LE NAUMACHIE PIU' FAMOSE DELLA STORIA
LE NAUMACHIE PIU’ FAMOSE
LA NAUMACHIA DI CESARE
La prima naumachia fu ideata da Giulio Cesare a Roma nel 46 a.C. per celebrare i suoi trionfi. Fece scavare un ampio bacino nella Codeta Minore (Campo Marzio), vicino al Tevere da cui riceveva l’acqua. Aveva una profondità di 11-12 metri in grado di far affluire l’acqua e larga a sufficienza da contenere vere navi da guerra (biremi, triremi e quadriremi). Parteciparono alla battaglia ben 2.000 combattenti e 4.000 rematori ingaggiati tra i prigionieri di guerra.
La folla proveniente da ogni dove, persino dalle colonie più lontane, era così numerosa e stipata al punto che, come narra Svetonio, nella ressa micidiale morirono centinaia di persone. In quella occasione fu ricreata una battaglia tra Fenici e Cartaginesi.
Sappiamo che la naumachia di Cesare si trovava nel Campo Marzio, probabilmente in corrispondenza della depressione centrale dove era presente la Palus Caprae e dove più tardi venne sistemato lo stagnum Agrippae. Non potendo essere svuotata, se ne decise il riempimento nel 43 a.C.
LA NAUMACHIA DI AUGUSTO
La Saepta Iulia é l’edificio in alto al centro
Saepta Iulia (o Julia), noto in seguito come Septa e in greco come τὰ Σέπτα, erano edifici costruiti a Roma nel Campo Marzio. Tutta la zona è stata riedificata nei secoli successivi, ma gli studi di Guglielmo Gatti (1905-1981) hanno definitivamente fissato la posizione dei Saepta fra via del Seminario, via di S. Ignazio, via del Plebiscito, via dei Cestari e via della Minerva.
Si tratta di un complesso monumentale con uno spazio aperto di 300 x 120 mt, circondato da portici e arricchito da opere d’arte proveniente dai paesi conquistati.
Per l'inaugurazione del tempio di Marte Ultore (Marte Vendicatore), Augusto diede una naumachia che riproduceva fedelmente quella di Cesare. Come ricorda egli stesso nelle Res gestae, fece scavare sulla riva destra del Tevere, nel luogo denominato "bosco dei cesari" (nemus Caesarum), un bacino dove s'affrontarono 3000 uomini, senza contare i rematori, su 30 vascelli con rostri e molte unità più piccole.
BATTAGLIA DI AZIO
NAUMACHIA
Augusto voleva così celebrare la flotta romana, poiché egli stesso aveva conquistato il potere e sgominato i suoi nemici vincendo la battaglia di Azio, ove suo genero Agrippa, costruttore del Pantheon, era stato l’ammiraglio della flotta.
La naumachia d'Augusto (naumachia Augusti) è la più conosciuta. Nelle Res Gestæ, Augusto medesimo indica che il bacino misurava 1800 piedi romani su 1200 (circa 533 mt x 355 mt).
Plinio afferma che al centro del bacino rettangolare, si trovava un'isola collegata all'argine con un ponte. Il bacino era rifornito dall'acquedotto dell’Aqua Alsietina, appositamente costruito da Augusto per la sua alimentazione, poteva riempirlo in 15 giorni. Un canale navigabile permetteva l'accesso alle navi provenienti dal Tevere, oltrepassato da un ponte mobile (pons naumachiarius).
NAUMACHIA DEL COLOSSEO
Marziale narra che si tennero delle naumachie al Colosseo nei primi anni dopo l’inaugurazione. In seguito non fu più ritenuto idoneo per le modifiche murarie che vennero fatte all’intero impianto.
L’autore racconta inoltre che si tennero delle naumachie al Colosseo, ma gli archeologi moderni sostengono che esse furono abbandonate poiché erano necessari molti preparativi per rendere l'arena stagna e riempirla ad una altezza sufficiente (1,5 m) per potervi far galleggiare le navi.
Per l'inaugurazione del Colosseo nell'80 d.C. Tito diede due naumachie, una nel bacino agostiniano, usando ancora diverse migliaia di uomini e l'altro nel nuovo anfiteatro. Secondo Svetonio, Domiziano organizzò una naumachia all'interno del Colosseo, senza dubbio nell’85 d.C., e un’altra nel corso dell'anno 89 d.C. in un nuovo bacino scavato al di là del Tevere.
L'arena del Colosseo misurava solo 79.35 x 47,20 metri, una naumachia nel Colosseo non poteva quindi essere grande come le precedenti. E’ noto infatti che venissero impiegate sceneggiature raffiguranti navi, talvolta con meccanismi per simulare naufragi, sia sul palco che in campo (Tacito, Annales, XIV, 6, 1; Dion Cassio LXI, 12,2).
NAUMACHIE DI CLAUDIO
NOTA COME LA NAUMACHIA DEL FUCINO
Fu la più “grande” naumachia di tutti i tempi
Claudio nel 52 d.C. diede una naumachia su un vasto specchio d'acqua naturale, il lago del Fucino, per inaugurarne i lavori di prosciugamento attraverso l'apertura dei cunicoli di Claudio.
Le due flotte contavano ognuna 50 vascelli, corrispondente alle unità di ciascuna delle due flotte militari con basi a Miseno e a Ravenna. Grazie all'ampia superficie del lago Fucino, di cui solo una parte, circoscritta da pontili, fu usata per l'occasione, le navi poterono procedere con varie manovre d'avvicinamento e speronamento. La naumachia di Claudio riproduceva realmente una battaglia navale.
Gaius Suetonius, Dione Cassio e Cornelio Tacito, scrissero:
«Per realizzare l’Opera di Prosciugamento del Lago Fucino, ci vollero circa 11 anni di incessanti e massacranti lavori, a turni implacabili, giorno e notte, in cui vennero impiegati, “in condizioni disumane” più di 30.000 schiavi e che, Claudio, ambì commemorare l’inaugurazione dei lavori del prosciugamento del Lago Fucino, con una magnificenza tale, che ne superasse ogni altra, sia in grandezza che in splendore».
Lo spettacolo più monumentale a quei tempi era la — Naumachia — che, come una grande e importantissima partita di calcio di oggi, mandava letteralmente in visibilio le platee e, particolarmente, Claudio.
«La naumachia consisteva nella simulazione di una battaglia navale con combattimenti veri — con lotte all’ultimo sangue — fino alla morte».
Per l’eccellente riuscita della rappresentazione, Tacito e Sifilino, ci dicono che furono costruite circa un centinaio di galere a tre, e a quattro ordini di remi, che vennero organizzate su due flotte, una rappresentava i Rodiesi (Rodiani) e l’altra i Siculi (Siciliani). Per reperire i numerosissimi combattenti, si rastrellarono da tutte le prigioni circa 19.000 persone per farli guerreggiare su queste imbarcazioni. Per il suddetto gigantesco avvenimento, con annesso spettacolo, sulle rive del Lago Fucino, si recò ad assistere tutta Roma.
L’imperatore con la sua sposa, il figlioccio Nerone e gli altolocati della sua splendida corte, presero posto su un apposito chiosco, all’uopo predisposto ed a questi riservato, nelle immediate prossimità dell’inghiottitoio dell’Emissario. Dopo che le “galee” si erano disposte in posizioni antagoniste, in cerchio a queste, si posizionarono numerosissime zattere ed altre imbarcazioni occupate da guardiani armati di baliste, catapulte ed altre armi, con il compito di impedire che i combattenti potessero avere modo di sfuggire al loro destino.
"I guerrieri, prima di iniziare gli scontri, si guardarono intorno; e, resesi conto del triste destino, sfilarono davanti al Principe, a cui indirizzavano il funereo saluto di rito":
«Have Cesare imperator, morituri te salutant»
Claudio, fuori di sé dalla gioia, dimentico della formula del cerimoniale e, impaziente di godersi lo spettacolo, rispondeva con l’augurio: «Avete et vos» il che significa: «salute a voi». Dalle acque del Lago emerse un Tritone d’argento, seguì un infelice clangore di tromba per dar principio agli scontri, ma nessuno si mosse, e tutti si rifiutarono d’ingaggiar battaglia, perché l’Imperatore aveva augurato loro buona salute; Claudio colmo di collera, angosciato di vedere il suo spettacolo andare in fumo, li minacciò di farli uccidere tutti se non avessero subito iniziato a combattere …
… «la carneficina fu tale che l’onda vitrea dell’acqua del Lago Fucino, si colorerà di rosso con il sangue umano» … … erano migliaia e migliaia di uomini, moltissimi di questi persero la vita, in gran quantità finirono di esistere per dissanguamento, altri per le gravi ferite riportate, parecchi rimasero per sempre orrendamente deturpati: storpi, monchi, ciechi, mutilati, paralizzati; solo pochissimi si salvarono e, Claudio, vedendo quel Lago: “Plenum di sanguine”, forse temendo l’ira del dio Fucino, concesse loro la libertà.
Publio Cornelio Tacito, racconta: «Di là vedevi un urtarsi e un cozzare di zattere contro zattere, e repente di qua un inoltrarsi, d’alzarsi, inabissarsi di barche su barche, impetuosamente: da per tutto un cozzare, un azzuffarsi, un ferire, in lottar rabbiosamente, un vincere, un cader di mille schiavi, un romper d’arti, di gemiti, di sangue, di dolore e di uno sfasciar di navi».
Come consuetudine di quei tempi, tutto si svolgeva tra urli d’incitamento e di gioia, insaporito da eccelso godimento di Claudio e del suo popolo, entrambi assetati sempre della sofferenza e del — multum vulnerum — sangue degli altri.
CARLO GATTI
Rapallo, 17 giugno 2020
STORIA DELLA NAUMACHIA
STORIA DELLA NAUMACHIA
Secondo la definizione della TRECCANI, LA NAUMACHIA - (in latino naumachia, dal greco antico ναυμαχία/naumachía, letteralmente «combattimento navale») - Combattimento simulato a scopo di divertimento, eseguito di solito in edifici costruiti a questo fine o in anfiteatri allagati per la circostanza; l'accenno più antico è in Lucilio che forse allude ai Greci. Si ritiene che le naumachie fossero dapprima divertimento privato di grandi signori romani. Nei combattimenti navali eseguiti per pubblico divertimento, gli equipaggi e i combattimenti sono forniti da condannati o da prigionieri incitati alla lotta dalla minaccia di rappresaglie contro i riottosi; il combattimento così diventava cruento e dava agli spettatori l'acre piacere del sangue, come nei ludi gladiatori.
Abbordaggio sul lago Fucino
Rievocazione della Battaglia di Salamina sul lago Fucino
Battaglia di Azio
Personalmente ritengo che tramite le Naumachie, ROMA intendesse mostrare la sua POTENZA, EFFICIENZA E CORAGGIO al mondo ad essa ostile e alle colonie conquistate.
In altre parole le Naumachie sono stati i primi Film Kolossal risalenti a 2000 anni fa in cui venivano celebrate le grandi vittorie dei Cesari, non solo, ma anche di eroi, semidei, gladiatori, paladini della giustizia e mitici re. Per citarne alcuni: QUO VADIS (1951) - BEN HUR (1959) – IL GLADIATORE (USA 2000) - TROY (2004), celebri per le scenografie realistiche, grandi budget e colonne sonore memorabili. Proprio a causa degli enormi costi di produzione, di NAUMACHIE e FILM KOLOSSAL ne passarono pochi alla storia.
