LE TRE SORELLE OLYMPIC-TITANIC-BRITANNIC - TRE DESTINI DIFFERENTI
LE TRE SORELLE
OLYMPIC-TITANIC-BRITANNIC
TRE DESTINI DIFFERENTI
La classe Olympic era formata da tre navi passeggeri gemelle, appartenenti alla Compagnia marittima inglese:
WHITE STAR LINE
OLYMPIC – La nave fu varata nel 1910 e demolita nel 1935. Fu di gran lunga la più longeva delle Tre Sorelle. Durante la sua lunga carriera conobbe un incontro ravvicinato con un sommergibile tedesco durante la prima guerra mondiale e una collisione con la motonave inglese Hawke. Senza conseguenze gravi in entrambi i casi. Il 15 maggio 1934 l'Olympic speronò di prua la piccola nave americana Nantucket Lightship LV-117. La piccola nave naufragò e morì tutto il suo equipaggio: alcuni membri perirono sul colpo, mentre altri morirono successivamente in ospedale.
Il 27 marzo 1935 compì il suo ultimo viaggio Southampton-New York. Nel setytembre dello stesso anno fu venduta a Sir John Jarvis per £ 100,000. Rivenduta a Thomas W.Ward Ltd. con l'impegno che la nave venisse demolita nel cantiere di demolizione Jarrow-on-Tyne. Il 13 ottobre la nave giunse al Palmer's-old shipyard, Jarrow. Il prezzo dell'acciaio dell'OLYMPIC superò £2,3s per tonnellata.
TITANIC – La nave fu varata nel 1911, affondò durante il viaggio inaugurale, nel 1912 dopo la collisione con un iceberg.
BRITANNIC – La nave, poi HMS Britannic – varata nel 1914, affondò nel 1916 dopo l'urto con una mina tedesca quando era utilizzata solo come nave ospedale durante la Prima Guerra Mondiale.
Il transatlantico HMS BRITANNIC, prima di essere convertito in Nave Ospedale, era stato designato RMS Gigantic.
Del transatlantico TITANIC e del gemello OLYMPIC ce ne siamo già occupati sul sito di Mare Nostrum Rapallo, ecco i LINKS:
RMS TITANIC - Una breve Storia
LA STORIA DEL RMS OLYMPIC
Del BRITANNIC ce ne occupiamo con il presente servizio.
HMHS BRITANNIC
Ai primi del ‘900, la rivalità tra le due famose Compagnie di Navigazione Passeggeri: CUNARD LINE e WHITE STAR era famosa in tutto il mondo dello Shipping internazionale, proprio in quella fase storica che fu definita “L’ETA’ D’ORO” dei LINERS oceanici.
Ai due giganti di linea: Lusitania e Mauritania della CUNARD, di cui ci siamo già occupati su questo sito, la WHITE STAR rispose il 23 novembre 1911 firmando un contratto con i costruttori navali irlandesi Harland & Wolff, per la costruzione della terza nave del trio di super transatlantici, appunto: il BRITANNIC.
Questa è la storia di quello che sarebbe diventato di lì a poco L’HMHS Britannic, l’acronimo inglese (His Majesty’s Hospital Ship) ne indica la sua ultima destinazione.
Avrebbe dovuto chiamarsi Gigantic, ma l’affondamento della gemella RMS Titanic, rivoluzionò i piani di costruzione ed il suo nome fu cambiato in Britannic.
ALCUNI MIGLIORAMENTI TECNICI REALIZZATI SULLA BRITANNIC
La perdita di vite avvenuta con il Titanic, incise pesantemente sulle scelte progettuali e portò la Compagnia ad equipaggiare nuove e più grandi gru, capaci di portare fino a 48 scialuppe, 2 delle quali dotate di radio a corto raggio e motori.
Per navi superiori alle 10.000 tonnellate, era ancora in vigore la legge che prevedeva l’obbligo di lance di salvataggio per almeno un terzo delle persone imbarcate, quindi non esisteva alcun obbligo per i costruttori a garantire la sicurezza di tutti i passeggeri e dell’equipaggio.
Fu aumentato il numero dei compartimenti per aumentare la galleggiabilità della nave nei casi di estremo pericolo, cercando soprattutto d’isolare, quindi di proteggere la sala macchine. L’altezza di 5 paratie delle 17 paratie, misuravano 23 metri fino ad arrivare al ponte di coperta. Questo permetteva al Britannic di evitare l’affondamento nel caso in cui l’acqua fosse riuscita a passare al di sopra delle paratie.
I compartimenti, furono dotati di 63 porte stagne a chiusura semi-automatica e venne rinforzata la chiglia, principalmente al di sotto della sala macchine, per un totale di 155 mt, con una doppia chiglia di 76 cm di spessore. Con queste modifiche, in teoria, la nave sarebbe potuta restare a galla (ma non in movimento) anche con 6 scompartimenti anteriori allagati.
Il transatlantico fu varato il 26 febbraio 1914. Era lungo 269 metri e largo 28.5, aveva una stazza di 48.158 tonnellate, minore di quanto previsto inizialmente, 9 ponti, 785 passeggeri di 1° classe, 835 di 2° classe, 935 di 3°classe e 950 persone di equipaggio, 29 caldaie di cui 24 di tipo doppio e 5 di tipo singolo.
La propulsione era composta da due macchine alternative a vapore reversibile a doppio effetto e triplice espansione a quattro cilindri, collegate alle eliche esterne, mentre una turbina Parsons a bassa pressione alimentava quella centrale. Questi motori, i più grandi mai costruiti, 13.5 m di altezza, rispetto a quelli del Titanic erano più efficienti e permettevano, in fase di manovra, la mobilità delle 2 eliche esterne ed attraverso il recupero del vapore, veniva garantita l’alimentazione della turbina per la terza elica centrale.
Grazie ai 50.000 cavalli vapore sviluppati, la nave poteva raggiungere i 22 nodi, velocità incredibile per una nave passeggeri dell’epoca.
UNA CURIOSITA':
Sui tre SUPER-TRANSATLANTICI, solamente tre delle quattro ciminiere alte 19 metri erano funzionanti, la quarta aveva la funzione di presa d'aria, e fu aggiunta per rendere lo SHAPE della nave più imponente.
il 28 giugno 1914, L'attentato di Sarajevo fu assunto dal governo di Vienna come il “casus belli” che diede formalmente inizio alla Prima guerra mondiale. Il Britannic non sarebbe mai potuto entrare in servizio passeggeri per il quale era stato designato e destinato. La dichiarazione di guerra della Gran Bretagna causò la completa cessazione dei lavori sulla nave Britannic.
QUADRO STORICO
La campagna di Gallipoli, conosciuta anche come campagna dei Dardanelli fu una campagna militare intrapresa nella penisola di Gallipoli dagli Alleati: Impero Britannico e Francia schierati contro L’Impero Ottomano e Germania nel corso della Prima guerra mondiale per facilitare alla Royal Navy e alla Marine Nationale il forzamento dello stretto dei Dardanelli al fine di occupare Costantinopoli, costringere l’Impero Ottomano a uscire dal conflitto e ristabilire le comunicazioni con L’Impero russo attraverso il Mar Nero.
La campagna, pianificata da Francia e Regno Unito, doveva inizialmente articolarsi su una serie di attacchi navali che, condotti dal 19 febbraio al 18 marzo 1915, non ottennero i risultati previsti; il 25 aprile 1915 tre divisioni alleate furono sbarcate sulla penisola di Gallipoli, mentre altre due furono utilizzate in azioni diversive, in quella che si può considerare la prima operazione anfibia contemporanea su vasta scala e dalla quale scaturirono studi teorici che influenzarono profondamente successive operazioni analoghe. L'azione fu studiata in modo da eliminare le fortificazioni avversarie e rilanciare l'assalto navale, ma lo svolgimento delle operazioni non andò come previsto dai comandi alleati: l'improvvisata organizzazione della catena di comando, la confusione durante gli sbarchi, le carenze logistiche e l'inaspettata resistenza dei reparti ottomani coadiuvati da elementi tedeschi impedirono di ottenere un'importante vittoria strategica, trasformando la campagna in una sanguinosa serie di sterili battaglie a ridosso delle spiagge.
L'evacuazione finale delle teste di ponte tra il novembre 1915 e il gennaio 1916 suggellò uno dei più disastrosi insuccessi della Triplice intesa durante l'intera guerra; il fallimento costò al corpo di spedizione circa 250 000 morti e feriti e fu aggravato dalla perdita di diverse unità navali di grosso tonnellaggio, nonostante gli Alleati avessero goduto di un'assoluta superiorità numerica e tecnica a confronto con le esigue forze navali ottomane.
In questo teatro bellico entra in scena la nave ospedale
BRITANNIC
Il 13 novembre 1915 la White Star ricevette la richiesta dall’Ammiragliato Britannico per impiegare la Britannic come nave ospedaliera. La sigla RMS venne quindi sostituita e divenne HMHS BRITANNIC.
L’ammiragliato prevedeva di alloggiare 3.309 pazienti nei ponti superiori per assicurare trasferimenti rapidi alle scialuppe in caso di emergenza. I medici, gli infermieri superiori, gli ufficiali amministrativi della corporazione medica Reale e i cappellani soggiornavano in cabine di prima classe, mentre gli infermieri inferiori e gli assistenti alloggiavano nelle cabine passeggeri dal ponte B in giù.
