LINERS IN GUERRA
I LINERS IN GUERRA
PARTE PRIMA
A ricordo di Maurizio Brescia Vicepresidente della nostra Associazione, Direttore editoriale di STORIA MILITARE, mancato nel luglio 2022.
Testo di:
Maurizio Brescia in collaborazione con il socio Francesco Bucca.
Sin dai primi tempi dell'introduzione della propulsione a vapore, per tutte le navi mercantili - da carico e passeggeri - si aprirono nuove prospettive per un loro impiego tra il naviglio militare ausiliario.
I vapori e le motonavi da carico, nel 1914-1918 e nel 1939-1945, ebbero un larghissimo impiego per il trasporto di rifornimenti, munizioni, materiali bellici, carri armati, aerei e combustibili: tutti i paesi belligeranti ricorsero all'armamento mercantile per soddisfare le esigenze logistiche di conflitti che presentavano aspetti sicuramente "planetari" e, in particolare in Inghilterra e negli Stati Uniti, furono sviluppate in entrambe le guerre mondiali specifiche tipologie di naviglio da utilizzare per questi scopi. Soprattutto nel corso del secondo conflitto, i cantieri britannici e americani progettarono e costruirono diverse tipologie di unità (dagli "Ocean" britannici ai "Liberty", "Victory" e "T2" statunitensi) che, realizzate in gran numero, dopo aver contribuito in misura sostanziale allo sforzo bellico ed alla vittoria degli Alleati andarono a costituire - per alcuni lustri - la spina dorsale delle flotte mercantili mondiali, le cui unità di meno recente costruzione erano state drasticamente falcidiate dagli eventi bellici.
In analogia, le navi passeggeri - anch'esse, soprattutto, durante i due conflitti mondiali - trovarono un rinnovato impiego "ausiliario", in supporto alle attività delle principali flotte militari: le grosse dimensioni di buona parte di queste unità, abbinate spesso ad apparati motore che permettevano di conseguire velocità di tutto rispetto, consentirono di utilizzarle in compiti diversificati e abbastanza "specializzati": nella fattispecie, come incrociatori ausiliari, trasporti truppa e navi ospedale.
Questo nostro studio non intende certo porsi come un testo definitivo sull'impiego "militare" di transatlantici e navi passeggeri negli ultimi 150 anni di storia: sono numerose le opere che, nel tempo, hanno descritto e sviluppato esaustivamente l'argomento, e alle più importanti tra esse - riportate nella bibliografia - potranno fare riferimento i lettori per eventuali approfondimenti.
Tuttavia, pensiamo di poter cogliere l'occasione per fornire un quadro generale di questo specifico tema, in abbinamento ad un'iconografia d'epoca e a fotografie originali che - ci auguriamo - consentiranno di fare luce sull'attività bellica di molti e famosi "liners" delle principali flotte mondiali: un'attività senz'altro meno éclatante e di charme del "servizio passeggeri" ma che, grazie ad un considerevole apparato iconografico, permetterà di far rivivere l'epopea ormai trascorsa dei "classici" e grandi transatlantici anche nell'ambito del meno noto impiego che ne venne fatto durante le due guerre mondiali, come pure in altre occasioni in cui prestarono servizio al fianco delle unità da combattimento delle flotte militari dei rispettivi paesi di appartenenza.
I primi impieghi come trasporto truppe di navi passeggeri (all'epoca ancora a propulsione mista, ossia con macchine a vapore e velatura ausiliaria) risalgono alla Guerra di Crimea del 1854-1856, quando diverse unità britanniche trasportarono dall'Inghilterra al Mar Nero consistenti contingenti di truppe di Sua Maestà: tra queste vanno ricordate l'Himalaya e il Bengal, requisiti dalla Royal Navy alla Compagnia Peninsular and Orient (P & O), come pure il noto Great Britain che - progettato da I.K. Brunel come la prima nave passeggeri ad elica - fu utilizzato per il trasporto di truppe tra il marzo del 1855 e il gennaio del 1856.
Il medesimo conflitto di Crimea vide anche l'impiego delle prime navi ospedali (tra cui l'Andes e il Cambria della Cunard), mentre gli eventi della Guerra civile americana portarono all'utilizzo di veloci - per l'epoca - navi passeggeri come incrociatori ausiliari, il primo dei quali fu il piroscafo a pale Vanderbilt, lungamente impiegato in questo ruolo dalla Marina dell'Unione.
Le vicende politiche e militari che videro coinvolta la Gran Bretagna nel ruolo di potenza egemone mondiale tra gli ultimi decenni dell'Ottocento, la Belle époque e gli anni che precedettero la prima guerra mondiale portarono all'impiego di numerose navi passeggeri per il trasporto di truppe e reparti militari in numerose zone "calde" dell'Impero Britannico e - ancora una volta - le principali compagnie di navigazione inglesi (P & O, Cunard, White Star ma pure la Union Castle, la British India Line e altre compagnie minori) misero a disposizione numerose unità per questo importante compito. Più spesso, le navi mercantili venivano noleggiate dalla Royal Navy, ma non furono pochi i casi in cui l'urgenza della situazione rese necessaria la requisizione tout court di bastimenti di cui era necessario poter disporre in tempi brevi e con celerità.
Ad agosto del 1914, una volta iniziate le operazioni belliche della prima guerra mondiale anche in campo navale, fu ancora la Royal Navy a giocare – sin da subito - un ruolo di prima grandezza. Entro la fine dell'anno fu costituito il 10th Cruiser Squadron, composto da 21 navi passeggeri che, per le loro caratteristiche e le loro prestazioni, potevano essere con facilità convertite in incrociatori ausiliari, imbarcando cannoni da 120 e 152 mm; questo nutrito gruppo di unità fu impiegato nel mare del Nord, contribuendo al blocco esercitato dalla Marina britannica per impedire quanto più possibile i movimenti delle navi mercantili tedesche in quella zona. Fu anche presa in considerazione la trasformazione in incrociatore ausiliario dei grossi "liners" Olympic (gemello del celebre Titanic) e Lusitania, ma le dimensioni di queste unità non ne avrebbero favorito l'impiego nello specifico compito operativo. Il Lusitania fu poi affondato il 7 maggio 1915 da un sommergibile tedesco (e, avendo a bordo cittadini degli Stati Uniti, allora neutrali, l'evento favorì la successiva entrata in guerra degli USA a fianco delle potenze dell'Intesa), l'Olympic svolse un lungo servizio come trasporto truppe, mentre altri grandi liners inglesi (Aquitania, Mauretania e Britannic [il terzo gemello del Titanic]) furono invece impiegati come navi ospedale.
Uno dei più interessanti aspetti che contraddistinguevano le navi passeggeri britanniche e americane impiegate per il servizio bellico era la loro mimetizzazione, applicata in base a schemi studiati tanto in Inghilterra quanto negli Stati Uniti e denominati "Mackay", "Warner", "Toch" ecc. dai cognomi dei tecnici civili o militari che li avevano ideati. A differenza degli schemi mimetici in uso nella seconda guerra mondiale, quelli impiegati nel corso della Grande Guerra si distinguevano per una elevata cromaticità che in taluni casi (come accadde con il Mauretania, impiegato come trasporto truppe successivamente dopo il suo impiego come nave ospedale) ebbe anche un utilizzo "pubblicitario" in poster e manifesti della Cunard del 1919-1920 che celebravano il servizio prestato in guerra dalle navi della Compagnia.
Le “false” corazzate inglesi della prima guerra mondiale
Il subitaneo siluramento della nave da battaglia HMS Audacious, perduta il 27 ottobre 1914, convinse Winston Churchill (all’epoca “First Lord of the Admiralty”, cioè Ministro della Marina) della necessità di tenere nascosto il fatto al nemico per il più lungo tempo possibile
Churchill, pertanto, diramò le opportune disposizioni affinché il “cargo” Montcalm, requisito nell’agosto del 1914 e utilizzato come trasporto truppe, venisse trasformato in una “dummy ship” dell’Audacious. L’unità fu dotata di strutture fittizie che riproducevano quanto più possibile fedelmente il castello di prora, l’armamento e gli altri elementi costruttivi della corazzata affondata; il Montcalm operò come “falso” Audacious sino a febbraio del 1916, quando ritornò al suo più tradizionale servizio mercantile.
L’Ammiragliato britannico, visti i buoni risultati di questa conversione, decise di “duplicare” con le medesime modalità altre navi da battaglia in servizio con la Royal Navy, nel tentativo di confondere, in tal modo, sia la ricognizione sia i servizi segreti germanici e - in questa veste - furono impiegate non poche navi mercantili e per il trasporto di passeggeri.
Le “dummy ships” inglesi della prima guerra mondiale sono riportate nella tabella che segue:
Unità mercantile Nave da battaglia Periodo Note
Montcalm Audacious fine 1914/feb. 1916 - - -
Tyrolia Centurion fine 1914/fine 1915 - - -
Oruba Orion fine 1914/1915 Utilizzato come frangiflutti nei Dardanelli
Ruthenia King George V fine 1914/1916
Forse la più riuscita
Montezuma Iron Duke fine 1914/luglio 1915
Michigan Collingwood fine 1914/1915
Utilizzato come frangiflutti nei Dardanelli
Mount Royal Marlborough ottobre 1914/1915 - - -
Princess Ajax 1915/circa 1916
Pertshire Vanguard 1915/circa 1916 - - -
Gli aspetti navali del secondo conflitto mondiale furono ancora più preponderanti rispetto a quelli del 1914-1918 e, in questo ambito, tutte le principali marine belligeranti fecero larghissimo ricorso a navi passeggeri e "liners" requisiti, impiegando queste navi soprattutto per il trasporto di truppe verso i fronti europeo e nordafricano.
Nella fattispecie, l'armamento britannico compì - ancora una volta - un notevolissimo sforzo, e furono decine le grandi navi passeggeri immesse in servizio come trasporti truppa per conto della Royal Navy, e diverse centinaia i "liners" più piccoli, i traghetti e altre analoghe unità utilizzate per compiti analoghi come pure per la posa di mine, il cabotaggio costiero, la vigilanza antiaerei e molti altri compiti bellici.
La Marina Britannica immise in servizio come trasporti truppa alcune unità "veterane" della Grande Guerra - come ad esempio l'Aquitania – e navi più moderne costruite negli anni Venti e Trenta (Somersetshire ed Empress of Canada tra le tante); ulteriori “passeggeri” furono utilizzati come incrociatori ausiliari (celebre il caso del Rawalpindi, affondato il 23 novembre 1939, al largo delle Isole Farøer, dagli incrociatori da battaglia tedeschi Scharnhorst e Gneisenau) ed altri ancora come navi ospedale.
Tuttavia, in questo ambito, è passato alla storia l'impiego in veste di trasporti truppa dei due transatlantici Queen Elizabeth e Queen Mary della Cunard che - nel corso di innumerevoli traversate atlantiche - trasportarono in Europa centinaia di migliaia di militari americani destinati al fronte nordafricano prima, a quello mediterraneo poi ed a quello europeo nell'imminenza ed anche successivamente agli sbarchi in Normandia del giugno 1944.
La Marina degli Stati Uniti, da parte sua, utilizzò come trasporti truppa numerose unità passeggeri di recente costruzione battenti la bandiera a stelle e strisce (Monterey, America, Manhattan, Washington ecc.), incorporando anche - con il nome di Lafayette - il transatlantico francese Normandie che era stato internato a New York dopo la caduta della Francia; tuttavia, l'incendio e il successivo affondamento di questa unità ne preclusero un impiego che - viste le sue grandi dimensioni - avrebbe rivestito non poca importanza per lo sforzo logistico alleato.
Va inoltre ricordato che - tra il 1943 e il 1945 - l'U.S. Navy immise in servizio una cinquantina di trasporti truppa costruiti per questo specifico scopo (tipi "Admiral e "General", da oltre 10.000 t di dislocamento e lunghi tra i 150 e i 170 metri), le cui linee erano del tutto simili a quelli delle coeve navi passeggeri dell'epoca. Molte tra queste unità furono in seguito impiegate dall'U.S. Army durante i conflitti di Corea e del Vietnam, venendo radiate negli anni Settanta.
