CANCARONE E VINO NAVIGATO
Quando nel 1956 feci il mio primo imbarco da mozzo su una piccola vinacciera, sentii che l’equipaggio chiamava sia il vino di bordo sia quello trasportato, con un nome curioso e suggestivo: CANCARONE. Ma nessuno a bordo conosceva l’origine di quel nome che mi ricordava i profumi della darsena e dell’angiporto di Genova. Ero un ragazzo, ma con un ramo di parentela nel basso Piemonte… per cui mi accorsi subito quanto fosse imbevibile quel liquido che non sembrava ricavato dalla fermentazione del mosto d’uva.
Mio cugino Francesco Fidanza dal Venezuela mi telefona: “alcuni gorni fa mi e’ venuto in mente: la parola CANCARONE che a bordo veniva servito nella classica caraffa di vetro, la raffinatezza era che veniva servito ‘freddo di frigorífero’. Nonostante tutto, si svuotava… e si poteva vedere la macchia rosso scura che lasciava quel liquido chiamato Cancarone. Poi, gli armatori meno spilorci, il giovedi e la domenica ci donavano il vino in bottiglia (con il tappo di sughero ) che era la versione di LUSSO dello stesso cancarone, in effetti se ne bevevi due gotti, ti veniva il mal di testa…”
L’amico Nunzio C. ricorda che alla fine degli anni ’40, prima dell’avvento in Italia della Penna a sfera (la famosa biro), molti marittimi usavano il CANCARONE come inchiostro per scrivere a casa…
“La colpa é del mare mosso e delle vibrazioni del motore – mi spiegavano – che non permettono il deposito delle 300 sostanze di cui é composto il vino”.
Per una volta tanto la famiglia caino di bordo: “il cambusiere”, veniva assolto insieme ai suoi collaboratori della sezione cucina.
Tempo addietro trovai persino la definizione di questo strano nome: VINO CANCARONE
CANCARONE
Non è un tipo di vino né un nome. Si usa soprattutto in Liguria, la dizione si rifà ad un brano del celebre scrittore sanremese Italo Calvino per indicare un vino scadente, che costa poco e vale meno.
In certi ambienti viene usato anche un altro nome:
TRAGLIA
Qualcosa di scarsa qualità, generalmente riferita a vino o alcolici in generale. In un impeto di internazionalizzazione è stato anche sostituito con l’inglesismo “cancaron”.
Espressioni collegate: “E’ una traglia” – “Che vino molto “cancaroni!”
Sono proposte di Max (Kroy), area genovese in particolare di Rapallo.
Nel novembre del 1932, entrò il linea il CONTE DI SAVOIA che fu il primo piroscafo a essere dotato di enormi giroscopi stabilizzatori per diminuire il rollio ed il beccheggio in caso di maltempo. Da quel giorno anche i SOMMELIER DA CANCARUN fecero un salto di qualità…
LA NOVITA’
Dopo tanti anni di oblio, é ritornata di moda un’altra definizione che però certifica un’altra tipologia di vini, questa volta di buona qualità:
VINO NAVIGATO
Albenga: La sezione di archeologia sottomarina, ospitata nel Palazzo Peloso Cepolla, pregevole edificio del primo Seicento, è sorta nel 1950 in seguito al ritrovamento, sui fondali dell’isola Gallinara, di una nave oneraria degli inizi del 1 sec. a.C. Nel Museo, in corso di risistemazione, sono esposti resti dello scafo, e materiali recuperati durante le varie campagne di scavo, e soprattutto un gran numero di anfore vinarie, collocate secondo la disposizione originaria del carico.
L’interno dell’anfora da vino era impermeabilizzato con pece e resine, da cui il termine “vino resinato”, mentre l’imboccatura veniva chiusa con un tappo di sughero spalmato di pece ma anche da appositi tappi di ceramica sigillati con calce o pozzolana.
Portofino/Santa Margherita Ligure. Quelle anfore pescate il 27 maggio 2016, alla fine hanno condotto al vero tesoro: una nave da carico romana del II – I secolo a. C., affondata al largo di Portofino. Le anfore, riportanti i bolli del generale Lucio Domizio Enobarbo indicano con esattezza la loro provenienza, la fornace e lo schiavo che le aveva realizzate. Vista la loro grandezza, da subito si era ipotizzato che facessero parte di un grosso carico di vino di una nave di notevoli dimensioni.
Questi reperti archeologici della nostra regione, dimostrano che la storia del Vino Navigato si perde nella notte dei tempi e ci raccontano di quel vino ligure che viaggiava tra le sponde del Mediterraneo sulle navi onerarie romane e non solo, quando una su tre affondava a causa del Mistral, e le sopravvissute naufragavano prima o poi sulle coste della Riviera a causa del libeccio. Non é quindi un caso, che in seguito a questi naufragi esistano tante anfore recuperate che oggi rivivono nei nostri musei.