Il transatlantico Britannic ebbe una nuova livrea, quella riconosciuta ufficialmente in guerra: striscia verde longitudinale intervallata da 3 croci rosse, una linea di luci verdi longitudinale con croce rossa illuminata per la navigazione notturna, inoltre le fu assegnato il numero nave 9618. Questo permetteva alle navi di navigare indenni durante il conflitto.
La Nave Ospedale Britannic, al comando dell’esperto capitano Charles Bartlett, aveva il seguente programma: partire da Liverpool e Southampton, fare rotta verso il Mediterraneo (Napoli, Sicilia, Mar Egeo, Turchia e altri porti del Mare Nostrum), andare a caccia di feriti, curarli e portarli in salvo.
La partenza dalla Gran Bretagna fu tranquilla. Gli ordini dell’Ammiragliato a Bartlett prevedevano, nel viaggio d’andata, la breve sosta a Napoli per fare bunker (rifornimento di carbone e acqua), per poi raggiungere il porto di Mudros nell’isola greca di Lemnos.
La Nave Ospedale BRITANNIC raggiunse il Mediterraneo e qui restò operativa dal 1914 al 1916. Per l'esattezza fino a martedì 21 novembre 1916, giorno in cui, fu squarciata da una violenta esplosione al largo dell'isola di Kea nel Mar Egeo.
Secondo testimonianze, per la verità mai accertate, l’urto della mina avvenne nelle vicinanze della sala macchine.
Pur rafforzato nelle sue strutture, il Britannic affondò in 55 minuti.
L’affondamento causò la morte di 30 persone, molte delle quali, perirono quando, senza l’ordine preciso del ponte di comando, vennero ammainate le lance poppiere, mentre le eliche erano ancora in movimento.
Questa terribile circostanza accadde perché non fu possibile fermare le macchine, quindi gli assi porta-eliche a causa dei danni riportati a seguito dell'esplosione.
Alcune testimonianze, peraltro mai confermate da fonti ufficiali, riportano che l'esplosione fu terribilmente aumentata a causa del materiale esplosivo esistente a bordo (quasi certamente destinato a uso bellico; armamenti che non dovevano trovarsi a bordo).
Nessuno dei libri inglesi da me consultati e citati nella Bibliografia sotiene tale ipotesi, ma non viene esclusa l'ipotesi che l'eplosione sia stata fortemente incrementata dalla presenza di gas di carbone (coal dust igniting)*.
* - Un'esplosione di polvere è la rapida combustione di particelle fini sospese nell'aria, spesso in un luogo chiuso. Esplosioni di polvere possono verificarsi quando qualsiasi materiale combustibile polverizzato disperso è presente in concentrazioni sufficientemente elevate nell'atmosfera o in altri mezzi gassosi ossidanti, come l'ossigeno.
La Convenzione dell'Aja del 1907 aveva definito il concetto moderno di nave ospedale. In particolare l'articolo 4 definiva le caratteristiche necessarie affinché una nave potesse essere considerata "nave ospedale": La nave doveva avere segni di riconoscimento e illuminazione specifiche; doveva fornire assistenza medica a feriti di tutte le nazionalità; non poteva essere impiegata per alcuno scopo militare; non doveva interferire né ostacolare le navi militari. Inoltre, le forze belligeranti avevano il diritto di ispezionare le navi ospedale per verificare eventuale violazioni delle norme di convenzione.
In caso di violazione anche solo di una delle limitazioni previste, la nave avrebbe perso il suo status di “zona franca” ed anzi protetta (molto spesso erano dipinte di bianco, e recavano in modo evidentissimo la grande Croce rossa, simbolo internazionale di neutralità) e sarebbe tornata ad essere considerata come unità combattente e come tale suscettibile di attacco nemico.
Subito dopo Il capitano Bartlett ordinò al timoniere di accostare verso l’isola di Kea, con l’intento di portare la Britannic verso i bassi fondali, ma la nave non rispondeva ai comandi: si era aperta una falla a dritta di prora da cui entrava mare vivo sui ponti aperti E-F.
La nave, per fortuna, era scortata da altri mezzi navali che riuscirono a salvare 1070 persone. 35 delle 58 scialuppe furono ammainate in mare.
La nave ormai sbandata a dritta, cedette a prua, mentre lo scafo si mantenne integro, come in seguito dimostrarono le riprese subacquee di famosi esploratori, una per tutte: quella compiuta nel 1974 dal comandante Jacques Cousteau.
Così i testimoni descrissero il naufragio:
“Iniziò ad affondare con la prua, quando le eliche emersero dall’acqua, la Britannic sbandò ancora di più a dritta e s’inabissò”.
IL SALVATAGGIO DEI SUPERSTITI
Come si é visto, la nave era scortata da altri mezzi navali che riuscirono a salvare oltre un migliaio di persone. Ma sarebbe ingiusto dimenticare la flottiglia di piccole navi da pesca greche che entrarono in scena quasi nello stesso momento in cui la nave affondò, insieme a navi più grandi chiamate dal Britannic.
La prima di fu la Heroic, che prese con sé 494 naufraghi, poi arrivò la HMS Scourge, che prese 339 sopravvissuti, seguita dalla HMS Foxhound. Arrivarono anche due rimorchiatori francesi: il Goliath e il Polyphemus, chiamate dalla Scourge. Anche le due scialuppe a motore del Britannic giocarono un ruolo chiave, girando per le altre scialuppe e prendendo i feriti più gravi, che vennero portati a Kea. I 150 sopravvissuti arrivarono nel piccolo villaggio di Korissia, dove ricevettero cure mediche.
Molte furono le inchieste effettuate negli anni successivi sulla dinamica dell’incidente. Inizialmente si pensò non ad una mina, bensì ad un siluro, poi si fece strada l’ipotesi che la nave, pur essendo nave ospedale, trasportasse armamenti che avrebbero aumentato il potere esplosivo all’impatto. Restò di fatto un mistero custodito per molto tempo, fin quando durante una spedizione avvenuta nel 2013, diretta da Carl Spencer, vennero fatte 2 scoperte interessanti. La prima riguardava la resistenza delle porte a tenuta stagna.
La seconda scoperta è probabilmente più interessante dal punto di vista storico. Una ricerca guidata da Bill Smith, un esperto di sonar, scoprì i resti di diverse catene di mine in prossimità del relitto e nell’esatta localizzazione identificata nel diario di bordo del sottomarino tedesco U-73.
La spedizione inoltre fece luce sulla tesi secondo cui, i fuochisti che a turno alimentavano le enormi caldaie della nave, utilizzassero le porte stagne come passaggio tra le paratie. Questo si tradusse nell’impossibilità di isolare le paratie e nel conseguente passaggio di acqua tra di esse. La tesi fu confermata dal fatto che molti dei portelli stagni utilizzati dai fuochisti, vennero trovati aperti durante l’esplorazione del relitto.
L’isola di Kea, nota anche con il nome di Tzia, si trova nelle Isole Cicladi ed è situata nell’angolo più remoto e tranquillo dell’arcipelago, lontana dalle affollate mete turistiche della zona come Mykonos e Santorini.
"Dal 2010 i turisti possono imbarcare sul nostro sommergibile e visitare il relitto, il più grande perfettamente conservato esistente al mondo" a 120 metri di profondità nelle acque due miglia a largo dell’isola di Kea, non lontano da Atene”.
C’informa Panayotis Bouras, responsabile della Britannic S.A., sussidiaria della Britannic Foundation inglese che detiene i diritti sul relitto.
“Il progetto è stato finanziato da investitori privati ai quali resta aperto. Il governo greco dapprima non si era mostrato troppo favorevole, per timore che l’affluenza di turisti potesse danneggiare il Britannic, considerato un “monumento sommerso” della storia marittima greca. Ma poi l’atteggiamento è cambiato e attualmente, sottolinea Bouras, non vi sono obiezioni e il Ministero della Marina Mercantile ha concesso l’autorizzazione per l’attività del sottomarino”.
Il Britannic, colato a picco mentre navigava come nave ospedale per la Royal Navy, fu una delle tre ammiraglie della Compagnia White Star che affondarono o subirono gravi collisioni. Oltre al Titanic, infatti, anche l’Olympic fu speronato due volte. Ciò, unito al fatto che un’infermiera, Violet Jessop fece parte degli equipaggi di tutte e tre le navi senza rimetterci mai la vita, ha fatto sorgere leggende sulla maledizione che graverebbe sulle unità della White Star.
"Ma non abbiamo paura delle leggende e delle maledizioni", assicura Bouras. "Quello che vogliamo è dare l’opportunità alla gente di tutti i Paesi di visitare un relitto unico al mondo".
Bibliografia:
CUNARD
By David L.Williams
THE FIRST GREAT OCEAN LINERS
By William H.Miller Jr.
THE WHITE STAR LINE 1870-1934
By Paul Louden-Brown
THE GOLDEN AGE OF OCEAN LINERS
By Lee server
BEKEN OF COWES – OCEAN LINERS
By Philip J. Fricker
TRE VOLUMI SUGLI EX VOTO DI MONTALLEGRO
IL MARE - LIBRI
di Marinella GAGLIARDI SANTI
TRE VOLUMI SUGLI EX VOTO DI MONTALLEGRO
Come non ricordare quell’ultimo articolo sul Mare, a proposito delle feste di luglio, che era stato scritto da Emilio Carta, per tanti anni direttore della rivista?
Emilio... In che modo avrebbe reagito se avesse saputo quello che anche noi mai avremmo potuto immaginare, che quest'anno le celebrazioni della Madonna di Montallegro non avrebbero seguito il solito percorso caleidoscopico sfavillante e roboante?
