LE FESTE DI LUGLIO A RAPALLO
AL SESTIERE CERISOLA TOCCHERA’ L’ONERE E L’ONORE DI ORGANIZZARE E REALIZZARE IL PANEGIRICO 2023
La tradizione delle “sparate e dei fuochi d’artificio”
Fede, tradizione, folklore, spettacolo, un senso di appartenenza che rende l’evento davvero speciale, unico. Rapallo rinnova l’appuntamento con le Feste di Luglio, tre giorni di festeggiamenti, l’1, 2 e 3 luglio, in onore di N.S. di Montallegro nel 466° anniversario dell’Apparizione al contadino Giovanni Chichizola, il 2 luglio 1557.
La festa, pur nel radicale trasformarsi della città, il frenetico mutare dei tempi (e delle normative) conserva intatti elementi preziosi del folclore locale d’aspetti di una religiosità semplice, ma spontanea, radicati ad una antica e salda tradizione che non teme minimamente la critica di chi, trapiantato da fuori, stenta a comprendere alcune espressioni di esaltazione popolare caratterizzate anche da una certa fragorosità.
La nostra “sagra” nasce negli anni immediatamente successivi all’Apparizione e fin dalle prime edizioni essa ebbe nel fuoco, nelle luci fiammeggianti, nello schioppiettio dei falò, la sua principale caratteristica.
UN PASSO INDIETRO NELLA STORIA…..
Nella deliberazione assunta dalla Magnifica Comunità Rapallese il 26 agosto 1657 per ringraziare la Madonna di essere stata preservata dalla peste, si legge testualmente: “…di perpetuamente santificare, siccome da cent’anni in qua si è osservato, il giorno di detta Santissima Vergine…”
Un documento datato 9 agosto 1617 attesta che si pagano a “… Ger. Bontempo lire tre e soldi sei per pretio di due arbori venduti alla comunità uno in honore di Maria S.ma del Monte, l’altro per il falò solito di S. Giovanni Battista”; un altro del 31 ottobre 1625 registra invece l’acquisto di “60 fascetti, ch’ha comandato il signor Capitano si comprino pere far fochi in publica piazza ad honore di Nostra Signora”.
Le sparate non tardano ad apparire, come si deduce dalla lettura di un atto dell’11 ottobre 1619. In questo giorno il commissario Gio. Andrea Gentile ordina agli Agenti di Rapallo “…che non si potessero fare salve alcun se non per i giorni del Sabato Santo, del Corpus Domini, di S. Giovanni Battista e per le solennità di luglio, e le salve dovessero essere fatte con mascoli e non con altro…”
Nel registro della Masseria, alla data del 21 giugno 1635, si segnano lire diciannove “… per condurre sei mascoli a Nostra Signora per le solennità” e alla data del 7 luglio successivo altre 10,3 lire per spesa fatta di una sfera per le solennità di Nostra Signora”. Una deliberazione del primo luglio 1639 approva la spesa di lire 12 per “…polvere per sparare tanti mascoli ad honore di Nostra Signora conforme il solito”.
Alle spese partecipavano tutti i sestieri allora compresi nel Capitaneato di Rapallo: Borgo, Borzoli, Amandolesi, Pescino, Olivastro d’Oltremonte.
IL PANEGIRICO DI RAPALLO
Il Panegirico nella Storia significava: “Adunanza di tutto il popolo”
In origine, nell’antica Grecia, discorso a carattere encomiastico o suasorio che si pronunciava nelle adunanze festive del popolo; presso gli antichi Romani, discorso celebrativo in onore di un personaggio illustre. Il genere fu inaugurato nel VI secolo a.C. da Gorgia con i suoi scritti a Olimpia e a Delfi e conobbe la sua fioritura dal V secolo a.C. in poi. Il panegirico greco ha tratti comuni con l’encomio e l’epitaffio ma agli elogi può a volte unire critiche.
Con la letteratura latina, il panigirico assume solo il carattere di laudatio di uomini di potere ed in particolare degli imperatori. Nel linguaggio comune indica un discorso di encomio enfatico, talvolta esagerato.
In epoca moderna passa ad indicare un discorso in lode di un Santo o di un altro personaggio del culto cristiano:
Il PANEGIRICO DI RAPALLO
SI RIFERISCE
AL CULTO E AL SALUTO ALLA VERGINE DI MONTALLEGRO
Il 2 Luglio, anniversario dell’apparizione, a mezzogiorno il sestiere di turno organizza il cosiddetto “Panegirico”. Sulla pedonale del lungomare Vittorio Veneto si posizionano un gran numero di mortaletti che giunti all’altezza del monumento a Cristoforo Colombo, nella zona del Lido verso la foce del torrente Boate, un gran fragore (a Rapallo è detto u ramadan) accompagna lo spettacolo finale.
