DAL GARUM ALLA COLATURA DI ALICI DI CETARA

DAL GARUM ALLA COLATURA DI ALICI DI CETARA


Porto di Pompei

Con il termine garum si designava quel particolare condimento ottenuto dalla macerazione e dall’auto digestione enzimatica di alcune varietà di pesci. Il sale che veniva aggiunto aveva la funzione di conservante. Le sostanze proteiche degradate dagli stessi enzimi presenti nelle interiora del pesce avevano la funzione di creare aminoacidi liberi, grassi polinsaturi e lipidi essenziali.

Nel porto di Pompei arrivavano anche mercanzie da ogni luogo del Mediterraneo Abbiamo ampie prove di questi traffici commerciali che venivano regolati dalle esigenze di mercato. Presso il Museo Archeologico di Boscoreale sono esposti alcuni esempi di anfore per il trasporto del vino, dell’olio e del garum. La differente morfologia delle anfore, i bolli di fabbrica e le iscrizioni dei contenuti ci fanno comprendere come questi prodotti tipici dell’industria locale venissero trasportati attraverso il mare anche a terre lontanissime.

Il garum di Pompei era servito sulle tavole delle ricche dimore da Leptis Magna a Sidone, da Argo a Tarros, da Gibilterra a Cipro. Un commercio fiorentissimo che connotava rotte e guidava l’economia verso prodotti tipici e oggettivamente validi.

La nostra salsa aveva probabilmente un gusto acidulo ed odoroso di mare. Un forte carattere la distingueva, soprattutto se associata a pietanze quali le cacciagione, i crostacei, ed anche le stesse zuppe di pesce. Nella lingua greca oggi alcuni tipi di pesci piccoli e saporiti e le stesse alici si definiscono con il termine “gavros” ossia ΓΑΥΡΟΣ. Possiamo pensare quindi che le stesse radici gastronomiche di questo condimento, già esistevano tra i popoli del bacino orientale del Mediterraneo. Lo stesso sale ad esempio, utilizzato come conservante naturale delle proteine era noto nel mondo egizio, dove veniva utilizzato miscelato ad altre sostanze per formare il natron.

 

Navigando qua e là per il WEB mi sono imbattuto, per una strana duplice coincidenza.


GARUM MARE NOSTRUM


La prima è che il Garum é una mia vecchia conoscenza di quando mi capitava di visitare i musei di archeologia marina; la seconda é Mare Nostrum, nome che conosco “abbastanza” bene…

Ho pensato quindi di passare la parola a questi nostri Amici di Viareggio che non conosco, ma che sento in qualche modo vicini ai nostri ideali. Non è quindi un caso che il nostro Presidente Agostino Lertora, oltre ad essere un provetto nuotatore e pescatore subacqueo, abbia pure una certa fama di cuoco specializzato in piatti di pesce, come gli amici di F/b ben sanno. La sua fama, per dire il vero, abbraccia anche l’arte pittorica di quel settore, come dimostra la foto che segue:

La parola agli esperti!

“Negli ultimi anni la nostra associazione, nell’ambito dei suoi progetti di ricerca e di studio , sta operando per la valorizzazione delle qualità nutraceutiche del pesce, ed in particolare del pesce azzurro, comunemente identificato con l’appellativo di “pesce povero”.
L’interesse per questa iniziativa è motivata dalla scarso gradimento che i bambini e le bambine hanno nei confronti del pesce, e della scarsa conoscenza delle sue qualità salutistiche.
Il nostro progetto sul pesce coinvolge i pescatori dei nostri mari, ed è condotto con la collaborazione di enti pubblici, fra i quali il Comune di Viareggio, dove è presente la più importante realtà di pescatori della Toscana; la Regione Toscana, che da alcuni anni sostiene progetti legati alla valorizzazione dei prodotti locali nell’ambito delle filiere corte e della ristorazione scolastica.


Nel lavoro di studio e di ricerca sulla tipicità, sulle tradizioni e sul nostro patrimonio alimentare legato al pesce, abbiamo intercettato il
garum, un condimento a base di pesce azzurro, fra i più noti dell’antichità e che i romani adoravano e producevano in grandi quantità nell’area del Mediterraneo.


Dai nostri studi e ricerche abbiamo rilevato che questo condimento con molta probabilità prende il nome da un pesce “Garos”, da cui è derivato il nome “Garon“ usato dagli antichi Greci, e il nome
“Garum” usato dai Romani.


A partire dal II sec. A.C. questa salsa di pesce, usata prevalentemente come condimento ebbe un successo crescente. La qualità del
garum veniva indicata con lettere dipinte sulle anfore ed assicurava anche l’anno di produzione. Le migliori salse erano denominate Garum Excellens (ottenuto con alici e ventresche di tonno); Garum Flos Floris (ottenuto con sgombri, alici, sardine); Garum Flos Murae (ottenuto dalle murene). Il garum prodotto nelle colonie romane dell’Africa settentrionale, della Spagna, veniva chiamato Garum Sociorum. Una delle più importanti officine per la produzione del garum si trovava a Pompei.
Il
garum veniva utilizzato sia come condimento, sia come ingrediente di cottura. Con il garum si insaporivano i funghi e le uova, mescolato all’aceto o ad altre erbe aromatiche, costituiva una salsa di condimento delle carni o del pesce alla brace.


Le sue qualità medica mentali erano altrettanto note: efficace disintossicante e antidolorifico. Le sue proprietà energetiche erano utilizzate dagli eserciti per le loro operazioni militari.
Molte sono le citazioni che si ritrovano sul
garum in epoca romana, il che confermerebbe la sua larga diffusione in tutta l’area del Mediterraneo e i suoi molteplici usi in cucina e come elemento altamente energetico. Fra le citazioni più note, possiamo ricordare quelle di Apicio nel “De ReCoquinaria”; Marziale; Varrone; Plinio Il Vecchio in Naturalis Historia; Columella nel De Rustica.


Il
garum resterà presente nella tradizione gastronomica alto medievale, con fabbriche di produzione a Bisanzio e nell’area adriatica, per avviarsi successivamente verso un progressivo declino. Uno dei principali ed ultimi porti di smercio di questo prodotto è stata la citta’ di Lunae (Luni) in Liguria.


Ai giorni nostri si producono alcune salse a base di pesce, con procedimenti diversi, fra le quali la colatura di
Alici di Cetara.


Il progetto di recupero del
garum, ed in particolare la produzione del “Garum Mare Nostrum” è iniziato tre anni fa.


Nel mese di luglio del 2011 si è realizzata una prima produzione sperimentale del garum mare nostrum. In particolare gli ingredienti usati sono stati: pesce azzurro (alici, sgombri, sardine) pescato nel Mar Tirreno; sale marino integrale; erbe aromatiche della macchia mediterranea (rosmarino, alloro, timo), seguendo alcune tecniche di produzione e conservazione da noi codificate, con riferimento alle fonti storiche”.

Noi possiamo solo aggiungere che la qualità del Garum in antichità veniva indicata con lettere dipinte sulle anfore ed assicurava anche l’anno di produzione. Nella casa di Paquius Proclus, personaggio in vista nell’ultimo periodo di Pompei, è stata trovata un’anfora contenente Garum stagionato di tre anni: ciò dimostra che questa salsa può essere conservata per lungo tempo.
Esisteva un Garum ordinario e uno di qualità, a seconda dell’utilizzo di residui di pesci di vario tipo o piccoli pezzi di pesce scelto. Il Garum migliore era il gari flos, il fiore del Garum, il più puro, il primo liquido filtrato; il Garum nigrum godeva di grande reputazione e si vendeva in vasetti.

Le migliori salse erano così denominate:


Garum Excellens, ottenuto con alici e ventresche di tonno;
Garum Flos Floris, (tipo extra) ottenuto con diverse qualità di pesci (sgombri, alici, tonni, ecc.);
Garum Flos Murae, ottenuto dalle murene.


Altri tipi di Garum si riferiscono a particolari commistioni, come l’Oxygarum, una sorta di bevanda digestiva con numerose erbe tritate, l’Hydrogarum che era lavorato con erbe aromatiche. L’Halex o Allec era il residuo del Garum, ma poteva essere fatto anche con pesci delicati; Apicio inventò un Allec da fegato di triglia (mullus) che faceva macerare nel Garum, il quale ricorda l’olio di fegato di merluzzo considerato nel passato un potente ricostituente per i bambini.


Tre anfore per il garum

Il miglior Garum veniva prodotto da una cooperativa di Cartagine, il cosidetto Garum Sociorum, che si produceva con il gusto prevalente dello sgombro. Un’anfora di sei litri di Garum Cartaginese costava allora mille sesterzi (circa mille euro attuali). Ottimi e più economici erano i tipi prodotti a Pompei, Antibes (sulla Costa Azzurra) ed in altri pochi centri del Mediterraneo.


Garum ottenuto dalla riproduzione sperimentale (GARCÍA VARGAS)


“Garum di Pompei” in fase di preparazione

 

Il garum, nota e famigerata salsa di pesce fermentato, era molto diffuso e apprezzato nel mondo romano; non solo infatti era un metodo, alternativo alla salagione a secco (salsamentum), di conservare il pesce, ma forniva all’alimentazione un buon apporto di sale e serviva a esaltare il sapore di quasi ogni piatto, grazie all’elevata quantità di glutammato (quello che oggi troviamo nel dado da cucina o nella salsa di soia). La lavorazione del pesce, tanto salato quanto in salse, ha origine mesopotamica ed egizia risalente al III millennio a.C., o ancor prima; essa passò poi al Vicino Oriente e fu nota fin dal VII secolo a.C. ai Greci, i quali chiamavano tarichos il pesce salato e garon la salsa, per la quale utilizzavano una specie di piccolo pesce non meglio identificato, il garos. Contemporaneamente, con le loro colonizzazioni, i Greci portarono la produzione in occidente, ma non bisogna dimenticare anche il ruolo dei Fenici, specialmente verso le coste iberiche, che non a caso in seguito saranno i maggiori e migliori produttori. Furono proprio i Fenici a dare inizio a una pesca intensiva, finalizzata alla lavorazione, in particolare nelle aree limitrofe allo stretto di Gibilterra, passaggio obbligato dei tonni nelle migrazioni fra Mediterraneo e Atlantico. Fenicio è il primo impianto di produzione noto, con vasche per la salagione, a Gadir, l’odierna Cadice, risalente al V secolo a.C. Furono, di nuovo, i Fenici a generalizzare l’uso di anfore per il trasporto di questi prodotti, rinvenute in tutto il Mediterraneo. I Romani, poi, recepirono anch’essi queste tecniche e, con l’aumento della domanda, nacque una produzione “industriale”, destinata al commercio anche a lungo raggio, tramite delle anfore specializzate. I centri produttivi romani, detti cetariae, più numerosi e grandi di quelli fenici, si concentrarono soprattutto sulle coste, sia atlantiche che mediterranee, della Baetica, nel sud dell’Hispania. Altri importanti esportatori furono le province dell’Africa settentrionale e la Sicilia, ma Plinio ricorda come centro di produzione rinomato anche Pompei. Una delle cetariae meglio note e studiate è quella di Baelo Claudia, sempre vicino a Cadice. Questi impianti producevano probabilmente tanto il garum quanto il salsamentum e sono caratterizzati da vasche per la salagione, generalmente quadrangolari, ma a volte anche circolari, come alcune di Baelo Claudia che, per le grandi dimensioni, potrebbero essere state destinate a dei cetacei.





