COME ABBIAMO TROVATO L’U-BOOT DI CAMOGLI

Autore: Eva Bacchetta – Fotografo: Lorenzo Del Veneziano

U455 SUB N 243 – DICEMBRE 2005

 . DOVREBBE ESSERE L’U 455, DATO PER DISPERSO IL 6 APRILE 1944 CON TUTTO L’EQUIPAGGIO. PROBABILMENTE URTO’ UNA MINA AMICA, O FORSE FU UN SUO STESSO ORDIGNO A ESPLODERE MENTRE VENIVA LANCIATO IN MARE. L’IPOTESI POTREBBE ESSERE CONFERMATA DAL FATTO CHE LA DEFLAGRAZIONE GLI SQUARCIO’ LA POPPA. LA SCOPERTA AQUISTA UN’ IMPORTANZA ANCORA MAGGIORE SE SI CONSIDERA CHE SI TRATTA DEL PRIMO SOMMERGIBILE TEDESCO RINVENUTO IN MEDITERRANEO. LA TECNICA DELLE IMMERSIONI.

Il varo di un U-Boot

I fantasmi degli uomini che abitano le centinaia di relitti sommersi sepolti nelle profondità marine del golfo di Genova, aleggiano inesorabili sopra la superficie di quel mare che nel corso degli anni ha voluto far rivivere nella storia dei tempi alcune di quelle anime, attraverso la nostra umile testimonianza nel ritrovare e nel descrivere gli scafi affondati nell’oscurità e nel buio di una distesa di acqua diventata, dal momento della perdita, loro segreta tomba di ferro.
 Da quando abbiamo dedicato parte delle nostre energie al ritrovamento di relitti dimenticati nell’oblio del tempo e solo scritti nella antichità del mare, un particolare battello affondato ha incuriosito le nostre menti ed ha animato la ricerca e sostenuto i nostri sforzi: un sommergibile tedesco dato per disperso nel 1944 nel mare antistante Portofino.
 Come riferisce Clive Cussler, famoso ricercatore di relitti sperduti, in uno delle sue opere:

 “Per mettersi alla ricerca di un relitto perduto, non occorre l’appoggio del governo o dell’università, non occorre un camion pieno di costose attrezzature e nemmeno aver ereditato un milione di dollari. Quel che serve davvero sono l’impegno, la perseveranza e l’immaginazione. Ci sono cose fatte dall’uomo che non si possono trovare mai. Alcune non andarono mai perdute, altre sono frutto dell’immaginazione di qualcuno e tutte le altre non si trovano nemmeno nelle vicinanze di dove si suppone siano. 
La ricerca è la chiave di tutto. Le ricerche possono migliorare la probabilità del successo o farci capire che non ci sono speranze. 
Se e quando un relitto decide di farsi trovare, vuol dire che si tratta di un puro caso. La verità è che la ricerca per un dilettante, è una noia mortale. Ti ritrovi a ballonzolare fra le onde, a sfinirti di sudore, mentre ti sforzi di vincere il mal di mare osservando la linea sempre retta dello schermo del tuo ecoscandaglio. Eppure, quando sullo schermo compare una immagine oppure quando vedi una traccia diversa e ti rendi conto che hai incontrato una anomalia o qualcosa di simile a quello che stai cercando, l’attesa si fa palpitante. E allora, il sangue, il sudore, le lacrime spese sono dimenticati. Ti senti pervaso da una sensazione di trionfo, che è meglio di qualsiasi vittoria.
Quando i sub riemergono e ti dicono che ciò che hai trovato è quello che stavi cercando, allora ancor di più ti senti rincuorato e soddisfatto.
 C’è sempre il fattore “sorpresa” e quello che trovi potrebbe non essere quello che stavi cercando e per di più non sapevi nemmeno che proprio quello fosse lì!