Non solo anfore potremmo dire, ma anche qualche segreto che oggi riemerge in forma direi turistica e commerciale.
Ma di cosa si tratta?
Si dice che furono i “marangoni genovesi” (sommozzatori e palombari, provetti nuotatori di superficie e in apnea, famosi fin dal 1300) a localizzare numerosi relitti romani recuperando le anfore che erano rimaste indenni dalle mareggiate. I nostri avi che erano più interessati al contenuto che alle anfore-container dell’epoca, fecero una interessante scoperta: quel vino navigato e invecchiato per un destino avverso… era migliore di quello di terra. Ma come spesso succede in questa terra ligure un po’ arcigna e impregnata dei “si dice…manaman”, certi segreti rimasero sepolti sul bagnasciuga dei porticcioli, forse all’interno di qualche calata privata e protetta, tana e patrimonio di pochi fortunati intenditori! Tuttavia qualche fuga di notizie ci fu nella lunga e variegata storia locale che poi si é tramandata attraverso piccoli cunicoli fino ai giorni nostri!
Ecco, improvvisamente rispuntare i primi esperimenti di vino, (anche champagne pregiato, si dice…), che viene affondato ad oltre 50 metri di profondità per essere conservato, anche un anno intero, in gabbie opportunamente ancorate e accarezzate dall’acqua di mare pulita e mai mossa, con poca luce e tanti profumi sconosciuti tra i mortali che vivono in superficie.
E’ inutile girarci intorno… Oggi il termine Vino Navigato, é abusato e copiato per ovvi scopi pubblicitari e turistici, ma non vanno dimenticati i secoli di fatica, sudore e rischi di navigazione: unici elementi che conferivano, in maniera naturale, un gusto davvero speciale al vino. Sulla scia di quanto detto, il nostro pensiero corre innanzitutto al RICORDO dei nostri Leudi, ai quali abbiamo già dedicato un’ampia rassegna di saggi e articoli sul Sito di Mare Nostrum Rapallo.
L’ultimo Leudo di Sestri Levante: Nuovo Aiuto di Dio
RICORDI di quando il vino era una specie di santo “pellegrino” che viaggiava via mare in botti di rovere sui Leudi, una tipologia di imbarcazioni in uso in tutto il Mediterraneo fino alla fine del Novecento.
Il LEUDO fa parte della nostra storia e della nostra tradizione. Quest’imbarcazione aveva il compito di trasportare tutti i generi di prima necessità, a partire soprattutto dal vino.
Tradizionali erano gli scambi con l’Isola d’Elba, ma anche con la Sicilia e la Corsica.
L’ultimo Leudo rimasto è il “Nuovo aiuto di Dio” di proprietà del dottor Gian Renzo Traversaro presidente dell’Associazione “Amici del Leudo” che è stato restaurato e ha potuto riprendere il mare nel 2011.
Sul “Nuovo aiuto di Dio” imbarcò Agostino Ghio “Giustinin” (Ancora d’Oro nel 1961) che fu anche timoniere di Guglielmo Marconi sulla celebre Elettra.
“Nel 2012 – racconta il dott. Traversaro – in una delle riunioni invernali per le opere da eseguire, mi è balenata un’idea, forse pazza, ma interessante: riprendere i commerci con il Leudo ed in particolare quello del vino con l’Isola d’Elba e l’isola del Giglio”.
Una bella notizia di questi ultimi anni riguarda quindi il ritorno al passato… Da questa antica tradizione, il vino Navigato riprende le vie del mare nostrum a bordo della bombata coperta del primo LEUDO restaurato da appassionati privati. Ascoltiamone il racconto di un anonimo testimone:
“Quel vino rischiava di non essere prodotto a causa del mancato varo del Leudo Nuovo Aiuto di Dio determinato da problemi tecnici, ma un gesto di solidarietà ed amicizia, tipica delle buone tradizioni marinare, ha salvato la situazione! È stato il Leudo Zigoela, capitanato dal patron della Compagnia delle Vele Latine, Roberto Bertonati, a trasportare il prezioso nettare degli dei. Il ricavato della vendita del vino, apprezzato da consumatori ed esperti, servirà per rimettere in sesto il Nuovo Aiuto di Dio.
Così il 29 settembre 2014 il benemerito Leudo Zigoela è salpato dal golfo di La Spezia alla volta di Vernazza, nelle Cinque Terre, custodendo nel suo ventre il vino della Cantina Sassarini.
Dopo aver preso contatti con alcune cantine produttrici dell’Isola d’Elba, abbiamo trovato due bottifici ancora attivi a Marsala che ci hanno fornito le botti per il trasporto. Ad attendere l’arrivo delle botti, non solo presenziava il sindaco Vincenzo Resasco, ma anche i ‘vinacceri’ Andrea e Daniele Ballarini e i rappresentanti dell’ Associazione Amici del Leudo Ugo Rocca e Giordano Veroni. Nel Settembre del 2012, quarantaquattro anni dopo l’ultimo viaggio commerciale che fu appannaggio proprio del Nuovo Aiuto di Dio, è stata riaperta “La Via Dei Leudi”.