In Italia, ad esclusione del Rex e del Conte di Savoia (ritenuti troppo grandi per l'impiego in funzione di trasporti truppa verso il fronte nordafricano), le principali navi passeggeri dell'armamento nazionale furono requisite e impiegate come trasporti truppa o navi ospedale. Durante il primo periodo della guerra, Supermarina cercò di organizzare convogli composti, per quanto possibile, dagli stessi mercantili e dalle stesse unità di scorta: in particolare i transatlantici Oceania, Neptunia, Esperia, Marco Polo, Victoria e Conte Rosso operarono sempre insieme, anche se raggruppati variamente, con la scorta dell'11a squadriglia (Aviere) e della 14a (Vivaldi). Gli affondamenti, però, già nella seconda metà del 1941 costrinsero i comandi a rinunciare all'omogeneità dei mercantili e, dall'inizio del 1942, anche le scorte vennero organizzate utilizzando le siluranti disponibili al momento.
La perdita dell'Oceania e del Neptunia
Un grosso convoglio carico di truppe, diretto a Tripoli e composto dai transatlantici Oceania, Neptunia e Vulcania, lasciò il porto di Napoli il 16 settembre 1941 con la scorta dei tre caccia tipo "Navigatori" Da Noli, Usodimare e Pessagno e dal più recente Gioberti. Il transito del convoglio verso l'Africa era programmato ad una distanza ad Est di Malta sempre superiore alle 120 miglia, al di là del raggio d'azione degli aerosiluranti nemici di base nell'isola; tuttavia, il dispositivo di contrasto della Royal Navy comprendeva anche i tre sommergibili Unbeaten, Upright e Upholder, dislocati a levante di Tripoli, sulla direttrice del 15° meridiano Est.
Fu proprio l'Upholder - posto al comando del celebre Lieutenant-Commander (capitano di corvetta) David Wanklyn - a silurare da circa 4.000 m l'Oceania e il Neptunia. Ormai a poche ore di navigazione da Tripoli, le due unità - colpite ciascuna da un solo siluro - affondarono con una certa lentezza; le unità di scorta (insieme ad altre subito inviate in zona), recuperarono 5.434 uomini sul totale di 5.818 trasportati dai due transatlantici: purtroppo, si dovette lamentare la perdita di 384 persone, tra i militari trasportati e i membri dell'equipaggio.
Gli incrociatori ausiliari italiani
Trentasei incrociatori ausiliari prestarono servizio con la Regia Marina nel corso della seconda guerra mondiale: nella pressoché totalità dei casi si trattava di piccole navi passeggeri o da carico misto costruite negli anni Venti e Trenta, già considerandone una possibile trasformazione per uso militare predisponendo apposite strutture rinforzate in previsione dell'imbarco di cannoni e altri armamenti, e realizzando sin da subito locali aggiuntivi per alloggiare il personale militare in tempo di guerra. Ciascun incrociatore ausiliario effettuò una media di 138 missioni di scorta e/o trasporto dal giugno 1940 all'agosto 1943, molto più - quindi - della media di 99 missioni per le torpediniere e di 40 per i cacciatorpediniere (impiegati, però, anche in compiti “di squadra”).
Soltanto 29 incrociatori ausiliari ebbero assegnata una caratteristica ottica nella serie "D X", come indicato dalla tabella che segue ove - per ciascuna unità - sono indicati la stazza lorda e l'armamento.
D 1 Città di Napoli (5,418 grt, 4-120/45)
D 2 Città di Tunisi (come D 1)
D 3 Città di Palermo (come D 1)
D 4 Città di Genova (come D 1)
D 5 Arborea (4,959 grt, 4-102/45)
D 6 RAMB III (3,666 grt, 4-102/45)
D 7 Olbia (3,514 grt,-4-102/45)
D 8 Caralis (come D 7)
D 9 Filippo Grimani (3,431 grt, 4-102/45)
D 10 Piero Foscari (come D 9)
D 11 Egitto (3,329 grt, 2-102/45)
D 12 Francesco Morosini ( 2,423 grt, 2-102/45)
D 13 Brioni (1,987 grt, 2-102/45)
D 14 Zara (1,987 grt, 2-102/45)
D 15 Brindisi (come D 14)
D 16 Barletta (come D 14)
D 17 Ipparco Baccich (884 grt, 2-76/40)
D 18 Narenta ( 1,362 grt, 2-100/47)
D 19 Loredan (1,357 grt, 2-102/45)
D 20 Lorenzo Marcello (1,413 grt, 2-100/47)
D 21 Lazzaro Mocenigo (1,404 grt, 2-100/47)
D 22 Lago Tana (783 grt, 2-100/47)
D 23 Lago Zuai (come D 22)
D 24 Mazara (984 grt, 2-76/40)
D 25 Lero (1,980 grt, 2-102/45)
D 26 Cattaro (ex Jugoslavija) (2,398 grt, 2-10047, 1-876/40)
D 27 Lubiana (ex Ljubljana, ex Salona) (985 grt, 1-57/43)
D 28 Pola (451 grt, 3-20/70 light a/a guns)
D 29 Rovigno (come D 28)
Adriatico (1,976 grt, 2-102/45)
Capitano Antonio Cecchi (2,321 grt, 4-102/45)
Città di Bari (3,339 grt, 2-120/45)
Attilio Deffenu (3,510 grt, 2-120/45)
Egeo (3,311 grt, 2-120/45)
RAMB I (come D 6)
RAMB II (come D 6)
Le navi ospedale italiane
Nel corso della seconda guerra mondiale, la Regia Marina impiegò dodici navi ospedale (ottenute dalla trasformazione di altrettante navi passeggeri) e sette più piccole navi soccorso. Le dodici unità più grandi – molte delle quali non mutarono il nome durante il servizio con la Regia Marina - svolsero un lungo servizio bellico (ricordiamo, tra le altre, il ruolo giocato dal Gradisca nel recupero dei naufraghi dello scontro di Matapan), e sette andarono perdute per eventi bellici. Nell'elenco che segue, per ciascuna unità, sono riportati l'anno di entrata in servizio e la stazza lorda.
Aquileia (1914, 9.448 grt)
Arno (1912, 8,024 grt)
California (1920, 13,060)
Città di Trapani (1928, 2,467 grt)
Gradisca (1913, 13,870 grt)
Po (1911, 7,289 grt)
Principessa Giovanna (1922, 8,585 grt)
RAMB IV (1937, 3,676 grt)
Sicilia (1924, 9,646)
Tevere (1912, 8,448 grt)
Toscana (1923, 9,442 grt)
Virgilio (1926, 11,718 grt)
Quattro "liners" italiani requisiti
Negli anni della seconda guerra mondiale, tre transatlantici italiani operarono sotto la bandiera statunitense: un aspetto sicuramente poco conosciuto dell'attività di questi tre bastimenti tra il 1940 e il 1945.
Il Conte Biancamano, entrato in servizio nel 1925 con il Lloyd Sabaudo, fu internato a giugno del 1940 a San Cristobal, nella zona del Canale di Panama; dal 1942 sino al termine del conflitto operò come trasporto truppe per conto dell'U.S. Navy (USS Hermitage, AP-54) e, nel 1947, tornò a far parte della flotta mercantile italiana, navigando - sino al 1960 - con le insegne della Soc. Italia di Navigazione.
Analogo il caso del Conte Grande, internato a Santos in Brasile a giugno del 1940: prestò servizio con la Marina degli Stati Uniti dal 1942 al 1946 (USS Monticello, AP-61) e - dal 1947 al 1961 - tornò sotto bandiera italiana, anch'esso nella flotta della Soc. Italia di Navigazione.
Il Saturnia, internato a New York sin dal maggio del 1940, operò dapprima come "nave protetta" e - insieme ai transatlantici italiani Caio Duilio, Giulio Cesare e Vulcania - rimpatriò numerosi civili dall'Africa orientale Italiana ormai conquistata dalle truppe britanniche. A dicembre del 1945 fu trasformata dall'U.S. Army in nave ospedale (Frances Y. Slanger), tornando sotto bandiera italiana verso la fine del 1946. Il Saturnia fu demolito alla Spezia nel 1965.
Infine, la vecchia nave passeggeri Leonardo Da Vinci della società di Navigazione Transatlantica Italiana fu catturata dagli inglesi a Chisimaio (Somalia Italiana) nel 1941. Operò come nave ospedale per conto dell'esercito britannico con il nome di Empire Clyde sino al 1948; successivamente, entrò a far parte del servizio del "Royal Fleet Auxiliary" della Royal Navy con il nome di Maine, sino alla sua radiazione nel 1954.
Anche gli anni del secondo dopoguerra, sia pure in termini quantitativamente ridotti, un certo qual numero di navi passeggeri è stato impiegato negli ormai consolidati ruoli di trasporto truppe e nave ospedale.
Durante la crisi di Suez del 1956, la Marina francese utilizzò il "liner" Pasteur (entrato in servizio nel 1939) per il trasporto di contingenti militari nella zona del Canale; in precedenza, il Pasteur aveva svolto analoghi compiti sulle rotte dell'Indocina francese. Nella medesima evenienza, la Royal Navy attrezzò come navi ospedale i due "passeggeri" Nevasa e Oxfordshire, in analogia a quanto fatto dalla Marine Nationale con il più grosso Marsellaise.
L'ultima occasione in cui navi passeggeri sono state impiegate in vicende belliche risale al 1982, quando - durante la guerra per la riconquista delle Isole Falkland - la Royal Navy impiegò come trasporti truppa nell'Atlantico meridionale il Canberra e la più grossa Queen Elizabeth II, con la piccola nave scuola Uganda attrezzata in veste di nave ospedale.
Bibliografia
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Jordan, The World's Merchant Fleets 1939, Annapolis, U.S. Naval Institute, 1999
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Satchell, Running the Gauntlet - How three giant liners carried a million men to war, Annapolis, U.S. Naval Institute, 2001
P.H. Silverstone, U.S. Warships of WW II, Londra, Ian Allan, 1971
-
Valenti, Le quattro sorelle, Trieste, Luglio Edizioni, 2007
-
Villar, Merchant Ships at War - the Falklands experience, Annapolis, U.S. Naval Institute, 1984
-
Williams, Liners in Battledress, Londra, Conway, 1989
Almanacco navale, varie ed.
Jane's Fighting Ships, varie ed.
PARTE SECONDA
LINKS E FOTO-NAVI CITATE NEL SAGGIO
A cura di Carlo GATTI
LE NAVI DELLA LIBERTA’
Viaggio inaugurale di una nave Liberty
Liberty in guerra
La prima Liberty arrivata a Genova in versione ancora militare. Diventerà la M/n ETNA della Società ITALIA di Navigazione.
I cantieri britannici e americani progettarono e costruirono diverse tipologie di unità (dagli "Ocean" britannici ai "Liberty", "Victory" e "T2" statunitensi) che, realizzate in gran numero, dopo aver contribuito in misura sostanziale allo sforzo bellico ed alla vittoria degli Alleati andarono a costituire - per alcuni lustri - la spina dorsale delle flotte mercantili mondiali, le cui unità di meno recente costruzione erano state drasticamente falcidiate dagli eventi bellici.