Lui che aveva dedicato l'intero numero alle feste e aveva scritto feste di luglio, urla nel silenzio: chiedeva un portavoce che dal chiosco della musica informasse il pubblico circa il programma dei tre giorni di festeggiamenti, in modo che i numerosi turisti ma anche i locali potessero sapere con precisione come muoversi per Rapallo in base allo svolgersi degli eventi.
La sua Rapallo, la città cosmopolita come la definisce nello stesso articolo: è noto a tutti l'amore che il direttore nutriva per la sua città, più volte presente nei suoi romanzi. E la sua attenzione era incentrata anche sul Santuario della Madonna.
Vengono in mente a questo proposito, uno degli ultimi romanzi che ha scritto a quattro mani con Maria Angela Bacigalupo: DELITTO IN PROCESSIONE – Don Jacopo e le feste di Luglio, e tornando indietro nel tempo, i 3 pregevoli volumi: editi dal Comune di Rapallo: Rapallo sacra minore 1980, (coautori: Emilio Carta, Umberto Ricci, Francesco Maria Ruffini) – Ex voto a Montallegro 1989, (coautori: Maria Angela Bacigalupo, Pier Luigi Benatti, Emilio Carta) - Montallegro e il mare 1994, (coautori: Maria Angela Bacigalupo, Emilio Carta, Umberto Ricci, Francesco Maria Ruffini).
Volumi ai quali varrebbe la pena di dedicare un po' di tempo magari sedendosi tranquillamente nella biblioteca di Rapallo per sfogliare le magnifiche illustrazioni dalle quali sono corredati. Queste testimonianze di fede di gente comune che in momenti di estremo pericolo si rivolge alla Madonna di Montallegro, commuovono e sono intriganti perché presentano ai nostri occhi immagini legate a usi e costumi del tempo passato, a eventi storici, a navigazioni tragiche di velieri disalberati in acque tempestose. Queste imbarcazioni non hanno solo un nome ma anche una fisionomia ben precisa perché Emilio, con la sua esperienza in campo navale, ha potuto fornire molte notizie tecnico-marinare risalendo in alcuni casi addirittura ai nomi dei cantieri dai quali i velieri erano usciti.
E le immagini estremamente reali e vive portano il lettore a condividere momenti di terribile angoscia ma anche di speranza, nell'affidarsi all'aiuto divino.
Nell'invitarvi a leggere o anche solamente a sfogliare questi splendidi volumi, vi lascio con i versi di Gio Battista Merello nato a Rapallo il 31 gennaio 1583, che aprono il volume Ex voto a Montallegro:
SE, ne l'Allegro Monte,
Maria di grazie, a chi l'invoca è Fonte;
Qual'hora i Naviganti, a lei Devoti,
Porgeran' preghi, e Voti;
Ben' potranno sperare,
Ch'ancor nel Mar farà di grazie Mare.
NAVI A ROTORE * FLETTNER SHIP
NAVI A ROTORE * FLETTNER SHIP
di Maurizio GARIPOLI
Per introdurre questo tipo di nave, conoscere l’“effetto Magnus” è importante e imprescindibile, ma tratterò l’argomento in forma semplificata, con lo scopo di incuriosire, più che di spiegare.
Immaginiamo un calciatore che colpisce il pallone di punta e cerchiamo di visualizzare la palla percorrere la sua traiettoria a parabola fino alle braccia del portiere. Figuriamoci ora lo stesso pallone colpito con un calcio ad “effetto”: il calciatore gli imprime una rotazione più o meno accentuata per deviarlo dalla sua traiettoria e sorprendere il portiere.
Il risultato lo ottiene per la differenza di pressione che si crea tra le due facce dell’oggetto in rotazione.
Questa differenza di pressione genera un vettore di forza capace, in questo caso, di spostare il pallone dalla traiettoria naturale durante il tragitto verso la porta.
Il giocatore sa che, a seconda della velocità di rotazione che imprime al pallone, questo avrà una deviazione più o meno marcata; anche se non tutti i calciatori sanno che il risultato ottenuto è dovuto al cosiddetto “effetto Magnus”.
L’ingegnere aeronautico tedesco Anton Fletner, basandosi su questo principio, inventò un rotore cilindrico, che ha avuto negli anni diversi utilizzi, e non solo in campo aeronautico. Il rotore è stato impiegato per costruire aerei, timoni navali ad alta efficienza e… propulsori navali.
Oggi parliamo, sinteticamente, di queste navi a rotore.
In effetti non se ne vedono molte, tuttavia esistono e stanno solcando i mari proprio in questo momento.
La prima nave a utilizzare questo sistema fu costruita proprio da Flettner nel 1924 ed era dotata di due cilindri larghi 3 metri e alti 15 che sfruttavano un piccolo motore e il vento per generare questa forza. Questo sistema ai tempi non fu ritenuto molto efficiente, almeno rispetto alla propulsione convenzionale, e venne abbandonato per un lungo periodo, tuttavia l’idea rimase latente fino agli anni ’80, quando fu pensata come un ausilio al propulsore principale per ridurre i costi del carburante via via crescente.
Ma come funzionano i rotori?
I rotori Flettner sono dei grossi cilindri che salgono in verticale dalla coperta della nave e sono meccanicamente collegati al propulsore, che poi è la loro principale fonte di energia. Funzionano come delle vele e in effetti il loro secondo nome è vele a rotore. Il vento, che colpisce i cilindri in rotazione, genera una forza perpendicolare che segue la legge dell’effetto Magnus:
Un corpo in rotazione in un fluido in movimento genera una forza perpendicolare sia all’asse del corpo che alla direzione del fluido.
Graficamente la possiamo vedere così:
Quando il vento colpisce la nave al traverso, genera una forza che aiuta l’elica principale a spingere la nave in avanti. Se la rotta della nave cambia, il senso di rotazione del rotore può essere invertito per non creare una forza contraria al moto. Contribuendo alla propulsione, le vele a rotore abbattono i consumi che poi, in effetti, è il loro scopo primario.
Nell’Estate del 2010 compí il suo primo viaggio l’E-Ship1, una nave da carico con ponte a prua di 130 metri di lunghezza e circa 13.000 tsl, adibita al trasporto di turbine eoliche, dotata di bow e stern trhuster, due eliche e quattro rotori Flettner alti 27 metri e larghi 4.
La E-Ship1 veniva spinta da due motori Diesel marini e, in parte, dai rotori, fino alla velocità massima di 17,5 nodi, ottenendo un risparmio di carburante pari al 10% rispetto a una propulsione a elica esclusiva.
Per alcune compagnie questi risultati valgono l’investimento e, proprio per questo, stiamo assistendo a un lento ma costante incremento del sistema nella flotta mondiale.
Nel 2015 due rotori vengono installati sulla Ro/Ro Estraden.
Nel 2018 un rotore viene installato a prua della nave da carico Fehn Pollux.
Nel 2018 viene installato un rotore alla nave passeggeri Viking Grace.
Nel 2018 quattro rotori mobili vengono installati sulla nave Afros di 199 metri e 36452 tsl.
La particolarità dei rotori mobili permette alla nave di svolgere più agevolmente le operazioni commerciali per poi utilizzare i rotori in navigazione:
https://www.youtube.com/watch?v=X8xysiW4S9Y&feature=emb_logo
Sempre nel 2018 vengono installati due rotori alti 30 metri e larghi 5, sulla petroliera Maersk Pelican – nel video che segue possiamo vederne l’installazione – nonché molti altri particolari del sistema:
https://www.youtube.com/watch?time_continue=19&v=Nrw_FPGsfA4&feature=emb_logo
Ognuna di queste navi dichiara consumi diminuiti dal 10 al 20% e minori emissioni inquinanti. La tecnologia e i materiali moderni hanno fatto abbattere i costi e ottimizzato le prestazioni, portando i rotori a essere sempre più leggeri e performanti.
Il potenziale per un ulteriore sviluppo esiste!
Se per mare vi capita di incontrare una di queste navi, fatecelo sapere e mandateci una foto! La pubblicheremo col Vostro commento.
CARLO GATTI
WEBMASTER
Rapallo, mercoledì 10 Giugno - 2020
IL TRANSATLANTICO NORMANDIE Un costoso gioiello che fu rubato da un impietoso destino
IL TRANSATLANTICO
NORMANDIE
UN COSTOSO GIOIELLO CHE FU RUBATO DA UN DESTINO IMPIETOSO
S.S. Normandie, che con i suoi sfarzi, l'estetica, la modernità, ed ogni singolo dettaglio ha diffuso in tutto il mondo un vero e proprio stile di vita...
Scheda Tecnica
Costruttore: Penhoet, Saint Nazaire
Armatore: Compagnie Gènèrale Transatlantique
Varo: 29 ottobre 1932
Entrata in servizio: 29 maggio 1935
Tonnellaggio: 79.280 tsl; 83.423 GRT
Potenza: Quattro turbo-elettrico, totale 160.000 CV (200.000 hp max).
Fu la prima nave della storia ad avere una propulsione turboelettrica, combinando turbine a vapore e motori elettrici.
Lunghezza: 313,60 metri
Larghezza: 36,4 metri
Velocità: 29 nodi, 32,2 nodi massima registrata
Capacità: 1972 passeggeri, 1345 equipaggio
Ciminiere: due vere – quella poppiera adibita a canali.