Viene appunto acceso ai rintocchi delle dodici, ogni due luglio, con attenzione maniacale al rispetto del suo orario storico – tradizionale. Di norma, l’organizzazione spetta ciclicamente a tutti i Sestieri, secondo il turno dei Reciammi: di anno in anno, l’onere e l’onore organizzativo interessa San Michele, Seglio, Borzoli, Cerisola, Cappelletta, Costaguta e… così via, ricominciando da San Michele.
Un commerciante di Palermo, nel XVI secolo fece conoscere ai rapallesi i fuochi artificiali ed i mortaretti originari della Sicilia. Da quel momento nacque e si diffuse la tradizione delle “sparate”, in occasione delle feste patronali. Usanza che, nel nostro comprensorio, è tuttora vivissima.
Protagonista indiscusso è l’antico mortaletto ligure, un artificio metallico avente forma tronco-conica, cava al centro, alto circa 12- 1 5 cm e dal peso di circa 2 kg. Alla sua base è presente un piccolo foro detto “aggugin”. Anticamente realizzato in ghisa attualmente, per rispettare le vigenti norme, viene prodotto per tornitura o per fusione in ferro. Viene caricato con una piccola quantità di polvere nera e segatura, pressata manualmente mediante l’utilizzo di appositi pestelli d’alluminio o legno, chiamati in gergo “stie’. L’utilizzo di questi materiali, evita in fase di caricamento, eventuali accensioni accidentali.
La stesura della riga
Della medesima forma del mortaletto, ma di più grandi dimensioni, è il cannone, oggetto funzionalmente identico che può raggiungere un peso superiore a 200 chilogrammi.
La sparata dei mortaletti è composta schematicamente in due parti: ” la riga e il ramadan”. La riga è una successione di mortaletti, collegati insieme da una striscia di polvere nera che con la sua combustione porta il fuoco negli aggugini con il conseguente innesco della polvere, realizzando una ritmica cadenza.
Il “ramadan” costituisce invece la parte finale della sparata. Nella sua forma classica prevede che i mortaletti siano disposti a triangolo allungato in cui le nuove righe esterne, i lati del triangolo, vengono progressivamente affiancate da nuove righe all’interno man mano che si procede verso la base ed il triangolo si allarga. Questo posizionamento, composto da una grande quantità di mortaletti messi l’uno vicino all’altro, bruciando genera un fragoroso crescendo che si conclude con lo sparo di uno o più cannoni.
Durante la sua accensione la sparata è seguita dal massaro che porta con sé un “buttun”. Questo è un bastone che ha alla sua estremità una palla di ferro rovente, fatta scaldare per alcune ore: lo scopo di questo attrezzo è quello di riaccendere la sparata in caso si spegnesse.
PER L’EDIZIONE 2023
L’ONERE
DI ONORARE
LA NOSTRA SIGNORA DI MONTALLEGRO
spetterà al Sestiere CERISOLA
Non dimentichiamoci il rito dell’“Andare a turno”, cioè raccogliere le offerte. È una delle ritualità più antiche legate alla festa e coinvolge tutti i volontari dai più giovani agli anziani che, a partire dal 23 maggio al 3 Luglio, si recano casa per casa con la “sacchetta” per chiedere un obolo per i fuochi.
PUBBLICHIAMO ALCUNE IMMAGINI DEL SITO FINALE DEL PANEGIRICO (RAMADAM) CHE MOSTRANO LA BELLEZZA CHE SA ESPRIMERE L’ARTE DI STRADA QUANDO PARTE DAL CUORE SEMPLICE DEL POPOLO LEGATO ALLE TRADIZIONI
MAURA ARATA E’ LA STORICA PRESIDENTE DEL COMITATO DEI SESTIERI RAPALLESI QUI SOTTO RAPPRESENTATI CON I LORO COLORI IDENTITARI
E IL GONFALONE CHE ACCOMUNA I SESTIERI
SESTIERE BORZOLI
SESTIERE CAPPELLETTA
SESTIERE CERISOLA
SESTIERE COSTAGUTA
SESTIERE SEGLIO
SESTIERE SAN MICHELE
Anno 2023
PANEGIRICO
E’ IL TURNO DEL SESTIERE CERISOLA
«…Il toponimo “Cerisola” compare per denominare due cappelle rurali site nel cuore dell’attuale Sestiere…
…Erano sicuramente zone destinate alla coltura dei ciliegi in un borgo dall’economia diversificata, ma basata essenzialmente sull’agricoltura.
