NAVE CIVETTA “OTTAVIA”
di Ernani ANDREATTA
UN VELIERO DEI GOTUZZO IMPIEGATO COME
“NAVE CIVETTA”
DURANTE L’ULTIMA GUERRA MONDIALE
1921 – Varo dell’OTTAVIA
Sopra: il brigantino goletta OTTAVIA varato il 2 Aprile 1921. Da sinistra si riconoscono Colomba, Adele e Giuseppina (detta “Zia Pippa”) Gotuzzo, il Parroco di Bacezza Don Pace e, sulla destra ben visibile grazie al colletto bianco, Eugenio “Mario” Gotuzzo.
La folla sull’OTTAVIA poco prima del varo. L’armatore di Viareggio Luigi Guido Tomei l’aveva voluta con lo scafo foderato in metallo giallo. Nel 1936 fu installato un motore ausiliario, ed il 24 Giugno del ’40 venne requisito dalla Regia Marina che lo adibì alla vigilanza foranea con la sigla V4 e quindi alla caccia antisommergibile con la sigla AS91. Dalle 15 alle 16 del 5 Marzo ’42, uscito da Cefalonia, ingaggiò battaglia con un sommergibile nemico: ripetutamente colpito affondò ad 1 miglio da Ortholinthia.
L’OTTAVIA stazzava 259 tonn. Ed era stato ordinato dall’armatore G. Partiti. Qui è ritratto di prora, mentre alla sua destra sta nascendo un altro veliero: si tratta con tutta probabilità del FIDENTE.
L’Ottavia era in principio un veliero da carico, un brigantino goletta di 259 tsl, lungo 30,7 metri, largo 8,1 e pescante 3,99. Era stato costruito nel cantiere di Eugenio Gotuzzo di Chiavari nel 1921 (il varo era avvenuto il 2 Aprile di quell’anno, il completamento prima della fine di quel mese), ed apparteneva agli armatori viareggini Luigi Tomei e Duilio e Giuseppe Partiti, che lo avevano iscritto con matricola 535 al Compartimento Marittimo di Viareggio. In precedenza, fino al 1930, era appartenuto all’armatore S. Bentivoglio D’Aragona, anch’egli viareggino. Nel 1937 l’Ottavia era stato sottoposto a lavori di rimodernamento: era stato installato a bordo un motore Humboldt-Deutztmotoren a tre cilindri da 32 HP nominali, fabbricato a Colonia, facendone un motoveliero (in grado di raggiungere una, non grande, velocità di 5,7 nodi); lo scafo, in metallo sin dal varo, era inoltre stato allungato a 37,7 metri ed allargato a 8,3 metri, e la stazza lorda e netta erano diventate rispettivamente di 259 tsl e 204 tsn.
L’OTTAVIA è in acqua. Notare anche qui la grande folla accorsa per assistere all’affascinante avvenimento.
Il 24 giugno 1940, due settimane dopo che l’Italia era entrato in guerra, l’OttaviaV4 nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato, facendone una vedetta foranea. In seguito la sua classificazione venne mutata: divenne cacciasommergibili, con la sigla AS 91, e fu dotato di idrofoni ed armato con cannoni da 102 mm, mitragliere contraeree da 13,2 mm e tramogge per bombe di profondità. Era un armamento ben superiore a quello, assai modesto, della maggior parte dei cacciasommergibili ausiliari della Regia Marina: l’Ottavia, infatti, non doveva essere solo un “semplice” cacciasommergibili, ma anche una «nave civetta», unità antisommergibili potentemente armata che si celava sotto l’apparente aspetto di un innocuo motoveliero. I sommergibili nemici, non volendo sprecare un siluro per un bersaglio così piccolo, ed aspettandosi una reazione scarsa od inesistenti, sarebbero emersi per attaccarlo col cannone; ed a questo punto si sarebbero trovati sotto il tiro delle armi di bordo. Cannoni e mitragliere dell’Ottavia, infatti, erano adeguatamente camuffati.
