Manuela Maria Campanelli, biologa e giornalista per diverse testate tra cui il Corriere della sera, si occupa di divulgazione scientifica dal 1992.
CORALLI
Nel Queensland (Australia) esiste la Grande Barriera Corallina, iscritta nella lista del Patrimonio dell’Umanità nel 1981, è la più grande del pianeta (si estende per 2300 km), gode di una grandissima biodiversità ed è formata da miliardi di piccolissimi organismi, “i polipi del corallo” che incessantemente, modificano con il loro lavoro la morfologia del pianeta. Non a caso per la sua ampiezza è l’unico organismo vivente della Terra visibile dallo spazio!
Immergersi con le bombole nelle profondità delle acque e nello stesso tempo contribuire alla salvaguardia dei coralli. A consentire questa doppia attività è il progetto STE (Scuba Tourism for the Environment – Red Sea Biodiversity Monitoring Program) appena ripartito dopo lo stop dettato dal Ministero degli Esteri per le mete turistiche egiziane: esso si propone infatti di monitorare la biodiversità delle scogliere coralline del Mar Rosso con l’aiuto di turisti volontari che trascorrono le vacanze nelle località di Sharm el-Sheikh, Marsa Alam, ma anche in luoghi meno noti ma ricchi di coralli quali Berenice, l’Egitto Meridionale, il Sudan, fino a Yanbù Al-Bahr e Rabigh sulla costa araba. Un vero e proprio esempio di citizien science , cioè d’impiego dei cittadini per indagare la scienza che in questo caso coinvolge subacquei ricreativi e snorkelisti che usando maschere e pinne potranno osservare solo la parte più superficiale della barriera corallina: entrambi raccolgono osservazioni che si trasformano poi in dati e quindi in un quadro completo del benessere di ciò che hanno visto.
Comportamenti sostenibili innanzitutto
Venirne a conoscenza è semplice. Basta consultare il sito www.steproject.org o bussare direttamente alla porta dei centri di diving aperti nelle rinomate mete egiziane. <<A impartire ai turisti volontari lezioni di biologia marina ci pensa il Marine Science Interdisciplinary Research GROUP (MSG – www.marinesciencegroup.org ), un gruppo di ricercatori, studenti universitari e personale formato che sul posto organizzano dei seminari volti ad affinare l’osservazione, a illustrare le problematiche di conservazione delle specie e a insegnare come approcciare la barriera corallina nella maniera meno impattante possibile, sia fuori dall’acqua con comportamenti sostenibili (limitare l’uso di detergenti, non comprare souvenir fatti di corallo…) e sia dentro il mare: imparare a valutare il giusto assetto d’immersione, per esempio la quantità di chili necessari per contrastare il galleggiamento, è estremamente importante per rimanere a mezz’acqua senza cadere sul fondo e andare addosso alla barriera>>, dice Stefano Goffredo, ricercatore del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna.
Un specifico monitoraggio
A ogni partecipante verrà consegnata una scheda di monitoraggio che dà notizie su 65 parametri sulla quale riportare le specie di interesse (circa una sessantina) e la loro frequenza di distribuzione rispetto all’atteso. In altre parole si chiede a ciascuno di essi di riportare quali organismi sono stati avvistati e in questo caso qual è la loro abbondanza: indicazioni valide sono anche quelle relative al ritrovamento di coralli morti, sbiancati, rotti o di rifiuti. Dalla somma delle osservazioni si ricava un quadro completo degli organismi che popolano l’area monitorata e cosa vi sta succedendo. Come si fa a sapere se i dettagli riportati dai volontari sono affidabili? <<La validazione dei dati raccolti viene eseguita da alcuni nostri studenti o ricercatori che, immergendosi a loro volta con i turisti, ma senza interferire con l’attività di questi ultimi, raccolgono a loro volta dettagli e osservazioni. Alla fine si confrontano le schede, quelle dei ricercatori ritenute corrette con quelle dei volontari: di solito si trova un’affidabilità del 60 per cento, del tutto paragonabile a quella riscontrata in altri progetti>>, spiega Stefano Goffredo. E’ un valore troppo basso, dite voi?