Nel successivo evolversi della città, il nome “Cerisola” va a denominare uno dei Sestieri nati dalla divisione del più antico Quartiere Amandolesi (XII secolo N.D.R.)…» (tratto dal libro “In burgo Rapalli” di Antonella Ballardini da Maura Arata, massara del Sestiere Cerisola)
L’odierno Sestiere Cerisola comprende la parte centro occidentale del centro storico rapallese, con monumenti quali la Chiesa Parrocchiale dei Santi Gervasio e Protasio e gli Oratori detti Dei Bianchi e Dei Neri, quest’ultimo dominato dalla medioevale Torre Civica.
La zona rurale di Cerisola si sviluppa sulla ridente collina di San’Agostino, ove risiede l’omonima chiesetta, centro religioso del Sestiere; Sestiere che, tuttavia, ha come patrono tradizionale San Giuseppe.
Il giorno 2 Luglio IL SESTIERE CERISOLA saluterà
CON IL SUO PANEGIRICO
L’APPARIZIONE DELLA VERGINE MARIA
dalla Spiaggia dei Bagni Lido con i secenteschi mortaletti liguri
Da questo sito, che sempre rimane nel cuore e… nella progettualità dei suoi massari, il Sestiere tradizionalmente lancerà anche i suoi fuochi colorati, oggi preparati su chiatta galleggiante.
I fuochisti che hanno sparato per Cerisola negli ultimi anni sono: Albano & Russo di Melito (NA), Ferreccio di Avegno (GE) e La Rosa di Bagheria (PA) ed in epoca meno recente Perfetto di Sant’Antimo (NA).
Il Panegirico del Sestiere Cerisola sfilerà lungo la passeggiata a mare e terminerà col tradizionale e fragoroso Ramadan ai piedi della Statua di Cristoforo Colombo, presso i Bagni Lido e quindi entro i confini del Sestiere.
UN PO’ DI TECNICA ….
Origini dell’antico mortaletto ligure
L’antico mortaletto ligure, una sorta di cinquecentesco cannoncino ad avancarica, assurge ad attualissimo e vivo richiamo all’archeologia del fuoco a festa, rapallese e non solo.
Estinto nella gran parte del mondo, resiste infatti al tempo (almeno, per quanto ad oggi sappiamo) nella sola zona di Rapallo, Recco e comuni limitrofi. Lo si trova in antiche stampe francesi (che per ora non possiamo ritrarre per ragioni di copyright) ed in alcune tradizioni orali italiane, legate all’ambiente dei fuochi: “I mortaletti furono importati dalla Sicilia, si dice, da un certo Signor Pescia, commerciante di cereali che trasportava a mezzo di velieri da Palermo a Rapallo grano, avena, fave, vino, agrumi ecc… …Questo signore portò anche in Parrocchia il culto di S. Rosalia e S. Lucia che nel XVII secolo furono proclamate compatrone dell’attuale basilica…”
Questo è quanto troviamo negli appunti del nostro coordinatore Comm. Antonio Scazzola, scomparso in veneranda età nel 1994. Una tesi molto interessante, soprattutto alla luce di quanto si tramanda presso altre scuole di tecnica del fuoco, venute in contatto con la nostra soltanto in epoca recentissima. Ci riferiamo alla tradizione orale di alcune storiche aziende pirotecniche, protagoniste ieri ed oggi dei fuochi rapallesi moderni: tradizione la quale, pur non conferendo piena validità alla tesi di Scazzola, ne conferma comunque una forte verosimiglianza. Abbiamo appunto notizia, da fuochisti del Centro e del Sud Italia, di sparate siciliane analoghe alle nostre, estintesi nell’Isola soltanto alcuni decenni or sono! Dunque il mortaletto, oggi ligure per definizione, fu quasi certamente, ieri, un prodotto noto anche fuori Regione: alcuni turisti lombardi, notando i nostri mortaletti, hanno riconosciuto in essi quei “botti” – in Lombardia ormai “degradati” a fermacarte – che un tempo venivano accesi e ricaricati dalle singole famiglie in occasione delle feste.
