T/N “ANDREA DORIA”
LA BELLA E SFORTUNATA SIGNORA DEI MARI
La Grand Dame of the Sea sfila davanti ai grattacieli di Manhattan
Un po’ di Storia: La Riorganizzazione Postbellica.
Strutture ed infrastrutture portuali distrutte e inagibili. Fondali da bonificare e sgomberare da centinaia di relitti. La flotta italiana ridotta ad un’esigua entità.
Questa era in sintesi la drammatica situazione dell’Italia marinara l’8.5.1945.
L’Italia aveva perso l’88% delle navi passeggeri o miste.
Lo sforzo riorganizzativo compiuto dal Governo italiano dell’epoca per avviare una rapida ripresa fu intrapreso in molte direzioni:
– Costituzione del Comitato Gestione Navi (Co.Ge.Na.)
– Concessioni di contributi sulle spese per il recupero ed il ripristino di circa 2000 navi e per la ripresa della cantieristica.
– Creazione del Ministero della Marina Mercantile che fu suddiviso in quattro Direzioni Generali ed in tre Ispettorati.
– Furono stipulati accordi con il Governo degli Stati Uniti per l’acquisto di:
95 navi del tipo Liberty,
20 petroliere del tipo T/2,
8 navi da carico del tipo N/3.
– Nel 1947 si conclusero le trattative per la restituzione ed il rientro in patria dagli USA di 14 prede belliche tra cui il Conte Biancamano il Conte Grande, il Vulcania ed il Saturnia.
Nel frattempo cresceva vertiginosamente la domanda per il trasporto dei reduci, smobilitati, persone compromesse con il regime, rifugiati politici, apolidi ed in particolare emigranti italiani.
In questa fase delicata della nostra storia recente, si attivarono ancora una volta gli Armamenti Privati Genovesi: Co.Ge.Dar. – Costa – Fassio – Italnavi – Marsano – Messina – Sidarma – Sitmar – Zanchi ed altri che seppero far fronte alle richieste, adattando ed adibendo le loro unità alle linee del Plata, Brasile e successivamente dell’Australia.
Grazie al loro coraggio, la bandiera italiana poté ancora solcare i mari in un frangente in cui molti la davano per spacciata.
Al centro della ripresa dei traffici si trovarono le Società del Gruppo FINMARE che in pochi anni riuscirono a ripristinare i collegamenti con tutte le sponde nazionali ed internazionali del periodo anteguerra.
Verso una Rinascita ricca di prestigio.
Intorno agli anni ’50, un’ulteriore serie cospicua di provvedimenti legislativi favorirono la rinascita della flotta italiana. Dai Cantieri Navali nazionali uscirono, in quel periodo, navi passeggeri e da carico che furono le protagoniste nella Storia dei Trasporti Marittimi per molti decenni.
Per la Società Tirrenia, nei primi anni ’50, furono varate cinque navi motonavi gemelle della classe “Regioni”: Sicilia – Sardegna – Campania Felix – Calabria – Lazio, che s’aggiunsero alle 21 unità esistenti, ma di vecchia concezione tecnologica.
Per la Società Adriatica il 5 gennaio 1952 la M/n Enotria partì per il suo viaggio inaugurale sulla linea Italia-Egitto a fianco della M/n Esperia. Alla fine dello stesso anno la M/n Messapia entrò in servizio sulla linea Italia-Grecia-Cipro-Israele.
Per il Lloyd Triestino scesero in mare: le navi da carico Udine – Vicenza e le navi passeggeri Ausonia –Bernina.
Per la Società Italia, l’8 maggio 1950, scese in mare la Giulio Cesare, mentre l’Augustus il 19 novembre 1950. Le due prestigiose unità furono le prime navi passeggeri ad entrare in linea nel dopoguerra.
La polivalenza della serie Navigatori giocò un ruolo molto importante per i collegamenti commerciali ed il trasporto degli emigranti europei diretti verso il Sud-Pacifico (Cile e Perù).
La seconda fase della rinascita delle attività marittime si ebbe il 19.12.1952 con la consegna della splendida e sfortunata Andrea Doria e della gemella Cristoforo Colombo che avvenne il 2 luglio 1954. Entrambe le navi furono costruite dal Cantiere Ansaldo di Sestri Ponente.
Il Varo. La T/n Andrea Doria fu varata il 16 giugno 1951. Erano le 10.30 e scese in mare senza una scossa, dolcemente, docile ed esatta lungo un binario dello scalo. La bottiglia di spumante si era appena infranta sul fianco destro della prora e il nastro tricolore che fasciava il vetro non era ancora ricaduto a terra, che già lo scafo, sciolto da ogni impaccio, scivolava rapido verso il mare.
Al momento del varo il suo scafo pesava circa 10.000 tonnellate. Il costo finale del transatlantico fu di 14 miliardi di lire.