Reserve Fleet: Navi “VIctory” – “T/2” ed altre ormeggiate sull’Hudson River
Reserve Fleet – Albany (New York)
Reserve Fleet – Navi Liberty ormeggiate in massima sicurezza
NAVI LIBERTY: LA SECONDA SPEDIZIONE DEI MILLE
https://www.marenostrumrapallo.it/spedizione/
di Carlo GATTI
M/N BOCCADASSE, NACQUE DALL'UNIONE DI DUE LIBERTY SHIPS
https://www.marenostrumrapallo.it/ase/
di Carlo GATTI
Cento Anni fa
AFFONDAVA IL LUSITANIA
E L’AMERICA ENTRO’ NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
https://www.marenostrumrapallo.it/lusi/
di Carlo GATTI
RMS OLYMPIC, GEMELLA FORTUNATA DEL TITANIC
https://www.marenostrumrapallo.it/oly/
di Carlo GATTI
RMS Mauretania (1938-1965)
https://it.wikipedia.org/wiki/RMS_Mauretania_(1938)
Wikipedia
Le M/n SATURNIA – VULCANIA – NEPTUNIA - OCEANIA
Le motonavi Saturnia e Vulcania, progettate per i servizi celeri fra Trieste e il Nord America, furono due navi particolari, per le innovazioni che introdussero nel campo dei transatlantici, per gli eventi di cui furono testimoni e per la lunga vita operativa. Le motonavi Neptunia e Oceania, progettate per i servizi celeri fra Trieste ed il Sud America, furono altrettanto importanti e per certi versi ancora più innovative ma ebbero la sfortuna di sparire troppo presto nel turbine della guerra.
Tutte quattro, per Trieste, sono rimaste il simbolo della grandezza dei suoi Cantieri e dei suoi Armatori nel periodo di maggior splendore dei traffici passeggeri marittimi, in particolare fra le due guerre, quando la Marina italiana raggiunse i massimi livelli d’efficienza e competitività con marine tradizionalmente più forti come quella inglese, tedesca e francese.
Porto di Genova
I transatlantici VULCANIA (sn) e SATURNIA (ds),
LA M/N VULCANIA IN VERSIONE MILITARIZZATA/Nave ospedale
T/n CONTE BIANCAMANO
Il CONTE BIANCAMANO fu l’ultimo transatlantico costruito all’estero. Il suo gemello CONTE GRANDE fu costruito a Monfacone. Ebbe una lunga e onorata carriera: 1925-1961
All'entrata in guerra dell’Italia il Biancamano venne posto sotto sequestro e internato a Cristobal (Panama), dove era ormeggiato. Nel dicembre 1941 con l'entrata degli Stati Uniti nel secondo conflitto mondiale, trovandosi in acque americane venne sequestrato dagli Stati Uniti, trasformato in nave per trasporto truppe e incorporato nella US Navy col nome di USS Hermitage (AP-54) nel 1942. Poteva alloggiare fino a settemila uomini. La nave venne armata con un cannone da 127/38 mm, e 6 cannoni da 76/50 mm antinave e antiaerei.
Quando nel 1947 il Biancamano fu riallestito come nave passeggeri nei cantieri di Monfalcone, vennero chiamati a collaborare alcuni dei più noti ed importanti artisti, architetti e decoratori dell'epoca.
CONTE GRANDE
Il Conte Grande è stato costruito a Trieste dallo Stabilimento Tecnico Triestino per conto del Lloyd Sabaudo. Come il suo gemello, fece una lunga e onorata carriera (1927-1962).
All'entrata in guerra dell’Italia nella Seconda guerra mondiale si trovava all'ancora nel porto di Rio de Janeiro. Il Conte Grande venne posto sotto sequestro e l'equipaggio internato dalle autorità brasiliane che il 16 aprile 1942 rivendettero agli USA. Dal 1942 al 1945, come preda di guerra, prestò servizio nella U.S.Navy con il nome di USS Monticello (AP-61).
Con lo stesso armamento del suo gemello, prese parte all'invasione del Nord Africa (Opera Torch) con le truppe trasportate che vennero sbarcate a Casablanca. Successivamente al rientro negli USA venne destinato agli scenari del Pacifico dove venne utilizzata durante il 1943 e il 1944. Nel 1947 venne restituita all’Italia e ripreso il nome Conte Grande.
SS PASTEUR
A causa della sua velocità, la Pasteur normalmente effettuava le sue traversate da sola e senza scorta, piuttosto che come parte di un convoglio. Effettuò un viaggio da Glasgow a Halifax con un equipaggio misto di truppe, tra cui ufficiali che organizzavano il trasporto di 20.000 soldati britannici attraverso il Canada e il Pacifico verso Singapore nell'ottobre del 1941. Trasportò anche quasi 2.000 prigionieri tedeschi verso campi di prigionia in Nord America. Inoltre, trasportò prigionieri da Suez, in Egitto, a Sudafrica. Nel 1943, visitò Freetown, Città del Capo, Durban, Aden e Port Tewfik, e poi tornò al Clyde e a Halifax. Trasportò 10.000 soldati del Corpo d'Armata britannico 8 e 5.000 soldati del Corpo d'Armata statunitense 1 nella battaglia di Alamein. In totale, trasportò 220.000 soldati e 30.000 feriti, viaggiando per 370.669 miglia durante la guerra.
Nel Dopoguerra
Pasteur fu utilizzata per rimpatriare le truppe statunitensi e canadesi e tornò poi ai suoi proprietari nell'ottobre del 1945. La gestione fu restituita a Cie Sudatlantique all'inizio del 1946. Dopo il suo ritorno in Francia nel 1946, rimase in servizio militare francese come trasportatore di truppe. Trasportò soldati francesi in Vietnam (Prima Guerra d’Indocina), e poi in Algeria tra il 1954 e il 1957. Fu insignita dell'onore più alto della Francia, la Croix de Guerre. Nel febbraio del 1950, effettuò un viaggio portando 4.000 soldati olandesi dall'Indonesia ai Paesi Bassi.
Acquistata da North German Lloyd
Pasteur fu messa in disarmo a Toulon nel 1956 e poi a Brest nel 1957. Durante l'affare del Canale di Suez, la nave fu riutilizzata nel settembre 1956 insieme ad altre navi passeggeri e militari come trasporto di truppe. Mentre era ormeggiata nel porto di Port Said nel dicembre 1956, il generale dell'HQ delle truppe francesi era a bordo. Alla fine della guerra, Pasteur fu una delle ultime navi alleate a lasciare Port Said. Fu venduta alla North German Lloyd per 30 milioni di DM nel settembre 1957. Il trasferimento di proprietà da Brest a Bremerhaven avvenne nel settembre 1957.
SS CAMBERRA
(Guerra delle Flakland)
SS Canberra & HMS Andromeda affiancate dopo la fine della guerra a Port Stanley (Falkland).
La nave trasportò una consistente parte della 3 Commando Brigade durante la guerra delle Falkland, partecipando durante l’operazione Sutton con la forza al comando del commodoro Michael Clapp, alla più vasta battaglia di San Carlos; in particolare la nave trasportava il 42º Commando Royal Marine.
di Carlo GATTI
LE NAVI OSPEDALE ITALIANE
https://www.marenostrumrapallo.it/osp/
di Carlo GATTI
IL TRANSATLANTICO
NORMANDIE
https://www.marenostrumrapallo.it/nor/
di Carlo GATTI
RMS QUEEN MARY
E’ il 20 Giugno 1945 – La QUEEN MARY con la livrea militare sta entrando nel porto di New York con migliaia di soldati americani.
QUEEN ELIZABETH
https://www.marenostrumrapallo.it/rms-queen-mary-una-nave-dal-fascino-antico-ma-con-le-misure-di-una-nave-moderna/
di Carlo Gatti
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di Carlo GATTI
Carlo GATTI
Rapallo, Natale 2024
LA FAMIGLIA CANEVARO DI ZOAGLI - Quando il Mare era il Trampolino di Lancio per entrare nella Storia
LA FAMIGLIA CANEVARO DI ZOAGLI
QUANDO IL MARE ERA IL TRAMPOLINO DI LANCIO PER ENTRARE NELLA STORIA
Zoagli (Genova) è una perla preziosa nota per la sua scogliera ed altre splendide attrazioni naturali e turistiche, ma quanti sanno, per esempio, che per tutto l’800, la ridente cittadina rivierasca era ancora immersa nella sua antica attività marinara che vantava un cospicuo patrimonio di velieri, valenti capitani ed equipaggi? Del resto, soltanto un paese dalla consumata tradizione sui sette mari poteva ricordare i suoi figli chiamando Passeggiata dei Naviganti un tratto del suo splendido lungomare.
Ma si rimane ancora più sorpresi quando, nel vicoletto che porta alle incantevoli spiagge del ponente cittadino, si sfiora una bacheca poco visibile, direi riservata, proprio come il cuore dei marinai cui è dedicata nel simbolo della Madonna del Mare. Vi si legge:
Tanti gli zoagliesi che soprattutto nell’Ottocento erano un tempo, comandanti e armatori. I Chichizola, i Merello, i Vicini, i Raggio, i Peirano ed i Canevaro hanno battuto i mari dell’America Meridionale doppiando Capo Horn per raggiungere il Cile e il Perù dove molti conterranei si erano trasferiti per lavoro…….Tra le tante navi a vela zoagliesi ricordiamo il Marinin un veloce brigantino che tante cavalleresche sfide ha consumato con i Clipper inglesi sulle rotte del riso e del teak a Rangoon. La famiglia più celebre quella dei Canevaro, oltre che per i traffici commerciali, si distinse per il ruolo svolto nella storia dell’Italia Risorgimentale….
Giuseppe CANEVARO un Pioniere dell’Emigrazione Italiana
Monumento in bronzo situato nella piazza di Zoagli dedicato a Giuseppe Canevaro, opera dello scultore Carlo Filippo Chiafarino
Giuseppe Canevaro nasce a Zoagli nel 1803 da una famiglia di modeste condizioni. All’età di otto anni inizia a navigare col padre, il capitano Giacomo e, a dodici imbarca sul veliero Calipso alla volta di Cuba. A vent’anni è capitano di un bastimento e si trasferisce a Lima (Perù).
Nel 1830 sposa Francesca Valega, dalla quale avrà dodici figli.
GIUSEPPE CANEVARO
Il Fondatore di un notevole Impero commerciale
Un Viaggiatore del Mare
Coraggio e Determinazione
Come abbiamo appena visto, mi è caro sottolineare che Canevaro, fin da giovanissimo, dimostrò una straordinaria audacia nello sfidare il Mare Oceano diventando Capitano marittimo a soli vent'anni. Questo eccezionale spirito avventuroso fu, probabilmente, la molla che lo spinse ad affrontare anche le sfide dell'emigrazione e tante altre come vedremo a seguire.
Sotto la guida di esperti capitani, acquisì conoscenze preziose, sia pratiche che umane, diventando un navigatore esperto.
L’Ignoto in Perù - Trasferimento in un Nuovo Mondo
Nel 1835, lasciò l'Europa per stabilirsi a Lima, affrontando un ambiente culturale e sociale radicalmente diverso dal suo.
La sua capacità di integrarsi e comprendere il nuovo contesto gli permise di prosperare e costruire relazioni significative con la comunità locale e con altri emigranti.
Costruzione di un Impero Economico
Canevaro avviò attività commerciali di successo, tra cui una Casa Commerciale a Guayaquil e iniziative agricole in Perù, contribuendo all'economia locale e guadagnandosi rispetto e ammirazione.
Fu pionieristico nella promozione dell’esportazione del guano in Europa, trasformando un semplice prodotto in una risorsa economica cruciale.
Giuseppe Canevaro si arricchisce, infatti, con questo richiestissimo prodotto che si trova depositato in strati di oltre trenta metri sulle isole e le coste del Perù e del Cile.
La sua reputazione lo portò a essere nominato Console Generale del Regno di Sardegna in Perù, un ruolo che ricoprì dal 1846 al 1861, influenzando le relazioni tra i due Paesi.
Impatto Politico
Canevaro era un consigliere fidato del presidente peruviano riuscendo a tradurre le sue capacità imprenditoriali in influenza tangibile nel campo politico.
Modello di Successo
La vita di Canevaro rappresenta un esempio di resilienza e intraprendenza per emigranti e imprenditori. La sua storia dimostra come affrontare l'ignoto con coraggio possa portare a grandi traguardi.
Riconoscimento Postumo
La sua memoria è onorata sia in Italia che in Perù, simbolo del contributo degli italiani all'estero e della loro capacità di integrarsi e influenzare positivamente le società ospitanti.