U-Boot della Classe VII C in navigazione

La meraviglia ha caratterizzato il mese di agosto di quest’anno a causa del ritrovamento di quello che non credevamo essere proprio li!!!!
 Un alone di mistero ha da sempre contornato la storia di tale U-BOOT, tanto da farlo diventare una leggenda a cui tutti avvaloravano un filo di verità. 
Un sommergibile che nei racconti della gente si spostava da un punto all’altro dell’immensa distesa del blu infinito nel Mare di fronte a Genova, tanto da far pensare che l’equipaggio potesse cambiarlo di posto di qua e di la per scappare, avvalorando ancora di più la leggenda e avvicinando la vicenda dell’U-Boot alle storie misteriose di pirati dominatori dei mari e di fantasie straordinarie.
 Un famoso corallaro narrava di essere sceso sui resti del battello, di averne riconosciuto lo scafo perfettamente integro ad una profondità di circa 80/90 metri davanti a Cala dell’Oro; la sua morte avvenuta alla fine degli anni 90 aveva messo a tacere ogni diceria riguardante questa leggenda lasciando il sommergibile avvolto da una nebbia impossibile da dissipare.

Riccio Melone

Il corallaro nulla aveva lasciato a prova della sua interessante scoperta e quella micidiale arma da guerra del 3 Reich continuava indisturbata la sua missione di segretezza.
 Negli ultimi anni tante giornate abbiamo perso nello scandagliare i fondali dagli 80 ai 95 metri, da Cala dell’Oro a Punta Chiappa con la speranza di trovare un innalzamento di quel terreno altrimenti aridamente piatto e riportare alla luce la vicenda di quella nave ormai nascosta nelle braccia protettrici di un mare che a volte non lascia adito a nessuna illusione.
 Grazie alla nostra fama di ricercatori di relitti scomparsi e per la nostra passione per la scoperta e la ricerca del passato,veniamo contattati dal padre di uno dei nostri collaboratori, Andrea, il quale ci informa di una zona in cui frequentemente si reca per pescare.
 Il fondo è sui 120 mt. e molte volte, dice, chiazze di olio o gasolio arrivano in superficie dalla profondità. Parte della primavera la dedichiamo alla ricerca anche sui volumi che disponiamo. Si dice che alla fine della guerra i tedeschi vistisi perduti buttarono in mare molti armamenti, fra cui carri armati, camion, cannoni mai più ritrovati. Forse una nave riposa li sotto e accantoniamo la ricerca del sottomarino. Partiamo con gli occhi fissi su uno schermo dell’ecoscandaglio la cui immagine non cambia mai, intere distese deserte di pianura ineluttabilmente priva di qualsiasi forma di vita anche extraterrestre.

 

La chiglia dell’U-Boot e Il periscopio dell’U-Boot

Ad un certo punto un segnale non nitido si innalza dal fondale di 120, 115 fino a 75 metri! Non siamo sicuri della conformazione di quel che il trasduttore cosi’ faticosamente ha letto riportando l’immagine sullo schermo, ma decidiamo ugualmente di scendere e perciò programmiamo un tuffo, vista la profondità molto impegnativa ad estate inoltrata. 
Scendere a quelle quote non è semplice, la prudenza prende il sopravvento sulla curiosità e sull’avventura; non sappiamo cosa ci aspetta la sotto, forse un relitto, ma il segnale poco definito dell’ecoscandaglio non ci fa presagire niente di buono. 
Il primo agosto si parte alla volta di quel punto misterioso che un po’ ci avvicina per l’enigma al famoso sottomarino. 
La squadra è composta da Lorenzo Del Veneziano, Massimo Croce e Gianluca Bozzo in assistenza profonda, mentre in assistenza lungo la cima di discesa, Loredana, Roberto, Peter che forniranno le diverse bombole in caso di emergenza.
 Ad un via di Lorenzo lanciamo il pedagno, composto da un blocco di cemento pesante 50 kg; la cima arancione sfreccia rapidamente nel blu, come un rettile che insegue la sua preda, dopo quarantacinque secondi si ferma bruscamente.
 Tutto è pronto un ok e giù, verso un ignoto che sarà presto rivelato. Il mare in quel punto è di un blu intenso e sembra voler invitare i subacquei verso un segreto nascosto per tanti anni e mostrane un lato fino ad allora dimenticato e sepolto in una miriade di vita e di movimento.
 Alla quota di 100 metri Lorenzo, come da programma, lascia i due compagni; purtroppo il pedagno non si è fermato nel punto più alto di quel qualcosa che vive nelle profondità marine e ancora solo l’elemento liquido copre la loro visuale. 
Dopo circa venti metri Lorenzo arriva sul fondo, incuriosito da una cima tesa verso l’alto la segue, risale in diagonale per alcuni metri: un’ombra minacciosa incombe su di lui, alza lo sguardo e lo vede, enorme, integro, perfetto, come una lama piantata nel cuore di un uomo, sparge tutto il suo sangue sul fondo di un mare che lo ha soppresso per sempre, condannandolo all’oscurità eterna dei tempi.