Il ventennio tra le due guerre mondiali fu caratterizzato da un’accesa rivalità tra gli Stati con la più prestigiosa tradizione marinara per l’acquisizione del potere marittimo nel trasporto passeggeri tra le sponde dell’Oceano Atlantico, ovvero tra il vecchio continente ed il nuovo New World - USA.
L’Obiettivo “pubblicitario” era la conquista del BLUE RIBAND (Nastro Azzurro) riconosciuto al vincitore quale prestigioso segno di supremazia nel campo navale: VELOCITA’ nella traversata atlantica, ma anche nell’arte costruttiva e tecnologica, artistica e quindi commerciale.
Inghilterra, Italia, Francia e Germania furono i grandi protagonisti di una stagione che toccò l’apice più alto della Storia Marinara di tutti tempi.
Che succede oggi?
Fin dall’inizio del nuovo millennio, si costruiscono in tutto il mondo navi passeggeri che appartengono di fatto al NUOVO GIGANTISMO NAVALE in cui, rispetto al periodo citato, l’architettura navale subisce continue mutazioni estetiche per evidenti motivazioni economiche; alle navi di oggi viene impresso uno sviluppo in altezza (numero di Ponti) che prevede l’imbarco del maggior numero possibile di passeggeri.
Il risultato non é quasi mai un’opera d’Arte e spesso queste navi s’inseriscono, quando sono ormeggiate in porto, nello Sky line delle città portuali che le ospitano, spesso deturpandole!
Oggi ci occuperemo di una nave francese molto speciale: la NORMANDIE della CGT (Compagnie Générale Transatlantique) la quale, a distanza di quasi cento anni dal suo VARO, aveva misure di stazza, lunghezza e larghezza, che, per certi versi, erano simili a quelle attuali nelle dimensioni, ma erano disegnate con gradevolissime linee archittetoniche.
Storicamente possiamo quindi affermare che i nostri padri conobbero già un “Primo Gigantismo Navale” mentre la nostra generazione navale e portuale sta vivendo un "Secondo Gigantismo Navale" di ritorno.
Molti lettori che ci leggono in questo momento hanno fatto crociere sulle navi di Costa, Carnival, Msc ed anche con altre stimatissime Compagnie straniere, ma credo che non siano molti coloro che conoscono la storia della NORMANDIE che oggi abbiamo scelto di raccontare in quanto emblematica di un’epoca molto complessa, ma anche ricca di innovazioni tecniche-tecnologiche le quali crearono le basi per le successive costruzioni navali di cui oggi l’Italia può vantare PRIMATI eccezionali.
Dietro la costruzione della NORMANDIE ci fu evidentemente una componente politica di GRANDEUR alla Francese che fece da cassa di risonanza in tutta Europa, dove orgoglio e rivalità reciproche innescarono risposte e progetti di nuove costruzioni quasi immediate.
Come abbiamo già avuto modo di scrivere in altre occasioni, il “gigantismo navale” affonda le sue radici nel “mondo greco e nella romanità” e ritorna alla ribalta anche in periodi successivi affermandosi anche nell’era moderna.
Al termine dell'articolo riporteremo alcuni LINK su questo argomento.
Opera del Pittore Marco Locci
Perché questa rincorsa al gigantismo continua tuttora?
Perché l’uomo ha sempre sognato di vincere la sfida contro il mito di Nettuno che non subisce gli umori del mare, ma che li determina e li domina. La storia, purtroppo ci insegna che quel tipo di “gigantismo navale” ha sempre fallito contro la forza sovrumana del MARE perché le navi sono opera dell’uomo, quindi fallaci e destinate a perire, in un modo o nell’altro; così fu anche per il NORMANDIE e per tante altre navi che per la fama raggiunta, non hanno bisogno di essere citate.
UN PO’ DI STORIA….
Il legame artistico, architettonico ed anche ideologico che univa New York alla Francia trovò nella Statua della Libertà la sua espressione più concreta.
A rafforzare questo “rapporto sentimentale” ci pensarono il mare, le navi e le lunghe traversate transoceaniche che gli uomini di mare realizzarono.
Il 21 maggio del 1931 un gruppo di cinquantacinque architetti americani, tra cui Kenneth Murchison e William Van Alen, padre del Chrysler Bulding, partì verso la Francia a bordo dell'American Banker con destinazione Parigi, sede della Ecole des Beaux Arts. Durante il viaggio gli architetti avrebbero ridecorato il salone della nave secondo le ultime tendenze del design. Qualche mese prima, a gennaio, nei cantieri francesi di Saint Nazaire erano iniziati i lavori su una nave, la Normandie, che avrebbe consentito alla Francia di risvegliare la vitalità artistica e architettonica di New York City nel modo più romantico e spettacolare possibile, conquistando il NASTRO AZZURRO.
I lavori erano stati commissionati dalla Compagnie Génerale Transatlantique, conosciuta negli States più semplicemente come FRENCH LINE che, grazie alla propulsione turbo-elettrica, aveva messo in cantiere la nave crocieristica più potente mai costruita.
I nuovi motori le consentivano di esprimere una potenza vicina ai 180.000 cavalli vapore, in grado di far navigare i 313 metri della Normandie, per 81.000 tonnellate di stazza, ad oltre 32 nodi. La parte tecnica, per quanto all'avanguardia come nel caso della forma delle eliche, era in qualche modo oscurata dalla raffinatezza delle linee e, soprattutto, dalla ricercatezza degli interni.
Le grandi compagnie come la CUNARD e la WHITE STAR, colpite dalla depressione economica del 1929, ancora non avevano superato la crisi tanto da potersi impegnare nella costruzione di altre navi transoceaniche e per la FRENCH LINE questa fu un'occasione da non perdere.
Fino al 1924, anno in cui furono emanate norme restrittive sull'immigrazione, i transatlantici erano progettati tenendo conto di larghi spazi da destinare a quella terza classe dove far alloggiare gli immigrati provenienti da tutta Europa. Secondo questa impostazione la capienza della nave, nonostante la mole, era di "soli" 1972 passeggeri, consentendo così ai fortunati viaggiatori di godere di ampi spazi durante la traversata.
Questa tendenza a realizzare ampi spazi lussuosi venne dapprima perseguita dai tedeschi sulle navi EUROPA e BREMEN, alle quali la NORMANDIE strappò il primato della bellezza e poi dall'italiana REX costretta a cedere alla francese il primato della velocità (Nastro Azzurro), tre anni dopo averlo conquistato con il Comandante Francesco TARABOTTO.
La realizzazione della NORMANDIE, così come fu presentata al mondo, si deve all'ingegnere russo Vladimir Yourkevitch, emigrato in Francia prima della rivoluzione d'ottobre. Yourkevitch, già progettista navale per lo zar, entusiasmò la French Line con proposte quali il bulbo frontale e lo scafo slanciato e fu invitato ad unirsi ai colleghi francesi. La nave fu allestita in Francia e il varo sul fiume Loira avvenne nell'ottobre del 1932, ma prima di partire per New York passarono tre anni tra prove e sistemazione degli interni. Finalmente, il 29 maggio del 1935, la nave salpò da Le Havre salutata da 50.000 persone e fece rotta verso le banchine di New York per arrivare a destinazione in soli quattro giorni, tre ore e quattordici minuti.
N.B. V. Yurkevich dotò la NORMANDIE di un voluminoso BULBO a prua e una forma della carena ridisegnata in modo innovativo. La nave era in grado di raggiungere velocità superiori a 30 nodi (56 km / h).
Questa immagine del 23 marzo 1940, dà l’idea delle dimensioni della NORMANDIE rispetto ai suoi famosi transatlantici “coevi”: dall’alto a sinistra, Mauretania, Normandie, Queen Mary e Queen Elizabeth.
Mauretania: Stazza L.: 31.938 tsl – Vel. 28,75 nodi - Lunga 240,8 mt – Larg. 26,8 mt – Varo 1906
Normandia: Stazza L.: 79.280 tsl - Vel. 29/32.2 nodi – Lunga 313,6 mt – Larg.36.4 mt. Varo 1932
Queen Mary: Stazza L: 81.237 tsl – Vel. 30 nodi – Lung. 311 mt. – Larg. 36 mt – Varo 1934
Queen Elizabeth: Stazza L. 85.000 tsl – Vel.28.5 Nodi – Lung. 314 mt. – Larg. 36 mt – Varo 1938
“Quando la Normandie entrò nello specchio d'acqua del Pier n.88 con la sua prua slanciata, la città di New York e i suoi abitanti, accorsi in massa alla banchina, non accolsero solo una nave fantastica, un gioiello tecnologico con a bordo 2.000 passeggeri, ma anche un progetto artistico che partito dalla Francia avrebbe fatto scuola. La Normandie festeggiata nella baia dell'Hudson da aerei in carosello a bassa quota e dai getti d'acqua delle navi antincendio, portò in città quell'Art Decò che aveva debuttato nell'Esposizione Des Arts Decoratifs, tenutasi a Parigi nel 1925 dove gli americani, anche se invitati, non parteciparono poiché, a dire di alcuni rappresentanti del Governo, non avevano arte moderna da esporre e promuovere.
La sala da pranzo di prima classe da 700 posti, colma di bassorilievi e finiture esotiche, di lampadari e delle "colonne luminose" di René Lalique, la sala per i bambini con le pareti rivestite da Jean de Brunhoff e il suo elefantino Babar, la piscina interna, erano solo alcune tra le piccole e grandi soluzioni decorative che facevano della Normandie una meraviglia galleggiante, espressione di quella "modernità non funzionale" che avrebbe avuto una fortissima influenza nel design americano”.