Il servizio come nave civetta ebbe inizio nel settembre 1941. Dapprima l’OttaviaCatello Amendola, stabiese. Questi scriveva orgogliosamente, in una lettera a casa: «Sono stato incaricato dal Ministero ad assumere il comando di una nave ausiliaria, e precisamente di un motoveliero da 560 tonnellate avente un equipaggio di 55 persone, e dei nuovi mezzi di caccia antisommergibile, che sono per la prima volta impiegati in tutte le Marine del mondo [in questo, bisogna dirlo, Amendola stava piuttosto esagerando, forse per impressionare i parenti]. È una specie di mezzo di ascolto con molte probabilità di successo e nessuna di salvezza. Sono contentissimo sotto tutti i punti di vista, prima perché non dipendo da nessun fesso, e poi anche per la soddisfazione personale. Le mie missioni oscillano da un minimo di 15 giorni ad un massimo di 30. La base è sempre La Spezia». Nel suo giovanile entusiasmo, Amendola aggiungeva con una certa ingenuità: «Non so ancora per il momento quando comincerò a battere il mare, però tenetelo in conto che alla prima missione, darò prova della mia abilità e quando sentirete dal bollettino che una nostra unità ha affondato un sommergibile inglese, questa unità è la mia».
Agli inizi del 1942, l’Ottavia fu trasferito in Mar Ionio. Il comandante Amendola si era improvvisamente ammalato, pertanto lo sostituì il guardiamarina milanese Giovanni Fioretti.
Alla fine, lo stratagemma della nave civetta funzionò, ma solo per la prima parte. Alle 9.15 del 5 marzo 1942, infatti, il sommergibile britannico Thorn (capitano di corvetta Robert Galliano Norfolk), che si trovava a 2,5 miglia per 205° da Capo Gherogambo, avvistò l’Ottavia che procedeva a soli tre nodi su rotta 260°, a cinque miglia per 70° dal sommergibile. La nave italiana era partita poco prima da Argostoli, sull’isola di Cefalonia, per una missione di ricerca e caccia antisommergibili: come previsto, Norfolk decise di seguirla per attaccarla in superficie col cannone, una volta che fosse stata abbastanza lontana da Argostoli (così che l’attacco non venisse notato dalla costa, giacché questo avrebbe potuto portare all’invio di rinforzi). Alle 11.15 il Thorn sentì dei suoni prodotti da un ecogoniometro su rilevamento 080°, ed alle 10.30 avvistò un cacciatorpediniere a due fumaioli che identificò come della “classe Confienza”, in posizione 38°06’ N e 20°22’ E; a mezzogiorno il nuovo arrivato virò per 120°, e poco dopo scomparve all’orizzonte. Frattanto Norfolk aveva studiato il suo bersaglio: sembrava un brigantino goletta di circa 200 tonnellate, armato con un cannone da 76 mm a prua. Procedeva verso nord.
Alle 14.54, il Thorn emerse per attaccare con il cannone in posizione 38°16’ N e 20°20’ E, da una distanza di 460 metri. Nel breve scontro a fuoco che ne seguì, però, fu il sommergibile ad avere la meglio: alle 15.05 l’Ottavia era fortemente appoppato, il suo scafo era crivellato di colpi ed aveva una grossa falla sotto la linea di galleggiamento, le vele erano tutte cadute, a poppa divampava un violento incendio che si sarebbe presto esteso al resto della nave. In tutto, il Thorn aveva sparato 65 colpi di cannone, ad alzo zero, nello spazio di undici minuti. Secondo Norfolk, il cannone “da 76 mm” a prua dell’Ottavia non fu mai utilizzato durante il combattimento, mentre una mitragliera a poppa rispose al fuoco, ma fu ridotta al silenzio dopo il terzo colpo di cannone. Il Thorn non aveva riportato alcun danno e, a quel punto, s’immerse e si allontanò per evitare il prevedibile ritorno del cacciatorpediniere avvistato in precedenza. Alle 15.35, l’Ottavia esplose ed affondò a 1,37 km per 270° da Capo Ortholiti (per altra fonte, ad un miglio da Ortholitia) ed a due miglia da Capo Athera.
