LA GRANDE SPERANZA

 


Il presepe di BANSKY a BETLEMME. Bansky, tra gli artisti contemporanei più famosi del mondo, ha realizzato un presepe nel suo piccolo albergo a Betlemme, in Palestina. La nuova scena della natività mostra Gesù bambino, Maria, Giuseppe, il bue e l’asinello davanti a un muro di cemento che ricorda quello fatto erigere dal governo di Israele per isolare la Cisgiordania. Nel muro c’é una breccia – che simboleggia la cometa – prodotta da un lancio di mortaio. Sul muro vi sono graffiti con le scritte “Love” e Pax”.

Erano passati più di duemila anni dalla nascita di Gesù a Betlemme. Da allora, ogni anno in tutto il mondo Gesù era tornato a nascere nelle chiese, durante la messa di mezzanotte portando il suo messaggio di pace e di speranza.

Da quel lontano dicembre di Betlemme qualcosa era cambiato nel mondo: era sparita la schiavitù, c’era più giustizia per le donne e i bambini, una vita più lunga per i vecchi, ma non dovunque, non abbastanza.

Quell’anno Gesù voleva tornare sulla Terra per portare il suo messaggio agli uomini che, anche tra l’incenso e le candele, sembravano ciechi e sordi.

Dialogò a lungo con il Padre e infine decise così:

– Padre quest’anno vorrei rinascere uomo vero. Non più nascosto nell’ostia  o raffigurato nelle statue. Voglio essere carne, ossa, sangue: uno, dieci, mille uomini e vedere se qualcosa cambierà.-

– Veramente li avevo creati liberi di scegliere il bene o il male. Così facendo Tu limiterai la libertà di quegli uomini nei quali Ti incarnerai. –

– Solo per un giorno, Padre. Il giorno di Natale. Forse qualcosa resterà nella mente e nel cuore di quegli uomini, anzi di quei bambini, perché sceglierò dei bambini per la mia missione, Padre. – implorò Gesù.

Il Padre, come sempre, accondiscese.

Arrivò il giorno di Natale di quell’anno lontano più di duemila anni dalla prima nascita di Gesù.

In Palestina Omar, un ragazzino di undici anni sta osservando il mucchietto di pietre che ha raccolto, le soppesa ad una ad una per capire se sono giuste per un buon lancio. Gli hanno insegnato che bisogna essere sempre pronti a lanciare pietre contro gli Israeliani, se si presentassero con i loro fucili e le loro odiate divise. In verità i grandi capi stanno trattando la pace, ma il capo del villaggio non si fida e vuole che i ragazzini si mantengano allenati.

Omar ha una pietra in mano e la forte tentazione di lanciarla contro il figlio di un colono, un ragazzo antipatico che si avvicina in bicicletta.

–       Omar, apri la mano e lascia cadere quella pietra. –

La voce è strana, comprensibile eppur debolissima. Omar si guarda intorno, ma non vede nessuno. La sua mano però ubbidisce al suggerimento e si apre, lasciando cadere la pietra. Intanto il figlio del colono si sta riavvicinando e, giunto alla sua altezza, sterza di colpo impolverandolo con la ruota posteriore. Omar in un altro momento l’avrebbe rincorso, afferrato e colpito. Questa volta si limita a scrollare via la polvere, scuotendo la testa. Shimon, il ragazzo israeliano, stupito dalla mancanza di reazione, abbandona la bicicletta e, fischiettando, con le mani in tasca, si dirige a zigzag verso di lui.

Omar lo guarda avvicinarsi e, per la prima volta, vede i suoi occhi, il colore dei capelli, una piccola cicatrice sullo zigomo e si stupisce nel constatare quanto gli assomigli. L’altro gli arriva davanti, gli mette una mano sulla spalla e chiede: – Giochiamo? –

Quel giorno, le pietre preparate per ferire servono per giocare a bocce.

Più a nord, nella fredda Sarajevo una donna sta per partorire un figlio, frutto della violenza e destinato all’abbandono. La ragazza non vede l’ora di sbarazzarsi di quell’essere, che l’ha invasa e fatta soffrire oltre ogni immaginazione. E Gesù diventa Irma, una bambina mussulmana, che la madre ha deciso di allontanare da sé senza uno sguardo. Ma Irma, appena nata spalanca due occhi incredibili: innocenti e saggi, come se conoscesse tutta la storia del bene e del male. Con la manina afferra l’indice della madre, che è costretta a voltarsi verso di lei. Allora, come per incanto la rabbia si trasforma in pianto: Il pianto lava via il dolore, l’umiliazione, l’odio e lascia solo la vita. La ragazza si sente mamma e stringe a sé quell’incredibile figlia dagli occhi saggi e innocenti.

