IL PRESEPIO di Amedeo – RAPALLO
Il Natale é la festa che ci tocca più di tutte le altre, per la magia che porta con sé nel coinvolgere tanto gli adulti quanto i bambini. Ma a quelli di una certa età, che di Natali ne hanno visto già tanti, salta agli occhi soprattutto il crollo delle tradizioni di un tempo. Oggi i nuovi santuari portano nomi esotici e sono i grandi supermercati, dove fiumi “umani” sempre in piena sono attenti, più che altro, a “comprare” il Natale. Già! Il finto Natale che profuma digitale, che non é né antipatico né simpatico, é soltanto vuoto di calore umano, di comunicazione familiare e privo totalmente d’atmosfera antica e religiosa. Un tempo il Bambino nasceva in casa, in tutte le case, ed era naturale che fosse così. Oggi si preferisce la coreografia virtuale che si avvale di firme prestigiose che colpiscono soltanto gli occhi. Il vecchio cuore, o forse il cuore del vecchio è troppo lontano nel tempo e nello spazio e quando l’atmosfera natalizia s’avvicina gli tornano in mente i ricordi di un’infanzia genuina e spensierata. Nel dopoguerra le famiglie erano di tipo patriarcale: comprendevano i nonni, i genitori e i figli. A quel tempo non c’era la TV e quando cominciava ad imbrunire i ragazzi erano già tutti in casa. Il maestro Angelini, Nilla Pizzi, Natalino Otto, Rabagliati, Beniamino Gigli, Gino Bechi, il concerto Martini del lunedì sera e pochi altri erano gli abituali appuntamenti che riunivano le famiglie intorno alla rumorosa ed ingombrante radio Marelli. Le serate scivolavano via ultimando i compiti scolastici o chiacchierando con i genitori e i nonni, tutti riuniti intorno alla stufa per scaldarsi. I grandi parlavano ancora di guerra, delle bombe di “Pipetto”, di fascisti e partigiani. La legna ancora verde scoppiettava, e le palle compresse di giornale diventavano globi di fuoco colorato e odoravano di linotype. Dal braciere si levava un profumo dolce di bucce d’arancia e mandarino che la nonna ogni tanto aggiungeva per purificare l’aria. Ricordo con nostalgia l’eccitazione che ci prendeva alla fine di novembre, quando si contavano i giorni che mancavano alla grande festa. Intanto nelle strade cominciavano a vedersi i primi segni del Natale. Quasi ogni anno, chissà per quale magia, giungevano gli zampognari, si diceva che venissero da lontano e suonavano agli angoli delle strade seguiti, normalmente, da un gruppo di ragazzi festanti. Dopo S. Lucia, si pensava al Presepio. I muri di sostegno delle fasce di S. Agostino erano ricoperti di muschio, ma quello più alto, morbido e di color verde smeraldo lo si coglieva al “Cimitero dei Cani”, dalle umide pietre che guardavano verso il Santuario di Montallegro. Il giovane muschio dava vita ai primi piani dell’opera, e quello ormai secco e bruno copriva le vallate sabbiose e lontane.