Dei ventidue uomini che componevano il suo equipaggio, solo cinque furono recuperati vivi; erano tutti feriti. Venne recuperato anche un cadavere. Il comandante Fioretti fu tra i caduti; alla sua memoria venne conferita la Medaglia d’Argento al Valor Militare con motivazione «Comandante di unità, destinata a particolare impiego, offertosi volontariamente, pur conscio dei gravi rischi ai quali sarebbe andato incontro, dedicava la sua attività operosa e costante al raggiungimento della massima efficienza del personale e del mezzo affidatogli. Scontratosi con unità nemica, accettava con cuore impavido l’arduo ed impari combattimento, opponendo all’avversario una pronta reazione di fuoco, e scompariva in mare con la sua nave incendiata. Esempio di sereno, coraggioso comportamento di fronte al pericolo e di elevate virtù militari. Mare Ionio, 5 marzo 1942.».
È il caso di notare che le altre tre navi civetta della Regia Marina, cioè AS 92 Elena, AS 93 Ninetta ed AS 94 Ariella, tutti motovelieri trasformati come l’Ottavia, cessarono il servizio come navi civetta nell’aprile 1942, proprio il mese successivo all’affondamento dell’Ottavia: fu probabilmente la triste fine di questa nave, distrutta da un sommergibile proprio nelle circostanze in cui, in teoria, avrebbe dovuto essere lei ad affondare l’unità nemica, ad indurre a ripensare l’utilizzo di queste unità.
Interessante, a questo proposito, un documento redatto proprio da Marina Argostoli, datato 15 aprile 1942: si diceva tra l’altro che «Le unità in argomento hanno dimostrato in pratica, come del resto era prevedibile, di possedere requisiti del tutto negativi per l’impiego come navi civetta».
IL sommergibile HMS THORN che affondò l’OTTAVIA IN UNO SCONTRO A FUOCO il 5 marzo 1942.
BIBLIOGRAFIA
Le navi civetta italiane, su Betasom
Discussione sulle navi civetta italiane sul Forum Regia Marina Italiana
Pagina di Wikipedia sull’Ottavia
FINE
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CESARE ROSASCO
UN EROE DA RICORDARE
di Carlo GATTI
Ricordo personale:
Il 1° giugno 1975, il comandante Cesare Rosasco presenziò come ‘ospite d’onore’ alla cerimonia della mia nomina a Pilota del Porto di Genova.
Ci trovavamo nel Covo più celebre della marineria genovese: lo Yacht Club Italiano nel Porticciolo Duca degli Abruzzi. Di lui mi é rimasta impressa nella memoria la sua imponente stazza, ma soprattutto le sue parole: “Si ricordi che il pilota é il guardiano e il testimone di tutto ciò che succede in porto. Conservi questo sentimento fino all’ultimo giorno di servizio!”
QUADRO STORICO
Marina Mercantile
di Achille Rastelli
Le principali cause di affondamento delle navi rimaste fuori del Mediterraneo. Le Nuove Motonavi Prede di guerra. Navi catturate dai tedeschi.
II 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra, e i marinai delle navi mercantili rimaste fuori del Mediterraneo furono fra i primi italiani a subirne le conseguenze. Per quanto riguarda la Marina da traffico, avvenne poi un altro fatto importante: la quasi totalità delle navi, pur restando formalmente di proprietà degli armatori, venne gestita dallo Stato, o con requisizioni per scopi di guerra veri e propri (navi scorta, vedette, dragamine, ecc.), o con noleggi per convogli e rifornimenti di guerra. Del resto, nella storia della nostra Nazione non ci fu mai alcuna operazione navale che non abbia avuto necessità delle navi mercantili: esigenza sempre risolta in varie forme, quali il noleggio a tempo, il noleggio a viaggio, il trasporto obbligatorio, la requisizione o la requisizione con acquisto.
La guerra navale dell’ultimo conflitto fu, per l’Italia, essenzialmente una guerra di convogli, necessari per rifornire le truppe combattenti in Africa e nei Balcani, per mantenere i collegamenti con le isole e per assicurare il traffico costiero. Anche le operazioni maggiori della Squadra da Battaglia furono eseguite per proteggere convogli nostri o per attaccare quelli del nemico per Malta, continua spina nel fianco per tutta la durata della guerra.
