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LA MANOVRABILITA' DI UNA NAVE




LA MANOVRABILITA' DI UNA NAVE


BY JOHN GATTI Rapallo, 12 SETTEMBRE 2020•7 MINUTI

Ogni qualvolta agiamo sul timone, otteniamo i seguenti effetti sulla nave:

– una rotazione (accostata) attorno all’asse verticale PP (Pivot Point);

– uno spostamento laterale (movimento di deriva) dalla parte opposta

rispetto all’accostata;

– una diminuzione di velocità;

– uno sbandamento iniziale (detto “di saluto”) dalla stessa parte

dell’accostata;

– un’immersione della prora.

Le componenti del timone durante il suo utilizzo come mostrato in figura


 

CT = centro asse timone

CP = centro di pressione

angolo alfa (α) = Angolo di attacco del timone alla banda

FL = Portanza

P = forza normale all’asse del timone

D = Resistenza del timone parallela e contraria alla direzione del moto

della nave

A = forza assiale

R = forza risultante

K = distanza di FL dal centro di Gravità G

Mettendo il timone alla banda, si ottiene uno spostamento più veloce della poppa rispetto a quello della prora.

Come già detto, durante il moto avanti il Pivot Point si sposta più o meno a 1/3 della lunghezza della nave partendo da prora; di conseguenza durante l’accostata il centro di gravità si sposta dal lato opposto dell’accostata in modo proporzionale alla velocità di rotazione.


Più il Pivot Point si trasferisce avanti, più aumenta il movimento di traslazione rispetto alla velocità di rotazione.

 

Anche l’assetto della nave influenza lo spostamento del Pivot Point durante l’evoluzione: se la nave è appruata si sposta più a prora, in caso contrario si sposta più a poppa.

L’aumento dei giri della macchina durante l’evoluzione fa crescere l’effetto traslatorio rispetto alla velocità di rotazione; in caso di diminuzione dei giri, accade il contrario.

Si deve considerare anche l’Under Keel Clearance, perché in acque più profonde lo scarroccio è maggiore in conseguenza alla minore resistenza esercitata dal fondale durante il movimento laterale.

La manovrabilità è la risultante di una serie di caratteristiche della nave stessa e di una serie di fattori che agiscono su di essa.

Sono quindi dati oggettivi: la forma dello scafo, il pescaggio, la superficie velica, il dimensionamento degli organi di governo, ecc. – sono invece variabili da ponderare di volta in volta le cause esterne come: il vento, la corrente, il moto ondoso, il basso fondo, le sponde dei canali e cosi via.


Effetti evolutivi del timone

Due importanti aspetti della manovrabilità sono la prontezza di risposta al timone, che indica la facilità con cui la nave cambia rotta quando si mette il timone alla banda e l’abilità evolutiva, cioè la capacità di evoluire in spazi ristretti.

 

 

 

Quando la nave percorre una rotta rettilinea in acque calme, il complesso delle forze trasversali che agiscono sulla carena e sul timone non sono apprezzabili e non si manifestano effetti quali imbardate o deriva se non in presenza di vento o corrente. Queste forze agiscono invece quando il timone interviene ruotando sul proprio asse. Per effetto di questa rotazione i filetti fluidi investono un lato della pala sviluppando una forza  trasversale  P inclinata rispetto al piano diametrale della nave di un certo angolo. Questa forza cambia la traiettoria della nave e la fa accostare.

Con P sen αP cos α abbiamo evidenziato le componenti che generano la forza risultante P.  La prima forza è orientata nel senso opposto al moto ed è responsabile del calo di velocità che si verifica durante le accostate. La seconda, è posta nella direzione normale al piano diametrale, orientata nella direzione opposta al lato in cui è stato orientato il timone ed è responsabile del moto di deriva della nave.

Ogni nave ha le sue caratteristiche e la stessa nave si comporta in modo diverso a seconda delle forze esterne a cui è sottoposta. È difficile immaginare ogni scenario possibile per ogni nave, l’abilità di chi manovra sta nell’individuare le caratteristiche principali di ognuna e agire con la giusta sensibilità sfruttando o contrastando le forze che si presentano, anticipandone o ritardane gli effetti.


 


"BURRASCA PER TRE" - Recensione di Carlo GATTI

BURRASCA PER TRE

Di MARINELLA GAGLIARDI SANTI

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Ho fatto una full immersion di circa tre ore nel libro BURRASCA PER TRE senza prendermi neppure una pausa caffè/sigaretta. Sono preso dalla trama avvincente e dai movimenti circospetti di personaggi misteriosi che si muovono tra gli scogli e le Crêuze de mä dove sono nato e cresciuto: il romanzo, infatti, è ambientato a San Michele di Pagana, ma non solo…

BURRASCA PER TRE é un mosaico di situazioni in cui attori ricchi di fascino, inventati dalla fantasia della scrittrice ma anche realmente esistiti, navigano con mare agitato sottocosta su rotte pericolose irte di scogli ....

Soltanto alla fine del racconto, simili ad imprevedibili gabbiani, le trame si sfiorano disegnando il quadro che Marinella ha sognato da tempo e che ora realizza con decise pennellate scure per descrivere azioni poco chiare di violenza nostrana, mentre altre sono spruzzate di rosa e vorrebbero anticipare un percorso d’amore che appare improbabile; infine c’é un terzo colore che mi ha trascinato nel passato sulle montagne violate e violentate dalla guerra, per coinvolgermi in attacchi nemici e in avvincenti e rocambolesche fughe: un profumo famigliare che la scrittrice vive con commozione nel suo animo, attribuendo al nonno della protagonista del romanzo storie realmente accadute a suo padre e documentate in un suo diario di ragazzo del ’99. Come un sogno triste: un lungo tormento che la trattiene tuttora su quelle cime contese ed innevate di sangue. Da lassù rintocchi ritmati e accorati di una pieve montana scendono a valle segnando il tempo del dolore e dei rimpianti mai sopiti.

Burrasca per tre si presenta quindi come un romanzo nel romanzo, due registri ben congegnati, che a volte si toccano e che coinvolgono il lettore in momenti emozionanti e ricchi di suspense.

Dicevo di personaggi misteriosi ma attuali che mi fanno sobbalzare al pensiero di conflitti che emergono come fantasmi dagli scenari del Grappa contro l’Imperialismo Austro-ungarico, ma anche a San Michele di Pagana, contro l’imperialismo occidentale di AL QAEDA.

Si respira persino DRAGUT che approda sulle nostre coste come nel lontano ‘500… e mi viene da pensare che nei fondaci della casa sul mare di Emma, la protagonista, ci sia un deposito di armi ed esplosivo dell’ISIS.

Con i suoi colpi di mano letterari, Marinella mi ha fatto cadere nei vortici più spumosi e poi mi ha gettato la sagola per farmi rientrare “buffamente” nella trama in cui più volte mi sono ritrovato alla griglia di partenza avvinghiato a scenari sempre in progress ed imprevedibili.

GRAZIE Marinella! Senza la minima percezione, lentamente mi sono sentito attore e spettatore nel tuo thriller in cui, da ottima Regista, mi hai fatto sognare anche l’amore! Complice é la magia sprigionata “meravigliosamente” dal contrasto tra la bellezza dei luoghi, la mitezza del clima che ogni tanto sa infiammarsi di mareggiate e l’intrusione di certa gente che subdolamente s’infiltra risucchiata da ambizione sfrenata per esercitare operazioni illecite di ogni tipo.

Quando la scrittura é magistralmente scorrevole diventa musica di Ennio Morricone…

Complimenti!

ALBUM FOTOGRAFICO


Il padre della scrittrice

 


San Miche di Pagana

 


RECENSIONE di Carlo GATTI

Rapallo, 14 Agosto 2020

 


LE NAUMACHIE PIU' FAMOSE DELLA STORIA

LE NAUMACHIE PIU’ FAMOSE

LA NAUMACHIA DI CESARE



La prima naumachia fu ideata da Giulio Cesare a Roma nel 46 a.C. per celebrare i suoi trionfi. Fece scavare un ampio bacino nella Codeta Minore (Campo Marzio), vicino al Tevere da cui riceveva l’acqua. Aveva una profondità di 11-12 metri in grado di far affluire l’acqua e larga a sufficienza da contenere vere navi da guerra (biremi, triremi e quadriremi). Parteciparono alla battaglia ben 2.000 combattenti e 4.000 rematori ingaggiati tra i prigionieri di guerra.

La folla proveniente da ogni dove, persino dalle colonie più lontane, era così numerosa  e stipata al punto che, come narra Svetonio, nella ressa micidiale morirono centinaia  di persone. In quella occasione fu ricreata una battaglia tra Fenici e Cartaginesi.

 



Sappiamo che la naumachia di Cesare si trovava nel Campo Marzio, probabilmente in corrispondenza della depressione centrale dove era presente la Palus Caprae e dove più tardi venne sistemato lo stagnum Agrippae. Non potendo essere svuotata, se ne decise il riempimento nel 43 a.C.

LA NAUMACHIA DI AUGUSTO



La Saepta Iulia é l’edificio in alto al centro

Saepta Iulia (o Julia), noto in seguito come Septa e in greco come τ Σέπτα, erano edifici costruiti a Roma nel Campo Marzio. Tutta la zona è stata riedificata nei secoli successivi, ma gli studi di Guglielmo Gatti (1905-1981) hanno definitivamente fissato la posizione dei Saepta fra via del Seminario, via di S. Ignazio, via del Plebiscito, via dei Cestari e via della Minerva.

Si tratta di un complesso monumentale con uno spazio aperto di 300 x 120 mt, circondato da portici e arricchito da opere d’arte proveniente dai paesi conquistati.


Per l'inaugurazione del tempio di Marte Ultore (Marte Vendicatore), Augusto diede una naumachia che riproduceva fedelmente quella di Cesare. Come ricorda egli stesso nelle Res gestae, fece scavare sulla riva destra del Tevere, nel luogo denominato "bosco dei cesari" (nemus Caesarum), un bacino dove s'affrontarono 3000 uomini, senza contare i rematori, su 30 vascelli con rostri e molte unità più piccole.

BATTAGLIA DI AZIO

NAUMACHIA


Augusto voleva così celebrare la flotta romana, poiché egli stesso aveva conquistato il potere e sgominato i suoi nemici vincendo la battaglia di Azio, ove suo genero Agrippa, costruttore del Pantheon, era stato l’ammiraglio della flotta.

La naumachia d'Augusto (naumachia Augusti) è la più conosciuta. Nelle Res Gestæ, Augusto medesimo indica che il bacino misurava 1800 piedi romani su 1200 (circa 533 mt x 355 mt).

Plinio afferma che al centro del bacino rettangolare, si trovava un'isola collegata all'argine con un ponte. Il bacino era rifornito dall'acquedotto dell’Aqua Alsietina, appositamente costruito da Augusto per la sua alimentazione, poteva riempirlo in 15 giorni. Un canale navigabile permetteva l'accesso alle navi provenienti dal Tevere, oltrepassato da un ponte mobile (pons naumachiarius).

NAUMACHIA DEL COLOSSEO

Marziale narra che si tennero delle naumachie al Colosseo nei primi anni dopo l’inaugurazione. In seguito non fu più ritenuto idoneo per le modifiche murarie che vennero fatte all’intero impianto.


L’autore racconta inoltre che si tennero delle naumachie al Colosseo, ma gli archeologi moderni sostengono che esse furono abbandonate poiché erano necessari molti preparativi per rendere l'arena stagna e riempirla ad una altezza sufficiente (1,5 m) per potervi far galleggiare le navi.

Per l'inaugurazione del Colosseo nell'80 d.C. Tito diede due naumachie, una nel bacino agostiniano, usando ancora diverse migliaia di uomini e l'altro nel nuovo anfiteatro. Secondo Svetonio, Domiziano organizzò una naumachia all'interno del Colosseo, senza dubbio nell’85 d.C., e un’altra nel corso dell'anno 89 d.C. in un nuovo bacino scavato al di là del Tevere.

L'arena del Colosseo misurava solo 79.35 x 47,20 metri, una naumachia nel Colosseo non poteva quindi essere grande come le precedenti. E’ noto infatti che venissero impiegate sceneggiature raffiguranti navi, talvolta con meccanismi per simulare naufragi, sia sul palco che in campo (Tacito, Annales, XIV, 6, 1; Dion Cassio LXI, 12,2).

NAUMACHIE DI CLAUDIO

NOTA COME LA NAUMACHIA DEL FUCINO

Fu la più “grande” naumachia di tutti i tempi

Claudio nel 52 d.C. diede una naumachia su un vasto specchio d'acqua naturale, il lago del Fucino, per inaugurarne i lavori di prosciugamento attraverso l'apertura dei cunicoli di Claudio.