Ogni anno Amedeo lo riponeva nei contenitori cilindrici del panettone Motta che lo zio Chicchin ci regalava per farsi invitare, e lì riposava con le statuine in un sicuro sgabuzzino al riparo dai topi. In Chiesa ci andava poco o niente, ma a Natale, Amedeo si convertiva e diventava un grande artista da Presepio, non solo, ma sapeva anche come impastare i ravioli e “santificare” la vera tradizione culinaria genovese. Con il Presepio si esaltava, s’improvvisava ingegnere, architetto, elettricista, falegname, idraulico, e l’intero progetto prendeva corpo in modo sempre diverso aumentando l’ingombro nella sala che purtroppo era sempre la stessa, con i suoi mobili stile “fiorentino” regolarmente svuotati, violentati, declassati e sequestrati sino alla Epifania. Mia madre non era certo d’accordo, non ritrovava più le sue cose e se la prendeva con la prepotente Arte Presepiale di Amedeo, pur sapendo che era una battaglia persa. Il BOS, infatti, aveva tanti alleati nelle agguerritissime bande di S.Agostino che sotto le feste deponevano le armi e si trasformavano in soldatini ai suoi ordini. Ognuno aveva il suo compito e l’obiettivo comune era quello di vincere il 1° Premio del Concorso Presepi Città di Rapallo. Di quelle vittorie ne ricordo un paio, e per S.Agostino fu come vincere le Olimpiadi! Allestito il paesaggio con scatole vuote di scarpe, Amedeo lo copriva con la carta da imballaggio “mimetizzata” che prima era appallottolata per dare l’impressione della rugosità della roccia, e poi veniva incollata sul modellato. Iniziava dallo sfondo dove la scenografia prevedeva le colline rocciose di Betlemme con burroni e strapiombi. Con un raffinato strofinio delle dita, sagomava le stradine che scendevano dalle montagne verso la grotta che era allestita nel centro del complesso ed era circondata da botteghe ricavate nei fianchi della montagna. Terminato il plastico, per la colorazione Amedeo usava lo spruzzatore a stantuffo del DDT. I colori di base erano polveri da sciogliere in acqua: la terra d’ombra bruciata e il blu oltremare con qualche spruzzata di terra rossa mista a terra di Siena bruciata. Terminata la colorazione del paesaggio, il Capo passava all’animazione con opere d’ingegneria idraulica. Iniziava così la costruzione di una cascata realizzata con acqua vera, che cadeva per gravità da una vecchia pentola, messa in alto e nascosta dietro le montagne. Il rito prevedeva che fosse riempita prima che arrivassero ospiti. In seguito collegava l’impianto elettrico, e nella Grotta inseriva una luce fissa, per illuminare la Natività che restava accesa fino all’Epifania. Il paesaggio diventava un vero Presepio con la sistemazione accurata del muschio e l’entrata in scena delle statuine. La sistemazione delle figure comportava sempre qualche problema perché, nonostante la cura con cui erano state riposte l’anno precedente, ce n’era sempre qualcuna che presentava mutilazioni evidenti e quasi tutte avevano bisogno di rifarsi il trucco… Eseguiti i restauri, Amedeo si dedicava ai dettagli. Vicino alla grotta sistemava il solito “specchio” ovale che simulava l’immancabile laghetto. Sul bordo piazzava l’antico pescatore che reggeva la canna con il pesciolino attaccato. Di fianco, una lavandaia risciacquava i panni nei tröggi. Sulle stradine di montagna erano già in cammino i Re Magi che venivano spinti ogni mattina verso la Grotta da chi di noi si svegliava per primo. In alto sulle montagne, svettavano le casette di sughero colorato con le finestre illuminate. La neve del Presepio era farina sottratta di nascosto dalla madia della mamma che proprio in quei giorni, faceva gli impasti per preparare i dolci natalizi. Sulle pareti dell’impianto veniva incollato un grande foglio blu raffigurante il cielo stellato. A far da cornice all’opera ormai ultimata, s’inchiodavano alcuni rami di pino e di ginepro a cui s’appendevano pigne, caramelle e cioccolatini di marca. Le anziane vicine di casa erano le prime vittime della rinnovata commozione, ma anche della derisione di noi bastardelli quando, in quell’atmosfera già densa di religiosità, venivano sorprese dal melodioso canto liturgico: “Tu scendi dalle stelle…” che saliva dal grande megafono di uno strano marchingegno nero (La Voce del Padrone) che mio padre caricava con una maniglia e amplificava con diversi altoparlanti che si procurava chissà dove e posizionava con grande astuzia nei quattro angoli della sala per ottenere strabilianti effetti sonori. Per tutti, Amedeo era un mago! Nelle giornate vicine alla Vigilia, nelle strade e nei vicoli di Rapallo si sentiva il profumo e la fragranza dei dolci provenienti dalle varie abitazioni. Per le festività, le case erano affollate di parenti, giunti anche da lontano, che si riunivano per trascorrere assieme il Natale. Il giorno di Natale, noi ragazzi ci svegliavamo più tardi. Amedeo ci pettinava raschiandoci il cuoio capelluto per farci la riga da una parte, ci spalmava di brillantina Linetti e ci spediva a Messa. In Chiesa, dopo la funzione, c’era il Presepio da vedere, così grande da occupare un’intera cappella. Ma quello di Amedeo era sempre il più bello!
Carlo GATTI
Rapallo, 05.01.12