In effetti, un’interessante e locale teoria “extra pirotecnica” indica un’ampia universalità dell’antica conoscenza del mortaletto presso i popoli europei: non mancano ad esempio massari i quali, pur anche attraverso supposizioni confortate da semplici indizi storici, individuano nel protagonista della nostra pirotecnica tradizionale il frutto dell’evoluzione antica di peculiari parti di secentesche armi da fuoco… e tali armi erano, come si sa, ben conosciute quantomeno nel Vecchio Continente. Secondo questa teoria, il mortaletto nasceva per essere caricato prima della battaglia, predisposto com’era ad essere fissato ad una canna di colubrina o spingarda prive di culatta. L’artigliere d’una fortezza, in questo modo, poteva disporre di parecchie munizioni, scomode e pesanti se vogliamo, sicuramente non portatili, ma già pronte al fuoco. Confermerebbe l’ipotizzata genesi bellica del mortaletto il suo attuale ed antico sinonimo: mascolo. Mascolo, dal momento che il pezzo così inteso avrebbe costituito il cosiddetto “maschio” nell’accoppiamento meccanico “protomunizione” – canna. Troviamo in effetti disegni d’epoca ritraenti sparate, di mortaletti praticamente identici ai nostri, muniti tuttavia di piccole maniglie (oggi scomparse) e sagomature in questo senso “sospette”. Ovviamente, sopra la carica del “mortaletto bellico” avrebbe trovato posto una palla, o la mitraglia.
Superfluo sottolineare quanto i mortaletti da festa non siano costruttivamente predisposti a simili nefasti impieghi…! Il nostro breve excursus storico sulla genesi del mortaletto è qui concluso; teniamo dunque a ricordare e sottolineare che ogni indizio, pur aprendo interessantissime discussioni sulla base del probabile, non costituisce prova del vero storico: saremmo pertanto lieti ed onorati nel ricevere interessanti conferme o smentite da parte dei nostri lettori.
…nel remoto 1619, i mortaletti erano già conosciuti in Rapallo ed utilizzati nel culto “piro – popolare” della Madonna di Montallegro.
Un po’ di tecnica del “massaro”
Protagonista ludico – popolare delle Feste di Luglio, il mortaletto si presenta come un piccolo cannone antico, a canna cortissima, costruito e dimensionato per il solo utilizzo a salve. Antica è anche la sua carica: polvere nera, il primo esplosivo prodotto dall’uomo. Lo stesso che, più di quattrocento anni fa, armava le galee genovesi ed i temibili vascelli del pirata Dragut, flagello delle popolazioni costiere.
Per caricare il mortaletto ligure, si versa semplice polvere nera nella canna, quindi la s’intasa con materiale leggero ed inerte (ad esempio segatura) in modo da ottenere, all’accensione, un colpo a salve, “impreziosito” da spettacolari quanto innocue vampe e fumo denso, di sapore antico.
Proprio tutto s’ottiene dall’antico miscuglio di zolfo, salnitro e carbone, nell’antica arte dei massari: caricati i mortaletti, gli stessi si aguginano: s’innescano cioè versando nel foro d’accensione (agugino) polvere nera finissima. Disposti a terra, i mortaletti sono poi collegati da strisce, ancora della medesima polvere, granulare questa volta: strisce che bruciano più o meno lentamente a seconda della direzione dominante della brezza di mare… Ecco quindi l’abilità del massaro il quale, per intuito ed esperienza, sa quando, come e dove posizionare i mortaletti, grossi o piccoli, in modo da salutare con giusto ritmo la Santa Patrona.
Come in tutte le arti, infatti, solo pochi posseggono in armonioso connubio esperienza ed innato dono nel saper disporre al meglio la sparata, che per riuscir veramente gradita deve attagliarsi, secondo Tradizione, ad ogni singola tipologia d’evento celebrativo. La pirotecnica antica tradizionale di Rapallo va oltre alle ben note celebrazioni dell’1,2,3 luglio, che danno il nome al presente sito.
Il mortaletto segna infatti il modus vivendi del rapallino verace (che non sempre coincide col rapallese), scandendone la vita pubblica e privata. Col mortaletto si cresce, ascoltando i colpi rituali dell’1,2,3 luglio o delle Feste Frazionali; si celebra il matrimonio di amici e parenti, preparando brevi ed allegre sparate; si saluta questo o quell’altro evento, sacro o profano; si dà l’estremo saluto ad un caro estinto disponendo un’austera sparata di 21 colpi, lenti e cadenzati: gli stessi ventuno che, con diverso spirito, ogni mattina di Novena accompagnano con sacralità l’Elevazione del Santissimo al Santuario di Montallegro.