Le due foto (in alto) si riferiscono a due fasi dell’allestimento del transatlantico che durò circa due anni e si concluse negli ultimi mesi del 1952.
Le Prove di macchina dell’Andrea Doria.
Le qualità nautiche della nave: potenza, velocità, manovrabilità, stabilità, sensibilità ai comandi strumentali ecc…erano emerse molto positivamente nei giorni delle “prove in mare” che precedettero il viaggio inaugurale, nel gennaio del ’53. Nel Golfo Ligure, inanellando giri su giri in un circuito fisso tra Genova e Sestri Levante, con le macchine a tutta forza, l’Andrea Doria doveva raggiungere il limite massimo di velocità fissato dal contratto. La nave spinta gradualmente fino al massimo dei giri delle turbine, tesa in quello sforzo estremo di sollecitazioni e vibrazioni, Superò tutte le prove. I cronometristi, ad ogni passaggio davanti alle basi misurate, segnate sul monte di Portofino, comunicavano i tempi; 20 nodi, 21, 23 e poi l’annuncio, festoso, come lo sciogliersi di un incubo: “25,30 nodi, la velocità massima”.
L’Andrea Doria esce dal porto di Genova per le attese “ prove di macchina” che saranno realizzate tra le “basi misurate” posizionate tra le colline della Riviera di Levante. La foto si riferisce alla seconda uscita della nave avvenuta l’1.12.1952.
Il viaggio inaugurale dell’Andrea Doria.
L’Andrea Doria partì per il Viaggio Inaugurale il 14 gennaio 1953 ed arrivò a New York nove giorni più tardi. Vicino alle coste americane il transatlantico incappò in una forte depressione con onde montagnose che la sottoposero a violente sollecitazioni allo scafo con sbandate che arrivarono a 28°. Il nuovo liner fu quindi sottoposto ad un severo test che procurò anche venti feriti tra i 794 passeggeri imbarcati. L’Andrea Doria coprì la distanza di 4.737 miglia da Genova a New York ad una velocità media di 22.97 nodi, nonostante la forzata riduzione a 18 nodi, causata dallo storm atlantico. L’Andrea Doria era stabilmente adibita alla linea espresso Genova-Cannes-Napoli-Gibilterra-New York e aveva ottenuto un grande successo nel pubblico internazionale, specialmente fra gli americani. La nave viaggiava sempre completa.
Le due foto (sopra), si riferiscono all’entrata in linea dell’Andrea Doria che avvenne nel gennaio del 1953. La partenza da Genova fu accompagnata dai fischi e le sirene di tutti i mezzi portuali e delle navi ormeggiate in porto. La bella nave, ripresa di poppa e di prora, sta lasciando- con il Gran Pavese del Maiden Voyage – la Stazione Marittima di Ponte dei Mille. Poteva trasportare 1241 passeggeri e 575 uomini d’equipaggio. Era lussuosa sin nel minimo dettaglio delle sue strutture ed era considerata l’ammiraglia della Società Italia di Navigazione.
I Passeggeri americani lanciano una nuova moda.
Con l’Andrea Doria viaggiava il jet set dell’epoca che amava l’Italian Style e soprattutto l’atmosfera di bordo. L’oggetto del desiderio, per molti VIP, non era quello di raggiungere l’una o l’altra sponda dell’Oceano Atlantico, ma il vivere “la nave”, per molte traversate, secondo una nuova moda lanciata da loro stessi.
Celebrità dello mondo dello spettacolo, (dall’alto verso il basso), le attrici: Kim Novak, Gracie Fields, Cristine Jorgensen.
Tecnica d’avanguardia installata sull’ammiraglia della flotta italiana.
L’Andrea Doria aveva in dotazione un elevato numero di lance di salvataggio, quattordici, che potevano trasportare oltre duemila persone. Un sistema antincendio sofisticatissimo ed era equipaggiata di un radar Raytheon (USA), di un secondo radar Decca (U.K.) nonché della strumentazione più moderna dell’epoca: solcometro elettrico, radiogoniometro, bussola giroscopica ed giropilota, nonché l’impianto Sprinkler per la segnalazione e lo spegnimento automatico degli incendi. Il condizionamento dell’aria era assicurato in tutta la nave da un sistema composto di ben cinquantotto apparecchi condizionatori a regolazione automatica a mezzo di termostati. Innumerevoli ventilatori ed estrattori d’aria avevano una portata complessiva oraria di ben 1.126.500 metri cubi. Le condotte di ventilazione ed estrazione avevano uno sviluppo complessivo di oltre quindici chilometri. I condizionatori assorbivano, in regime di raffreddamento, circa tre milioni di frigorie l’ora, e in fase di riscaldamento, un massimo di 4.500.000 calorie orarie. La centrale frigorifera era una delle più potenti, installate su navi passeggeri, con un impianto della potenza di 1500 CV. La cambusa per le provviste di bordo aveva un volume di circa 1450 metri cubi, di cui 850 in celle isolate e refrigerate. Le casse per l’acqua di lavanda avevano una portata di circa 3300 tonnellate; altre ne contenevano 370 tonnellate per l’acqua potabile. I depositi di nafta avevano una capacità di 4300 metri cubi, sufficiente per consentire alla nave un viaggio completo d’andata e ritorno.
