CENNI SULLA COCCA, CARAVELLA E CARACCA

CIVADA E CONTROCIVADA

La nave a vela, nelle sue varie forme e dimensioni, ha solcato i mari dal tempo delle civiltà più antiche, passando per le grandi scoperte geografiche, le rotte mercantili che hanno reso ricchi gli imperi coloniali e l’era dell’industrializzazione, la quale, all’inizio del XX secolo, ha portato alla sostituzione del veliero con le navi a motore.


COCCA ANSEATICA

Il primo veliero vero e proprio fu la COCCA (foto sopra), un’imbarcazione medievale che poteva raggiungere una stazza di 200-300 tonnellate. Essa può essere considerata la più importante delle navi a vela che seguirono il periodo delle navi a propulsione mista: remi e vele.

La cocca aveva il ponte di coperta, sotto il quale vi era la stiva. Successivamente, si aggiunse un ponte coperto più piccolo a prua e uno maggiore a poppa. Aveva un solo albero con una sola vela quadra e di grandi dimensioni.

La cocca é un prodotto dei mari del nord. Nasce intorno al XII secolo per realizzare gli scambi commerciali via mare tra nazioni isolate dal clima duro e da mari tempestosi. Dette condizioni climatiche favorirono costruzioni navali robuste e tecnicamente in grado di affrontare situazioni emergenziali pericolose: neve, ghiaccio, nebbie, tempeste ecc…

Si sviluppa quindi un nuovo tipo di nave chiamata

 

COCCA  ANSEATICA

 

Il nome deriva dalla LEGA ANSEATICA, che dominava il MARE DEL NORD e il BALTICO negli ultimi secoli del Medioevo.


Le cocche anseatiche presentavano un disegno che abbandonava la prua ricurva del passato scegliendone una dritta, formante un angolo di circa 60 gradi, bloccata da una lunga chiglia dritta con un dritto di poppa anch’esso quasi verticale, formante un angolo di 75 gradi. L’attrezzatura velica era composta da una vela quadra con bracci e boline in modo che la vela potesse essere orientata per favorire la spinta in avanti della nave con vento al traverso. La nave presentava le sovrastrutture agli estremi: castelli di prua e di poppa, rialzati ed utili in caso di scontro armato, in tempi in cui la pirateria era presente, armatissima e scaltra nella guerriglia navale nel mondo conosciuto di allora.

La vela quadra nel dettaglio


1. ferzi
3. lato di inferitura
7. terzaroli
8. matafioni dei terzaroli

La vela quadra era dotata di matafioni di terzarolo lungo il bordo inferiore in modo che il bordame venisse assicurato con i matafioni.

Lo scafo era rivestito di assi di legno, fasciame, di norma sovrapposte bordo su bordo.

Inizialmente la cocca presentava il solo albero di maestra, con vela quadra. Fu intorno al 1300 che si ebbe la fusione fra le tecniche costruttive del Nord e quelle mediterranee. L’alberatura della cocca, così come lo scafo e le sovrastrutture, venne rinforzata con l’aggiunta di un secondo albero a prora, detto di trinchetto e, in seguito, con l’installazione di un terzo albero, più piccolo, a poppa, detto di mezzana. Era nata la nave a tre alberi, resa più manovriera dalla presenza delle vele di prora e di poppa, mentre la vela dell’albero maestro conservava la sua funzione propulsiva. Le estremità superiori degli alberi vennero munite di coffe, piattaforme rotonde protette da parapetti o griglie che potevano contenere un certo numero di arcieri o balestrieri e, successivamente, di archibugieri.


Nel XIV secolo la
cocca arrivò ad avere sino a quattro alberi, attrezzati sia con vele quadre sia con vele latine; aveva una lunghezza massima di 30 mt fuori tutto, cioè dall’estremità della poppa a quella della prora, e di 20 mt al galleggiamento. Questo tipo di nave poteva trasportare circa 150 t di carico e veniva armata con un equipaggio di venti o trenta uomini; poteva imbarcare armi da fuoco pesanti, sia a scopo difensivo sia offensivo. La cocca fu per quasi quattro secoli la nave commerciale per eccellenza: nel corso del tempo le sue dimensioni aumentarono e, verso la fine del XV secolo, la sua capacità di carico toccò le 1000 tonnellate. L’evoluzione finale della cocca porterà alla nascita della caracca.