La Normandie venne a costare complessivamente 60 milioni di dollari. Tuttavia il colossale Transatlantico s’impose subito e con prepotenza sulla scena mondiale:
strappò il nuovo record del Nastro Azzurro durante il viaggio inaugurale, coprendo la tratta New York-Le Havre. La velocità di crociera media mantenuta dalla nave durante la sua prima uscita ufficiale era straordinaria: 30 nodi!
La Normandie svolse il suo servizio sull’Atlantico per 4 anni e fu messa in disarmo durante il secondo conflitto mondiale rimanendo al sicuro nel porto di New York (vedi foto sotto). Vista la necessità di trasportare le grandi truppe militari in Europa, si pensò di spogliarlo dei suoi lussuosi arredi e trasformarlo in una nave militare. Così fu requisito dal governo Americano, che s’impegnò nell’iniziare i lavori di modifica, così da poter contare su una nave enorme, potente e veloce, fuori dalla portata dei sommergibili nemici.
LA TRISTE FINE DELLA NORMANDIE
Il transatlantico NORMANDIE rimase due anni attraccato al pier n°88 di New York
Il transatlantico Normandie vi rimase per due anni fino a quando, dopo l'attacco ei giapponesi a Pearl Horbor, gli Stati Uniti entrarono in guerra, requisendo la nave per convertirla ed adibirla al trasporto truppe con il nome di U.S. Lafayette. Navi di queste dimensioni potevano trasportare 12.000 soldati a viaggio ad una velocità talmente elevata che non richiedeva la scorta di navi militari.
Ma i lavori andavano avanti troppo lentamente e con poca protezione, tanto che il 9 febbraio del 1942, a causa di un incidente provocato dalle scintille di una saldatrice, divampò un incendio che presto si propagò a gran parte della nave. Il danno iniziò ad essere rilevante e andò rapidamente peggiorando a causa dei battelli antincendio che riempirono d'acqua la nave facendola sbandare ed infine rovesciare su un fianco. La foto (sopra) ancora oggi, a distanza di quasi 80 anni, é in grado di destare infinite emozioni perché era quanto di più immaginabile potesse accadere.
Una colonna di fumo nero e denso si sollevava dalla nave nascondendola, e la sua bellezza e maestosità sembravano un lontano ricordo. Nell’ottobre del 1943 la Normandie ridotta a relitto galleggiante, fu raddrizzato e in seguito fu rimorchiato fino al porto di Newark, dove venduto per soli 161.000 dollari, fu demolito dalla stessa società che lo acquistò.
Il destino della Normandie fu segnato! Con un enorme costo e grandi sovvenzionamenti la nave fu recuperata e stabilizzata, ma gli ingenti danni allo scafo e alle attrezzature, il deterioramento dovuto ai 18 mesi trascorsi semi sommersa resero una futura ristrutturazione impossibile e costosissima.
La nave fu allora rimorchiata nel porto del New Jersey dove iniziò la sua lenta demolizione, terminata infine nel 1948.
FU INCIDENTE O SABOTAGGIO?
Riporto per completezza d’informazione quanto risultato dall’Operazione Underworld:
“Nei primi tre mesi dopo l'attacco a Pearl Harbour del 7 dicembre 1941, gli Stati Uniti persero 120 navi mercantili a causa degli U-Boot e degli incrociatori pesanti tedeschi durante la Battaglia dell’Atlantico; durante il febbraio 1942 la nave da crociera SS NORMANDIE - una nave francese catturata che era in rielaborazione per essere adattata al trasporto truppe nel Porto di New York - fu presumibilmente sabotata e affondata da un incendio doloso nel porto di New York. Il boss mafioso Albert Anastasia reclamò la responsabilità del sabotaggio. Dopo la guerra, i registri nazisti dimostrarono che non esistevano operazioni di sabotaggio e da parte alleata non furono mai prodotte prove per dimostrare un sabotaggio segreto nel porto di New York. L'affondamento della Normandie fu quasi certamente un incidente.
Nondimeno, i timori per possibili sabotaggi o inconvenienti sulla tratta atlantica, indussero il comandante Charles R. Haffenden della marina degli Stati Uniti, Office of Naval Intelligence (ONI) del Terzo Distretto Navale a New York, a costituire un'unità speciale di sicurezza. Sfruttò l'aiuto di Joseph Lanza, che dirigeva il fulton fish market, per essere a conoscenza dell'area navale di New York, controllare i sindacati del lavoro, e identificare possibili operazioni di rifornimento dei sottomarini tedeschi con l'aiuto dell'industria peschiera lungo la costa atlantica. Per coprire l'attività di Lanza, suggerì di contattare Salvatore Lucania (Lucky Luciano) che era un importante boss delle cinque famiglie mafiose di New York. Luciano accettò di cooperare con le autorità nella speranza che venisse considerato un suo rilascio prima dei termini previsti.
Al tempo Luciano era rinchiuso nel carcere di Dannemora, per scontare una pena dai 30 a 50 anni di reclusione per aver condotto un giro di prostituzione. Per la sua collaborazione, nel maggio 1942 fu tradotto nel carcere di Great Meadows, noto negli ambienti della malavita come il country club. Le azioni intraprese da Luciano nel fermare i sabotaggi restano tuttora incerte, ma le autorità notarono come i contatti dell'avvocato di Luciano Moses Polakoff tra le figure del mondo sotterraneo del porto influenzarono i lavoratori e i loro sindacati. Nel 1946 la sentenza di Luciano fu commutata – dopo aver scontato nove anni e mezzo venne mandato nella sua nativa Italia.
L'operazione appena descritta, prese il nome di Underworld ("sotterraneo") e fu il nome in codice della cooperazione del governo degli Stati Uniti d’America con alcune figure del crimine organizzato dal 1942 al 1945 per controllare le spie e i sabotatori nazisti nei porti lungo la costa nord est degli Stati Uniti, al fine di salvaguardare i trasporti con i rifornimenti in partenza per l’Inghilterra”.
ALBUM FOTOGRAFICO
Ad esclusivo scopo divulgativo, prendo in prestito dal sito: Transatlantic Era alcune immagini degli interni della NORMANDIE che danno un’idea più completa della ELEGANZA dei suoi INTERNI.
Come si può ben notare, l'Art-Decò è predominante in ogni centimetro quadrato della nave e sfocia quasi in un’esagerazione sotto certi aspetti...
Gli arredi stravaganti ed eleganti allo stesso tempo attirarono gli occhi dei più grandi artisti americani dell'epoca, i quali ne fecero praticamente una scuola per le loro successive realizzazioni. La Normandie possedeva numerosi saloni e bar tra i più grandi al mondo...ristoranti à la Carte con centinaia di posti, contornati da lussuosi arredi e bassorilievi su ogni parete visibile...opere d'arte e lampadari moderni, divanetti e sedie dalle forme stravaganti e colori vivaci resero gli interni di questa nave inimitabili. Bella dentro e anche fuori direi, ma con un salto nella sua storia capiremo ben presto che la sua non fu una vita molto fortunata.
Carlo GATTI
Rapallo, lunedì 18 Maggio 2020
BIBLIOGRAFIA:
- Picture History of the FRENCHE LINE – William H. Miller Jr
- I Giganti di Linea – Vincenzo Zaccagnino
- Ocean Liners – Philipp J.Fricker
GIGANTISMO NAVALE – LINKS dello stesso autore
SYRAKOSIA Gigantismo Navale nell’antichità
LAGO DI NEMI - LE NAVI DI CALIGOLA
LE NAVI PASSEGGERI DI LINEA ITALIANE - DAL 1900 AL 1970
REX - BREVE STORIA DEL NASTRO AZZURRO
Anni ‘30 - L’EPOPEA DEI LEVRIERI - “REX” - “CONTE DI SAVOIA”
LE NAVI PASSEGGERI DI LINEA ITALIANE - DAL 1900 AL 1970
GIGANTISMO PETROLIFERO
JAHRE VIKING
GIUMIN E I PESCICANI
GIUMIN E I PESCICANI
NAVE LIBERTY "TRITONE"
-Non l’ho mai raccontato a nessuno, in tutti questi anni, puoi farlo tu?-
Mi sentii onorato quando Giumìn mi chiese di scrivergli questa storia della sua vita di navigante, in quel giorno di ottobre.
La mia stima per quel piccolo grande gentiluomo era cresciuta negli anni, per le sue parole, e per i suoi silenzi, che valevano ancor più delle parole.
Fuori pioveva forte, come piove in Liguria ad ottobre.
-Dunque- disse un po’ imbarazzato- Da dove comincio?-
Io risi:
-Comincia dall’inizio. Non ci si sbaglia mai, si comincia dall’inizio!-
Fuori pioveva che Dio la mandava.