Il Primo Arrivo dell’ Andrea Doria al Pier-84 di New York.
L’Andrea Doria è stato il primo grande transatlantico italiano che avesse ripreso le rotte oceaniche nel dopoguerra. Le tre foto sotto ricordano il suo primo arrivo a New York.
(Foto in alto) Si vedono due Erie Railroad ferries, l’Empire States Building e a sinistra l’Upper Hudson. (Foto sopra) si vede la famosa New York City skyline con il Woolworth Building a sinistra.
La traversata oceanica s’interrompe bruscamente con la stupenda visione dei grattacieli di New York e con i docks portuali destinati ad accogliere le più grandi navi di linea dell’epoca. Il pilota e i rimorchiatori delle Società McAllister e Moran assistono il comandante dell’Andrea Doria in manovra. Nella foto (sopra) gli uffici della Società Italia sono addobbati con disegni artistici e locandine commemorative del grande evento.
In questa affascinante rappresentazione dei Piers-passeggeri del porto di New York, si notano: la Queen Elizabeth in navigazione sul fiume Hudson e in basso da sinistra: la Costitution, l’Andrea Doria, la United States e l’Olimpia.
Attrazioni, conforts e impianti moderni a disposizione dei passeggeri.
In tre classi, l’Andrea Doria poteva trasportare complessivamente 1241 passeggeri, oltre a 575 uomini d’equipaggio. La nave disponeva di tre piscine, di quindici sale pubbliche, di ampie passeggiate coperte e scoperte, di quattro impianti cinematografici e di tutte le attrezzature e impianti tipici dei grandi liners dell’epoca, fra cui l’aria condizionata in ogni ambiente e in ogni classe. Ma la novità assoluta era forse l’installazione del radiotelefono intercontinentale a disposizione dei passeggeri.
Foto in alto: La piscina di prima classe ed il comandante P.Calamai a destra sul ponte superiore.
Al centro la piscina e il lido-bar della classe cabina. In basso la stessa pool vista dall’alto.
Un museo perduto in fondo al mare.
Con l’Andrea Doria la Marina Mercantile italiana non perdette soltanto una magnifica unità dal punto di vista della tecnica, ma anche un gioiello di architettura, di arredamento, di decorazione navale. In questo campo la flotta italiana raggiunse in quegli anni ciò che presto si chiamò in tutto il mondo “The Italian Style”.
Il salone di prima classe era l’elegantissimo locale d’incontro e di relax informale, ma soprattutto l’ideale passerella per le eleganti signore nelle feste di gala.
Così come nella serie dei “Conti”, lo stile italiano realizzò sontuosamente l’idea dell’albergo galleggiante, nella serie dei “Navigatori” concretizzò l’idea della casa accogliente e, soprattutto, personale, per quanto poté essere “personale” un ambiente destinato alla collettività. Il filo conduttore di questo progetto architettonico navale, imitato invano dalla concorrenza, fu l’arte, l’opera d’arte che raggiunse i livelli più apprezzati con le gemelle Andrea Doria e Cristoforo Colombo. Sopra il livello dell’artigianato, eccellente e caratteristico di ogni cosa di “gusto italiano” e che si rivelava attraverso l’accostamento delle tinte, delle materie, delle linee attraverso l’amore della bella forma evidente nelle poltrone dei saloni come nelle rubinetterie dei bagni, spiccava, sulle navi italiane la presenza dell’arte.
Numerosi famosi architetti: Zoncada, Pulitzer, Ratti ed il più importante Gio Ponti lavorarono agli interni dell’Andrea Doria. In questa foto si vede l’imponente statua dell’ammiraglio Andrea Doria di guardia… al salone principale della prima classe.