E’ l’alba. Un’alba calda e umida alla periferia di Manaus, quando Conchita si sveglia. Conchita ha appena nove anni, ma già lavora. Un lavoraccio pesantissimo: il suo corpo viene usato per il piacere dei minatori della zona. Anche quel giorno il camioncino passerà e la caricherà insieme ad altre bambine e ragazzine di quella città piena di gente e di miseria. Oggi si sente diversa però, più forte e più ribelle, come scossa dal torpore nel quale abitualmente vive.

Mr. O’Connor è già nella strada e strombazza il clacson per sollecitarla. Conchita prima pensa di non andare, di nascondersi, poi pensa alla sua famiglia che ha bisogno di soldi per mangiare e alle sue compagne di sventura e decide di organizzare qualcosa con loro. Vede la situazione chiaramente e capisce che non può più sopportarla. Sale sul camion che si avventura nella foresta. Le ragazzine dietro nel cassone sono assonnate, tristi e intorpidite e si lasciano sballottare come sacchi senza vita. L’autista urla: Cantate qualcosa voi laggiù. Forza, un po’ di allegria. – Le bambine come automi iniziano una nenia, ma Conchita ordina: – Zitte, non abbiamo motivo di cantare.  – Vi piace la vita che facciamo? – La nenia si smorza e qualcuna risponde timidamente: – No. – Altre aggiungono: – Ci fa schifo. – Altre ancora: – Ma moriremo di fame se non lavoriamo. – Ascoltatemi – mormora Conchita Io non ci sto più. Dobbiamo trovare una soluzione. –

Appena il camion rallenta al guado, scappiamo via. – esclama una bimba.

– E poi? Ci perderemo nella foresta. – replica una più grandicella.

– Non c’è scampo – mormora tra le lacrime la più giovane.

– No, non è vero. Non so ancora come fare. – riprende Conchita – Intanto    preghiamo. Lo conoscete quell’inno alla Madonna che ci hanno insegnato alla Missione? Incominciamo a cantare. Forza! –

“Bella sei come il sole

bianca come la luna

e le stelle, le più belle

non son belle

al par di Te…”

Le voci, prima incerte e tremanti acquistano via via forza e sicurezza e le parole dimenticate ritornano in mente sull’onda della musica.

All’autista, per un attimo, sembrò di tornar bambino a Dublino, quando sua madre lo teneva per mano nella chiesa tra i fumi dell’incenso e la musica dell’organo. Quanto tempo era passato?  Più di una vita gli sembrava.  Era talmente cambiato un’altra persona.  Quelle stupidelle gli facevano venire il nodo alla gola, come si permettevano?  Le avrebbe messe a posto lui adesso.

O’ Connor frena, scende dal camion e di nuovo i ricordi lo subissano. E’ Natale oggi. Questo pensiero lo fulmina e gli impedisce di mettere in atto le sue intenzioni. Lentamente guarda le ragazzine ad una ad una, mentre cantano, e vede le loro facce, la loro età, la loro miseria.

Ragazze, torniamo indietro. Oggi ve la pago io la giornata e.. tra quindici giorni non     so. Arrangiatevi perché io non passerò più a prendervi per portarvi alla miniera. –

A Mogadiscio il camion della Croce Rossa distribuisce pane, zucchero, latte e frutta. La ressa e il vociare attorno sono assordanti e permettono solo ai più forti di avvicinarsi.

Alì è stanco morto, cammina non sa più da quanto. Ha abbandonato il villaggio, la sua capanna bruciata, i suoi genitori morti, ha camminato verso la speranza di sopravvivere. Ormai non ha neanche più fame, vorrebbe solo stendersi e dormire. Qualcuno vicino a lui lo fa, cade a terra senza più forze. E’ un bambino più piccolo di lui, più malconcio. Alì si fa forza, si trascina verso quelle donne con la cuffia in testa e il sorriso sul viso. Allunga una mano, riceve pane frutta, latte. Di colpo gli è tornata la fame, vorrebbe mangiare tutto subito, non fare neppure un passo, ma non può. Una forza sconosciuta lo fa tornare indietro. Raggiunge il bambino a terra, a fatica gli bagna le labbra con il latte, poi sempre di più, finché quello apre gli occhi e beve. Ora anche lui può mangiare e bere. Anche Alì sorride, come le donne con la cuffia, chissà perché, si chiede.

E Gesù quell’anno a Natale fu Omar, fu Irma, fu Conchita, fu Alì.. fu Salvatore, Enrico, Annamaria e… Chissà forse Gesù sei stato anche tu. Non te ne dimenticare.

di  DA BOTTINI

 

Rapallo, 23 Dicembre 2019