Torre dell’U-Boot

Lorenzo riconosce distintamente la torretta, di quello che capisce essere un sottomarino, in tutta la sua circonferenza, intatta con i paraspruzzi sporgenti quasi a voler distruggere qualsiasi forma vivente possa avvicinarsi. Parte dello scafo è lanciata verso la lontana superficie come a voler fuggire da quelle sabbie mobili che come un feroce felino lo hanno inghiottito, senza nessuna pietà, nelle sue fauci. 
Mille stati d’animo si diffondono nel cuore di Lorenzo; timore, rispetto, reverenza al pensiero di uomini che forse giacciono in quella tomba di ferro affondata nel buio e dimenticata dall’umanità intera, ma anche gioia, orgoglio e un senso profondo di vittoria per aver riportato alla vita una vicenda data perduta nel nulla. 
E’ un sottomarino, forse proprio quello dell’antica leggenda, intatto in tutta la sua linea assottigliata dello scafo, una terribile ed invincibile macchina da guerra che ora giace inerme e sconfitta, dominata, ma nello stesso tempo protetta, da una massa enorme di acqua che non vuole lasciarla andare via. 
Il tempo programmato termina, Lorenzo si dirige rapidamente verso i suoi due compagni di cui vede distintamente le luci, simili a due occhi amici nella nebbia.
 Nel Mar Ligure risultano dispersi due sottomarini, mai più ritrovati, artefici di battaglie di una guerra la cui lezione l’uomo non ha mai voluto imparare, ma anche vicende di uomini scomparsi per la loro patria che non hanno potuto avere un degno e meritato ricordo da parte dei loro cari. 
I due battelli sono L’Usurper, battente bandiera inglese, disperso nell’ ottobre del 1943 nel Golfo di Genova.
 L’Usurper parti’ da Algeri il 24 settembre diretto alla Spezia; Il 3 ottobre ha ordine di spostarsi nel Golfo di Genova; non rispose al segnale successivo dell’11 ottobre. Con molta probabilità fu affondato dal battello anti sommergile tedesco UJ2208 il 3 di ottobre del 1943, il quale fece rapporto di un attacco ad un sottomarino nel Golfo di Genova proprio in quel giorno.
 Il secondo battello è l’ U-BOOT tedesco 455, il quale era partito dalla base di Tolone e era alla sua decima missione in Mediterraneo. Ultimo contatto avvenuto fu alla Spezia dove avrebbe dovuto unirsi agli UJ che lo avrebbero scorato fino in Francia, incontro mai avvenuto. Si pensa che il sommergibile sia affondato nell’aprile del 1944 su mina amica. Questa vicenda è ancor più avvolta dal mistero in quanto in quei giorni non ci sono notizie di nessun attacco alleato nel Mar Ligure.
 L’immersione successiva effettuata con Gabriele Paparo, permette a Lorenzo di scattare alcune fotografie dal cui studio si evince con un buon margine di sicurezza essere un U-BOOT tedesco. Nelle settimane successive abbiamo l’onore di avere presso il nostro Centro Luigi Casati e Jean Jackes Bolanz per organizzare una spedizione finalizzata ad una documentazione foto-video che possa farci capire qualcosa di più sul battello misterioso. 
Nelle immersioni di esplorazione, sei in tutto, vengono scattate parecchie fotografie e qualche tassello al puzzle viene lentamente aggiunto. 
Si tratta indubbiamente di un sommergibile tedesco classe VII C, presumibilmente appunto U-455. Lo scafo perfettamente integro per due terzi di nave, si trova piantato nel fondo del mare con la prua rivolta verso l’alto simile ad un animale agonizzate che lotta furiosamente per restare appeso alla sua precaria esistenza. Nella parte prodiera sottilissima nella sua estremità sono nettamente distinguibili i timoni di profondità, rivolti verso l’alto ad avvalorare l’ipotesi che il battello navigasse in immersione e, sentendosi colpito, cerco’ disperatamente di riemergere, ma l’acqua fu più veloce ad inghiottirlo. Sul lato di dritta l’ancora saldamente ferma al proprio posto; su tutto il ponte sono visibili i resti del teak che lo ricoprivano, quasi totalmente annientato dalla forza divoratrice del mare.