Le due flotte contavano ognuna 50 vascelli, corrispondente alle unità di ciascuna delle due flotte militari con basi a Miseno e a Ravenna.  Grazie all'ampia superficie del lago Fucino, di cui solo una parte, circoscritta da pontili, fu usata per l'occasione, le navi poterono procedere con varie manovre d'avvicinamento e speronamento. La naumachia di Claudio riproduceva realmente una battaglia navale.

Gaius Suetonius, Dione Cassio e Cornelio Tacito, scrissero:

«Per realizzare l’Opera di Prosciugamento del Lago Fucino, ci vollero circa 11 anni di incessanti e massacranti lavori, a turni implacabili, giorno e notte, in cui vennero impiegati, “in condizioni disumane” più di 30.000 schiavi e che, Claudio, ambì commemorare l’inaugurazione dei lavori del prosciugamento del Lago Fucino, con una magnificenza tale, che ne superasse ogni altra, sia in grandezza che in splendore».

Lo spettacolo più monumentale a quei tempi era la Naumachia — che, come una grande e importantissima partita di calcio di oggi, mandava letteralmente in visibilio le platee e, particolarmente, Claudio.

«La naumachia consisteva nella simulazione di una battaglia navale con combattimenti veri — con lotte all’ultimo sangue — fino alla morte».

Per l’eccellente riuscita della rappresentazione, Tacito e Sifilino, ci dicono che furono costruite circa un centinaio di galere a tre, e a quattro ordini di remi, che vennero organizzate su due flotte, una rappresentava i Rodiesi (Rodiani) e l’altra i Siculi (Siciliani). Per reperire i numerosissimi combattenti, si rastrellarono da tutte le prigioni circa 19.000 persone per farli guerreggiare su queste imbarcazioni. Per il suddetto gigantesco avvenimento, con annesso spettacolo, sulle rive del Lago Fucino, si recò ad assistere tutta Roma.

L’imperatore con la sua sposa, il figlioccio Nerone e gli altolocati della sua splendida corte, presero posto su un apposito chiosco, all’uopo predisposto ed a questi riservato, nelle immediate prossimità dell’inghiottitoio dell’Emissario. Dopo che le “galee” si erano disposte in posizioni antagoniste, in cerchio a queste, si posizionarono numerosissime zattere ed altre imbarcazioni occupate da guardiani armati di baliste, catapulte ed altre armi, con il compito di impedire che i combattenti potessero avere modo di sfuggire al loro destino.

"I guerrieri, prima di iniziare gli scontri, si guardarono intorno; e, resesi conto del triste destino, sfilarono davanti al Principe, a cui indirizzavano il funereo saluto di rito":

«Have Cesare imperator, morituri te salutant»

Claudio, fuori di sé dalla gioia, dimentico della formula del cerimoniale e, impaziente di godersi lo spettacolo, rispondeva con l’augurio: «Avete et vos» il che significa: «salute a voi». Dalle acque del Lago emerse un Tritone d’argento, seguì un infelice clangore di tromba per dar principio agli scontri, ma nessuno si mosse, e tutti si rifiutarono d’ingaggiar battaglia, perché l’Imperatore aveva augurato loro buona salute; Claudio colmo di collera, angosciato di vedere il suo spettacolo andare in fumo, li minacciò di farli uccidere tutti se non avessero subito iniziato a combattere …


… «la carneficina fu tale che l’onda vitrea dell’acqua del Lago Fucino, si colorerà di rosso con il sangue umano» … … erano migliaia e migliaia di uomini, moltissimi di questi persero la vita, in gran quantità finirono di esistere per dissanguamento, altri per le gravi ferite riportate, parecchi rimasero per sempre orrendamente deturpati: storpi, monchi, ciechi, mutilati, paralizzati; solo pochissimi si salvarono e, Claudio, vedendo quel Lago: “Plenum di sanguine”, forse temendo l’ira del dio Fucino, concesse loro la libertà.

Publio Cornelio Tacito, racconta: «Di là vedevi un urtarsi e un cozzare di zattere contro zattere, e repente di qua un inoltrarsi, d’alzarsi, inabissarsi di barche su barche, impetuosamente: da per tutto un cozzare, un azzuffarsi, un ferire, in lottar rabbiosamente, un vincere, un cader di mille schiavi, un romper d’arti, di gemiti, di sangue, di dolore e di uno sfasciar di navi».

Come consuetudine di quei tempi, tutto si svolgeva tra urli d’incitamento e di gioia, insaporito da eccelso godimento di Claudio e del suo popolo, entrambi assetati sempre della sofferenza e del — multum vulnerum sangue degli altri.





CARLO GATTI

 

Rapallo, 17 giugno 2020


MARINAI E FEDE

MARINAI E FEDE

Le vele delle tre caravelle di Colombo portavano la croce rossa in campo bianco.

Siamo ancora nel periodo pasquale, nei giorni della Passione di Gesù e noi uomini di mare ci soffermiamo ancor più nella meditazione e nella preghiera perché “credenti, fedeli e timorati di Dio per tradizione, ma anche per trovare la forza di contrastare i mari e i venti e sperare di ritrovare la via di casa …”.

Molti storici ritengono che queste tre lettere possono venire dal greco e significare Cristo, per cui sommando XPO e FERENS nasce il nome Cristoforo, portatore (ferens) di Cristo.

ALCUNI PASSI INDIETRO...

Ma c’é di più, in questo speciale spazio temporale ci sentiamo ancor più vicini ai marinai cristiani della prima ora che furono scelti, con le loro navi, come simbolo della Chiesa nascente.

Non é quindi un caso che nel 2000 - Anno del Giubileo - siano stati scelti essi stessi come logo di questo percorso ideale verso la Sacralità della Fede Cristiana: i marinai, il mare e le imbarcazioni.


La nave-immagine della Chiesa in navigazione sui flutti. Nella traduzione graficamente moderna dell'antico simbolo, l'albero maestro è una croce tra vele, che realizzano il trigramma di Cristo (IHS). Sullo sfondo delle vele è rappresentato il sole che, associato al trigramma, rimanda all'Eucaristia.

La nave è un emblema che trabocca di significati.

Nei popoli precristiani mediterranei era il simbolo del viaggio della morte e dell'immortalità. Nel primo cristianesimo del II-III secolo, la nave appare nelle opere catacombali  e negli scritti dei Padri dei primi tre secoli. Anche in Palestina, tra i simboli cristiani arcaici degli ossari appare la barca.

Le immagini marinare non abbondano nella Bibbia. Israele non è un popolo marinaro, come invece, sono i greci che solcavano il Mediterraneo in lungo e in largo; in essi si trova l'allegoria della nave dello Stato e Platone descrive i vantaggi di questa nave ben governata dal suo timoniere. Nella letteratura ebraica, la tempesta è data dalle prove, sia personali sia collettive, la cui liberazione può venire solo dalla potenza di Dio e dalla preghiera. La nave è vista nell'ottica della salvezza dal naufragio; l'arca in cui Noè trovò rifugio lui e i suoi, indica anche il viaggio felice dell'anima in questa vita verso l'eternità.

I cristiani, nei monumenti funerari, hanno ripreso il simbolismo della nave come segno di speranza e di eternità, utilizzandolo subito per esprimere due temi precisi: la Chiesa e la Croce.

1991. Lo sbarco di oltre ventimila Albanesi l’8 agosto 1991 nel porto di Bari. La cifra é reale! La nave Vlora (Valona) proveniente da Durazzo, può essere considerato l’inizio di un fenomeno progressivamente sempre più consistente che da quel momento in poi ha coinvolto il nostro Paese e l’intero continente europeo. Notare gli alberi a croce della nave, più visibile é quello a poppavia.

Il simbolismo ecclesiale della nave risale ai sec II-III. Tertulliano è il primo a farne un simbolo esplicito della Chiesa, identificando nella nave in tempesta la Chiesa delle origini, travagliata dalle persecuzioni.

Nello Pseudo Clemente (sec III) si dice: Il corpo intero della Chiesa è come una grande nave che trasporta uomini di provenienza molto diversa segue poi una lunga allegoria in cui Dio è proprietario della nave, Cristo il pilota, il vescovo la vedetta, i presbiteri sono i marinai i diaconi i capi rematori, i catechisti gli aiutanti. Un testo delle Costituzioni apostoliche del sec. IV, sull'ordinazione dei vescovi dice: “Quando riunisci la Chiesa sii vigile come il pilota di una grande nave. Prescrivi ai diaconi come a dei marinai di indicare il proprio posto ai fratelli, come a dei passeggeri”.

Uno scritto del sec II precisa: Cristo è il pilota esperto. La prua (della nave) è verso l'oriente la sua poppa verso l'occidente, la sua carena verso il mezzogiorno. Ha come timoni i due testamenti. Ha marinai a destra e sinistra come angeli custodi che la proteggono. I cavi che collegano alla cima dell'albero sono come gli ordini dei profeti, dei martiri, degli apostoli.

Anche Ignazio di Antiochia nel I secolo dice: La santa Chiesa somiglia una nave costruita di legni diversi ci sono ordini diversi nella chiesa e le persone sposate vi hanno il loro posto.


L'altra ben nota simbologia della nave è la Croce che appare sin dal II secolo. L'antenna orizzontale che taglia l'albero gli dà la forma della croce; probabilmente è il significato più antico della nave che persisterà anche quando questa sarà identificata con la Chiesa; l'albero della nave-chiesa rimarrà simbolo della Croce di Cristo, come la cita Giustino, sec II, nell'Apologia. Nel dipinto catacombale della Via Anapo, l'albero della nave di Giona, ha la forma di croce. Le prime rappresentazioni cristiane della nave, appaiono nell'arte sepolcrale sin dal III sec. e rinviano simbolicamente all'iter del defunto verso il porto dell'eternità.

Nell'epigrafe di Firmia Victora (Vaticano) La nave, simbolo della Chiesa ma anche del defunto, si dirige verso la meta celeste simboleggiata dal faro.

I CRISTOGRAMMI sono combinazioni di lettere dell’alfabeto greco o latino che formano una abbreviazione del nome di Gesù. Essi vengono tradizionalmente usati come simboli cristiani nella decorazione di edifici, arredi e paramenti. Alcuni cristogrammi sono nati come semplici abbreviazioni o acronimi, anche se sono diventati successivamente dei monogrammi, cioè dei simboli grafici unitari. Altri, come il notissimo Chi-Rho, sono stati pensati sin dall'inizio come monogrammi.

Esempio di cristogramma: Il CHI-RHO (o monogramma di Cristo). E' per antonomasia il monogramma di Cristo (nome abbreviato talora in chrismon o crismon).
Esso e' un monogramma costituito essenzialmente dalla sovrapposizione delle prime due lettere del nome greco di Kristo's, X (la lettera chi, equivalente a “ch” nel nostro alfabeto) e P (la lettera rho, che indica il nostro suono “r”).
Alcune altre lettere e simboli sono spesso aggiunti. ALFA e OMEGA: sono la prima e l'ultima lettera dell'alfabeto greco. Gesù é indicato così nel libro dell'Apocalisse:
"Io sono l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine", per indicare che tutto ciò che esiste ed esisterà va compreso a partire da Cristo.

Croce greca con iscrizione IC XC NIKA


Il pesce (ichthys) è un simbolo di Cristo

PESCE: Ichthýs: Il simbolo che stilizza un pesce usato dai primi cristiani.
Il termine ichthýs e' la traslitterazione in caratteri latini della parola in greco antico
χϑύς, “pesce”, ed e' un simbolo religioso del Cristianesimo perché e' l’acronimo delle parole:
‘Ι
ησο
ς Χριστός Θεo Υιός Σωτήρ
(Iesu's CHristo's  THeu' HYio's Sote'r)
(Gesu' Cristo Figlio di Dio Salvatore).

 

L’Ichthýs é formato da due curve che partono da uno stesso punto, (a sinistra la “testa”), e che si incrociano quindi sulla destra (la “coda”).

La simbologia cristiana dei tempi delle Persecuzione dei cristiani nell’impero romano (I-IV secolo) è molto ricca. A causa della diffidenza di cui erano oggetto da parte delle Autorità Imperiali, i seguaci di Gesù sentirono l’esigenza di inventare nuovi sistemi di riconoscimento che sancissero la loro appartenenza alla comunità senza destare sospetti tra i pagani.
Veniva presumibilmente adoperato come segno di riconoscimento: quando un cristiano incontrava uno sconosciuto di cui aveva bisogno di conoscere la lealtà, tracciava nella sabbia uno degli archi che compongono l’ichthýs. Se l’altro completava il segno, i due individui si riconoscevano come seguaci di Cristo e sapevano di potersi fidare l’uno dell’altro.