Conclusione:
Giuseppe Canevaro non fu solo un uomo d'affari, ma un vero e proprio pioniere che sfidò il mare e l’ignoto, costruendo un impero commerciale e acquisendo onori in ambito politico. La sua vita è una testimonianza del potere dell'intraprendenza ligure e della determinazione di fronte alle sfide, ispirando generazioni future.
Una bella pagina di Storia rivierasca che parla dei nostri avi emigranti nella “merica”
(estratto)
Giovanni Bonfiglio
Gli italiani nella società peruviana.
Una visione storica
Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli
3.5. Le province liguri di provenienza.
In Perù arrivarono pochi contadini delle zone più interne della Liguria poiché questi, alla fine del secolo scorso, si diressero prevalentemente verso il Nordamerica. La maggior parte degli immigrati liguri arrivati in Perù proveniva dai numerosi piccoli porti del Levante che nel secolo scorso avevano un’intensa attività marittima e navale: Nervi, Recco, Sori, Camogli, Santa Margherita, Rapallo, Zoagli, Chiavari, Lavagna, Sestri Levante, Moneglia, Levanto; tutti questi paesi nel secolo scorso erano compresi per lo più nella provincia di Chiavari (che nel 1922 fu incorporata in quella di Genova); è importante tener conto che la demarcazione territoriale delle province liguri fu modificata rispetto a quella del secolo passato.
Chiavari rimase una provincia a sé stante fino al 1922; per questo molti dei liguri approdati in Perù dichiaravano d’essere chiavaresi, quando in realtà provenivano da paesi dell’interno di questa antica provincia. Anche dalla provincia di La Spezia giunsero degli immigrati, sia dal capoluogo sia dal porto di Lerici.
Dei paesi della riviera di Ponente i centri da cui più cospicua giunse l’immigrazione dalla provincia di Genova sono Sampierdarena, Sestri Ponente, Pegli, Voltri, Cogoleto; dalla provincia di Savona, Varazze, Albissola, Spotorno, Finale, Loano, Albenga, Diano Marina. Da quella di Imperia giunsero immigrati da Porto Maurizio, Oneglia, Sanremo. Benché ceduta alla Francia alla metà del secolo passato, diversi di quelli che arrivarono dalla regione di Nizza continuarono a considerarsi italiani.
La maggior parte delle cittadine costiere è situata allo sbocco di strette valli, adiacenti alle quali, nell’entroterra di Levante, sono Uscio, Cicagna, Cogorno, Carasco, Varese Ligure. Molti immigrati in Perù venivano da questi paesi, ma ne vennero soprattutto dai paesi della valle di Fontanabuona, alle spalle di Chiavari e di Rapallo.
In conclusione, possiamo osservare che l’area geografica da cui derivò il nucleo centrale degli immigrati italiani in Perù coincide praticamente con una stretta frangia di territorio al centro della Liguria, che corrisponde all’attuale provincia di Genova. È quindi un’origine abbastanza circoscritta, che fece di questa immigrazione un gruppo omogeneo, anche culturalmente, nonostante le differenti condizioni economiche esistenti al suo interno.
Giuseppe Canevaro primo Duca di Zoagli
Un po’ di Storia famigliare …
Nel 1849 quando scoppia la Prima Guerra d’Indipendenza, Giuseppe Canevaro manda del denaro per aiutare il Regno di Sardegna e viene inserito da Vittorio Emanuele II nell’Ordine dei Cavalieri dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Nel 1856 Giuseppe Canevaro viene nominato console presso il Governo Peruviano da Vittorio Emanuele II.
Durante la Seconda Guerra d’Indipendenza, Canevaro, troppo avanti negli anni per combattere, si presta volontario negli ospedali da campo. La sua flotta, con altri armatori da lui coinvolti, trasporta l’esercito e le salmerie di Napoleone III dalla Francia a Genova. Questo sorprende l’Austria e dà inizio alla campagna per conquistare la Lombardia.
Cavour e Vittorio Emanuele II, non potendo rimborsare al Canevaro le spese sostenute (350.000 lire in sterline d’oro) gli offrono i titoli nobiliari di conte di Zoagli e di duca di Castelvari. Giuseppe Canevaro è tra i fondatori della Società di Navigazione Lloyd Italiano intorno al 1903.
A Zoagli, dove finanzia la costruzione dell’ospedale che da lui prende il nome, Canevaro aveva acquistato nel 1870 la piana dominata Sotto l’Orto, al di sopra dello scoglio dove sorge la Torre del Ponente con la villa che era di proprietà dapprima degli Spinola e poi dei Malfanti. Fece costruire l’appendice del palazzo che, prolungando la torre verso levante, sovrasta la spiaggetta (detta oggi: ”del Duca” ).
(Il Castello Canevaro verrà, poi, bombardato il 20 giugno 1944).
Nel 1881 l’ospedale di Zoagli, per ricordare il suo benefattore, commissiona allo scultore Carlo Filippo Chiafarino una statua di bronzo che ancora oggi risiede nella piazza di Zoagli.
Il suo primogenito, Giuseppe Francesco (1836-1900), vicepresidente della Repubblica del Perù, ottiene per se’ e per i suoi discendenti, con Regio Decreto del 20 febbraio 1887, l’aggiunta al proprio cognome del predicato ”di Zoagli”. Dei dodici figli di Giuseppe Canevaro il più noto è Felice Napoleone, nato a Lima il 7 luglio 1838, che sotto Garibaldi viene onorato con la medaglia di argento per gli eroici attacchi ai vascelli borbonici nel Porto di Napoli.
Giuseppe Francesco fu Ministro della Marina per dodici anni e Ministro degli Esteri nel 1899. Era stato anche nel commando della flotta alleata che bloccò Creta nel 1896.
Napoleone Canevaro Duca di Zoagli
Statua Greca per Napoleone Canevaro Duca di Zoagli
Foto di Famiglia
Emanuele Canevaro quinto Duca di Zoagli
CASTELLO CANEVARO
La memoria storica del Comune di Zoagli
Il castello Canevaro e la torre di ponente
LA STORIA
Il complesso architettonico del Castello Canevaro, a Zoagli, nasce e si sviluppa nel corso dei secoli intorno alla costruzione della Torre di avvistamento del 1550 che gioca un ruolo importante anche durante la terribile epidemia di peste che colpisce Genova nel 1656-1657, essendo punto di osservazione di eventuali incursioni di imbarcazioni saracene portatrici anche del morbo.
Con il passare degli anni, i pericoli che possono minacciare Zoagli via mare si diradano sempre più fino a scomparire e la torre viene inglobata nel complesso di edifici appartenenti alla famiglia Canevaro, noto con il nome di “Castello Canevaro”.
La seconda fase coincide storicamente con la presenza sul terreno, già nel 1640, di un edificio a blocco, di stampo tipicamente “alessiano”, come viene definito dalla bibliografia specifica.
La fortificazione e il Palazzo (o Villa), rilevata da Matteo Vinzoni, viene costruita nel 1773. Il pittore P. D. Cambiaso lo includerà nelle sue vedute ottocentesche della Riviera di Levante.
Nel 1899 il complesso del Castello Canevaro, in cui i prospetti della Torre e dell’antico Palazzo Padronale vengono ridisegnati nella facciata principale a ovest, viene arricchita dall’introduzione di due torrette di gusto eclettico.
La storia dell’edificio, che alla fine del secolo XIX raggiunge il momento di massima rilevanza, s’interrompe bruscamente con il 1943, anno in cui Zoagli viene bombardata per la presenza dell’alto ponte ferroviario che la sovrasta e che risulta essere la causa della distruzione di buone parte della Villa Padronale.
LA DIMORA STORICA
OGGI
Raffaele IV Duca di Zoagli, nel dopoguerra rifiutò tutte le offerte ricevute dai costruttori, i quali intendevano speculare, atteggiamento tipico di quegli anni, finendo per distruggere l’ambiente. E preferì, invece, mantenere con attenti restauri il patrimonio culturale e storico tramandato da cinque generazioni, al fine di intrattenere gli esponenti della società cosmopolita con balli, pranzi, concerti e feste, come voleva la tradizione. Forte di questa esperienza ben radicata nei loro geni, i giovani della generazione nata alla fine del secolo scorso sono riusciti a ottenere una fusione ideale tra il classico e il contemporaneo in modo da potersi rivolgere alle nuove esigenze di coloro che, oggi, desiderano organizzare eventi di gusto ed eleganza.
Dal dopoguerra ad oggi, l’edificio viene utilizzato solo a scopo residenziale e per questo motivo viene diviso in appartamenti e, in seguito alla mancanza di un progetto di manutenzione, va in decadimento.
Da oltre dieci anni lo staff del Castello mette a disposizione della clientela desiderosa di organizzare i propri eventi il piano Terra, chiamato “Guarnigione” perché costruito a metà del 1700 per i Capitani della Sanità preposti ad accogliere e a mettere in quarantena gli appestati fuggiti dal Regno delle Due Sicilie.
I pavimenti della Guarnigione sono a scacchiera, composti da quadratoni di marmo di Carrara e ardesia dell’entroterra (Lavagna) come vuole la tradizione genovese. Le sale sono a forma di L e possono ospitare circa 130 persone sedute e 200 in piedi con buffet.
E in mezzo agli archi delle antiche volte sono appesi i ritratti ottocenteschi di alcuni dei dodici figli del Primo Duca. Dalle tre porte-finestre nei giorni di tempesta entrano gli schizzi del mare, come su una nave e il sottofondo più gradevole che accompagna ogni nostro ricevimento è il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli.
Con il loro progetto, gli architetti C. Bruzzo, F. Gotta e M. L. Grasso riportano in auge la costruzione così come era stata definita alla fine dell’Ottocento dall’architetto Partini e dalla famiglia Canevaro, introducendo, nella Torre e nei fondi voltati del Castello, nuovi spazi espositivi, con l’intento di ristabilire quella disposizione di accoglienza e rappresentanza per la quale erano stati costruiti.
Oggi, il Castello apre le sue porte all’organizzazione di eventi speciali quali matrimoni, battesimi, meeting e tanto altro ancora.
Castello Canevaro di Zoagli 1981
I pescatori nella baia di Zoagli
Castello Canevaro 2011
(Sopra e sotto)
DUE LINK
Brigantino NAPOLEONE CANEVARO
I COOLIES CINESI SI AMMUNTINANO
https://www.marenostrumrapallo.it/lammutinamento-dei-coolies-cinesi/
Carlo Gatti
SULLE ROTTE DEL GUANO
https://www.marenostrumrapallo.it/guano/
Pietro Berti
Fonti:
- Regione Liguria
- Comune di Zoagli
- Wikipedia
- Società Canevaro…
Carlo GATTI
Rapallo, Sabato 21 Dicembre 2024
2025 - LUNAZIONI - STAGIONI E SEGNI ZODIACALI
Associazione Culturale il Sestante
2025 - LUNAZIONI - STAGIONI E SEGNI ZODIACALI
IL DIRETTIVO
Sabato 14 Dicembre 2024
LE NAVI CHE PORTANO IL NOME "MONTALLEGRO" NELLA STORIA
LE NAVI CHE PORTANO IL NOME
MONTALLEGRO
NELLA STORIA
Le Ricerche d’archivio che seguono sono di Pietro Berti - Storico Navale che RINGRAZIO!
Giacomo di Corte, durante la seconda quindicina del settembre 1810, si segnala la presenza del battello “Nostra Signora di Monte Allegro" di 13,78 tonn. varato a Rapallo il 15 febbraio 1806. Noi, in questo caso, opiniamo che possa trattarsi di un cantiere attivo in S. Michele. In effetti questa considerazione può essere indirettamente confermata dalla presenza del già citato mastro velaio, e che in altri documenti posti sotto la stessa segnatura si nominano altre 3 barche qui costruite….La prima di queste è un veliero di tipo non indicato, denominato “Monte Allegro”, di 9 tonnellate, ed equipaggiato di 7 persone, compreso il padrone Gerolamo Sanguineti. Lo stesso era giunto nel porto di Rapallo ed era destinato per Sampierdarena. Il secondo bastimento è il “Maria di Monte Allegro”, di 16 tonnellate, con 7 uomini d’equipaggio comandati da Luigi Costa di S. Michele. Era giunta a Rapallo da Civitavecchia il 19 agosto 1810, ed era in partenza per S. Michele. Dello stesso anno è il veliero “N. S. di Monte Allegro”, di 5,92 tonnellate, equipaggiato da 6 persone, comandato da Gaetano Canessa ed armato da Agostino Carneglia.
