ROMA
„Sì, posso dire che solamente a Roma ho sentito che cosa voglia dire essere un uomo. Non sono mai più ritornato a uno stato d’animo così elevato, né a una tale felicità di sentire. Confrontando il mio stato d’animo di quando ero a Roma, non sono stato, da allora, mai più felice.“
Johann.Wolfgang.von.Goethe
FONTANA DELLA BARCACCIA
Immersa nella fontana omonima, il nome barcaccia è già di per sé un programma … poiché non era proprio una bella imbarcazione, anzi era piuttosto tozza e possente proprio come una barca da lavoro che era per certi versi simile ad un rimorchiatore laborioso ed instancabile del secolo scorso.
Un breve inciso:
Quando fui assunto dalla Società Rimorchiatori Riuniti di Genova, la prima cosa che imparai salendo a bordo del M/r BRASILE fu davvero sorprendente: non si chiamava “rimorchiatore” ma BARCACCIA per i furesti, BARCASSA per i genovesi: un nome particolare che avevo ignorato fino a quel momento. Mi suonava “strano” soprattutto perché il BRASILE era stato varato da pochi anni ed aveva una linea molto elegante che le conferiva il primato di “primadonna” tra una sessantina di “mastini” molti dei quali meritavano il nome di “gloriosa barcaccia”.
Non era un termine dispregiativo, ma piuttosto la reminiscenza storica di un “barcacciante”, (uomo di rimorchiatore, esperto nelle manovre navali portuali, che sa come aiutare una nave in difficoltà), che era stato a Roma per turismo e dopo aver visto LA FONTANA DELLA BARCACCIA, ritornò a Genova per diffondere un nuovo termine marinaro che testimoniasse la gloriosa discendenza del “gruppo RR genovese” dai navigatori portuali tiberini i quali, come i loro antichi predecessori romani, trasportavano le merci dal porto “marittimo” di Traiano a quello fluviale di Ripetta nel centro di Roma.
Si parla della FONTANA DELLA BARCACCIA come di uno dei luoghi più fotografati di Roma, sarà per la presenza di Piazza di Spagna che si trova ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti, sarà per il rituale di bere un sorso d’acqua, ma forse perché la Barcaccia è uno dei piccoli grandi capolavori di Roma.
L’opera fu costruita al livello del suolo per compensare la poca pressione dell’acquedotto dell’Acqua Vergine che in quel punto era molto bassa. Sulla parte esterna della prua e della poppa sono due grandi stemmi di Urbano VIII con tre api, simbolo della famiglia Barberini; ai lati degli stemmi l’acqua esce da finte bocche di cannone. Nella parte interna vi sono invece due soli con volto umano, altro emblema dei Barberini, dalle cui bocche esce l’acqua, raccolta da volute che la incanalano verso l’esterno. Al centro, da una vasca, esce un altro grosso zampillo d’acqua.
FONTE: Anna Maria Cerioni
L’insolita vasca a forma di barca riceve l’acqua versata da un catino centrale allungato e da due grandi soli, posti internamente a prua e poppa dello scafo. Dai lati, realizzati in modo da dare la percezione che la barca stia affondando, l’acqua trabocca nell’ampio bacino sottostante, in cui, delle bocchette di finte cannoniere, sui lati esterni a prua e poppa, versano zampilli d’acqua, incorniciando gli stemmi papali con le tre api, simbolo della famiglia Barberini.
Tra le diverse interpretazioni che riguardano la fontana della BARCACCIA di piazza di Spagna, ne segnaliamo due che hanno antiche tradizioni popolari. La prima ci racconta come la particolare forma della “fontana della Barcaccia” deriverebbe dalla presenza nella piazza di una barca in secca giunta lì a causa della piena del Tevere del 1598.
L’altra ipotesi parte ancora da più lontano e riporta che sul posto vi si svolgesse una naumachia che nell’Antica Roma era uno spettacolo direi “teatrale” che rappresentava una storica battaglia navale del passato.
Per l’inaugurazione del tempio di Marte Ultore (Marte Vendicatore), Augusto diede una naumachia che riproduceva fedelmente quella di Cesare. Come ricorda egli stesso nelle Res gestae, fece scavare sulla riva destra del Tevere, nel luogo denominato “bosco dei cesari” (nemus Caesarum), un bacino dove s’affrontarono 3.000 uomini, senza contare i rematori, su 30 vascelli con rostri e molte unità più piccole.