 

Sul ponte dell’U-Boot con Gigi

La visione della torretta è simile ad un incontro con un essere soprannaturale di cui avere timore, qui dove il sommergibile raggiunge la sua massima circonferenza, regna indiscussa e dominante verso quei sudditi che ora sono solo subacquei che osservano in silenzio lo spettacolo e che non ne riconoscono la sovranità.
 Nella sua parte principale sono chiaramente individuabili l’antenna di superficie o radiogoniometro riposta nel suo vano, il rilevatore ottico completamente mimetizzato dalla miriade di ostriche e microrganismi che hanno camuffato perfettamente anche ogni parte dello scafo, il periscopio il cui occhio artificiale timidamente ricerca un nemico che ora non c’è più e la bussola incastonata nella consolle.
 Il portellone principale appare aperto e lascia lo scenario ad un tunnel totalmente privo di luce e di vita. Lorenzo e Gigi, dedicano parte di una immersione alla pulizia dell’ingresso per valutare la possibilità di entrare all’interno dello scafo. E’ Gigi il prode avventuriero che, sentendosi nel suo Habitat, tenta l’ingresso nello stretto tunnel, ma dopo pochi attimi Lorenzo lo vede tornare indietro; tutto è sigillato e chiuso, ogni segreto del battello rimarrà per sempre custodito all’interno delle sue profonde viscere. Sulla torretta si possono vedere i paraspruzzi e la ringhiera; nella parte di poppa lo scafo è visibile ancora per circa una quindicina di metri. Sul fondo sono riconoscibili i resti della parte poppiera, tutto è disordine e distruzione, avvolto nel buio e nella profondità il fiero battello pare vergognarsi della sua triste fine; parte dello scafo si rialza in una sorte di richiesta di aiuto che non arrivò mai. Sul fondo sono sparse la poppa con individuabile un’elica e i resti distrutti forse di un siluro. 
La visione d’insieme data dalla posizione del battello è suggestiva ed emozionante, la buona visibilità presa quasi in tutte le discese ha permesso di ammirarne la maestosità e la fierezza dello scafo che sembra ancora voler svolgere il suo dovere. Lo scafo è affusolato e sottile, sul ponte si può vedere l’argano per l’ancora e il portello per l’evacuazione di emergenza.

 

Il sub Lorenzo del Veneziano  con il suo amico Gigi intorno allo scafo.

Sulla parte prodiera e sulla estremità della torre sono presenti i resti dell’antenna che giacciono inoffensivi come due moncherini simbolo di una lotta mai vinta.
 Pensare che li hanno camminato uomini durante una guerra devastatrice da un senso di doveroso rispetto e fa apparire il tutto avvolto da un segreto che non può essere rivelato. 
Il glorioso sommergibile che tanto si era mimetizzato ha forse trovato oggi la sua pace e il riposo eterno; non possiamo esprimere nessun giudizio sull’andamento e sulle conclusioni di una guerra che ha portato da entrambe le parti perdite umane devastanti, ma possiamo renderci testimoni di un rinvenimento di grande interesse per chiudere un paragrafo dello studio del passato che era rimasto insoluto.
 Il sommergibile tedesco dato per disperso dalla Kriegsmarine nel Mar Ligure, pare essere proprio li. La classe del battello perduto era un VII C e più precisamente l’U-455, quello che giace in fondo al nostro Mare genovese appartiene è quella classe; ora il suo silenzio è stato rotto dalla soddisfazione di aver ridonato la memoria a chi era stato ormai abbandonato per sempre e per una scoperta subacquea di notevole valore.