La conseguenza di questo tipo di guerra fu che, insieme alle navi da guerra, un enorme sacrificio fu pagato dalla Marina mercantile italiana, sia in vite umane sia in materiali; e le cifre sono eloquenti.
Al giugno 1940, la flotta mercantile italiana era composta di 786 navi superiori alle 500 tsl, per un totale di 3. 318. 129 tsl, e di circa 200 navi fra le 100 e le 500 tsl. Ben 212 navi, per 1. 216. 637 tsl, rimasero fuori dal Mediterraneo all’inizio del conflitto, e vennero, di conseguenza, quasi tutte catturate o affondate dal nemico. Fra il 10 giugno 1940 e 1’8 settembre 1943 entrarono in servizio, fra nuove costruzioni e catturate, 204 navi, per 818.619 tsl; ma 460 navi, per 1. 700.096 tsl, andarono perdute.
All’8 settembre, erano in servizio 324 navi, per 1. 247. 092 tsl, che, in seguito ai fatti armistiziali, vennero per la maggior parte catturate dai tedeschi (e poi affondate), oppure autoaffondate per sfuggire alla cattura. Alla fine, nel maggio 1945, le navi mercantili italiane superiori alle 500 tsl erano solo 95, per 336.810 tsl, il 10% di quelle esistenti all’inizio del conflitto.
Andò perduto un patrimonio immenso, non solo per quantità, ma anche per qualità: parecchie navi erano nuove e ottime unità, migliaia di bravi marinai scomparvero in mare: 3.100 marittimi caddero su navi mercantili iscritte nel naviglio ausiliario, 3.257 perirono tra gli equipaggi di navi requisite e non requisite, 537 morirono in prigionia; in totale, 7.164 caduti su circa 25.000 naviganti inscritti nei ruoli. I porti italiani vennero distrutti, e ci vollero anni per sgombrarli dai relitti e ricostruirli; anche la navigazione di cabotaggio, assai fiorente, dovette ripartire da zero.
Nonostante ciò, è giusto ricordare che le navi mercantili in guerra svolsero il loro compito in maniera esemplare, portando a destinazione quasi tutti i carichi bellici imbarcati: di 4.199.375 t di merci imbarcate, solo 449.225 t non giunsero a destinazione e cioè il 10,5%. I soldati imbarcati furono 1.266.172, e di questi ne scomparvero in mare 23.443, cioè il 2%: tanti, però numericamente pochi rispetto allo sforzo compiuto. Alla luce di queste cifre, si può dire che fu ben meritata la Medaglia d’Oro al Valore Militare assegnata alla bandiera della Marina mercantile, concessa l’11 aprile 1951 con decreto del Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi.
La Medaglia venne consegnata il 16 settembre 1951 a Genova dallo stesso Luigi Einaudi: in porto si trovavano, per rendere omaggio, le motonavi Saturnia, Conte Grande e Italia, l’incrociatore Giuseppe Garibaldi e le corvette Ibis e Chimera. La bandiera, portata dalla Medaglia d’Oro, capitano di lungo corso Cesare Rosasco, venne decorata dal Presidente della Repubblica, quale solenne atto di riconoscimento della Nazione al valore e al sacrificio dei marinai delle navi mercantili.
