COSTA CONCORDIA
Un incubo da ricordare, tra superstizione e realtà.
Si sono spenti i riflettori sulla Costa Concordia e il mondo intero ha tirato un sospiro di sollievo.
Il TEAM del Giglio, composto da tecnici di 26 nazionalità, suddivisi in numerose specializzazioni, ha avuto ragione di esultare e lasciarsi andare a manifestazioni “liberatorie” contro un nemico insidioso che era presente sin dalla nascita della nave: la sfortuna! Le navi, come le persone, hanno un destino e se “il buon giorno si vede dal mattino”, la rituale e ben augurante bottiglia di champagne, come molti ricorderanno, non andò in frantumi al momento del varo. Un segno premonitore? I marinai sono superstiziosi e quel giorno non pochi si coprirono gli occhi per non vedere la fine del varo… osarono troppo? Ma non ebbero tutti i torti. I marinai e le navi hanno dei riti da rispettare, come tutte le cose antiche, materiali e spirituali di questo mondo.
Il relitto della Costa Concordia é finalmente ormeggiata sulla diga del porto di Voltri. Sullo sfondo una Maersk sta scaricando i suoi containers. (foto J.C.Gatti)
La nave è una creatura modellata dall’uomo che le ha dato una struttura, la forma, lo slancio, la velocità, il movimento, persino il “mugugno” quando soffre, quindi ha una sua personalità.
Il relitto attraccato alla diga di Voltri non è la Costa Concordia vista da lontano sugli schermi di casa nostra, mentre certi commentatori esultavano ed esaltavano la magia dei tecnici, come se questi avessero potuto ridare un volto umano all’oggetto di quel macabro funerale che lentamente procedeva verso la meta finale. Oggi, nulla di tutto questo è percepibile. Chi è stato a bordo a contatto con le sue strutture dilaniate, ci ha raccontato dell’odore acre, pungente del relitto tirato sul da fondo, d’aver visto un ammasso di strutture deformate dalla sua caduta sul fianco e uomini senza sorriso e senza volto alla ricerca affannosa di un naufrago ancora mancante e delle membra di altri passeggeri identificati soltanto in parte.
Diciamocelo con sincerità: la più grande sfortuna della Costa Concordia fu l’imbarco di un capitano che non era all’altezza di tanta grandezza ingegneristica, innovativa architettura e superba tecnologia e con un equipaggio addestrato, nonostante le “malignità diffuse”. La nave era talmente up-to-date da poter navigare come un drone telecomandato da terra. Magari gli armatori avessero osato tanto…!
Il Comandante di un veliero oceanico, fino alla seconda metà dell’800, aveva a bordo soltanto un collaboratore: lo scrivano, un 1° ufficiale ante litteram che aspirava al comando senza interferire nel “magistero” del suo superiore considerato dall’equipaggio: secondo soltanto a Dio.
Con l’avvento della Rivoluzione Industriale, le navi furono motorizzate e le responsabilità del Comandante cominciarono a dividersi con il Direttore di macchina e gli ufficiali macchinisti. Per non essere da meno, furono imbarcati anche gli ufficiali di coperta che avrebbero garantito giorno e notte la guardia sul ponte di comando. Con l’emigrazione verso le Americhe e l’Australia, le responsabilità del Comandante aumentarono e si divisero con quelle dei Commissari di bordo. Con l’avvento della Radio, ci furono immediati vantaggi per la sicurezza dei viaggi oceanici, ed anche i Radiotelegrafisti diventarono protagonisti di salvataggi accanto al Comandante. In seguito, con l’imbarco dei Medici di bordo ed oggi con gli ufficiali Periti-Elettronici, il Direttore di Crociera e gli Ingegneri addetti al controllo delle strutture portanti della nave, il Comandante è diventato il manager che coordina l’insieme di questi settori, sebbene egli stesso, sia tenuto ad emettere gli ordini e le procedure che la legge gli impone.
In quella lunga notte del naufragio all’isola del Giglio, emerse inoltre una nuova “struttura di comando” che opera da terra: l’Unità di Crisi della Compagnia, istituita per supportare il Comandante nei momenti di grave difficoltà.
A questo punto la domanda che sorge quasi spontanea è la seguente:
“Ma cosa è rimasto a bordo dell’antico carisma del Comandante?”
Qualcuno potrebbe rispondere: “Nulla o quasi nulla!”
Eppure, in quel “quasi” solitamente pronunciato con tono sommesso e rassegnato, si nasconde l’elemento più importante della questione: l’EQUILIBRIO.
La nave ha bisogno di un Comandante che sia dotato di grande equilibrio, di grande personalità, ma soprattutto di tanta esperienza. Un uomo che conservi lo stile del vecchio Comandante di velieri, ma che sia anche padrone assoluto delle insidie nascoste nella tecnologia del nuovo millennio.
La nave moderna è ancora più “sensibile” delle navi di vecchia generazione. I timoni sono molto più reattivi di un tempo e basta un nonnulla per “esagerare” un’accostata. Per questo motivo è erroneo ed insensato scaricare colpe su un modesto timoniere che in manovra, ancor più che in passato, deve essere assistito ed affiancato da un ufficiale di coperta che ripeta gli ordini e ne controlli le esecuzioni, nello stesso modo in cui fu esercitato per secoli su tutti i ponti di comando del mondo, fin dai tempi più remoti. Le moderne eliche propulsive e di manovra sono in grado di garantire una velocità rotatoria vertiginosa, che è simile a quel giocattolo elettronico che ogni bimbo manovra in modo perfetto sotto i nostri occhi, senza avere – naturalmente – 4.000 persone a bordo.
Allora ci si chiede: Per quale recondito motivo quel tizio passò al comando? In fase dibattimentale emerse, fra l’altro, il contenuto di certe “note caratteristiche”, non proprio esaltanti, che furono stilate nei suoi confronti. Cosa sia successo in seguito? Non ci é dato sapere. Forse il vero responsabile di tanta imperizia lo si può immaginare inserito in quella lista “epurata” da Carnival subito dopo la tragedia.
Rimane da affrontare un ultimo punto: la formazione dei Comandanti.
Lo psichiatra Gian Paolo Buzzi, socio di Mare Nostrum, nonché studioso della materia e membro di Commissioni USA per la formazione di Comandanti di navi e di aerei, ci ha raccontato che da circa un decennio queste categorie sono sottoposte a TEST e controlli molto innovativi sulla soglia di reazione al pericolo, con la valutazione di parametri operativi come il coraggio, la freddezza, la determinazione, la capacità organizzativa nei momenti di grave difficoltà ecc… Possiamo solo augurarci che questa terribile esperienza della nostra marineria abbia scosso tutti gli ambienti decisionali del settore che, secondo le ultime statistiche, è diventato tra l’altro l’unico elemento realmente trainante dell’economia italiana.
Completiamo il senso di questo articolo con una fotografia che circola sul web e che certifica, più di tante parole, la pericolosa tendenza di certi comandanti-esibizionisti, sostenuti da armatori senza scrupoli, nel regalare EMOZIONI ai passeggeri in modo del tutto gratuito…
Lasciamo al lettore i commenti su questo incredibile passaggio tra i faraglioni di Capri di una nave di 20.000 tonnellate.
Carlo GATTI
Rapallo, 12 Agosto 2014