 

 

I BATTELLI DI TIPO VII

 

Dietro la nascita , lo sviluppo e la sconfitta dell’arma subacquea tedesca si cela Karl Donitz. Fu lui infatti che ne sviluppò e migliorò i progetti. 
I classe VII furono quelli che lui volle per combattere la guerra, i loro successi furono il diretto risultato delle sue tattiche e la sconfitta analogamente fu dovuta ai suoi errori.
 Donitz dedico’ alla Marina tutta la sua esistenza; allo scoppio delle ostilità divenne “Konteradmiral“ e gli venne attribuito il titolo di Comandante in Capo degli U-Boot, fino ad arrivare a Comandante in Capo della Kriegsmarine e , sul finire della guerra, successore di Hitler a Capo del governo. 
La produzione su larga scala era dovuta al fatto che Donitz aveva chiaro in mente la necessità di svolgere una guerra di tonnellaggio; compito della Marina Tedesca era quello di interrompere le linee di comunicazioni da cui l’Inghilterra dipendeva attraverso l’attacco dell’unica arma disponibile a dispetto della netta superiorità di superficie dell’avversario. 
Da qui la famosa tattica dei “branchi di lupi“ che effettuavano serie di attacchi in forze allo scopo di abbattere più forze mercantili nemiche possibili.
 I tipo VII erano battelli a scafo singolo, lo scafo resistente a tenuta stagna svolgeva anche la funzione di scafo esterno. Attorno allo scafo resistente, a prua e a poppa, veniva realizzato un rivestimento leggero e permeabile che serviva per scopi idrodinamici e forniva gli spazi necessari per ospitare le casse di zavorra. Nel tipo “C”  venne inserita un’ ulteriore cassa per incrementare la riserva di spinta positiva. Inoltre due strutture laterali, controcarene esterne, lunghe ed affusolate, contenevano altre casse zavorra e depositi per il carburante.
 Lo spazio fra lo scafo resistente ed i rivestimenti esterni era in gran parte bagnato, ma alcuni spazi erano a tenuta stagna o nei quali l’ingresso e l’uscita dell’acqua erano voluti e controllati per bilanciare il battello o per portarlo nell’assetto desiderato. 
Esternamente la struttura dell’estrema parte prodiera era a libera circolazione d’acqua ed in essa si trovavano gli sgusci per la fuoriuscita dei siluri, i servomeccanismi per i portelli esterni dei tubi lancia siluri e l’argano dell’ancora, oltre le casse di zavorra. L’ancora veniva ritratta sul lato di tribordo, all’altezza dell’estremità anteriore dei tubi lanciasiluri; i cui portelli aprivano verso l’interno e una volta richiusi combaciavano perfettamente con le linee della murata. 
I timoni orizzontali comparivano su ciascun lato del rivestimento prodiero. Sopra i timoni, vi erano le aperture per il sistema di sensori idrofonici. Subito sopra trovavano posto due diaframmi circolari del sistema telefonico subacqueo, mentre altri due erano una cinquantina di centimetri verso poppavia.

La coperta che fungeva da naturale proseguo del rivestimento dell’estrema prua che raggiungeva il centro nave, detto anche “vela”, era ricoperta completamente da un pagliolato in assi di legno.
 Le murate erano caratterizzate da una lunga fila di aperture piuttosto ampie per favorire l’ingresso e il deflusso dell’acqua. Per lo stesso scopo era stata prevista la lunga e sottile fessura fra il rivestimento della coperta e le controcarene esterne. 
Parecchie sezioni del pagliolato erano incardinate a portello o completamente mobili per permettere l’accesso ai boccaporti sottostanti che venivano sfruttati per immagazzinare vari materiali ed equipaggiamenti, tra i quali i siluri.