Nave Mistica-Roma Museo Pio Cristiano. Gesù indica la strada agli Apostoli e agli Evangelisti  che remano…

Nel Nuovo Testamento l'attribuzione simbolica si riferisce alla barca di Pietro e alla presenza del lago di Tiberiade dove Gesù, dalla barca, ammaestrava le folle. In un frammento di sarcofago del sec IV, appare una barca il cui il timoniere ha il nome di Gesù e i rematori quello degli evangelisti. (Museo Pio Cristiano, Roma).

Un altro frammento di sarcofago (Museo Capitolino), simboleggia la diffusione della Chiesa nel mondo: la barca di nome Thecia ha la vela sostenuta da un grande albero a croce, accanto a due marinai, il timoniere è definito dall'iscrizione Paulus.

Con Origene appare per la prima volta la simbolica sull'unità della Chiesa come mezzo necessario per la salvezza: Fuori della Chiesa non vi è salvezza (Homil.3), mentre Ippolito, per primo, presenta l'allegoria della Chiesa locale ed è all'origine degli sviluppi catechetici che ci hanno portato a vedere nella nave, sia l'immagine della Chiesa universale sia quella della Chiesa locale.

Stele funeraria con l'iscrizione in lingua greca ΙΧΘΥϹ ΖΩΝΤΩΝ (trasl. icthys zōntōn; lett.: "Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore dei viventi"). Inizi del III° secolo.  (Museo Nazionale Romano).

GRAFITO, La speranza dei cristiani. CATACOMBE DI DOMITILLA - ROMA

La COLOMBA: con il ramoscello d'ulivo nel becco: simbolo che proviene dalla salvezza apportata dall'arca di Noe' e conseguentemente immagine dell'anima nella pace divina.

La RETE e la BARCA: la rete da pesca simboleggia l'opera della Chiesa: i pescatori, gli apostoli e i pesci coloro che entrano nella Chiesa.
La BARCA: la Chiesa viene rappresentata come una barca guidata e protetta da Cristo.

L'ANCORA: rappresenta la croce e la fede con la quale si rimane saldi anche nelle situazioni difficili. La CROCE: è il simbolo cristiano più diffuso, riconosciuto in tutto il mondo. E’ una rappresentazione stilizzata dello strumento usato dai romani per la tortura e l’esecuzione capitale tramite crocifissione, il supplizio che secondo i vangeli e la tradizione cristiana è stato inflitto a Gesù Cristo. Tuttavia si tratta di una forma simbolica molto antica, un archetipo che prima del cristianesimo aveva già assunto un significato universale: rappresenta l’unione del cielo con la terra, della dimensione orizzontale con quella verticale, congiunge i quattro punti cardinali ed è usata per misurare e organizzare le piante degli edifici e delle città.  Con il cristianesimo assume significati nuovi e complessi come il ricordo della passione, morte e risurrezione di Gesu'; e come un monito dell’invito evangelico ad imitare Gesu' in tutto e per tutto, accettando pazientemente anche la sofferenza. Tipi di croce:
"crux commissa" (T), "croce latina" (†, detta anche "crux immissa"), "croce greca" (con i bracci uguali)

Il BASTONE DI GIACOBBE (antenato del sestante) – Una croce che misurava l’altezza del sole.

LE NAVATE NELLE CHIESE

Nelle chiese e nelle basiliche, le NAVATE costituiscono l’ambiente sviluppato in senso longitudinale  dall'ingresso all'altare maggiore se unico, o agli altari, se diviso in tre o più spazi laterali.

Simbolismo

Il termine "navata" racchiude un significato simbolico. Esso deriva non solo dalla struttura architettonica del soffitto che spesso nelle chiese romaniche e gotiche ha la forma di una carena di nave capovolta, ma anche e soprattutto dalla "barca" da cui Gesù ammaestrava le folle come anche dalla barca-chiesa che san Pietro apostolo guida nella tempesta e che i vescovi continuano a guidare ovunque ed in ogni epoca. Nell'VIII secolo san Bonifacio scriveva che "la Chiesa è come una grande nave che solca il mare del mondo. Sbattuta com'è dai diversi flutti di avversità, non si deve abbandonare, ma guidare". I Padri della Chiesa indicano l'arca di Noè quale figura della Chiesa che accoglie tutti (Sant’Agostino, Contro Fausto, 12, 15; Cirillo di Gerusalemme, San Girolamo.

La navata richiama il cammino da fare per giungere "all'altare di Dio" (salmo 43,4). È segno del pellegrinaggio che il popolo di Dio è chiamato a compiere per giungere alla casa del suo Signore (salmo 84).


La basilica di San Pio X, anche conosciuta con il nome di basilica sotterranea, è una chiesa di Lourdes, situata all'interno del complesso di Chiese del Santuario di Nostra Signora di Lourdes. Consacrata nel 1958, ha la dignità di basilica minore.

Con l'avvicinarsi dei festeggiamenti per il centenario delle apparizioni della Vergine Maria cui avrebbe assistito Bernadette Sloubirous, e in previsione dei numerosi pellegrini che in tale ricorrenza sarebbero accorsi a Lourdes, le autorità civili ed ecclesiastiche decisero di costruire una grande chiesa che potesse accogliere un consistente numero di persone, viste anche le dimensioni ridotte delle tre già esistenti. Il progetto fu opera dell'architetto Pierre Vago. Si tratta di una struttura completamente sotterranea ed invisibile dall’esterno, costruita al di sotto del letto del fiume Gave de Pau, fattore che complicò notevolmente i lavori di realizzazione. Terminata nel 1957, la basilica fu solennemente consacrata il 25 marzo 1958 dall'allora cardinale Angelo Roncalli, che era stato in passato Nunzio Apostolico in Francia e che sarebbe divenuto, sette mesi più tardi, papa Giovanni XXIII.

La basilica si presenta con un'unica grande navata alla quale si accede tramite quattro rampe laterali: tale navata è ovale, ha una lunghezza di 191 metri per una larghezza di 61 e degrada dolcemente verso l'alto dal centro dove è situato l’altare maggiore, posto su una piattaforma rialzata; l'altezza del soffitto è molto ridotta, soltanto 10 metri ed è sostenuto da 58 pilastri in cemento da cui partono 29 travi, dando l'impressione di una nave rovesciata. Lo spazio ottenuto utilizzando questa struttura è di 12.000 m², potendo così ospitare fino a 25.000 fedeli, i quali godono di una buona visibilità da ogni parte della navata.

Vista dall'alto: la basilica è sulla destra, sotto l'enorme ellisse verde!!!

A sinistra il complesso del santuario

L'interno della basilica di San Pio X a Lourdes

Altare Maggiore


La barca da pesca di Pietro conservata in un museo di Israele




Esposta presso l’Yigal Alon Museum (Kibbutz Ginnosar, Ginosar, Israele), dedicato alla storia della Galilea dai tempi antichi fino ad oggi, la barca risale al I sec. d. C. e per questa ragione è conosciuta come la “barca di Gesù”. Il suo rinvenimento è avvenuto nel 1986 grazie ad un periodo di siccità, nel Mar di Galilea o lago di Tiberiade. E’ una barca che anticamente veniva utilizzata per la pesca e per il trasporto delle persone. E’ composta da 12 tipi di legno differenti, probabilmente perché il suo utilizzo è durato molto a lungo e quindi è stata sottoposta a numerose riparazioni. La sua conservazione è stata garantita dal fango che la ricopriva. Come sempre avviene, il primo problema è stato quello di garantire la conservazione del legno bagnato che, essendo diventato spugnoso, rischiava di danneggiarsi una volta portato fuori dall’elemento che fino a quel momento lo aveva conservato.

Ricostruzione della barca dell'epoca di Gesù

La barca dell'epoca di Gesù

Il restauro

Ma torniamo ai nostri giorni. Cosa è successo alla barca che è stata ritrovata? Anche se integra, la sua struttura era fragile, molto simile a cartone inzuppato. Non era il caso di tirarla fuori dal fango. Come sarebbe stato triste se dopo essere rimasta intatta per così tanto tempo la barca si fosse disintegrata durante il recupero! Poiché incombeva il pericolo che il livello dell’acqua si alzasse di nuovo, tutt’intorno allo scavo fu costruita una diga. Vennero scavati dei tunnel sotto lo scafo per inserire sostegni in fibra di vetro. Poi, mentre il fango veniva tolto facendo molta attenzione, la struttura della barca fu spruzzata internamente ed esternamente con una schiuma poliuretanica che creò un involucro simile a un bozzolo.

Il problema successivo fu trasportare la barca così “impacchettata” a 300 metri di distanza per iniziare il lavoro di restauro. Benché l’involucro poliuretanico fosse resistente, un colpo improvviso avrebbe potuto sbriciolare il fragile legno. Il gruppo di lavoro ebbe una trovata geniale: aprì la diga e lasciò entrare l’acqua. Per la prima volta dopo molti secoli, rivestita di un materiale moderno, la barca galleggiava di nuovo sul Mar di Galilea.

Per ospitare la barca nel periodo del restauro, durato 14 anni, fu costruita una piscina in cemento. Si creò un problema quando le larve delle zanzare infestarono la vasca, rendendo la vita difficile a coloro che dovevano entrare nell’acqua per lavorare sulla barca. Il gruppo di restauratori, però, trovò una soluzione originale e al tempo stesso antica: si servì della “collaborazione” di alcuni pesci detti “pesci di San Pietro” che divorarono le larve e ripulirono l’acqua.

Ben presto arrivò il tempo di asciugare la barca. Era ancora troppo fragile per farla asciugare naturalmente. L’acqua che impregnava il legno doveva essere sostituita con qualcos’altro. I restauratori si servirono di una tecnica particolare per mettere al posto dell’acqua una cera sintetica idrosolubile che permettesse al legno di asciugarsi senza cambiare forma.

Quando il lavoro di restauro fu completato, l’imbarcazione si rivelò piuttosto umile: era fatta di 12 tipi di legno. Come mai? Una possibilità è che a quel tempo il legname fosse scarso. Un’ipotesi più probabile è che il proprietario non fosse ricco: la barca fu riparata molte volte e alla fine fu abbandonata nel lago.

Anche se quest’imbarcazione non avrà avuto niente a che fare con Gesù, molti la considerano un tesoro. Offre l’occasione di tornare indietro di molti secoli e farsi un’idea di com’era la vita sul Mar di Galilea ai giorni memorabili del ministero terreno di Gesù.

LAGO DI TIBERIADE (Israele) – Qualcuno s’inginocchia e prega. «Soprattutto i russi». Qualcuno apre il Vangelo e legge ad alta voce. «È un momento scioccante, se uno ci crede». Crederci o no, questo grosso guscio di legno, scorticato e restaurato, sorretto da stampelle d’alluminio, ormai è una reliquia. Per tutti, la Barca di Gesù. Per i tour operator in Terra Santa, un’altra irrinunciabile tappa: i pullman scaricano ogni giorno pellegrini convinti, sul piazzale del museo Yigal Alon. Le frecce indicano il percorso, s’attraversano i frutteti e gli ulivi del kibbutz di Ginossar, s’entra in una sala illuminata e a temperatura calibrata. La barca è lì: lunga otto metri, larga quasi due e mezzo, alta uno e 25. Ha ancora i chiodi e qualche pezzo di ceramica, gl’indizi che hanno permesso di datarla al radiocarbonio, (I secolo dopo Cristo), di studiare le tecnica di costruzione dello scafo e alla fine di dirlo quasi con certezza: se Gesù non ci navigò, come minimo la vide.

SCOPERTA NEL 1986 - La barca di Gesù fu scoperta per caso più di venticinque fa, nel lago di Tiberiade. Furono i giornali dell’epoca a chiamarla subito così, ma il culto dei fedeli è cresciuto negli ultimi tempi, quando la storia di questo legno è stata ricostruita meglio. Accadde durante una stagione di grande siccità, il 1986: il livello dell’acqua scese al di sotto dei minimi storici e una mattina due pescatori del kibbutz, i fratelli Moshe e Yuval Lufan, per poco non speronarono la prua che affiorava. Il relitto venne portato a riva fra mille cautele, poi una squadra impiegò dodici giorni e dodici notti a ripulirlo del fango incrostato e della salsedine, quindi servì immergere quel che restava della chiglia in un bagno di sostanze chimiche, per un’altra settimana. La barca ha i segni di molte riparazioni e questo fa pensare sia stata usata per decenni, forse per un secolo intero, di generazione in generazione di pescatori. «E siccome il Vangelo cita almeno cinquanta volte barche e pescatori – dice Marina Banay, responsabile del museo – e Pietro e diversi apostoli erano pescatori che vivevano qui e lo stesso Gesù trascorse sul lago di Tiberiade parte della sua vita, per molti cristiani questa barca è qualcosa di speciale. L’emozione, vedere una barca proprio di quelle acque e di quell’epoca, è enorme».