Riferimento: due LINK di Carlo GATTI
LE NAUMACHIE PIU’ FAMOSE DELLA STORIA
https://www.marenostrumrapallo.it/nau/
STORIA DELLA NAUMACHIA
https://www.marenostrumrapallo.it/machi-2/
Infine, in base allo shape stesso della “Barcaccia”, con le sue murate basse e larghe, non è da escludere la teoria che, nel mondo romano, la barcaccia fosse semplicemente un’imbarcazione, che risaliva il Tevere fino al vicino porto di Ripetta, ed era adibita al trasporto fluviale dei barili di vino provenienti dalle province romane del Mare Nostrum.
La fontana della Barcaccia, collocata al centro di piazza di Spagna fu commissionata da Papa Urbano VIII Barberini (1623-1644) il quale mise in atto un progetto del 1570, relativo alla costruzione di fontane pubbliche nelle piazze principali di Roma attraversate dall’antico Acquedotto Vergine ristrutturato.
Fonte: Romano Impero: La fontana fu commissionata a Pietro Bernini architetto dell’Acqua Vergine dal 1623 e padre del più celebre Gian Lorenzo (1598-1680) con il quale non è da escludere vi sia stata una collaborazione.
Autore: Pietro Bernini – (1562-1629)
Datazione: 1626-1629
Materiali: travertino
Alimentazione originaria: Acquedotto Vergine
Le fontane di Roma dimostrano come i romani abbiano sempre avuto una gran passione per le acque pubbliche, dagli acquedotti alle terme e come, dopo i secoli della decadenza, tale passione si sia affermata nella costruzione delle numerose fontane (oltre 2.000) che ancora oggi ornano vie e piazze romane.
Scalinata di Trinità dei Monti
https://sovraintendenzaroma.it
La Scalinata di Trinità dei Monti, realizzata tra il 1723 e il 1726 su progetto dell’architetto romano Francesco De Sanctis (1693-1740), costituisce il raccordo scenografico tra le pendici del Pincio dominate dalla chiesa della SS. Trinità e la sottostante piazza di Spagna.
L’idea di superare il forte dislivello con una scalea è documentata già nel 1559. Venti anni dopo la Camera Apostolica acquistò il terreno ai piedi della chiesa per realizzare la scalinata che negli intenti di papa Gregorio XIII (1572-1585) doveva essere “simile a quella dell’Aracœli”. Solo nel 1660, grazie al lascito del francese Stefano Gueffier, furono redatti i primi progetti da parte di numerosi architetti: è di questo periodo quello attribuito alla bottega di Gian Lorenzo Bernini, fondamentale per la successiva progettazione in quanto propose l’andamento concavo e convesso delle pareti e le rampe a tenaglia. Sorse allora l’annosa controversia tra lo Stato della Chiesa e la corona di Francia sul possesso dell’area interessata, che costituì una delle cause del mancato avvio dei lavori.
Nel 1717, infine, Clemente XI bandì un concorso per il progetto a cui parteciparono i maggiori architetti del tempo. I lavori, sempre a causa della citata controversia, iniziarono solo sotto Innocenzo XIII (le aquile araldiche della sua casata – Conti – compaiono, insieme ai gigli di Francia, sui cippi alla base del monumento), e furono ultimati da Benedetto XIII nel 1726.
La lunga scalinata, che sembra adagiarsi sul colle articolandosi in un continuo alternarsi di sporgenze e rientranze, è espressione di una monumentalità tipica del settecento romano che la accomuna alle altre importanti realizzazione urbane del secolo costituite dal porto di Ripetta (demolito alla fine del XIX secolo) e da fontana di Trevi.
Sottoposta nel tempo a numerosi interventi di manutenzione, la scalinata è stata oggetto di un importante restauro completo nel 1995.
Dall’ottobre 2015 la scalinata è stata sottoposta nuovamente a restauro; l’inaugurazione dopo i lavori si è svolta giovedì 22 settembre 2016 (maggiori informazioni sul restauro)
Dal 23 settembre 2016 la scalinata ridiviene normalmente percorribile.