La Colatura di Alici è il prodotto principe del borgo marinaro di Cetara, splendida cittadina dell’illustre Costiera Amalfitana. Il liquido di colore ambrato, dalle presunte origini asiatiche e ben noto successivamente agli antichi romani, si ottiene dalla lunga maturazione delle alici sotto sale.

La ricetta venne poi in qualche modo recuperata nel Medioevo da parte dei gruppi monastici presenti in Costiera Amalfitana, i quali ad agosto erano soliti conservare sotto sale le alici in botti di legno con le doghe scollate e poste in mezzo a due travi, dette mbuosti; sotto l'azione del sale, le alici perdevano liquidi che fuoriuscivano tra le fessure delle botti. Il procedimento si diffuse successivamente tra la popolazione della costa, che la perfezionò con l'utilizzo di cappucci di lana per filtrare la salamoia.

La colatura d'alici viene soprattutto utilizzata come condimento di spaghetti, ma anche per insaporire piatti a base di pesce o verdure, come ad esempio la scarola per la pizza ripiena; inoltre con verdure saltate in padella con olio, aglio e peperoncino, quali bietole, spinaci, ecc. Da alcuni è apprezzata anche come condimento per pomodori, olive, persino per panini farciti e uova cotte in vari modi.

“Un prodotto simbolo importante per il rilancio della enogastronomia – dichiara Mauro Rosati, direttore Generale Qualivita – che, data la notorietà che aveva assunto a livello nazionale ed internazionale in questi anni, ora potrà essere tutelato dalle imitazioni”.


Sicuramente abbiamo sentito parlare di Marco Gavio Apicio, un ricco romano vissuto nel I secolo d.C., e del suo “De re coquinaria”, preziosa fonte di informazionI sulle abitudini alimentari degli antichi romani.

Con le sue 478 ricette, alcune delle quali assai stravaganti, ci trasmette la cultura gastronomica del tempo, conosciuta e praticata nelle case dei ricchi, naturalmente. Singolare è la continuità che si riscontra con alcune preparazioni gastronomiche in uso ancora oggi, divenute col tempo vere prelibatezze.

Sembra infatti che Apicio, da grande buongustaio quale era, avesse trovato il modo per ottenere una pietanza simile al moderno foie gras, ingozzando le povere oche con i fichi!

Ma è il garum il vero protagonista della ricca tavola romana, una salsa ottenuta dalla fermentazione di interiora di pesce, il cui solo pensiero sicuramente ci disgusterebbe.


Sorprendentemente esiste un erede del garum nella cucina italiana: la colatura di alici.

Non si produce con interiora, ma con alici eviscerate, ma chissà se la più antica tradizione prevedesse l’uso di alici intere.

Attualmente il borgo di pescatori di Cetara, situato in costiera amalfitana, detiene il primato nella produzione della colatura di alici.

Il garum era preparato mescolando le interiora di pesce con sale e diversi tipi di spezie. Il tutto veniva fatto macerare esponendolo al sole per un paio di mesi.

Il liquido che si formava veniva filtrato, ed era la parte più preziosa, il garum appunto.

la parte solida serviva per la preparazione di un altro tipo di salsa, l’allec.

A Cetara le alici impiegate per la trasformazione sono tradizionalmente quelle pescate tra il 25 marzo, festa dell’Annunciazione, e il 22 luglio, S. Maria Maddalena.

Dopo essere state pulite (vengono rimosse testa e interiora), le alici vengono prima tenute per una giornata in grandi vasi con abbondante sale, poi poste in botticelle chiamate terzigni, a strati alternati con il sale.






CARLO GATTI

Rapallo, 28 Gennaio 2021


NAVI E STELLE


NAVI E STELLE

Tipo di astro

Costellazione

Nome

Tipo di nave

Dal

Al

MOTTO, traduzione e note

Costellazione

ANDROMEDA

Andromeda

Torpediniera

1936

1941


Costellazione

ANDROMEDA

Andromeda

Avviso scorta

1943

1971

Marina USA, come Caccia di scorta, dal 1943 al 1951 con il nome di Wesson

Stella

AQUILA

Altair

Torpediniera

1936

1941


Stella

AQUILA

Altair

Avviso scorta

1943

1971

Appartenuta alla Marina USA dal 1943 al 1951, come Caccia di scorta, Gandy

Costellazione

AQUILA

Aquila

Avviso a ruote

1840

1875


Costellazione

AQUILA

Aquila

Torpediniere avviso

1888

1912


Costellazione

AQUILA

Aquila

Esploratore leggero

1914

1939

ALARUM VERBERA NOSCE   Paventa l'impeto delle mie ali

Costellazione

AQUILA

Aquila

Portaerei

1941

1945

( Ex transatlantico Roma )

Costellazione

AQUILA

Aquila

Corvetta

1961

1991

ALARUM VERBERA NOSCE   Paventa l'impeto delle mie ali

Costellazione

ARIES

Ariete

Torpediniera

1943

1949

MAGIS TENACIA QUAM CORNIBUS EVERTO  Distruggo di più con la tenacia che con l'impeto

Stella

CANIS MAJOR

Sirio

Torpediniera d’alto mare

1905

1923

SIDUS VIGILANS Stella vigilante Sirio: occhio del Cane che veglia sopra il limitar di Dio!

Stella

CANIS MAJOR

Sirio

Pattugliatore d’altura

2003



Stella

CANIS MINOR

Procione

Torpediniera d'alto mare

1906

1924

CAVE CANEM   Attenti al cane

Stella

CANIS MINOR

Procione

Avviso scorta

1936

1943


Personaggio

CAPRICORNUS

Ibis

Corvetta cacciasommergibili

1943

1971

IBIS, REDIBIS, NON MORIERIS IN BELLO  Andrai, ritornerai, non morirai in guerra

Stella

CARINA

Canopo

Torpediniera d’alto mare

1907

1923


Stella

CARINA

Canopo

Torpediniera

1937

1941


Stella

CARINA

Canopo

Avviso scorta

1952

1981

CON ARDIRE E CON TENACIA

Costellazione

CASSIOPEIA

Cassiopea

Corvetta

1937

1959


Costellazione

CASSIOPEIA

Cassiopea

Pattugliatore d’altura

1989

2023

ADSUM  Sono presente… ( sottinteso : Sono presente ovunque vi sia da combattere )

Costellazione

CENTAURUS

Centauro

Torpediniera d’alto mare

1907

1922

NON E' MAI  TARDI  PER ANDAR PIU'  OLTRE  tratto “La  Nave” D'Annunzio

Costellazione

CENTAURUS

Centauro

Torpediniera

1936

1943


Costellazione

CENTAURUS

Centauro

Avviso scorta

1952

1984

FERREA MOLE FERREO CUORE Motto Div. Centauro donato bandiera comb.

Costellazione

CENTAURUS

Chirone

Rimorchiatore d’alto mare

1942

1987

Centauro Chirone : mitico personaggio, metà uomo e metà cavallo

Costellazione

CETUS

Balena

Rimorchiatore

1911

1943


Costellazione

COMA BERENICES

Berenice

Corvetta

1942

1943


Stella

CORONA BOREALIS

Gemma

Sommergibile

1936

1940


Costellazione

CYGNUS

Cigno

Torpediniera

1937

1943


Costellazione

CYGNUS

Cigno

Avviso scorta

1957

1983

PRIMUS IN ACIE   Primo nel combattimento

Costellazione

DELPHINUS

Anfitrite

Sommergibile

1934

1941

Il Delfino, convinse Anfitrite a seguirlo nella dimora sottomarina di Poseidone

Costellazione

DELPHINUS

Delfino

Sommergibile

1892

1919


Costellazione

DELPHINUS

Delfino

Sommergibile

1931

1943

SUBSUM SED SUPERIS OBSUM  Sto sotto ma nuoccio a chi sta sopra

Personaggio

ERIDANUS

Climene

Torpediniera

1936

1943

Fetonte ( significa Radioso) era il figlio mortale del Dio Sole e della oceanina Climene

Costellazione

ERIDANUS

Eridano

Nave idrografica

1895

1907


Costellazione

ERIDANUS

Eridano

Cisterna per acqua

1910

1937


Stella

GEMINI

Castore

Torpediniera

1888

1925


Stella

GEMINI

Castore

Torpediniera

1937

1943


Stella

GEMINI

Castore

Avviso scorta

1955

1980

ARDISCO AD OGNI IMPRESA

Stella

GEMINI

Polluce

Torpediniera

1888

1911


Stella

GEMINI

Polluce

Torpediniera

1937

1942


Costellazione

GRU

Gru

Corvetta cacciasommergibili

1942

1971

TIMEO SED TIMOREM  Non temo che la paura

Costellazione

HERCULES

Ercole

Pirofregata II rango a ruote

1841

1875

Dal 1841 al 1861,  appartenente alla Marina del Regno delle Due Sicilie

Costellazione

HERCULES

Ercole

Rimorchiatore

1944

1989


Costellazione

HERCULES

Ercole

Rimorchiatore costiero

2002


Acquisito dalla MMI nel 2014

Costellazione

LEO

Leone

Esploratore leggero

1921

1941

QUIA SUM LEO   Perché sono il Leone

Costellazione

LIBRA

Libra

Torpediniera

1938

1964


Costellazione

LIBRA

Libra

Pattugliatore d’altura

1989

2023

PATIENS  VIGIL AUDAX   Paziente, vigilante, audace

Costellazione

LINX

Lince

Esploratore leggero

1921

1921


Costellazione

LINX

Lince

Torpediniera

1938

1943


Costellazione

LUPUS

Lupo

Torpediniera

1938

1942

FULMINEO SULLA PREDA

Costellazione

LUPUS

Lupo

Fregata

1977

2003

FULMINEO SULLA PREDA

Costellazione

LYRA

Lira

Torpediniera

1938

1944

Appartenente alla Kriegsmarine ( Marina Militare Tedesca ) dal 1943 al 1944

Stella

LYRA

Vega

Torpediniera

1936

1941

NON NISI IN OBSCURA SIDERA NOCTE MICANT Le stelle non brillano soltanto in una notte oscura

