L’EPOPEA DEI “MACCHI”

GENOVA


Le moderne dighe foranee dei porti principali sono costruite con moduli in calcestruzzo che in gergo marinaro vengono chiamati MACCHI oppure CASSONI. In questa foto se ne vedono DUE che sono pronti per essere rimorchiati verso la loro destinazione. Questi manufatti sono di varie misure: peso, lunghezza, larghezza e pescaggio a seconda del fondale su cui dovranno poggiare. Chi scrive ne rimorchiò 21 a Monaco per la costruzione della diga del porto di Fontvieille. Il dislocamento dei macchi varia da 2.000 tonn. a 4.000, pescano da 9 a 12,5 mt. La velocità di navigazione varia da 1 a 3 nodi, con tempo buono assicurato. La ridotta velocità non dipende dalla scarsa potenza del rimorchiatore, ma dalla assenza di linee idrodinamiche del manufatto che, in pratica, é senza prua e poppa.

Nel macco più basso della foto, si può osservare la suddivisione interna in celle che hanno una precisa funzione: per essere posizionato, allineato e affondato secondo il progetto ingegneristico, le celle del manufatto vengono riempite d’acqua, per cui il macco può essere appesantito o alleggerito fino a raggiungere la perfetta posizione. Appoggiato definitivamente sul fondale, la fase finale consiste nel sostituire l’acqua di zavorra con colate di cemento, sabbia o altro materiale edilizio.

27.15.4.16.4000…i macchi

I numeri qui riportati non sono quelli del lotto ma sono le caratteristiche che contraddistinguono alcuni tipi di cassoni della Fincosit (da noi confidenzialmente chiamati macchi) e che dai Cantieri venivano rimorchiati ai luoghi di affondamento per la costruzione delle infrastrutture portuali: Porto Torres, Marsha el Brega, Monaco furono le nostre destinazioni.

27 metri la lunghezza, 15 metri la larghezza, 5 metri la parte emersa, 11 metri la parte immersa, per un peso di 4000 tonnellate di cemento.

Fiuto, naso, sensibilità tutte doti indispensabili che facevano e fanno la dotazione del Barcacciante nel prevedere il tempo (vedi i Siparietti dedicati al “naso” nel libro “Con le Barcacce nel cuore” di C.Gatti-S.Masini) e prendere le decisioni del caso, ma c’è una condizione di rimorchio dove solo una dose di fortuna gioca un ruolo predominante: quando si rimorchia il “macco”, questa specie di iceberg in cemento.


I “macchi” in attesa di essere rimorchiati sul luogo di affondamento.

Qui non si scappa, anche con tanta potenza la velocità è di 3-3½ nodi (4 un record con corrente a favore…) e con un pescaggio di 11 mt. che non dava scampo per eventuali ridossi. Partenza da Genova con tempo dichiarato ma la lunghezza del viaggio non assicurava niente, anche l’avviso di perturbazione non dava possibilità di cercare ridosso.

Un pugile alle corde che poteva solo difendersi come poteva.

La velocità alla partenza era ancora inferiore dovuta alla vegetazione che aveva fiorito nella parte immersa durante la sosta in Cantiere e che lentamente in parte si rilasciava nelle prime 48 ore di navigazione.

Tanto eravamo lenti che ancora il giorno successivo alla partenza si metteva il gommone a mare per andare a comprare pane fresco e giornali.

Che dire ancora su questo tipo di rimorchio.

Intanto che anche con potenze di molto maggiori la velocità non incrementava significativamente. Ci provammo anche col Vortice (6.500 CV) ma con risultati modesti, c’era comunque da considerare lo sforzo maggiore delle attrezzature e la sollecitazione alla struttura del cassone che suggeriva una certa cautela.

Per i meno iniziati ricordiamo come le resistenze al moto in mare incrementano col cubo della potenza raggiungendo rapidamente valori astronomici.

Movimento in porto di un “macco”.

 

 

Il Rimorchiatore della Fincosit  movimenta il cassone e lo consegna  al Rimorchiatore di altura.


Rimorchio di un cassone di cemento di medio tonnellaggio. Rapportino del viaggio del cassone da Genova a Monaco: Miglia 75 in 22h – Velocità 3.41 nodi.


Alcune fasi nella costruzione dei Cassoni (Fincosit)

L’epopea di un cassone Fincosit.

