Perché il Canale di calma di Prà (Genova) è inquinato
Ogni volta che esco dall’autostrada a Prà e vedo il porto colà realizzato, penso a come poteva, anzi doveva essere, se non ci fossero state le …. fogne. Pare strano ma pure quelle riescono, in Italia, a deviare opere faraoniche perché ci si è dimenticati di regolamentarle per tempo.
Quindi non solo la burocrazia ci intralcia ma pure loro, o meglio, i funzionari inetti che avrebbero dovuto vigilare che si eseguissero i progetti iniziali invece di …infognarsi negli eterni compromessi..
Quando si iniziò a parlare di creare a Pra un nuovo porto, specializzato nella rumorosa movimentazione dei container, si prese subito in esame come garantire, con il tombamento, il problema dello scarico a mare del rio Branega che colà sfocia così come tanti altri piccoli rivi che, come tutti quelli della scoscesa terra ligure, quando piove diventano importanti, repentini e dirompenti torrenti. Poi si tentò di censire pure gli sbocchi, bianchi e neri, che dalla battigia si potessero individuare anche perché, molte delle costruzioni nel sito e sulle alture sono antiche e non esiste documentazione circa i loro scarichi fognari e molti scaricavano, da sempre, nei rivi esistenti. Molte fogne delle cascine in altura, con il tempo e gli smottamenti si erano creati nuovi incanalamenti, per raggiungere i rivi, filtrando sotto il terreno e quindi, invisibili, ma esistenti. Un problema.
Esaminato bene il luogo, si diede incarico di redigere una prima bozza a progettisti di chiara fama, funzionari come si usava un tempo, esempio di rettitudine, emeriti e seri professori universitari ed esperti di costruzioni marittime che si potevano contare sulle dita di una mano; esaminato l’esistente arrivarono alla conclusione che fosse indispensabile e prioritario individuarli e canalizzarli tutti così da portarli a scaricare al di lì della banchina esterna del costruendo porto, canalizzandoli mano a mano che si procedeva a tombare. In altre parole due o tre grandi canali in cemento avrebbero permesso di scaricare le acque intercettate e non, direttamente in mare aperto. Alla fine e in sicurezza, si sarebbe creato il nuovo porto che, “prolungando” sul mare la terra ferma, avrebbe avuto una superficie pari al doppio e forse più di quanto in realtà non abbia adesso. All’inizio nessun “canale di calma” era previsto come invece poi si ci è inventato per mascherare colossali errori e scoordinamenti. Sarebbe stato tutto un grande piazzale che dalla ferrovia e dall’Aurelia raggiungeva la attuale banchina esterna di scarico, con sotto i canali di sfogo. Per rimediare si raccontò pure la panzana che con questa soluzione si sarebbero creati due lati di attracco: uno esterno e una interno, utilizzando appunto quel canale. Questo secondo approdo non fu mai praticato per il basso pescaggio e per la difficoltà a far girare le navi, una volta costeggiato a levante il molo esistente, così da poterle infilarle in quello che eufemisticamente oggi viene chiamato ‘canale di calma’. Poi si compensò i penalizzati abitanti di Prà esaltando l’idea del canale “fognario”, perché di questo si tratta, utilizzandolo come base per sport acquei. Genova avrebbe avuto il suo canale per il canottaggio. Peccato che a causa delle reti nere che vi scaricano e dell’impetuoso vento che soffia da Voltri, si dovette anche per manlevarsi da possibili colpe, affiggere qua e la cartelli che ne vietavano la balneazione. Si raccolsero solo le fogne “visibili” in un unico depuratore Pra-Voltri. Dovendo rimediare per calmare gli animi e non perdere i tradizionali voti molto ambiti in zona, realizzarono sulla vecchia battigia, piscine balneabili per sopperire a quanto, per trascuratezza, resero inagibile e, del canottaggio “olimpico” non se ne parlò più. Ogni tanto vi si svolgono regate di canottaggio a sedile fisso, che altro non sono che i vecchi gozzi “filanti”, sport ormai in disuso e di nessun richiamo; ma attenti a non bagnarsi se si vuol restare sani.