La barca è lunga 8,2 metri e larga 2,3. Il carpentiere che la realizzò usò una tecnica detta “a guscio”: invece di fissare le tavole all’ossatura le fissò direttamente alla chiglia e costruì così i fianchi della barca formando lo scafo. Era una tecnica usata comunemente per costruire barche che dovevano navigare nel Mar Mediterraneo. Questa barca però fu forse adattata per solcare le acque di un lago.

IL VARO DI UNA NAVE (T/n REX)


"Che Dio benedica questa nave e tutti coloro che vi navigheranno."

"Madrina in nome di Dio taglia”

Con questa formula di rito si dà inizio al varo di una nave.

Ma qual’è il significato spirituale del battesimo?

Con il battesimo il peccato originale viene seppellito nell'acqua!

1) Ricevere il battesimo é il rito di abluzione mediante il quale si entra a far parte della comunità dei credenti.

2) Per estensione, s’intende anche la cerimonia che abbia valore d'inaugurazione: il battesimo di una nave, cioè la benedizione religiosa e imposizione del nome prima del varo;

3) La prova scritturale dell'istituzione del battesimo sta in quelle parole che Gesù dice a Nicodemo: “Chi non rinasce dall'acqua e dallo Spirito Santo non può entrare nel Regno di Dio” (Giovanni 3,5). Gli apostoli hanno amministrato il battesimo fin dal giorno della Pentecoste e ne hanno continuato la pratica nei loro viaggi apostolici.

PASSO ALLE CONCLUSIONI con questa immagine satellitare scattata il giorno di Pasquetta 2019:


Il mio caro amico N.C. - che me l’ha inviata - ha scritto:

Riguardo  ai marittimi che MAI nessuno nomina, farei vedere spesso una immagine come questa dove ogni puntino è una delle tante navi che fanno girare l'economia del mondo; a bordo di ognuna di quelle unità ci sono gli uomini migliori del creato, che fanno vivere tanti parassiti della terraferma che neppure conoscono i loro sacrifici”.

E’ vero! Ed é così fin dalla nascita della prima imbarcazione! Partire é un po’ morire… sembrerà strano, ma ancora oggi, pur vivendo nella più fantastica rivoluzione delle telecomunicazioni, per cui si telefona gratis da ogni angolo della terra ad un altro, al marittimo non é concesso questo privilegio… neppure a Natale e a Pasqua; forse c’é qualcosa che tuttora li marchia come gli schiavi del terzo millennio!

Eppure tutti sanno o dovrebbero sapere che nulla funziona bene come una nave in navigazione che parte da un porto ed arriva sempre puntuale ad un altro con equipaggi eterogenei, in silenzio, in solitudine, nel rispetto di poche regole ma certe, dove tutto é chiaro come le responsabilità che ognuno, secondo il proprio ruolo, decide a priori di assumersi.

Il Comandante non é più quel falso mito che molti, per secoli, scambiavano per Dio a bordo. Tuttavia, il Comandante ancora oggi rappresenta il custode di quei valori antichi di umanità e saggezza anche religiosa, dove l’equipaggio può talvolta identificarsi con le famiglie lasciate lontano sulla terraferma.

La gente di mare appartiene a quella razza "antica" che ha saputo  sempre scegliere nei millenni la strada del pacifismo e della solidarietà, su quella rotta sicura e ben lontana da qualsiasi totalitarismo emergente sulla terraferma in più parti del mondo. Tutti conosciamo le "eccezioni" ... ma la REGOLA ha radici profonde e non é mai stata indiscussione!

I politici, gli intellettuali, i cosiddetti “quelli che sanno”, dovrebbero aprire dei dibattiti tra gli esponenti di questi due mondi così diversi e, forse, qualche “terreste importante” capirebbe che in mare, dove non esistono frontiere, ci si avvicina per salutarsi, non per spararsi addosso, che in mare si vive la solidarietà senza predicarla al vento… e ci si salva a vicenda seguendo le regole che vengono dall’Alto e non si voltano le spalle ai naufraghi secondo le regole di chi crede d’essere il “governatore” del mondo!

Dello stesso autore si propone il LINK di un articolo correlato:

IL NAUFRAGIO di S. PAOLO A MALTA

Mare Nostrum Rapallo - Navi e Marinai - Saggistica Navale - 15.568 visite

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=328;san-paolo-a-malta&catid=54;saggi&Itemid=160

Carlo GATTI

Rapallo, 21 Aprile 2019

 

 


LA TRAGEDIA DEL PAMIR

LA TRAGEDIA DEL VELIERO PAMIR

… vittima dell’uragano CARRIE!

21 settembre 1957


Acquerello di Richard Howard Penton (noto anche come professionista Howard Penton) 1882-1960. Un membro fondatore del Wapping Group of artists fondato nel 1946, che tuttora esiste attivamente, osservando e dipingendo il fiume Tamigi. Questo acquerello datato intorno al 1949 mostra il Pamir, una nave da addestramento per velieri tedeschi, che lascia Wapping a Londra.

Copertina del settimanale “La Domenica del Corriere” del 6 ottobre 1957. Il disegno di Walter Molino illustra in modo efficace il naufragio del PAMIR.


PREMESSA

Nel suo ultimo viaggio commerciale via Capo Horn, avvenuto nel 1949 battente bandiera finlandese, il PAMIR aveva un equipaggio di 34 persone. Gli ufficiali erano cinque (comandante, primo ufficiale, secondo ufficiale, terzo ufficiale e nostromo), 14 marinai esperti, 5 marinai semplici e 5 mozzi di coperta, cuoco, assistente di cucina, cameriere e aiuto cameriere e infine un meccanico.

Alla fine degli anni ’40, i tempi erano definitivamente cambiati sotto la spinta tecnologica della Seconda guerra mondiale, i grandi windjammer giacevano per lo più in disarmo nei porti nord-europei.

Tuttavia, alcuni di loro ebbero il compito di tramandare l’ARTE DELLA MARINERIA VELICA alle nuove generazioni di marinai e ufficiali di mezzo mondo; purtroppo, la nuova era delle TALL SHIPS iniziò in modo regolamentato ed in sicurezza, soltanto dopo la tragedia del PAMIR.

Ancora una volta il cambiamento, il progresso e l’evoluzione tecnologica, furono pagati in anticipo con un prezzo altissimo in termini di vite umane.


Il Memoriale del PAMIR nella chiesa di San Giacomo -LUBECCA mostra una delle scialuppe di salvataggio che portò in salvo 5 superstiti del naufragio.


Placca commemorativa dedicata alla Nave a Palo (Four Masted Barque) tedesca PAMIR

Si trova sul lungomare di Wellington in Nuova Zelanda.

A 61 anni dalla tragedia del famoso veliero-scuola PAMIR è doveroso un ricordo alla memoria del comandante Johannes Diebitsch e dei suoi ufficiali, marinai ed allievi che perirono nel naufragio, avvenuto nell’oceano Atlantico a causa del violentissimo uragano “Carrie”. Il veliero aveva un equipaggio di 86 uomini e solo sei di essi si salvarono.

LA STORIA DEL PAMIR (sintesi)

I veliero PAMIR fu costruito nei Cantieri Navali Blohm & Voss di Amburgo.

Varato: il 29 luglio 1905 - Scafo in acciaio. - Stazza L.: di 3.020 tonn -

Lunghezza fuori tutta: 114,5 mt – larghezza: 14 mt – Pescaggio: 7,25 mt.

Dei quattro alberi, tre erano alti 51,2 mt - Larghezza del ponte principale: 28 mt.

Superficie velica: 3.800 m² - Velocità massima 16 nodi - Velocità di crociera 9 nodi.

La nave a Palo (quattro alberi) PAMIR fece parte della flotta: Flying P-Liner - Compagnia di navigazione tedesca F.Laeisz.

(Tutte le navi di questa Compagnia avevano come iniziale la lettera P. (Pamir-Passat-Padua-Peking-Pudel-Potosi…)

Il 18 ottobre 1905 entrò in linea e fu utilizzata dalla società Laeisz sulle rotte dei nitrati del Sud Pacifico. Era la quinta di dieci navi quasi gemelle (near sisters).

Nel 1914 aveva compiuto otto viaggi per il Cile impiegando 64/70 giorni di media a traversata, da Amburgo a Valparaiso e/o Iquique, che erano i più importanti porti cileni dei nitrati.

Tra l'ottobre 1914 e il marzo 1920, (Prima guerra mondiale e poco oltre), si trasferì nel porto di Santa Cruz de la Palma (Canarie). Rientrò ad Amburgo il 17 marzo 1920.

Il 15 luglio 1920 partì da Amburgo per Napoli al traino di due rimorchiatori. Fu consegnata all’Italia in conto riparazioni danni di guerra.

Il governo italiano non fu in grado di reclutare un equipaggio con esperienza adeguata alla navigazione velica d’altura. Fu quindi ormeggiato a Castellamare del Golfo (Napoli).

Nel 1924, la Compagnia F. Laeisz la riacquistò per 7.000 sterline e la mise di nuovo in servizio sulle rotte dei nitrati cileni.

Nel 1931 il PAMIR si salvò dal disarmo grazie all’intervento di Gustaf Erikson, un irriducibile armatore, appassionato di vela, famoso per la sua sfrenata fiducia verso gli ultimi windjammer in circolazione.

Il suo sogno fu coronato quando riuscì a radunarne un bel numero a Mariehamn (isole Åland, poco a Nord di Stoccolma), suo paese natale, e a procurare per loro dei noli per l’Australia, Nuova Caledonia e Nova Zelanda. Quella famosa epopea s’interruppe con l’inizio della Seconda guerra mondiale.

Il 3 agosto 1941, fu la data del sequestro del PAMIR da parte del governo della Nuova Zelanda mentre era ormeggiato in porto a Wellington. Il veliero portò a termine 10 viaggi battendo bandiera della N.Z.: cinque a San Francisco, tre a Vancouver, uno a Sydney e il suo ultimo viaggio attraverso il Tasman, da Sydney a Wellington, trasportando 2.700 tonnellate di cemento e 400 tonnellate di merce pregiata (industria bellica).

Nel 1943 il PAMIR scampò all’attacco di un sottomarino giapponese il cui Comandante, all’ultimo momento lo risparmiò pensando che il costo del siluro era superiore a quello della preda…

Il 12 novembre 1948, mentre si trovava in porto a Wellington (Nuova Zelanda), fu ricomprato dalla Eriksson Line che lo fece subito salpare per Port Victoria nel Golfo di Spencer per caricare grano australiano.  Il viaggio con arrivo a Falmouth (Cornovaglia-UK) durò 128 giorni.

11 luglio 1949 - Il PAMIR fu l'ultimo windjammer a trasportare un carico commerciale via Capo Horn.

Gustaf Erikson morì nel 1947. Il mondo aveva girato pagina. Suo figlio Edgar si rese subito conto dell’impossibilità di gestire i due velieri PAMIR e PASSAT con profitto, principalmente a causa dei cambiamenti dei regolamenti e dei contratti sindacali che regolavano il lavoro a bordo delle navi.

Nel 1948 la Finlandia restituì il PAMIR alla Germania; naturalmente era in pessime condizioni, ed il veliero fu venduto ad un demolitore belga. Ma non era questo il suo destino finale…

Nel marzo del 1951, alcuni demolitori navali belgi offrirono £ 40.000 per l’acquisto delle near sisters PAMIR ed il PASSAT, ma il loro destino era ancora incompiuto…! Infatti, l'armatore tedesco Heinz Schliwen, che aveva navigato su quelle navi alla fine degli anni '20, le comprò entrambe, sicuramente per ragioni affettive, ma anche con una nuova strategia: trasformarle in navi scuola, pensando di ottenere finanziamenti dallo Stato, perché era stato convenuto che il loro impiego sarebbe stato duplice: Nave Scuola - Nave mercantile - con equipaggio numeroso e a basso costo.

I due velieri furono ristrutturati per alloggiare i Cadetti della marina mercantile, fu installato un motore ausiliario di 900 H.P., un sistema di refrigerazione per le cucine, moderni impianti radio e cisterne per la zavorra.

Nel 1952 compì il suo primo viaggio per il Brasile carico di cemento, ritornò in Germania con minerale di ferro. A causa di una forte burrasca nel Mare del Nord il PAMIR perse l'elica ed evitò il naufragio grazie all’intervento di due unità di salvataggio della zona.