Schedario delle barche costruite a Rapallo
MADONNA MONTE ALLEGRO
o N. S. di Mont’Allegro.
tipo: battello. Poi detto liuto.
impostazione:
varo: Rapallo – Gen.
cantiere: non noto
macchina: assente
velocità: non nota
tsl:
tsn:
t gen. 5,92
dimensioni:
storia:
23 agosto 1810 – Parte da Lerici
MARIA DI MONTE ALLEGRO
tipo: non indicato
impostazione:
varo: San Michele di Pagana
cantiere: non noto
macchina: assente
velocità: non nota
tsl:
tsn:
t gen. 16
dimensioni:
storia:
19 agosto 1810 – Giunge a Rapallo con 7 marinai e 150 mine di grano. Era partito da Civitavecchia al comando di Luigi Costa di San Michele di Rapallo.
MONTE ALLEGRO
tipo: non indicato
impostazione:
varo: San Michele di Pagana.
cantiere: non noto.
macchina: assente.
velocità: non nota
tsl:
tsn:
t gen. 9
dimensioni:
storia:
14 agosto 1810 – È presente nel porto di Rapallo al comando di Gerolamo Sanguineti, con 8 marinai e carico di 70 barili d’olio. Era partito dall’Isola Rossa ed è destinato a impostazione:
varo: Rapallo 1952
cantiere: Velscaf di Dario Salata – Dis. Dario Salata.
macchina:
velocità:
tsl:
tsn:
t gen.
dimensioni: 9,60 x 1,90
storia:
NOSTRA SIGNORA DI MONTE ALLEGRO
tipo: battello
impostazione:
varo: Rapallo 15 febbraio 1806 – Forse a San Michele
cantiere: non noto
macchina: assente
velocità: non nota
tsl:
tsn:
t gen. 13,78
dimensioni: non note
storia:
26 settembre 1810 – È presente nel porto di S. Giacomo di Corte, con 7 marinai e merci varie. Era giunto il 4 agosto al comando del suo armatore, padron Nicola Palmieri, ed è in partenza per Bastia.
S. MARIA DEL MONTE ALLEGRO.
Tipo: tartana
Impostazione:
Varo:
Cantiere: Rapallo
Macchina:
Velocità:
Tsl:
Tsn:
Ton generico:
Dimensioni:
Storia:
1641 – 27 settembre – Viene vergato dal notaio Gio Antonio Fasciato un atto riguardante il patrone Luciano Vallebella, che riceve una somma in denaro per recarsi in Maremma e alle Romagne (Stato della Chiesa).
Articoli di Carlo GATTI sulle navi denominate: MONTALLEGRO - RAPALLO
16 MARZO 1951 – LA PETROLIERA MONTALLEGRO ESPLODE NEL PORTO DI NAPOLI
https://www.marenostrumrapallo.it/16-marzo-1951-la-petroliera-montallegro-esplode-nel-porto-di-napoli/
https://www.marenostrumrapallo.it/m-n-rapallo-nella-storia-del-mondo-marinaro/
https://www.marenostrumrapallo.it/m-n-rapallo-nella-storia-del-mondo-marinaro/
SOTTO TRE BANDIERE
M/r RAPALLO
https://www.marenostrumrapallo.it/mastino/
RAPALLO NAVIGA SUI SETTEMARI
https://www.marenostrumrapallo.it/rapallo-2/
Sofia Loren tra l'armatore Gianluigi Aponte ed il Comandante della MSC RAPALLO
L’AVVENTUROSA STORIA DELLA CISTERNA RAPALLO
Il Varo della RAPALLO a Riva Trigoso. Fu la prima petroliera dell’AGIP
https://www.marenostrumrapallo.it/rapallo/
IL CRISTO DEGLI ABISSI
Un’opera venuta da lontano…
https://www.marenostrumrapallo.it/sfruttuoso/
RAPALLO
SANTUARIO DI N.S.MONTALLEGRO: NAVI, MARINAI E LA DEVOZIONE MARIANA
https://www.marenostrumrapallo.it/navi-marinai-e-la-devozione-mariana/
UN FARO DI FEDE PER LA GENTE DI MARE
https://www.marenostrumrapallo.it/monty/
Madonna del Carmine chiamata in soccorso dai naufraghi
NARCISSUS
https://www.marenostrumrapallo.it/narcissus/
di CONRAD
IL VELIERO CHE NON VOLEVA MORIRE
MONTALLEGRO VELIERI NELLA TEMPESTA
Brigantino a palo “Confidenza”. E’ un barco chiavarese per la navigazione atlantica. Dipinto su carta 78×57 cm. Secolo XIX.
Nave a palo Francisca, 1874. Lamina d’argento sbalzata.
Uragano sofferto dal Francisca nell’Oceano Indiano, 22.2.1874 -Tempera su carta di Fred Wettening.
La Caracca Ragusea, Ex-Voto Marinaro molto diffuso in Croazia.
Rapallo: lo scioglimento del voto chiude le ‘Feste di Luglio’
https://www.marenostrumrapallo.it/monte-2/
SANTUARIO DI N.S. DI MONTALLEGRO
LA NOVENA DELL’ALBA
https://www.marenostrumrapallo.it/monte/
DUE RAPALLINI NELLE STEPPE DEL DON
LUCIO MASCARDI - UCCIO BONATI
ULTIMO EX VOTO A MONTALLEGRO
Carlo GATTI
Rapallo, Giovedì 12 Dicembre
MAGGIO 1684 - LA FLOTTA DEL RE SOLE BOMBARDA GENOVA
BOMBARDAMENTO DI GENOVA
1684
Una Storia da ricordare….
Portrait of Louis XIV of France in Coronation Robes (by Hyacinthe Rigaud) - Louvre Museum
Nel Maggio del 1684 il “re Sole” ordinò alla sua flotta navale di bombardare la città di Genova provocando distruzione e morte nei suoi vasti quartieri. I veri motivi di tanto odio e brutalità non sono facili da interpretare tra le diverse suggestive versioni popolari ed altre più articolate degli storici di professione, come vedremo.
Raffigurazione del bombardamento del 1684 in cui è ben mostrata l’imponenza della flotta
Dipinto raffigurante il bombardamento; si vedono, simili a piattaforme galleggianti, le palandre
Dipinto raffigurante il bombardamento su Genova della flotta francese nel 1684 (wikipedia)
Un fatto pare certo: la città fu attaccata senza preavviso e in modalità terroristica, si direbbe oggi, se si pensa che furono scagliate ben 13.000 bombe sulla popolazione civile: una tattica che è praticata tutt’oggi con gli stessi metodi e risultati.
Mirato a punire Genova per i suoi legami con la Spagna, l'intervento francese, evidenza la durezza della politica internazionale dell'epoca che, opportunamente, ci richiama alla mente un pensiero che non tramonta mai:
“Quando i ricchi si fanno la guerra tra loro, sono i poveri a morire.” (Jean-Paul Sartre)
Vi proponiamo tre interessanti interpretazioni popolari, puntualmente documentate e ricche di fotografie che aprono orizzonti più ampi su quanto in seguito sosterranno gli affermati Storici della Superba.
Il prof. Franco Bampi, Presidente della COMPAGNA, scrive sul suo sito: mailto:franco@francobampi.it
UNA STORIA IGNORATA
liguria@francobampi.it
Quasi nessuno conosce i "veri motivi" di tale decisione francese. Noi abbiamo trovato la relativa "documentazione storica" e ve la raccontiamo.
La Repubblica di Genova aveva deciso, anticipando come sempre i tempi, che gli equipaggi delle navi fossero fatti da "uomini liberi" e non più da "schiavi legati al remo" ed aveva chiamato tali navi, "galee della libertà".Invece in Francia il "re Sole" Luigi XIV°, che aveva scatenato una vera e propria "persecuzione" contro i Protestanti, li faceva condannare a migliaia ("chiunque predicasse o ascoltasse un sermone protestante") per fornire gratuitamente le braccia, come schiavi legati al remo delle navi.L’avvento delle "galee della libertà" genovesi avrebbe posto fine allo schiavismo di bordo e la Francia di Luigi XIV° non poteva tollerare che la Repubblica di Genova inaugurasse una nuova era della Navigazione, insegnando come si poteva fare a meno degli ergastolani incatenati ai remi. |
Il "re Sole" chiese perentoriamente alla Repubblica di Genova di disarmare tali "galee della libertà". Il Senato della Repubblica respinse tale richiesta, dando praticamente il via alla "vendetta" francese che si svilupperà con i "bombardamenti navali" che sopra abbiamo raccontato. Dal 18 al 22 Maggio del 1684, Genova resistette eroicamente a tale bombardamento, respingendo anche i vari tentativi di sbarco a Sampierdarena ed a Quarto.
Avvicinandosi tali date, abbiamo voluto "ricordarle", perché gli attuali abitanti della Liguria possano essere fieri della Storia della loro Terra che, in oltre 800 anni di INDIPENDENZA, aveva saputo creare una vera e propria Civiltà Ligure (le "galee della libertà" sono state uno dei segni di tale Civiltà!)…..
In un altro sito molto visitato: Dear Miss Fletcher
7 Maggio 1684, le bombe del Re Sole sulla Superba
https://dearmissfletcher.com/2013/10/10/17-maggio-1684-le-bombe-del-re-sole-sulla-superba/
Leggiamo:
C’era una Repubblica indomita e orgogliosa e c’era un sovrano che sedeva sul trono di Francia: Luigi XIV detto il Re Sole. …..E così, nel lontano 1679, a Genova fu ingiunta una perentoria richiesta: le artiglierie genovesi dovevano rendere omaggio alle navi francesi sparando a salve al loro ingresso nel porto di Genova.
Ma figurarsi, sono i foresti che devono tributare omaggi ai genovesi!
E insomma, il Comandante della flotta francese, l’Ammiraglio Abrahm Duquesne, non la prese affatto bene e in quella circostanza si allontanò dalle coste liguri cannoneggiando Sampierdarena e in seguito Sanremo.
E gli anni passarono, giunse il 1682.
Credete che il Re Sole si fosse dato per vinto?
Manco per idea, anzi!
In quei giorni accaddero cose strane, sul territorio della Repubblica si potevano incontrare certi personaggi vestiti da pittori e da religiosi.
Nessuno sapeva che quelli in realtà erano agenti segreti inviati dalla corte di Francia con il compito di setacciare ogni angolo della Repubblica per controllare il sistema difensivo, le fortificazioni e le batterie delle quali Genova disponeva.
Ma i nemici provenivano da ogni dove, la Superba doveva difendersi.
E così c’erano quattro galee all’ancora, nel porto di Genova, quattro imbarcazioni per difendere la città in caso di attacchi barbareschi.
E queste divennero uno dei pretesti che la Francia usò per attaccar briga e poter aggredire la città.
Vennero poste alcune condizioni, tra queste il disarmo delle quattro galee, i Francesi accusavano i genovesi di averle armate contro di loro.
E poi, naturalmente, si intimò alla Repubblica di mettersi sotto la tutela della Francia e di tributare, come già richiesto, il saluto alle navi francesi.
Il Doge Francesco Maria Imperiale Lercari e i senatori si trovarono concordi: le condizioni erano inaccettabili.
E giunse quella mattina di primavera, giunse il 17 Maggio 1684.
Chissà, forse era una giornata di cielo terso e luminoso come spesso accade in Liguria in quella stagione.