Dopo tanto parlare, come capita in Italia, quando arrivarono i soldi si pose subito mano, anche sotto la potente, interessata e urgente influenza delle poche ditte in grado di eseguire simili imponenti opere, ad eseguire i lavori a mare; per non <disturbare i manovratori>, nessuno tirò fuori i progetti che prevedevano i canali sotto al costruendo molo e solo dopo ci si accorse che non si erano risolti i problemi idraulici del territorio ma, in compenso, si era costruito anche un ulteriore molo interno per contenere il nuovo approdo che si poteva risparmiare se si fosse realizzato il progetto iniziale. Pazienza, l’importante era “godersi” i finanziamenti. Per continuare a procedere indisturbati fu allora che si ideò il ‘canale di calma’ cioè quella lingua di mare fra la vecchia battigia e il molo a nord del nuovo piazzale, cosi che gli scarichi non individuati continuassero, come nel passato, a inquinare il mare. Con quel sistema, a chi avesse obiettato che gli scarichi fognari occulti e i torrenti erano ancora non regimentati, si rispondeva: tutto come prima, liberi di sfociare a mare senza alcun impedimento. Si ometteva di dire che a rendere ancora più inquinate quelle acque “ chiuse”, era il fatto che il canale non sfoga a ponente perché lì c’è la lingua di terra che collega il manufatto per le movimentazioni con la terra ferma e sul quale passa pure la ferrovia per servire il sito: un <cul de sac>, insomma. Quel canale divenne, piano piano e di fatto un porticciolo turistico rabberciato e mal servito ma atto a coprire una mancanza nautica in un sito che lo richiedeva: insomma un ennesimo fai da te che in certe zone non è neppure raggiungibile dai mezzi dei pompieri. Ma all’epoca le Giunte che reggevano le fila, nel mentre non battevano ciglio nel vedere lo scempio che si stata perpetuando, continuavano a ritenere la nautica un lusso per ricchi, anziché capire che avrebbe portato lavoro; quando le ideologie ottenebrano il buon senso.
Morale, siccome le correnti marine scorrono da levante a ponente, quando giungono a Pegli si aprono: un ramo passa esterna al nuovo porto e va verso la Costa Azzurra (è là che trovano le salme di chi annega dalle nostre parti) mentre quella più a terra si infilala nel detto canale a fondo chiuso, non permettendo il ricambio delle acque; la conseguente fuoruscita dei liquami che dovrebbero, per uscire, vincere la corrente stessa che li spinge a Ponente, e poi sfociare su Pegli, resta bloccata in sito. Le frequenti forti ventolate di tramontana, tipiche del luogo, non risolvono il problema, influendo solo a spazzare quanto galleggia sull’acqua e avrebbero reso impossibile un impianto olimpico per il canottaggio..
Insomma un ennesimo pasticciaccio all’italiana che ci fadire: xe peso el tacon del buso.
Renzo BAGNASCO
LA STORIA
Dal 1998 VTE (Voltri Terminal Europa) fa parte del Gruppo PSA, uno dei leader mondiali nel campo della gestione di terminal portuali per contenitori.
L’area portuale di Voltri-Pra trae le sue origini da un progetto dell’allora “Consorzio Autonomo del Porto di Genova”, ora “Autorità Portuale di Genova”, ed è stata sviluppata progressivamente a partire dagli anni settanta/ottanta.
Nel 1992 FIAT Impresit, credendo nelle reali prospettive di sviluppo dell’area genovese, decise di costituire una società di servizi portuali –SINPORT– acquisendo dall’Autorità Portuale la concessione a completare e gestire il terminal contenitori di Voltri.
A partire dal 1992, il terminal si è rapidamente sviluppato raggiungendo in pochi anni la sua attuale configurazione. In parallelo con lo sviluppo delle infrastrutture, sono cresciute le attività e le risorse impiegate da VTE. Il primo traghetto merci fece scalo a Voltri nel 1992, la prima nave Car Carrier nel 1993 e finalmente il 5 maggio 1994 fu la volta della prima nave porta contenitori.
Il processo evolutivo è supportato dalla crescita del numero di addetti diretti sino agli attuali 700 circa, in maggioranza giovani, che hanno acquisito in pochi anni alta professionalità e competenza in virtù di un’intensa attività formativa. Essi costituiscono un elemento importante della competitività del terminal.
Il costante miglioramento delle risorse di VTE è stato largamente apprezzato dal mercato che ha contribuito ad una crescita dei volumi di traffico fino al raggiungimento di circa 1.010.000 TEUs nel 2008 e 1.242.000 TEUs nel 2012 (anno record anche per il Porto di Genova, che superò i 2.000.000 di TEUs anche grazie all’apporto di VTE).
ALBUM FOTOGRAFICO
A cura di Carlo GATTI
Rapallo, 25 luglio 2016