La plancia della falsatorre (la parte esterna della torretta) era pieno di supporti e vari equipaggiamenti; lì alloggiavano la custodia cilindrica del periscopio di ricerca e subito dopo quella di attacco, l’ottica per l’attacco in superficie, il supporto del faro di segnalazione e uno sguscio per il ricovero dell’antenna del radiogogniometro. Su entrambi i lati erano posizionate le luci di via in appositi recessi. Il condotto di aspirazione dei diesel si trovava sotto il rivestimento di coperta poppiero e risaliva fino sotto l’armamento dell’antiaerea posta sulla falsatorre. Le aperture attraverso cui l’aria entrava erano ricavate sulle fiancate della stessa, la bussola era situata sulla parte anteriore della vela. Inoltre la parte anteriore della plancia era dotata di un bordo paraspruzzi.
 Spostandosi verso poppa, come nel caso del rivestimento di prua, anche qui troviamo una struttura d’acciaio ricoperta con un pagliolato in legno; proseguendo si nota il boccaporto stagno delle cucine, il portello dello scivolo siluri poppieri, e la sezione mobile sotto la quale vi era il tubo lanciasiluri posteriore, inoltre, come a prua, tre paia di bitte rettraibili.
 Nell’estrema zona poppiera trovavano collocazione i supporti delle eliche, la seconda coppia di timoni orizzontali e quelli direzionali. Infine vi era una grande cassa zavorra poppiera sistemata all’interno del rivestimento che circondava il tubo lanciasiluri. 
Lo scafo resistente era una struttura a sezione circolare del diametro di 4,7 metri, lo spessore variava dai 16 ai 18,5 mm a centro nave, in corrispondenza della camera di manovra.

 

Un ponte divideva gli spazi interni dello scafo in due livelli, quello principale in cui viveva ed operava l’equipaggio ed il doppio fondo dedicato principalmente a serbatoi e depositi.
 Da prora a poppa si trovavano i seguenti compartimenti:

Camera di lancio prodiera: 

La parte anteriore dello scafo era interamente dedicata ai tubi lanciasiluri, alle sistemazioni per il loro funzionamento e a quelle per la movimentazione e lo stivaggio dei siluri. Qui trovavano posto dai quattro ai sei siluri più armi di riserva e relativi equipaggiamenti. La camera di lancio ospitava a volte parte delle cuccette per l’equipaggio, sei per lato, subordinate comunque alle esigenze funzionali dell’armamento. Sotto il deposito siluri vi era una paratia curva al di sotto della quale si trovava la cassa d’assetto di prora e le due casse di compensazione per controbilanciare la diminuzione del peso determinata dal lancio dei siluri.

 

Alloggi prodieri equipaggio:

 Divisi dal vano precedente da un boccaporto, questo compartimento era più spazioso del precedente, anche perché gli occupanti erano generalmente dei graduati. Vi era una toilette con doccia, degli armadietti e quattro cuccette per i sottoufficiali con tre piccoli scaffali per gli oggetti personali. E un tavolo dove consumare i pasti. 
Un’altra leggera paratia con un portello divideva questo compartimento con quello successivo dedicato agli ufficiali. Il locale era composto da due cuccette per lato, un tavolo e quattro guardaroba relativamente ampi.
 L’ufficiale in comando aveva una propria cabina a poppavia a sinistra. A poppavia dell’alloggio del comandante si trovava la camera di manovra, mentre di fronte ad essa i locali dedicati ai sensori acustici e agli apparati radio.
 L’area sotto il ponte di questa sezione veniva occupata dal compartimento accumulatori prodiero, a poppa del quale vi era un deposito munizioni per il pezzo d’artiglieria e le mitragliere sistemate in coperta. Sui entrambi i lati vie erano collocati delle estensioni del serbatoio carburante anteriore collegate attraverso le paratie stagne.

Camera di manovra: 

Durante l’immersione il comando e controllo della nave veniva esercitato dalla camera di manovra. In questo locale perciò si trovavno tutti i sistemi di governo e le valvole per l’allagamento delle casse. Al centro la stanza era dominata dalle colonne dei due periscopi, uno di ricerca e subito dietro quello di attacco. La timoneria principale si trovava all’estremità anteriore del compartimento. 
Nel doppio fondo trovavano la loro collocazione casse e serbatoi.

Torre:

 Tra i due periscopi vi era un boccaporto stagno con una scala a pioli dalla quale si accedeva alla torretta.
 La torretta era estremamente angusta, sporgeva dallo scafo per poco più di due metri e conteneva tutti gli equipaggiamenti necessari al lancio dei siluri.
 Sul cielo di questo piccolo compartimento un portello stagno permetteva l’uscita sulla plancetta della falsatorre.