Si diceva….“Galleria d’arte, Museo galleggiante”…anche e specialmente dell’Andrea Doria. La Flotta Mercantile italiana nella sua spola continua attraverso gli oceani portava con sé il paesaggio dell’arte italiana. Pittori, scultori, ceramisti, disegnatori mosaicisti, vetrai italiani avevano creato questo “paesaggio” permanente sui mari, primo saluto del tradizionale paese dell’arte al viaggiatore straniero che veniva a conoscerlo. Le loro opere rendevano armoniose le lente giornate del navigare. Campigli, Mirko, Music, Sironi, Felicita Frai, Spilimbergo, Meli, Venini, E. Luzzati e tanti altri che adesso non vengono in mente, sono i nomi più illustri che hanno lasciato sulla “bella nave”, il sigillo della loro arte. Il vestibolo di prima classe, portava la firma degli architetti Cassi, Rossi e Parenti, realizzatori inoltre delle grandi scalee, delle gallerie, dei negozi e degli uffici che si affacciavano sul vestibolo, nonché delle sale da pranzo di prima classe e della classe cabina. Vi erano quattro appartamenti di lusso realizzati nella loro particolari caratteristiche di arredamento e decorative, dagli architetti Ponti, Zoncada, Minoletti e Pouchain. Attraverso grandi portoni di cristallo si accedeva alla sala da pranzo di prima classe, il cui pavimento era in gomma color pervinca. Le pareti, ornate da due grandi tarsie a soggetto allegorico, erano di radica di mirto e noce. La parte centrale della parete poppiera era interamente rivestita di pergamena. I tavoli erano in noce francese e le poltrone imbottite di gomma piuma e rivestite di seta. La saletta dei bambini aveva le pareti di frassino bianco patinato e laccato con decorazioni policrome. Anche la sala da pranzo della classe cabina era assai elegante con i suoi toni sfumati di grigio e pareti di legno “citronnier” con parti massicce in frassino d’Ungheria. La sala da pranzo della classe turistica, realizzata dagli archittetti del gruppo Anua di Genova, aveva rivestimenti di frassino e rovere di Slavonia. Sul ponte superiore erano sistemate numerose cabine di prima e seconda classe, mentre a poppa, progettate dall’architetto Ratti, spiccavano la sala delle feste, il bar, le sale di soggiorno, da gioco, di lettura, le passeggiate coperte e scoperte. La sala delle feste, in rovere di Slavonia chiaro con due grandi vetrate, era particolarmente lussuosa.
I passeggeri di prima classe spesso s’intrattenevano nelle loro lussuose ed ampie suites. Erano anche incoraggiate le nuotate sotto le stelle prima del ritiro notturno.
A prua si trovava il giardino d’inverno, opera degli architetti Ponti e Zoncada. Vi erano inoltre verande belvedere, tre piscine, sale elioterapiche e attrezzate palestre.
Il personale di un moderno salone assiste una giovane coppia nel gioco del “ horse racing”.
Sull’Andrea Doria, la decorazione della sala di soggiorno di prima classe era una delle realizzazioni più felici per estro pittorico e movimento plastico. Salvatore Fiume, che si rivelò come uno dei migliori scenografi italiani, l’aveva immaginata e decorata come una scatola magica a sorpresa. Una scena unica e multipla sulla quale era ininterrottamente interpretata la commedia dell’arte italiana; anticipo, o souvenir, di un bel viaggio nel paese della fantasia. Tra quinte e prospettive, il mondo delle immagini e dei personaggi del Carpaccio e di Tiziano, del Giorgione e di Raffaello, del Boccaccio e di Goldoni appariva e scompariva, allusivo e ridente, carico di ammiccamenti e di proposte. Il fondo del mare ha raccolto quella scena, e avrà stinto un poco alla volta la sua accensione fantastica, la scioglierà poco a poco; e spenderà, con il “grande banchetto di Nettuno”, dipinto con ritmo modernissimo da Pietro Zuffi; anche gli arazzi finissimi di Raclis, la gioiosa decorazione della stanza dei bambini, e i cento particolari preziosi nei quali, dalle stanze da letto alla Cappella di bordo, era impresso un segno della nostra immagine artistica. Ma gli artisti poterono ricominciare, e ogni cosa poté ricominciare all’indomani; anzi il giorno stesso…
La tradizionale scuola italiana di gastronomica internazionale non aveva rivali e quando tramontò l’era delle navi di linea, la diaspora dei nostri cuochi, chefs e maestri di casa andò ad arricchire le marinerie straniere. Nella foto i passeggeri stanno per gustare il buffet di mezzanotte.
Sull’Andrea Doria tutto era vivo e perfetto. Nelle grandi cucine elettriche si affaccendavano cuochi e pasticceri, dai forni usciva pane fresco e fragrante, nelle lavanderie entravano ed uscivano chilometri di biancheria, i tasti delle lynotipe battevano nella tipografia per comporre il giornale di bordo, le bobine dei film si svolgevano nelle macchine da proiezione dei cinematografi, gli impiegati ricevevano i passeggeri agli sportelli degli uffici turistici e bancari, i medici nel piccolo ospedale visitavano gli ammalati, mentre gli ufficiali e i marinai governavano la nave. Era un mondo che riproduceva, in piccola scala, tutti gli aspetti di quello grande e reale: un piccolo mondo che bastava a se stesso, per giorni e giorni, nell’immensità del mare.
Nella foto due belle signore s’intrattengono dinanzi al negozio dei regali (gift shop).