Il 4 gennaio 1953 l’armatore si rese conto che la gestione delle due unità era nuovamente fallimentare; tuttavia, essendo ormai navi di grande prestigio nazionale, fu realizzato per loro un altro “salvataggio”: il PAMIR ed il PASSAT furono acquistate da un Pool (Consorzio) di 40 armatori ma, dopo quattro viaggi risultarono altamente improduttivi. Anche questo tentativo fallì.

Nei successivi cinque anni, PAMIR e PASSAT continuarono ancora a navigare in perdita tra l'Europa e la costa orientale del Sud America. Furono sempre impiegate come Navi Scuola da carico. La fama di simboli della marineria tedesca alimentava l’orgoglio nazionale che ormai si era rassegnato alle ripetute perdite economiche imposte tra l’altro da restrizioni legislative ed operative molto pesanti.

I grandi velieri non erano più redditizi! Inoltre il PAMIR aveva problemi tecnici sempre maggiori, come la fuoriuscita di liquidi dai ponti e la grave corrosione delle lamiere. Il processo di deterioramento era ormai troppo avanzato su entrambe le unità

Il Consorzio, nonostante la fama delle due navi, non era stato capace di ottenere i contributi sperati e promessi dal Governo tedesco, ma anche dalle Compagnie di navigazione e dalle donazioni pubbliche.

Nell’estate del 1957 fu deciso di disarmare le due Navi a Palo al loro rientro in Germania dal Sud America. Il loro modello era ormai superato ed anche i loro più tenaci difensori si erano rassegnati ad ammainare definitivamente le vele.

Hermann Eggers, Comandante titolare del PAMIR sbarcò per malattia e fu sostituito da Johannes Diebitsch che era già stato imbarcato da marinaio sullo stesso veliero. La sua carriera proseguì navigando al comando di velieri minori sui quali si era addestrato accumulando una discreta esperienza, ma era questa la prima volta che imbarcava da Comandante su di un veliero da carico di grandi dimensioni.

Prima d’iniziare l’ultimo viaggio, il suo primo ufficiale Rolf Köler di 29 anni, scrisse a casa che sarebbe sbarcato al ritorno in Germania a causa delle pessime condizioni della nave.

Venuti a mancare i finanziamenti necessari alle riparazioni di cui aveva tanto bisogno, era diventato persino difficile reclutare ufficiali all’altezza di quel tipo di BARQUE.

Il 10 agosto 1957 “the four masted Barque PAMIR” partì quindi per il suo ultimo viaggio al comando del capitano Johannes Diebitsch con a bordo 86 uomini d’equipaggio, tra cui 52 allievi nautici.

A Buenos Aires la nave-scuola caricò 3.780 tonn. di granaglie alla rinfusa e lo caricò nelle stive ed anche nelle cisterne della zavorra, quest’ultima operazione fu giudicata un vero azzardo.

Il carico alla rinfusa, per evitare lo scorrimento ed il possibile sbandamento, venne bloccato in superficie da 255 tonnellate di cereali sistemati in sacchi. Anche questa operazione venne svolta principalmente dai cadetti poco o niente addestrati che, in quella occasione, sostituirono i portuali di Buenos Aires che avevano dichiarato sciopero. Il Comandante, forse sotto la pressione dei ricevitori, decise di partire nonostante il Barque fosse in precarie condizioni di stabilità.


L’Ultimo viaggio

Si arrivò così al fatidico 1957. Pesavano su questo veliero da carico: l’anzianità di servizio, la scarsa manutenzione, l’equipaggio inesperto e la fama di non rendere alcun profitto al suo armatore. In queste “avventurose” condizioni nautiche, il PAMIR, si preparava a lasciare il porto di Buenos Aires per il suo ultimo viaggio.

Un tragico destino chiamato CARRIE era fatalmente in agguato in mezzo all’Oceano Atlantico.

Il 21 settembre, quando il PAMIR si trovava tra le Bermude e le Azzorre, fu travolto dall’uragano tropicale CARRIE ancor prima di ridurre le vele, ancor prima di rendersi conto del pericolo imminente di cui non aveva ricevuto alcun messaggio di pericolo.

Nella sua lunga carriera questo intrepido windjammer si era confrontato con molti cicloni, uragani, tifoni ecc… aveva subito molti danni, ma era sempre riuscito a trovare la strada di casa!

L’ULTIMO ATTO…

Alle 12.54 ora locale, la Nave a Palo PAMIR inviò i segnali di soccorso quando ormai derivava senza governo. Passò forse mezz’ora e poi affondò in Atlantico,  a 600 miglia nautiche (1.100 km) a Ovest-Sud-Ovest delle Azzorre in posizione:

Lat. 35°57’ Nord  -  Long. 40° 20’ Ovest

Successivamente, in fase istruttoria, fu appurato che il radiotelegrafista, essendo stato destinato anche ad incarichi amministrativi, probabilmente non aveva ricevuto gli avvisi di tempesta in corso in quel tratto di mare.  L’ultimo messaggio radio fu ricevuto dai soccorritori alle 13,03 - ma giunse indecifrabile a destinazione perché proprio in quei tragici attimi la nave si stava inabissando.

IL RACCONTO DEI NAUFRAGHI

Il sopravvissuto cadetto Haselbach raccontò di come l’affondamento sopraggiunse improvviso diffondendo un terrore incredibile tra i cadetti che solo pochi minuti prima del disastro scattavano delle foto alle onde… senza rendersi conto della gravità del momento. Anche il motore ausiliario non fu mai messo in moto.

“Sotto i colpi di mare il carico si spostò e lo sbandamento raggiunse i 45 gradi. I marinai più anziani fecero di tutto per rimettere la nave in assetto e per calmare i cadetti che erano al loro primo viaggio. Il Comandante Diebitsch invitò i cadetti a pregare per indurli alla calma. Li sistemò su tre lance presidiate da marinai esperti, ma appena calate in mare furono travolte da onde gigantesche e scagliate come fuscelli a centinaia di metri di distanza dalla nave.

Alcune vele furono terzarolate o tagliate dall'equipaggio. Ma non ci fu il tempo d’intervenire su quelle di prora. A momento dell’affondamento un terzo delle vele di mezzana erano ancora fieramente stese al vento…

Gli alberi erano al limite della rottura e le vele ancora a riva furono spazzate via. La situazione era talmente grave che la nave non riusciva più a tenere la prora al mare. Le antenne radio erano cadute con una parte degli alberi più sottili e non c’era né il tempo né la possibilità d’inviare ulteriori SOS. Ormai la fine era prossima.

Quando il PAMIR si capovolse, i pochi uomini che erano rimasti ancora a bordo, li vedemmo lottare tra i marosi nel tentativo di aggrapparsi a qualche cosa che li sostenesse. Riuscimmo ad allontanarci da quell’inferno, spinti forse da qualche onda che ebbe pietà di noi… In quei frangenti, in preda alla paura e allo shock, ebbi   l’impressione che la nostra scialuppa di salvataggio era stata l'unica a scendere in mare regolarmente.

Sulla lancia non c’erano razzi o segnali che funzionassero. Non riuscivo a vedere le altre tre lance di salvataggio con i cadetti a bordo. Diciassette uomini della nostra lancia furono presi e scagliati fuoribordo dalla furia dell'uragano. Sentivamo i motori degli aerei di salvataggio che volavano al di sopra della tempesta. Lunedì pomeriggio perdemmo altri tre compagni che si gettarono in mare in preda al panico e al terrore. Ero troppo debole per fermarli. Se martedì i soccorritori non mi avessero trovato, avrei fatto anch'io la stessa cosa."

Al momento del salvataggio, la barca di Haselbach era gravemente danneggiata e quasi completamente sommersa. Dei venti uomini che erano sulla lancia con lui, dieci erano ancora a bordo 24 ore prima che arrivassero i soccorsi.

Delle altre lance recuperate, molto danneggiate e vuote, non vi furono testimonianze di sorta e non si seppe mai nulla sulla sorte di quei poveri ragazzi.

La Commissione d’inchiesta rilevò che i boccaporti del PAMIR non erano stati chiusi. Il capitano non ordinò l'allagamento delle cisterne di zavorra perché erano piene di carico, tale manovra l'avrebbe aiutata a raddrizzarsi.

L'affondamento fece notizia in tutto il mondo; in Germania fu una tragedia nazionale!

LE OPERAZIONI DI SALVATAGGIO

Il primo SOS fu lanciato alle 12,54 e fu raccolto da molte navi; la più vicina era il mercantile SAXSON che diresse verso la posizione indicata: 600 miglia a Sud Est delle Azzorre. Ma non fece in tempo a rendersi utile, il suo intervento fu tardivo. Il veliero si era capovolto alle 22.30 ed affondò rapidamente.

Lo sbandamento del PAMIR impedì di calare in mare le lance di salvataggio. Questa fu la causa delle ingenti perdite di vite umane.

Tuttavia il SAXON, alle prime luci dell’alba, recuperò cinque marinai che avevano trovato scampo aggrappandosi ad una zattera. Anche l’ABSECON, il cutter della Guardia Costiera USA trasse in salvo un altro naufrago, il cadetto Gunther Hasselbach di cui abbiamo riportato il suo racconto.

Da altre testimonianze di sopravvissuti, si é saputo che la velocità dell’uragano era stata più veloce delle informazioni meteo lanciate da terra. Il vento investì la nave con raffiche di 70 nodi e mare forza 8. La ricerca dei naufraghi durò nove giorni, fu organizzata dalla Guardia Costiera USA e dal cutter ABSECON ; solo quattro membri dell'equipaggio e due cadetti furono estratti vivi da due scialuppe di salvataggio.  Riferirono inoltre che molti degli 86 uomini dell’equipaggio riuscirono ad imbarcare sulle lance, ma la maggior parte di essi morì nei tre giorni successivi. Poiché nessuno degli ufficiali, né il capitano sopravvissero, le ragioni del ribaltamento rimasero incerte ed oscure.

Soltanto la Commissione d’inchiesta stabilì successivamente che la nave sbandò paurosamente sul lato sinistro a causa dello spostamento del carco.

La nave era stata mal stivata a causa, come abbiamo visto, dello sciopero dei portuali che furono poi sostituiti in parte dai militari di terra e dagli allievi di bordo.

Cadde così la prima accusa emessa dalle Autorità di terra che indicava nell’inesperienza del Comandante (che sostituiva il collega titolare), la causa della terribile tragedia.

“Chi é a terra giudica, chi é in mare naviga!”

ASSICURAZIONI

Un destino tragicamente ironico quello del PAMIR! Il suo ultimo viaggio fu l'unico, della sua carriera di nave scuola, in cui si sia realizzato un profitto, poiché la somma assicurativa di circa 2,2 milioni di marchi tedeschi fu sufficiente a coprire le perdite aziendali per quell'anno. Il Consorzio di banche, non fu mai legalmente incolpato per l'affondamento; soltanto più tardi i periti accertarono numerose negligenze e quindi forti implicazioni nella perdita.

Gli ultimi WINDJAMMER sopravvissuti navigano ancora oggi nella categoria a tutti nota delle Tall Ships.

LE ECCEZIONI

La tragedia del PAMIR interruppe la carriera di quasi tutti i velieri commerciali dell’epoca i quali, per preservare la loro gloriosa tradizione, furono ormeggiati prevalentemente nei porti del Nord Europa e trasformati in navi-museo alla memoria! Tuttora sono visitabili i seguenti windjammer:

PASSAT ………………… a Travemunde (Germania)

VIKING ……………….. a Goteborg       (Svezia)

ALF CHAPMAN…….. a Stockholm (Svezia)

POMMERN…………..  a Marienhamn (Åland-Arcipelago finlandese)

Quelle ancora operative:

EAGLE ………………..  Un’altra splendida unità che opera ancora nei ruoli della Coast Guard americana.

SEDOV e KRUZENSTERN ….le quali possono ancora oggi vantare, con orgoglio, il nobile pedegree di vere navi da trasporto commerciali. I due anziani velieri, tuttavia, reggono ancora magnificamente il confronto con le giovani Tall-Ships del nuovo millennio, non solo sul piano estetico, ma anche su quello della velocità.

A questi ultimi giganti della vela abbiamo dedicato due articoli su nostro sito di MARE NOSTRUM – RAPALLO.

 

DALL'EPOPEA DELLA VELA ALLE VERE TALL-SHIPS

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=191;dallepopea-della-vela-alle-tall-ships&catid=36;storia&Itemid=163

WINDJAMMER, il Canto del Cigno della Vela

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=399;wind&catid=36;storia&Itemid=163

Nel 1956, Bernard Morgan, che non era marinaio di professione, ma solo un appassionato di mare e di vele, ebbe l'idea di riunire le navi scuola a vela che mantenevano viva la tradizione dei grandi velieri e di farli navigare in regata insieme. Ventuno furono allora le navi, di undici diverse nazioni, che raccolsero l'invito e che regatarono da Torbay a Lisbona.