Alloggiamenti poppieri e cucine: 

Attraverso un portello stagno si accedeva agli alloggi sottoufficiali poppieri, quattro per lato, con relativi armadietti.
 Nella parte posteriore era situata una cucina dotata di lavello, fornelli elettrici e due cambuse.

 

Sala Macchine:

 Era occupata interamente dai due grandi motori diesel per la propulsione in superficie e relativi accessori.

Sala motori elettrici e camera di lancio poppiera:

 diviso da una paratia era ubicato il locale contenente i due motori elettrici per la propulsione in immersione. Vi erano due grossi compressori per l’aria e dietro il tubo lanciasiluri poppiero con il serbatoio di aria compressa ad esso associato.
 Sotto il ponte era collocato il siluro di riserva e dietro, la cassa di compensazione, mentre la cassa di assetto poppiera era a poppavia del deposito di ricarica.



U 455 nel dettaglio. Possiamo affermare con un buon margine di sicurezza che il battello da noi ritrovato sia U 455, anche se nessun potrà mai averne l’assoluta certezza in quanto lo scafo è ineluttabilmente sigillato e nulla manifesta al di fuori di esso, tranne essere l’emblema di morte e alienazione dell’umanità intera. 
I primi battelli della classe VII, come il sottomarino in questione, sei per la precisione furono commissionati nel 1934. Furono i primi di oltre settecento esemplari. Nel corso della storia del loro sviluppo, che si spinge fino al 1944, i battelli di tipo VII furono realizzati in sei diverse versioni.
 L’U455, battello tipo VII C, fu costruito dal Cantiere Deutsche Werke AG, Kiel Gaaden; ordinato il 16 gennaio del 1940 e varato il 21 Giugno del 1941. 
Iniziò il suo dovere di macchina da guerra nell’agosto del 1941 sotto la 5 flottiglia a Kiel come nave scuola, li si fermò fino al dicembre dello stesso anno.
Nel gennaio del 1942 fino al febbraio del 1944 venne trasferito alla 7 flottiglia a ST Nazaire e dal marzo del 1944 fino al giorno della sua scomparsa aprile 1944 operava presso la base di Tolone nella 29 flottiglia. Due uomini comandarono il fiero battelo dal 21 agosto 1941 fino al 22 novembre del 1942 Hl Hans-Heinrich Giessler e dal 22 novembre del 1942 fino al 6 aprile del 1944 KL Hans Martin Scheibe.

Il comandante Giessler

MISSIONI DEL U-455

15.01.1942- 28.02.1942

Primo viaggio-missione attiva. 
U455 parte da Kiel sotto il comando di Hans-Heinrich Giessler e arriva a Bergen dopo sei settimane.

 

21.03.1942-30.03.1942 Secondo viaggio-missione attiva. 
U455 parte da Bergen sotto il comando di Hans-Heinrich Giessler e dopo solo una settimana arriva a St. Nazaire.

 

16.04.1942-10.06.1942 Terzo viaggio-missione attiva. 
U455 parte da St. Nazaire sotto il comando di Hans-Heinrich Giessler e torna a St. Nazaire dopo otto settimane di missione.
 Durante questo incarico colpisce due unità che navigavano in convoglio scortate dal ON89 e dal SL111
Il 3 maggio 1942 affonda la nave inglese BRITISH WORKMAN, mentre l’11 giugno la nave inglese GEO H JONES.

 

22.08.1942-28.10.1942 Quarto viaggio-missione attiva. 
U455 parte da St. Nazaire sotto il comando di Hans-Heinrich Giessler e torna a St. Nazaire dopo nove settimane e mezza di missione.

 

24.11.1942-24.01.1943 Quinto viaggio-missione attiva. 
U455 parte da St. Nazaire sotto il comando di Hans-Martin Scheibe e ritorna a St. Nazaire dopo oltre otto settimane di missione.

