorgio Karalis, Teologo ortodosso ed autore di molti autorevoli libri, per avermi introdotto nell’affascinante Mondo dell’Ortodossia.

 

CARLO GATTI

Rapallo, 29 Aprile 2020