-Pioveva anche allora, sul mar dei Caraibi, eravamo nel ‘51. Io ero al mio primo imbarco come terzo ufficiale di macchina. Tornavamo dal nord Pacifico, avevamo lasciato Panama da poco -
-Piove anche, sui Caraibi? Io pensavo che ci fosse sempre il sole!-
-Certo. Là la pioggia ti viene addosso come una cascata, tiepida, ma ti entra fredda nelle ossa. Eravamo sul Posidone, un Liberty-
-Cos’è il Liberty?-
-Una nave che gli americani costruivano per portare le truppe in Europa. Si diceva che ne costruissero una al giorno, durante la guerra. Le costruivano per fare un unico viaggio, di andata. Alla fine della guerra ne avevano lasciate un po’ dappertutto, e le vendevano agli armatori in Europa per pochi soldi. Le chiamavano one-dollar ship. Gli armatori italiani le avevano comprate e messe in mare, facendo rischiare la pelle a noi!-
-Erano mal costruite?-
-No, ma erano state fatte per un unico viaggio attraverso l’oceano, per cui erano di materiale scadente-
-La dura legge della guerra…-
-Già. Criminali erano invece certi armatori italiani, che le mandavano dappertutto, nella Manica o nel golfo di Biscaglia. Rinforzavano appena lo scafo con dei fascioni di ferro…-
-Si sfasciavano facilmente?-
-Puoi capire… in quel mare lì! Però sulla rotta dei Caraibi il rischio era minore…-
-Erano brutti tempi…-
-Già. Fame e rischio erano in equilibrio sui due piatti della bilancia, allora. Dieci nodi, macchina a triplice espansione da 2500 HP. Per andare e venire dal nord Pacifico ci mettevamo tre mesi, comprese le soste nei porti. Tre mesi!-
Giumìn s’era appena sposato: la giovane moglie viveva coi suoceri e lo aspettava a casa. Era appena passato il temporale della guerra: non c’erano case, non c’era lavoro.
-Avevo appena avuto quell’imbarco da ufficiale e mi leccavo le dita. Puoi capire. Uno stipendio fisso! In più a bordo si mangiava sempre, e quando sbarcavamo in America si mangiava a crepapelle!-
Sorrisi tra me. Sia io che lui eravamo diventati “ufficiali” in campi diversi per una misteriosa botta di fortuna. Eravamo emersi dalla “bassa forza”, come la chiamava lui, per una serie di circostanze fortunate.
La “bassa forza”, nel suo caso, erano i marinai, mozzi, piccoli, fuochisti: l’universo di bordo, più o meno raccomandabile.
-Dunque, pioveva e dovevo andare a poppa a controllare i timoni, attraverso il ponte di coperta. C’era mare lungo, ma il barometro cominciava a virare a sinistra. Quella pioggia mi aveva lavato e il freddo mi era entrato nelle ossa…-
Giumìn era famoso per patire il freddo: la moglie e i figli lo prendevano sempre in giro, per questo.
-Fu allora che mi venne incontro Marechiaro Santino, con accappatoio e asciugamani-
-Chi è questo Marechiaro?-
-Era! Un ragazzo di coperta, un allievo mozzo. Avrà avuto vent’anni. Aveva ancora gli occhi da bambino!-
-Allievo mozzo!-
-Ha detto: “Tenete, signor Marchese, riscaldatevi!”-
-Era un ruffiano degli ufficiali?-
Lui rise:
-No, era solo un bravo ragazzo, figlio di brava gente. Però…-
-Però?-
-Per sua sfortuna quasi tutta la bassa forza era stata reclutata fra Trieste, Dalmazia e Slovenia-
-Già, e lui era terrone!-
-Come hai fatto a capirlo?-
Restai un attimo in forse.
-Ma… dal nome!-
-Lo chiamavano terrone, maccarone. C’era uno slavo bastardo che l’aveva preso di mira. Gli affibbiava i lavori peggiori e gli faceva scherzi cattivi. A volte lo picchiava pure. Quel tipo, non mi ricordo come si chiamasse, era un vero bastardo!-
-Il comandante non faceva nulla?-
-Cercava di consolarlo, era un napoletano, di cuore buono. Un padre-
-Capisco. Quindi Santino si fece le ossa e riuscì a mettere a posto lo slavo…-
-Un corno…-
Giumìn scrollò la testa:
-Il terzo di coperta si chiamava Parodi. Parlavamo sempre in dialetto fra noi, perché eravamo gli unici ufficiali genovesi. Uno o due giorni dopo, mentre salivo dalle macchine, alla fine di un turno, mi disse una cosa in dialetto. -
-Cosa disse?-
-Disse: “Mia in po’ duve u l’è u Santin!” Sull’albero di maestra. Santino Marechiaro stava appollaiato sulla crocetta, proprio come un macaco sul pero!-
-Sull’albero!-
-Si: tutti, ufficiali e bassa forza, erano lì a cercare di farlo scendere. Il nostromo cercava di farlo scendere: “Scendi giù di lì, Marechiaro, non fare scemenze!”-
-Il secondo ufficiale di coperta, un brav’uomo, si era proposto di salire su a prenderlo, ma il comandante aveva detto di no. C’era il rischio che cadessero giù tutti e due!-
-Ah!-
-“Lasciatelo lì” aveva detto il comandante “Quando sarà stufo, scenderà!” Ti sembra una cosa crudele?-
-Beh, hai detto tu che erano tempi difficili!-
-Non c’entrano i tempi, è la legge del mare! Tutti in mare hanno il dovere di non essere stupidi, perché chi è stupido, in mare, può morire e far morire i compagni!-
Lo guardai e annuii.
Avevo avuto molti pazienti che navigavano e avevo imparato ad apprezzarli. Chi vive sul mare è sempre più pratico e saggio di chi vive in terra.
-Marechiaro mi faceva pena. Ho chiesto al comandante di mettere una rete sotto l’albero perché non si rompesse il collo se cadeva, ma lui ha detto di no:
-“Signor Marchese” ha detto “E’ salito da solo, scenderà da solo. Anche lui deve imparare a vivere!”-
-E invece è caduto…-
-Macché. E’ sceso, tutto nero di fuliggine perché il fumaiolo gli buttava lo scarico in faccia. Era anche duro come un pezzo di ghiaccio, e vomitava, perché la cima dell’albero rolla come un ottovolante!-
-Povero!-
-Il comandante l’ha fatto rinchiudere in cella. Penso che volesse sbarcarlo, e penso che fosse una buona idea!-
-Capisco-
-Purtroppo però avvennero due fatti determinanti. Il primo è che il mozzo Ugolini, amico di Santino, decise di fargli prendere un po’ d’aria e lo fece uscire un momento dalla cella. L’altro fu il passaggio del Posidone in vista di Aruba…-
-Aruba?-
-Aruba è un’isola che sembra una cartolina delle vacanze. Un paradiso verde con le spiagge di sabbia finissima!-
Io sgranai gli occhi:
-Fammi capire- dissi- Marechiaro s’è cacciato in acqua!-
-Si. Erano le quattro del pomeriggio e stavo uscendo di nuovo dalla sala macchine. Parodi mi è venuto incontro e ha esclamato: ”U s’è cacciou in ma…”-
-Accidenti!-
-Subito dopo ho sentito il suono della sirena…-
-“Uomo in mare?”-
-Si. “Ferma la macchina. Uomo in mare”! Nuotava verso Aruba a bracciate disperate, tutto nero di fuliggine: era già un punto nero in mezzo a cavalloni grandi come case!-
-Com’era il mare a questo punto?-
-Cresceva. Un momento pareva di essere in cima al mondo e subito dopo eri circondato da muri d’acqua! Ho chiesto a Parodi se gli avessero lanciato dei salvagente “Si” mi ha risposto. Ho guardato ma non si vedevano salvagenti, in acqua.
“Dove sono?” ho chiesto a Parodi “non li vedo!” Parodi ha aperto la bocca e ha fatto il gesto di azzannare l’aria un paio di volte…-
-Pescicani?-
-Si. Quei mari sono pieni. Seguono le navi aspettando che qualcuno lanci rifiuti in mare. Qualcuno lancia apposta delle cose per vedere quanto ci mette a comparire la sagoma nera, e la bocca con tutti quei denti!-
La pioggia non smetteva di cadere, e Giumìn diventava sempre più accorato.
-Quindi Santino…-
-Santino, poveretto, fu mangiato in meno di un minuto, credo, ma il comandante fece fermare lo stesso la nave!-
Giumìn fece una pausa
-Ora viene la parte più brutta della storia!-
-Racconta!-
-Fece agganciare la scialuppa ai paranchi con la squadra di salvataggio a bordo!-
-Certo, si è comportato come prescrive il Codice di navigazione!-
-Già. Ma sai a che è affidata la scialuppa, secondo il Codice?-
-Al terzo ufficiale?-
-Si. Ai due terzi. Comandavamo un gruppo scelto di marinai, tra i quali il comandante arruolò anche lo slavo coi baffi che taglieggiava Santino. Aveva un nome…non lo ricordo. Finiva il “cich”-
-Già, molti dei loro nomi finiscono in “cich”-
-Il comandante mise delle vedette e girammo per il mare alla ricerca di Santino-
-Aveva calato la lancia in mare?-
-No, stavamo appesi ai paranchi, per aria. Accendevo e spegnevo il motore, un vecchio Universal americano che non partiva mai, che per fortuna quella volta è partito. Accendi e spegni e guarda il mare, per sette ore, fino alle undici… il tutto mentre le onde si alzavano e cominciavano a coprirsi di spuma!-
-Guardavi il mare e cercavi Santino!-
Giumìn divenne triste e abbassò la voce:
-Da una parte pregavo di trovarlo, ma avevo anche paura che ci saremmo ribaltati, se ci avessero calati in mare! Pensavo a Santino gelato e disperato, ma pensavo anche ai denti dei pescicani! In quei momenti vai oltre la paura, perché sei concentrato tutto sul compito che devi portare a termine. Ti butti a fare quello che ti è stato ordinato. La paura viene dopo, quando tutto è passato!-
-Beh, è comprensibile- dissi io
-Quello che volevo dire però è diverso. Parodi e io ci guardavamo negli occhi e ci sembrava di vedere delle persone diverse, degli uomini che facevano il loro dovere. Gli slavi parevano delle statue. Dritti e impassibili, non dicevano una parola. Non muovevano muscolo, anche il biondo bastardo coi baffi che taglieggiava Santino. Stava lì, col remo dritto per aria, che pareva scolpito nel legno. Non avevano paura di niente, non mugugnavano, non si lamentavano!-
-Beh, però…-
-Sai quanti anni ho, vero?-
-Novantaquattro, Giumìn?-
-Bene, fino ad oggi non ho detto a nessuno che quando a mezzanotte ci tirarono su, mi sentivo fiero di me stesso, e da allora in poi gli altri ufficiali ci guardarono con rispetto!-
-Signor Marchese, signor Parodi- ha detto il comandante- Avete condotto bene la squadra! Lo scriverò sul libro di bordo!-
***
Mentre scendevo le scale pensavo a tutte le volte che io stesso avevo avuto paura prima di iniziare un intervento chirurgico difficile, nel momento che la fifa ti assale a tradimento. Quando concentri tutte le forze a cercare il fuoco del coraggio alla radice del tuo essere, che impedisca alla paura di diventare panico, e ricorri a tutte le tue risorse, dall’istinto alla ragione.
