LA TRAGEDIA DELLA PETROLIERA ITALIANA “LUISA”
Fu una sconfitta della solidarietà umana?
Tra i tanti articoli trovati sul web ho scelto quello della brava giornalista Agata Sandrone che, a distanza di 50 anni, ha saputo raccontare con maestria le varie fasi dal tragico naufragio della petroliera italiana LUISA, non tralasciando l’aspetto emozionale che ancora oggi ci riempie di commozione.
Per alcuni di noi il nome Luisa può sembrare un nome proprio di una bella ragazza. Non è così se lo associamo alla tragedia del 5 Giugno 1965. “Luisa” era una bellissima petroliera iscritta al compartimento di Palermo, ma era di proprietà di una società veneziana, la Cosarma. La petroliera da 31mila tonnellate fu distrutta da un gigantesco rogo a Bandar Mashous, nel golfo Persico. Nella Luisa c’erano 41 marinai, tra cui 17 Siciliani e 9 Palermitani; tra questi marinai 4 facevano parte della borgata di Sferracavallo: Vincenzo Giammanco, Ignazio Vassallo, Salvatore Cricchio e Nicola Favaloro e Lo Bello Francesco di Isola delle Femmine. La petroliera Luisa era giunta a Bandar Mashur, il più importante porto per l’esportazione del petrolio iraniano. Era stata noleggiata dal consorzio petrolifero iraniano e stava effettuando al molo 1 un carico di 25.000 tonnellate di greggio destinato all’Italia. E’ stato proprio al completamento delle operazioni che nella caldaia della nave si è verificato un esplosione. Tempestive sono state le manovre del comandante per allontanare la nave dal molo, evitando così che le fiamme giungessero ai magazzini del porto. Con questo disperato tentativo scongiurò una catastrofe peggiore. La nave in fiamme si allontanò sempre più dal porto, cominciandosi a inclinare fino a capovolgersi. Le fiamme invasero il mare e anche se i marinai si fossero buttati in acqua sarebbero stati accerchiati dalle fiamme.
Alla fine la Luisa affondò e ventotto dei quarantuno membri dell’equipaggio persero la vita, tra questi tre marinai di Sferracavallo e il povero ragazzo isolano. L’unico scampato, ma bruciato in gran parte del corpo, fu Nicola Favaloro un mozzo di appena 19 anni. I familiari e l’intera borgata appresero la notizia della terribile tragedia alla radio e quando la madre sentì il nome del figlio svenne. Pochi metri accanto, in un’altra modesta abitazione, la famiglia di Vincenzo Giammanco di 40 anni, fuochista, scoppiava in un pianto dirotto: il loro Vincenzo era stato ucciso nella terribile esplosione, lasciando la moglie Dora e due figli molto piccoli. Così pure la famiglia di Ignazio Vassallo di 49 anni cadde nel profondo dolore. Anche lui lasciò moglie e figli. Ignazio era un uomo molto scrupoloso nel compimento dei suoi doveri ed era costretto a vivere spesso lontano dalla famiglia per motivi di lavoro. Come il povero Salvatore Cricchio di 27 anni, motorista, il più piccolo di nove figli (da tutti veniva chiamato Turiddu) che apparteneva ad una famiglia di pescatori che abitavano alla zotta; lasciò i suoi genitori e la fidanzata, che era prossima a diventare sua moglie. Dopo qualche mese per il padre Vincenzo fu talmente grande il dolore che il giorno di Natale lo trovarono morto inginocchiato davanti alla foto del figlio.
Nella borgata di Sferracavallo e negli altri paesi della Sicilia da dove partirono i poveri marinai, furono svolti i funerali senza le salme dei propri cari. I resti umani che furono ritrovati non hanno dato la possibilità risalire ad un’identificazione e quindi furono posti con unica sepoltura al cimitero di Venezia, luogo deciso dalla società Cosarma.
