IL PUNTO NAVE
DAL SESTANTE AL GPS … escluso
Ricordi e Testimonianze
Introduzione
di Ernani Andreatta
NEMESI – Lancia senza Madonnina…
Fanno parte delle collezioni del Museo Marinaro oltre 15.000 fotografie in cartaceo di tutte le navi militari del mondo con particolare attenzione a quelle della nostra Marina Militare Italiana sin dall’unità d’Italia del 1861. La collezione apparteneva a Giuliano Gotuzzo di Santa Margherita Ligure, storico e appassionato collezionista navale di ottimo livello.
La documentazione storica del Museo attraverso pubblicazioni, fascicoli e giornali di guerra, data sin dai primi dell’ottocento ed è straordinaria così come le oltre 250.000 fotografie quasi tutte a tema marinaro che fanno parte degli archivi informatici del Museo.
Molti grandi armatori dell’epoca eroica della vela come gli Accame, i Raffo, Bacigalupo ed altri hanno affidato al Museo Marinaro tutti i loro archivi storici dell’800 che sono stati messi in ordine di data e rilegati. Il traffico commerciale, le avarie, le polizze di carico e altre curiose documentazioni come “il codice dei telegrammi cifrati degli armatori ai tempi della vela” sono, nel loro genere, un patrimonio unico e importante per rarità e complessità di reperti.
Ma la produzione letteraria potrebbe non fermarsi dato che è in via di realizzazione un libro dal titolo “I 500 bastimenti di Chiavari”. “…Perché è un assurdo, che il “Campanino”, ideatore di seggiole, sia diventato più famoso dei Gotuzzo e dei Tappani costruttori di navi”.
Così scrisse il Comandante Pro Schiaffino Presidente onorario del Museo Marinaro di Camogli e storico di grande fama con profonda conoscenza delle cose di mare. Certamente ritorneremo su questo argomento anche per “onorare” la verità storica.
Il buon Dio e la natura hanno dato, fin dagli albori, la possibilità al navigante di stabilire la latitudine misurando la latitudine misurando di notte l’altezza della stella Polare, oppure misurando di giorno l’altezza massima che il sole raggiunge sopra la sua testa.
IL ROMANZO DELLA LONGITUDINE
UNA SOLUZIONE ATTESA MILLENNI
Intervista del Comandante-webmaster Carlo GATTI al Comandante Ernani ANDREATTA
Inserita il 23.05.11 sul sito di Mare Nostrum Rapallo, quell’intervista oggi conta 11.500 visitatori! Ciò significa che l’interesse per l’argomento esiste in tutto il mondo, eccetto che nelle Scuole dedicate…
Come sarebbe a dire? Ve lo spiego subito!
Nel frattempo, sono passati solo sei anni e si é saputo, con molto rammarico, che all’Istituto Tecnico Nautico di Camogli, il quale oggi non si chiama più così, del PUNTO NAVE fatto con le rette d’altezza misurate con il SESTANTE, non se ne parla proprio più.
Pare che gli studenti nautici non abbiano mai preso il SESTANTE IN MANO, neppure una volta nei cinque anni previsti dal corso.
A nostro modesto avviso si tratta di una sacrosanta vergogna, in genovese: di una belinata colossale!
Il “nostro” sistema stellare é sicuramente antiquato, ma dovrebbe essere tuttora “TRASFERITO”, almeno sul piano culturale, ai nuovi allievi come “sapere marinaro” del “passato prossimo”. Tutti infatti siamo consapevoli, in particolare i naviganti che, in caso di necessità, (spegnimento dei satelliti per motivi bellici) i metodi cosiddetti antiquati come le RETTE D’ALTEZZA dei nostri tempi…, potrebbero ritornare “necessariamente” di moda perché erano e si basano tuttora su metodi scientifici, quindi esatti! Ed é quindi molto “imprudente” considerare “superati” certi calcoli astronomici basati sulla matematica più avanzata.
Ben vengano i nuovi sistemi tecnologici, ma io farei molta attenzione ad eliminare la VERA ARTE DEL NAVIGARE e dei suoi strumenti basilari:
– la conoscenza del cielo stellare,
– uso di un buon sestante,
– uso del cronometro,
– uso delle Effemeridi Nautiche dell’anno in corso.
Quando i Velieri si arenavano sugli scogli perché non conoscevano la Longitudine.