Stella

LYRA

Vega

Pattugliatore d’altura

1990

2022

SEMPRE E OVUNQUE

Costellazione

MUSCA

Mosca

Torpediniera da costa

1882

1898


Costellazione

ORION

Orione

Torpediniera d’alto mare

1907

1923

SPLENDORE IN CIELO GLORIA IN MARE

Costellazione

ORION

Orione

Avviso scorta

1937

1964

SPLENDORE IN CIELO GLORIA IN MARE

Costellazione

PEGASUS

Pegaso

Torpediniera d’alto mare

1905

1923


Costellazione

PEGASUS

Pegaso

Avviso scorta

1936

1965


Personaggio

PERSEUS

Medusa

Sommergibile

1911

1915

La celebre Gorgona Medusa era l’unica delle tre Gorgoni a non essere mmortale

Personaggio

PERSEUS

Medusa

Sommergibile

1931

1942


Costellazione

PERSEUS

Perseo

Torpediniera d'alto mare

1906

1917

VINCERA'  CHI VORRA'  VINCERE

Costellazione

PERSEUS

Perseo

Torpediniera

1936

1943

VINCERA'  CHI VORRA'  VINCERE

Costellazione

PERSEUS

Perseo

Fregata

1980

2005

VINCERA'  CHI VORRA'  VINCERE

Costellazione

PHOENIX

Fenice

Corvetta cacciasommergibili

1943

1965

RESURGIT  Risorge

Costellazione

PHOENIX

Fenice

Corvetta

1990

Serv

RESURGIT  Risorge

Costellazione

SAGITTA

Freccia

Cacciatorpediniere

1899

1911


Costellazione

SAGITTA

Freccia

Cacciatorpediniere

1929

1943

DELIBERATA DI TOCCARE IL SEGNO

Costellazione

SAGITTA

Freccia

Motocannoniera

1965

1985


Costellazione

SAGITTA

Saetta

Motocannoniera

1966

1986


Costellazione

SAGITTARIUS

Sagittario

Torpediniera d'alto mare

1905

1923

NON COHIBETUR SAGITTA  La mia freccia non sia trattenuta

Costellazione

SAGITTARIUS

Sagittario

Fregata

1978

2005

NON COHIBETUR SAGITTA  La mia freccia non sia trattenuta

Stella

SCORPIUS

Antares

Torpediniera

1936

1943


Costellazione

SERPENS

Serpente

Torpediniera d'alto mare

1906

1916

VAFER REPENTE LETIFER  Astuto, rapido e letale

Costellazione

SERPENS

Serpente

Somm. piccola crociera

1932

1943

INSIDIARUM EXPERIENS  Intraprendente nelle insidie

Personaggio

SEXTANS

Urania

Incrociatore torpediniere

1889

1921


Personaggio

SEXTANS

Urania

Corvetta cacciasommergibili

1942

1971


Stella

TAURUS

Alcione

Torpediniera

1938

1941


Stella

TAURUS

Alcione

Corvetta antisom

1953

1992

NIHIL ME DEFLECTIT   Niente mi distoglie

Stella

TAURUS

Aldebaran

Torpediniera

1936

1941


Stella

TAURUS

Aldebaran

Avviso scorta

1943

1975

Appartenuta alla Marina USA dal 1943 al 1951, Caccia di scorta, nome  Thornill

Stella

TAURUS

Atlante

Rimorchiatore

1927

1968

Atlante è una stella dell’Ammasso delle Pleiadi della costellazione TAURUS

Stella

TAURUS

Atlante

Rimorchiatore d’altura

1978


Atlante è una stella dell’Ammasso delle Pleiadi della costellazione TAURUS

Stella

TAURUS

Elettra

Unità Polivalente di Supporto

2003

Serv

Anima i silenzi aerei 

Ammasso

TAURUS

Pleiadi

Torpediniera

1938

1941


Stella

TAURUS

Sterope

Cisterna per nafta

1939

1947

Sterope è una stella dell’Ammasso delle Pleiadi della costellazione TAURUS

Stella

TAURUS

Sterope

Nave logistica di squadra

1944

1977

Appartenuta dal 1944 al 1959 alla Marina USA con il nome di FORBES ROAD ( dal 1944 al 1947 ) e di Enrico Insom ( dal 1947 al 1959 )

Costellazione

URSA MAIOR

Orsa

Avviso scorta

1936

1943


Costellazione

URSA MAIOR

Orsa

Fregata

1980

2003

FORTITUDINE  FORTIOR   Più forte della forza

Costellazione

URSA MAIOR

Orsa Maggiore

Yacht

1994

Serv

Ad maiora duco

Personaggio

URSA MINOR

Aretusa

Incrociatore torpediniere

1889

1912

Nella mitologia greca, le sette stelle dell’Orsa MinoreAretusa, Estia, Espera, Esperusa ed Esperia erano le Esperidi: Egle, Eritea,

Personaggio

URSA MINOR

Aretusa

Torpediniera

1938

1958


Personaggio

URSA MINOR

Aretusa

Nave  idro – oceanografica

1999

Serv

ARETHUSA UNDIS PROSPICIT  Aretusa guarda avanti

Stella

URSA MINOR

Stella Polare

Nave da trasporto

1883

1911


Stella

URSA MINOR

Stella Polare

Yacht

1965

Serv

Cantieri Navali Sangermani di Lavagna Ex vento vis in viris fortitudo

Stella

VIRGO

Spica

Torpediniera d'alto mare

1905

1923

GLORIA E  LATOR   Foriero di gloria

Stella

VIRGO

Spica

Pattugliatore d’altura

1990

2022

VIGILE  ATTENDO   ( Motto già appartenuto al sommergibile F15 )

Asteroide

Z - Asteroide

Cerere

Cisterna nafta

1915

1943

Dal 1915 al 1924 della Kriegsmarine ( Marina Militare Tedesca ) nome di Baltrum

Personaggio

Z – Pianeta

Galatea

Sommergibile

1934

1948

Satellite del pianeta Nettuno

Personaggio

Z – Pianeta

Galatea

Nave Idro - oceanografica

2002


Felix Galatea vivas

Pianeta

Z - Pianeta

Giove

Nave cisterna

1917

1946


Pianeta

Z - Pianeta

Marte

Nave cisterna

1892

1947

Marina Austriaca come Vesta, nel 1923, data Regia Marina in conto riparazione danni

Pianeta

Z - Pianeta

Nettuno

Nave cisterna

1917

1954


Pianeta

Z - Pianeta

Saturno

Rimorchiatore

1905

1973


Pianeta

Z - Pianeta

Saturno

Rimorchiatore d’altura

1987



Personaggio

Z - Pianeta

Titano

Rimorchiatore d’altura

1988


Satellite del pianeta Saturno

Pianeta

Z - Pianeta

Urano

Nave cisterna

1922

1954



* Serv : Unità navale in servizio e che risulta iscritta al ruolo del Naviglio Militare alla data del 31- Marzo - 2007.

ANDROMEDA



 

 

Nome scientifico: ANDROMEDA

Costellazione dell’Emisfero Celeste Nord, ampia 722 gradi2 e presente nell’Almagesto di Tolomeo del 140.

Mitologia greca: Andromeda, figlia di Cefeo e di Cassiopea, minacciata dalla Balena, venne salvata da Perseo e dalla loro unione nacquero Perses (progenitore dei Persiani) e Gorgofone (madre di 5 figli, tra cui Tindaro, Re di Sparta e marito di Leda).

Almak deriva dall’arabo Al anak al ard = un piccolo animale del deserto (simile al tasso)

Effemeridi nautiche  Nr. 6 stella gigante gialla

Alpheratz (oppure Sirah) deriva dall’arabo Al surrat al faras = Ombelico del cavallo

Effemeridi nautiche Nr. 1 stella subgigante bianca-azzurra

Torpediniera Andromeda

Classe Spica – Serie Perseo


Varata a Genova Sestri Ponente il 28 Giugno 1936

Dislocamento standard  630 t

Lunghezza 81,9 m  -  Larghezza  8,2 m - Pescaggio 3 m

Equipaggio: 116 (6 Ufficiali e 110 sottufficiali e marinai)

Armamento:  3 cannoni 108/47 – 8 mitragliere –

4 tubi lanciasiluri – 2 lanciabombe di profondità

Partecipazione alla guerra civile spagnola 1937 – 1938

Operazioni navali in Grecia e Albania 1940 – 1941

Affondata il 17 Marzo 1941, da aerosiluranti inglesi nella Baia di Valona in Albania


Corvetta Andromeda

Classe Aldebaran

Varata il 17 Ottobre 1943 a Newark (USA) con il nome di

Morgan Wesson

Dislocamento standard  1.796 t

Lunghezza 93 m - Larghezza 11,23 m - Pescaggio 3,56 m

Equipaggio 189

Armamento: 3 cannoni 75/60 – 6 cannoni 40/56

18 mitragliere – 1 porcospino – 8 lanciabombe e 1 scarica bombe

Partecipazione alla Guerra nel Pacifico 1943 – 1945, ceduta all’Italia il 10 Gennaio 1951 e denominata Andromeda

Radiata nel 1972


LA GARA PSEUDO SPORTIVA CHE CAMBIO' LA STORIA NAVALE

LA GARA PSEUDO SPORTIVA … CHE CAMBIO' LA STORIA NAVALE

 

 

I migliori bookmakers europei sono inglesi. Le prime scommesse e le prime agenzie sono nate nel Regno Unito. La popolazione anglosassone ha una cultura per il gioco nettamente differente dalla nostra.

