Ricordando la HAVEN
vent’anni dopo…
Il relitto é indicato nella parte sinistra della cartina
Due rapallesi, Pino Sorio (Ufficiale di Macchina) e Livio Alessandri (Ufficiale di Coperta) navigarono sulla Amoco Mildford Haven in seguito ribatezzata HAVEN.
10 Aprile 1991 – L’attenzione e lo sgomento di tutti erano ancora rivolti alla collisione avvenuta nella notte tra la MOBY PRINCE in uscita dal porto di Livorno e la petroliera AGIP ABRUZZO ancorata in rada. Le notizie grandinavano ancora gracchianti, confuse, controverse su tutte le frequenze portuali e soltanto le parole: “Bettolina”, “Agip Abruzzo”, “Moby Prince”, “Nebbia”, filtravano anonime, limpide, inesorabili e sufficienti a definire un quadro che ormai aveva preso corpo in tutta la sua drammaticità. Nello scalo labronico si contavano ancora i 140 morti e ognuno cercava disperatamente la spiegazione che ancora oggi, a distanza di vent’anni, nessuno é riuscito a dare. “..ma le disgrazie non giungono mai sole..” recita un vecchio adagio! E qualche volta pare proprio che la biblica Apocalisse si materializzi in alcune “prove pratiche” per testare le già flebili forze di noi umani.
11 Aprile 1991 – Nella tarda mattinata, dalla vicina Arenzano giungeva come un fulmine a ciel sereno la notizia di un’altra immane sciagura del mare. In quella tranquilla rada rivierasca, ad appena 90 miglia di distanza da Livorno, si aprì improvvisamente un secondo girone infernale. Sulla superpetroliera HAVEN, ancorata ad 1,5 miglio dalla spiaggia, scoppiò un spaventoso incendio seguito da ripetute esplosioni che spararono la coperta del castello di prora distaccandola di netto dal resto dello scafo. In breve tempo e per ogni cisterna, s’innescò una catena di deflagrazioni che divamparono e trasformarono la nave in un immenso rogo. La tragedia ebbe un lungo epilogo che possiamo così sintetizzare: 5 marittimi su 36 d’equipaggio perdettero la vita. La superpetroliera Haven di 335 metri di lunghezza, con una capacità di carico di 230.000 tonn. colò a picco. La liguria subì Il più grave disastro ecologico mai avvenuto in Mediterraneo e forse nel mondo. Ma come andarono veramente le cose? Erano le 12.40 quando il Pilota Giancarlo Cerruti, di guardia al Porto Petroli di Multedo, udì il segnale di soccorso “mayday-mayday” lanciato dalla Haven e si precipitò con la pilotina verso la calma rada di Arenzano. Il viaggio durò 20 interminabili minuti e il contatto radio tra Comandante e Pilota fu intenso e drammatico. I soccorsi furono allertati immediatamente e si udirono frasi spezzettate del tipo: “lance di salvataggio, immediata evacuazione, salvataggio con gli elicotteri ed altre concitate richieste” . Appena la pilotina giunse sotto la poppa della nave, una terrificante esplosione scosse la petroliera a centro nave. Erano le 13.00. Pezzi di lamiera infuocata volarono in tutte le direzioni risparmiando fortunosamente l’imbarcazione dei piloti. In quell’istante la voce del Comandante s’interruppe. Il Pilota capì che la morte lo aveva falciato sul Ponte di Comando mentre ancora dava ordini al suo equipaggio e chiedeva aiuto per la sua nave in grave pericolo. A terra la gente ebbe un sussulto d’incredulità quando vide un fungo “atomico” ergersi in volute di fumo nero che rotolavano gonfiandosi lentamente verso il cielo limpido, primaverile. Tutto accadde con diabolica rabbia sopra quel lungo scafo nero che reagiva ad ogni esplosione con lugubri boati e lingue di fuoco che squarciavano l’aria come saette, la colonna di fumo nero era alta ormai più di 300 metri. Da subito la nave apparve così martoriata da rendere vana qualsiasi strategia di recupero. La conferma si ebbe quando il mio amico Silvan, che si trovava a bordo di un rimorchiatore in avvicinamento, mi disse d’aver visto la prora inarcarsi e poi spezzarsi. Una parte dell’equipaggio della HAVEN riuscì a tuffarsi in mare a pochi metri dalla pilotina di Cerruti che li raccolse, insieme al suo timoniere Parodi. Furono salvati 18 naufraghi. Il valoroso pilota dichiarò: “non fu facile sottrarre alle fiamme quei corpi che a stento respiravano ed erano ricoperti di viscido crude-oil. Riuscimmo a salvarli con la forza della disperazione”. Ne morirono cinque, alcuni sotto i suoi occhi mentre l’imbarcazione si allontanava, quasi affondando per il sovraccarico. Gli altri superstiti rimasti intrappolati in quei roghi di fiamme furono salvati dai rimorchiatori e dagli ormeggiatori in un secondo momento e con molta fortuna. Giancarlo Cerruti, insieme agli altri eroi di quella triste giornata, ricevettero numerose benemerenze e attestati di stima per la freddezza, il coraggio e spirito di solidarietà dimostrati in quella terribile circostanza. L’entità di quel rogo immenso fu tale da rendere vano ogni sforzo per soffocarlo. Non restò che contenere l’espansione del crude-oil per evitare quel disastro ecologico di cui nessuno, purtroppo, vantava esperienze e strategie di contrasto sicure. Tutta l’attenzione si concentrò quindi nel predisporre misure antinquinamento stendendo infiniti chilometri di “panne” a protezione del litorale usando tutti i mezzi disponibili per il ricupero del prodotto che ancora galleggiava in superficie avendo resistito al fuoco. L’agonia durò tre giorni e nessuno, dall’Ammiraglio