Per la soluzione della longitudine c’è stato invece il buio totale fino alla metà del 1700.
E’ impossibile sapere quante navi siano naufragate nei millenni per l’errata valutazione della longitudine.
Questo fantastico capitolo della storia della navigazione ha inizio, pensate, con la soluzione trovata da un orologiaio, l’inglese John Harrison che affermò:
“E’ sufficiente che ogni nave sia equipaggiata con un cronometro in grado di misurare l’ora esatta, quella di Londra per esempio, ed un semplice confronto con l’ora locale del punto dove si trova la nave, fornirebbe istantaneamente il “FUSO ORARIO”, cioè quanti gradi e primi, e dunque la longitudine della nave e quindi anche la sua distanza dal meridiano 0° convenzionale-politico di riferimento”. Ma quell’uomo ci mise tutta una vita per fare accettare questo semplice concetto ai grandi astronomi del 1700.
Il Comandante Ernani Andreatta mostra il cronometro navale della “Texaco Arizona” varata nel 1949 presso il celebre Cantiere Navale Bethlehem Steel Corporation di Quincy, Massachusetts (USA)
Ci troviamo in compagnia del Comandante Ernani Andreatta, fondatore e conservatore del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari.
Comandante, nel 1999 siamo stati entrambi folgorati dal piccolo libro “Longitudine” di Dava Sobel, non tanto per l’aspetto scientifico che avevamo già analizzato al Nautico, ma per la storia “sofferta” di Harrison che ignoravamo totalmente.
E’ vero! Del piccolo libro di Dava Sobel, “Longitudine”, mi affascinò soprattutto l’argomento trattato che mi stimolò per avviare ulteriori ricerche sull’argomento che culminarono con una conferenza, della quale fui relatore nello stesso anno alla Scuola Telecomunicazioni di Chiavari.
Sicuramente abbiamo in comune un ricordo: il primo ordine che veniva impartito all’Allievo ufficiale di coperta del dopoguerra, fino all’avvento del GPS, era quello di dare la carica, ogni mattina, al cronometro di bordo.
Questo fa parte della nostra storia di naviganti. Per anni abbiamo navigato usando il sestante per trovare la posizione della nave, misurando cioè l’altezza degli astri e soprattutto usando quel famoso cronometro, da lei accennato, a cui occorreva dar la carica tutte le mattine. Lo ritenevo un normale strumento che, come la bussola, faceva parte della strumentazione di bordo. A quel tempo non sapevo che il cronometro di bordo era stato, dopo infiniti anni di naufragi e disastri, la soluzione ai fondamentali problemi del calcolo della posizione della nave.
A pensare che Harrison era nato falegname…
John Harrison, nato falegname e non orologiaio, ebbe ragione addirittura su certi Astronomi Reali che non credevano anzi, guardavano con sospetto alla sua “piccola scatola magica”. Quel piccolo oggetto meccanico rappresentava la scoperta scientifica più importante della storia marittima e mai più avrei immaginato che dietro a quel cronometro che maneggiavo quasi con fastidio, si era consumata una durissima vicenda esistenziale per un uomo straordinario e testardo come il nostro eroe.
Spieghiamo ai nostri lettori la principale necessità di dover calcolare la longitudine.
Agli inizi del 1700, il problema di tutte le navi era calcolo della longitudine, in pratica la distanza lungo un parallelo, da un meridiano di riferimento, e di conseguenza la posizione esatta della nave. Questo era il vero problema che assillava tutti i naviganti. Agli occhi degli uomini del settecento, il mondo aveva un aspetto molto lontano da quello che gli atlanti, i mappamondi e le fotografie scattate dai satelliti ci hanno reso familiare. Non si contavano i capitani ed i loro equipaggi che avevano perso la vita schiantandosi sugli scogli di una costa che secondo i calcoli sbagliati non doveva essere lì.
Per fortuna dei marinai, all’orizzonte apparve John Harrison il quale fornì la soluzione e la sostenne fin da subito: ogni nave doveva essere equipaggiata con un cronometro in grado di segnare sempre l’ora “esatta” di Londra che, messa a confronto con l’ora locale-solare, avrebbe istantaneamente fornito il “Fuso Orario” e dunque la Longitudine della nave.