Le vele erano governate tramite il sartiame, una complicata serie di cime, bigotte e bozzelli. Le corde prese singolarmente venivano chiamate cime.

Inizialmente anche il timone per governare era formato da due remi fissati ai lati della poppa. In epoca successiva, invece, venne sviluppato un timone centrale di poppa, detto timone alla navaresca.


In Italia il timone poppiero unico venne detto alla navaresca, poiché fu applicato per la prima volta su imbarcazioni alla navaresca, con bordi alti e vele quadre, come le Cocche.

Si è così ritenuto che il timone di questo tipo fosse di origini nordiche, anche perché la sua prima inequivocabile attestazione è su di un sigillo del 1242 della città baltica di Elbing, rinomata per i suoi cantieri navali, (vedi foto sopra).


In realtà una delle 99 miniature, oggi raccolte nella Bibliothèque Nazionale di Parigi, dipinte nell’anno 1237 (anno 634 dell’Egira), che illustrano le 50 Moqamat (Conversazioni) di Abu Mohammaoud al-Qasìm al-Hariri (1054- 1121), mostra una nave con timone centrale, del quale sono chiaramente rappresentate tre coppie di femminelle ed agugliotti.

Appare evidente quindi, a parte la lieve precedenza cronologica di una rappresentazione rispetto all’altra, che il timone centrale si fosse sviluppato in modo indipendente nel Nord Europa,  nell’Oceano Indiano e nel Golfo Persico da dove, forse, venne diffuso nel Mediterraneo. Nel Milione (1271–1295) Marco Polo, sempre così attento alle novità, dice semplicemente che: le navi asiatiche hanno “un timone”, e non vi si sofferma, come se la cosa non gli fosse nuova.

 

CARAVELLA E CARACCA

L’erede della cocca fu la CARAVELLA, divenuta famosa per essere stata l’imbarcazione utilizzata da Cristoforo Colombo nei suoi viaggi verso le Americhe. Questo veliero nacque all’inizio del 1400 e la sua fortuna coincise con le grandi traversate oceaniche, per poi declinare verso il XVII secolo.

La caravella era una nave inizialmente di piccole dimensioni, il cui tonnellaggio aumentò solo in seguito, dandole una forma più panciuta e tonda. Di norma presentava tre alberi, con vele quadre e latine che le conferivano una buona velocità e doti manovriere. Era dotata inoltre di una novità nautica strutturale: l’albero di bompresso, che si stagliava obliquamente all’esterno della prua, e montava una vela quadra chiamata CIVADA. Questa velatura mista le consentiva di gestire con maggiore facilità le diverse condizioni di vento. E’ mia opinione personale che detta vela, oltre a determinare una spinta in avanti, fosse in grado di sollevare la prua con il mare di punta e, opportunamente manovrata, facilitasse le accostate.

Le caravelle più grandi presentavano un cassero a poppa, vale a dire un castello sopraelevato rispetto a quello di prua. La potenza di fuoco della caravella era notevole, anche se non di grosso calibro, e necessitava di un equipaggio che si aggirasse tra i venti e i quaranta uomini.

Questo veliero, purtroppo, era soggetto a problemi strutturali (fragilità, poca protezione contro i parassiti) allo scafo e agli alberi, ma nel complesso si trattava della nave più affidabile e innovativa in circolazione, almeno fino all’avvento della CARACCA la cui fortuna durò dalla metà del XV alla metà del XVII secolo, ebbe origini prettamente mercantili. Di forma più tondeggiante rispetto alla cocca, presentava più ponti sovrapposti, castelli non sporgenti dallo scafo – di frequente costituiti a loro volta da più piattaforme – e una non disprezzabile capacità di artiglieria, per la prima volta disposta dietro a pannelli scorrevoli nella tipica formazione a batteria, in file orizzontali sovrapposte lungo le fiancate della nave.