Ministero della Difesa
Marina Militare Italiana
CESARE ROSASCO
Capitano di Lungo Corso
Cesare ROSASCO
Medaglia d’oro al Valor Militare
Comandante di un piccolo piroscafo, attaccato da sommergibile immerso, evitati con la manovra due siluri, con pronta ed accorta decisione immediatamente predisponeva per il combattimento la propria nave, armata con un cannone di piccolissimo calibro, cosicché, appena il sommergibile molto più potentemente armato emergeva, il piroscafo apriva il fuoco a breve distanza. Colpita la sua nave da numerose cannonate, sotto incessanti raffiche di mitragliera, caduti ai suoi piedi il timoniere e la vedetta, rimasto solo sul ponte di comando, non potendo governare dalla plancia, per sopravvenuta avaria alla trasmissione, benché gravemente ferito ad una gamba, scendeva nel locale sottostante e manovrava direttamente la macchina del timone. Saldo nel proposito di salvare, oltre l’equipaggio, anche la nave, rinunciava a portarla in costa. Con alta e ferma parola e con il proprio eroico contegno, incitava l’equipaggio militare e civile a continuare a distanza serrata l’impari combattimento fino a quando il sommergibile, a causa di ripetuti colpi ricevuti, non desistette dalla lotta. Stremate di forze, ma sorretto da ferrea volontà, portava in salvamento la sua nave crivellata dai colpi, con i suoi morti, con i suoi feriti, fulgido esempio delle più elette virtù marinare e guerriere. Mediterraneo Occidentale, aprile 1943
Cesare Rosasco nacque a Genova il 22 gennaio 1892. Conseguito il diploma di Capitano Marittimo nel 1910 iniziò la sua lunga carriera sul mare imbarcando, come mozzo, su un mercantile e percorrendo poi tutti i gradi della sua brillante carriera, che lo vide comandante di unità passeggeri di grande tonnellaggio. Assolse l’obbligo di leva nella Regia Marina, dall’ottobre 1912 all’ottobre dell’anno successivo, e venne posto in congedo nel grado di Sottocapo Timoniere. Partecipo al primo conflitto mondiale stando imbarcato su unità mercantili requisite ed armate, meritandosi una Croce di Guerra al V.M.: al termine dei conflitto prestò continuativamente servizio su unità mercantile della Societa Nazionale di Navigazione, prima nell’incarico di 1° Ufficiale e poi di Comandante. Nel secondo conflitto mondiale, nuovamente al comando di unità mercantili requisite ed armate, si distinse particolarmente a Tobruk quando, al comando del piroscafo Ezilda Crocecarico di munizioni, riuscì a spegnere un grosso incendio provocato da spezzoni incendiari lanciati dal nemico e a porre in salvo l’unità con il suo prezioso carico. Nel giugno 1942, al comando ora del piroscafo armato Mauro Croce, di 600 tsl, in navigazione da Genova e diretto ad un porto spagnolo, venne fatto oggetto da un attacco da parte di sommergibile inglese che danneggiò gravemente l’unità. Benché ferito si portò personalmente al pezzo a riuscì ad avere ragione dell’avversario, che si allontanò con avarie a bordo. Riusciva poi a porre in salvo la sua nave, dirigendo sul porto spagnolo di Sagunto. Dal 1945 al 1957 ebbe la carica di Capo Pilota del Porto di Genova. Nel 1947 assunse la Presidenza della Federazione Italiana dei Piloti dei Porti. Fu anche Presidente della Società di Navigazione Cristoforo Colombo.
Il Comandante Cesare Rosasco è morto a Roma il 19 febbraio 1977.
Altre decorazioni:
Croce di Guerra al Valore Militare(Mediterraneo occidentale, 1917).
Autore: Walter Molino Argomento: II° Guerra
Mondiale Soggetto: Marina Luoghi: Mediterraneo
Didascalia: Eroici marinai d’Italia. – Cesare Rosasco, genovese, comandante di una piccola nave mercantile attaccata da un sommergibile, evita due siluri. Colpito il timoniere, lo sostituisce e, col cannoncino di bordo, lotta contro il nemico più armato e riesce a metterlo in fuga. E’ stato decorato con medaglia d’oro.
Capitani Coraggiosi di Franco Maria Puddu
Diversa è invece la vicenda del capitano Cesare Rosasco. Un po’ misteriosa perché in guerra è buona norma non parlare troppo (il nemico ascolta), e anche dopo la fine del conflitto è sempre meglio essere parchi di parole, specialmente se si sono verificati episodi poco gratificanti come alcuni di quelli dell’8 settembre.
Forse per questo ancora oggi la motivazione della Medaglia d’Oro concessa a Cesare Rosasco parla genericamente della sua eroica resistenza all’attacco di un sommergibile nemico, senza spiegare che lui era stato una delle preziose pedine della catena logistica che aveva consentito agli operatori subacquei della X MAS di violare la base britannica di Gibilterra. Vediamo come.