Cinquanta anni fa con un fianco squarciato l’ANDREA DORIA sparì negli abissi
Cinquanta anni fa, il 26 luglio 1956, al largo del faro americano di Nantucket (USA) che dista 180 miglia da New York, affondava la T/n Andrea Doria, speronata dal transatlantico svedese Stockholm, dopo undici interminabili ore d’agonia.
L’agonia di una nave è lunga: non tanto per il tempo contato in ore, quanto per la dolorosa tensione che l’accompagna. L’agonia dell’Andrea Doria è durata undici ore; colpita dallo Stockholm alle 23.11 del 25 luglio, è affondata alle 10.08 del 26 luglio su un fondale di 80 metri.
Il ricordo di quell’immane disastro che costò cinquantun vite umane è ancora vivissimo nella memoria dei liguri e Genova, in quei terribili giorni, fu colpita nel suo orgoglio di grande porto e maestra nella cantieristica navale. Il disastro segnò la fine repentina e luttuosa del mito del liner più bello e moderno del mondo.
In quel secondo dopoguerra, si entrò nella splendida fase della rinascita delle attività marittime proprio con la consegna della Andrea Doria soprannominata la:
La Grand Dame of the Sea
La T/n Andrea Doria varata il 16 giugno 1951, entrò in linea nel 1953. Poteva trasportare 1241 passeggeri e 575 uomini di equipaggio. Era lussuosa sin nel minimo dettaglio delle sue strutture ed era considerata la portabandiera della Società Italia di Navigazione. Con essa viaggiava il jet set dell’epoca che amava l’Italian Style e soprattutto l’atmosfera di bordo. L’oggetto del desiderio, per molti VIP, non era quello di raggiungere l’una o l’altra sponda dell’Oceano Atlantico, ma il vivere “la nave”, viaggiando con essa, per molte traversate, secondo una nuova moda lanciata da loro stessi.
Costruita secondo le prescrizioni e sotto la speciale sorveglianza tecnica del Registro Italiano Navale, del Lloyd Register of Shipping e dell’American Bureau of Shipping, l’Andrea Doria aveva una stazza di 29.700 tonnellate, una lunghezza fuori tutta di 212,50 metri, una larghezza fuori ossatura di 27,40 metri, una altezza dello scafo fino al ponte di coperta di metri 15,20; con un apparato motore a turbine della potenza normale di 35.000 CV, sviluppava una velocità di servizio di 23 nodi.
Lo scafo, oltre ad avere un doppio fondo cellulare completo, era suddiviso nella sua lunghezza da 11 paratie stagne trasversali limitate in alto dal ponte di compartimentazione (corrispondente al Ponte A, al di sotto cioè del Ponte di coperta).
Paurosamente inclinata sul fianco destro. La turbonave Andrea Doria, già abbandonata dai passeggeri e dall’equipaggio, sta per affondare.
Ma nessuna norma poteva – né potrà mai – garantire la salvezza di uno scafo colpito con la violenza con la quale la nave svedese speronò la nostra. La prua della Stockholm penetrò nello scafo dell’Andrea Doria per oltre 12 metri e aprì una falla di circa 20 metri di lunghezza – dal doppio fondo al ponte superiore – di gran lunga maggiore di quella ipotizzata nei calcoli di compartimentazione.
Questa foto scattata dall’autore durante l’ultima sosta dell’Andrea Doria a Genova, mostra il punto esatto in cui la nave sarà colpita dalla prora dello Stockholm.
Inoltre si può pensare che la prua contorta e accartocciata della Stockholm nel liberarsi dall’incastro nello scafo della Doria, abbia agganciato delle lamiere staccando addirittura un corso del fasciame esterno.
Comandava l’Andrea Doria il capitano Pietro Calamai, genovese: 42 anni di navigazione, volontario sul mare a diciannove anni nella Prima Guerra Mondiale, capitano di corvetta e ufficiale di rotta della corazzata Duilio nella Seconda Guerra Mondiale.
“Non appena”, dichiarò il comandante Calamai in un suo rapporto a New York, “incontrammo la nebbia si provvide a chiudere le porte stagne e si cominciò ad emettere regolari segnali di nebbia e vennero prese le altre normali precauzioni.
“Passato il battello-fanale di Nantucket, su scala 20 miglia, il nostro radar rilevava a considerevole distanza l’ubicazione di una nave che risultò essere la Stockholm. Siccome la nave si avvicinava e aumentava anche il rilevamento, ordinai il cambio di rotta a sinistra per garantire all’Andrea Doria il maggior spazio possibile.