Nel secolo precedente accadeva esattamente il contrario: sono infatti passate alla storia le
"Tea Races", quando i clippers, carichi di tè imbarcato in Oriente, cercavano di arrivare in Inghilterra ed in Europa nel più breve tempo possibile facendo tra loro delle vere e proprie gare veliche, con tanto di memorabili scommesse a terra sui vincitori della CORSA DEL TE’.

Quell'anno (1956), per la prima volta tanti velieri si trovarono in regata con partenza ed arrivo segnalato da un colpo di cannone e con una giuria ufficialmente nominata, pronta a controllare se tutti rispettavano i regolamenti di regata!

Due domande su cui ancora oggi ci interroghiamo:

-Se il PAMIR avesse rinunciato al suo ultimo viaggio, com’era da più parti auspicato, da lì a poco sarebbe entrata negli elenchi delle TALL SHIPS.

Solo così, mollando l’ancora in quell’ultimo porto… avrebbe interrotto definitivamente la corsa contro un destino duro, implacabile e inesorabile che era stato forse pilotato da terra…..? Il dubbio rimane a tutt’oggi!

-Nel 1956 l’Italia pianse senza alcun ritegno la tragedia dell’ANDREA DORIA.

-Nel 1957 fu la volta del PAMIR! In quel periodo frequentavo il 4° anno presso l’Istituto Nautico di Camogli e ricordo che per la prima volta provai sulla mia pelle il significato delle parole:

tristezza e solidarietà

Io e i miei compagni del Nautico avremmo potuto trovarci su quel veliero, al posto o insieme a quei ragazzi tedeschi.

Fu il nostro primo naufragio della carriera… e molti di noi non furono “salvati” e scelsero dopo quell’evento rotte “terrestri”!

ALBUM FOTOGTRAFICO


Tre alberi a vele quadre ed una a vela aurica, questo era la nave a palo PAMIR, lunga 114 metri, inalberò i colori della Compagnia Laeisz, armatrice di una serie di grandi velieri, nota anche come “FLYING P. LINE”. La vela era ormai al tramonto ma c’erano tuttavia alcuni armatori che credevano nella economicità degli ultimi velieri in ferro (si diceva che il vento é gratis) e li utilizzavano nel tentativo di contrastare le navi a vapore, un confronto che in pochi decenni era diventato sempre più improponibile; infatti soltanto i “noli minori” avevano ancora un senso commerciale per gli ultimi velieri: il guano, il fertilizzante cileno, i cereali alla rinfusa e pochi altri


Il “PAMIR” a rimorchio mentre entra in porto con velatura ridotta e gran pavese.


Il KRUZENSTERN (ex PADUA), oggi nave scuola della Marina Militare russa.


Il PASSAT ormeggiato a Travemünde (Germania)


Il POTOSI, poi FLORA


 

Il PEKING in navigazione nell’Atlantico

 

I Capitani del PAMIR

· 1905-1908 Carl Martin Prützmann (DE)

· 1908-1911 Heinrich Horn (DE)

· 1911-1912 Robert Miethe (DE)

· 1912-1913 Gustav AHH Becker (DE)

· 1913-1914 Wilhem Johann Ehlert (DE)

· 1914-1920 Jürgen Jürs (DE)

· 1920-1921 C. Ambrogi (IT)

· 1924-1925 Jochim Hans Hinrich Nissen (DE)

· 1925-1926 Heinrich Oellrich (DE)

· 1926-1929 Carl Martin Brockhöft (DE)

· 1929-1930 Robert Clauß (DE)

· 1930-1931 Walter Schaer (DE)

· 1931-1932 Karl Gerhard Sjögren (FI)

· 1933-1936 Mauritz Mattson (FI)

· 1936-1937 Uno Mörn (FI)

· 1937-1937 Linus Lindvall (FI)

· 1937-1941 Verner Björkfelt (FI)

· 1942-1943 Christopher Stanich (NZ)

· 1943-1944 David McLeish (NZ)

· 1944-1945 Roy Champion (NZ)

· 1946-1946 Desmond Champion (NZ)

· 1946-1948 Horace Stanley Collier (Two-Gun Pete) (NZ)

· 1948-1949 Verner Björkfelt (FI)

· 1951-1952 Paul Greiff (DE)

· 1955-1957 Hermann Eggers (DE)

· 1957  Johannes Diebitsch (DE)

 

BIBLIOGRAFIA

VELE D’EPOCA nel mondo

Di Flavio Serafini – Editore Gribaudo

IL ROMANZO DELLA VELA

Di Tomaso Groppallo – Editore Mursia

LA TRAGEDIA DEL VELIERO PAMIR

AIDMEN di Enzo Scalfarotto e Giovanni Panconi

PAMIR GERMAN SAIL TRAINING SHIP

Discussion in 'Other Ships and Shipwrecks' started by Jon Hollis, Feb.2,2006.

 

DER UNTERGANG DER PAMIR (TV Movie 2006)

ALTRE FONTI:

- Civico Museo Marinaro “Gio Bono Ferrari” di Camogli

- Museo Marinaro "Tommasino-Andreatta" di Chiavari

 

 

Carlo GATTI

Rapallo, 11 Ottobre 2018

 


RIFLESSIONI PER CHI HA ANCORA TEMPO

 


 

RIFLESSIONI PER CHI HA ANCORA TEMPO

 

BY JOHN GATTI• Rapallo, 5 SETTEMBRE 2020•7 MINUTI

 

La carriera a bordo delle navi è legata a una crescita continua, dove il compito più arduo, quello della selezione, dell’infarinatura, della formazione dei primi schemi che accompagneranno negli anni, spetta alla scuola.

Molti ragazzi scelgono il nautico più per esclusione che per vocazione e, spesso, con un’idea poco aderente alla realtà proposta dalla strada che stanno per imboccare.

Terminata questa fase si entra nel mondo del lavoro.

Un passaggio abbastanza traumatico, soprattutto per la netta svolta della vita che porta ad affacciarsi su di un nuovo scenario: ridimensionamento delle proprie certezze e necessità di costruire nuovi piloni a sostegno della propria identità.

Fino a pochi anni fa, questo passaggio era ammortizzato dal periodo di leva obbligatorio. L’ambiente militare preparava alla disciplina, alla gerarchia e all’ordine, educava alla civiltà e al rispetto e, cosa molto importante, tagliava il cordone ombelicale che univa il ragazzo alla famiglia. Era la perfetta transizione tra “casa” e “mondo del lavoro”, aiutava a creare la propria indipendenza, rendeva più fluido il passaggio dalla terra alle navi per chi progettava un futuro da marittimo.

L’abolizione del servizio di leva obbligatorio ha reso più difficile il distacco con il periodo adolescienziale, ma ci sono altri due fattori che hanno contribuito a ostacolare il raggiungimento dell’importantissima indipendenza: i corsi obbligatori a carico degli allievi e la mancanza di uno stipendio minimo adeguato.


Facendo sempre riferimento a non molti anni fa, viene spontaneo un confronto che lascia perplessi: un tempo l’allievo era pagato adeguatamente e i corsi erano a carico della compagnia per cui navigava.

I marittimi erano considerati una risorsa su cui investire.

Questa sufficiente sicurezza economica permetteva ai ragazzi di cominciare una vita propria senza dover gravare sulla famiglia.

Oggi le cose sono profondamente cambiate e i ragazzi trovano difficoltà nel passaggio al livello superiore. A volte si sentono un peso che li porta a ritardare la fase dell’indipendenza strettamente legata alla formazione del carattere.

Fare le vele a seconda del vento.

Un adagio che, saggiamente, indica la necessità di una presa di coscienza sullo stato dei fatti e invita a un cambio di atteggiamento per far fronte alla situazione.

Il primo imbarco deve rappresentare comunque un taglio con la vita precedente. Occorre cercare nuovi equilibri.

E qui arriviamo alla fase studio/formazione.

È un po’ come andare all’università. Devi studiare e dipendi ancora dai genitori. Quello che puoi fare è impegnarti al massimo affinché questo periodo sia il più breve possibile. Questo significa pianificare gli obiettivi, ottimizzare i tempi, programmare lo studio e la formazione personale lavorando sui punti deboli.


 

“Cercare nuovi equilibri”. Nella fase precedente, le ore erano scandite da esigenze naturali proprie di quella fascia di età: amici, ragazze/ragazzi, divertimento, studio, famiglia, sport, ecc; il tutto rimbalzava in una stanza dalle pareti morbide, dove i colpi potenzialmente pericolosi venivano soffocati da sistemi sociali di protezione rodati, legati all’età e alle blande aspettative proporzionate al grado di maturità. Nella ricerca di “nuovi equilibri” occorre salire di livello, accettare il fatto che le morbide pareti sono diventate più dure e che pretendono una maggiore consapevolezza.

Non dovete perdere tempo. Tracciate la rotta verso i vostri obiettivi, e seguitela.

Se il vostro sogno è quello di diventare piloti, allora cominciate il prima possibile a dedicare, regolarmente, parte del vostro tempo allo studio degli argomenti che potrebbero diventare il vostro pane quotidiano. Perché leggere libri e guardare video, quando il tempo stringe e l’esame si avvicina, sposta il focus e la finalizzazione delle azioni, sull’esame stesso; mentre la manovra, il pilotaggio, l’atteggiamento mentale, per essere profondamente capiti, devono diventare una passione, la ricerca dell’informazione per il gusto di sapere.

È un concetto che vale un po’ per tutto, dove il risultato varia a seconda del metodo: fare perchè si deve fare o fare perché si vuole fare. Una differenza spesso dettata dal tempo che decidiamo di concederci.

Una buona strategia va disegnata nei dettagli e corretta nel percorso, con calma, altrimenti ci si trova costretti a fare con quello che si ha, abbassando la qualità del risultato.




 


 



BRANDACUJIUN - UNA RICETTA PARTICOLARE...

 

BRANDACUJUN

UNA RICETTA PARTICOLARE


Ho sempre pensato alla tradizione marinara di Imperia e dintorni paragonabile a quella della nostra Camogli, entrambe fucina di grandi velieri ed espertissimi marinai proiettati al lungo corso nelle secolari competizioni di quel luminoso periodo che fu l’EPOPEA DELLA VELA.

Da questo quadro che ci ricorda i nostri avi quando lasciavano scie di profumi esotici, passiamo ad un altro, diciamo minore, dove il profumo di stoccafisso seccato al “vento norvegese” era sempre presente a bordo perché facile da conservare e quindi da utilizzare quando la cambusa di bordo si era praticamente svuotata e questo succedeva quando a Capo Horn si poteva restare alla cappa senza avanzare anche per venti giorni a causa di epiche tempeste.

A quei cuochi ponentini, di cui non conosciamo neppure un nome, bastava conservare un po’ di patate e “pesce del baltico seccato”, il resto, come possiamo immaginare, era lasciato alla fantasia …

IL BRANDACUJIUN OGGI

E’ una tipica ricetta che non dimentica di essere nata povera e, col tempo, diventata una specialità rappresentativa della tradizione gastronomica locale. Oggi il brandacujun è un piatto che racchiude i sapori della Liguria e ricorda tempi lontani quando la cucina era semplice, genuina e fatta con ingredienti che sanno di terra e di mare, come appunto lo stoccafisso, protagonista assoluto del piatto, le patate e l'olio di oliva taggiasca, piatto che oggi lo si gusta comodamente seduti in riva al mare e non tra le tempeste di Capo Horn di cui abbiamo parlato.

Il nome però é estremamente curioso Se il termine “branda”, infatti, deriva con certezza dal verbo “brandare”, che in lingua provenzale significa “scuotere” (per favorire la mantecatura degli ingredienti), sulla seconda parte del nome che accenna al “cujun” esistono, invece, differenti interpretazioni:

La prima farebbe riferimento all'usanza di assegnare il compito di scuotere la pentola al componente meno “brillante” dell’equipaggio, scelto per fare questo lavoro di scuotimento facilitato dal rollio della nave; si operava seduti col tegame tra le gambe per non farlo cadere. L’operazione rischiava di non “brandare” solo lo stoccafisso ma anche “certe parti” del forzuto marinaio…

 

Un’altra versione vuole che, per effettuare l’operazione non siano necessarie cure particolari, ma solo un po’ di forza che, com’é noto, é inversamente proporzionale all’intelligenza, di fatto destina l’operazione stessa al più stupido i bordo e da qui l’assioma:
“Branda cujùn, che ciù ti u brandi ciù l’è bun”
(Agitalo “stupido”, che più lo agiti e più diventa buono).