Sin dall’inizio del conflitto la Marina aveva predisposto che l’Olterra, un mercantile incagliatosi nella baia di Algesiras per non cadere in mano inglese, in territorio spagnolo ma ad un tiro di schioppo da Gibilterra, divenisse una piccola base segreta dove gli incursori della X MAS approntavano i Siluri a Lenta Corsa, i “maiali”, all’interno dello scafo, per poi uscirne nottetempo e attacca- re le navi nemiche ormeggiate in rada.
Questa strana base era stata realizzata con cautela e rifornita di uomini e mezzi tramite alcuni mercantili. Uno di questi era il Mauro Croce, un piro-scafetto da 600 tonnellate armato di un asmatico cannoncino da 55 mm, comandato da Cesare Rosasco, un ligure sulla cinquantina che spesso, venendo dall’Italia, era costretto a sostare nei porti spagnoli per denunciare alle locali autorità la scomparsa di qualche marinaio: la guerra è brutta, la Spagna era un Paese compiacente e i marittimi dell’equipaggio, tutti civili militarizzati, quando potevano, disertavano.
Questi finti disertori, in realtà, erano incursori di Marina che, entrati clandestinamente nella neutrale Spagna, proseguivano poi verso Algesiras, dove il Mauro Croce avrebbe sbarcato, giorni dopo, là o in porti vicini, carichi “di ferramenta e carpenteria” che alcuni emissari avrebbero provveduto ad inoltrare all’Olterra: erano i componenti per realizzare maiali, mignatte e bauletti esplosivi.
Il 23 aprile del 1942, nelle acque di Valencia, il sommergibile inglese Olympus attacca il Croce lanciandogli contro due siluri; Rosasco li schiva e il battello emerge per attaccare in superficie. Il piroscafo si difende con il suo cannoncino, ma le artiglierie del battello lo soverchiano, colpendolo ripetutamente.
Il ponte di comando è un mattatoio, ma il comandante, gravemente ferito, si fa portare al timone a mano per governare la nave; a questo punto viene colpito anche l’Olympus, dove le munizioni del cannone esplodono ferendo 20 marinai e permettendo così a Rosasco di portare la sua malconcia nave, con il prezioso carico, nel porto di Sagunto, dove sarà soccorsa.
Nel riquadro il Capitano di L. C. Cesare Rosasco, decorato di Medaglia d’Oro al V. M., per aver affondato a colpi di cannone un sommergibile inglese che aveva attaccato in superficie la sua unità mercantile navigante senza scorta.
Il Corpo Piloti di Genova
Testo del Comandante Sergio Nesi
Il Corpo Piloti del porto di Genova è stato istituito duecentodue anni or sono con un decreto di Napoleone Buonaparte con il compito di assistenza a tutto quanto riguarda la vita di un grande porto, dall’assistenza a tutte le navi in partenza e all’attracco alle banchine, all’assistenza al naviglio in difficoltà entro e fuori dal bacino per incendi o per grandi mareggiate ecc.
Questo comporta una grande preparazione tecnica da parte dei piloti, che in due secoli hanno dovuto modificare i metodi di intervento, con il passaggio dalla vela al motore, con l’adozione di nuove pilotine sempre aggiornate ai tempi. Pur essendo un Corpo civile, anche in tempo di guerra i piloti del porto di Genova hanno operato come protagonisti di eventi bellici, ottenendo, oltre a prestigiosi riconoscimenti al Valor di Marina, anche due Medaglie d’Oro (Com.te. Cesare Rosasco – Com.te Emilio Legnani) e una Medaglia di Bronzo (Com.te Alberto Bencini) al Valor Militare. Non posso non ricordare su questo foglio della X Flottiglia MAS la prestigiosa figura del Capitano L.c. Cesare Rosasco, che, pure ignorato dalla Storia ufficiale dei Mezzi d’Assalto, ne fa parte a pieno titolo, in quanto, posto al comando del piroscafo armato Mauro Croce per trasportare ad Algeçiras i pezzi costituenti i ‘maiali’ che dall’Olterra avrebbero attaccato Gibilterra. Il 23 aprile 1942, navigando nelle acque di Valençia, Il Mauro Croce fu attaccato da un sommergibile inglese che gli lanciò contro due siluri. Rosasco riuscì a schivarli. Il sommergibile allora emerse per attaccare il piroscafo con il cannone, riuscendo a colpirlo anche con le mitragliere uccidendo tre membri dell’equipaggio e ferendone undici, tra cui il comandante che subì una grave lesione ad una gamba. Ma a quel fuoco nemico Rosasco fece rispondere con l’unico cannoncino da 55 mm. in dotazione, colpendo a sua volta la torretta del sommergibile e la riservetta delle munizioni, che esplose causando gravi danni e venti feriti, come confermato da un bollettino inglese.