La CARACCA era inizialmente utilizzata soprattutto dalla Lega Hanseatica nell’Europa del Nord e presentava una struttura velica e di sartiame piuttosto evoluta. Inoltre, per sfruttare al meglio il vento, oltre alle grandi vele quadre e alla vela latina all’albero di trinchetto, potevano essere issate anche vele poste più in alto lungo gli alberi, denominate vele di gabbia. Un ulteriore aiuto, come abbiamo appena visto, era fornito dalla vela di civada e dalla velatura di un quarto albero a poppa, detto albero di contromezzana o bonaventura. Le cime venivano assicurate alle lande: spranghe metalliche attraverso la quale ogni sartia era collegata allo scafo.

Grazie allo scafo accuratamente calatafato – cioè reso impermeabile – la caracca possedeva un’ottima resistenza alle intemperie, qualità che alla caravella mancava, e trasportava un maggiore carico di merci, armi e soldati, ragione per cui ebbe tanto successo nelle spedizioni intorno al mondo e sulle nuove rotte mercantili transoceaniche che fecero la fortuna degli imperi coloniali. Lo scafo era spesso rinforzato da parabordi che lo proteggevano dai contatti con altre navi o con gli scogli.

L’imbarcazione necessitava di un equipaggio di norma attorno ai cento uomini. Le caracche più grandi, però, potevano annoverare una ciurma composta da trecento o quattrocento marinai.

Benché la caracca costituisse un’evoluzione importante dell’architettura navale, la tecnica costruttiva non si fermò. Le rotte oceaniche erano impegnative, piene di pericoli ed imprevisti;  l’esperienza acquisita portò alle nascite del GALEONE, del VASCELLO, della FREGATA, dei CLIPPERS ecc

Una replica della Santa María ormeggiata vicino a Palos de la Frontera

La SANTA MARIA fu una CARACCA (nonostante comunemente venga ritenuta una CARAVELLA come le sue due compagne) e venne usata come nave ammiraglia della spedizione.

Costruita a Santander era molto robusta e faceva servizio mercantile con il nome di Galenda. Apparteneva a Juan De La Casa che la noleggiò per l’impresa. Aveva tre alberi con vele quadre ed una stazza che di circa 51 tonnellate. Era lunga 26,32 metri e larga 8 metri. L’albero di maestra era alto 26,6 metri con il grande trevo,coltellacci laterali, sul quale era dipinta la Croce di Castiglia e, sopra, una piccola vela di gabbia. Sull’albero di trinchetto c’era l’omonima vela e, sull’albero di mezzana, la vela latina triangolare.

Aveva un ponte di coperta, castello di prora e un cassero rialzato di poppa con l’alloggio del capitano. Il timone, come per le navi dell’epoca, era privo di ruota di comando e si trasmetteva il movimento al timone stesso per mezzo di due cime. Era la più lenta dei vascelli di Colombo. Portava quattro bombarde da 90 mm. – Colubrine e armi portatili nonché girevoli posti sul ponte inferiore e sui castelli di prua e di poppa.

Il GRANDE navigatore era partito il 3 Agosto 1492 dal porto di Palos de la Frontera, raggiunse il continente americano dopo 71 giorni di viaggio.

La SANTA MARIA, ammiraglia nella spedizione, era in grado di raggiungere i 10-12 nodi di velocità in condizioni favorevoli.

Il 25 dicembre 1492 l’equipaggio era in coperta e per un errore di manovra finì sugli scogli a Hispaniola e venne perduta. Colombo così si trasferì sulla NIÑA. Il relitto della Santa Maria venne ritrovato nel 1968. (A questo presunto relitto abbiamo dedicato un articolo sul nostro sito).

