UN MATTINO L’INCANTO…
La piccola spiaggia è racchiusa da scogli. I pochi bagnanti silenziosi leggono il giornale o parlottano sottovoce, come i due ragazzi vicini a Giulia. Hanno le voci ancora sopite dal sonno.
Si sente solo il suono del mare, che varia in crescendo come sinfonia al passare di motobarche al largo, poi s’attenua e racconta l’inizio e la fine di tutto a chi la sa ascoltare.
La scena è così perfetta, compiuta, con i ciottoli rotondi in tutte le tonalità del grigio, il mare così limpido e cristallino da perdere colore in controluce, che Giulia ha un lieve tremito: il piccolo terremoto emotivo che l’assale durante l’attesa di un evento temuto.
“Se l’avvenimento negativo, sarà proporzionale alla bellezza del momento, potrebbe essere una catastrofe.” Pensa Giulia.
Poi sorride della sua premonizione come di un vizio esecrabile, ma ormai accettato. Si alza, avanza nel mare e subito è ripresa dall’incanto: ad ogni passo il mare le risponde con uno sciacquio di accettazione. Si questo è il suo ambiente, il luogo privilegiato d’incontro con la natura e con l’azzurro della vita.
“Ciao Marisa, sei in ritardo oggi. Vieni ti ho tenuto il posto” .
Qualche voce si alza nel silenzio, ma non disturba, tutto è vita intorno. Le tensioni si sciolgono, lei avanza fiduciosa e appagata nell’acqua.
Giulia nuota regolare, senza fatica verso lo scoglio, ora deserto. Tra qualche ora ospiterà le gambe irrequiete, le voci squillanti dei giovani, che si tuffano dalla sua sommità nel profondo ai suoi piedi.
Il mare è verde alla base dello scoglio, verde smeraldo purissimo, senza opacità, senza macchie.
“Ecco, questo smeraldo introvabile adesso è tutto mio, anzi vi sono immersa, inclusa, come un moscerino nell’ambra”.
Pensa Giulia appagata. Il senso di appartenenza alla natura è perfetto. Ora nuota col sole alle spalle verso riva, l’acqua cambia colore: lo smeraldo si muta in acquamarina, altrettanto pura e trasparente.
Lei guarda il suo corpo nell’acqua: spariti i difetti, i segni del tempo, si sente soda, liscia, ben modellata. Sa che è un’illusione, ma se la gode. E’ troppo bello, la levità del peso, la fluidità delle forme. Ritorna al largo per un’altra nuotata, grata a Dio e all’universo per il dono del mare e della vita. Ora nuota a dorso per ritornare. Ampie bracciate, profondi respiri.
L’attacco
Un colpo, una strisciata rapida e violenta la sollevano dall’acqua. Un bruciore intenso, il panico. Com’è rapido il pensiero! La scrittura lo snatura. Per un attimo, solo per un attimo Giulia pensa di aver urtato uno scoglio. Immediatamente dopo intuisce la verità.
Lo squalo. L’incontro temuto, altamente improbabile, è avvenuto. Ripiomba in acqua terrorizzata. La bestia, il male, l’altra faccia della natura. La memoria antica le blocca il respiro, le scompone i movimenti, tutta l’energia si incanala in un urlo, senza parole, come all’inizio dei tempi. Il dolore alla schiena è forte, ma meno potente dello scompiglio che sente dentro di sé. Fuori un’abrasione, dentro uno squarcio.
“No, il sangue nel mare, no!“
Il pensiero lentamente si ricompone, i movimenti si finalizzano alla salvezza. Il silenzio è frantumato, Giulia sente la gente urlare sulla spiaggia, ordini, parole sconnesse, qualcuno l’afferra per le mani, la tira fuori dall’acqua.
Il pesce intanto disorientato prosegue la sua corsa, urta il pedalò, azzanna la boa dei bagni vicini, si inabissa, riemerge, la pinna enorme, veloce a fendere l’acqua, capovolge un windsurf e sparisce. Il mare si è richiuso sopra di lui a proteggerlo.
Tutto apparirebbe perfetto, idilliaco come prima, se non fosse per la gente. Ognuno parla, racconta aggiunge, piange, telefona, organizza.