Purtroppo, trovata la soluzione teorica, si presentava un altro problema di ordine pratico: un cronometro così preciso non esisteva nemmeno sulla terraferma.
Quanto tempo impiegò J. Harrison a vincere la sua personale scommessa?
E’ la storia avvincente di quarant’anni di sforzi che furono necessari a John Harrison non solo per costruire e perfezionare quel cronometro, ma soprattutto per persuadere la comunità scientifica dell’efficacia del suo metodo semplice e definitivo.
Occorre sottolineare che a quel tempo la mentalità prevalente era per le soluzioni avanzate dagli astronomi illustri, tra cui G.Galilei.
I grandi astronomi dell’antichità insegnarono a calcolare la latitudine, ma poi indirizzarono le loro ricerche nei meandri dell’universo. Forse la longitudine non era così importante nei limiti geografici della navigazione costiera conosciuta prima delle grandi scoperte geografiche.
Già nel 150 D.C. il cartografo e astronomo Tolomeo aveva tracciato le latitudini e le longitudini nelle ventisette carte geografiche che rappresentano una pietra miliare e un punto di riferimento importantissimo.
Per far capire meglio ai nostri lettori, ci può definire la differenza cruciale tra la Latitudine, misurata a partire dall’equatore, verso nord e verso sud e la Longitudine, misurata invece da un meridiano 0° convenzionale?
Il parallelo di Latitudine di grado ZERO vale a dire l’equatore è fissato da leggi della natura; infatti, osservando i moti apparenti dei corpi celesti, il sole, la luna e i pianeti passano quasi esattamente sopra l’equatore. L’identificazione del meridiano fondamentale Zero, invece, è una decisione squisitamente politica. Nel tempo, da Tolomeo in avanti si stabilirono come meridiano Zero, di volta in volta: le Canarie, l’arcipelago di Madera, Le Azzorre, Le Isole di Capo Verde, Roma, Copenaghen, Gerusalemme, San Pietroburgo, Pisa, Parigi, Filadelfia, prima di fissarlo, in modo universale, a Londra e precisamente a Greenwich.
L’esempio più eclatante d’errore di Longitudine ce lo diede C. Colombo che Salpò il Parallelo e credette di essere arrivato a Cipango. Ci può chiarire il rapporto tra tempo orario, longitudine e distanza geografica?
Cristoforo Colombo nel 1492 “Salpò il Parallelo” ed è fuor di dubbio che, sulla sua rotta, se non ci si fosse messa di mezzo l’America, avrebbe sicuramente trovato le Indie. Pertanto, la misura della longitudine è fortemente influenzata dall’ora e per calcolare la longitudine in alto mare bisogna sapere non soltanto che ora è a bordo della nave in un dato momento, ma anche che ora è, in quello stesso istante, nel porto di partenza o in un altro luogo di cui si conosca la longitudine. Le ore segnate dai due orologi rendono possibile al navigante la trasformazione di differenza oraria in distanza geografica. Poiché la terra impiega 24 ore per completare un’intera rotazione di 360 gradi, un’ora equivale a un 24esimo di giro, ovvero a 15° (gradi). Quindi, la differenza di un’ora tra la posizione della nave e il punto di partenza indica un avanzamento di quindici gradi di longitudine verso oriente o verso occidente. Quando in mare, il navigante, regola l’orologio della sua nave sul mezzogiorno – il momento in cui il sole raggiunge il punto più alto nel cielo, cioè lo Zenit – e quindi consulta l’orologio del punto di partenza, sa che la discrepanza di un’ora si traduce in 15 gradi di longitudine. Quegli stessi 15° (gradi) corrispondono anche ad una certa distanza percorsa. All’equatore, dove la circonferenza della terra è massima, equivalgono a mille miglia nautiche. A nord e a sud di tale linea, il valore di ciascun grado misurato in miglia diminuisce. Un grado di longitudine equivale a quattro minuti in tutto il mondo, ma in termini di distanza si contrae dalle 68 miglia all’equatore ad uno zero virtuale ai poli.
Un orologio preciso e trasportabile è stato quindi il “segreto” che ha rappresentato la vera svolta nella sicurezza della navigazione?