Quel giorno l’intera flotta francese si schierò nel mare di Genova, vascelli, galee e bastimenti coprirono la superficie dell’acqua dalla Foce alla Lanterna, 756 bocche di fuoco erano puntate contro la Superba.Giunse un ultimatum, si decidevano questi genovesi a sottomettersi al Re Sole?Come risposta dalle batterie dei forti partirono cannonate contro la flotta francese.E fu l’inizio della disfatta.La città fu bombardata per 4 giorni consecutivi, su Genova piovvero le terribili bombe incendiarie che distrussero chiese ed edifici.Una di queste bombe si trova a Palazzo San Giorgio che pure venne colpito in quei giorni difficili.
Una città devastata e aggredita, le bombe caddero sulla Chiesa delle Grazie, su San Donato, su Santa Maria in Passione, sul Ducale che era dimora del Doge e sulle case dei cittadini.
Distruzione, morte e fuoco.
E fuga, vennero aperte le porte dell’Acquasola e di Carbonara, fuggì la plebe e fuggirono i nobili.
Il Doge fu costretto a riparare all’Albergo di Carbonara, ovvero l’Albergo dei Poveri, lì si trasferì anche il Governo della Repubblica e lì vennero condotte ceneri del Battista che si trovano nella Cattedrale di San Lorenzo.
La Francia ripropose le sue condizioni ma queste vennero nuovamente rigettate. E le bombe continuarono a cadere.
La Bomba incendiaria (Santa Maria di Castello- Genova)
E le bombe continuarono a cadere, la città era un incendio.
I genovesi ebbero la forza di difendere la Superba con grande coraggio, evitando che la gran parte dei soldati francesi sbarcasse dalle navi. E lì, in quella stanza, si trova una di queste bombe.
Il dipinto che testimonia quei giorni, si trova in Santa Maria di Castello e raffigura la chiesa in fiamme a causa delle bombe lanciate dalla flotta francese.
Ne caddero in totale 13.300, il bombardamento ebbe fine il 28 Maggio in quanto i francesi avevano terminato le loro munizioni.
La storia triste e drammatica di questa vicenda ha un epilogo curioso e a suo modo divertente che vede protagonista.
II Doge Lercari.
La storia è fatta di trattati e di compromessi, a volte.
Era il mese di maggio 1685: il Doge con il suo seguito di nobili, si vide costretto a recarsi a Versailles a richiedere la clemenza del Re, che in cambio avrebbe fornito alla Repubblica i denari necessari per ricostruire gli edifici di Genova danneggiati dal bombardamento.
Fu accolto con grande sfarzo e grande sfoggio di ricchezza, attraversò le sale splendenti di Versailles e infine si trovò nel luccichio della Galleria degli Specchi.
Tutto si svolse secondo il protocollo nella splendida reggia del Re Sole.
E si narra che infine venne chiesto al Doge Lercari che cosa lo avesse maggiormente stupito di Versailles.
E lui, al cospetto del Re di Francia, pronunciò solo due parole in dialetto genovese: – Mi-chi!
E cioè, io qui.
Mentre l’intera corte si attendeva che magnificasse la grandezza e il fulgore di Versailles, il Serenissimo Doge lasciò tutti con un palmo di naso esprimendo così il suo amaro rammarico nel vedersi lì, davanti a Luigi XIV, colui che aveva ordinato l’aggressione della sua Genova.
Accadeva diversi anni fa, dopo che le bombe francesi erano cadute sulla Superba.
A Mae ZENA
Storia di… un Re… di un Doge…
… un bombardamento… una guerra e un orgoglio che non ha prezzo.
Siamo nel 1684 il Re Sole, con il pretesto di un mancato saluto (ogni nave straniera che entrava nel Porto doveva, per antica consuetudine, sparare un colpo di cannone a salve, in omaggio alla Repubblica; Il Sovrano pretendeva l’esatto contrario), di un’amicizia con la Spagna (gli armatori genovesi stavano infatti allestendo un’imponente flotta per gli iberici), di un prestito non corrisposto (Il Re, per pagare le sue truppe sparse in tutta Europa, aveva bisogno delle “palanche” dei banchieri nostrani), della mancata concessione a vantaggio di Savona (città alleata dei nemici) di un deposito del sale, dà ordine alla sua flotta di centosessanta navi schierata e 756 bocche da fuoco dalla Foce alla Lanterna, di bombardare la città.
Quattro giorni di lutti e distruzione ma la Superba resiste, non si piega e ribadisce, davanti ad un’Europa terrorizzata, la propria LIBERTA’ e proclama la propria INDIPENDENZA!
Il marchese di Segnalay infatti, comandante della spedizione dà ordine a Duquesne, ammiraglio dello stuolo reale, nella notte fra il 22 e il 23 maggio di sbarcare a Sampierdarena con 3500 soldati e, come diversivo, con un piccolo contingente in Albaro.
La milizia repubblicana genovese però con l’ausilio di numerosi volontari polceveraschi, sotto la guida del Capitano Ippolito Centurione, respinge gli invasori.
I Francesi, fallito lo sbarco e terminate le munizioni, la sera del 29 maggio rientrano a Tolone.
Re Sole infuriato per l’accaduto fa rinchiudere nella Bastiglia l’ambasciatore genovese a Parigi Paolo De Marini, il quale riesce a far giungere ai Serenissimi una missiva in cui li esorta a non sottomettersi al despota francese e a non preoccuparsi per lui dato che, per l’onore e la dignità della Repubblica, sarebbe pronto alla morte.
Il diplomatico avrà salva la vita e, incaricato dal Senato, negozierà a Ratisbona la pace, sostanzialmente alle condizioni imposte dal Monarca.
L’anno seguente il Doge Francesco Imperiale Lercari invece, convocato a Versailles, dovrà dar soddisfazione al Re e ratificare il trattato di pace precedentemente pattuito.
“Quadro raffigurante il Doge genovese accolto a Versailles dal Re Sole per ratificare la pace”. Louis 14-Versailles 1685
Ma non rinuncerà al suo orgoglio di GENOVESE, quando interrogato su cosa l’avesse più colpito (il Sovrano si riferiva allo sfarzo della reggia, allo spettacolo dei giochi d’acqua delle fontane, all’opulenza dei nobili di Corte), rispose sprezzante
“Mi chi” (di essere qui io).
Interpretati dall’autore di questo articolo: Il parere degli storici:
Gabriella Airaldi e Antonio Musarra offrono un'analisi ancora più ampia e contestualizzata. Infatti, il bombardamento di Genova può essere visto come parte di un piano più grande di Luigi XIV, che mirava a garantire il controllo del Mediterraneo, particolarmente strategico per il commercio e la guerra.
Il porto di Genova era cruciale, non solo per la sua posizione geografica, ma anche per il suo ruolo come centro di traffico commerciale e finanziario. La presenza delle banche genovesi, che sostennero gli avversari della Francia, amplificava l'interesse di Luigi XIV nel ridurre l'influenza genovese e garantire l'egemonia francese nella regione. In sintesi, la visione di un conflitto tra interessi sui porti e sul potere economico si allinea meglio con le ambizioni imperiali e commerciali di Luigi XIV, piuttosto che con motivazioni puramente locali o religiose.
La sfida, quindi, è quella di promuovere una comprensione storica che vada oltre le superficialità e che incoraggi un dialogo informato.
Riguardo all'episodio della convocazione del Doge a Versailles, è considerato emblematico della relazione tra il potere francese e quello genovese. La risposta attribuita al Doge, "mi sun chi", che in dialetto genovese significa “io sono qui”, è spesso interpretata come un gesto di coraggio e dignità.
Questo scambio è usato frequentemente per illustrare l'impatto dell'autorità e della pompa di Versailles, ma anche il valore dell'orgoglio genovese, nonostante la sottomissione alla potenza francese.
Nonostante non ci siano documenti certi che confermino in modo inconfutabile questo scambio, la leggenda riflette comunque il senso comune di resistenza e l'icona di dignità che i genovesi cercarono di mantenere anche di fronte a una situazione così umiliante.
Questa narrazione ha alimentato il folklore locale e ha contribuito a formare un'immagine di resilienza e fierezza.
Il terribile bombardamento stoicamente subito evidenzia, da ogni prospettiva lo si guardi, la dignità e il coraggio dei genovesi di fronte all'oppressione francese in quel particolare quadro storico, la cui stupenda cornice rappresenta il valore aggiunto dell'identità culturale locale che, puntualmente documentata con ricerche e testimonianze scritte, arricchisce il contenuto narrativo più generale.
Di quel tristissimo evento bellico che costò tanti morti e macerie, rimangono tuttora, dopo 340 anni, le ferite sui muri della Superba, come abbiamo visto.
Per completezza riporto da wikipedia i particolari militari dell’assedio:
* La bombarda (detta anche palandra, o balandra, fino al XVI secolo, dall'olandese bylander, attraverso il francese balandre, bélandre)[1] fu un tipo di nave da guerra a vela di non grande stazza e concepita non per operare contro altre navi, ma contro bersagli terrestri. Si trattava di scafi privi di alberatura, con una fiancata gremita di cannoni di grosso calibro e mortai, mentre l'altra era disarmata. Di solito venivano trainate da lance o da altre navi.
https://it.wikipedia.org/wiki/Bombardamento_navale_di_Genova_(1684)
La mattina del 17 maggio 1684, i genovesi poterono vedere schierate davanti alla loro città 160 navi da guerra francesi, a formare uno schieramento che andava dalla Lanterna alla foce del Bisagno.
In tutto dieci palandre guardate ai lati da grosse imbarcazioni piene di moschettieri in assetto di guerra, erano pronte a far sentire il loro potere offensivo; e a mezzo miglio di distanza 20 galee e 16 vascelli con al centro la nave ammiraglia minacciavano il porto pronte a intervenire.[4]
Si aggiungevano 8 navi da trasporto, 17 tartane e 72 imbarcazioni a remi per il rifornimento delle polveri da sparo, per una flotta che contava in tutto 756 bocche da fuoco posizionate contro la Repubblica.
Il giorno seguente la giunta di guerra presieduta dal Doge, per ritardare il massiccio bombardamento, ordinò al Maestro di Campo generale di intimare alle navi nemiche di allontanarsi, con spari a salve, ma ciò non ebbe alcun effetto, così alcune delle artiglierie costiere diressero il proprio fuoco verso le palandre francesi più vicine, colpendone alcune e costringendo le altre a indietreggiare.
La risposta fu immediata, e verso sera l'artiglieria navale francese mise in mostra la sua superiorità[5], e se anche la replica genovese fu rabbiosa, i pezzi di artiglieria costiera non crearono molti danni alla flotta del Re Sole.
Il 19 maggio il bombardamento fu più violento, e i nuovi mortai da 330 mm[6], furono una tragica scoperta per i genovesi: con il loro effetto devastante, terrorizzarono gli abitanti e causarono molti danni, colpendo il salone del Palazzo Ducale, che finì devastato dalle fiamme in quanto usato come deposito di polvere da sparo.
La Dogana fu distrutta, la casa di Colombo, palazzo San Giorgio, il Portofranco e le chiese di Sant'Andrea, Santa Maria in Passione e Santa Maria delle Grazie subirono gravi danni.
Molte abitazioni e ville furono danneggiate, via san Bernardo, via Giustiniani e via Canneto subirono danni ingentissimi; la notte tra il 19 e 20 maggio i tiri francesi non cessarono, e le temute palandre, protette dall'oscurità dal tiro delle batterie genovesi, avanzarono verso la costa, allungando il loro tiro verso l'interno.
Il Tesoro di San Lorenzo e quello della Banca di San Giorgio furono trasferiti al sicuro fuori dalla linea di fuoco, il Doge si trasferì nei locali dell'Albergo dei Poveri, Don Carlo Tasso ordinò di trasferire quante più truppe possibili nei luoghi dove era più probabile uno sbarco, e operai e i camalli furono arruolati con il compito di contrastare crolli e incendi.