Gli inglesi vivono la scommessa come un divertimento quotidiano e come un piacevole passatempo. Scommettono in tutti gli aspetti finanziari, economici, politici, NAVALI, sociali, musicali e sportivi. E’ possibile giocare con l’exchange online, puntare sul colore del cappellino della Regina o scommettere sulla vittoria del Liverpool nella Premier League.

Tempo fa scrissi:

I CLIPPERS LE FERRARI DELL’800 - LA GRANDE CORSA DEL TE’ del 1866

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=141;i-clippers-le-qferrariq-dell800

Di cui riprendo un passo:

Nella “Londra Vittoriana”, con il consumo del tè, ci fu un vero cambiamento di costume nazionale, in pratica s’instaurò una moda che ebbe molte ripercussioni persino nei trasporti marittimi. L’annuale arrivo del primo carico di tè primaverile cinese, considerato il migliore (una pianta dava tre raccolti), veniva pagato 10 scellini ogni 50 piedi cubici, e 100 sterline di premio erano destinate al Capitano del clipper che arrivava per primo sui mercati. Questo tangibile riconoscimento diede il via ad una vera e propria “corsa del tè” che coinvolse navi e capitani famosi, in primo luogo il “Cutty Sark” che, ironia della sorte, non riusciva ad imporsi sul diretto concorrente “Thermopylae”, malgrado la sua meritatissima fama. Molte furono le coppie rivali di clippers che divisero l’opinione pubblica mondiale in vere e proprie tifoserie di scommettitori e appassionati che investivano somme ingenti sulle vittorie di questi “levrieri d’altura”. Qui si aprirebbe un capitolo lunghissimo e affascinante, purtroppo, per ragioni di spazio, non possiamo che fare riferimento soltanto a quella che fu la gara più spettacolare che sublimò le grandi corse dei clippers.

Dopo questa premessa che fa da sfondo “all’atmosfera inglese” di metà ‘800, vi racconto oggi un’altra “leggendaria sfida”, con contorno di scommesse a livelli stratosferici, che pose fine ad un’accanita discussione tecnica che aveva diviso l’opinione pubblica (marittima) inglese in due fazioni: quella rivoluzionaria a favore dell’elica come propulsore navale, e quella favorevole al sistema a pale che aveva, da par suo, molti sostenitori nel settore dei trasporti fluviali e lacustri.

Entrando nello specifico della questione, dobbiamo anche aggiungere che nel corso della prima metà del 1800 vi furono i più radicali cambiamenti nelle costruzioni navali, dal legno al metallo, dalle vele al vapore e, ultima e non meno importante, dalla ruota a pale all'elica.

In questo clima “rivoluzionario” che toccò l’Inghilterra dei Trasporti Marittimi, dobbiamo ricordare che nella “Perfida Albione” * che possedeva la più grande flotta, sia mercantile che militare, si svilupparono accese discussioni e lotte accanite, negli ambienti marittimi, tra i sostenitori dell'una e dell'altra soluzione, ed ognuna esaltava i pregi e i difetti dei due sistemi.

Per superare il problema e mettere la parola fine a tutte le teorie esistenti, gli Inglesi si affidarono, con molto senso pratico, ai risultati di due gare dal sapore molto sportivo: una di velocità ed una di potenza tra due navi identiche ma con le propulsioni in voga in quel momento.

Ora capite che il riferimento alle gare tra i CLIPPERS e al rituale delle scommesse non era casuale…

Ogni discussione su questo tema ebbe fine nel marzo del 1845, in stile tipico anglosassone, quando due fregate da 880 tonnellate, praticamente identiche, la Rattler e l'Alecto, accettarono di sfidarsi in mare aperto.

Le due navi furono entrambe dotate di una macchina da 220 hp, con la differenza che quella della Rattler azionava un'elica mentre quella dell'Alecto una coppia di ruote a pale.


Arrivò il giorno della sentenza PRATICA con le due navi che si sfidarono davanti al mondo!

Il confronto consisteva in due prove: di velocità la prima, e di potenza la seconda.

-      Per la gara di velocità, su un percorso di 100 miglia, la Rattler vinse con un distacco di diverse miglia.

-      Per la gara di potenza, fu deciso di prendere in prestito dalle famose Università britanniche il termine sportivo: TIRO ALLA FUNE.

Le due navi furono unite poppa a poppa con un grosso cavo e furono spinte in direzioni opposte con le macchine a tutta forza, in una sorta di tiro alla fune…;

dopo alcuni minuti la Rattler trascinava la Alecto fino a raggiungere la velocità di 2,7 nodi.

Fu la dimostrazione “pratica” e definitiva della superiorità dell'elica sulla ruota a pale.

Naturalmente in quell’ultima occasione si registrarono impennate altissime nel BETTING (scommesse) su tutti i territori della Gran Bretagna comprese le colonie di quel tempo.

Un po’ di Storia

La propulsione a vite (elica) aveva alcuni evidenti vantaggi potenziali per le navi da guerra rispetto alla propulsione a pale. In primo luogo, le ruote a pale erano esposte al fuoco nemico in combattimento, mentre un'elica e i suoi macchinari erano nascosti in sicurezza ben al di sotto del ponte. In secondo luogo, lo spazio occupato dalle ruote a pale limitava il numero di armi che una nave da guerra poteva portare, riducendo così la sua bordata. Questi potenziali vantaggi erano ben compresi dall’ammiragliato britannico, ma non era convinto che l'elica fosse un sistema di propulsione efficace. Fu solo nel 1840, quando la prima nave a vapore a propulsione ad elica al mondo, la SS Archimedes, completò con successo una serie di prove contro le più veloci imbarcazioni con ruote a pale, che la Marina decise di condurre ulteriori prove della tecnologia. Per questo scopo, la Marina costruì la HMS Rattler.

 


ALECTO - la sconfitta


L'HMS Rattler, (nella foto) La vincitrice del confronto

Era uno sloop in legno della Royal Navy dotato di 9 cannoni, fu la prima nave da guerra britannica ad adottare un’elica a vite azionata da un motore a vapore.

 

L'HMS Rattler fu varata il 13 aprile 1843 al Sheerness Dockyard  e trainato nel cantiere di Maudslay  per l'installazione dei suoi macchinari. Ricevette un motore a vapore verticale a quattro cilindri ad espansione singola con doppio cilindro, della potenza di 200 nhp e sviluppa 326 chilowatt (437 ihp). Un gran numero di eliche furono testate durante questo periodo su HMS Rattler per trovare il progetto di elica più efficace.

Fu ramata al Woolwich Dockyard e vennero fatta diverse prove nel corso dei due anni successivi, il suo primo giorno in mare fu il 30 ottobre 1843.  L'HMS Rattler fu impegnato contro diverse imbarcazioni dotate di ruote a pale dal 1843 al 1845. Queste prove estese dimostrarono in modo conclusivo che l'elica a vite era superiore alla ruota a pale come sistema di propulsione

Il suo armamento consisteva in un singolo cannone da 20 cm e otto cannoni da 32 lb posti sulle fiancate. Fu commissionata a Woolwich il 30 gennaio 1845 e fu comandata per la prima volta dal comandante Henry Smith.

* Nota

La perfida Albione - Non fu Mussolini a inventare l’espressione “Perfida Albione” per definire spregiativamente l’Inghilterra. Le ricostruzioni storiche hanno trovato associazioni tra l’aggettivo e il nome usato dai greci per definire la Gran Bretagna già nel tredicesimo secolo. Ma la sua canonizzazione viene attribuita al Marchese Agostino di Ximenes, un francese di origine spagnola, autore alla fine del Settecento di un verso che diceva

“Attacchiamo la perfida Albione nelle sue acque”.

Da quei tempi rivoluzionari mal giudicati in Inghilterra, i francesi presero a usare l’espressione spesso in ogni occasione di tensione tra i due paesi. Ma quando – nel XX secolo – i rapporti tra i paesi migliorarono con le alleanze militari nelle due guerre, il disprezzo per l’Inghilterra fu raccolto dai regimi fascisti e in special modo in Italia da Mussolini il quale parlò di “Perfida Albione” attaccando l’adesione britannica alle sanzioni anti-italiane dopo l’invasione dell’Abissinia. E proseguì a usare l’espressione successivamente.

Dopo la fine del fascismo, le due parole sono rimaste in uso di solito ironico o hanno trovato altre vite soprattutto in campo calcistico (ma anche in Argentina per la guerra delle Falkland): Dick Cheney le usò per esprimere il disappunto degli Stati Uniti nei confronti di un incontro tra il ministro britannico David Miliband e il presidente siriano Assad.

Il disprezzo per la Gran Bretagna è rimasto però parte di un vecchio pezzo della cultura reazionaria italiana, e del comune sentire di una piccola parte ignorante degli italiani (nuove destre hanno invece sviluppato attrazioni e interessi per quel paese). È diverso dal disprezzo per la Francia, spesso condiviso dalle stesse teste microscioviniste: non è frutto di una competizione spesso perdente, ma di un complesso di inferiorità (Mussolini stesso si riferiva alle pretese inglesi di mantenere il proprio impero negandolo all’Italia).

Gli ex marittimi, ma anche i cultori della storia navale moderna, conoscono le tipologie di propulsori in uso nella nostra marina; tutto o quasi tutto sull’ELICA, ma c’è il glorioso settore dei Modellisti Navali che sul sistema di propulsione a pale ne conosce sia l’applicazione tecnica che la sua storia. Ecco cosa scrivono gli Amici dei MITI DEL MARE

 

Breve storia della ruota a pale

Sembra che già gli antichi romani, e successivamente i cinesi, abbiamo fatto dei tentativi con delle ruote a pale mosse da schiavi, ma alla fine convennero sulla migliore efficacia del remo. Lo stesso Leonardo Da Vinci ipotizzò un battello con ruote a pedali (Fig. 1). Fu solo verso la fine del XVIII Secolo, quando si rese disponibile un sistema di propulsione a vapore abbastanza efficiente, che furono compiuti i primi tentativi di propulsione navale con l’impiego di ruote a pale. Il primo risultato soddisfacente fu ottenuto dal battello di 17 metri Charlotte Dundas che, con una macchina a vapore da 12 HP e una sola ruota a poppa, riuscì a rimorchiare delle chiatte lungo un canale americano.
I primi successi commerciali furono conseguiti dai battelli di Fulton, il Clermont ed il Phoenix, mossi entrambi da due ruote laterali, che effettuarono anch’essi servizio negli Stati Uniti.