Poi quando ti guardi nello specchio vedi un uomo diverso.
Il vero coraggio, pensai, scaturisce sempre dalla fonte che abbiamo dentro noi stessi.
Quella fonte che certi mestieri ti obbligano a guardare in faccia.
Pensai che non tutti sanno di averla, e si perdono una cosa molto bella e molto importante.
3 febbraio 2019
Carlo Lucardi
AFFONDAMENTO DEL FRANCESCO CRISPI
AFFONDAMENTO DEL FRANCESCO CRISPI
ACCADDE 75 ANNI FA
943 Le Vittime
FRANCESCO CRISPI - Ts.l. 7.600 – Costruito: Muggiano – 1925
UN PO’ DI STORIA
A norma di quanto disposto dal D.M. Il 13 novembre 1931, la CITRA fu incorporata nella “FLORIO”, che assunse la nuova denominazione di “TIRRENIA” FLOTTE RIUNITE FLORIO-CITRA.
Nel 1937 fu trasferita da Flotte Riunite Florio-Citra al Lloyd Triestino. Requisita nel 1941 dalla Regia Marina e successivamente dal Ministero delle Comunicazioni.
Il 19 aprile 1943, a poche miglia dall'Isola d'Elba, tre siluri lanciati dal sommergibile inglese HMS SARACEN colpivano e affondavano il piroscafo del Lloyd Triestino FRANCESCO CRISPI mentre trasportava circa 1000 soldati italiani verso la Corsica. Perirono 943 persone fra i quali la maggior parte apparteneva ai Granatieri di Sardegna. Per molti giorni a seguire il relitto della nave restituì cadaveri che le correnti marine trasportarono fin sulle coste liguri. Una tragedia nella tragedia. La vigilia di Ferragosto dello stesso anno il sommergibile inglese HMS SARACEN fu inseguito dalle corvette della Regia Marina MINERVA ed EUTERPE che con il lancio di numerose bombe di profondità lo costrinsero prima ad emergere e poi lo affondarono a sole dieci miglia dal punto in cui aveva colpito il CRISPI.
L'ingegner Guido Gay, noto per aver ritrovato la Corazzata ROMA, grazie al suo ROV "Pluto Palla", riporta ora la luce sui relitti del piroscafo FRANCESCO CRISPI e del sommergibile HMS SARACEN e sulle loro lamiere contorte è scritta una tragica storia di 75 anni fa.
Finché visse mio nonno materno Filippo Machì, il nome della nave passeggeri FRANCESCO CRISPI rimbalzò spesso a ondate ricorrenti tra le pareti di casa nostra con la stessa tristezza che in genere si avverte per la perdita di un congiunto. Per molti imbarchi era stata la sua nave, la sua casa, i suoi amici, il suo lavoro da macchinista che gli aveva permesso di aprire, ormai da pensionato, una trattoria ubicata nelle vicinanze della cattedrale S. Lorenzo a Genova, riuscendo a dare alla numerosa famiglia un lavoro sicuro ed una clientela di noti Ufficiali e Comandanti del mondo dello shipping di allora.
Mio nonno Filippo a destra nella foto con al fianco il suo primogenito C.l.c. Elia Ufficiale di coperta e tutta la sua famiglia.
Bomba inesplosa nella Cattedrale di San Lorenzo a Genova
Ecco cosa rimase di quel quartiere di Genova…
Il 9 febbraio del 1941 Genova subì il suo primo ed unico pesante bombardamento navale da parte della flotta britannica: un evento bellico che, per le sue varie implicazioni di carattere politico e militare, e soprattutto psicologiche, segnò una svolta nell’andamento del conflitto. Per la prima volta, infatti, una grande città della penisola veniva scelta come obiettivo strategico da un avversario deciso a piegare la volontà di resistenza non soltanto del regime, ma anche della popolazione civile italiana.
“Giunte a circa quindici miglia da Genova, la Malaya e la Renown misero in posizione le torri prodiere e alle 8,12 i loro pezzi pesanti aprirono il fuoco, seguiti poco dopo da quelli di medio calibro dello Sheffield. Il bombardamento colse la città al suo risveglio e durò in tutto poco più di mezz’ora. La Malaya concentrò il suo fuoco sui bacini e sul porto, mentre la Renown e lo Sheffield bersagliarono l’area industriale. Complessivamente, le due corazzate spararono 272 colpi da 15 pollici e 400 da 4,5 - mentre lo Sheffield ne lanciò 782. Alcuni colpi da 381 della Malaya centrarono ed affondarono quattro mercantili e la nave-scuola Garaventa (la corazzata Duilio rimase invece indenne), danneggiando leggermente altre 18 unità. Uno dei giganteschi proiettili da 381 della Malaya perforò il tetto della cattedrale di San Lorenzo, ma fortunatamente non esplose, andandosi a conficcare alcuni metri sotto il pavimento, mentre altri centrarono la zona di Piazza Cavour. Ulteriori bordate colpirono alcuni edifici del centro, tra i quali il palazzo dell’Accademia e il primo stabile di sinistra all’inizio di Via Roma. La popolazione genovese pagò l’indubbia audacia dell’azione britannica con 144 morti, circa 200 feriti e ingentissimi danni”.
Il ristorante di mio nonno fu colpito e distrutto mentre i miei zii lo stavano raggiungendo per la consueta apertura. Al momento dell'esplosione si trovavano soltanto a poche decine di metri dal luogo dell'impatto; rimasero feriti ma si salvarono gettandosi d’istinto in un vicolo adiacente che gli fece da scudo quasi completamente.
Oggi, in quel sito di Via David Chiossone,
é ubicato il rinomato ristorante:
"LA BUCA DI SAN MATTEO"
Si salvarono fortunosamente anche gli altri componenti della famiglia ma perdettero le loro abitazioni e quasi tutti finirono all’ospedale per fratture multiple, ossa schiacciate, escoriazioni e contusioni varie; non ebbero il tempo di piangere su quelle macerie perché dovettero rimboccarsi le maniche per non morire di fame. Mio nonno era già anziano ma possedeva un’antica tempra di lottatore e, grazie ai suoi trascorsi professionali, riuscì ad imbarcare ancora una volta sul FRANCESCO CRISPI insieme al suo secondo genito che era Ufficiale di coperta.
Quell’imbarco fu molto lungo e pericoloso perché nel frattempo la nave era stata militarizzata, come abbiamo già visto, e destinata a trasportare truppe tra le sponde del Mediterraneo.
Ma questa volta il buon Dio ebbe pietà di loro … e fece in modo che padre e figlio sbarcassero 10 giorni prima che la FRANCESCO CRISPI venisse affondata dal sottomarino inglese SARACEN. Sbarcarono in tempo per raggiungere la loro famiglia che nel frattempo si era trasferita in collina (S.Agostino) a Rapallo.
Questa é soltanto una “piccola” storia famigliare tra le tante che sono state vissute dagli italiani più fortunati...
Sul sito di Mare Nostrum Rapallo abbiamo dedicato 60 articoli ai naufragi importanti ed anche a quelli dimenticati per i quali, ancora oggi, siamo giornalmente sommersi di richieste di notizie da parte di famigliari delle vittime. Queste persone meriterebbero l’attenzione del Governo e degli storici. Noi ci siamo assunti soltanto l’onere di tenere vivi quei ricordi per consegnarli alle nuove generazioni affinché non vengano dimenticati quei morti e le cause che li fecero sprofondare negli abissi del nostro mare.
IL SILURAMENTO DELLA FRANCESCO CRISPI
Proprio in questi giorni ricorre il 75° anniversario dell’affondamento del FRANCESCO CRISPI.
Il FRANCESCO CRISPI felicemente ormeggiato in banchina
Suggestiva immagine del FRANCESCO CRISPI
Il FRANCESCO CRISPI saluta il Porto di Livorno
Il FRANCESCO CRISPI ed il suo CARICO UMANO…
Il 19 aprile 1943, verso le 14.30, mentre navigava ancora con le insegne del Lloyd Triestino, venne intercettato e colpito con tre siluri dal sommergibile inglese H.M.S. Saracen che era in agguato a 18 miglia da Punta Nera (Isola d'Elba). Il piroscafo, pesantemente danneggiato, affondò in soli 16 minuti. Il convoglio, formato dalla Crispi con 1300 uomini a bordo, dalla nave trasporto Rossini e da alcune navi ausiliarie, era scortato dal cacciatorpediniere La Masa. Nell’affondamento morirono 943 uomini, in gran parte Granatieri di Sardegna, inviati ai presidi della Corsica occupata.
ll corpo dei Granatieri di Sardegna, al contrario della Brigata Sassari, non è mai stato costituito su basi esclusivamente regionalistiche. Il destino ha voluto che la tragedia del Crispi sia avvenuta il giorno dopo la sua fondazione, il 18 aprile, a Torino.