Per il popolo era una forma di spettacolo grandioso perché violento in modo superiore a quello cui erano abituati a vedere negli anfitetari, circhi ecc…
Per gli strateghi erano vere e proprie “simulazioni” di battaglie navali, con impiego di nuove armi sperimentali e l’uso di strategie che in seguito sarebbero state impiegate nelle VERE battaglie navali.
Per gli ingegneri civili e militari erano rare occasioni per mettere a punto opere costruttive: navi, porti adeguati, pontili, opere idrauliche di enorme importanza come bacini lacustri, fluviali, laghi artificiali, deviazioni di fiumi, raccordi e canali, acquedotti, dighe, mura, paratie e molti altri esperimenti in cui diedero prova di grande efficienza e capacità costruttiva, ponti e strade che avevano come scopo la rapida viabilità per le comunicazioni con tutte le province dell’Impero.
Sullo sfondo di questo scenario in gran parte strategico c’era la TALASSOCRAZIA, propagandata e praticata per far comprendere al popolo la rotta da seguire per ottenere il dominio dei mari.
Per talassocrazia (dal greco θαλασσα, mare, e κρατος, potere) si intende il dominio militare e commerciale, esercitato da una determinata entità politica, di uno spazio marittimo e dei territori in esso contenuti o che su di esso si affacciano.
Altre potenze che esercitarono la talassocrazia in epoca classica sono per esempio la polis di Atene, la civiltà cartaginese, Roma e Bisanzio/Costantinopoli.
Ulteriori esempi di talassocrazie tratti dalla storia più moderna possono essere:
· L’Impero Khmer' e quello Sri VIjaya nella penisola indocinese e nelle isole di Sumatra e del Borneo;
· La Lega Anseatica delle città tedesche e baltiche;
· Le Repubbliche Marinare, in particolare la Repubblica di Venezia e di Genova ma anche quelle di Pisa, Amalfi, Ancona, Gaeta e la dalmata Ragusa
· L’impero Britannico, che per tutto il XIX secolo ha mantenuto il predominio sui mari.
L'esempio più vicino ai giorni nostri di una talassocrazia è quello della potenza navale statunitense che, con i suoi (attualmente) dodici gruppi da battaglia di portaerei, può proiettare la propria potenza praticamente in ogni punto del globo terracqueo, attraverso l'uso combinato della potenza aeronavale, secondo la dottrina di Alfred Thayer Mahan. È interessante notare che tutte le talassocrazie sono presto o tardi declinate proprio a causa dell'incapacità di difendere territori così eterogenei e lontani fra loro. Altrettanto notevole é il fatto che molti grandi condottieri come Napoleone persero il loro potere per aver fallito la prova della potenza marittima. In effetti, la talassocrazia è una forma di potere estremamente costosa, in quanto una flotta richiede enormi investimenti in materiali, ma anche in addestramento di uomini altamente specializzati.
Le naumachie erano, come abbiamo appena visto, simulazioni di battaglie navali svolte in bacini naturali o artificiali allagati per la circostanza, dove si rievocavano famose battaglie storiche. I naumacharii, cioè i combattenti, erano un misto di nemici caduti schiavi, marinai pagati per eseguire le manovre indispensabili, o criminali condannati a morte cui veniva risparmiata la vita se dimostravano abilità e coraggio.
Questi spettacoli, ideati e rappresentati a Roma, raramente venivano eseguiti altrove, in quanto erano costosissimi: le navi erano autentiche e subivano attacchi con le prore rostrate danneggiandosi al punto che molte affondavano con ingenti perdite umane.
Le naumachie spesso riproducevano famose battaglie storiche, come quella dei Greci che vinsero i Persiani a Salamina, o quella degli abitanti di Corfù contro la flotta di Corinto.
QUANTE FURONO LE NAUMACHIE?
Le prime tre naumachie si tennero a circa 50 anni di distanza, le sei seguenti, la maggiore parte delle quali ebbero luogo in anfiteatri, si tennero a circa 50 anni di distanza; le sei seguenti, la maggior parte delle quali si svolsero in anfiteatri, si tennero a distanza di 30 anni. Delle circa venti rappresentazioni di naumachia nell’arte romana, quasi tutte sono del IV stile pompeiano, all’epoca di Nerone e dei Flavi.
I naumacharii, nell’accingersi alla battaglia, salutavano l’imperatore con una frase celebre:
“Ave Caesar, morituri te salutant”.
Frase che spesso viene attribuita erroneamente ai gladiatori nel rituale saluto all’Imperatore.
Ed ecco la spiegazione:
“Almeno così salutarono l’imperatore Claudio che non desiderando il massacro di tutti fece un cenno di negazione che fu però interpretato come una grazia dal combattimento. Claudio si infuriò, gli uomini combatterono, parecchi morirono, la folla andò in visibilio e tutti i sopravvissuti vennero graziati. Poiché era andata bene, la frase venne ripetuta.
L'apparizione delle naumachie è strettamente legata a quella, leggermente anteriore, d'un altro spettacolo, il «combattimento fra truppe» che non ingaggiava dei combattenti a coppie, ma due piccole armate. Proprio in queste ultime i combattenti erano più sovente dei condannati senza allenamento specifico rispetto ai veri gladiatori. Cesare, creatore della naumachia, traspose semplicemente in un ambiente navale il principio delle formazioni di battaglia terrestre.
Le naumachie avevano la particolarità di rievocare temi storici o pseudo-storici: ogni flotta che s'affrontava rappresentava un popolo celebre per la sua potenza marittima nella Grecia classica o l'Oriente ellenistico: Egizi e Fenici per la naumachia di Cesare; Persiani e Ateniesi per quella di Ottaviano Augusto, Siculi e Rodii per quella di Claudio.
I mezzi impiegati erano considerevoli! Ciò rendeva la naumachia uno spettacolo riservato ad occasioni eccezionali, strettamente legato a celebrazioni dell'Imperatore, sue vittorie e suoi monumenti.
Acqua negli anfiteatri
L'immissione d'acqua negli anfiteatri solleva, ancora oggi, numerose domande. Innanzi tutto, questi luoghi non servivano esclusivamente per le naumachie e dovevano essere disponibili per caccie e lotte tra gladiatori. L'alternanza rapida tra spettacoli terrestri ed acquatici sembra essere stata la principale attrazione di quest'innovazione. Cassio Dione lo sottolinea quando si riferisce alla naumachia di Nerone; Marziale fa lo stesso parlando di quella di Tito nel Colosseo. Lo studio delle sole fonti scritte non fornisce alcuna informazione sulle modalità pratiche di questa prestazione.
La caduta dell'Impero romano non determina la fine delle naumachie. In effetti, ne ebbero luogo delle altre nel corso dei secoli successivi, particolarmente nel 1550 a Rouen per il re Enrico II di Francia o nel 1807 a Milano per l'imperatore Napoleone Bonaparte. Nel 1690 in occasione delle nozze del figlio Odoardo II Farnese con Dorotea Sofia di Neuburg, il duca Ranuccio II Farnese fece scavare una grande peschiera al termine dell'ampio viale centrale del parco ducale di Parma, al fine di rappresentarvi una spettacolare naumachia.
CARLO GATTI
Rapallo, 17 giugno 2020
NAVI A ROTORE * FLETTNER SHIP
NAVI A ROTORE * FLETTNER SHIP
di Maurizio GARIPOLI
Per introdurre questo tipo di nave, conoscere l’“effetto Magnus” è importante e imprescindibile, ma tratterò l’argomento in forma semplificata, con lo scopo di incuriosire, più che di spiegare.
Immaginiamo un calciatore che colpisce il pallone di punta e cerchiamo di visualizzare la palla percorrere la sua traiettoria a parabola fino alle braccia del portiere. Figuriamoci ora lo stesso pallone colpito con un calcio ad “effetto”: il calciatore gli imprime una rotazione più o meno accentuata per deviarlo dalla sua traiettoria e sorprendere il portiere.
Il risultato lo ottiene per la differenza di pressione che si crea tra le due facce dell’oggetto in rotazione.
Questa differenza di pressione genera un vettore di forza capace, in questo caso, di spostare il pallone dalla traiettoria naturale durante il tragitto verso la porta.
Il giocatore sa che, a seconda della velocità di rotazione che imprime al pallone, questo avrà una deviazione più o meno marcata; anche se non tutti i calciatori sanno che il risultato ottenuto è dovuto al cosiddetto “effetto Magnus”.
L’ingegnere aeronautico tedesco Anton Fletner, basandosi su questo principio, inventò un rotore cilindrico, che ha avuto negli anni diversi utilizzi, e non solo in campo aeronautico. Il rotore è stato impiegato per costruire aerei, timoni navali ad alta efficienza e… propulsori navali.
Oggi parliamo, sinteticamente, di queste navi a rotore.
In effetti non se ne vedono molte, tuttavia esistono e stanno solcando i mari proprio in questo momento.
La prima nave a utilizzare questo sistema fu costruita proprio da Flettner nel 1924 ed era dotata di due cilindri larghi 3 metri e alti 15 che sfruttavano un piccolo motore e il vento per generare questa forza. Questo sistema ai tempi non fu ritenuto molto efficiente, almeno rispetto alla propulsione convenzionale, e venne abbandonato per un lungo periodo, tuttavia l’idea rimase latente fino agli anni ’80, quando fu pensata come un ausilio al propulsore principale per ridurre i costi del carburante via via crescente.
Ma come funzionano i rotori?
I rotori Flettner sono dei grossi cilindri che salgono in verticale dalla coperta della nave e sono meccanicamente collegati al propulsore, che poi è la loro principale fonte di energia. Funzionano come delle vele e in effetti il loro secondo nome è vele a rotore. Il vento, che colpisce i cilindri in rotazione, genera una forza perpendicolare che segue la legge dell’effetto Magnus:
Un corpo in rotazione in un fluido in movimento genera una forza perpendicolare sia all’asse del corpo che alla direzione del fluido.
Graficamente la possiamo vedere così:
Quando il vento colpisce la nave al traverso, genera una forza che aiuta l’elica principale a spingere la nave in avanti. Se la rotta della nave cambia, il senso di rotazione del rotore può essere invertito per non creare una forza contraria al moto. Contribuendo alla propulsione, le vele a rotore abbattono i consumi che poi, in effetti, è il loro scopo primario.
Nell’Estate del 2010 compí il suo primo viaggio l’E-Ship1, una nave da carico con ponte a prua di 130 metri di lunghezza e circa 13.000 tsl, adibita al trasporto di turbine eoliche, dotata di bow e stern trhuster, due eliche e quattro rotori Flettner alti 27 metri e larghi 4.
La E-Ship1 veniva spinta da due motori Diesel marini e, in parte, dai rotori, fino alla velocità massima di 17,5 nodi, ottenendo un risparmio di carburante pari al 10% rispetto a una propulsione a elica esclusiva.
Per alcune compagnie questi risultati valgono l’investimento e, proprio per questo, stiamo assistendo a un lento ma costante incremento del sistema nella flotta mondiale.
Nel 2015 due rotori vengono installati sulla Ro/Ro Estraden.