Secondo un'altra interpretazione, invece, il termine, richiamando l'abitudine di sedersi o di tenere la pentola un po' più in basso mentre la si scuoteva per favorire il mescolamento degli ingredienti, ricorderebbe, invece, la parte del corpo contro cui, inevitabilmente, il recipiente urterebbe durante tale operazione. Qualunque sia la reale origine del nome, oggi il piatto è una specialità a cui la Riviera di Ponente è particolarmente legata e del quale ogni cuoco ed ogni famiglia offre la propria particolare versione.

Eccone alcune … fotografiche:

 




 

 

Durata 1 h

Difficoltà Intermedia

Origine Liguria

Brandacujun è una ricetta tradizionale ligure. I marinai che frequentavano i locali dei vari porti liguri erano soliti incitare il cuoco alla cottura del piatto  “Branda cujun che ciù ti u brandi, ciù u l’è bon!” (“Agita stupido, che più lo agiti, più è buono!”), da qui ecco derivare il nome. Piatto semplice e povero, come molti piatti della tradizione ligure, è composto di patate e stoccafisso, che agitati sul tegame, vengono a formare una specie di crema.

Vino in abbinamento: Riviera Ligure di Ponente Vermentino DOC.

Ingredienti

Dosi per 4 persone:

§ 800 gr di stoccafisso ammollato

§ 400 gr di patate

§ 1 cipolla

§ 1/2 limone

§ 1 spicchio d’aglio

§ 30 gr di pinoli

§ 1 ciuffo di prezzemolo

§ 1 uovo

§ Olio extravergine di oliva

§ Sale

CARLO GATTI


Rapallo, 10 Luglio 2020

 

R

 


STORIA DELLA NAUMACHIA

STORIA DELLA NAUMACHIA

Secondo la definizione della TRECCANI, LA NAUMACHIA - (in latino naumachia, dal greco antico ναυμαχία/naumachía, letteralmente «combattimento navale») - Combattimento simulato a scopo di divertimento, eseguito di solito in edifici costruiti a questo fine o in anfiteatri allagati per la circostanza; l'accenno più antico è in Lucilio che forse allude ai Greci. Si ritiene che le naumachie fossero dapprima divertimento privato di grandi signori romani. Nei combattimenti navali eseguiti per pubblico divertimento, gli equipaggi e i combattimenti sono forniti da condannati o da prigionieri incitati alla lotta dalla minaccia di rappresaglie contro i riottosi; il combattimento così diventava cruento e dava agli spettatori l'acre piacere del sangue, come nei ludi gladiatori.



Abbordaggio sul lago Fucino


Rievocazione della Battaglia di Salamina sul lago Fucino



Battaglia di Azio

La battaglia di Azio fu una battaglia navale che concluse la guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio; quest'ultimo era alleato al regno tolemaico d'Egitto di Cleopatra. 
Data: 2 settembre 31 avanti Cristo
Esito: Vittoria decisiva di Cesare Ottaviano

Personalmente ritengo che tramite le Naumachie, ROMA intendesse mostrare la sua POTENZA, EFFICIENZA E CORAGGIO al mondo ad essa ostile e alle colonie conquistate.

In altre parole le Naumachie sono stati i primi Film Kolossal risalenti a 2000 anni fa in cui venivano celebrate le grandi vittorie dei Cesari, non solo, ma anche di eroi, semidei, gladiatori, paladini della giustizia e mitici re. Per citarne alcuni: QUO VADIS (1951) - BEN HUR (1959) – IL GLADIATORE (USA 2000) -  TROY (2004), celebri per le scenografie realistiche, grandi budget e colonne sonore memorabili. Proprio a causa degli enormi costi di produzione, di NAUMACHIE e FILM KOLOSSAL ne passarono pochi alla storia.

Per il popolo era una forma di spettacolo grandioso perché violento in modo superiore a quello cui erano abituati a vedere negli anfitetari, circhi ecc…

Per gli strateghi erano vere e proprie “simulazioni” di battaglie navali, con impiego di nuove armi sperimentali e l’uso di strategie che in seguito sarebbero state impiegate nelle VERE battaglie navali.

Per gli ingegneri civili e militari erano rare occasioni per mettere a punto opere costruttive: navi, porti adeguati, pontili, opere idrauliche di enorme importanza come bacini lacustri, fluviali, laghi artificiali, deviazioni di fiumi, raccordi e canali, acquedotti, dighe, mura, paratie e molti altri esperimenti in cui diedero prova di grande efficienza e capacità costruttiva, ponti e strade che avevano come scopo la rapida viabilità per le comunicazioni con tutte le province dell’Impero.

Sullo sfondo di questo scenario in gran parte strategico c’era la TALASSOCRAZIA, propagandata e praticata per far comprendere al popolo la rotta da seguire per ottenere il dominio dei mari.

Per talassocrazia (dal greco θαλασσα, mare, e κρατος, potere) si intende il dominio militare e commerciale, esercitato da una determinata entità politica, di uno spazio marittimo e dei territori in esso contenuti o che su di esso si affacciano.

Altre potenze che esercitarono la talassocrazia in epoca classica sono per esempio la polis di Atene, la civiltà cartaginese, Roma e Bisanzio/Costantinopoli.

Ulteriori esempi di talassocrazie tratti dalla storia più moderna possono essere:

· L’Impero Khmer' e quello Sri VIjaya nella penisola indocinese e nelle isole di Sumatra e del Borneo;

· La Lega Anseatica delle città tedesche e baltiche;

· Le Repubbliche Marinare, in particolare la Repubblica di Venezia e di Genova ma anche quelle di Pisa, Amalfi, Ancona, Gaeta e la dalmata Ragusa

· L’impero Britannico, che per tutto il XIX secolo ha mantenuto il predominio sui mari.

L'esempio più vicino ai giorni nostri di una talassocrazia è quello della potenza navale statunitense che, con i suoi (attualmente) dodici gruppi da battaglia di portaerei, può proiettare la propria potenza praticamente in ogni punto del globo terracqueo, attraverso l'uso combinato della potenza aeronavale, secondo la dottrina di Alfred Thayer Mahan. È interessante notare che tutte le talassocrazie sono presto o tardi declinate proprio a causa dell'incapacità di difendere territori così eterogenei e lontani fra loro. Altrettanto notevole é il fatto che molti grandi condottieri come Napoleone persero il loro potere per aver fallito la prova della potenza marittima. In effetti, la talassocrazia è una forma di potere estremamente costosa, in quanto una flotta richiede enormi investimenti in materiali, ma anche in addestramento di uomini altamente specializzati.

Le naumachie erano, come abbiamo appena visto, simulazioni di battaglie navali svolte in bacini naturali o artificiali allagati per la circostanza, dove si rievocavano famose battaglie storiche. I naumacharii, cioè i combattenti, erano un misto di nemici caduti schiavi, marinai pagati per eseguire le manovre indispensabili, o criminali condannati a morte cui veniva risparmiata la vita se dimostravano abilità e coraggio.

Questi spettacoli, ideati e rappresentati a Roma, raramente venivano eseguiti altrove, in quanto erano costosissimi: le navi erano autentiche e subivano attacchi con le prore rostrate danneggiandosi al punto che molte affondavano con ingenti perdite umane.


Le naumachie spesso riproducevano famose battaglie storiche, come quella dei Greci che vinsero i Persiani a Salamina, o quella degli abitanti di Corfù contro la flotta di Corinto.

QUANTE FURONO LE NAUMACHIE?

Le prime tre naumachie si tennero a circa 50 anni di distanza, le sei seguenti, la maggiore parte delle quali ebbero luogo in anfiteatri, si tennero a circa 50 anni di distanza; le sei seguenti, la maggior parte delle quali si svolsero in anfiteatri, si tennero a distanza di 30 anni. Delle circa venti rappresentazioni di naumachia nell’arte romana, quasi tutte sono del IV stile pompeiano, all’epoca di Nerone e dei Flavi.

I naumacharii, nell’accingersi alla battaglia, salutavano l’imperatore con una frase celebre:

Ave Caesar, morituri te salutant.

Frase che spesso viene attribuita erroneamente ai gladiatori nel rituale saluto all’Imperatore.

Ed ecco la spiegazione:

“Almeno così salutarono l’imperatore Claudio che non desiderando il massacro di tutti fece un cenno di negazione che fu però interpretato come una grazia dal combattimento. Claudio si infuriò, gli uomini combatterono, parecchi morirono, la folla andò in visibilio e tutti i sopravvissuti vennero graziati. Poiché era andata bene, la frase venne ripetuta.

L'apparizione delle naumachie è strettamente legata a quella, leggermente anteriore, d'un altro spettacolo, il «combattimento fra truppe» che non ingaggiava dei combattenti a coppie, ma due piccole armate. Proprio in queste ultime i combattenti erano più sovente dei condannati senza allenamento specifico rispetto ai veri gladiatori. Cesare, creatore della naumachia, traspose semplicemente in un ambiente navale il principio delle formazioni di battaglia terrestre.

Le naumachie avevano la particolarità di rievocare temi storici o pseudo-storici: ogni flotta che s'affrontava rappresentava un popolo celebre per la sua potenza marittima nella Grecia classica o l'Oriente ellenistico: Egizi e Fenici per la naumachia di Cesare; Persiani e Ateniesi per quella di Ottaviano Augusto, Siculi e Rodii per quella di Claudio.

I mezzi impiegati erano considerevoli! Ciò rendeva la naumachia uno spettacolo riservato ad occasioni eccezionali, strettamente legato a celebrazioni dell'Imperatore, sue vittorie e suoi monumenti.

Acqua negli anfiteatri

L'immissione d'acqua negli anfiteatri solleva, ancora oggi, numerose domande. Innanzi tutto, questi luoghi non servivano esclusivamente per le naumachie e dovevano essere disponibili per caccie e lotte tra gladiatori. L'alternanza rapida tra spettacoli terrestri ed acquatici sembra essere stata la principale attrazione di quest'innovazione. Cassio Dione lo sottolinea quando si riferisce alla naumachia di Nerone; Marziale fa lo stesso parlando di quella di Tito nel Colosseo. Lo studio delle sole fonti scritte non fornisce alcuna informazione sulle modalità pratiche di questa prestazione.

La caduta dell'Impero romano non determina la fine delle naumachie. In effetti, ne ebbero luogo delle altre nel corso dei secoli successivi, particolarmente nel 1550 a Rouen per il re Enrico II di Francia o nel 1807 a Milano per l'imperatore Napoleone Bonaparte. Nel 1690 in occasione delle nozze del figlio Odoardo II Farnese con Dorotea Sofia di Neuburg, il duca Ranuccio II Farnese fece scavare una grande peschiera al termine dell'ampio viale centrale del parco ducale di Parma, al fine di rappresentarvi una spettacolare naumachia.

CARLO GATTI

Rapallo, 17 giugno 2020


CHI TI HA IMBARCATO CAMPANA?

CHI TI HA IMBARCATO CAMPANA?


DEFINIZIONI:

SENSALE - dall'arabo: simsar. L'etimologia del termine (dall'arabo "simsar") è da collocarsi presumibilmente tra il 600 e l'800 d.C., periodo in cui l'Italia meridionale veniva conquistata dagli arabi.

SENSALE-Mediatore-persiano-sapsar.
Durante il passato mercantile delle vecchie Repubbliche Marinare, il sensale era figura fondamentale per intrattenere commerci con nazioni diverse d'oltremare, abbiamo in eredità una parola che indica l'intermediario con una sfumatura levantina, lepida, quasi furbesca.

Si trattava, dunque, di una figura versatile e onnipresente con la soluzione a portata di mano per i problemi più disparati tanto che, già al tempo dei romani, il sensale ottenne riconoscimento giuridico. Successivamente, nell’epoca dei Comuni, grazie al rapido incremento dei commerci, l’attività del sensale divenne indispensabile per agevolare le contrattazioni assumendo, perciò, il rango di pubblico ufficiale.

§§§

Le conseguenze della crisi agraria degli anni ‘80 dell’Ottocento, poi estesa anche al settore industriale in quelli che furono definiti “gli anni più neri dell’economia del nuovo Regno”, si sommarono ai disagi della gente di mare in balia di venti molto variabili ed anche tempestosi.


Aumentò l’emigrazione e nei porti si riversò molta mano d’opera proveniente da regioni povere di lavoro che spesso andò a sconvolgere il mercato del lavoro locale, e l’elemento specializzato, ma troppo numeroso, come quello degli ufficiali, era tra i più danneggiati dalla crisi.


La marina mercantile dell’800 era un’istituzione quasi familiare. La professione della navigazione si tramandava di padre in figlio, non solo nelle piccole città del litorale, ma anche in Mediterraneo ed oltre il Mare Oceano.