L’urlo della sirena dell’ambulanza prontamente accorsa comunica a Giulia che il peggio è passato. Tra poco sarà soccorsa, curata, guarita. E’ tornata all’oggi, all’efficienza e alla complessità della nostra società. Le era piaciuto quell’inizio di mattina così semplice, quasi primitivo. Poi l’incontro e la deflagrazione della paura. Paura dello squalo, paura di sé. Un’esplosione di debolezza e di aggressività. Ah se avesse potuto avrebbe distrutto lo scoglio, lo smeraldo, lo squalo, quello che le piaceva e quello che detestava. Senza distinzioni.
“Ecco, attenti. Fate largo per favore. Ora signora la sistemiamo a pancia in giù. Un telo sterile per favore, per ricoprire la schiena. Che disastro! Perde sangue, Svelti. C’è un’abrasione ampia e un taglio profondo”.
Giulia vorrebbe piangere, ma non le viene, non ci riesce mai. Anzi le scappa un sorrisino amaro. La schiena, l’unica parte intatta del suo corpo. Anche quella ora sarà segnata, ferita dalla vita, dal destino, dalla sfortuna. Sfortuna, una parola che non esiste nel vocabolario dei vincenti. Un’altra categoria, non la sua. Lei ci ha provato: pensiero positivo, terapie alternative, gocce di Bach. Ha indossato la maschera dell’ottimismo, la bocca atteggiata al sorriso, gli occhi illuminati da speranze inconfessabili, ma ogni volta la vita, con un soffio di maestrale, fa volare il suo castello di carta, le lievi strutture che la sostengono e lei ricade pesantemente nella sua realtà. La salute è un sogno, il benessere un’utopia.
Sono già arrivati all’Ospedale. Il dottore del Pronto Soccorso ha un’aria sfatta, preoccupata. Deve aver affrontato qualche caso difficile. Giulia lo conosce da tanti anni. E’ contenta che ci sia lui: sa che farà del suo meglio.
“Signora, ancora lei. Cosa è successo, questa volta ?”
“Uno squalo!”
“Uno squalo?”
“Dottore, non mi dica anche lei che sono stata fortunata. Che poteva andarmi peggio. Che potevo lasciarci la pelle. Sono stufa, arcistufa di queste fortune. Le lascio volentieri ad altri. Sembra che il mio destino sia di incontrare il male, conoscerlo, soffrirlo anima e corpo e poi sfuggirgli. E’ così con le malattie, con gli incidenti. Ma fino a quando? Non ne posso più”.
Mentre Giulia si sfoga il dottore lenisce il dolore, disinfetta, medica.
“Direi di non cucire qui. Abbiamo un cerotto oggi che rimargina bene. Resterà un segno come di un graffio. Ora stia un attimo ferma e zitta, poi mi racconta tutto per filo e per segno!”
Qualcuno bussa alla porta dell’ambulatorio, l’infermiera socchiude, la porta si spalanca di colpo, un flash acceca il medico e fa sobbalzare Giulia, che incominciava a calmarsi sotto l’effetto del sedativo.
“Fuori, bastardo!”
Urla il dottore. Poi rivolto alle infermiere:
“Prendetegli quella macchina!” Mentre il fotografo si allontana di corsa.
“Non è proprio nel suo stile, uscire così fuori di sé”.
Pensa Giulia. Deve essere stata una giornata davvero difficile per lui.
La voglia di interessarsi degli altri, di condividere riafferra Giulia, che si stava abbandonando al torpore.
“Che cosa le è capitato dottore, oggi? Non è lei “.
“A me niente, signora, soltanto il mio lavoro. A lei piuttosto è successo qualcosa di poco piacevole ed io sono qui per proteggerla. Vorrei che si abbandonasse adesso all’effetto dei farmaci. E’ sotto choc. Ha bisogno di riposo. Mi fanno infuriare quelle sottospecie di cronisti. C’è sempre qualche iena fuori del Pronto Soccorso. Appena arriva un ferito lo assalgono. Se potessero gli toglierebbero anche i vestiti, le medicazioni. Se ti opponi sbraitano che violi il diritto di cronaca. Che perversione! Loro e i fruitori della loro spazzatura”.
La voce del dottore ha sempre avuto l’effetto di calmarla. Qualsiasi cosa dica: “Fosfatasi alcalina?” E lei, senza neppure conoscere il significato delle parole, si sente accolta, protetta. Deve essere una questione di tono e di accento. Anche stavolta lo squalo è lontano… il sonno vicino… Lasciati andare Giulia. Domani riprenderai a combattere.
Ada BOTTINI
Rapallo, 26 dicembre 2015