IN ETA’ IMPERIALE
Augusto e in particolare Tiberio, si impegnarono per pulire gli argini dai detriti e impedire che si costruisse sulle rive del Tevere per evitare danni quando il fiume si innalzava; in pratica venne istituito un piano regolatore che impediva ai privati di costruire vicino agli argini e tutte le case costruite abusivamente venivano distrutte.
Possiamo solo constatare che l’abusivismo edilizio è una malattia endemica della nostra etnia latina che viene da lontano…
L’ANTICO PORTO DI RIPETTA
Il porto di Ripetta, così detto per distinguerlo da quello di Ripa Grande dopo l’Isola Tiberina, non esiste più: con i lavori di costruzione dei muraglioni è stato sepolto sotto il Lungotevere in Augusta che costeggia l’Ara Pacis, il mausoleo di Augusto imperatore, e le due chiese attigue: San Rocco, dedicata agli osti che qui ricevevano i rifornimenti di vino, e San Girolamo degli Schiavoni. Proprio davanti a quest’ultima si trovava l’approdo, che ebbe una sistemazione architettonica solo nel Settecento, quando si poterono utilizzare le lastre di travertino del Colosseo cadute a causa di un crollo. L’opera, voluta da Clemente XI, fu affidata ad Alessandro Specchi nel 1705, che realizzò una raffinata scalinata digradante verso il fiume. Il porto era decorato con una fontana che serviva anche da faro, sormontata da una lanterna a forma di stella, simbolo araldico della famiglia di papa Clemente, gli Albani. La fontana era circondata da una balaustra e le due colonne, erette alle estremità, fungevano da ‘idròmetri’ e vi si segnava il livello del Tevere quando straripava. La fontana, unico elemento del porto rimasto, si trova oggi poco lontano, in un giardinetto presso ponte Cavour sulla sinistra del fiume, in vista di Palazzo Borghese. Tra le memorie del porto di Ripetta, toccante è quella di San Camillo: giovane scapestrato, lavorava come inserviente nel vicino ospedale di San Giacomo al Corso, per ripagare le cure che gli avevano guarito una piaga alla gamba. In quel periodo, andava spesso a giocare a carte con i “barcaroli” di porto Ripetta. Anni dopo si convertì e divenne il “padre dei poveri”, fondatore dell’ordine dei Camilliani, dediti ad alleviare fame e miseria. Come ogni grande città, Roma richiamava folle di mendicanti e diseredati. All’epoca di Camillo il numero degli ‘straccioni’ si era fatto incalcolabile e capitava periodicamente che un bando ne decretasse l’espulsione. Così Camillo s’imbatté un giorno in una carovana di miserabili diretta al porto di Ripetta per l’imbarco. Camillo tentò di tutto per fermare la triste partenza, ma gli sbirri erano irremovibili. S’inginocchiò e scongiurò di dargli almeno i due più malmessi. L’accorata petizione toccò il comandante delle guardie che, commosso, acconsentì. Il santo scelse i due più vicini alla morte e li portò sulla riva del fiume, dove a lungo e ad alta voce li consolò e pregò che potessero concludere i loro giorni in grazia di Dio.
Dove siamo?
Come potete vedere dalla mappa, non ci siamo allontanati granché dalla BARCACCIA.
In questo modo potrete scoprire anche il Porto di Ripetta all’epoca del Bernini.
Da GUIDE DI ROMA:
Quando, nei primissimi anni del Settecento, si pose mano alla realizzazione dell’approdo monumentale, si trovarono sotto le melme della riva le tracce degli antichi attracchi: la Roma Antica, in epoca imperiale, utilizzava infatti talmente tanto intensamente il fiume Tevere che quasi tutte le rive dello stesso erano affiancate da banchine adatte all’approdo dei natanti (che alcuni studiosi sostengono si svolgessero ininterrottamente dal Campo Marzio fino al Testaccio).
Fu la costruzione delle mura difensive di Aureliano alla fine del III secolo d.C. che, anticipando in qualche modo l’effetto moderno dei muraglioni, distaccò gran parte della città dal fiume: un lungo muro intervallato da piccole torri si distese infatti a quel punto dall’altezza della Porta Flaminia (la nostra porta del Popolo) fino al Ponte di Aureliano (più o meno all’altezza di Ponte Sisto).