Nel 2018 un rotore viene installato a prua della nave da carico Fehn Pollux.
Nel 2018 viene installato un rotore alla nave passeggeri Viking Grace.
Nel 2018 quattro rotori mobili vengono installati sulla nave Afros di 199 metri e 36452 tsl.
La particolarità dei rotori mobili permette alla nave di svolgere più agevolmente le operazioni commerciali per poi utilizzare i rotori in navigazione:
https://www.youtube.com/watch?v=X8xysiW4S9Y&feature=emb_logo
Sempre nel 2018 vengono installati due rotori alti 30 metri e larghi 5, sulla petroliera Maersk Pelican – nel video che segue possiamo vederne l’installazione – nonché molti altri particolari del sistema:
https://www.youtube.com/watch?time_continue=19&v=Nrw_FPGsfA4&feature=emb_logo
Ognuna di queste navi dichiara consumi diminuiti dal 10 al 20% e minori emissioni inquinanti. La tecnologia e i materiali moderni hanno fatto abbattere i costi e ottimizzato le prestazioni, portando i rotori a essere sempre più leggeri e performanti.
Il potenziale per un ulteriore sviluppo esiste!
Se per mare vi capita di incontrare una di queste navi, fatecelo sapere e mandateci una foto! La pubblicheremo col Vostro commento.
CARLO GATTI
WEBMASTER
Rapallo, mercoledì 10 Giugno - 2020
IL SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DI MONTALLEGRO UN FARO DI FEDE PER LA GENTE DI MARE
IL SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DI MONTALLEGRO
UN FARO DI FEDE PER LA GENTE DI MARE
Festeggiamenti patronali 1-2-3 luglio
Una Icona bizantina per - “mano divina” – approda misteriosamente sul Monte Leto
Maria, a conferma della sua misteriosa visita sul monte Leto, lasciò una piccola ICONA bizantina (cm. 18x15) che raffigura la Sua Dormizione e Transito.
“Questo è il mio riposo per sempre: Qui abiterò perché l’ho desiderato”….” Dì loro che Qui voglio essere onorata”.
(Anonimo dal “IV Centenario dell’Apparizione della Madonna a Montallegro (1557-1957).
Per chi naviga in altura, il mare ed il cielo si abbracciano sulla linea dell’orizzonte. Il navigante, che é lontano dalla sua terra e dagli affetti più cari, si sente prigioniero di questo incantesimo che lo spinge spesso verso la tristezza e la chiusura al mondo. E’ così da sempre, ma lui non teme l’ignoto! Nel suo cuore ha un salvagente per tutte le situazioni: la linea d’orizzonte diventa una “cima” a cui aggrapparsi, una linea di fede, stranamente così si chiama a bordo la direzione della prora, e così comincia, senza neppure saperlo, a sorridere e ad affidarsi al Divino!
Un vecchio proverbio marinaro recita - Chi non sa pregare, vada in mare a navigare – Forse proprio da quell’antica saggezza nasce la DEVOZIONE che accomuna la gente di mare.
Tra noi gente della costa, schiacciati da sempre tra le impervie colline dure da coltivare, ed il mare dal carattere difficile da domare… sono esistite, fino a fine ‘800, solo due tipologie di persone: i contadini e i marinai, gente dura, veri interpreti della “cultura della fatica”. Gente che poteva contare solo sull’aiuto del cielo.
Non é dunque strano che in una terra dura e aspra come la Liguria, l’origine e la storia di molti Santuari si ritrovi intrecciata alla “cultura della fatica” e ai suoi personaggi.
Il Santuario di Nostra Signora di Montallegro nasce dopo l’Apparizione della Madonna del 2 luglio 1557 al contadino Giovanni Chichizola, nativo della vicina San Giacomo di Canevale; da quel giorno ormai lontano il Tempio, tanto caro alla gente tigullina emana, proprio come un FARO MARITTIMO, una forte luce diuturna per migliaia di naviganti che prima o poi lassù salgono in pellegrinaggio per pregare e lasciare una testimonianza di fede alla Madonna: un voto per GRAZIA Ricevuta durante il passaggio di un viaggio nell'inferno di CAPO HORN; ne abbiamo le testimonianze: tre velieri su cinque erano disalberati dai venti ruggenti e urlanti di quelle latitudini e si perdevano nei gelidi abissi dell’emisfero australe.
Con Quaranta ruggenti e Cinquanta urlanti vengono convenzionalmente indicate, nel mondo marinaro, due fasce di latitudini australi caratterizzate da forti venti provenienti dal settore OVEST (predominanti), le quali si collocano rispettivamente tra il 40º e il 50º parallelo e tra il 50º e il 60º parallelo dell'emisfero meridionale. Tali venti hanno la stessa origine dei venti da Ovest dell'emisfero settentrionale, ma la loro intensità è superiore di circa il 40 per cento: ciò è dovuto alla serie di intense depressioni che interessano queste zone, dovute all'incontro tra l'aria fredda dell'Antartide e l'aria calda proveniente dal centro degli oceani, inoltre questi venti sono amplificati dalla relativa scarsità di terre emerse nell'emisfero sud, cosicché soffiando sempre sul mare non incontrano mai la terraferma che li potrebbe frenare. La denominazione deriva dal nome dei paralleli alla cui latitudine soffiano questi venti: Quaranta o Cinquanta e dal rumore che il vento produce sibilando attraverso gli alberi, il sartiame e la velatura delle imbarcazioni a vela, che somiglia a un ruggito sui 40° e ad un grido sui 50°.
Da questi scontri durissimi con la natura selvaggia del mare nasce quel fenomeno mistico che ancora oggi si chiama DEVOZIONE MARIANA.
Tavolette, dipinti rustici, cuori argentati, grucce, vecchi fucili, proiettili, bombe a mano, attrezzi marinareschi e molti altri piccoli reperti: pezzi di salvagente, di cimette, bozzelli ecc…che in tempi più recenti diventano scatti fotografici che fermano il tempo su quei momenti tragici sofferti dalla gente di mare. Testimonianze che nell’assumere valore religioso, esprimono la fede, la speranza di salvezza e di protezione, e sono anche l’espressione di una gratitudine profonda ed indicibile.
Il sottile filo del tempo corre dalla preistoria fino ai giorni nostri unendo questi figli del mare immersi in tutte le attività ad esso collegate. Marinai che hanno dovuto affrontare la navigazione tra bonacce insidiose e tempeste estremamente pericolose, combattendo spesso a mani nude contro i frequenti attacchi dei pirati barbareschi che li depredavano, li sequestravano e li tenevano prigionieri nelle loro cale barbaresche in attesa del riscatto che veniva concordato con il “Magistrato genovese del riscatto degli schiavi”.
Dalle avventure di tal genere nascono spontanei gli ex voto raccolti a Montallegro e nei santuari mariani della nostra riviera, quale atto di devozione e di gratitudine per lo scampato pericolo, ma anche come manifestazione di religiosità, di quel senso spirituale che ogni uomo ha radicato in sé e che si estrinseca nei momenti difficili della vita.
Ex voto marinari che costituiscono un’espressione culturale riferita ai tempi cui appartengono. Vi sono alcuni capolavori che riflettono il talento ed il genio dell’esecutore e la profonda civiltà dell’ambiente in cui nascono e ci sono opere che, pur nella loro estrema semplicità, possono avere una loro sincerità ingenua e significativa, ma tutti trasmettono il palpito di una vita vissuta, intrecciata di pericoli di ogni genere, c’è insomma la vera arte popolare, un’arte forse minore, ma sublime e che talvolta può apparire primitiva, ma non per questo meno intensa e meno autentica dell’arte “colta”, per i valori artistici che vi si riscontrano.
Sebbene oggi, medie e grandi navi, tutte altamente automatizzate, solchino i sette mari con grande disinvoltura, le statistiche, purtroppo, ci dicono che il numero dei naufragi, è sempre alto: circa 400 l’anno, cifra costante, ineluttabile che spiega molto bene quanto si sia ancora lontani dall’aver capito i limiti della potenza del mare!
Tra i tanti, per lo più anonimi, ne scegliamo alcuni divenuti famosi per vari motivi storici, letterari ecc..
Il Voto del Raguseo
L’ex-voto su lamina d’argento raffigura la “caracca ragusea”, simbolo di destrezza e perfezione tecnica. C’è capitato di scoprire proprio a Dubrovnik (ex-Ragusa) altri esempi di Ex-Voto marinari, molto simili ai nostri e quasi sempre rappresentati con la “caracca di epoca colombiana”.
Iniziamo il nostro itinerario devozionale incontrando oggi il più antico e forse il più “chiacchierato” tra gli omaggi Per Grazia Ricevuta alla SS. Vergine. Si tratta di una lamina d’argento offerta dal capitano di mare Nicola Allegretta di Ragusa (l’odierna Dubrovnik-Croazia meridionale) che, scampato miracolosamente al naufragio del suo non specificato veliero su Punta Mesco, a causa di una terribile burrasca da libeccio, trovò rifugio nel golfo Tigullio e si recò poi pellegrino al Santuario il 26 dicembre 1574.
Il capitano Allegretti proveniva da questa realtà storico-geografica che per la sua peculiarità e grande fascino può ancora oggi reggere il confronto culturale con molte altre “perle” sicuramente più celebrate in Europa e nel mondo. Gli storici locali ci tramandano che la visita del Raguseo al Santuario di Montallegro si trasformò, molto presto, nel tentativo di recupero della Sacra Icona (la Dormizione di Maria), reclamata dalla comunità dalmata, che ne vantava la precedente proprietà. Ma qui, paradossalmente, avvenne un altro miracolo: il Senato genovese sentenziò, infatti, la restituzione del quadretto dell’Apparizione al termine di una vertenza legale che, tuttavia, non si realizzò a causa del misterioso rientro della Icona sul monte, che soltanto da quel momento cominciò a chiamarsi Monte Allegro per la felicità della popolazione che sentiva concretamente la protezione della Madonna. Lasciamo le questioni legali ed entriamo nel dettaglio dell’omaggio al Santuario, dal cui Codice Diplomatico (p.16-17) riportiamo:
“…Narra egli dunque di Nostra Signora del Monte il seguente bellissimo fatto, degno di perpetua memoria “ Dell’anno 1574 correndo naufragio Cap. Allegretti Raguseo con sua nave da mercanzia, che di là veniva a Genova, mentre si trovava nei nostri mari della Liguria, vicino a Monte Rosso delle Cinque Terre, radunatasi ha consolato tutta la ciurma, fecero voto unitamente a Dio, che se li avesse dall’imminente naufragio liberati, nel primo terreno o porto dove si fossero afferrati sarebbero tutti a piedi scalzi andati pellegrini alla Chiesa più memorabile per devozione che ivi fosse. Trascorsero per divina provvidenza portati dalla procellosa marea nel Golfo di Rapallo dove tranquillatasi la burrasca e accertati che la Chiesa di Santa Maria della Mont’Allegro che dalle spiagge li fu mostrata era la più rinomata per devozione e miracolosa che fosse non solo in queste parti, ma nei lidi della Liguria, pochi anni avanti colassù comparsa, non tardarono di andarla a visitare per adempire il voto fatto e vi portarono la tabella votiva o quadretto d’argento, in cui intagliata la Nave in atto di naufragare colla seguente inscrizione ancora oggi giorno nella Chiesa di detta Nostra Signora si vede.”