Anche in Europa cominciò a diffondersi questo sistema di propulsione ma i battelli erano sempre di dimensioni ridotte e destinati a navigazioni fluviali o costiere. Solo nel 1819 la nave americana Savannah, comunque dotata di un’attrezzatura velica completa, attraversò l’Atlantico usando la macchina a vapore solo per alcune ore. Negli anni successivi furono costruite navi più grandi e veloci in grado di effettuare lunghi viaggi. Ma le ruote a pale erano pesanti, ingombranti e vulnerabili. Furono quindi soppiantate dall’elica, anche se la cosa non fu priva di contrasti.

 

Qualche nota tecnica


Le prime ruote erano a pale fisse. Successivamente, per migliorarne il rendimento, furono costruite ruote a pale oscillanti in grado di orientarsi grazie ad un sistema eccentrico. Ma queste erano più pesanti e costose e quindi non sempre preferite. Le ruote venivano raramente sistemate a poppa dove risentivano del beccheggio. Quelle sistemate ai lati della nave erano disturbate dal rollio e, sulle navi da carico, risentivano delle variazioni di immersione. Comunque le ruote laterali furono sempre preferite per le navi d’altura. La figura 2 mostra una ruota a pale con cerchio di protezione esterno.

ALCUNI LINK PRODOTTI DAI NOSTRI SOCI

LA PROPULSIONE AZIPOD - di Giuseppe SORIO

=53:maritthttps://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=437:azipod&catidimo&Itemid=160

QUANTO E’ SLEGATA L’ANCORA DALL’ELICA E DAL TIMONE - di John GATTI

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=784;giuan&catid=53;marittimo&Itemid=160

 

L'ABC DELLE MANOVRE PARTE DALLE ELICHE di John GATTI

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=743;john&catid=53;marittimo&Itemid=160

UNA MANOVRA  CON L’USO DELL’ANCORAdi John GATTI

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=693;john&catid=53;marittimo&Itemid=160

Carlo GATTI

 

Rapallo, 6 Gennaio 2021


STORIE DI MARE - IL CAPPUN MAGRO

IL CAPPUN MAGRO


Dipinto di Marco Locci

Negli Anni ‘60 del secolo scorso, quando si partiva per un rimorchio d’altura in Mediterraneo con 8 membri d’equipaggio e non si faceva, per una sorta di prudenza scaramantica, la previsione di ritorno a Genova, imbarcavamo provviste cibarie e il m/r Brasile (29 metri di lunghezza) si trasformava in una grande cambusa di cui faceva parte anche la cabina del Comandante, il frigo di bordo aveva le stesse dimensioni di quello di casa.


 

Un marinaio di Camogli, che non mancava mai tra l’equipaggio, aveva il compito di presentarsi alla partenza con una decina di sacchi di “gallette del marinaio”, la cui fama si era diffusa da S. Rocco di Camogli.

INTERMEZZO

LA GALLETTA DEL MARINAIO

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=533;juan&catid=52;artex&Itemid=153

Mi spiego meglio. Le gallette non solo rappresentavano una bandiera da sventolare, un’antica tradizione da rinverdire, ma era ancora in quegli anni una vera e propria arma di riserva: una necessità culinaria per l’impossibilità di panificare a bordo quando finiva la scorta di pane fresco acquistato presso il panificio del caroggiu più vicino a Ponte Parodi. In poche parole, le gallette erano destinate ad entrare in gioco durante le situazioni d’emergenza che esamineremo tra breve.

Per chi non è avvezzo a certe situazioni nautico-marinare, come la navigazione invernale nel Mare Nostrum, la prudenza scaramantica di cui parlavo all’inizio, la spiego con un esempio: il rimorchio di una nave, spesso era un relitto sbandato, senza equipaggio, si trainava con circa 600/700 metri di cavo che, nella sua parte centrale aveva un pescaggio di circa 10/20 mt, come una petroliera carica di quei tempi, per cui era imperativo navigare, al limite dei 5 nodi di velocità, al largo delle coste per non perdere il cavo sui bassi fondali e di conseguenza anche la nave rimorchiata.

Purtroppo, con questo tipo di problema, eravamo condannati a navigare in mare aperto senza il ridosso della terraferma, quando le burrasche invernali infuriavano ed il rimorchio a volte tentava di sorpassarci prendendo più vento di noi…. e, a questo punto la navigazione diventava “manovrata”, si allungavano i tempi alla ricerca di una golfata dove accorciare il cavo e “puggiare” attendendo il passaggio della depressione per poi ripartire.

A volte le depressioni si susseguivano…e l’attesa si faceva lunga e nervosa e si capiva che presto saremmo finiti nella “capunnadda”… un modo di dire che preludeva alla scarsità di cibo fresco. Da quel momento a bordo tutti si mettevano a pescare e via radio si contattavano i pescherecci della zona per scambiare pesce fresco con stecche di sigarette, bottiglie di Porto e Fundador.

Se il peschereccio aveva catturato pesci prelibati, la nostra cappunadda poteva trasformarsi in un cappun magro sui generis, magari non proprio farcito con verdura appena raccolta…ma assolutamente gustoso e profumato.

Si raggiungeva quasi sempre lo scopo perché avevamo molti amici pescatori un po’ dappertutto e poi in mare, lo sapete benissimo, la solidarietà la si vive e non la si predica soltanto!

Dopo questa lunga premessa é ora d’entrare nel tema!


Pareggia Ligure

 


E non possiamo farlo senza ricordare le imbarcazioni liguri dei secoli passati: Galee, Bovi, Tartane, Navicelli, Paregge, Leudi e tante altre che, senza motore, affrontavano le nostre stesse situazioni pericolose appena descritte.

Le rotte battute dai naviganti erano sempre le stesse fin dall’antichità, controllate dal dio MARE, un dio senza età che impone leggi imprevedibili che ancora oggi non si rivelano pienamente alla scienza umana, un dio che rispetta chi gli fa l’inchino, chi non lo sfida ma lo asseconda in ogni suo capriccio: per gli sbruffoni, i cosiddetti padroni del mare, ha sempre nuovi prodotti da offrire, ossia lezioni a base di legnate che in mare si chiamano COLPI DI MARE…che non perdonano!

Dalle galee ai leudi: secoli d’esperienza marinara accumulata dai nostri avi marinai, e che abbiamo ereditato insieme alle ricette per risolvere il problema della scarsità di cibo, ricette che nacquero per necessità dalla fantasia dei marinai che impararono a sfruttare gli avanzi della cambusa di bordo dopo un mese di navigazione prolungata oltre i limiti delle previsioni spesso causate da soste e puggiate di fortuna.

ECCO DA DOVE NASCE IL CIBO CHE OGGI VIENE CELEBRATO SULLE TAVOLE DEI MIGLIORI RISTORANTI…. Dalla capunnadda al cappun magro il passo è breve.

Ambedue le ricette sono realizzate utilizzando come base una galletta ammollata in acqua e aceto, pesce salato (tonno e alici) e, se possibile, olive, origano e un po’ d’olio: in pratica l’equivalente della capponadda, ovvero la parente povera del CAPPON MAGRO di cui oggi recuperiamo un po’ di storia.

La definizione che spesso si dà di questo piatto è la seguente:

Il cappon magro è un antico piatto tradizionale ligure a base di pesce e verdure. Il termine "magro" indica il suo essere un piatto di magro, riservato cioè ai giorni di penitenza e quaresimali. Il pesce e la verdura di cui è composto vengono serviti su una base di  galletta che abbiamo già conosciuto.

Molti, se non tutti gli armatori medievali genovesi, erano nobili che spesso s’imbarcavano sulle loro navi per raggiungere i Domini politici territoriali, fondaci, basi militari, mercati e consolati del Medio Oriente e del Mar Nero per curare i loro interessi mercantili.

Durante questa forzata convivenza tra aristocratici e gente di mare, ci furono scambi di esperienze e conoscenze che passarono alla storia. Per quel che ci riguarda in questo articolo, nel passaggio di questi piatti dalle galee alle tavole dei nobili nei loro castelli, la ricetta si arricchì, infatti gli ingredienti diventarono più raffinati e al pesce si aggiunsero la verdura e la salsa verde capace di armonizzare i sapori rendendo l’insieme impareggiabile.

Si trattò di un evento dinamico naturale che seppe viaggiare nei secoli fino a portare queste degustazioni marinare, sui ricchi banchetti blasonati, ed oggi nei più rinomati ristoranti ed alberghi della penisola dove è possibile ammirarli e gustarli con arricchimento di pregiati ingredienti e persino decorazioni con ricercate verdure e spezie provenienti da lontano.

Nei libri contabili di alcune famiglie nobili genovesi si trovano riferimenti inequivocabili al cappon magro, sia come piatto dei giorni di magro – magari in versione più sobria – sia come portata fastosa da ostentare durante i banchetti ufficiali tenuti in giorni di astinenza dalle carni.



Oggi la caponadda, soprattutto in Riviera, è piatto estivo rinomato e nella frazione di San Rocco, a luglio, dà luogo a una sagra assai frequentata.

ECCO finalmente LA RICETTA che aspettavate.

dosi per quattro persone – con quattro gallette da marinaio (fuori dalla Liguria sono quasi impossibili da trovare, le potete sostituire con fette di pane che biscotterete, oppure con freselle pugliesi o con qualunque cracker che sia in grado di reggere l’acqua senza impregnarsi troppo, il pane azzimo o i Wasa non sono il massimo ma all’occorrenza possono andare.