La conoscenza simultanea dell’ora esatta di due luoghi diversi – un pre-requisito del calcolo della longitudine – che oggi, riusciamo ad ottenere con economici orologi da polso, era una meta irraggiungibile sino a che non furono inventati gli orologi a pendolo. Ma sul ponte di una nave, che stava rollando, tali orologi diventavano pressoché inservibili perché acceleravano o rallentavano enormemente e non parliamo poi dell’influenza della temperatura tra le zone fredde e i tropici.
Possiamo affermare che la sola conoscenza della latitudine non solo fu un grande limite per i grandi navigatori, ma possiamo aggiungere che essi arrivarono dove arrivarono per “benevolenza della fortuna”?
Quasi tutti i grandi navigatori, da Vasco de Gama a Vasco Munez de Balboa, da Ferdinando Magellano a Sir Francis Drake, arrivarono dove arrivarono, volenti o nolenti, per grazia di Dio e benevolenza della fortuna. Anche il Re Giorgio III d’Inghilterra e lo stesso Luigi XIV cercarono di risolvere questo problema ed il grande James Cook fu uno dei primi esploratori a dar fiducia a Harrison con ben tre lunghi viaggi sperimentali, prima d’incontrare una morte violenta alla Hawai.
Che parte ebbero nella vicenda “Longitudine” i famosi astronomi dell’epoca?
Astronomi famosissimi s’ingegnarono in ogni modo e maniera per risolvere il problema del calcolo della longitudine. Ne cito alcuni come G. Galilei, Jan Dominique Cassini, Cristian Huygens, Sir Isaac Newton, Edmond Halley (lo scopritore della cometa…) ma tutti sbagliarono, perché rivolsero i loro studi alla luna e alle stelle, forse travisati dal calcolo squisitamente astronomico della latitudine. In realtà, Galileo studiò un metodo per calcolare la longitudine, ma era complicatissimo e del tutto inapplicabile a bordo alle navi.
Non c’è dubbio che questa ricerca portò anche ad altre straordinarie scoperte come il peso della terra, la distanza delle stelle e la velocità della luce.
Comandante, ci racconti alcune tragedie marinare che furono causate dalla pessima conoscenza della longitudine.
Il problema era sempre lo stesso! Soltanto attraverso il calcolo della longitudine si sarebbe arrivati alla conoscenza della “vera” posizione della nave. Nel 1707, l’ammiraglio di Sua Maestà Sir Clowdisley perse quattro navi (su cinque), e oltre duemila uomini d’equipaggio in prossimità delle Isole Shilly a sud dell’Inghilterra (Lands End). Quando l’Alto Ufficiale scoprì con sgomento d’aver calcolato male la longitudine, era già tragedia… E pensare che un membro dell’equipaggio li aveva insistentemente avvertiti che stavano sbagliando e fu impiccato per insubordinazione.
C’è da notare che la non conoscenza della longitudine allungava i viaggi a dismisura, dipanandosi in mille episodi orripilanti di uomini uccisi dallo scorbuto e dalla sete, di spettri fra il sartiame, di approdi di navi ridotte a relitti con le chiglie frantumate sulle rocce e cumuli di cadaveri di annegati a imputridire sulle spiagge. In moltissimi casi l’ignoranza della longitudine portava un vascello ad una rapida fine. Infine possiamo aggiungere che l’incapacità di calcolare la longitudine influiva negativamente sull’economia: le navi erano costrette a seguire solo determinate rotte conosciute e così, sulle stesse rotte, si affollavano baleniere, mercantili, navi da guerra e corsari naturalmente, cadendo preda uno dell’altro.
Personalmente fui colpito dalla tragedia del Madre de Deus. Ci può raccontare brevemente quel tragico episodio?
Nel 1592, il gigantesco galeone portoghese Madre de Deus, armato con ben 32 moderni cannoni di ottone, mentre si trovava al largo delle Azzorre, di ritorno dall’India, s’imbatté al largo delle Azzorre nella flotta inglese che lo colò rapidamente a picco. Da notare che la flotta Inglese stava aspettando quella spagnola e non il Madre de Deus.
Il galeone trasportava sotto coperta ogni ben di Dio: oro, argento, perle, brillanti, ambra, arazzi, ebano, tela di cotone stampata e le preziose spezie, quantificate in quattrocento tonnellate di pepe, quarantatré di chiodi di garofano, trentacinque di cannella e tre di noce moscata e macis. Il carico del Madre de Deus valeva circa mezzo milione di sterline che era la metà del gettito fiscale di tutta l’Inghilterra a quell’epoca.