Un po’ di terminología essenziale


1) Controvelaccino

2) Velaccino

3) Parrocchetto

4) Trinchetto

5) Controcivada

6) Civada

7) Controvelaccio

8) Velaccio

9) Gabbia

10) Maestra

11) Belvedere

12) Mezzana

13) Coltellaccio della mezzana

 

CLONI DELLA CARACCA DI CRISTOFORO COLOMBO



Le foto (sopra e sotto) si riferiscono a “repliche” naviganti di caravelle dell’epoca di Cristoforo Colombo del periodo delle grandi scoperte, sono armate con due alberi e con vele tra loro di ugual ampiezza. Da notare come queste vele siano alquanto tondeggianti (venivano anche chiamate vele tonde). Sull’albero di mezzana è invece situata una vela latina con la sua lunga antenna. A prora, sull’albero di bompresso, la civada, che verrà in seguito sostituita dal fiocco.


Il bompresso, nell’evoluzione dalla galea al galeone, diventando ALBERO BOMPRESSO diagonale rispetto alla linea dello scafo, ed ospitante solitamente una sola vela, detta civada, in seguito, per rinforzarne l’effetto, compare una seconda vela sistemata su un prolungamento verticale dell’albero, detta controcivada.

Queste vele nate nel III secolo a.C. Con l’avvento della Vela Latina caddero in disuso, ma nel XV ricomparvero con la vela quadra insieme con la vela latina.

UN PASSO INDIETRO….

LA NAVE ONERARIA


NOTARE A PRORA (a destra del disegno) LA PRIMA CIVADA DELLA STORIA NAVALE

LA NAVE ONERARIA – Prima ancora di allestire una flotta da guerra, i Romani avevano un grande numero di mercantili: erano dette navi onerarie (dal latino onus, carico), cioè navi da carico. Con una forma piuttosto rotonda venivano spinte dalle vele: non vi erano rematori, per consentire al carico il maggior spazio possibile. La vela aveva una forma quadrata. Nella costruzione di questo tipo di navi, i Romani curavano particolarmente la chiglia, che fosse solida e impermeabile, su cui veniva stesa una lastra di piombo. Con questo sistema di protezione, l’acqua non filtrava assolutamente nella stiva e la merce trasportata poteva considerarsi al sicuro.
Sulla poppa v’era di solito un ornamento chiamato chenisco. Con questo tipo di nave i Romani svolgevano i loro commerci soprattutto nei vari porti del Mar Tirreno: trasportavano olio, vino, grano, frutta e bestiame. Quando i Romani ebbero una flotta militare, le navi onerarie servirono per il trasporto dei viveri, delle truppe, dei cavalli e delle macchine da guerra: catapulte e arieti.

La CIVADA nasce nel III secolo a.C. – Nel XV ricompare con la vela quadra e con la vela latina. Si tratta di una piccola Vela Quadra inferita al di sotto dell’albero di bompresso e da questo sostenuta al pennone di civada. La civada é comune nei vascelli del XVII e XVIII secolo.

La sua curiosa denominazione deriva, per l’analogia della sua forma originaria con il sacco d’avena (in provenzale civadiera), che si appendeva sotto il muso dei cavalli.

I velieri dei sec. XVII e XVIII avevano spesso, a proravia della civada, una seconda vela quadra chiamata controcivada che era sostenuta inizialmente dallalbero di civada, sopportato a sua volta dal bompresso e, in epoca successiva, sospesa allo stesso bompresso.

All’inizio del XIX secolo le vele quadre del bompresso non furono più utilizzate e al pennone di civada fu destinata la funzione di dare angolatura opportuna alle manovre fisse di ritenuta laterale dell’albero di bompresso.

Verso il sec. XIX le vele quadre al bompresso scomparvero e al pennone di civada (talvolta sostituito da due picchi disposti uno per lato trasversalmente all’albero di bompresso) fu affidata la funzione di dare angolo conveniente alle manovre laterali (venti) del bompresso.

Da queste trasformazioni sperimentate nei secoli, nacque il FIOCCO

IL MODELLISMO CI OFFRE LA POSSIBILITA’ DI ENTRARE NEI PARTICOLARI COSTRUTTIVI DELLA CIVADA


 

CARLO GATTI

Rapallo, 27 Marzo 2019