Il 25 maggio furono affondate alcune imbarcazioni all'imboccatura del porto, in città erano ormai piovute circa 6.000 bombe, che:
«Pareva ormai che la città si convertisse in un totale incendio, ma che l'Inferno stesso vi avesse aggiunto parte delle sue fiamme»
. Così scriveva Filippo Casoni dopo il quarto giorno di cannoneggiamenti, ma la Repubblica di Genova tramite il tono orgoglioso del Doge Francesco Maria Imperiale Lercari, non accettò le pesanti condizioni di resa, e rigettò l'intimidazione, rispondendo che la repubblica non era disposta a trattare sotto il fuoco nemico.[3]
Lo sbarco
Per tutta risposta il Marchese di Seignelay intensificò il fuoco dei cannoni, prima di coordinare una simulazione di sbarco verso il litorale di levante, nei pressi della Foce, allo scopo di distogliere le difese genovesi dal vero sbarco che avrebbe dovuto prendere terra a ponente, fra Sampierdarena e la Lanterna.
Le milizie locali sbaragliarono le truppe che misero piede sul litorale della Foce, ma i 3.500 fanti sbarcati a Sampierdarena, protetti dal fuoco di alcune palandre, misero comunque a dura prova le difese della città. Solo l'intervento di volontari della val Polcevera, con un intenso fuoco di fucileria, mise in fuga i francesi che ripresero il largo. Alcuni di loro però dovettero fuggire verso l'interno, impossibilitati a riprendere il largo, per via del furore dei polceveraschi, come raccontato molti anni dopo dal sacerdote Giacomo Olcese:
«[...] i vecchi della nostra parrocchia raccontano che alcuni videro alla Torrazza[7] i francesi, alcuni si nascosero, altri andavano armati in cerca di qualche francese da uccidere[8]»
Una strenua resistenza
Medaglia commemorativa del bombardamento
Nonostante i chiari limiti delle batterie costiere, il cannoneggiamento fu sospeso il 29 maggio, quando la maggior parte della flotta riprese il mare in direzione di Tolone, desistendo dal tentativo in quanto le scorte di polvere da sparo e munizioni erano terminate, e lo sbarco fallito.
Genova mostrava i segni del martellamento navale: oltre 16.000 bombe caddero sulla città, circa la metà rimase inesplosa, circa un terzo degli edifici evidenziò danni anche ingenti, giacché la città fu colpita fino al quartiere di Oregina dal tiro delle palandre spintesi quasi alla costa.
L'orgoglio dei Genovesi però non cessò mai, venne eletta a protettrice della città santa Caterina Fieschi Adorno, subito iniziarono i lavori di ricostruzione per riportare la città al consueto splendore e le opere di rafforzamento delle difese della città e dell'ingresso del porto.
Il poeta genovese Giovanni Battista Pastorini scrisse per l'occasione il sonetto Genova mia, compreso nella raccolta Poesie, pubblicata postuma a Palermo, nel 1684.
Il Doge Francesco Lercari trattò l'arruolamento di 2.000 fanti svizzeri e 300 cavalli, il tratto dello sbarco fu al centro di particolari rafforzamenti, e si scavarono trinceramenti avanzati allo scopo di dissuadere ogni tentativo futuro.
LA PACE
Nel timore di un nuovo attacco francese, il governo della Repubblica si rivolse perfino a papa Innocenzo XI per esortare Luigi XIV ad abbandonare i suoi progetti bellicosi nei confronti di Genova, anche per il timore della Santa Sede che un nuovo bombardamento avrebbe scosso le coalizioni diplomatiche, spingendo la Repubblica e la sua cerchia di alleanze a stringere commerci con paesi «barbari dove non sono Chiese né Monasteri di vergini»[9], ossia l'Impero ottomano.
Così il compito fu affidato al cardinale Ranucci, rappresentante della Santa Sede a Parigi, che si recò alla corte del Re Sole:
«Rappresentando il gran dolore concepito da Sua Santità per il suddetto accidente e i gravissimi danni patiti dalla Repubblica e il sommo disturbo che riceveva l'Italia e la guerra contro il turco, pregando però S.M. di tralasciare risentimenti così pregiudiziali anco a pubblico bene, e deponer ogni sinistro concetto formato contro quel Governo e reintegrarlo nella Real Gratia[9]»
Note
1. ^ Luigi XIV, Memorie, Bordigheri, Torino, 1962
2. ^ Pierre Goubert, Luigi XIV e venti milioni di francesi, Bari, Laterza, 1968
3. Renato Dellepiane, Mura e Forti di Genova
4. ^ Renato Dellepiane, Mura e Forti di Genova, p. 224
5. ^ L'impiego francese delle artiglierie rappresentava la massima evoluzione del periodo: già nel 1683 a Parigi fu stampato L'Art de jetter les Bombes, scritto dal Maresciallo François Blondel, opera indicativa sui progressi raggiunti nella teoria e sperimentazione del tiro e dei materiali d'artiglieria
6. ^ Già utilizzati dalla flotta francese due anni prima contro Algeri, con risultati molto efficaci, che indussero i francesi a moltiplicarne i pezzi e le tecniche
7. ^ Frazione di Sant'Olcese
8. ^ Giacomo Olcese, Storia civile religiosa di Casanova, tipografia della Gioventù, Genova, 1900
9. Manoscritto Ristretto del Ministero del Sig. Cardinale Angelo Ranucci [...] nelle quali si tratta del bombardamento di Genova [...]- Biblioteca Civica Berio, Genova
Concludo segnalando un articolo-riepilogo dei principali bombardamenti subiti da Genova nella sua lunga storia.
BOMBA SU BOMBA …. ((Il secondo di tre articoli)
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Carlo GATTI
Rapallo, 12 Dicembre 2024
UN BELL'ARTICOLO RITROVATO - O Gôrfô di nescii - IL Mare–23 novembre 1929
UN BELL'ARTICOLO RITROVATO
O Gôrfô di nescii
IL Mare–23 novembre 1929
Pezzi di Storia - 18 ottobre 2015
La proverbiale ed equivoca antifrase (1)
Quando, non è molt'anni il Mare sciorinò quello stelloncino fluido, brioso e commemorativo dal titolo «Michelin ó Nescio» vi fu più d'un lettore di detto periodico marino, che spontaneamente esclamò: Siamo nella Capitale del Gôrfô di Nescii ed il Mare ne ricorda uno, come se si trattasse di un caso raro e di un'avis-unica?
E giù una risata di buon sangue! coronata dall'eco degli uditori.
E la trovata quasi peregrina si propagava presto, divenendo lepido argomento di pubblico ciarliero dominio nelle brigate e nelle adunanze amichevoli tanto nell'alta casta come nel basso ceto. Sappiamo però che una volta saltò finalmente fuori uno, che - alla meraviglia di ignoranza figlia - quasi celiando rispondeva ad uno di cotali interlocutori: Sarà! ma io, che sono un giovane ed autentico rapallino, sospetto, che questa frase sia stata tirata fuori extra-Rapallum a modo di antifrasi assai significativa, volendosi cioè con tal motto darsi ad intendere, che la bocca dicea così ma che nella mente c'era tutt'altro concetto e portava in proposito qualche esempio: Caronte, secondo la mitologia greco-romana, portava le anime dei delinquenti al Tartaro cioè all'Inferno, e, secondo Dante, avea occhi di bragia, eppure il nome di Caronte voleva dire (dal verbo greco chairo) grazioso! Le Dive Parche, Cloto, Láchesi ed Atropo, che presiedevano alla vita degli uomini erano dette Parche cioè Perdonanti perché non la perdonavano a nessuno (la morte). I Razionalisti si dicono tali perché non ragionano, i Russi si chiamano Ortodossi cioè di religione dritta appunto perché sanno che invece l'è storta e così questo Golfo di Tigullia è stato chiamato tale perché in realtà gli abitanti sono troppo furbi!…
Si può ammettere questa spiegazione oppure se ne deve dare un'altra?
Ecco ciò che togliamo noi a dimostrare.
Volgeva nella sua quarta decade il Secolo XIX p. p. ed un'eccitazione psicologica popolare cominciava ad accendersi in Italia con orizzonti, e miraggi, ansie e speranze, tendenze e spasimi di Rinascenza, di Indipendenza, di Libertà, di Nazionalità e di Romanesimo, in poche parole, di una futura vita novella. Le adunanze, i cortei, le acclamazioni erano diventate cerimonie di ogni giorno; sorgevano qua e là bande e filarmoniche, musiche, crocchi e processioni laiche che davano a quando a quando in rapsodie e canti popolari di questo tono:
Sorgete Italiani
A vita novella
d'Alberto la Stella
Risplende nel ciel!
Senonché l'esaltazione non si conteneva nei limiti dell'estrinsecazione di sensi, di voti e di anelazioni di progresso, di unità, e di indipendenza patriottica ma si evolvea in ben diverse maniere. Da per tutto si vedevano strade romane, si costumava coniare nomi di romana provenienza, si dettavano iscrizioni sopra battaglie avvenute tra le legioni romane e le liguri popolazioni famigliarizzate con le alture dell'Apennino, si denominavano località, ponti, e campi da Gneo, da Pompeiano, da Annibale, da Marte, da Ermete ecc. e si apponevano lapidi commemorative in proposito di tanti sognati avvenimenti; si indossavano marsine verdi, coccarde tricolori e persino venditori con angurie o cocomeri (pateche) verdi, tavolo bianco e carta bianca per fasciarla bene. Sembrava un'epoca di concordia nazionale per un'aspirazione di un interesse comune: la Patria.
Eppure il vecchio regionalismo italiano, che durò tanti secoli non volle dimostrare di essere cenere o resto di sepoltura, perché una pioggia di nomignoli, e di titoli disprezzativi si diffondeva tra una provincia e l'altra, non so se per accendersi meglio di emulazione e di entusiasmo l'una con l'altra, o per censurare la sociale condotta di disunione politica ed amministrativa tenuta fino allora da esse davanti agli stranieri che si servivano del frazionamento italiano per discendere spesso tra di noi… ad ungere le nordiche basette!
Di fatti i Comachi erano definiti per altrettanti Cipollati o Cigolati, i Pistoiesi per pattonai, i Pratesi per ranocchïai, i Fiorentini per Mangia-fagiuoli, i Milanesi per buseconi o trippai. I Pisani a lor volta riesumavano i nomignoli del sec. XIII di scopa-boca o stoppabocca ai Genovesi ed a quei di Portovenere, di streppa borsello ai Lucchesi ecc. Dalle città il dispregiativo passava ai borghi ed ai villaggi ed ecco i cigolli, i belât, i meizanne pinne, i sueli, i gli erbo-de gabba, i putaê, côppaî, tegoin, fiori de succa, axi, baggi, ecc. ecc. Ai nomignoli vezzegiativi succedevano poi le frasi grottesche v. g. Zeneise riso raëo! (sulla bocca marinaresca del Genovese il riso o sorriso è raro), Piemonteise R… corteise; ladri de Pisa e tra queste quelle la citata antifrasi ô Gorfô di Nescii per indicare il Golfo del Tigullio, specialmente da Portofino a Zoagli.
In quel tempo scorrevano ancora i mari per i viaggi di cabotaggio, Maremme, Civitavecchia, Corsica, Sardegna, Sicilia ecc. navi di costruzione non progredita benché cominciasse già – la febbre delle macchine – e si erigesse già qualche cantiere navale di importanza sulle Liguri spiaggie per la costruzione in legno tipo moderno.
Or bene avveniva di sovente, che tra i capitani di secondo corso alcuni più audaci e forti, giunti dinnanzi a Rapallo ed a S. Margherita, nell'infuriar del libeccio affrontavano il capo di Portofino e continuavano per alla volta di Genova, mentre altri invece più pavidi e più cauti dicevano: un giorno più un giorno meno torna lo stesso…! e in così dire atterravano a S. Margherita ed a Portofino, poco curanti dei rimbrotti della consorte o degli amici, o dei motteggi di qualche ozioso scaldacalate del porto di Genova.
Arrivando i primi (cioè i più coraggiosi) a Genova nelle ore vespertine o sul cadere del giorno erano salutati da ovazioni intronanti dagli aspettatori.