“La nave che si avvicinava era costantemente osservata e, non appena uscì dalla nebbia e potemmo vederla a occhio nudo, virò verso di noi e venendoci incontro a grande velocità ci colpì sul nostro fianco destro, malgrado il mio tentativo di evitare la collisione avendo ordinato il timone tutto a sinistra, operazione che feci procedere da due fischi di sirena…”
Lo Stockholm in navigazione, con i propri mezzi, verso New York. Nelle lamiere divelte della prora, in quel momento, si trovavano ancora i corpi di alcune vittime della collisione.
La Commissione d’indagine del Ministero della Marina Mercantile consegnò i suoi rapporti che presto finirono archiviati da qualche parte. Gli atti del procedimento informativo, iniziato davanti alla Federal District Court di New York. Le Società Armatrici delle due navi si misero d’accordo per chiudere la pratica rapidamente, coprendosi con i pagamenti della stessa compagnia assicuratrice: i Lloyds di Londra. Da un preciso e chiarificatore articolo dello storico Silvio Bertoldi, apparso sul “Corriere della sera” il 16.7. 96 riportiamo alcuni stralci:
“Il comandante P. Calamai fu collocato in pensione, sebbene gli mancassero due anni al limite della carriera. Era come dire che la colpa era stata sua. Specie se si tiene conto del diverso comportamento della Swedish Am. Line che promosse il capitano G.Nordenson della Stockholm. Al comando della sua flotta……
Il comandante della Stockholm Nordensson ed il suo giovane ufficiale E.Carstens, che era solo di guardia sul ponte di comando, in navigazione con la nebbia, nel momento della collisione.
Al momento della sciagura Calamai si trovava in plancia, mentre Nordenson dormiva in cabina e la sua nave era affidata al 3° ufficiale E. Carstens di 26 anni. Costui aveva calcolato male sul radar la distanza della nave italiana e quando si era reso conto di andarle addosso aveva ordinato “in extremis” una temeraria accostata di 23° a dritta che aveva costretto Calamai a scappare a sinistra per sfuggire all’ormai inevitabile collisione. Per salvare l’onore di Calamai, morto a 75 anni, dopo una lunga ed ingiusta emarginazione, sarebbe dovuto intervenire, nel 1980, un esperto della Marina USA, John Carrothers, con uno studio finalmente rivelatore della verità. Carrothers indagò sui grafici dei registratori di rotta e li rapportò alle varie scale delle distanze del radar. La sua spiegazione fu la seguente: al momento dell’avvistamento, la Stockholm aveva il radar funzionante sulla portata delle 5 miglia, mentre Carstens credeva di averlo sulla portata di 15 e si comportò di conseguenza. Riteneva così che la Andrea Doria si trovasse a 12 miglia di distanza mentre si trovava a quattro. La credeva a 6 miglia, quando era a 2 ed allora ordinò l’accostata a dritta 23° e portò la Stockholm in rotta di collisione con la nave italiana”.
Concludiamo questa breve rievocazione affermando che, quanto magistralmente riportato da S. Bertoldi è anche la versione ufficiale che viene tuttora insegnata dal Capitano Robert Meurn, docente di Navigazione all’Accademia Americana di New York ai futuri Capitani di lungo corso americani.
Il più grande salvataggio in mare della storia.
Alle 23h 22m l’Andrea Doria lanciò l’S.O.S. che diede il via ad una grande gara di solidarietà tra le navi che giunsero in zona numerose e al massimo della velocità. Le operazioni di salvataggio furono condotte in tempi relativamente brevi e con perizia da manuale.
In risposta alle tante domande cui fu sottoposto, il comandante P.Calamai precisò:
“ho fatto mettere in mare le otto lance del lato destro della nave, cioè la metà di tutte le imbarcazioni di cui disponeva il transatlantico, essendo impossibile far calare in acqua quelle del lato sinistro e che comunque, precisò, erano state sufficienti.”
Navi partecipanti al salvataggio:
– Ile de France che raccolse il maggior numero di naufraghi (10 lance) e proseguì poi per New York alle 05.00, dove venne accolta al Pier n.80 con entusiasmo e tanta tristezza. Quel giorno l’intero settore dei Trasporti Marittimi ne uscì sconfitto.
Il transatlantico francese Ile de France, 43.000 tonn. Fu varato nel 1926 e restò a lungo sugli oceani, come una delle navi più famose e sicure. Fu la nave che portò maggior soccorso all’Andrea Doria.