NARCISSUS
nave “speciale” così carica di ricordi letterari e nautici
L’Ex voto, di cm 87x67, dell’artista G. Roberto rappresenta il Narcissus in grave difficoltà nel passaggio del terribile Capo Horn, durante il quale l’equipaggio e la nave si salvarono miracolosamente per intercessione della “Vergine Santissima di Montallegro” il 22-23 .9.1903 La didascalia del quadro riporta la posizione geografica dell’avvenimento e i 12 nomi dell’equipaggio che offrono “in ringraziamento questo ricordo alla V.SS. di Montallegro (Rapallo) – Genova marzo 1904”.
Il dipinto ad olio del veliero Narcissus che si trova nel Santuario di Montallegro non è diverso dai tanti ex-voto che si ammirano nelle pinacoteche della devozione tra le due riviere, ma la sua presenza nell’immaginario collettivo, richiama alla mente mari scatenati, calme equatoriali e la sottile psicologia di tanti personaggi descritti magistralmente dal più grande scrittore di storie di mare Joseph Conrad, che proprio su quella nave imbarcò una prima volta da marinaio e poi da ufficiale di coperta con il brevetto di capitano di lungo corso che ottenne nel 1884.
Quando Conrad lasciò il navigare nel 1894, s’immerse ancor più nel suo mondo marinaro e per trent’anni scrisse i suoi romanzi, saggi e racconti, fra i quali risalta “The nigger of Narcissus”.
Joseph Conrad li definì così. Marinai di Capo Horn: “Una razza scontrosa e fedele, vigorosa e fiera, capace di ogni rinuncia e dedizione, con i suoi riti, i suoi usi, il suo coraggio e la sua fede…”
Brigantino a palo “Confidenza”. E’ un barco chiavarese per la navigazione atlantica. Dipinto su carta 78x57 cm. Secolo XIX.
Il terzo ex-voto è riferito ad un altro brigantino a palo, il “Confidenza”, costruito nel 1872 per lo stesso Armatore Dall’Orso di Chiavari. Lo scampato naufragio si riferisce al ciclone incontrato al largo di Filadelfia il 9 settembre 1889 che fu così riassunto dal suo capitano Giuseppe Lagomarsino ….”conoscendo l’eminente pericolo della perdita del bastimento e vita fece voto a M.S.S. di Monte Allegro e per la grazia ottenuta fece del presente quadro a questo Santuario in memoria eterna”.
In questa rappresentazione di gran pregio, la parte riservata all’iconografia sacra che riproduce l’apparizione della Vergine al veggente G. Chichizola è notevole e molto dettagliata.
Nave a palo Francisca, 1874. Lamina d’argento sbalzata.
Lo stesso avvenimento è ancora ricordato con una lamina d’argento sbalzata che raffigura il veliero che naviga a gonfie vele verso il suo destino. I due doni esprimono un contrasto: lo splendore, la velocità e la ricchezza di un veliero oceanico spinto da un buon vento, contro la caducità della vita, del rapido cambiamento del destino sottoposto alla spietata legge della natura avversa. In questi frangenti, rivolgersi alla Vergine significa, per il marinaio, aggrapparsi ad un’ancora di salvezza, simulacro di croce, la speranza di continuare a vivere.
Il brigantino affonderà nel 1887 probabilmente sotto i colpi del terribile monsone di SW che spesso arriva sul Capo di Buona Speranza con la massima forza della scala Beaufort. Il veliero proveniva dall’estremo oriente con un carico di riso.
Uragano sofferto nell’Oceano Indiano, 22.2.1874 dal brigantino a palo “Francisca”, 683 tonn. di Stazza lorda. Armatore Dall’Orso. Fu costruito a Chiavari dai Cantieri di Matteo Tappani nel 1873
Il dipinto, tempera su carta, dell’artista Fred Wettening rappresenta il veliero in balia della tempesta con vele stracciate ed una trinchettina di fortuna per mantenersi alla cappa (con la prua al mare) per non essere travolto dalle onde. In alto a sinistra è finemente stilizzata l’icona venerata della Dormizione della Vergine.
Le cerimonie religiose che ancora oggi si praticano in tanti porti del Mediterraneo sono incantesimi, perennemente reiterati contro il capriccio delle bufere e delle tempeste. Gli ex voto di marinai scampati al pericolo parlano di quella paura annidata nel cuore degli uomini, che mai si abbandonano a cuor leggero alla perfidia delle onde. E' alla Vergine Maria, "Stella Maris", Stella del Mare, che i marinai dell'occidente raccomandano i loro carichi, e soprattutto i loro corpi e le loro anime.
Fernand Braudel
Maria, come recita un antico inno, è, specialmente nel mese di Maggio, invocata come "Stella Maris". Perchè la Madonna viene chiamata "Stella del Mare"? Le stelle si presentano come un segnale luminoso e posseggono un loro fascino simpatico e misterioso per tutti noi, ma per quanti operano in mare esse sono sempre state fondamentali per la sicurezza della navigazione.
Quando il cielo era limpido e la notte serena, la loro fiammella era il richiamo rassicurante per il procedere in mare ed in vista della meta desiderata. Ed anche quando il firmamento restava oscurato dalle nuvole, era motivo di fiducia il pensiero che comunque le stelle al di là continuavano ad esistere e non cessavano di mandare la loro flebile luce, anche se momentaneamente non veniva percepita.
Nel mare della vita tutti abbiamo bisogno di avere qualche stella, che ci mandi la sua luce, ci indichi il cammino, ci doni sicurezza. Quando siamo sinceri con noi stessi sentiamo che non si può vivere in una continua oscurità e senza almeno qualche certezza. La notte della mente e del cuore fa paura, suscita ansia, blocca la vita e nessuno può essere talmente masochista da voler vivere in una situazione di perenne confusione e di vuoto interiore.
Abbiamo bisogno di luce spirituale per vivere sereni, vogliamo vedere davanti a noi il cammino da percorrere, desideriamo conoscere la strada del nostro destino e la meta della nostra vita.
Maria può essere quella guida materna che la nostra vita ricerca, si presenta come la stella luminosa del mattino delle nostre giornate, è la voce di quel navigatore spirituale che indica la strada da percorrere.
“Fate quello che Gesù vi dirà”. Ecco la voce della stella, ecco l’indicazione del navigatore. Ha un nome, Maria, e dice una cosa: “Fate quello che Gesù vi dirà”.
Maria è la stella del mare della vita, che manda la sua luce solo a quanti alzano gli occhi verso di lei e sanno mettersi nel silenzio, come quando vogliamo ascoltare il silenzio delle stelle.
Solo chi sa stare in silenzio può percepire la voce dell’altro che parla, riesce ad ascoltare i propri sentimenti, ha la capacità di rispondere agli interrogativi del suo cuore e quindi riesce a dare luce al cammino della propria vita.
“Vi è un incanto nei boschi senza sentiero ed è un’estasi sulla spiaggia solitaria vi è un rifugio dove nessun importuno penetra. Accanto alla profondità del mare ed alla musica del suo frangersi riesco ad amare più la natura di quanto ami l’uomo. In questi colloqui riesco a liberarmi da quanto sono o credo di essere stato per essere un’unica cosa con l’universo e sentire quanto non riesco ancora ad esprimere e che non so neppure nascondere.“
Scritto da Lord George Gordon Byron allo Stella Maris nell’anno 1821
Significato
Nome composto da Maria Stella. Maria deriva dall'ebraico Maryàm e vuol dire "principessa, signora", mentre Stella ha origine latina ed il suo significato è "luminosa come un astro". Può comparire anche nelle forme Maria Stella o Maristella. Stella Maris ossia Stella del mare è un antico titolo utilizzato per Maria Vergine, madre di Gesù. L'onomastico può essere festeggiato il 12 settembre giorno dedicato al Santissimo Nome di Maria oppure l'11 maggio in memoria di Santa Stella martire.
L’immagine della STELLA MARIS qui raffigurata è forse la più conosciuta a bordo delle navi
MAESTRA E SIGNORA DEL MARE
Secondo questa interpretazione il nome di Maria deriverebbe da MOREH (ebr. Maestra-Signora) + YAM (=mare): come Maria, la sorella di Mosè, fu maestra delle donne ebree nel passaggio del Mar Rosso e Maestra nel canto di Vittoria (Es 15,20), così "Maria è la Maestra e la Signora del mare di questo secolo, che Ella ci fa attraversare conducendoci al cielo" (S.Ambrogio, Exhort. ad Virgines).
Altri autori antichi che suggeriscono questa interpretazione: Filone, S. Girolamo, S. Epifanio. Questo parallelo tipologico tra Maria sorella di Mosè e Maria, madre di Dio, è ripreso da S. Agostino, che chiama Maria "tympanistria nostra" (Maria sorella di Mosè e la suonatrice di timpano degli Ebrei, Maria SS. è la tympanistria nostra, cioé dei Cristiani: il cantico di Mosè del Nuovo Testamento sarebbe il Magnificat, cantato appunto da Maria: questa interpretazione è sostenuta oggi dal P. Le Deaut, uno dei più grandi conoscitori delle letteratura tergumica ed ebraica in genere: secondo questo autore, S. Luca avrebbe fatto volontariamente questo parallelismo.
Quando nel volto di Maria il poeta Giorgio Caproni ricordava con nostalgia inquieta la fede della sua infanzia: "Nel vago della notte, io disperso mi sorprendevo a pregare. Era la stella del mare".
Oggi festeggiamo il nostro destino, che è di vita e non di morte. Maria, assunta in cielo, dice che il miracolo della Resurrezione non è privilegio divino, ma meta per tutti. La Vergine ci precede, e ci mostra la via.
Non a caso una delle metafore più usate dai poeti di ogni tempo è proprio quella di Maria stella del cielo, che indica la rotta ai naviganti. La stella polare indica il Nord a tutti
Per il mio nuovo viaggio lungo le rotte della memoria, non cerco porti idonei alla partenza o ai ritorni; non cerco nave od equipaggio. La terra, la mia, farà da porto e da riparo; e magicamente sarà nave ed equipaggio. Insieme veleggeremo, fatalisticamente sospinti da ataviche maledizioni, da fallaci certezze, da vecchie e nuove paure, alla ricerca di serene spiagge, di gioiosi lidi. Alla Stella del Mare raccomando questo singolare veliero, insieme ai corpi ed alle anime del nostro equipaggio. A mia madre rivolgo pensiero e gratitudine e a lei dedico gli esiti incerti e le possibili conquiste del viaggio; a mia moglie, come ad ogni partenza, la promessa del primo abbraccio del ritorno.
Il comandante
Carlo GATTI
Rapallo, 30 Marzo 2020
SAN GIOVANNI BATTISTA PATRONO DI GENOVA
SAN GIOVANNI BATTISTA PATRONO DI GENOVA
UNA STORIA MARINARA ALLA BASE DELLA TRADIZIONE…
San Giovanni Battista si festeggia il 24 giugno. Anche se, nella vulgata popolare, il vero simbolo della città é San Giorgio con il suo stemma della croce rossa in campo bianco. Ma come sanno tutti i nostri followers, di San Giorgio ce ne siamo già occupati ampiamente. Oggi spostiamo il nostro teleobiettivo su un’altra affascinante STORIA che tanti forse non conoscono.