Nelle rievocazione dell’Ing. Pasquale Buongiorno:

A  tutti  i  marittimi che  hanno  contribuito  a   far   grande

la  Fincosit ……

“Sono le tre del mattino del primo febbraio 2007.  Marco esce di casa cercando di non svegliare la famiglia. E parte, direzione Marghera. Lì in banchina lo aspettano Fabrizio, Paolo, Giovanni e Pietro per andare fuori dalla Bocca di Lido incontro al cassone.

I cognomi non sono importanti, di solito ci si dà del tu, del vaffa… se occorre.

Se il tempo lo permetterà, oggi il cassone NS42, il 2271-esimo cassone della FINCOSIT (e questo vuol dire più di 50 km di dighe e banchine costruite…), il primo del progetto Mo.S.E. entrerà a Venezia.

Mi hanno chiesto di scrivere qualcosa sul rimorchio dei cassoni.

Ma io mi intendo più di numeri che di lettere e poi il rimorchio è meccanica, movimento  e noi ingegneri civili preferiamo la statica. Allora mi sono detto “Perché non parlare dei nostri marittimi e del loro lavoro….?”

Ho appena abbozzato la dedica e la premessa e so già che prenderò una bella strigliata dal mio Presidente. Lo so, ora il nome della società è GLF ma per me che sono in ditta da più di 20 anni ma anche per tutti i colleghi, le Autorità Portuali e i giornali, la branca marittima della società è e rimarrà sempre “la FINCOSIT”.

Se dici a un genovese “rimorchio di un cassone”, ti parlerà della partenza del superbacino, bianco lui, nero il rimorchiatore, salutati dal fischio delle sirene e dalle colonne d’acqua degli idranti, come una coppia di sposi in partenza per la luna di miele.

Ricorderà solo il viaggio.

Ma il rimorchio è come la grappa, c’è una testa e una coda.

C’è la testa, i preparativi per il viaggio, la posa in opera delle bitte di manovra, dei cavi di rimorchio e di emergenza, della biscaggina, delle luci per la navigazione notturna fino a presentare il cassone al rimorchiatore. E’ un lavoro di routine, tutto si svolge in banchina, con la gru, i pontoni di servizio, i giusti tempi.

C’è la coda, il cassone che arriva a destinazione e viene preso e affondato. E’ il duro lavoro dei marittimi, la fatica in mare, con tutte le difficoltà ed i problemi che si possono presentare. Ed è di questo che voglio parlare.

Solitamente i cassoni terminano il loro viaggio all’interno dei porti o in corrispondenza delle dighe foranee e in attesa di una giornata con mare piatto, adatta per la posa, vengono ormeggiati in banchina.

Qui è diverso, all’interno delle bocche c’è la corrente che va e che viene, che spinge il cassone prima verso il mare e poi verso la laguna, senza interruzioni, più di due metri al secondo e i cassoni devono essere tenuti fermi in qualche modo.

Nei giorni precedenti i marittimi hanno quindi posto in opera i corpi morti a cui   ormeggiare i cassoni, per poi tonneggiare con gli argani e posizionarli con la dovuta precisione.

I cassoni sono stati arredati con bitte da 30 tonnellate, bitte da piccola banchina portuale e i corpi morti sono da 100 tonnellate.

Hanno messo le boe, le catene, gli spezzoni di cavo in polipropilene ad alta resistenza.

Tutto è pronto per ricevere il cassone. E il cassone è arrivato in rada il giorno prima.

Il S. Cataldo lo ha rimorchiato dal centro di prefabbricazione di Taranto (credo che Leonardo avrà salutato il suo “primo nato” con trepidazione) e con un viaggio di 11 giorni lo ha trasportato fino a Venezia, burdesandu-burdesandu, girando intorno al Gargano, su su fino al delta del Po e poi alla Bocca di Lido

E i ragazzi gli sono andati incontro. I marinai ma anche Davide, il direttore di cantiere, che è cresciuto a pane e Fincosit, con il padre a fargli da maestro.

Un piccolo viaggio, da Marghera fino fuori alle bocche di porto, 12 miglia a bassa velocità per non danneggiare, con le onde generate dalle eliche, con lo sciabordio, le fondamenta degli storici palazzi veneziani.

E hanno raggiunto il cassone.