Alati all’ultimo marinaio dei rimorchiatori, ormeggiatori e di quel fantastico Corpo dei Vigili del Fuoco, si riposò un solo attimo. Il problema che si pose alle Autorità e alla cittadinanza non era di facile soluzione e forse, ancora oggi, vale la pena di ricordare qualche particolare. Il tempo stava cambiando. Una brezza fresca da scirocco (SE) increspò il mare. Il 12 aprile fu deciso di tentare l’aggancio della poppa della HAVEN per trainarla verso la costa con lo scopo di gestire al meglio lo spegnimento e le operazioni antinquinamento. La nave era ridotta ormai ad un relitto. Il rimorchiatore Istria, con il supporto manuale della motobarca VVFF, imbrigliò con un cavo d’acciaio l’asse del timone della petroliera allungandolo con uno spezzone di cavo che passò all’Olanda, un rimorchiatore di notevole potenza. Durante l’operazione d’aggancio, la nave emanava un tale calore che i marinai e i pompieri rischiarono l’asfissia, lo svenimento e quindi la vita stessa. Verso sera iniziò il traino verso Arenzano con grosse difficoltà. Il vento era girato a libeccio (SW) rinforzando e minacciando di spiaggiare chilometri di “panne antinquinamento” (barriere verticali, galleggianti e semisommerse). Se ne perdettero molte, mentre altre furono rimorchiate in porto e furono salvate. Il comandante dell’Olanda F.Capato dichiarò: “il convoglio procedeva come una “mosca sul catrame fresco” e il relitto dava chiari segni di collasso, l’inclinamento andava via-via accentuandosi… anche l’immersione era visibilmente in aumento…ancora fuoco e fiamme e si udivano scricchiolii dovuti allo sforzo del traino ed all’azione del mare sempre più mosso, con un’onda di ritorno che ne aumentava l’altezza”. Tutti gli occhi erano puntati sul relitto cercando di coglierne ogni segnale anticipatore della fine.
Nella nottata del 13 Aprile, il relitto raggiunse la posizione assegnata dalla Capitaneria, era completamente in fiamme e vittima dell’ennesima esplosione. In tarda mattinata l’Olanda mollò il cavo. Il relitto restò immobile sul posto e affondò il mattino del 14 Aprile in Latitudine =44°22’44” N- Longitudine= 008°41’58” E. ad 1.05 miglia da Capo Arenzano, su un fondale di circa 70 mt. Al contrario di quanto accadde a Livorno, le cause del disastro della Haven vennero subito intuite dagli esperti. Nei giorni precedenti, la superpetroliera aveva sbarcato 80.000 tonn. di crude-oil all’Isola Artificiale di Multedo. Andò quindi alla fonda fuori Arenzano, e vi rimase con tempo buono nell’attesa di far rotta verso un nuovo porto per scaricare le 220.474 tonn. che aveva ancora nelle cisterne. La nave non era quindi operativa e poteva solo essere impegnata, con le pompe di bordo, nella manovra di travaso di parte del carico per raggiungere un buon assetto di navigazione. Sulle petroliere, il 1° Ufficiale di Coperta ha la responsabilità del carico, e per le operazioni d’apertura e chiusura delle numerosissime valvole, si avvale del Tanchista (sottufficiale) e di altri assistenti di coperta. Il 30 gennaio 1992, nel corso dell’Inchiesta Formale, il Tanchista dichiarò che quella mattina il Primo Ufficiale ordinò di chiudere determinate valvole d’intercettazione alle cisterne del gas inerte, e che egli lo fece. Mentre il Primo Ufficiale, al contrario, dichiarò d’aver ordinato l’apertura delle stesse. Ma dalla ripresa subacquea effettuata in presenza dei periti, le valvole “sospettate” risultarono tutte chiuse. L’evento che appare più accreditato dagli esperti é che si sia creata, in fase di pompaggio del prodotto, una sovrapressione nella cisterna n°1 determinata proprio dall’ipotesi appena descritta. L’operazione durò 70 minuti determinando progressivi e devastanti “cedimenti strutturali”, con emanazione di scintille che, in presenza di gas nelle tubazioni, innescarono i primi incendi ed esplosioni. L’effetto domino, come abbiamo già descritto, si propagò con effetti ritardati anche di molte ore, ma la reazione a catena di esplosioni fu inevitabile e l’agonia della nave si protrasse per quasi tre giorni. Alcune considerazioni tecniche:
– La sezione di prora fu addirittura staccata dal resto dello scafo ed affondò a circa 6 miglia dal relitto principale e giace su un fondale di 480 metri.
– Il petrolio greggio (crude-oil) a contatto con l’acqua di mare subisce alterazioni chimiche notevoli. Nel caso dell’incendio della Haven, durato 3 giorni, vi é stata una accelerazione del processo di evaporazione del prodotto, con liberazione delle frazioni più leggere e pericolose per l’inquinamento favorendo il rapido affondamento dei residui più pesanti dell’acqua di mare e questa massa asfaltica-bituminosa è diventata perennemente inerte e non pericolosa.
– Ciò che non avremmo mai voluto leggere: “ 4 giugno 2011, Arenzano – Un sub è morto ieri pomeriggio nel corso di un’immersione sul relitto della petroliera Haven. Il sub tedesco si chiamava Martin Rehermann e. da quanto riferito da Carabinieri e Guardia Costiera, sarebbe stato colto da malore mentre stava risalendo in superficie ….
– Per gli appassionati “sub” prendiamo in prestito dalla HAVEN Deco Station alcuni interessanti dati di profondità.
La statuetta del Gesù Bambino di Praga, fissata sul ponte di comando del relitto.
Carlo GATTI
Rapallo, 12.10.11