Guglielmo Embriaco detto Testa di Maglio
Tra la fine dell’XI e l’inizio del XII sec. Genova é teatro di due straordinari eventi:
nasce il Comune e i Genovesi partecipano trionfalmente alla prima Crociata.
La storia ci porta indietro un migliaio di anni, all’insegna del coraggio e all’epica delle Crociate, in quei giorni quando emerse la figura del valoroso genovese Guglielmo Embriaco, detto “Testa di Maglio” famoso per le sue imprese, impregnate di fervore religioso e mistico teso a recuperare le reliquie dei Santi quando era estremamente diffusa questa usanza.
Genovesi, Baresi e Veneziani da tempo erano alla ricerca delle reliquie di San Nicola a Myra, in Asia minore.
Ma forse non tutti sanno cosa successe al resto del corpo del Battista dopo la sua decollazione. Le sue spoglie prive del capo, furono conservate e venerate a Sebaste in Samaria, ma poi, sotto l’imperatore Giuliano l’Apostata (361-363), vennero profanate, bruciate e le ceneri disperse.
La tradizione dice che un monaco le raccolse e le portò nel suo convento. Posteriormente sarebbero arrivate in un convento di Myra, città della Licia, nel 540. (parte bassa della carta)
Durante la prima Crociata (1096-1099) e di ritorno dall’assedio di Antiochia, i genovesi guidati da Guglielmo Embriaco si diressero a Myra per cercare le reliquie di San Nicola, città di cui era stato vescovo nel IV secolo.
Quando arrivarono sul posto vennero a sapere che erano stati preceduti dai baresi e dai veneziani.
I genovesi tuttavia non si diedero per vinti, in un monastero rinvennero altre sacre reliquie e quando seppero che appartenevano a San Giovanni se ne impossessarono.
E narrano gli storici che per condurre a Genova le ceneri del Battista si decise di suddividerle su diverse navi.
Durante il viaggio il mare volse in tempesta, le onde si alzarono abbattendosi sugli scafi ormai disastrati. Qualcuno allora pensò di unire le ceneri sulla galea capitana. Appena compiuta l’operazione di trasbordo, il mare ritornò ad essere maneggevole e gli equipaggi gridarono al miracolo.
E così, da allora, ci si rivolse al Santo per chiedere la sua protezione ogni volta che la violenza delle onde diveniva un’insidia per il porto e la città di Genova e si stabilì l’usanza di portare, in quelle occasioni, le ceneri del Battista davanti al mare.
Le ceneri arrivarono a Genova il 6 maggio 1099, dopo tre mesi di viaggio. Quest’episodio è anche rappresentato nel quadro di Bernardo Castello dove possiamo vedere lo sbarco solenne delle ceneri che sono attese in ginocchio dai cittadini della città, guidati dal vescovo.
L’arrivo delle Ceneri a Genova su tre vascelli nel 1098 fu un avvenimento memorabile per la città e, ancora oggi, viene rievocato dalla suggestiva Sfilata del Corteo Storico in occasione della Regata delle Repubbliche Marinare che si svolge ogni anno, a rotazione nelle quattro città. La devozione al Santo cominciò a farsi sempre più fervente e a riflettersi in molti campi: iniziarono a sorgere numerose cappelle pubbliche e private oltre che edicole sacre dedicate al Battista.
Risale al 1300 la tradizione genovese che affida a San Giovanni Battista un ruolo specialissimo per la protezione delle navi dalle tempeste di mare; già nel 1327 la processione - decretata in coincidenza con la proclamazione del Santo a patrono della città - prevedeva la benedizione del mare compiuta dall’Arcivescovo di Genova.
Anche nel 1391- secondo la leggenda - una terribile tempesta minacciò di far colare a picco persino tutti i velieri riparati ed ormeggiati in porto. Ma, quando l'arca con le sacre ceneri venne portata in processione fino alla riva, il mare si placò miracolosamente.
La tradizione del falò
Tornando indietro nel tempo, già da prima dell’XI secolo si ha notizia di come sulle piazze principali di Genova e nei paesi di tutta la Liguria si accendessero enormi falò attorno ai quali facevano festa i popolani; erano, queste, tradizioni sopravvissute al paganesimo, che il 24 giugno celebrava la festa di Fors Fortuna e con i fuochi della notte del 23 voleva allontanare gli spiriti maligni e le streghe che uscivano dai loro antri per danneggiare i raccolti e uccidere bestiame e uomini. La Chiesa continuò a condannare più volte tali rituali, ma vista l’impossibilità di cancellarli, decise la via accomodante di trasformare i falò in fuochi sacri e rievocativi dell’elogio di Cristo per il Battista.
Ancora oggi l’antica tradizione prosegue e la notte della vigilia della festa di San Giovanni la città si anima con giochi di strada e falò nelle piazze. Il 24 giugno, alla presenza delle massime autorità civili e religiose, di numerose confraternite che sfilano con preziose vesti portando i pesanti crocifissi in mezzo alla folla, esce dalla cattedrale la solenne e spettacolare processione che si dirige al Porto Antico; qui il cardinale benedice il mare con le reliquie del Battista al suono delle sirene delle navi.
Miss Fletcher racconta:
San Giovanni divenne Patrono di Genova nel 1327, da allora la città celebra il suo giorno con rituali coinvolgenti e suggestivi.
E così era in altri tempi, si accendevano fuochi e falò, le fiamme per il Battista ardevano nelle piazze e sulle alture dando un nuovo senso ad una tradizione che vede le sue origini in certi riti pagani, un tempo era infatti usanza accendere i fuochi per tenere distanti le streghe.
E per il Battista a Genova si accendevano lumini in fragili lanterne di carta, scoppiettavano per San Giovanni i fuochi d’artificio.
E ancora racconta lo storico Michelangelo Dolcino che in epoche lontane si credeva che la rugiada della notte di San Giovanni avesse virtù prodigiose e così, ad esempio, in certe località si esponevano i panni dei neonati per renderli immuni dalle malattie.
E sulla Piazza di San Lorenzo si vendevano le benedizioni, foglie di noci e di sambuco madide della miracolosa rugiada della notte del 24 Giugno.
Tuttora si accendono i fuochi e le fiamme rischiarano la notte di San Giovanni, tuttora si celebra con una solenne processione il Santo della città, le ceneri del Santo vengono condotte davanti al mare e sono accompagnate dai rappresentanti delle Confraternite.
A rendere omaggio al Battista nei secoli passato vennero Papi e personalità di rilievo, venne persino il Barbarossa che donò una preziosa cassa d’argento conservata nel Museo dei Tesoro di San Lorenzo.
E parte dalla Cattedrale la suggestiva processione, si inoltra per le strade della vecchia Genova e culmina con la benedizione del mare e della città.
in San Lorenzo alcuni locali ospitano il Museo del Tesoro della Cattedrale dove sono raccolte opere d’arte e oggetti liturgici di inestimabile valore.
Troverete l’arca processionale con la quale si conducono per le vie di Genova le ceneri di San Giovanni in questo giorno a lui dedicato.
E’ preziosa e riccamente lavorata, è stata realizzata tra il 1438 e il 1445 ed ha l’aspetto di una piccola cattedrale, su di essa si riconoscono scene religiose di apostoli e profeti.
Come dicevamo prima, nella sala di San Giovanni Battista del Tesoro della cattedrale, possiamo inoltre ammirare i seguenti tesori realizzati per custodire le ceneri del santo:
l’Arca del Barbarossa, lo Stipo delle Ceneri e l’Arca Processionale
L’Arca del Barbarossa, del secolo XII, è così così chiamata perché si dice sia stata donata da quest’imperatore. Di forma rettangolare con coperchio a doppio spiovente, è un lavoro di oreficeria francese.
Lo Stipo delle Ceneri è una cassetta destinata al rito del bacio delle ceneri. E’ un manufatto del secolo XVI. Il coperchio reca un’iscrizione che informa che nel 1576 l’arcivescovo Pallavicini raccolse le ceneri e le depositò in questo reliquiario.
Infine, l’Arca Processionale: fu eseguita nel secolo XV da orafi liguri ed è in argento dorato. E’ una cassa a forma di cattedrale gotica sorretta agli angoli da leoni accovacciati. E’ decorata con motivi della vita di San Giovanni Battista e, ai quattro angoli, ci sono i santi protettori della città: San Giorgio, San Lorenzo, San Giovanni e San Matteo. L’opera venne commissionata dal Doge per portare in processione le ceneri del santo. La processione avviene tutti gli anni, il 24 giugno, come del resto in ogni cittá o paese del mondo il cui patrono è San Giovanni Battista.
Arca Processionale con le Ceneri di San Giovanni Battista
E’ esposto in questo museo un preziosissimo piatto, la tradizione vuole che sia stato usato per raccogliere la testa di San Giovanni Battista dopo la sua decapitazione.
Il piatto è di calcedonio, è poi incorniciato di oro e arricchito di smalti e rubini, l’immagine della testa di San Giovanni risale ad un’epoca più recente.
Però non sappiamo come il piatto fosse arrivato in Francia. Secondo altre versioni probabilmente faceva parte dei beni sequestrati ai Templari fra i quali vi erano anche molte reliquie sottratte in Terra Santa di calcedonio, un tipo di quarzo, e che si tratta di un manufatto romano di epoca imperiale, forse del I secolo d.C.. Nel XV secolo fu ‘arricchito’ con una decorazione, realizzata in Francia per la casa reale di Valois, in oro, rubini e smalti: al centro vi è una testa che raffigura il santo e il bordo è rivestito di una lamina d’oro con la scritta in latino “Joannes Baptiste inter natos mulierum non surrexit maior”, “fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista” - frase pronunciata da Gesù (Mt 11,11). Tralci e viti decorano il retro che ne nascondono la rottura. La speciale illuminazione del piatto fa sì che si possa ammirare il passaggio dall’azzurrino al giallo a macchie rosse, tipico del calcedonio, solo visibile quando questo minerale è attraversato dalla luce.
Alla fine del ‘200 fu creata la Confraternita di San Giovanni Battista che aveva il compito di portare le reliquie al molo in caso di tempesta in mare. Nelle ‘Memorie di Genova’ di Schiaffino (XVII secolo) sono registrate tutte le molteplici occasioni in cui, grazie alle ceneri, l’impeto delle onde fu dominato ed il vento calmato salvando molte navi ancorate in porto o in arrivo.
Sotto un’altra teca vedrete un’altra opera di mirabile fattura, lo stipo delle ceneri del Battista
La fede ha alcuni suoi antichi riti che hanno origine in gesti e ritualità del passato, alcuni di essi restano nel solco della tradizione e ogni anno rivivono con la medesima partecipazione. Passiamo spesso davanti alla Cattedrale, camminiamo di fronte alla sue antiche pietre e raramente il nostro pensiero va a quei crociati che partiti da terre lontane portarono a noi le sacre reliquie.
E poi giunge il 24 Giugno e i genovesi si raccolgono davanti a San Lorenzo. In questo giorno si celebra San Giovanni Battista, il patrono della città. Ed eccoci in Cattedrale.
La cattedrale di San Lorenzo
Cappella di San Giovanni
Il Portale della cappella
Veduta dell’interno
Le statue di sinistra: il profeta Isaia, Santa Elisabetta, Eva e la Madonna col Bambino.