Il 4 Giugno 2015, prima di sera, nel porto di Sferracavallo il parroco della borgata, Massimo Pernice, ha celebrato una messa per ricordare le vittime della petroliera Luisa incendiatasi il 5 Giugno 1965 nel golfo Persico. Nel ricordo dei nostri tre compaesani e di un ragazzo di Isola delle Femmine, periti in quell’occasione, è stata lanciata in mare una corona di fiori.
Agata Sandrone
Il primo marittimo della lista delle vittime: Lazzaro PARODI di Varazze, era il Comandante della LUISA. Unico ligure nel Ruolino Equipaggio della nave.
La T/n LUISA era stata costruita nei primi anni ’60, al momento del disastro era praticamente nuova, moderna, veloce e molto sicura. Le sue sister ships navigarono fino alla pensione.
In questa mappa del Golfo Persico, il cerchio rosso più alto indica il porto del Golfo Persico dove è avvenuta l’esplosione ed il successivo affondamento della LUISA nella rada antistante.
Purtroppo, della tragedia della T/c LUISA non ci è pervenuta alcuna testimonianza e/o relazione scritta dell’accaduto. A distanza di tanti anni non si sa praticamente nulla delle cause che produssero tanti morti, dolore e costernazione tra i familiari delle vittime, ma anche tra i tanti marittimi che si sono sentiti vicini a questi EROI del mare che incontrarono la morte in circostanze che forse si potevano evitare. Morire in mare in acque portuali o comunque davanti alla costa è inspiegabile per non dire inaccettabile! Purtroppo la letteratura marinara è ferita anche da questi casi non del tutto rari!
Dobbiamo fare una precisazione. All’epoca dell’incidente della T/n LUISA, il porto iraniano che fu teatro del naufragio della nave italiana si chiamava Bandar Shahpur. (Bandar significa Porto).
Tutti i reportage giornalistici dell’epoca usano infatti quel nome, così come noi ex naviganti anche di petroliere, continuiamo a ricordarlo con quel toponimo. Tuttavia va registrato che, in seguito alla rivoluzione del 1979, quel complesso portuale prese il nome dell’ayatollah Khomeini, diventando: Bandar-e Emam Khomeyni.
Una dozzina di chilometri a est del porto di Bandar-e Emam Khomeyni si trova il porto petrolifero di Bandar-e Mahshar; in quel distretto portuale petrolifero era attraccata la LUISA al momento dell’esplosione in Sala Macchine.
La foto (sopra) si riferisce all’impianto petrolifero di Bandar-e Mahshahr. In una di queste banchine a T era ormeggiata la T/n LUISA.
In questa mappa della parte più a Nord del Golfo Persico, è rappresentato l’intero complesso portuale iraniano che fu teatro della tragedia della T/n LUISA.
Nelle foto sotto abbiamo recuperato le foto del locale Porto Petroli iraniano.
A sinistra della foto si erge la Torre antincendio del tipo simile a quelle installate nel Porto Petroli di Multedo-Genova
COMMENTO
Sono passati 57 anni da quel tragico avvenimento del quale, per mancanza di testimonianze orali e scritte dell’equipaggio italiano, non si è mai neppure sfiorata la VERITA’ su quanto successe veramente quel giorno.
Ci furono sicuramente inchieste da parte delle Autorità Portuali e Marittime che ebbero lo scopo di salvaguardare gli interessi iraniani per recuperare il denaro necessario a riparare i danni compiuti dalla nave italiana alle strutture portuali.
Purtroppo, come sanno coloro che hanno “navigato” in questi ambienti, certi fatti si mettono a tacere nel più breve tempo possibile. Questo è il compito principale delle Società di Assicurazioni delle navi e del carico che trasportano; le eventuali controversie che sorgono tra le parti vengono regolate “silenziosamente” nell’interesse generale del trasporto petrolifero quale LINFA indispensabile e necessaria che alimenta l’intero circuito economico-industriale del mondo intero.