Nel 1641 il Commodoro Anson, al comando del Centurion, perdette ben tre navi delle cinque che erano al suo comando, oltre agli equipaggi di circa 600 uomini. La sua disavventura nel passare dall’Atlantico al Pacifico, attraverso Capo Horn, fu causata dal non conoscere la longitudine quindi la posizione della sua nave, ma fu anche straordinariamente aggravata da 58 giorni di terribili burrasche.
Gli uomini migliori, insomma, perdevano l’orientamento una volta che la terra non era più visibile ed il mare non offriva nessun indizio utile a calcolare la Longitudine. A causa dei numerosi naufragi e delle perdite di uomini e navi si diffuse persino il timore, o la superstizione che alla soluzione di quel problema si opponesse qualche divieto divino.
Il Parlamento Inglese, con il celebre “Longitude Act” del 1714, stanziò l’astronomica somma di 20.000 sterline, circa 20 miliardi di vecchie lire, a chi avrebbe inventato un sistema pratico e utile per il calcolo della longitudine. Qui cominciò l’avventura di J. Harrison?
L’orologiaio inglese John Harrison, un genio della meccanica, fu il pioniere della scienza della misurazione del tempo, mediante strumenti precisi e portatili. Il tecnico dedicò la sua vita a questa ricerca realizzando ciò che Newton riteneva impossibile: inventò un orologio che, come una fiamma eterna, avrebbe trasportato l’ora esatta dal porto di partenza ad ogni remoto angolo della terra. Senza preparazione teorica né apprendistato pratico presso un orologiaio, Harrison costruì una serie di orologi quasi del tutto privi di attrito, che non abbisognavano di lubrificazione o pulizia, fatti di materiali inattaccabili dalla ruggine, in grado di mantenere le parti mobili in perfetto equilibrio reciproco, a prescindere da come, intorno a loro il mondo si impennava o rollava. Abolì naturalmente il pendolo e accostò differenti metalli all’interno del suo congegno in modo che quando un componente dell’orologio si espandeva o contraeva per variazioni di temperatura, l’altro componente ne neutralizzava gli effetti mantenendo costante il ritmo dell’orologio.
Harrison ebbe molti nemici che fecero carte false contro di lui, a tutti i livelli!
Infatti, i risultati conseguiti dal nostro eroe furono vanificati dai membri della comunità scientifica, che diffidavano della “scatola magica” di Harrison. I commissari, incaricati di assegnare il premio stanziato, Nevil Maskelyne tra loro, cambiavano le regole della gara tutte le volte che lo ritenevano opportuno, così da favorire sempre gli astronomi rispetto a Harrison e ad altri meccanici. Alla fine, la precisione e l’efficienza dei cronometri di Harrison trionfarono. I suoi seguaci migliorarono la splendida e complessa invenzione con qualche modifica che consentì in seguito di produrla in serie e di diffonderne l’uso.
Il Re d’Inghilterra, un monarca illuminato, intervenne in soccorso di Harrison!
E’ vero! Nel 1773 un Harrison vecchio e sfinito reclamò, al riparo dell’ala protettiva di Re Giorgio III, il premio che gli spettava di diritto. Erano trascorsi quarant’anni tumultuosi, segnati da intrighi politici, guerre internazionali, ripicche accademiche, rivoluzioni scientifiche e crisi economiche.
La vita di Harrison fu costellata di delusioni e colpi bassi di ogni specie. Gli ammiragli e gli astronomi della Commissione per la Longitudine appoggiarono sempre apertamente il metodo delle distanze lunari di Maskelyne perché lo vedevano come lo sviluppo logico delle esperienze in mare e negli osservatori. Dopo il 1750, grazie agli sforzi congiunti dei molti che contribuirono a questa grande impresa internazionale, sembrava finalmente che il sistema fosse applicabile a bordo.
Ci parli ora della produzione dei cinque prototipi di Harrison.