La cupola della cappella con i medaglioni degli evangelisti.
ALCUNE EDICOLE GENOVESI DEDICATE A SAN GIOVANNI BATTISTA
Con questa prima edicola vi propongo una selezione delle edicole più significative che celebrano il nostro patrono:
In Via del Molo 54r si trova la secentesca edicola di San Giovanni Battista nota per la sua singolare collocazione.
Il tabernacolo infatti che custodisce nella sua profonda nicchia la statua del santo è inserito dentro alla fontana detta dei “Cannoni del Molo”, una delle stazioni terminali dell’acquedotto storico.
A tale cisterna risalente al 1634 erano collegati i tubi, un tempo chiamati “cannoni” che distribuivano l’acqua alle fontane pubbliche.
I cannoni, a differenza dei più evoluti bronzini dotati di valvola, erano forniti solo di tappi costruiti in marmo o ceramica, o ferro.
Proprio accanto al piccolo tempio si notano due listelle di marmo incastinate nelle pietre con numerazione araba e romana. Sotto s’intuisce la bocca marmorea, oggi occlusa, di uno di questi cannoni.
L’edicola in stucco si presenta nella canonica conformazione a tempietto classico con colonne ioniche in marmo.
La scultura protetta invece da una elaborata grata in ferro battuto risulta purtroppo poco visibile.
Ai lati sono incise due coccarde con cartiglio a forma di scudo abrasi.
Alla base la celebre epigrafe:
“Moles Esto / et Mollias /
MDCXXXIII.
(A ME ZENA)
In Via della Maddalena, sull’abside dell’omonima chiesa, è incastonata la settecentesca edicola di San Giovanni Battista. Talmente maestosa che gli storici dell’arte ipotizzano essere la parte superiore di un altare traslocato qui da qualche altro edificio religioso sconsacrato o demolito.
Protagonista è la statua del santo attorniata dalle Due Marie. Al centro del timpano spezzato la Madonna del Loreto con ai lati due putti in adorazione. (A ME ZENA)
All’angolo con Vico San Sepolcro l’antico portale in pietra nera di promontorio che rappresenta il Battista nel deserto al cospetto del Dio padre che affida la sua famiglia alla protezione divina. Il bassorilievo ricco di simbologie orientali e pagane rappresenta un’allegoria della famiglia proprietaria, quella dei Grillo, che volle affidarsi direttamente al Divino senza troppe intermediazioni.
A destra una cicogna, forse uno struzzo vicino ad un leopardo sdraiato a terra davanti ad uno sfondo di alberi e rocce. Sulla sinistra San Giuseppe accompagna con la mano una figura femminile alata che esce da uno scudo. La scena rappresenta la presentazione del casato al cospetto del Dio Padre che appare all’estrema sinistra pronto ad accogliere benignamente la richiesta. (A ME ZENA)
L’elegante settecentesco medaglione del civ. n. 4 di Via San Siro rappresenta la Sacra Famiglia con san Giovannino.
In Vico Cinque Lampade angolo Vico del Filo si può ammirare la splendida rappresentazione della Madonna col Bambino, San Giovanni Battista e Santa Caterina da Genova.
La settecentesca edicola presenta un mirabile tabernacolo in marmi policromi caratterizzato da lesene di ordine ionico con fregi e panneggi che fanno da cornice ad una poco profonda nicchia impreziosita da un cherubino alato.
Sull’imponente trabeazione si regge la raggiera dello Spirito Santo in un fastigio di riccioli e volute. In cima due teste di cherubini alati.
Ai lati si scorgono due grandi teste alate fra i fogliami che reggono due grosse lampade in ferro.
Protagonista della scena è la Madonna con in braccio il Bambinello che regge il globon terracqueo. Ai piedi della Vergine San Giovannino aggrappato alle sue vesti guarda verso l’alto.
Santa Caterina invece è in ginocchio offre con la mano destra il proprio cuore alla sacra coppia.
Sulla mensa recita il cartiglio:
“Regina Coelorum Restaurat. Anno 1790. 24. 7bris.
Alla base del tabernacolo sono posti due dipinti in ardesia rivolti verso i rispettivi caruggi…
ma questa è un’altra storia…
A tutti i Genovesi, felice festa di San Giovanni dalla cappella del Doge, un gioiello prezioso ed essenziale per comprendere e conoscere la storia di questa città.
Nel particolare dell’affresco del Carlone, Maria regina di Genova con i santi protettori della città, Giorgio, Giovanni Battista, Bernardo e Lorenzo, metà del 1600. (Serena Bertolucci)
Rapallo – Dino Alloi – Rapallini e Rapallesi: come siamo e come eravamo
CONCLUSIONE
I forestieri restano confusi dal fatto che Genova è detta la Repubblica di San Giorgio, mentre come patrono del comune di Genova è venerato San Giovanni Battista.
Ovviamente lascio agli storici genovesi il compito di scindere e interpretare questi due sentimenti. Di San Giorgio ce ne siamo occupati di recente, a San Giovanni Battista ho dedicato una breve ricerca in occasione della sua natività, il 24 giugno.
L’impressione che ho ricevuto, ripeto, dopo una breve esplorazione nel mondo di questi due personaggi nel contesto della nostra città capoluogo é la seguente:
San Giorgio rappresenta gli Ordini Cavallereschi, le alte sfere della Aristocrazia, ha un blasone nobiliare ed un carattere internazionale che ha “stregato” decine di Paesi del mondo medievale.
San Giovanni Battista “il Precursore”, secondo il mio modestissimo parere, parla il dialetto genovese, lo s’incontra spesso nel labirinto dei vicoli di Genova, nel più grande Centro storico d’Europa, come se le sue ceneri custodite nella Cattedrale di San Lorenzo siano state sparse, per suo volere, lungo la spianata che scende verso il mare e abbiano trovato dimora, da secoli, in mezzo ai marinai di mezzo mondo, tra i personaggi più ambigui ma veri tanto cari a don Gallo.
SACRO E PROFANO nel mercantilismo religioso...
Le meravigliose edicole scolpite da mani artistiche rimaste anonime, sono presenti tra le chiese e i casini, in quella atmosfera marinara che vide partire i crociati e ritornare con le sue ceneri, tra quei “caroggi” dove solo un uomo di mare sa destreggiarsi tra biancheria appesa come vele, e vicoli stretti e ombrosi come la sottocoperta delle galee, dei vascelli e di tutte le navi del mondo che circolano ancora oggi per i sette mari.
Lo spirito di questo Santo si trova ancora nella parte più nascosta di Genova, in mezzo alla sua gente di mare che lo venera perché ancora oggi li protegge dalle tempeste della vita.
Quella gente che grazie a Faber, a Lauzi e ad altri artisti della Scuola Genovese, abbiamo imparato ad amare.
Carlo GATTI
Rapallo, 24 Giugno 2020
BATTAGLIA NAVALE… AL POGGIOLINO DI RAPALLO - 2004
BATTAGLIA NAVALE…
AL POGGIOLINO DI RAPALLO
2004
Per la sua XXIII Edizione, da sabato 16 ottobre a lunedì 1 novembre 2004
L’Associazione “MARE NOSTRUM – Rapallo”
tra i suoi numerosi EVENTI organizzò, il 31 ottobre 2004, a cura dell’Associazione Modellisti di Milano, la simulazione di una battaglia navale con attacco a convogli di navi appoggio di rifornimento a un’isola fortificata, con siluramenti, scoppio di mine, affondamenti di naviglio, recuperi, salvataggi ed altro.
L’esibizione si svolse nella vasca olimpionica esterna della PISCINA COMUNALE DEL POGGIOLINO, alla presenza di un folto numero di appassionati e curiosi che ben presto riempirono sia la vasta tribuna che tutta l’area circostante.
La platea, da un atteggiamento iniziale un po’ freddina, come del resto fu quel pomeriggio piovoso…, passò ben presto ad una partecipazione entusiasta e chiassosa.
I presenti, sollecitati dallo speaker ufficiale, si schierarono in due tifoserie urlanti in favore della squadra navale che avevano scelto per colori, costumi, armi e simpatia. Ad un certo punto il vento aumentò d’intensità e, per ragioni di sicurezza, si pensò per un attimo di sospendere la manifestazione. I proiettili, tipo fuochi d’artificio, prendevano rotte strane e pericolose per gli artificieri ma anche per il pubblico che tendeva ad assieparsi a bordo vasca.
Durante una breve pausa di consultazione tra i tecnici della manifestazione su come procedere, il tempo abbonacciò e l’esibizione ripartì con ancor più vigore fino alla conclusione della battaglia navale.
Tuttavia, il pubblico in tribuna continuava ad applaudire ben oltre la fine dell’esibizione urlando il bis di qualche scena dimostrando un alto gradimento per la manifestazione che forse non era stata sufficientemente propagandata.
Gli abilissimi Modellisti, altamente qualificati, che giunsero a San Pietro con decine di camper e roulotte, dovettero alla fine concedere il bis nonostante le polveri da sparo fossero state “indebolite” dalla pioggia, non solo, ma si arresero “volentieri” anche alla richiesta di mettere in mostra al pubblico i propri modelli galleggianti e telecomandati con tanto di spiegazioni tecniche.
Si trattò di un avvenimento che portò prestigio alla nostra Associazione, alla stessa città di Rapallo che mai, come in quella occasione, richiamò l’attenzione della stampa, delle TV locali ed altre numerose Associazioni del ramo marittimo.
C’è da aggiungere soltanto che la manifestazione ebbe un degno finale, molto pacifico questa volta, che presto si trasformò nel vero CLOU di quella giornata particolare in piscina.
L’esibizione finale fu offerta dal prestigioso modellista varesino Duilio CURRADI con il suo FANTASTICO MODELLO del NORMANDIE della cui storia ci siamo occupati poche settimane fa.
Qui sotto, il modello navigante del transatlantico francese é stato fotografato durante un’esibizione in un lago imprecisato del nord Italia e dà un’idea ben precisa della sua maestosità.
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Questo modello oltre ad essere navigante è anche radiocomandato. Il suo shape riproduce la nave nel momento del suo internamento nel porto di New York. Il modello è in grado di eseguire le manovre di navigazione e simulare le esercitazioni di emergenza. |
I lettori e gli appassionati di modellismo statico e dinamico possono approfondire il tema digitando su Google il nome e cognome del modellista citato, oppure il sito: mitidelmare.it
Un esempio! La massa di foto relative sia il modello del TITANIC sia di tutta la sua produzione modellistica é vastissima, completa e conosciuta in tutto il mondo.
Modellino del TITANIC realizzato da Duilio Curradi (scala 1:100)
Il primo marzo 2020 Duilio mi ha scritto:
Visto il tuo passato penso ti faccia piacere sapere che ieri mattina ho consegnato a Generalmarine di Genova (N.d.r. - Società del gruppo Rimorchiatori riuniti di Genova)- dott. Emanuele Burlando - il modello in scala 1:50 del Varazze.
E' venuto abbastanza bene e farà bella mostra di sé presso la loro sede in via al Molo Giano.
Adesso faranno costruire una teca.
Ti allego una foto.