Andrea Ballarini, imprenditore, ristoratore e socio degli amici del Leudo ci informa che: i progetti per il Vino Navigato di quest’anno sono ambiziosi. Alla “Stella Maris”, che farà affinamento in botte immersa nelle acque del nostro mare, si affiancheranno due nuovi prodotti che vedranno la luce grazie ad una collaborazione con il Museo di Sestri nella persona del direttore Fabrizio Benente.
STELLA MARIS IL VINO DEL LEUDO “NUOVO AIUTO DI DIO”
L’armatore Gian Renzo Traversaro parlandoci del naufragio del Leudo predecessore il “Nuovo Aiuto di Dio”, avvenuto all’altezza delle secche di Vada, ci disse che durante quel triste epilogo, si seppe di anfore e botti di imbarcazioni affondate che avevano perfettamente mantenuto, se non addirittura migliorato il gusto de loro prezioso carico. Nacque un’idea. Ce la può raccontare?
“Certamente! Con un attento studio sulle botti e sui tempi abbiamo voluto creare una cosa unica immergendo in mare per sei mesi una serie di botti in una località segreta a Sestri Levante.
Il legno agendo da membrana osmotica ha poi regalato al vino altre note preziose facendolo acquistare in struttura e sapidità.
Fu scelto un nome speciale: “Stella Maris” un punto cardinale della devozione dei nostri marinai fin dall’antichità; in ebraico antico significa anche “goccia di mare”.
Ma per avere contezza del tempo che passa, andiamo ancora un po’ indietro e leggiamo che nel 1876 Bartolomeo Bregante iniziò a commercializzare il cosiddetto “vino navigato” lungo le rotte del Mediterraneo con una piccola flotta di Leudi.
Il Maestro d’Ascia Antonio Muzio detto anche “Tunin Capetta”
Di nuovo messo in secco nel 2013 per lavori all’albero maestro il leudo, costruito dai maestri d’ascia sestresi nel 1923, e’ tornato a veleggiare. ‘Il nuovo aiuto di Dio’ che trasportava vino tra la Sardegna e l’Elba fino alla fine degli anni ’50, in estate raggiungerà il porto di Marciana Marina (Elba) seguendo l’antica rotta dei vinacceri.
Dimensioni principali del “NUOVO AIUTO DI DIO”
Lunghezza fra le Pp. ………………………………………………………. | mt. 14,670 |
Lunghezza fuori tutto ……………………………………………………. | mt. 15,320 |
Larghezza massima fuori Fasciame Ponte Coperta ………… | mt. 4,680 |
Larghezza massima fuori Ossatura Ponte Coperta …………. | mt. 4,550 |
Larghezza massima fuori Fasciame Orlo Impavesata……… | mt. 5,300 |
Altezza P. Coperta dalla L.C. alla Retta Baglio ……………… | mt. 1,050 |
Bolzone …………………………………………………………………………. | mt. 0,750 |
Immersione massima dalla L.C. sulla Pp. AV. ……………….. | mt. 0,850 |
Immersione massima dalla L.C. sulla Pp. AD. ……………….. | mt. 0,930 |
Di ritorno a Sestri, il vino veniva trasportato in botti di legno della capacità di 600/800 litri e veniva caricato sia nelle stive che in coperta.
Prima delle mareggiate invernali i Leudi venivano tirati a riva. Oltre all’equipaggio partecipavano a questa manovra anche i passanti ed i turisti.
Unico esemplare esistente di ‘Argano a mano’ per virare il Leudo a riva.
(Museo Marinaro Tommasino-Andreatta. Foto C.Gatti)
I Leudi normalmente trasportavano fino ad un massimo di 300/500 botti che venivano gettate in mare con la stessa tecnica di sempre: spinte verso terra, tra lo stupore dei turisti festanti, da qui venivano rotolate sulla spiaggia per essere caricate e destinate all’imbottigliamento.
Il vino così prodotto e maneggiato in questo microcosmo costiero delle nostre parti, prese il nome di NAVIGATO in quanto assunse caratteristiche importanti nei gusti, dovute alla salsedine ed al “legno” della botte che, assieme ai continui movimenti durante il trasporto, ne definiscono in maniera unica ed antica il sapore. Un prodotto difficile, ma sicuramente unico in tutto.
Quando un Leudo era carico, la linea di galleggiamento era molto bassa.
Il Leudo era una imbarcazione molto stabile ma non era veloce. Era preferibile navigare con il vento a favore perché cambiare il bordo della vela era una manovra complicata.
CARLO GATTI
Rapallo, 7 Settembre 2017