 

23.03.1943-23.04.1943 Sesto viaggio-missione attiva. 
U 455 parte da St. Nazaire sotto il comando di Hans-Martin Scheibe e torna a St.Nazaire dopo quattro settimane di missione.
Durante questo viaggio colloca delle mine che provocarono l’affondamento dell’unità francese ROUENNAIS il 25 aprile del 1943

 

30.05.1943-31.07.1943 Settima missione attiva.
 U455 parte da S. Nazaire sotto il comando di Hans-Martin Scheibe e vi ritorna dopo meno di nove settimane.
 Durante questo mandato il 2 giugno viene attaccato da un aereo nemico ( RAF 248 squadra ) e subisce lievi danni; viene nuovamente attaccato il 19 giugno da un aereo (USAAF 2 squadra), anche in quest’occasione esce illeso dallo scontro grazie alla nave appoggio che lo ha prontamente difeso senza però abbattere il mezzo.


 

20.09.1943-11.11.1943 Ottavo viaggio- missione attiva
U455 parte da St. Nazaire sotto il comando di Hans-Martin Scheibe e arriva a Lorient dopo sette settimane e mezzo di missione.

 

06.01.1944-03.02.1944 Nono viaggio- missione attiva
U455 parte da Lorient sotto il comando di Hans-Martin Scheibe e arriva a Tolone dopo quattro settimane.

 

22.02.1944-06.04.1944 Decimo viaggio-missione attiva
U455 parte da Tolone sotto il comando di Hans-Martin Scheibe e viene dato per disperso il 6 aprile 1944. Nessun superstite.

 

L’IMMERSIONE VISTA DA LORENZO DEL VENEZIANO

La discesa sul sommergibile è sicuramente da considerarsi tra le più impegnative che io abbia pianificato nel Mediterraneo.
Le difficoltà sono molteplici, profondità e corrente , sono le più importanti oltre alla luminosità che a quelle quote nel Mar Ligure è notevolmente ridotta. 
Per scendere ho utilizzato un rebreather a circuito chiuso elettronico automiscelante, BUDDY INSPIRATION, con diluente 8% di ossigeno e 70% di Elio, pressione parziale dell’ossigeno costante a 1.3, che ritengo mi abbia dato un buon margine di sicurezza rispetto al convenzionale circuito aperto. Vantaggi a livello decompressivo e la tranquillità di avere una scorta di gas notevole. A profondità cosi’ elevate il manometro di un sistema a circuito aperto scende molto rapidamente comportando comunque nel subacqueo un minimo stress dovuto alla gestione della scorta di gas.
In ogni caso per affrontare una eventuale emergenza nel caso di guasto della macchina avevo con me un 12 litri di trimix 12% di Ossigeno e 50% di Elio, un 10 litri di Ean 36 e un 7 litri di Ossigeno puro, oltre varie bombole che avevo precedentemente posizionato sulla cima di discesa.
Ho effettuato nove immersioni tutte con BUDDY INSPIRATION, massima profondità raggiunta 120 metri, profondità media delle immersioni 105 metri; i tempi di fondo compresi fra 18 e 20 minuti, mi hanno comportato un RUN TIME compreso fra i 90 e i 110 minuti. Il programma decompressivo da me utilizzato è stato RGMB. 
La visibilità incontrata è stata sempre discreta anche se in alcuni casi la corrente, a volte anche sul fondo, ci ha costretto a limitare la nostra ricerca esclusivamente sullo scafo del relitto. Abbiamo esplorato intorno allo carena per un raggio di circa dieci metri trovando pezzi di lamiera contorti ed non identificabili.
 Ho effettuato un numero discreto di fotografie con scafandro ed illuminatori Foto Leone che spero possano avere dato l’idea dello stato di conservazione del sommergibile, oltre un video con camera digitale e scafandro autocostruito .

Un ringraziamento particolare a Luigi Casati, Jean Jackes Bolanz, Gianluca Bozzo, Massimo Croce, dott. Guido Parodi, Loredana De Sole, Massimo Mazzitelli, Roberto Liguori, Gabriele Paparo, Luca Pozzi

Sponsor: Giòsub – Dive System – Foto Leone

 

Webmaster Carlo GATTI

 

 

Rapallo, 19 febbraio 2013