Ricordo ancora la prima volta che, studente del biennio, vidi un cassone a rimorchio uscire dal porto, alla Foce.  Spuntò d’improvviso e nel silenzio da dietro il padiglione B. Una visione onirica, il passaggio del Rex nel film Amarcord. Qualcosa che solo Archimede era in grado di spiegare.

E ora lo spettacolo è simile.

E’ là, alto, maestoso contro l’orizzonte, quasi cinque metri di franco bordo”.


Macco in navigazione

Un bestione di 21,88 x 12,24 x 13,80 m che immerge 9 metri e spiccioli (ecco che ricompare l’ingegnere…..) che però ha seguito il rimorchiatore ad una distanza di circa 400 m docile come un cagnolino, incurante delle onde, del vento di maestrale, del mare che è montato fino a forza 5, 6….

Il comandante del S. Cataldo è soddisfatto: un rimorchio di tutta tranquillità.

Per l’occasione è venuto a Venezia anche Dino,  un nostro “vecchio” capo cantiere.

Ha quasi 70 anni ma con un “mascone” ti farebbe ancora fare tre giri su te stesso. E’ lì nella foto con il suo cappellaccio calato sulla testa che osserva e commenta a mezza voce.

Lui conosce bene tutti i ragazzi, pregi e difetti, li ha visti crescere, li ha fatti crescere….

Era un po’ di tempo che non si vedevano: si sono avvicinati, guardati, annusati quasi, per vedere se qualcosa era cambiato.

Un colpo sulla spalla, un ciao con voce sommessa, un tocco sul braccio, un abbraccio,  una grossa risata e una bella presa in giro: tutto come prima…

Non è retorica: la vita di cantiere è diversa dalla vita di ufficio, si crea un altro spirito, i rapporti sono diversi. Anche con Enrico, il project manager, solitamente così riservato, anche con me che sono un progettista…..

I ragazzi sono saliti sulla cima del cassone per passare la patta d’oca al rimorchiatore del porto che dovrà fungere da batticulo durante il viaggio fino all’interno della bocca.

Mi piacerebbe dire che sono andati all’arrembaggio, su per la biscaggina. Sarà che la nostra bandiera è per metà nera….”



Uno guarda le foto e dice: “Una bella giornata di sole” e feroce come una mannaia cala la nebbia. La natura è imprevedibile e per questo deve essere rispettata, sembra che si diverta a canzonare l’incauto che cerca di piegarla ai propri voleri.

E i nostri sono rimasti lì, vicini al S. Cataldo, sul loro mezzo, giastemandu perché erano quasi alla fine….

Bastava che il rimorchiatore fosse arrivato qualche ora prima, che non fosse stato rallentato dalle correnti, che …., che ….. ma non conta: ora si sta fermi.

Il porto è chiuso e i ragazzi dopo essersi azzuppati nell’umidità tornano alla banchina,  nervosi per la giornata in parte persa, per il tempo che dovranno perdere domani e poi dopodomani e…. lo sa il Signore.

Il lavoro in mare è così, imprevedibile; si rimane magari in attesa del bel tempo per tutta la settimana e non si può uscire per la burrasca .. e poi il bel tempo arriva la domenica e devi lasciare tutto e andare a lavorare .. ma tant’è….

E siamo al mattino dopo, alle cinque, a Marghera; si parte, presagendo già che sarà una giornata persa. In Canal Grande la nebbia va e viene; alle bocche è un velo lattigginoso che tutto nasconde.

Intanto il S. Cataldo è lì che gira, fa la ruota davanti alle bocche, come i gabbiani intorno alla fontana illuminata di De Ferrari, in certe fredde sere d’inverno.

E Dino, da buon genovese, lui che è della Versilia, non ha dimenticato il mestiere, fa i conti. E misura le controstallie, le ore di straordinario, ma si preoccupa anche dei “suoi”: “Domani dovranno di nuovo uscire: speriamo bene; con queste distanze e questi tempi (….quasi una quinta dimensione a Venezia….ndr) bisogna sempre partire all’alba per essere pronti quando serve”. La giornata passa così in attesa. E si torna indietro aspettando il bel tempo.

E finalmente il giorno dopo non c’è nebbia e il porto viene riaperto.

Il convoglio parte e raggiunge la spalla sud.

Qui il cassone viene posto in corrispondenza dell’imbasamento provvisorio dove potrà riposare in attesa della sua sistemazione finale.

Viene affiancato dal pontone, i nostri salgono a bordo, agganciano le cime alle bitte, iniziano a smontare la cinta di rimorchio, danno il liberi tutti ai rimorchiatori.