La ricetta del CAPPON MAGRO:

Gli ingredienti della ricetta del cappon magro sono:

  • 75 grammi di mosciame di tonno (tonno secco, anche questo arduo da trovare: potete sostituirlo con la bottarga),

  • tre acciughe salate,

  • 150 grammi di tonno al naturale (c’è chi usa quello sott’olio, ma l’olio delle conserve non è granché e rischia di coprire il pregiato olio evo che userete voi),

  • trenta olive taggiasche (non date retta a quelli che dicono le spagnole o le Cerignola),

  • tre uova sode tagliate a rondelle,

  • una cipolla (di Tropea, suggerisco),

  • quattro pomodori maturi,

  • 150 grammi di fagiolini,

  • un bicchiere di aceto bianco,

  • un bicchiere di olio evo,

  • acqua e sale

Naturalmente non c’è bisogno di dirvi di lessare i fagiolini e di togliergli i fili, di affettare la cipolla e il pomodoro, di ammollare il pane in acqua e aceto badando che non si impregni troppo e conservi un po’ di croccantezza, e infine di mescolare tutto e condire con l’olio, l’aceto che resta e il sale.

RICETTA DEL CAPPON MAGRO DELLO CHEF DELL’HOTEL MIRAMARE DI RAPALLO

https://video.ilsecoloxix.it/levante/la-ricetta-il-cappon-magro-del-miramare-di-rapallo/7504/7505

 

CARLO GATTI

 

Rapallo, 13 Gennaio 2021

 


L'ASSO NELLA MANICA

 


L'ASSO NELLA MANICA

BY JOHN GATTI4 GENNAIO 2021•12 MINUTI


La fase di studio, propedeutica all’acquisizione delle competenze necessarie a renderci titolati e in grado di svolgere un determinato compito, determina – in larga misura – i confini entro i quali spazierà la nostra abilità.

Sarebbe forse più giusto dire che:

“l’apertura mentale con cui affrontiamo lo studio, stabilisce i limiti della vastità delle nostre conoscenze”.

Questo perché il nostro cervello è portato a semplificare tutto il possibile e, il più delle volte, raggiunge il suo scopo agendo per esclusione:

elimina, per motivi di efficienza, ciò che reputa superfluo

succede, quindi, che tendiamo a dimenticare quanto il cervello ritiene – a suo insindacabile giudizio – inutile o, ancora peggio, altera i ricordi adattandoli agli assunti già immagazzinati nella nostra memoria, secondo il principio per cui:

è meno dispendioso, in termini energetici, consolidare convinzioni già acquisite, anche se sbagliate, piuttosto che sovrascrivere informazioni già registrate.

Pensando a quanto ho scritto sopra, si materializza nella mia mente l’immagine di un aspirante pilota che si presenta all’esame con un sacco colmo di nozioni, formule, definizioni e simulazioni.

Una volta vinto il concorso, vedo l’allievo cominciare il suo anno di apprendimento con il sacco pieno da una parte e un sacco vuoto dall’altra.

Fin dai primi giorni quello pieno comincia a vuotarsi:

parte del contenuto viene dimenticato, perché inutile nella pratica, mentre una quantità modesta passa nell’altro sacco, quello che contiene la teoria necessaria a supportare l’esperienza.

Il ragionamento non è né bello né lineare.

Semplicemente il cervello fa il suo lavoro: elimina ciò che cataloga come superfluo e conserva ciò che ritiene utile.


Potrei disquisire a lungo sui vantaggi e gli svantaggi del modo di operare del cervello applicato alla manovra delle navi, ma il risultato è più o meno questo:

il pilota esperto ha uno stile personale che, purtroppo e di fatto, confina le sue conoscenze; all’interno di questi limiti c’è tutto il suo sapere, fatto di esperienza, di minimi calcoli e di soluzioni efficaci; di infinite ripetizioni, di automatismi e di spazi fisici/temporali compresi tra il momento “x” e il punto di non ritorno.

È giusto. Il fine è quello che conta.

Saper gestire perfettamente il necessario numero di opzioni permette di agire con tempestività, sicurezza ed efficacia.

Il resto è fumo.

Beh, non è proprio così… però, se osserviamo le cose da un punto di vista pratico, è evidente che un pilota che opera a Genova ha poca esperienza e poco interesse all’approfondimento della manovra nella nebbia, nei ghiacci o nei fiumi, perché diventa, nel tempo, esperto nella conduzione della nave in presenza di vento e negli spazi ristretti.

Un concetto realistico, che però presenta i suoi limiti.

Saper gestire l’ordinario è scontato e imprescindibile. Il buon pilota si vede nell’emergenza o quando l’ordinario sconfina nello straordinario, costringendolo a tirare fuori l’asso dalla manica.

È per questo che due “sacchi” non bastano e non ci possiamo permettere di rinunciare a portare, tra i nostri bagagli, anche uno zainetto.

Cambiare manovra per sfruttare un vento o una corrente troppo forti; avere sempre una via di fuga o un piano “B” in caso di rottura del cavo del rimorchiatore o di un’avaria della nave; decidere per tempo quando è il momento di fare dietrofront e ricominciare la manovra; sapere quando e come sfruttare le ancore, i cavi, la barca degli ormeggiatori o un ridosso di fortuna… e così via per le innumerevoli situazioni in cui ci si può trovare.

Il nostro zainetto deve contenere soluzioni potenti per situazioni difficili.

Ero a bordo di una nave chimichiera lunga 100 metri, scarica e ormeggiata con il fianco di dritta in banchina.

Potrebbe sorgere spontanea una domanda:

“Perché, negli esempi, spesso si parla di navi di modeste dimensioni?”

Perché le grandi navi, il più delle volte, hanno macchine e thrusters potenti e utilizzano i rimorchiatori. Questo non vuol dire che siano più facili da manovrare o che i problemi siano meno frequenti, piuttosto che l’intervento del pilota, quando gli elementi sotto controllo sono limitati, è più facilmente comprensibile da chi legge.

Elica a passo fisso destrorsa, bow thruster da 300 cavalli.

Quando era stata ormeggiata, due giorni prima, le condizioni meteomarine erano ottime ed era prevista una sosta di poche ore. Perciò, all’arrivo, confidando sull’effetto destrorso dell’elica e sul bow thruster, si era deciso di non dare fondo l’ancora di sinistra.

Un ritardo nella partenza, dovuto a problemi commerciali, fece sì che la situazione cambiasse radicalmente: 20 nodi di vento da scirocco schiacciavano la piccola nave in banchina e, la mancanza di un’ancora data fondo a sinistra ad allargare la prora e un thruster dalla potenza insufficiente, rendevano la manovra di disormeggio alquanto delicata.

Insieme a me c’era un allievo con circa 6 mesi di anzianità, praticamente a metà del suo percorso formativo.

Un’occasione importante per scoprire il livello di preparazione che aveva raggiunto.


Disegno di Garipoli M.

Lasciò due spring a prora e, con il timone tutto a dritta, mise la macchina avanti molto adagio. Ben presto la poppa cominciò ad allargarsi dalla banchina, mentre la prora si appoggiò a un ottimo parabordo.

L’allievo continuò ad allargare la poppa – giustamente – fino a un angolo apparentemente esagerato: il timore, piuttosto fondato, era che, una volta messa la macchina indietro, il vento facesse cadere la poppa sullo spigolo vivo della banchina poco distante.

Aveva impostato la manovra nel modo giusto, ma la sua idea era che, una volta mollati gli springs, l’effetto destrorso dell’elica avrebbe mantenuto la poppa e che il thruster sarebbe riuscito a far rimontare la prora al vento.

In realtà, con nave così scarica, avrebbe dovuto immaginare uno sviluppo dinamico differente e impostare una strategia per i passaggi successivi.

Ma andiamo per ordine.

La prora sfilò lungo la banchina alla costante distanza di un paio di metri, senza accennare ad allargarsi.

La poppa, nonostante l’effetto dell’elica, cadeva con una lentezza costante e la probabilità di finire contro lo spigolo era piuttosto elevata.

L’allievo aumentò la macchina fino a indietro tutta  e mise il timone tutto a sinistra per sfruttare anche questa componente.

La poppa si stabilizzò ma la prora cominciò a perdere qualcosa.

Quando arrivammo ad avere un discreto abbrivo indietro e la poppa libera dallo spigolo, fu evidente che la prora non sarebbe passata indenne.

Intervenni facendo fermare la macchina, mantenni il timone tutto a sinistra e avviai, per qualche secondo, l’avanti adagio.

La nave restò abbrivata indietro, anche se rallentata, e la prora – beneficiando di quell’aiuto – si allargò quel tanto che bastò a farle superare lo spigolo.

Subito dopo la situazione fu la seguente: poppa al vento e prora nella direzione opposta all’uscita.

L’allievo rimise la macchina indietro per aumentare l’abbrivo, dopodiché diede avanti adagio con timone tutto a dritta cercando di evoluire ma, non appena la nave si trovò al traverso del vento, non ci fu più verso di far salire la prora… e intanto lo scafo scarrocciava verso un’altra banchina.

Avrebbe dovuto usare più potenza di macchina, per sperare di ottenere qualcosa! Infatti – per avere un buon effetto evolutivo – occorre una buona spinta propulsiva immediata e tanto timone, altrimenti si va avanti e si gira poco.

Attesi ancora qualche minuto poi, per non correre il rischio di scadere troppo verso la banchina raggiungendo il “punto di non ritorno”, intervenni dando fondo una lunghezza all’ancora di dritta e fermai tutto.

Nel giro di qualche minuto la nave, con la prua vincolata dalla catena, ruotò mettendosi al vento.

Salpammo e procedemmo verso l’uscita.


PH: Parisi F.

Da questo esempio risulta evidente che, in certe circostanze, sfruttare l’ancora per evoluire è la scelta più semplice ed efficace.

Dare fondo, con pochissima catena e la presenza di un po’ di vento o corrente, permette di ruotare quasi su sé stessi.

Il fatto di dare meno lunghezze possibili, ci permette di operare in poco spazio e di salpare agevolmente una volta raggiunta la direzione voluta.

Ci si deve abituare all’utilizzo dell’ancora.

Decidere di dare fondo, non è scontato come agire sui thruster o usare lo spring per allargare la poppa.

Il feedback emotivo che emerge dal decidere di aprire il freno del verricello è – in mancanza di familiarità con l’azione – l’incertezza cognitiva dell’atto stesso e delle sue conseguenze:

· ho     -  ho dato fondo nel punto giusto?

· ho      -  ho dato abbastanza catena?

· rius    -  riuscirò a dragarla o a fermare la nave in tempo?

· e c     -  e così via.