THE SHOW MUST GO ON – L’esempio di questo “sistema” tuttora in atto, lo abbiamo sotto gli occhi in questi giorni di guerra tra la Federazione russa e l’Ucraina che ci mostra quanto sia preziosa una certa fonte energetica e quanto essa possa incidere sull’economia locale e globale degli Stati industrializzati.
Nel 1965 il Porto iraniano di Bandar Mashur era, ma lo è tuttora, uno fra i principali “distributori” di Petrolio del Golfo Persico. Chi ha navigato sulle petroliere in quel periodo, come il sottoscritto e molti soci di M.N., ricorda i lunghi convogli di petroliere di tutte le bandiere transitare nel Canale di Suez e accodarsi in fila indiana nel Golfo Persico e poi dividersi per andare a caricare il crude Oil nei vari porti di produzione nel Kuwait, Arabia Saudita, Iran e Irak per poi trasportarlo verso l’affamata Europa, Sud Africa ed Estremo Oriente ed altre nazioni in espansione economica.
Naturalmente in Italia e nel mondo “assetato” di petrolio, esistevano ed esistono tuttora altrettanti porti petroliferi attrezzati con gli stessi impianti molto tecnologici del Golfo Persico che, una volta acquisito il “prodotto”, lo pompano verso le raffinerie che lo trasformano nelle varie benzine e molti altri prodotti chimici che vengono poi smistati via mare e su gomma verso le città e le zone industriali del nostro paese.
Le Sette Sorelle Americane governavano allora l’intero mondo petrolifero, e da loro provenivano anche i modelli architettonici di banchine portuali e impianti di pompaggio nonché l’insieme delle normative legate alla loro sicurezza e a quella delle navi operative in banchina.
Ho descritto con brevi annotazioni il circuito petrolifero internazionale per entrare nell’argomento SICUREZZA, con lo scopo di mettere a confronto il comportamento tenuto dall’Autorità portuale di Bandar Mashur con le PROCEDURE messe in atto dalle Autorità del Porto Petroli di Multedo-Genova il quale si trovò ad affrontare un caso analogo a quello accaduto alla T/n LUISA.
L’incidente cui mi riferisco, successe il 12.7.1981 alla petroliera giapponese “HAKUYOH MARU” che fu colpita improvvisamente da un fulmine mentre si trovava sotto discarica nella banchina denominata “Pontile GAMMA”, lato di Ponente del Porto Petroli di Multedo-GE.
“Purtroppo si dovette registrare la morte di quattro membri dell’equipaggio della petroliera giapponese Hakuyoh Maru, ma anche di un tecnico della SNAM e di un guardiano di bordo”.
FATTO GRAVISSIMO! Ma come potrete leggere tra breve, l’Autorità portuale genovese fu in grado di limitare i danni prendendo decisioni immediate, sensate e soprattutto MARINARESCHE.
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Fu subito evacuato il personale di bordo, sbarcato, allontanato dalla nave e messo in sicurezza.
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La nave fu sottoposta ad un immediato BOMBARDAMENTO di prodotti antincendio dalle TORRI situate lungo la banchina e dotate di potentissimi cannoni “telecomandati” da apposite cabine esterne al perimetro delle banchine operative. La nave fu immediatamente circondata dai mezzi antincendio dei Pompieri e dai Rimorchiatori dotati di spingarde. Questi mezzi rimasero a lungo sotto lo scafo per raffreddarlo evitando ulteriori esplosioni.
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Nei 45 minuti successivi la prima esplosione, ben CINQUE NAVI ormeggiate alle banchine limitrofe furono portate in rada, in totale emergenza, dai servizi portuali: Piloti, Rimorchiatori e Ormeggiatori. La “fuga” dal porto fu programmata e realizzata tempestivamente scegliendo le petroliere che si trovavano più vicine alla Hakuyoh Maru perchè erano già pericolosamente surriscaldate: “da far bruciare i piedi”! – Come ebbe a testimoniare il Pilota Giancarlo Cerutti.