Celebre divenne la testimonianza del comandante Raoul de Baudéan e riportato da alcuni testi dedicati al tragico avvenimento:
“Ed ecco il minuto straziante dell’addio. Passiamo a trecento metri dal relitto deserto. All’intorno incrociano delle scialuppe di salvataggio contenenti una parte dell’equipaggio rimasta agli ordini del comandante. Delle navi, attirate dall’immensità del disastro, sono ferme nei dintorni. Il commissario dell’Andrea Doria, uno dei rari ufficiali che hanno potuto seguire la sorte dei loro passeggeri, sale sul ponte di comando. Faccio fare il saluto con la bandiera e con tre fischi prolungati di sirena. Più di settecento paia di occhi guardano allontanarsi la loro dimora gloriosa, il quadro moribondo della felicità di una settimana o di un anno, l’oggetto del loro orgoglio o del loro dispiacere. In molti di quegli occhi dovevano esserci lacrime. Ma un silenzio di piombo rende più eloquente il dolore e l’emozione. I miei uomini scrutano il mare dove galleggiano dei rottami, credendo di potervi scoprire un nuotatore ritardatario o un cadavere. Due miglia più lontano, lo Stockholm esce dalla nebbia con la sua atroce ferita. La prua della bianca nave non è più che una massa di ferraglia contorta dove, delle macchie chiare, evocano dei corpi nudi e probabilmente mutilati. Non oso avvicinarmi, temendo una reazione irrazionale della folla dei miei superstiti”.
– La stessa Stockholm che prese a bordo 425 passeggeri dell’Andrea Doria.
– Il cargo Cap Ann recuperò 4 lance.
La nave da carico “Cap Ann”, qui illustrata, contribuì con molta perizia alle operazioni di salvataggio.
– Il cargo militare William Thomas recuperò 3 lance.
– La petroliera R.E.Hopkins recuperò 1 lancia.
-Infine le numerose medie e piccole imbarcazioni che diedero anch’esse un preziosissimo contributo illuminando la zona del sinistro, facendo spola tra le navi ed assistendo le lance nei loro tragitti verso il recupero dei naufraghi.
NAVE |
Tipo |
Scialuppe recuperate |
Persone salvate |
Passeggeri salvati |
Equipaggio salvato |
* Ile de France |
N.Passeggeri |
11 |
753 |
576 |
177 |
* Cape Ann |
Cargo |
4 |
129 |
91 |
38 |
* Pvt.Wm.Thomas |
Cargo |
3 |
158 |
112 |
46 |
** R.E.Hopkins |
n.cisterna |
1 |
1 |
1 |
0 |
# Ed.H.Allen |
n.militare |
0 |
77 |
0 |
77 |
Stockholm |
n.Passeggeri |
7 |
542 |
425 |
234 |
|
|
|
|
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|
T O T A L E |
|
30 |
1660 |
1088 |
572 |
* =Insignita della Gallant Ship Award |
**=Lettera Encomio |
#= Recupera tre mezzi di salvataggio |
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Alcune statistiche interessanti
Categoria |
Passeggeri |
Morti |
Totale |
Andrea Doria (passeggeri) |
1088 |
46 |
1134 |
Andrea Doria (equipaggio) |
572 |
0 |
572 |
Stockholm (passeggeri) |
534 |
0 |
534 |
Stockholm (equipaggio) |
208 |
5 |
213 |
|
|
|
|
T O T A L E |
2402 |
51 |
2453 |
Un resoconto degli eventi del giorno della collisione:
11.31 O.L. La Stockholm lascia il molo di New York Harbor
22.20 La Andrea Doria passa al largo del battello-fanale di Natucket
22.40 La Andrea Doria localizza la Stockholm sul radar- distanza 17 miglia
22.48 La Stockholm localizza l’Andrea Doria sul radar – distanza 12 miglia
22.50 La Stockholm cambia direzione per Rotta Vera 091°
23.05 La Andrea Doria cambia direzione per Rotta Vera 264°
23.07 La Stockholm accosta 20° a dritta
23.08 La Andrea Doria accosta a sinistra nel tentativo di evitare la Stockholm
23.09 O.L. La Stockholm accosta a dritta nel tentativo di evitare la Andrea Doria
23.11 La prua rinforzata della Stockholm penetra nella fiancata dell’Andrea D.
23.22 La Andrea Doria lancia “S.O.S…necessitiamo immediata assistenza”
23.54 L’Ile de France (Cap. Beaudean) risponde all’S.O.S. e dirige sul posto
00.30 Il primo naufrago dell’Andrea Doria arriva sullo Stockholm
00.45 La fregata Cap Ann è la prima nave ad arrivare in soccorso sul posto
01.23 Il cargo William Thomas arriva e getta in mare due lance di salvataggio
02.00 La n.passeggeri Ile de France arriva e getta in mare numerose lance di salvataggio ed altri mezzi necessari al recupero dei naufraghi.
Il secondo ufficiale di macchina G.Cordera raccontò: “Ci prodigammo per rallentare l’affondamento, riuscimmo a non far mancare la corrente elettrica e ciò valse a salvare centinaia di vite. La nave colò a picco con le pompe in funzione e le luci accese. Eppure la centrale elettrica era fuori uso, allagata”.