Bravi! Bravi'! Pensavamo, di non vedervi ancora oggi… avevamo paura che… temevamo che il mare agitato così vi potesse arrestare… Bravi! Voi… che siete uomini coraggiosi… e valorosi capitani…!
Per contro certe donne e molti figli, non vedendo comparire le barche dei loro aspettati, facevan ressa attorno agli arrivati e li tempestavano di domande: e la barca N. e la scônnia F. e la tartana M. e il cutter G… dove sono? Ah! essi, rispondevano gli interpellati, sono stati più furbi di noi… si sono fermati per via ed arriveranno forse domani…
Ah! Ah! Abbiam capito tutto! Zà! Zà! si saran fermati al solito in tó Gôrfô di Nescii (cioè dove per paura approdano tutti i paurosi, i timidi, gli inesperti) e così tartagliando se ne tornavano dolenti e quasi disillusi alle bicocche loro.
Ecco la spiegazione ovvia, facile, naturalissima dell'antifrase «ô Gôrfô di Nescii» fra le varie puerili e insignificanti soluzioni che ci pervennero all'orecchio.
Nescii (1)
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sarebbero quindi, per equivoco, gli estranei al Golfo, perché timidi profittano nell'occasione di temibile procella o di eccessivo ondeggiamento dello specchio acqueo del mare genovese e cercano volentieri riparo nel porticciuolo di Portofino o di S.ta Margherita per una breve precaria sosta. E' dunque un'antifrase, che in sostanza vuole significare il contrario, cioè che ha una contraria relazione con ciò che letteralmente prova la pronunciata voce.
-
Eppoi coloro che per una prudenza forse eccessiva atterravano a S. Margherita od a Portofino erano davvero nescii o davvero asperti? E' questo un problema nautico, che suole essere deciso dagli effetti del dopo e non prima.
Basti ricordare
-
che la storia del Golfo Tigullio fa i nomi di valenti capitani di lungo corso, di Ammiragli di flotte abbastanza celebrati, e persino di qualche Pontefice, che amarono mettersi al sicuro nel Golfo dei Nescii a Portofino ed a S. Margherita che andare incontro por un viaggio pericoloso ed una probabile disfatta nelle scogliere della Riviera.
-
che una sfuriata straordinaria di libeccio fece rientrare di un metro per la lunghezza di circa 50 metri un pezzo dell'avambraccio colossale del nuovo molo della Lanterna di Genova nel 1898; sollevò dal fondo del mare gli adiacenti blocchi di 30 tonnellate l'uno, mandando con un urto terribile dei marosi, colonne furenti di acqua fino a 60 ed a 100 metri di altezza. Il mondo marino sarà stato sempre lo stesso anche nel tempo che ricordiamo, con la sua alea capricciosa di bonaccia e di tempeste.
Per conseguenza il facile sarcasmo era di sua natura individuale e non sociale cioè non localizzato al paese benigno, che accoglieva i più prudenti ed i meno audaci.
Il Golfo Tigullio non fu ad altri secondo nel dare figli e lupi di mare, capitani e nocchieri esperti e profondi in nautica cultura ed in pratica di viaggi di cabotaggio e di lungo corso da sentirsi meritevoli di tale dispregiativo.
Non rievochiamo i fasti storici navigatorii dei capitani, piloti, padroni ed armatori di navi e di triremi ai lettori, che ne sanno più di noi.
Come nacque il dubbio della antifrase?
Nel pullulare di varie interpretazioni puerili, cervellotiche e gratuite di tale proverbio rivierasco, tra le quali una lo originerebbe dai pesci, che nello specchio acqueo di Rapallo si lasciano prendere all'amo più che in altri seni di spiaggia!! (in tal caso i pesci e non gli abitanti sarebbero i veri nescii!) e l'altra che nel Golfo Tigullio spesseggiano troppo i mentecatti, e la terza che il clima è debole e quasi effeminato, la quarta che è una zona quasi morta alla vita commerciale ecc. ci voleva un fatterello, che mettesse sulle orme di un senso di interpretazione più oggettivo imparziale, ermeneutico della tradizione e della storia e venne davvero nel pomeriggio del 24 aprile del 1926.
Il piroscafo Menfi partito da Tripoli (toccate Tunisi, Cagliari, Civitavecchia ed in ultimo il porto di Livorno) arrivava dinnanzi il Tigullio, verso le ore 17. Uno infuriamento di scirocco facea ondeggiare bruscamente il mare… sì che non pochi viaggiatori e viaggiatrici temevano, che quel ferravecchio di piroscafo fra il rullìo ed il beccheggio, che più volte ci fece dondolando provare… ci rinnovasse qualche quarticello d'ora penoso. Ne fu interpellato il Comandante il quale, additandoci il capo di Portofino, ne disse: Attendano Signori un pochino, ché, oltrepassata quella punta, vedranno la calma! E perché? Ah! perché Portofino è un riparo per le sfuriate di libeccio, ma per contro è un Alt! contro le ondate di scirocco proteggendo la Riviera di Genova da Camogli a Capo di Faro.
Fu allora, che per una logica induttiva e semplice intendemmo chiaramente, che i Nescii del proverbio così balbettato da persone ignare (dell'origine di detto nomeaggio, di pratica e di teoria nautica e di patrie tradizioni) erano troppo asperti ricorrendo al riparo sicuro contro l'ira perversa del garbino o libeccio, che sfuria sovente tra ponente e mezzogiorno e sotto il nome portoghese di Monçào, e spagnuolo di Monzondomina nei mari delle Indie e propriamente il vento che soffia a sud-ovest.
(1) Figura retorica che consiste nell'esprimersi con termini di significato opposto a ciò che si pensa, o per ironia o per eufemismo
COMMENTO di Carlo GATTI
Il Golfo dei Nescì
Un’Antifrase Piena di Storia e Ironia
Una precisazione è d’obbligo!
In questo commento all’articolo del MARE, ripreso dalla Gazzetta di Santa, con il termine “rapallini” mi riferisco ai cittadini e marinai costieri che nulla hanno a che fare con i marittimi rapallini naviganti sui velieri d’altura dell’800 che furono superbi ATTORI, perfettamente inseriti in quella grandiosa storia conosciuta come EPOPEA DELLA VELA al pari, per capacità e valore, dei loro contemporanei colleghi di Zoagli, Camogli e Chiavari.
E’ quindi utile qui ricordare che Rapallo ebbe una delle prime Scuole Nautiche d’Italia ed un Cantiere Navale, (oltre ai tantissimi minori a carattere famigliare), che varò Brigantini Oceanici.
L'articolo del 23 novembre 1929 della rivista Il Mare di cui non si riporta l’autore, esplora con acume e ironia il noto soprannome "Golfo dei Nescì". Questo termine, derivante da "nesci", ovvero "senza sale", evoca non solo un senso di scemenza, ma riflette anche la storica rivalità tra le comunità marinare del Golfo di Tigullio. Il goliardico gioco di parole si è trasformato nel tempo in un simbolo di astuzia e furbizia locale, tanto che la sua diffusione era palpabile in ogni angolo del golfo, avvolgendo chiunque vi fosse immerso in un'atmosfera di ironia condivisa.
Ricordiamo come il contesto storico del 1929 fosse intriso di fervore patriottico, dato il panorama politico e sociale italiano.
L’articolo fa riferimento a un periodo in cui le antiche rivalità regionali si mescolavano a un rinnovato senso di identità nazionale. In questo gioco di parole e metafore, l'audacia dei marinai che sfidavano il mare tempestoso si contrapponeva alla prudenza di quelli che cercavano rifugio nei porti sicuri di Portofino, Santa Margherita e Rapallo.
L'ironico richiamo agli "autentici rapallini", che consideravano il termine un'ironia degli estranei, evidenzia il costante gioco tra coraggio e paura che trascende il tempo e lo spazio. Queste delicate dinamiche tra marineria e geografia si riflettono in una serie di storie, aneddoti e nomignoli che, attraverso i secoli, hanno contribuito a costruire l’identità del Golfo.
La metafora dell’antifrase viene ripresa efficacemente in un contesto più ampio: l’idea che la stessa furberia che viene ridicolizzata possa in realtà essere una virtù, un'abilità necessaria per sopravvivere non solo in mare, ma anche nel tessuto sociale di una comunità che si evolve.
ASTUZIA E MARINERIA
La splendida foto sotto rispecchia l’Astuzia ed il senso marinaresco di chi sa andare per mare!
PORTOFINO - Tra le due “carrette” gemelle dello stesso armatore, in un romantico quadretto centrale, appare un leudo, tra una Scuna (brigantino goletta) a sinistra. ed una Goletta a destra.
Il Golfo, quindi, non è solo un luogo di rifugio, ma un crogiolo di storie di audacia, ingegno e, a volte, di una certa ironica follia.
Il “Golfo dei Nescì” non è solo il risultato di un gioco di parole, ma un simbolo della ricca tradizione marinara e culturale che abbraccia l’essenza del Tigullio. La sua narrativa è un invito a riflettere su come le parole, con la loro storia e il loro peso, possano esprimere verità più profonde sulla vita e sulla comunità.
La Fortuna dei Rapallini: Naviganti in un Golfo Protetto nel panorama marittimo della Liguria.
Rapallo emerge come una perla, ben riparata dal temuto vento di Libeccio grazie al promontorio di Portofino che salendo sino a 600 mt s.l.m. la ripara anche dal vento di Maestrale. Questo vantaggio geografico ha permesso ai rapallini di diventare i fortunati custodi di un microclima favorevole, che li differenzia nettamente dagli abitanti delle altre località esposte alle vessazioni del mare.
Secondo antiche NESCE credenze, i rapallini sono considerati i "meno marinai" dell’arco ligure per il contesto che si sono trovati a vivere. La protezione offerta dal promontorio di Portofino non solo garantisce riparo, ma ha anche contribuito a generare una cultura che, sebbene affondando le radici nel mare, ha saputo svilupparsi in modo diverso rispetto ai loro vicini più esposti. Essere meno marinai non significa essere meno capaci; anzi, implica una saggezza maturata nella comprensione delle dinamiche del mare e dei suoi capricci. Gli antichi rapallini, con il loro testimoniato spirito di naviganti d’altura, hanno imparato a valorizzare ciò che il mare offre, senza esserne schiacciati. Questa adattabilità ha creato una comunità resiliente, che sa convivere con le sfide del mare e della vita.
Nel contesto attuale, questa riflessione diventa emblematicamente significativa, poiché ci ricorda l’importanza di riconoscere e apprezzare le peculiarità culturali e ambientali di ogni luogo. Oggi i rapallini, con la loro fortuna e il loro ingegno, hanno forgiato un'identità che celebra la relazione tra uomo e mare, facendo di Rapallo non solo un porto sicuro, ma anche un simbolo di astuzia e armonia.
QUANDO IL LIBECCIO NON FA SCONTI A NESSUNO…
UN CICLONE DA LIBECCIO DEVASTÒ IL PORTO DI GENOVA (19.2.1955)
Frantumò oltre 400 metri di diga, irruppe nello scalo genovese e fece strage di moli e di navi.
(Dalla Relazione sui Pilotaggi effettuati nel Porto di Genova durante il Ciclone del 19 febbraio 1955).
https://www.marenostrumrapallo.it/ciclone/
di Carlo GATTI
IL DRAMMA DELLA LONDON VALOUR IN TRE PUNTATE
1a
IL GIORNO DEL DIAVOLO
https://www.marenostrumrapallo.it/il-giorno-del-diavolo/
di Carlo GATTI
2a
"LONDON VALOUR"
GENOVA-LIBECCIO, VENTO DI EROI E DI MORTE …
https://www.marenostrumrapallo.it/lbeccio-vento-di-eroi-e-di-morte/
di Carlo Gatti
3a
“LONDON VALOUR”
LA NAVE CHE AFFONDO’ DUE VOLTE
https://www.marenostrumrapallo.it/london-valour-la-nave-che-affondo-due-volte/
di Carlo Gatti
Carlo GATTI
Rapallo, Giovedi 5 Dicembre 2024