Nella pratica i margini operativi non sono così stretti: in caso di errore posso filare più catena, dragare l’ancora per spostare la sua posizione, aumentare o diminuire la macchina e, se proprio le cose non vanno come dovrebbero, salpare e ripetere l’operazione.

Più usiamo gli strumenti presenti nello zainetto più diventiamo disinvolti, precisi e bravi.

Più si mantengono ampi i confini in cui spaziano le abilità, più chance si hanno nel momento del bisogno.

 


 

 


ISOLA DELLE ROSE-UNA STORIA TUTTA ITALIANA

 

ISOLA DELLE ROSE

MICRO-NAZIONE

UNA STORIA TUTTA ITALIANA…


la Piattaforma ISOLA DELLE ROSE che mise in allarme lo Stato Italiano

L'isola delle Rose, nome ufficiale Repubblica Esperantista dell'Isola delle Rose, fu il nome dato a una piattaforma artificiale di 400 m² che sorgeva nel mare Adriatico a 11,612 km al largo della costa tra Rimini e Pesaro e 500 mt al di fuori delle Acque Territoriali italiane; costruita dall’ingegnere bolognese Giorgio Rosa, il 1º maggio 1968 autoproclamò lo status di Stato indipendente, ma di fatto fu una MICRO-NAZIONE.

L'Isola delle Rose, pur dandosi una lingua ufficiale (ESPERANTO), un governo, una moneta, e un’emissione postale non fu mai formalmente riconosciuta da alcun Paese del mondo come nazione indipendente. Occupata dalle Forze di Polizia italiane il 26 giugno 1968 e sottoposta a Blocco Navale, l'Isola delle Rose fu demolita nel febbraio 1969. L'episodio venne lentamente dimenticato, considerato per decenni solo come un tentativo di “urbanizzazione del mare” per ottenere vantaggi di natura commerciale.

Solo a partire dal primo decennio del 2000 esso è stato oggetto di ricerche e riscoperte documentarie imperniate invece sull'aspetto utopico della sua genesi.

Area: 400 m²

Anno di fondazione: 24 giugno 1968

Capo di Stato: Giorgio Rosa

Dichiarazione d'indipendenza: 1º maggio 1968

Inno: Steuermann! Laß die Wacht! (Timoniere! Lasciali guardare!) - dall’Olandese Volante di R. Wagner

Territori rivendicati: piattaforma artificiale abbandonata a 11,6 km al largo della Costa Italiana.

Sebbene abbia avuto vita breve, l’Isola delle Rose, lo Stato indipendente al largo di Rimini potrebbe aver segnato una tappa importante per la storia dell’umanità, e il suo valore è stato riscoperto solo di recente. A raccontare la sua incredibile storia è un film uscito di recente, che svela tutti i segreti della micro-nazione che durò solamente 55 giorni.

L’AMBIENTE

Il ritrovamento del campo-gas a Ravenna confermò l'ipotesi che non pochi giacimenti si potessero trovare nel mar Adriatico e, nella prima metà degli anni '50, l'AGIP effettuò la prima campagna di rilievi sismici marini in Italia.

Nella seconda meta degli anni '50 iniziò anche la fase di ricerca diretta con perforazioni di pozzi nel Mar Adriatico. Il primo ritrovamento fu il campo di Ravenna-Mare a cui rapidamente seguirono quelli di Cervia Mare, Porto Corsini nell’offshore romagnolo-emiliano e Santo Stefano Mare nel medio adriatico. A questi si aggiungeranno i campi di Agostino, Porto Garibaldi e di Barbara nel mare Adriatico settentrionale nel periodo 1967-71. Parallelamente all’espandersi dell’attività di ricerca offshore, venne sviluppata la capacità produttiva della Saipem, sempre del gruppo ENI, con la costruzione di impianti di perforazione per l’attività esplorativa offshore.


L’ammucchiata di Piattaforme in Adriatico…


La piattaforma CERVIA-A (foto sopra)

La piattaforma CERVIA-K (foto sotto)

Che dire? L’idea di costruire una piattaforma offshore per attività ludiche, fuori dalle acque territoriali italiane, non poteva sicuramente venire in mente ad un giovane ingegnere del golfo Tigullio … dove l’orizzonte è ancora oggi la proiezione di un cielo pulito, ben lontano da altre realtà italiane ormai contaminate da impianti industriali di qualsiasi tipo.

Si è portati quindi a pensare che l’avventura che affascinò l’Ingegnere Giorgio Rosa, non fosse affatto in contraddizione con il mondo che aveva davanti alla sua costa già da qualche anno.

Ma c’è dell’altro: per noi di una certa età, è sufficiente un piccolo sforzo di memoria per ricordare quel 1968 attraversato da forti tensioni e contraddizioni: da una parte le lotte politiche in piazza e le rivolte degli operai nelle fabbriche; dall’altra la voglia di ripartire, la liberalizzazione dei costumi sessuali, lo spirito imprenditoriale e l’idea che per quella generazione di giovani tutto fosse possibile, non solo, esisteva pure il movimento hippie italiano portatore d’idee pacifiste. La lista è lunga: la lotta al consumismo, la love generation importata dagli USA ed una plateale assenza di regole.

“In questo clima di fermento, Rimini comincia ad affermarsi in Italia come località turistica ma soprattutto come luogo di possibilità, di divertimento e di un certo liberismo”.

Con questa premessa che ci racconta dell’aria che la gioventù romagnola respirava a pieni polmoni, Giorgio Rosa sceglie Rimini per mettere in piedi il suo progetto. Si tratta della costruzione di una piattaforma al largo della località balneare che, in un primo momento, doveva essere un’attrazione turistica con bar, uffici e camere d’hotel.

Ma questo non era che l’inizio, presto quel cumulo di piloni e ferro diventeranno un’utopia. L’utopia della libertà, di farsi e costruirsi uno STATO proprio dove poter vivere con le proprie leggi e le proprie regole.

CHI ERA GIORGIO ROSA?

Il 19 Dicembre 1950 GIORGIO ROSA 25 anni, si laurea in ingegneria all’Università di Bologna.
Dopo aver lavorato un anno alla Ducati, apre il suo studio e comincia a collaborare con il Tribunale di Bologna come Perito oltre a svolgere la sua normale attività di ingegnere presso i cantieri della città.
Chi lo ha conosciuto in questa fase della sua carriera – soprattutto chi lo ha incontrato in Tribunale – ne parla come di un professionista scrupoloso, sull’orlo del maniacale… sicuramente un osso duro!
Intorno alla metà degli anni ‘50 comincia a insegnare presso un Istituto Tecnico, nel frattempo (
1960) si sposa con Gabriella Clerici con la quale condivide anche il progetto dell’Isola delle Rose. Insieme fondano la Spic (Società Per Iniezione Cemento), la società che presenterà il progetto embrionale della piattaforma al largo dell’Adriatico, sottoforma di richiesta “di effettuare delle sperimentazioni in mare”.
La sua biografia ci racconta di un uomo pacato ma fermo nelle intenzioni. Instancabile lavoratore, sempre presente sul suo cantiere galleggiante. Un uomo che quando gli viene detto di stare alle regole s’inventa la sua indipendenza e si mette contro lo stato Italiano.

Giorgio Rosa e sua moglie

LA STORIA DELL’ISOLA DELLE ROSE

minuscola micro-nazione.

Il progetto della piattaforma al largo delle acque di Rimini consiste in una struttura di 5 piani con bar, negozi, attività commerciali e camere d’hotel per essere un’attrazione turistica per le migliaia di turisti estivi che ogni giorno affollavano le spiagge della Riviera Romagnola.

Dopo una fase iniziale di studio reciproco delle intenzioni tra Giorgio Rosa e lo Stato italiano, matura abbastanza presto il sospetto che la creazione di una “zona franca” fuori dalle Acque Territoriali, possa nascondere interessi stranieri di varia natura: impianto di missili russi, bisca clandestina, luogo di perdizione sessuale ecc…

Emergono forti tentativi di contrasto da parte dell’Autorità Marittima che, ogni volta, si sente rispondere dall’ingegnere:

“Io non devo rispettare nessuna regola perché la mia piattaforma si trova fuori dalle acque territoriali italiane”

Ben presto l’ISOLA DELLE ROSE appare sulle prime pagine della Stampa italiana, il caso diventa nazionale e centinaia d’imbarcazioni lasciano la costa per andare a curiosare l’impianto che ancora non è neppure agibile, ma la gente vuole dimostrare la propria solidarietà a questi nuovi eroi, forse ingenui e visionari, ma coraggiosi e determinati.

Sicuramente l’ingegnere e i suoi adepti, tra cui la futura moglie, non hanno previsto così tanta partecipazione e sostegno morale alla loro causa.

Tutti i giornali italiani si occupano della vicenda. Immagine tratta da “L’Isola delle Rose, la nazione che visse solo 55 giorni”

LA FILOSOFIA DEL PROGETTO

La sua idea, una vera e propria utopia, era quella di dare vita ad uno Stato indipendente in cui non vi fossero regole, dove gli abitanti potessero convivere in armonia sulla base di un unico, importante valore: la libertà. Era la fine degli anni ’50 quando Rosa diede il via ad un progetto incredibile, che trovò i primi ostacoli in alcuni problemi tecnici e nelle lungaggini della burocrazia italiana. Le autorità italiane avevano già intimato la rimozione di qualsiasi impedimento che potesse creare pericoli per la navigazione. Chi ha navigato sa benissimo quanto la nebbia da quelle parti sia un nemico molto insidioso.

Tuttavia, l’ingegnere portò avanti senza sosta la sua iniziativa, che richiese anni per la realizzazione. La piattaforma marina crebbe pian piano, sempre sotto l’occhio attento delle autorità, che non poterono però fare nulla per impedirlo. Un vero e proprio isolotto artificiale di appena 400 metri quadri emerse dalle acque a poco più di 11 km di distanza dalla costa romagnola. la posizione venne scelta accuratamente, affinché la piattaforma si trovasse appena al di fuori delle acque territoriali italiane.

Finalmente, nel 1967 l’isola venne aperta al pubblico e si preparò ad accogliere i suoi abitanti. L’anno seguente, e più precisamente il 1° maggio 1968, venne dichiarata la sua indipendenza e Giorgio Rosa venne eletto Presidente della Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose.