Gli equipaggi si reclutavano fra la gente del luogo, che aveva conoscenza e pratica con l’Armatore e con il Capitano.

L’invenzione della macchina a vapore e poi il telegrafo senza fili fecero scomparire questo “carattere domestico”, e forse da quel momento iniziarono le prime prove di globalizzazione.


Come spesso accade nella storia, in mancanza di norme all’altezza dei tempi che fossero in grado di regolare il collocamento degli equipaggi alla ricerca di lavoro sulle navi, si inserirono figure di mediatori, i cosiddetti sensali, che approfittavano dell’angoscia di coloro che, in attesa d’imbarco, lontani dalle famiglie, erano disposti a “pagare” per ottenere un qualsiasi lavoro a bordo.

Non a caso contro i sensali si accanì la Federazione Nazionale dei Lavoratori del Mare nel memoriale redatto nel 1903 per il Consiglio superiore del lavoro, in cui definì il “sensalismo”: vampiro terribile che assorbe metà del salario mensile di ogni disgraziato lavoratore.

“I lavoratori del mare”, l’organo della Federazione della gente di mare scrisse: ”Il sensale, «bieca figura», aggirandosi fra gente di mare, compagnie di navigazione e armatori, metteva in atto uno sfruttamento odioso, alla fine dannoso sia per le compagnie sia per gli equipaggi poiché – si affermavaaccade spessissimo il fatto che sia trasformato in fuochista o marinaio il primo arrivato dalle campagne o dai monti, senza veruna pratica marinara o tecnica .


“Molti di costoro accettavano le più dure condizioni di lavoro poiché per essi salire a bordo di una nave era un modo fra i più economici per emigrare. Se si considerano le diserzioni denunciate dal 1878 al 1896 e le si mettono in relazione con le località in cui per buona parte esse si verificarono, si comprende come l’imbarcarsi sulle navi per viaggi che avrebbero toccato i porti desiderati o, comunque, con possibilità di occasioni di fuga, era un programma chiaro ai più fra questi marinai per disperazione”.

Non tutti i porti della penisola vedevano all’opera questo genere di persone: per esempio non se ne trovava traccia a La Spezia, Livorno, Porto Ferraio; neppure esistevano a Venezia o a Elena (Gaeta). In certi casi, come a Bari, le compagnie di navigazione ricorrevano a propri rappresentanti. Ma in grandi porti come Genova e Napoli, per esempio, «l’avidità e lo sfruttamento» erano di casa.

Nel 1866, con la nascita del Codice di Commercio del Regno d’Italia, i sensali vennero distinti in due categorie: quelli pubblici, muniti di mandato, e i “mediatori in altre specie di mediazione”, assunti privatamente da chi ne avesse bisogno. Infine nel 1958 venne introdotto l’obbligo di iscrizione al Ruolo della Camera di Commercio con la qualifica di “agenti di affari in mediazione”, foriera delle più moderne professioni di agenti immobiliari e del commercio in genere.

Per isteresi o per abitudine, ma anche per una certa diffidenza verso le nuove istituzioni, sappiamo da testimonianze raccolte a bordo durante i nostri primi imbarchi, che per un certo tipo di marineria italiana e straniera battente bandiera ombra, la figura del “SENSALE abusivo dei caruggi” era ancora operativo per tutti gli Anni ’60 del novecento.

Per chi vive il mondo del mare e delle navi dall’esterno, occorre dare qualche informazione supplementare a partire da quel pensiero diffuso da un anonimo marinaio che la sapeva lunga…

L’UMANITA’ SI SUDDIVIDE  IN VIVI, MORTI E NAVIGANTI

LE BANDIERE OMBRA

La "nave battente BANDIERA OMBRA" è quella unità commerciale che sventola la bandiera di una nazione diversa da quella del proprietario. I bassi oneri di registrazione, la bassa tassazione e la libertà dalle leggi sul lavoro e la sicurezza, sono fattori “motivanti” per molte bandiere di comodo.

Le Compagnie di Navigazione degne di questo nome, disponevano negli Anni ‘50-’60 del 900 di un proprio Organico di personale suddiviso per ogni sezione e grado che era collaudato, efficiente e gradito, imbarcava e sbarcava con cadenza regolare ed organizzata fino alla pensione.

Naturalmente questi Armamenti avevano un nome prestigioso da difendere sulla scena internazionale delle navi passeggeri e da carico, in un mondo in cui la bandiera nazionale e lo stemma sociale pitturato sulla ciminiera costituivano un vanto “quasi nobiliare” che accomunava armatori ed equipaggi.

Per questo sistema marittimo organizzato e legale, la figura del SENSALE vecchia maniera era tramontata da tempo.


Da un articolo della INAIL:

TITOLO: Da Panama alla Liberia zero tutele per i marittimi delle bandiere ombra


Bandiera di Panama


Bandiera della Liberia

In quegli anni del secondo dopoguerra esisteva, quindi, un modo di navigare alternativo e parallelo che emergeva per evadere le tasse del proprio Paese ed é tuttora conosciuto come battente LA BANDIERA OMBRA o DI COMODO che, guarda caso, piantò radici tanto profonde nello shipping mondiale che oggi, non solo é ancora vivo e vegeto, ma si può dire che sia diventato ancora più forte ed insidioso di quello regolare. Ritorneremo un giorno su questo pruriginoso argomento….

Per il momento ci limitiamo a rispolverare alcuni ricordi di gioventù che destano ancora qualche curiosità perché legati soprattutto a quel modo di navigare senza regole, che era lasciato alla discrezionalità dei Comandanti e dei Capitani d’Armamento che in genere erano “galantuomini”, ma ve n’erano altri che, al contrario, erano dei novelli “filibustieri”!

Si può quindi affermare, che sarebbe erroneo fare di tutta l’erba un fascio, perché tra le Bandiere Ombra di quei tempi c’erano Armamenti italiani e stranieri che avevano navi ed equipaggi eccellenti ed erano, sotto tanti punti di vista, ancora più efficienti di quelle rispettose della propria bandiera. Mi riferisco in particolare al settore delle petroliere, molto amato dagli equipaggi italiani, che ancora oggi costituiscono la spina dorsale del traffico marittimo.


Inoltre, nel sottobosco di questo gigantesco mondo delle bandiere ombra “organizzate”, vivacchiavano indisturbate in Italia e non solo, un centinaio di vecchie carrette tipo Liberty Americani e Canadesinavigando alla busca pescando noli qua e là, ed ogni viaggio era un’avventura da raccontare, un libro da scrivere… battenti bandiera liberiana o panamense; di proprietà di armatori italiani e greci che facevano il giro del mondo.

La Capitaneria di Porto era sempre guardinga quando una di queste carrette era in partenza da un porto italiano ed era sempre pronta ad esercitare controlli da imporre al Comandante circa il rispetto della Tabella, ossia il numero di marittimi previsto dal Ruolo equipaggio per espletare le normali mansioni di bordo.

Ciò significa che la nave sarebbe ripartita soltanto dopo aver imbarcato il personale in sostituzione di quello sbarcato o mancante.

In questi casi i tempi d’ingaggio del personale erano sempre lunghi e difficili, cosicché, l’armatore con i suoi rappresentanti, prima ancora di rivolgersi al Turno Generale della Capitaneria presso l’apposito Ufficio Imbarchi della Gente di Mare, si rivolgeva ai SENSALI di fiducia che, tramite la loro rete di contatti sparsi nell’angiporto di Genova, sapevano sempre dove “reclutare il marittimo giusto” per far ripartire la nave il più presto possibile. Gli uffici dei sensali erano per lo più nei retrobottega dei Bar di Via Pré e gli interessati non avevano alcuna difficoltà a trovarli sfruttando le soffiate dei loro parenti meridionali che abitavano a Genova da tempo ed erano marittimi pure loro.



Il porto del nostro capoluogo, come tutti sanno, era il centro d’imbarco più facile sia per il traffico sempre ai vertici delle classifiche, sia per l’organizzazione dei sensali che prima o poi avrebbe garantito il raggiungimento del loro scopo.

Il problema principale consisteva nell’attesa dell’imbarco, che poteva durare a lungo ed essere costosa. Questo fatto alimentava la trattativa che giocava naturalmente a favore del sensale il quale capiva al volo quando la cifra pattuita per l’imbarco poteva superare lo stipendio del primo mese d’imbarco…

Ma l’occhio clinico del sensale andava oltre e gli bastava dare un’occhiata alle sue mani, al rollio del “piede marino” per capire se era un marinaio vero…  al limite bastava mettergli una cima in mano e capire se il richiedente-imbarco proveniva dalla Padania o dalle montagne… in questi casi il prezzo aumentava…

Il sensale senza scrupoli esisteva, non solo nella letteratura dei caruggi, ma nella realtà e, a questo proposito, ho un ricordo personale da raccontarvi.

Chi ti ha imbarcato Campana?

Ad un certo punto del viaggio la nave attraccava in un porto e qui avveniva la cerimonia dei RIMPIAZZI: una parte dell’equipaggio ritornava a casa ed un’altra imbarcava. Ma se tra i nuovi arrivati vi era un tipo “particolare”, nel giro di poche ore a bordo rimbombava questo modo di dire:

ma chi l’a-mbarcou u Campana?”

La figura mitica di questo Campana non é mai stata accertata… ma tutti sembrano d’accordo nel ritenerlo un SENSALE genovese di altri tempi…. Ad ogni occasione propizia questo nome saltava fuori come un fantasma, un folletto che aveva preso per il culo l’armatore, il comandante e tutto l’equipaggio… Campana era quindi un soggetto a suo modo simpatico, ma che tutti avrebbero voluto incontrare, magari proprio in un vicolo nell’angiporto, per farsi pagare tutto il lavoro che avevano svolto al posto di quei figli di puttana che proprio Campana mandava a bordo…

Nei primi Anni ’60, oltre alle navi Liberty che erano state costruite durante la guerra dagli USA per fare solo una traversata atlantica, ma che avevano ormai più di 20 anni d’età, c’erano ancora Compagnie di navigazione “minori” battenti bandiera italiana che facevano parte del cosiddetto NAVALPICCOLO. Dette navi erano già affondate durante la guerra e, una volta tirate su dal fondo mezze marce, continuavano a navigare con deroghe particolari... Gli stipendi dei marittimi imbarcati erano molto bassi, ma venivano integrati con il contrabbando che l’armatore condivideva al punto che, periodicamente, pagava le multe dei suoi equipaggi quando la G.F. decideva di fare il proprio dovere…

Su una di queste navi, mentre eravamo ormeggiati in porto a Genova, imbarcò un “signore”…, un 2° ufficiale di coperta molto obeso, biondo che portava gli occhiali da vista molto spessi; del marittimo aveva ben poco, anzi direi nulla, diceva di essere di Rapallo e navigava con il passaporto… (senza libretto di navigazione).

Subito dopo la partenza ci accorgemmo che non era mai salito su un ponte di comando; in qualità di 1° Ufficiale riversai sul Comandante tutte le mie perplessità, per cui alla fine decidemmo di dividerci la guardia del rapallino che finì in cucina a pelare patate per qualche ora al giorno. Eravamo diretti a Safi in Marocco, fuori dagli Stretti, per caricare fosfati e saremmo stati in mare oltre un mese prima di ritornare in Italia e sbarcarlo. Dopo circa una settimana sotto i capelli biondi ossigenati spuntarono quelli veri e bianchi, dopo un paio di settimane si tolse la maschera ed anche la parrucca, ci accorgemmo in tempo che non vedeva neppure le navi in transito a distanza ravvicinata….

Si trattò di un caso molto penoso, prima di sbarcare ci confessò che gli mancavano pochi mesi per raggiungere il limite della pensione; dal suo passato di marittimo non emerse mai nulla, così come restò un mistero la sua precedente attività lavorativa… si comportò da passeggero disciplinato per tutto il viaggio godendosi una specie di crociera premio… Quando gli chiesi se l’avesse imbarcato Campana rispose:

“Sci – Sci, me pa proprio cu l’ea un nume coscì!” (Si, si era proprio un nome così).

Era la prova più schiacciante che la sua navigazione su un gozzo si era limitata al golfo del Tigullio…

Quella carogna di sensale che ce lo mise a bordo l’ebbe vinta ancora una volta… sicuramente intascò il denaro per farsi una crociera, magari sul Danubio … dove nessuno l’avrebbe riconosciuto e gettato in mare.

FINE

Desidero completare il quadro sulle Bandiere Ombra proponendovi  un'altra personale esperienza....

UN IMBARCO ISTRUTTIVO - Giuan di caruggi…

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=582;giuan&catid=52;artex&Itemid=153

CARLO GATTI

Rapallo, 7 aprile 2019