I risultati ottenuti
In realtà sapere quasi in tempo reale ciò che succede su vaste aeree geografiche ha costi enormi. L’approccio citizien science (uso di volontari per indagare la scienza) si è pertanto dimostrato un giusto compromesso per seguire i veloci cambiamenti degli ecosistemi, causati da modificazioni del clima e influenzati anche dall’uomo, senza commettere grosse imprecisioni. Non a caso Horizon 2020, il principale strumento di finanziamento dell’Unione Europea volto a sovvenzionare progetti di ricerca , ha previsto lo sviluppo di un sistema di monitoraggio di città e campagne impiegando i cittadini chiamati a segnalare precisi parametri per esempio tramite smart phone. MSG è tuttavia pioniere del metodo citizien science dato che ha iniziato a utilizzarlo dal 1999. E i risultati sono stati numerosi. A oggi sono state raccolte 30 mila schede che hanno dato indicazioni importanti sullo stato di biodiversità marina di 114 siti di rilevamento del Mar Rosso.
Dalla teoria alla realtà
Il monitoraggio effettuato dai volontari ha consentito d’individuare differenze tra aree di uno stesso territorio marino e di osservare disuguaglianze significative nella qualità delle barriere coralline tra le zone meridionali di Hurghada e quelle settentrionali di Sharm. <<Queste ultime sono infatti meglio conservate in quanto da sempre nei parchi protetti che le costituiscono è vietato l’ancoraggio libero delle barche che avviene su boe fisse>>, dice Stefano Goffredo. Le autorità locali sono tuttavia consapevoli dell’importanza di salvaguardare la biodiversità anche di questi luoghi turistici perché fanno da serbatoio alla capacità riproduttiva delle larve degli organismi che formano le barriere coralline. Il Ministero e l’Ente del Turismo Egiziano oltre a finanziare il progetto STE organizzano ogni anno un incontro in cui valutano i risultati ottenuti dal monitoraggio effettuato dai nostri ricercatori e ascoltano i consigli che vengono loro dati affinché possano trasformarsi in provvedimenti pratici. Un esempio? Da qualche anno hanno messo le boe fisse per l’ormeggio delle barche anche a Hurghada e mantenuto le zone parco a Sharm.
I nostri coralli
Livorno, Calafuria, profondità 30 metri. Corallium rubrum dimensioni 7-8 cm
Si parla tanto dei coralli che popolano il Mar Rosso o tanti altri luoghi del mondo e mai di quelli che vivono nelle nostre aree marine. <<Ben quaranta sono le specie che si trovano nel Mare Mediterraneo e quindi anche in acque italiane>>, dice Stefano Goffredo. <<Abitano ambienti sia illuminati e sia bui e riescono a raggiungere densità di popolazioni elevate o dominanti. Sebbene non formino scogliere coralline come nei Tropici, costituiscono tuttavia un elemento costruttivo dell’ambiente>>. Un esempio noto a tutti è il corallo rosso, assai diffuso oltre i 40 metri di profondità: lo stesso corallo è tuttavia molto abbondante a basse profondità in prossimità di Livorno ed è dominante nelle grotte buie a fianco del quale si sviluppano altre specie di coralli. Una specie di corallo bianco di profondità, la Lophelia pertusa, forma invece dei veri e propri banchi nei Mari Ionio e Tirreno.
Scenari possibili
Perché ci si preoccupa tanto della sopravvivenza dei coralli? In altre parole, se periscono, quale scenario si configurerebbe? L’economia dei Paesi emergenti di sicuro ne risentirebbe: il loro Pil è infatti basato sul turismo richiamato dalle barriere coralline e sulla pesca che questi stessi coralli consentono essendo l’inizio di una catena alimentare soprattutto in acque oceaniche. Verrebbe inoltre meno la protezione delle coste: le scogliere coralline fanno in un certo senso da scudo alle erosioni e agli tsunami. Negli anni ’80 nei Caraibi una malattia ha attaccato le scogliere coralline della Giamaica colpendo dapprima i ricci, organismi erbivori che controllano le alghe verdi, e successivamente l’intero ecosistema che si è trasformato in una distesa di coralli morti con sopra le alghe. I pesci che depongono le uova e trovano rifugio nella tridimensionalità della struttura della scogliera corallina potrebbero nel tempo addirittura estinguersi.
Manuela Campanelli
Rapallo, 28 Luglio 2018