Harrison costruì cinque prototipi di orologi che identificò con la sigla H-1, H-2, H-3, H-4 e negli ultimi anni della sua vita l’H-5. Per l’H-3 soltanto impiegò ben 19 anni. Ne uscì una macchina perfetta che sgarrava di appena un secondo, dopo numerosi giorni. Durante tutti questi anni di durissimo lavoro non accettò mai altre commissioni più redditizie, ma costruì soltanto qualche “volgare” orologio per sbarcare il lunario. Soltanto il 30 novembre del 1749, Harrison lasciò il suo banco da lavoro per ricevere un’alta onorificenza che era la Copley Gold Medal, una medaglia d’oro che fu in seguito assegnata a personaggi come Benjamin Franklin, James Cook e Albert Eistein, tanto per citarne alcuni. Il penultimo di una stirpe di questi gioielli in ottone, l’H-4 ha un diametro di soli dodici centimetri e pesa soltanto un chilo e trecento grammi; sembra più un grosso orologio da taschino che non un cronometro di bordo. All’interno delle sue due custodie d’argento finemente decorate c’è la meraviglia delle sue minuscole parti con rotelle dentate che girano sorrette da rubini e diamanti per evitare l’attrito. Come Harrison sia riuscito ad inserire i gioielli nell’Orologio, rimane a tutt’oggi un mistero del quale non fornisce spiegazioni della tecnica usata, per dare alle gemme la loro caratteristica e cruciale configurazione.
L’H-4 è tuttora esposto al National Maritime Museum di Londra e attira ogni anno, assieme all’H-1-2-3 circa otto milioni di visitatori.
I Cronometri di Harrison
Eccoci arrivati al primo esperimento del cronometro di Harrison. John delegò il figlio William?
Finalmente, nel 1762 ci fu la prova del nove per l’H-4. Fu imbarcato sulla nave di sua Maestà il Deptford. Sulla nave s’imbarcò il figlio minore di Harrison, William. La traversata Atlantica durò quasi tre mesi, il 19 Gennaio del 1762 il Deptford arrivò a Port Royal in Jamaica. Salì a bordo il rappresentante della commissione che doveva giudicare l’orologio di Harrison. Robinson e William Harrison confrontarono i due orologi per stabilire la Longitudine. Dopo 81 giorni di mare, l’H-4 aveva perduto soltanto 4 secondi! Ma Nevil Maskeline, l’alto prelato amico degli astronomi e nemico dichiarato del “nostro” orologiaio, per ironia della sorte, era lì ad aspettare il cronometro per giudicarne l’efficienza nel calcolo della longitudine! Le discussioni con William furono interminabili. Pensate! Il calcolo della longitudine si era ridotto ad una discussione tra un astronomo e un orologiaio su una desolata spiaggia delle Barbados.
Come si concluse il viaggio?
L’orologio ritornò a Londra, sempre ben custodito da William Harrison sul Merlin. Il viaggio di ritorno fu altrettanto disastroso per il mare in burrasca e spesso William, che soffriva il mare, doveva avvolgere l’orologio in un plaid e tenerlo al caldo col proprio corpo. Il 26 Marzo, giorno dell’arrivo a Londra l’H-4 ticchettava ancora.
Che fine fece il tanto agognato Premio?
Invece delle 20.000 sterline Harrison ne ricevette soltanto 1.500 con la scusa che, disse la commissione, “gli esperimenti finora condotti sull’Orologio non erano stati sufficienti per determinare la Longitudine”. Avrebbe ricevuto altre 1000 sterline quando l’H-4 fosse tornato dalla sua seconda missione in mare. Un certo Bliss, astronomo, che faceva parte della commissione giudicante, affermò che la cosiddetta precisione dell’orologio, era stata una “fortunata coincidenza”. Cosi, l’orologio di Harrison dovette subire ancora numerose prove e controprove sotto la diffidenza dei grandi astronomi del tempo. Poi Harrison, finalmente, sempre per intercessione di re Giorgio III riuscì ad ottenere tutto il premio messo in palio dal Longitude Act.
Ha inizio una nuova era. L’Inghilterra diventa la “Signora dei Mari”, grazie all’orologio di Harrison.
Quando John Harrison, il 24 Marzo del 1776 morì, esattamente a 83 anni dopo la sua nascita avvenuta nel 1693, egli assurse allo stato di “martire degli orologiai”. Per interi decenni era rimasto in disparte, praticamente solo, come l’unica persona al mondo seriamente impegnata a risolvere il problema della Longitudine facendo ricorso alla misurazione del tempo. Poi all’improvviso, sulla scia del successo dell’H-4, legioni di orologiai cominciarono a dedicarsi alla costruzione di orologi marini. Dopo tre secoli di “sicura navigazione” per i sette mari, la totalità degli studiosi sostiene che Harrison ha favorito la conquista dei mari da parte dell’Inghilterra, e quindi contribuito alla creazione dell’impero britannico, perché fu grazie al cronometro che le navi inglesi divennero le signore degli oceani.