Queste mura sul fiume furono tuttavia rese permeabili ad un certo traffico mediante l’apertura di alcune posterule: una di queste venne a trovarsi all’altezza dell’attuale Chiesa di San Rocco. Da lì, attraverso i giardini del Mausoleo di Augusto, si raggiungevano le zone edificate del Campo Marzio fin sotto le pendici, estese dal colle Quirinale al Pincio e lussureggianti di fastose dimore gentilizie.
Abbiamo scelto alcuni dipinti d’epoca che rappresentano momenti di vita fluviale quotidiana:
Battelli a vapore con ruota a pale sul TEVERE
Una visione comune in tutto l’ottocento e primi del novecento, i piroscafi erano un modo efficiente ed elegante per il trasporto di merci e di persone.
Il porto, prima dei Ponti
Lo scalo di Ripetta, con un movimento minore rispetto a quello di Ripa Grande, accoglieva il traffico fluviale proveniente da monte e serviva allo smercio dei carichi diretti al centro di Roma. Vi ancoravano, partiti da Orte e da Terni, i barconi carichi di legna, carbonella e grano, portando quei vini leggeri e comuni che il Belli e con lui i Romani chiamavano “l’acquaticci de Ripetta”.
Incisione di Giovanni Battista Piranesi (ca.1750)
Il porto Clementino, detto comunemente “di Ripetta” per distinguerlo da quello maggiore di Ripa Grande, fu sistemato da papa Clemente XI, donde il nome. In effetti, in una delle numerose posterule delle “Mura Aureliane” (che allora correvano ancora dall’antico “ponte Aureliano” fino all’altezza di “porta Flaminia”) si era venuto a formare, già dal XIV secolo, un piccolo, rudimentale porticciolo “abusivo”, pressappoco all’altezza della chiesa di S.Rocco, per lo scarico di legname, carbone e vino. Nel 1704 papa Albani, Clemente XI, approvò la proposta del suo presidente delle strade per la creazione di un sistema di banchine, scalinate e piazzale superiore, un progetto, cioè, che prevedeva la sicurezza e la facilità di approdo di un porto unito alla bellezza ed alla gradevolezza di un monumento.
L’arrivo del sale a Roma in un dipinto di Gaspar Van Wittel
Il porto di Ripetta in un’incisione di Ettore Roesler Franz del 1880. Si intravede appena, sulla destra, seminascosto dalla scalinata, lo zampillo della fontana.
Piazza del Porto di Ripetta. La fontana del porto e la sua lanterna, fondamentale per l’approdo notturno (foto Marco Gradozzi).
Piazza del Porto di Ripetta. Una delle due colonne su cui furono incisi i livelli raggiunti dal fiume durante le inondazioni più celebri (foto Marco Gradozzi).
Abbiamo dato un breve sguardo panoramico sul movimento portuale di RIPETTA che ci ha permesso di intravedere sulle sponde del fiume dettagli architettonici interessanti, ma anche le linee delle imbarcazioni tipiche della Roma del ‘600, quelle che percorrevano il Tevere con le derrate alimentari ed avevano i bordi molto bassi per facilitare il ruzzolare delle cisterne e le botti del vino.
Concludiamo con l’immagine del Ponte Rotto, icona della esondazione del Tevere nel 1598 che non fu mai più ricostruito. La BARCACCIA che ispirò il Bernini… sarebbe stata trascinata da quella devastante piena del Tevere fino ai piedi di Trinità de’ Monti dove si sarebbe incagliata.
Il PONTE ROTTO
(detto anche Ponte maledetto)
La metà del ponte rimasta in piedi, ancorata alla riva destra, fu trasformata in giardino pensile, una sorta di balcone fiorito sul fiume che restò tale fino alla fine del Settecento, quando la precaria stabilità del ponte lo rese del tutto inagibile.
Nel 1853, le nuove tecnologie industriali, con un progetto dell’ing. Pietro Lanciani, restituirono vita al ponte con una passerella metallica, che venne costruita per colmare la parte mancante del rudere. Dopo oltre 300 anni il ponte riprese a collegare le due rive opposte e poté essere nuovamente attraversato. Tale soluzione durò fino al 1887, quando fu decretato l’abbattimento della passerella e la creazione del nuovo e adiacente Ponte Palatino.