04.30 O.L. L’ultimo passeggero, R. Hudson viene recuperato dalla R.E.Hopkins
05.30 Il comandante dell’Andrea Doria P.Calamai ed i suoi ufficiali lasciano la nave che sta affondando
06.15 Messi in salvo tutti i passeggeri la Ile de France saluta l’Andrea Doria e ritorna a New York
08.06 La Evergreen arriva sulla scena per dirigere le operaz. di salvataggio
10.08 L’Andrea Doria, piegandosi definitivamente su di un fianco affonda tra i flutti.
Ferita a morte, l’Andrea Doria sta per affondare.Tra poco il mare si rinchiuderà su quella che era la più bella e grande nave italiana della sua epoca.
Epilogo
Alle otto, anche gran parte dell’equipaggio aveva lasciato la nave: a bordo era rimasto soltanto il comandante Pietro Calamai con dieci uomini d’equipaggio.
Alle nove, anche il comandante, con gli ultimi suoi uomini, ha abbandonato la nave dopo averne ricevuto l’ordine direttamente dal Ministro della Marina Mercantile italiano on. Cassiani. Il comandante del guardacoste USA Evergreen sarebbe venuto per l’ultima volta sottobordo. La nave aveva ormai preso una paurosa inclinazione sulla dritta: un altro mezzo grado e il comandante dell’Andrea Doria non ce l’avrebbe più fatta. Calamai ed i suoi uomini hanno dovuto buttarsi in mare e sono stati tratti in salvo da un mezzo costiero e poi da un elicottero. Subito dopo i mezzi di salvataggio della Coast Guard hanno “allargato” di quel tanto che era necessario per evitare gli effetti del risucchio: poi la nave è colata a picco. E’ andata giù di prua ed anche l’ultimo atto è stato più lento di quanto si possa immaginare, è durato soltanto una decina di minuti. E’ un testimone oculare che parla:
“l’acqua lambiva il ponte principale mentre la “passeggiata” di terza classe era già sotto il livello di almeno quattro metri e la nave sbandava sempre più a dritta, il fianco che l’aguzzo e brunito sperone dello Stockholm aveva squarciato nel cuore della notte, erano le 10.08 quando la prua del magnifico transatlantico si immerse, senza un sussulto nell’oceano. Prima la poppa è uscita dall’acqua con le sue due eliche ormai inerti, col suo lungo timone piegato, ha pencolato così, forse ancora un minuto, forse pochi secondi in più. Non guardai l’orologio perché i miei occhi erano fissi su quella parte sempre più piccola della mia nave che affondava. Poi pian piano tutto venne ingoiato dalle acque e in ultimo si alzò a perpendicolo la poppa, sulla quale la luce fece rifulgere un’ultima volta le lettere d’oro del nome:
“Andrea Doria”
Risucchio, schiuma, qualche fumata di vapore, qualche relitto dei ricchi addobbi delle prime classi, qualche relitto dei modesti bagagli della “turistica”, qualche scialuppa che l’ Andrea Doria non era riuscita a mettere in mare e che all’ultimo momento si era staccata dai paranchi e galleggiava. Si chiudeva così, con questo scenario squallido e spettrale uno dei più drammatici disastri del mare.
Alle 10.08 la nave italiana “ANDREA DORIA” affondò in 225 piedi d’acqua (75metri di profondità) in posizione: Latitudine: 40° 29’.4 N – Longitudine: 60° 50’.5 W
Assicurazioni: L’Andrea Doria era totalmente ricoperta da assicurazione. Il cinquanta per cento della perdita ricadde sul mercato inglese, presso cui le Compagnie italiane si erano contro-assicurate. Secondo l’agenzia “Italia” la nave era assicurata presso varie compagnie italiane per 16,5 miliardi di dollari, pari a 10 miliardi e 230 milioni di lire dell’epoca. Le percentuali di assicurazioni erano le seguenti: 20% Mutua Marittima Nazionale; 18,75% Assicurazioni Generali; 11,20% Sicurtà tra Armatori; 11% Assicurazioni Italia; 10% Adriatica Sicurtà; 8,40% Levante; 8% Fiumeter; 3% Unione Mediterranea; il resto da 2,50% a 0,25% a Compagnie minori. Il 50% era assicurato sul mercato inglese. Il costo per la costruzione e l’allestimento della nave era stato di 15 miliardi di lire, di cui due miliardi e mezzo già ammortizzati. Assicurazioni complementari, avevano tuttavia coperto i corredi, il bagaglio e macchinari speciali per oltre due miliardi. Il contributo dello Stato era stato di quattro miliardi. La collisione dell’Andrea Doria ed il suo successivo affondamento fu una delle più importanti notizie dell’anno 1956 e fece dimenticare per un po’ di mesi gli altri grandi avvenimenti del periodo: la crisi del Canale di Suez, la rivolta d’Ungheria, la guerra d’Algeria e la rielezione del presidente Dwight D. Eisenhower.
Carlo GATTI
Rapallo, 09.02.12