Gli argani sono al loro posto, i tappi delle coperture aperti, le pompe installate. Ora il cassone è domato.

Il macco entra in porto. Un rimorchiatore lo traina ed un altro lo frena

Personale FINCOSIT in azione


Navigazione portuale

E lentamente scende, controllato, per evitare che vada fuori posizione, si posa, viene immobilizzato con la zavorra.

Un altro giorno è andato direbbe Guccini…..

Ora il rimorchio si è concluso.

Fra 15 giorni si replica, speriamo senza nebbia; il S. Cataldo ha già ripreso la sua corsa verso Taranto”.

TESTIMONIANZA del Comandante Luciano Ravettino


Era il 1974, forse aprile, ed io ero appena entrato negli RR di Genova (venivo dalla SIDERMAR). Partiamo da Genova con il M/r Torregrande per rimorchiare un macco a Palermo; comandante Nicola Marongiu. Il macco, per quanti non addetti ai lavori, è un manufatto in cemento armato galleggiante che quando viene allagato si deposita sul fondo, fungendo da basamento per la costruzione di dighe foranee. Il nostro misurava 12x16x32 metri…praticamente una palazzina. Per la sua forma a parallelepipedo, raggiungeva, trainato, una velocità massima di due nodi e mezzo, grosso modo otto giorni di traversata, tempo e mare permettendo. Siamo abbastanza fortunati e viaggiamo abbastanza spediti fin quasi alle Bocche di Bonifacio: sono le 5 del mattino e sento Nicola salire sul ponte. Precisazione e premessa indispensabili: chiunque abbia fatto un rimorchio d’alto mare sa con quanta assoluta scrupolosità si ascoltino i bollettini meteo e il Com.te Marongiu non era da meno, anzi, non solo non se ne perdeva uno, ma per ognuno aveva una sua personale classifica di attendibilità.

Dicevo, sono le 5, i bollettini sono tutti favorevoli, mare calmo, solo una leggera brezza, le condizioni ideali per navigare. Sono le 5 e Nicola passeggia sul ponte, respira profondo, guarda il cielo quasi a scorgere le prime luci dell’alba. Di punto in bianco mi ordina “Rallenta, avvisa in macchina, accorcia il cavo, andiamo a ridosso a Porto Vecchio (una sorta di fiordo nella costa sud della Corsica). Per i non addetti: un rimorchio del genere implica l’utilizzo di 800-1000 metri di cavo di acciaio del diametro di 70 m/m, entrare a Porto Vecchio significava 3…4 ore di avvicinamento e manovra per portare la lunghezza del cavo a 200 mt.

Rimasi sbalordito da simile decisione ma, chi va per mare sa che deve obbedire e non indugiai un attimo, anche se in cuor mio pensai a qualche losco intrallazzo…ero nuovo dell’ambiente, non conoscevo l’Uomo.

Verso le 8 i bollettini cominciano a cambiare, il vento rinforza, il mare si increspa. Via via che ci avviciniamo al ridosso i bollettini sono sempre più allarmati e, quel che più conta, le condimeteo sempre peggiori. Alle 11 fuori è buriana, ma noi siamo al riparo!

Per 5 giorni facciamo avanti e indietro a lento moto nel golfo di Porto Vecchio, continuando a sentire bollettini, che tutti unanimemente sono di burrasca.

Il sesto giorno, all’alba, siamo in prossimità dell’uscita del fiordo e io mi preparo all’accostata per tornare dentro. E’ l’alba, c’è vento, in lontananza vedo il mare agitato, i bollettini continuano ad essere estremamente brutti: sento Nicola sul ponte, incredulo lo sento dire: “Fila cavo…usciamo…andiamo”. Incredulo obbedisco.

Alle 11 siamo fuori…alla via…Non dico fosse bonaccia, ma le condizioni andavano velocemente migliorando e pure i bollettini davano il miglioramento.

A quel punto non ho resistito, mi sono rivolto al Comandante e gli ho chiesto: “Come ha fatto?” E Lui, con quella parlata che hanno solo la gente di Carloforte, mi dice:

“Ghea l’aia strassaa” (L’aria era strappata). Parliamo di mare, di Uomo di mare.

Testi e foto di:

Carlo Gatti e Silvano Masini

Rapallo, 28 dicembre 2017