La micro-nazione adottò infatti l’esperanto come lingua ufficiale, una decisione chiaramente volta a sancire la propria sovranità e indipendenza dallo Stato italiano. E i provvedimenti seguenti furono in linea con questa necessità:

L’Isola delle Rose (Insulu de la Rozoj) si diede un governo, emise la propria moneta e persino dei francobolli.

Ma nessuno Stato riconobbe mai la sua indipendenza, e la micro-nazione durò appena 55 giorni.

Questa è una piccola “dichiarazione di guerra” che spinge la politica italiana a occuparsi della cosa in modo serio. Vengono fatte diverse interrogazioni parlamentari e il 25 Giugno 1968 l’Isola viene occupata militarmente dalle forze dell’ordine italiane che diedero vita ad un blocco navale e presero possesso della piattaforma, obbligando gli unici due residenti a sbarcare. Ebbe inizio un lungo dibattito tra le varie forze in gioco, ma fu Giorgio Rosa a soccombere: la sua oasi di pace avrebbe dovuto essere smantellata. Fu la Marina Militare ad occuparsi della demolizione, con diverse scariche di esplosivo.

A bordo resta solo il custode che non può essere toccato perché fuori dalle acque territoriali. L’isola delle Rose viene conosciuta in tutt’Europa, i giornali tedeschi prendono a cuore la vicenda e si schierano dalla parte dell’ingegnere e della sua impresa. In quei giorni arrivano lettere di stima, ma soprattutto richieste di cittadinanza e proposte di acquisto per gli spazi presenti sull’isola.

Nonostante tutto dopo mesi di battaglie legali – l’11 e il 13 Febbraio 1969 viene abbattuta con l’utilizzo di 2 tonnellate di esplosivo.

Finisce così un sogno. Le idee di un uomo visionario che si oppose alle regole e alla burocrazia, intenzionato a creare un’isola felice in mezzo al mare… Dell’Ingegner Rosa si è detto tutto, della sua furbizia di costruire fuori dalle acque territoriali, del suo progetto di fare dell’isola una macchina da soldi e perfino di prendere la parte dei russi nella Guerra Fredda…
Ovviamente non è possibile conoscere le intenzioni dell’Ingegnere Rosa, sta di fatto che questo è stato e rimane un bellissimo sogno di libertà!




La piattaforma viene distrutta nel febbraio del 1969. Immagine tratta da “L’Isola delle Rose, la nazione che visse solo 55 giorni” di Giambene

NUMERI E CURIOSITÀ SULL’ISOLA DELLE ROSE

1. L’indipendenza idrica – l’isola era indipendente dal punto di vista idrico, viene infatti individuata una falda di acqua potabile a 280 mt di profondità.

2. Le attività già avviate: al momento dell’occupazione sulla piattaforma erano presenti un bar, un negozio di souvenir, un ufficio postale (il timbro) e una banca.

3. Gli abitanti – sull’isola hanno vissuto una coppia di riminesi che ne gestivano il bar e un uomo di Città di Castello che faceva da custode.  I tre avevano affittato la piattaforma e avevano il mandato di gestire le attività dell’Isola.

 

4. La mostra a Vancouver – nel 2008 un museo canadese ha realizzato un’installazione in cui l’Isola delle Rose veniva paragonata all’Isola Utopia di Tommaso Moro.

5. I resti – nel 2009 sono stati ritrovati resti di muri e della struttura metallica che ha sorretto l’Isola delle Rose.

LA CRONOLOGIA DELLA STORIA DELL’ISOLA DELLE ROSE

  • 1960 – l’azienda guidata da Rosa e sua moglie presenta alla Capitaneria di Rimini la richiesta per effettuare delle sperimentazioni in mare. I sopralluoghi vengono fatti direttamente da Giorgio Rosa.
  • 1964 – comincia la costruzione della piattaforma. Vengono impiegati operai riminesi, mentre il primo traliccio è stato costruito a Pesaro. Ci sono voluti 2 anni solo per gettare le basi e creare gli attracchi della piattaforma.
  • 1965 – una mareggiata porta via il primo traliccio posato ma non ancorato e quel poco di piattaforma che era stata già posata.
  • 20 Agosto 1967 – l’Isola è pronta per essere aperta al pubblico.
  • 1 maggio 1968 – Giorgio Rosa dichiara l’indipendenza dell’isola.
  • 25 Giugno 1968 – la piattaforma viene occupata militarmente dalle forze dell’ordine italiane.
  • 5 Luglio 1968 – viene fatta la prima interrogazione parlamentare al Ministro dell’Interno per sapere quale fosse l’atteggiamento dello Stato italiano nei confronti della piattaforma.
  • 7 Agosto 1968 – il tribunale di Bologna decide per la distruzione della piattaforma.
  • 11 e 13 febbraio 1969 – la piattaforma viene abbattuta con 2 tonnellate di esplosivo.
  • 26 Febbraio 1969 – una mareggiata fece inabissare quello che restava dell’Isola delle Rose.


 

IL FASCINO DELLA STORIA CHE ORA DIVENTA UN FILM

La storia dell’Isola delle Rose è talmente assurda da sembrare un film, eppure è una storia realmente accaduta al largo di Rimini. Uno stato indipendente sorto e crollato nell’arco di 55 giorni. Di questa storia incredibile e del suo geniale quanto folle costruttore è stato girato un film, diretto da Sydney Sibilia e disponibile su Netflix dal 9 dicembre.


L'incredibile storia dell'Isola delle Rose, costruita in mezzo al mare Adriatico al largo delle coste di Rimini dall'ingegnere bolognese Giorgio Rosa è la storia del sogno visionario di un ingegnere bolognese, che ha trasformato un’utopia in realtà, anche se per soli 55 giorni, attirando l’attenzione del governo italiano e non solo. Si tratta di una storia molto particolare e poco conosciuta in Italia, riportata all’attenzione del grande pubblico grazie a un nuovo film targato Netflix, diretto dal regista Sidney Sibilia (già dietro la macchina da presa per la trilogia di “Smetto quando voglio”) e con protagonista l’attore Elio Germano.


 

Il film disponibile dal 9 dicembre 2021 è stato presentato così da Netflix: “Se non conoscete Giorgio Rosa, rimediamo subito: è un ingegnere che nel 1968 ha costruito un’isola in mezzo al mare e l’ha dichiarata indipendente, sfidando lo stato italiano”.

La storia non finisce qui, perché nonostante le cariche di dinamite l’Isola delle Rose si ostinò a rimanere in piedi. Servì un’imponente burrasca, che ebbe luogo il 26 febbraio 1969, a farla inabissare e a decretare definitivamente la sua morte. Pian piano vennero raccolti tutti i materiali abbandonati sul fondale, e la storia dell’Isola delle Rose venne dimenticata.

Il regista Sydney Sibilia ha portato sui nostri schermi la versione cinematografica dedicata proprio alla micro-nazione che nacque e morì al largo delle coste di Rimini. L’incredibile storia dell’Isola delle Rose vanta un cast notevole, con Elio Germano ad interpretare l’ingegnere Giorgio Rosa, affiancato da grandi attori quali Luca Zingaretti, Matilda De Angelis e Fabrizio Bentivoglio.


Impossibile rimanere indifferenti a una storia tanto affascinante quanto poco conosciuta. Negli ultimi anni, infatti, è diventata oggetto di un documentario di Stefano Biasulli e Roberto Naccari e del citato libro di Veltroni, edito nel 2012.


- Nome: Insulo de la Rozoj

- Status politico: Micronazione

- Fondatore: Ingegnere Giorgio Rosa

- Anno di nascita: 1 maggio 1968, la piattaforma viene dichiarata “stato indipendente”

- Anno di morte: 11-13 Febbraio 1969, l’isola viene abbattuta con 2 tonnellate di esplosivo

- Numero di abitanti: 3 abitanti

- Grandezza: 400 mq

- Distanza dalla terraferma: 11.612 km dalla costa di Rimini, 500 mt fuori dalle acque nazionali

- Organi Politici presenti: Presidenza del Consiglio dei Dipartimenti, 5 Dipartimenti (Presidenza,    Finanze, Affari Interni, Industria e      Commercio, Relazioni).

- Bandiera: di colore arancione con tre rose rosse su uno scudo sannitico bianco

- Moneta: Mills, cambio con la Lira 1:1. Non vennero mai prodotte

- Francobolli: da 30 Mills, ne sono state emesse 5 serie

C      costo dell’affitto: 1.350 mila lire l’anno

- Lingua Parlata: esperanto

- Durata dell’indipendenza: 55 giorni

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Il 10 dicembre 2020 - L’amico Fabio Pozzo ha scritto sulla STAMPA:

"Giorgio Rosa ha vissuto sino a 92 anni, nella sua Bologna (è morto nel marzo 2017). L’uomo che si è fatto Stato ha pensato fino all’ultimo alla sua isola. «La mia storia dimostra che un uomo normale non può farsi un’isola», scherzava l’ingegnere. Fondò la Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose («Io non parlavo l’esperanto, ma era un modo per rimarcare la diversità dell’isola, per esaltarne la libertà»), una superficie di circa 400 metri quadrati ricavata su una piattaforma artificiale da lui costruita (e brevettata), ancorandola a quasi 12 km da Rimini, 500 metri oltre le acque territoriali italiane, nel 1968, in piena rivoluzione sociale. «Ma io non avevo tempo per queste cose», diceva. Gli hanno dato anche del fascista, ex repubblichino, missino. “Ho votato solo due volte dal 1945. Per Guazzaloca sindaco di Bologna e per il primo Berlusconi. Ma mi sono pentito», aveva replicato.

Emise francobolli (ricercatissimi dai collezionisti; «Spedivamo lettere che venivano regolarmente sottoposte ad annullo postale in Italia») e si dotò di una divisa monetaria, il Mills, mai battuta. La bandiera era costituita da tre rose rosse con il gambo verde, su un campo bianco di uno scudo su sfondo arancione. Per l’inno fu preso un passo dell’Olandese volante di Richard Wagner. Vi aprì un bar-ristorante, pensava a negozi. In Romagna stava appunto sbocciando il turismo, l’isola strana diventò un’attrazione. Ci si andava in barca, amministratori e operatori a terra apprezzavano".

Carlo GATTI

Rapallo, 19 Gennaio 2021