La sparata è dunque… nel D.N.A. del rapallino, apprezzata com’è durante l’intero corso dell’anno ed, in particolare, nei Giorni Mariani dell’1,2,3 luglio: gli stessi giorni che vedono protagonisti delle celebrazioni “piro – popolari” rapallesi i rituali dei Saluti alla Madonna, dei Reciammi e del Panegirico, consolidatisi nell’ultimo secolo sulla base d’una tradizione sicuramente meno codificata dell’attuale, ma comunque perpetuata da quattro secoli quantomeno nei suoi aspetti, è il caso di dirlo, piro – tecnici. Infatti i gesti, tecnici appunto, che compiono oggi le abili mani dei massari sui ferruginosi mortaletti, nei greti dei torrenti e sulle spiagge, non differiscono dal fare dei nostri avi. Solo nei dove e nei come, la Tradizione d’oggi differisce da quella di ieri, ciò non inficiando tuttavia, a nostro parere, lo status di museo a cielo aperto di viva pirotecnica antica che amiamo attribuire alla nostra Città.
Si spari dalla chiatta
Quando il MASCOLO era usato per avvisare l’avvistamento dei leudi di ritorno dalla campagna delle acciughe dall’Isola della Gorgona.
Parata di moderni mascoli in acciaio pronti al caricamento, soffiati e disostruiti; in secondo piano sacchi e “cuffe” di segatura per i tappi.
Il mortaletto ligure usato nelle feste patronali di Rapallo
Il mascolo rituale utilizzato nel Levante genovese ed espressamente realizzato per le sparate è nella sua forma più ricorrente un cilindro metallico svasato alla base, anche se a volte ha forma troncoconica. Pesa circa 1,5–2 kg, è alto circa 12–15 cm, ha un diametro esterno di circa 6–7 cm al fusto e 8–9 cm alla base. Il calibro è ordinariamente compreso fra 1,5 e 2 cm. A circa 1,5 cm dalla base e parallelamente ad essa è praticato il focone (“l’agguggino“) dal diametro di qualche mm, usualmente con l’imboccatura conica di base 3–4 mm e profonda circa 2–3 mm.
Il mascolo moderno è prodotto in acciaio in quanto la regolamentazione vigente proibisce l’uso di ghise ed ottoni, che hanno una minore resistenza ai fenomeni di frattura e possono finanche causare l’esplosione dei mascoli con proiezione di frammenti. I mascoli di ghisa subiscono inoltre fenomeni di corrosione importanti (in lingua genovese “camôe“) che ne pregiudicano rapidamente la soglia di collasso.
Il mascolo in acciaio può essere prodotto per tornitura o per fusione. Fino a qualche anno addietro l’utilizzo di mascoli di ghisa o di ottone era frequente, questi ultimi più raramente a causa del costo del materiale. Tali erano formati per fusione, avevano dimensioni esterne maggiori di quelli in acciaio, e peso compreso fra i 2 e i 3 kg, pur contenendo lo stesso quantitativo di polvere. Notevoli per estetica sono i mascoli di ghisa realizzati fino alla prima metà del Novecento, ottenuti da stampi le cui forme elaborate presentavano spesso il nome o l’emblema del comitato di appartenenza riportato in rilievo sulla canna.
Più grande del mascolo è il cannone (in alcune località di Levante chiamato bomba), oggetto funzionalmente identico, la cui taglia può andare dal cannoncino (alcuni chilogrammi, per una lunghezza di 20 cm ed un calibro di 2–3 cm) al grande cannone (anche più di 100 kg per 40–50 mm di calibro, ma non mancano esempi di cannoni da 200 e passa chilogrammi, realizzati in genere in onore di importanti avvenimenti o illustri personaggi). I cannoni più grandi potrebbero contenere fino ad alcuni chilogrammi di polvere nera, ma la regolamentazione vigente vi pone severissime limitazioni per motivi di sicurezza; nella pratica attuale l’uso dei cannoni ha scopo prettamente ornamentale, in quanto caricati con quantità irrisorie di polvere rispetto alla mole dei pezzi. Per tale motivo alcuni dei più grossi cannoni sono stati addirittura messi in “disarmo” ed utilizzati per ornamento.
I cannoni in acciaio sono prodotti quasi sempre per tornitura a partire da grossi cilindri; hanno forma usualmente troncoconica e sono decorati da elaborate cerchiature. Riportano in genere, incisa sulla canna o sulla bocca, una dedica col nome del proprietario o del comitato a cui appartengono, o con la data di un evento gioioso quali un battesimo, un matrimonio o un anniversario. I cannoni di ghisa, oggi desueti, erano ancora più eleganti, provenendo da stampi e quindi potendo assumere forme non legate alle simmetrie cilindriche della tornitura.
I MASSARI ALL’OPERA
Ricerca a cura di Carlo GATTI
(Sestiere CERISOLA)
Rapallo, 20 Aprile 2023