Il comandate Rosasco riuscì a fare raggiungere il porto di Sagunto alla nave con tutto il suo prezioso carico, dove fu ricoverato per trentadue giorni. La sua Medaglia d’oro dovrebbe uscire quindi dal suo anonimato ed entrare a far parte della Storia della X Flottiglia MAS e il Comandante Rosasco è il perfetto Trait d’Union tra i Piloti del Porto di Genova e i Mezzi d’Assalto.
Carlo GATTI
Rapallo, 26 Novembre 2012
§§§§
Definizione di NAVE CIVETTA (TRECCANI): Questo nome comprende tutto il naviglio subacqueo militare e mercantile, cioè: sottomarini, pescherecci d’alto mare (trawler) e il rimorchiatore d’alto mare (drifter), adattati allo scopo; la civetta, nave da commercio camuffata e armata.
Un esempio di arma insidiosa
Anche la Royal Navy usò moltissimi Armed Trawlers (motopeschereccio armato) durante la II GM, la gran parte requisiti per fini bellici e riadattati ad uso antisom. E’ inutile domandarsi se il tipo “non classificato” (come il Lord Nuffield che causò la perdita del nostro smg Angelo Emo il 10 novembre 1942, potesse montare oltre il cannone Bofors da 40mm, un paio di mitragliere da 20 mm, i lancia bombe di profondità e pure l’ASDIC – SONAR, termine che nasce come acronimo dell’espressione inglese sound navigation and ranging, è una tecnica che utilizza la propagazione del suonosonar attivi e sonar passivi… sott’acqua per la navigazione, comunicazione o per rilevare la presenza e la posizione di navi o sottomarini. Si distinguono, ancora oggi, le unità navali militari in servizio sono riassumibili in tre categorie:
- unità di superficie: portaerei, incrociatori, cacciatorpediniere, fregate, fregate, corvette, pattugliatori, pattugliatori, cacciamine, navi anfibi.
- unità subacquee: SSBN, SSGN,SSN,SSK.
. unità ausiliarie e di supporto: navi per rifornimento, navi logistiche, navi idrografiche e oceanografiche, rimorchiatori, navi spia, navi-civetta, navi scuola, navi ospedale, ect..
La nave spia è una nave per la raccolta d’informazioni e, dalla seconda metà del XX secolo, la sorveglianza elettronica. Quelle dedicate specificatamente alla sorveglianza elettronica sono anche note con la sigla AGI, Auxiliary Gathering Intelligence. Tra esse troviamo navi di piccole dimensioni, di norma pescherecci, le cui funzionalità sono più o meno nascoste, anche se spesso sono dotate di antenne ESM ed ELINT di dimensioni inoccultabili, o navi di grosso tonnellaggio con parabole visibili o poste sotto cupole protettive di diversi metri di diametro.
Seguono i LINK di ALCUNI APPROFONDIMENTI sull’argomento
Sprecare un siluro per un veliero
di Bruno MALATESTA
NAVI – CIVETTE
http://www.betasom.it/forum/index.php?/topic/47468-navi-civette/
LOTTA ANTISOMMERGIBILE
https://it.wikipedia.org/wiki/Lotta_antisommergibile
Rapallo, 18 maggio 2021