Se vuoi saperne di più puoi dare un’occhiata a:
- modello finito: http://www.mitidelmare.it/A.H._Varazze-modello.html
- costruzione del modello: http://www.mitidelmare.it/A.H._Varazze.html
Mi farebbe piacere un tuo parere tecnico.
Grazie. Un abbraccio
Duilio Curradi
Supply-Vessel AH VARAZZE
Duilio é un mio caro amico e socio dell’altrettanto prestigiosa Società Capitani e Macchinisti di Camogli, della quale mi onoro di far parte e di esserne stato Vicepresidente e Presidente.
Dal sito della Società “recupero” e vi segnalo il LINK dell’articolo redatto dallo stesso Duilio Curradi il quale ci spiega e ci rivela alcuni segreti… sulle funzioni principali del modello al quale, credetemi, manca solo la parola!
Credo di fare cosa grata ai membri dell’Associazione MARE NOSTRUM-RAPALLO l’esprimere a nome di tutti, l’ammirazione più sincera al GRANDE MAESTRO Duilio Curradi per la straordinaria competenza messa in atto nell’arte della Costruzione Navale a così alti livelli.
La costruzione del modello dinamico del NORMANDIE.
http://www.scmncamogli.org/oldsite/pagine/nnorman_tec.htm
Gli organizzatori della MANIFESTAZIONE:
Carlo GATTI - Emilio CARTA
CARLO GATTI
Rapallo, 10 giugno 2020
NAVI MILITARI-SANTA MARGHERITA LIGURE
NAVI MILITARI
SANTA MARGHERITA LIGURE
Avevamo già scritto: Da più di un secolo, la presenza di navi militari nelle acque del Tigullio – è un elemento costante dell’orizzonte marittimo della nostra riviera, da sempre legata al mare nei suoi molteplici aspetti, a partire per l’appunto dalle unità navali e mercantili, da quelle da pesca o da diporto, di Rapallo ce ne siamo già più volte ampiamente perché nel tempo ha ospitato numerosissime navi da guerra appartenenti alle Marine delle nazioni più disparate, a testimonianza non soltanto di un fascino più propriamente turistico, ma anche della conoscenza e della valenza internazionale di una città nota e apprezzata in Italia e all’estero sin dalla fine del secolo XIX. Al tempo stesso, tra il 1890 e i primi anni Cinquanta del secolo XX, veniva pubblicato a Rapallo un periodico settimanale indipendente, il cui titolo – “Il Mare” – ben rappresentava l’intimo legame tra la città, il Mar Ligure e tutto il Mediterraneo. Preciso e puntuale nel citare e commentare gli eventi che vedevano coinvolti Rapallo e i suoi abitanti, “Il Mare” non mancò mai di riportare la presenza di unità militari nelle acque del Tigullio, segnalandone con buon anticipo l’arrivo e informando i lettori sugli incontri di ufficiali ed equipaggi con la popolazione e le autorità locali.
Oggi ci occupiamo delle navi italiane che sono state ospiti di Santa Margherita Ligure il cui fondale ha permesso l’ormeggio di navi importanti prima, durante e dopo le due guerre mondiale.
CAPITANERIA DI PORTO - SANTA MARGHERITA LIGURE
Ufficio Circondariale Marittimo
Il Corpo delle Capitanerie di porto nasce ufficialmente con un Regio Decreto del 20 luglio 1865. La Guardia Costiera, così come noi la intendiamo, tuttavia, appartiene a un’epoca più recente. Un embrione lo possiamo ritrovare già nel 1877 quando venne promulgato il Codice della Marina Mercantile che all’art. 122 affidava il soccorso in mare ai Comandanti di porto.
Sarà solo con un Decreto interministeriale dell’8 giugno 1989 che verrà attribuita ufficialmente la denominazione di “Guardia Costiera” ai reparti tecnico-operativi del Corpo, attribuzione alla quale negli anni successivi farà seguito l’adozione della tradizionale livrea bianca e del logo, ormai noto, raffigurante una fascia tricolore – in omaggio alla bandiera italiana – con un’estensione maggiore della banda rossa per poter accogliere al centro un’àncora nera su campo circolare bianco.
Con la Legge n°147 del 03 aprile 1989 l’Italia ratifica la Convenzione di Amburgo del 1979 sul soccorso marittimo che, trovando attuazione in un Regolamento emanato con il D.P.R. n°662 del 1994, individua nell’attuale Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l’Autorità nazionale responsabile dell’esecuzione della Convenzione, affidando al Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera la responsabilità e il coordinamento dei servizi di ricerca e salvataggio in mare nell’ambito dell’intera regione di interesse, che si estende ben oltre i confini delle acque territoriali, per un’area ampia circa 500 mila km².
COMANDI TERRITORIALI - GUARDIA COSTIERA - RIVIERA DI LEVANTE
GENOVA - Direzione Marittima
Il litorale del territorio italiano è ripartito in 15 Direzioni Marittime (zone) e 54 capitanerie di porto (compartimenti).
· LIGURIA (4 Direzioni Marittime)
· Genova (GE)
· Imperia (IM)
· La Spezia (SP)
· Savona (SV)
SANTA MARGHERITA LIGURE - Ufficio circondariale Marittimo
Circondario marittimo. ... Il Circondario marittimo è retto da un Capo del circondario che è un ufficiale superiore di porto facente parte del corpo delle capitanerie di porto e l'ufficio dove risiede si chiama ufficio circondariale marittimo.
Camogli ………. Ufficio Locale Marittimo (dipende da Compamare Genova)
Chiavari ………. Ufficio Locale Marittimo (dipende da Circomare Santa Margherita Ligure)
Lavagna…………. Ufficio Locale Marittimo (dipende da Circomare Santa Margherita)
Rapallo…………… Ufficio Locale Marittimo (dipende da Circomare Santa Margherita Ligure)
Portofino………….Ufficio Locale Marittimo (dipende da Circomare Santa Margherita Ligure)
Sestri Levante….Ufficio Locale Marittimo (dipende da Circomare Santa Margherita Ligure)
Ufficio locale marittimo. Gli uffici locali marittimi (LOCAMARE) sono uffici locali minori degli organi periferici dell'amministrazione della marina mercantile italiana. Il capo dell'Ufficio locale marittimo ha carica e titolo di comandante del porto o dell'approdo in cui ha sede.
Parlando del golfo Tigullio, non é un caso che Santa Margherita Ligure sia sede di Capitaneria di porto, mentre Rapallo, insieme alle città citate sopra siano sede di “Circomare”. Lo scopriremo da soli cammin facendo...
CASTELFIDARDO (pirofregata corazzata)
Progettata e costruita nei cantieri francesi di Saint Nazaire dietro ordinazione della Regia Marina, la nave, impostata nel 1862, venne varata nel 1863 e completata un anno dopo. Appartenente ad una classe di quattro unità, la Castelfidardo era una pirofregata a corazza completa (che si estendeva due metri al disopra della linea di galleggiamento, sino al ponte di coperta, ed un metro e mezzo al disotto di essa) e ridotta centrale, munita, oltre che di un poderoso armamento di 26 cannoni da 164 e 200 mm, di un massiccio sperone di tre metri di lunghezza. Alla prova dei fatti le navi della classe Regina Maria Pia si rivelarono delle buone unità, le uniche, nella Regia Marina, in grado di misurarsi con le corazzate austroungariche.
Unità più longeva della sua classe, la Castelfidardo negli ultimi anni venne usata come nave scuola torpedinieri. Radiata il 4 dicembre 1910, dopo oltre 46 anni e mezzo di servizio, venne avviata alla demolizione.
1900 – Corazzata SICILIA in rada
Nave Sicilia è stata una nave da battaglia policalibro della Regia Marina italiana della classe Re Umberto. Come per le altre unità della classe, il lungo periodo di costruzione l'ha resa superata al momento dell'entrata in servizio. La nave, della quale inizialmente erano state finanziate solo due unità, andò a risentire dei lunghissimi tempi di allestimento, dieci anni, che la fecero entrare in servizio parzialmente obsoleta.
L'armamento principale, che aveva largo campo di tiro, era costituito da quattro cannoni da 343/30 in due impianti montati in barbetta e situati a circa 10 metri dal galleggiamento e sparava proiettili da 567 kg in grado di perforare 870 mm di ferro dolce. Una caratteristica condivisa con la classe erano i fumaioli anteriori affiancati, invece che uno dietro l'altro.
La sua costruzione avvenne presso l’Arsenale di Venezia dove la sua chiglia venne impostata il 2 dicembre 1886 e varata il 6 luglio 1891 alla presenza di re Umberto e della Regina Margherita.
L'anello rituale realizzato per il varo della nave esposto a Palazzo Marina a Roma
La nave ebbe come madrina del varo la regina Margherita che, dopo la benedizione, appose un anello consacrato sulla poppa della nave secondo la tradizione veneziana dello Sposalizio del mare. L'anello, insieme alla bandiera di guerra e al cofano portabandiera sono oggi conservati a Palazzo Marina a Roma.
Dopo l'entrata in servizio la nave il 15 febbraio 1897, la nave, con l’insegna del viceammiraglio Felice Napoleone Canevaro al comando della 1ª Divisione della 1ª Squadra, che includeva anche le gemelle Sardegna e Re Umberto, l’incrociatore protetto Vesuvio e l’incrociatore torpediniere Euridice, giunse a Creta, durante un periodo di tensione tra la Grecia e l’Impero ottomano in seguito alla rivolta scoppiata nell’isola, che culminò nella guerra greco-turca.
il cofano in cui è conservata la bandiera di guerra a Palazzo Marina a Roma
Al ritorno della spedizione, nel 1899 la nave venne assegnata alla 2ª Divisione, che includeva anche l’ariete corazzato Affondatore la pirofregata corazzata Castelfidardo e gli incrociatori torpedinieri Partenope e Urania.
Nell'ottobre 1911 la nave, all'epoca inquadrata nella Divisione Navi Scuola, prese parte alla guerra italo-turca quale nave insegna del contrammiraglio Raffaele Borea Ricci D’olmo insieme alle gemelle della classe Re Umberto, Sardegna e Re Umberto appoggiando le operazioni di sbarco a Tripoli. Nel dicembre 1911, le tre navi furono sostituite dalle vecchie corazzate Italia e Lepanto. le navi della classe Re Umberto fecero ritorno nelle acque della Libia nel maggio del 1912 prendendo parte a tutto il ciclo di operazioni lungo le coste libiche fino alla resa degli ottomani nell'ottobre 1912.
Il 9 luglio 1914 la nave venne posta in disarmo, ma con lo scoppio della Prima guerra mondiale, venne deciso il suo mantenimento in servizio fino al termine del conflitto e così il 16 agosto 1914 la nave fece il suo rientro in servizio ed utilizzata a Taranto come nave deposito e come nave caserma per la nuova corazzata Giulio Cesare che stava completando il suo allestimento. Inizialmente l’Italia, che faceva parte della Triplice Alleanza, aveva dichiarato la sua neutralità, per poi entrare in guerra nel maggio 1915 a fianco dell’Intesa, contro gli Imperi centrali. Nel corso del conflitto la nave venne poi utilizzata a Taranto come deposito munizioni, successivamente come pontone ed infine come nave officina, prima di essere radiata il 4 marzo 1923 e successivamente demolita.