Si sciolse la commissione per la Longitudine. Il cronometro, nonostante l’antipatia degli astronomi, venne assegnato a tutte le navi e, nel giro di pochi decenni, entrò negli inventari di bordo e vi rimase fino ai giorni nostri. Comandante ci avviamo alla conclusione di questo revival storico, ma prima di ringraziarla, lasciamo ancora a lei la parola per trarre alcune conclusioni.
Nel 1828 la Commissione per la Longitudine si sciolse e l’assegnazione dei cronometri a bordo passò all’Istituto Idrografico della Marina, vale a dire ai cartografi. Era un compito non da poco, dato che oltre all’assegnazione, l’Istituto era anche incaricato di ritirare e riparare i vecchi cronometri. Spesso a bordo alle navi idrografiche incaricate dei rilievi se ne potevano imbarcare anche una quarantina in modo da avere dei calcoli di longitudine più precisi. Evidentemente l’idea del cronometro aveva finito per fare breccia. L’estrema praticità dell’approccio del nostro John Harrison era stata dimostrata in modo tanto esauriente che tutta la concorrenza di astronomi e scienziati era svanita come per incanto. Una volta installatosi stabilmente a bordo, il cronometro finì ben presto nell’inventario, come ogni altra cosa essenziale compresa la bussola. La sua storia controversa insieme con il nome del suo inventore venne molto presto dimenticata dagli uomini di mare, che ne facevano uso ogni giorno.
Oggi, il calcolo della Longitudine è finalmente venuto agli onori della storia e reso finalmente giustizia a quel fuoriclasse che fu John Harrison!
Carlo Gatti
Dal Corriere Mercantile del 21 Maggio 2011 apprendiamo che al Comandante Ernani Andreatta é stato assegnato il Premio Nazionale “Nonno dell’Anno”. Il famosissimo riconoscimento arriva dall’Associazione “O Leudo” di Sestri Levante e la motivazione sulla targa “Un salvataggio per i posteri” si riferisce alla grande opera di salvataggio, restauro e catalogazione di migliaia di reperti marinari del Tigullio che ora sono conservati nel Museo Marinaro Tommasino-Andreatta che ha trovato finalmente ospitalità e grandi spazi presso la Scuola Telecomunicazioni delle Forze Armate, Caserma Leone di Chiavari.
Si consiglia a tutti la visione del filmato YOUTUBE creato, studiato e composto dal Comandante Ernani Andreatta a scopo divulgativo.
Si tratta di un sistema molto semplice che viene spiegato al Museo Marinaro per capire che cosa sono le rette d’altezza che, quando non si vedeva più la costa, era l’unico sistema affidabile per ottenere il punto nave, prima della diffusione del sistema GPS.
Vi segnalo il LINK di un ottimo articolo del nostro sito, MARE NOSTRUM RAPALLO, autore Comandante Nunzio CATENA titolo:
ANNI ’60 – RICORDI DI BORDO E DINTORNI…
che si attaglia perfettamente all’argomento in oggetto. Nunzio ci parlerà di questo trasporto, del quale segnaliamo anche un video e altri simpatici aneddoti. Riteniamo pertanto che molti anziani “lupi di mare”, leggendo questi ricordi, rivivranno una parte della loro gioventù, ma siamo inoltre convinti che anche le nuove generazioni di studenti nautici e giovani ufficiali in servizio troveranno in queste “testimonianze” notevoli spunti di riflessione su come si navigava al tempo dei loro nonni, senza strumenti elettronici, con il radar che andava in avaria nel momento in cui serviva, con il radiogoniometro inattendibile… molto spesso affidandosi soltanto al sestante e al buon senso marinaresco.
Riporto anche la “succosa” testimonianza dell’Amico Direttore di Macchina dott. Vittorio CIVITELLA, compagno di nuoto e di bordo. GRAZIE Vittorio!
Carlo
Mio impagabile Comandante,
ti ringrazio molto della istruttiva lezioncina sulle alchimie del punto nave, delle rette d’altezza e quant’altro: un dvd accattivante, esaustivo e diligente come pochi. Peccato che, in buona misura, i potenziali interlocutori da te raggiunti valendoti maliziosamente d’una mia mailing-list a cui era indirizzato un mio personale invito d’altra natura, avendo interessi presumibilmente diversi da certe esclusive specificità marinaresche, non avranno modo di apprezzare come si conviene lo spessore della tua profferta. Cosa che, invece, non ho mancato di fare io che della materia sono sempre stato un attento modesto estimatore. Mi sovviene, non senza tradire un certo spleen, d’un tempo in cui, durante le lunghe navigazioni oceaniche (ho fatto quasi 10 anni di petroliera prima di entrare in Adriatica), giovane Terzo Macchinista, chiudevo la seconda guardia della notte (come ti sarà noto in marina libera il Terzo copriva la seconda guardia e il Secondo copriva la terza) e dopo un breve spuntino andava in plancia e mi intrattenevo col collega di Coperta il quale, dietro mia insistente preghiera, mi metteva al corrente dei rudimenti dell’arte della navigazione. Amavo allora capire tutto ciò che era possibile capire anche se i miei studi erano stati di ben altra natura: rette d’altezza, l’orizzonte ponderale, la disposizione delle stelle, le effemeridi nautiche… Accarezzavo con timore referenziale il sestante Platt di cui egli era munito e che era per me uno strumento esoterico. Al momento fatidico del “punto nave” chiedevo curioso: “Cosa mi prendi stasera: Capella, Betelgeuse, Aldebaran…?” Il mio preferito era Arcturus da cui traevo benefici auspici. Di buon grado sostavo davanti al cronografo in sala carteggio o davanti alla chiesuola della Magnetica attendendo con trepidazione il suo “Lesta?” a cui io prontamente rispondevo “Lesta!” in attesa dello stentoreo “Stop!”. Dopodichè seguivano tutti i calcoli che io mi bevevo come un assetato. Il manuale delle Effemeridi era per me come un libro sacro al punto che ogniqualvolta veniva rinnovato (ogni anno, mi pare di ricordare) chiedevo la copia scaduta e me la mettevo in valigia come un oracolo, e qualche collega sorrideva con commiserazione: So much water has passed in the Giordan! dicono gli Ebrei. Ognuno forgia e segue il suo destino: il mio è stato molto diverso dal tuo ma gli studi universitari gli hanno dato almeno un senso. Compiuto o incompiuto che sia ormai è troppo tardi per dolersene o per compiacersene.
Se avrò tempo farò un salto al Museo: sarà un’occasione per salutarci da vecchi marinai. O da marinai vecchi…
Un abbraccio,
Vittorio
ALBUM FOTOGRAFICO DI
ERNANI ANDREATTA
Sulle rette d’altezza e varie…
Ottanti
OTTANTE molto raro
Cielo Stellato
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Le sei foto a seguire sono la rappresentazione didattica del concetto delle RETTE DI ALTEZZA SU CUI SI BASANO I CALCOLI STELLARI PER OTTENERE IL PUNTO NAVE (FIX). Opera di Giancarlo Boaretto
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Cronometro di bordo Hamilton Anni ‘60
Sestante di bordo
Ottica del Sestante
Lesta … Stop!
I calcoli stellari di Nunzio Catena in navigazione da Marsiglia a Rosario, il 10 ottobre 1966. In alto: Retta d’altezza di sole alle 10.00 che a mezzogiorno viene “trascinata” ad incrociarsi con la retta di MERIDIANA fornendo il punto nave che, tuttavia, sarà più preciso al crepuscolo serotino, quando saranno osservati più astri ed il Punto Nave risulterà da un incrocio perfetto di Rette d’altezza (come da disegno).
NAVIGAZIONE SATELLITARE
GPS
The Global Positioning System
Comandante Ernani Andreatta
(Autore e Regista del DVD: Il Punto Nave dal Sestante al GPS)
Hanno collaborato:
Comandante:……………. Carlo Gatti
Comandante:……………. Nunzio Catena
Comandante:……………. Giancarlo Boaretto
Direttore di Macchina:…. Vittorio Civitella
Rapallo, 24 Ottobre 2017