1917 – Tre sommergibili della classe H
nel Porto di Santa Margherita Ligure
Inprepido-Impavido-Cattaro
Incrociatore ANCONA (ex GAUDENZ) dopo la trasformazione del 1929
Palmaria
Visite a bordo...
Quattro dragamine ormeggiate ...
Con la fine del conflitto, la mutata situazione strategica internazionale fece del Mediterraneo un crocevia dei movimenti navali delle flotte dell’Alleanza Atlantica e, già a marzo del 1947, erano presenti nel Tigullio due unità inglesi, la portaerei Ocean e il cacciatorpediniere Raider, facenti parte di un gruppo operativo al comando dell’amm. Sir Cecil Harcourt.
A partire da questi anni - e clntinuando sino al termine della "guerra fredda" nei primi anni Novanta - la presenza navale più consistente e significativa nel "Mare Nostrum" sarebbe però stata quella delle unità della Sesta Flotta della Marina degli Stati Uniti.
Dalle origini...
allo scoppio della I Guerra Mondiale
L'idea di realizzare un veicolo in grado di muoversi negli abissi marini é antichissima: si hanno notizie di progetti risalenti ai tempi degli Antichi Greci e di Alessandro Magno. Il primo attacco bellico di un mezzo subacqueo documentabile é avvenuto
nel 1776 durante la Guerra di Indipendenza Americana, compiuto da un battellino chiamato American Turtle.
Era solo l'inizio: trascorsero molti anni prima che venisse realizzato un mezzo subacqeotale da poter fornire adeguate prestazioni belliche
I primi sommergibili italiani e la preparazione alla Grande Guerra
In Italia i progetti dei primi sommergibili per la Regia Marina vennero affidati al Maggiore del Genio Navale Cesare Laurenti.
Questi giudico’ importanti le caratteristiche di velocitá, autonomia e qualitá nautiche, mentre ritenne trascurabile l'elevata quota operativa. Reputava sufficiente che l'unitá potesse scomparire dalla superficie del mare e fosse in grado di raggiungere la quota necessaria per non essere speronata da altre navi. Per questo giudico’ non necessario lo scafo resistente a sezioni circolari.
Divenuto affidabile il motore Diesel molto piú del motore a benzina nel 1910 venne impostata la classe Medusa.
Fra inizio secolo e I Guerra Mondiale oltre al Laurenti si misero in luce anche altri due ufficiali del Genio Navale: il Maggiore Bernardis e il Capitano Cavallini.
Progettarono rispettivamente i due sommergibili classe Nautilus e i due della classe Pullino.
Allo scoppio della I Guerra Mondiale era da poco terminata la guerra italo-turca, che era stata per la Regia Marina un' eccellente occasione di addestramento.
L'Italia disponeva perció di equipaggi dotati di elevata capacitá professionale ma con una flotta notevolmente logorata. Inoltre, solo alla vigilia della guerra, l' Italia si era staccata dalla Triplice Alleanza e si era alleata con le potenze dell' Intesa.
Questo creó gravissimi problemi alla Regia Marina che, per molti anni, si era preparata a una guerra contro Francia e Gran Bretagna.
Considerando alleate l'Austria e la Germania, per esempio, tutto il litorale adriatico era rimasto privo di fortificazioni difensive.
OSTRO cacciatorpediniere seconda guerra mondiale in rada a Santa Margherita
Nell'estate 1939 il cacciatorpediniere prese parte alle operazioni per l’occupazione dell’Albania. Nel corso dello stesso anno l'Ostro fu dislocato a Taranto. Oltre che in Albania, poco prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale l'unità operò anche in Africa settentrionale.
Alla data dell'ingresso dell’Italia nella Seconda guerra mondiale, il 10 giugno 1940, l'Ostro aveva base a Taranto ed apparteneva alla II Squadriglia Cacciatorpediniere, di cui facevano parte i gemelli Espero, Borea e Zeffiro.
L'Ostro al traverso.
Nella serata del 27 giugno 1940, alle 22.45, l'Ostro (Capitano di corvetta Luigi Monterisi) partì da Taranto per la sua prima missione di guerra, ovvero il trasporto a Bengasi (secondo altre fonti a Tobruk, o a Tripoli, unitamente all’Espero (Capitano di Vascello Enrico Baroni, caposquadriglia) ed allo Zeffiro (Capitano di Corvetta Giovanni Dessy), di due batterie contraeree (o anticarro) della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale per un totale di 10 bocche da fuoco, 120 tonnellate di munizioni ed i relativi serventi, 162 camicie nere.
Intorno a mezzogiorno del 28 giugno le tre unità della II Squadriglia, che procedevano in linea di fila (Espero in testa, Zeffiro al centro ed Ostro in coda) furono avvistate una cinquantina di miglia ad ovest di Zante da due ricognitori Short Sunderland: ad intercettare il convoglio venne inviato il 7th Cruiser Squadron della Royal Navy, costituito dagli incrociatori leggeri Sydney, australiano, ed Orion, Liverpool, Neptune, e Gloucester, britannici, che avvistarono la formazione italiana intorno alle 18 (o alle 18.30) a sud di Malta ed un centinaio di miglia a nord di Tobruk, nonché 75 miglia ad ovest/sudovest da Capo Matapam. Alle 18.59 gli incrociatori britannici, non ancora notati dalle unità italiane, aprirono il fuoco da distanza compresa tra i 16.000 ed i 18.000 metri. La velocità superiore che in teoria i tre cacciatorpediniere italiani avrebbero dovuto avere era annullata dall'appesantimento rappresentato dal carico imbarcato. Il capitano di vascello Baroni, caposquadriglia, prese dunque la decisione di sacrificare la propria nave, l’Espero, nel tentativo di trattenere gli incrociatori inglesi, ordinando al contempo ad Ostro e Zeffiro di dirigere per Bengasi alla massima velocità, disimpegnandosi verso sudovest mentre l’Espero li avrebbe coperti con cortine fumogene: entrambi i cacciatorpediniere scamparono così alla distruzione e giunsero in porto indenni il giorno seguente, mentre l'Espero fu affondato dopo un impari combattimento.
Dopo aver raggiunto Bengasi, l'Ostro e lo Zeffiro proseguirono alla volta di Tobruk, dove giunsero il 1º luglio, ormeggiandosi quindi in rada. I due cacciatorpediniere avrebbero dovuto rinforzare i quattro gemelli della I Squadriglia (Euro, Turbine, Nembo, Aquilone) nelle operazioni di bombardamento delle installazioni militari britanniche nei pressi di Sollum, intese ad indebolire le difese britanniche in tale zona prima dell'offensiva italiana che si sarebbe dovuta tenere di lì a poco.
Il 5 luglio, durante un'incursione di aerosiluranti Fairey Swordfish, vennero affondati lo Zeffiro ed il piroscafo Manzoni e danneggiati gravemente il cacciatorpediniere Euro ed i piroscafi Liguria e Serenitas (l'Ostro, che si trovava ormeggiato nella medesima posizione alla boa C4, non era invece stato attaccato). Essendosi dissolta, con la perdita di Espero e Zeffiro, la II Squadriglia, l'Ostro venne aggregato alla I.
Il 19 luglio 1940 l'Ostro, al comando del capitano doi fregata Giuseppe Zarpellon, si trovava a Tobruk, ormeggiato alla boa C4, sul lato meridionale della baia, a proravia del gemello Aquilone ed a poppavia del gemello Nembo. A bordo del cacciatorpediniere, così come delle altre unità militari, vigevano i servizi di difesa e di sicurezza: le mitragliere da 40/39 e da 13,2 mm erano armate e pronte al fuoco, i locali presidiati e portelleria e porte stagne chiuse. Si trattava delle procedure regolamentari per gli attacchi aerei all'ormeggio. Il personale non necessario a tali servizi era stato trasferito sui piroscafi Sabbia e Liguria.
Alle 21.54 del 19 luglio la base libica fu messa in allarme in seguito all'arrivo di sei aerosiluranti Fairey Swordfish dell'824th Squadron della Fleet Air, Arm decollati da Sidi el Barrani: i velivoli erano stati inviati sulla base con lo specifico scopo di attaccare le navi ormeggiate in rada e giunsero sui cieli di Tobruk alle 22.30. Dopo aver dovuto compiere diversi passaggi sulla rada per evitare il forte tiro contraereo delle difese di terra, per localizzare i bersagli e per prepararsi ad attaccare, gli aerosiluranti passarono all'attacco verso l'1.30 del 20 luglio, mentre anche le navi all'ormeggio aprivano il fuoco con le rispettive armi contraeree. L’incrociatore corazzato San Giorgio aprì il fuoco verso sud con alzo molto ridotto, spostando celermente il tiro verso ovest, e sull'Ostro ci si rese conto che gli aerei attaccanti erano aerosiluranti. La prima nave ad essere silurata, all'1.32, fu il piroscafo Sereno, che affondò lentamente di poppa.
L'Ostro ed il gemello e sezionario Borea alla fonda nelle acque di Bardia, nella primavera del 1940.
Poco dopo l'Ostro avvistò tre aerei, che volavano a bassa quota ed in formazione serrata, provenienti dalla direzione della caserma per sommergibilisti: mentre i velivoli, arrivati sul porto, si separavano, il cacciatorpediniere aprì il fuoco contro di essi con 2 mitragliere da 40 mm ed una da 13,2 mm (quella di dritta, che sparò una cinquantina di colpi), ma all'1.34 uno degli Swordfish mise a segno il suo siluro: l'arma esplose all'altezza del deposito munizioni poppiero, che deflagrò in maniera devastante e provocò lo sbandamento e l'affondamento dell'Ostro in dieci minuti, all'1.44. Numerose schegge infuocate prodotte dalla deflagrazione furono lanciate anche sul Nembo (che si preparò soccorrere l'unità gemella, ma venne poco dopo a sua volta aerosilurato ed affondato) e sull'Aquilone, e il furioso incendio sviluppatosi a poppa dell'Ostro, un'alta fiammata rossastra, proseguì a lungo, illuminando il porto.
Le ricerche dei dispersi, iniziate prima ancora della conclusione dell'attacco, continuarono sino al mattino successivo. Tra l'equipaggio dell'Ostro si registrarono 42 vittime (due morti accertati e 40 dispersi tra cui due ufficiali) e 20 feriti (tra i quali il comandante Zarpellon). Ad evitare perdite ancora più pesanti contribuì il fatto che parte degli equipaggi dei cacciatorpediniere fossero stati alloggiati non a bordo delle rispettive unità, ma sul Sabbia e sul Liguria.
L’Ostro aveva svolto in tutto 8 missioni di guerra (3 di caccia antisommergibile, 3 di scorta e 2 di trasferimento), percorrendo complessivamente 2723 miglia. Le artiglierie dell'Ostro e del Nembo, rimosse dai relitti dei due cacciatorpediniere, vennero portate in postazioni di terra ed utilizzate nella difesa di Bardia.
LA STORIA DEL CATTARO
IL CATTARO AUTOAFFONDATO L’8 SETTEMBRE A SANTA MARGHERITA NON ERA L’ EX DALMACIJA, MA L’INCROCIATORE AUSILIARIO EX JUGOSLAVIJA
https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=293%3Acattaro&catid=36%3Astoria&Itemid=142
Carlo GATTI
Rapallo, 3 Giugno 2020