I Granatieri sono ancora adesso un corpo di fanteria dell'esercito. Discendono dall'antico Reggimento delle guardie, creato nel 1659 dal Duca Carlo Emanuele II. Oggi costituiscono una brigata tra le più impegnate delle forze armate italiane.
Il sottomarino britannico SARACEN (nella foto), varato il 16 febbraio del 1942, era la bestia nera dei convogli italiani in quel tratto di mare. Il Saracen si era distinto sin dalla sua prima missione, quando, al largo delle isole Fær Øer il 3 agosto del 1942, aveva affondato il sommergibile tedesco U-335. Il battello britannico aveva un dislocamento di 990 tonnellate, era lungo 65,9 metri, imbarcava un equipaggio di 48 uomini, era munito di 6-7 lanciasiluri e un cannone da 102/40. Il 9 novembre del 1942 aveva affondato in Sicilia al largo di Capo San Vito il sommergibile italiano Granito. Poi, nell'aprile del 1943 si era messo in agguato nel mar Ligure, intercettando i convogli italiani diretti in Corsica.
L’Ing. Guido GAY, piemontese di origine ma svizzero di adozione, ha ricevuto, l’8 Aprile 2018, il conferimento a Cavaliere di Santo Stefano. L’ing. Gay, esperto di “idrobotica” è l’inventore dei sottomarini robotizzati “PLUTO” che nel Giugno 2012, dopo anni di ricerche e tentativi, soltanto con propri finanziamenti e risorse, è riuscito a localizzare il relitto della corazzata ROMA al largo dell’isola dell’Asinara. Innumerevoli i riconoscimenti per questo straordinario ritrovamento anche da parte della Marina Militare. Ricordiamo che la ROMA, una delle più belle ed efficienti “Regie Navi da Battaglia” Italiane affondò in seguito ad una bomba radio guidata di nuovo tipo lanciata da un aereo tedesco il 9 Settembre 1943. Il Museo Marinaro di Chiavari ha dedicato innumerevoli conferenze alla Corazzata ROMA dato che delle 1393 vittime ben tre membri dell’equipaggio erano Chiavaresi, i Marinai Sebastiano Custo, Andrea Descalzi e il Tenente del CEMM Emilio Ruocco.
Recentemente l’Ing. Guido Gay è stato l’artefice del ritrovamento in fondo al mare del relitto del piroscafo FRANCESCO CRISPI del Lloyd Triestino affondato nel 1943 e del Sommergibile Inglese Saracen che lo aveva affondato.
Nella foto: a sinistra l'Ammiraglio Luigi ROMANI Cavaliere di Gran Croce, conferisce l’Ordine Militare di Accademico di Marina dei Cavalieri di Santo Stefano all’Ing. Guido Gay. Nella stessa cerimonia hanno ricevuto il Conferimento a Cavalieri di Santo Stefano anche i chiavaresi Comandanti Ernani ANDREATTA e il C.F. Giuseppe Massimo PENNISI.
(Foto sopra) Guido Gay ed i suoi sottomarini robotizzati “PLUTO”
La carta nautica mostra l’esatta posizione dei due relitti. Più a Nord il SARACEN più a Sud il CRISPI, scritti in rosso.
«Cercavo il Saracen da due anni - racconta Guido Gay - da quando ho avuto una richiesta di collaborazione da parte della Andrea Malraux, nave da ricerca del Ministero della Cultura francese». La tv francese sta infatti lavorando a un documentario sulla liberazione della Corsica, e siccome il Saracen aveva contribuito alle operazioni sbarcando agenti e truppe speciali sulle coste dell’isola, la troupe voleva trovare il relitto del sommergibile e filmarlo. «All’inizio non abbiamo avuto fortuna - continua Gay - poi ho proseguito da solo la ricerca, con il mio catamarano Daedalus, finché due settimane fa ho individuato il sommergibile». Il piroscafo Crispi, invece, «l’ho trovato per caso prima, il 31 maggio scorso». Dopo il team del Département des Recherches Archéologiques Subacquatiques et Sous-Marines, anche gli inglesi si sono fatti avanti quando hanno saputo del ritrovamento del loro sommergibile, e una targa commemorativa è già pronta per essere sistemata sul sottomarino.
Marina Mercantile
di Achille Rastelli (Storico Italiano)
Trasporti-di-truppe
L'attività principale nella quale furono impiegate le navi passeggeri fu però quella del trasporto di truppe verso i fronti oltremare, cioè verso la Libia, l'Albania, e poi, dall'inverno 1942-43, la Tunisia.
Lo sviluppo dell'aeronautica consentiva l'impiego di aerei da trasporto per l'invio immediato di piccoli reparti o per il rapido ripiegamento di feriti gravi; a volte furono impiegate in queste missioni anche navi da guerra, sacrificandole in un ruolo per il quale non erano state progettate.
La maggior parte di questo traffico si concentrò però, come era ovvio, sulle navi passeggeri, alle quali va attribuita la maggior parte dei militari trasportati e giunti a destinazione, per un totale di 1.242.729 soldati di tutte le armi.
Non è questo il luogo dove ricordare tutte le missioni svolte da queste navi, perché la loro storia è parte integrante della guerra dei convogli e, quindi, della storia della guerra sul mare della Regia Marina. Basti qui ricordare che, per la tipologia di unità, furono tutte della flotta Finmare e quindi sempre navi dello Stato, che per queste missioni viaggiarono quasi sempre come navi requisite, mai però militarizzate, e sempre con equipaggi della Marina mercantile.
Alcune di queste navi furono protagoniste di alcuni fra i più tragici episodi della guerra dei convogli: Neptunia e Oceania vennero affondate il 18 settembre 1941 dal sommergibile britannico Upholder, e morirono 384 uomini, dei 5818 che erano a bordo. La Conte Rosso, partita da Napoli per Tripoli il 24 maggio 1941 in convoglio con l'Esperia e la Marco Polo, venne silurata, sempre dal sommergibile Upholder, che le colpì con due siluri.
La nave affondò in 14 minuti, e morirono 1291 fra soldati e marinai; 1441 furono salvati dalle siluranti di scorta e dalla nave ospedale Arno giunta da Messina.
Una delle perdite più sentite dalla Marina mercantile italiana fu quella della motonave Victoria, una delle più belle e celebri navi italiane, colpita da aerosiluranti britannici al largo della Sirte. Perirono con la nave 249 uomini, tra cui il Capitano Arduino Moreni, Comandante della Victoria, ed il Comandante militare, capitano di vascello Giovanni Grana.
L'elenco delle navi passeggeri affondate durante missioni di trasporto truppe è tragicamente lungo: Sardegna, Viminale, Francesco Crispi, e Liguria del Lloyd Triestino, Caliteli, Esperia, Galilea (sulla quale morirono 995 alpini), Quirinale e Celio dell'Adriatica, Città di Agrigento, Città di Bastia, Citta di Tripoli, Firene, Catalani, Puccini, Aventino, Città di Catania della Tirrenia, più altre catturate dai tedeschi.
Alla fine della guerra erano poche le navi passeggeri rimaste in servizio, e su quelle poche si doveva contare per il riprendere il traffico civile, essenziale in quei primi mesi del dopoguerra.
CONCLUDIAMO CON LA MAI LOGORA CITAZIONE DI
PRIMO LEVI
“Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo”
Carlo GATTI
Rapallo, 2 Maggio 2018
BIBLIOGRAFIA:
- STORIA DEI TRASPORTI ITALIANI:
F.Ogliari, A.Rastelli, G.Spazzapan, Alessandro Zenoni.
Volumi: III-V-VII
- - LA MARINA ITALIANA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE:
Ufficio Storico della Marina Militare
- - IL BOMBARDAMENTO DI GENOVA - di Alberto Rosselli
- - GENOVA IN FIAMME (Edito dal Secolo XIX)
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IL SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DI MONTALLEGRO UN FARO DI FEDE PER LA GENTE DI MARE
IL SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DI MONTALLEGRO
UN FARO DI FEDE PER LA GENTE DI MARE
Festeggiamenti patronali 1-2-3 luglio
Una Icona bizantina per - “mano divina” – approda misteriosamente sul Monte Leto
Maria, a conferma della sua misteriosa visita sul monte Leto, lasciò una piccola ICONA bizantina (cm. 18x15) che raffigura la Sua Dormizione e Transito.
“Questo è il mio riposo per sempre: Qui abiterò perché l’ho desiderato”….” Dì loro che Qui voglio essere onorata”.
(Anonimo dal “IV Centenario dell’Apparizione della Madonna a Montallegro (1557-1957).
Per chi naviga in altura, il mare ed il cielo si abbracciano sulla linea dell’orizzonte. Il navigante, che é lontano dalla sua terra e dagli affetti più cari, si sente prigioniero di questo incantesimo che lo spinge spesso verso la tristezza e la chiusura al mondo. E’ così da sempre, ma lui non teme l’ignoto! Nel suo cuore ha un salvagente per tutte le situazioni: la linea d’orizzonte diventa una “cima” a cui aggrapparsi, una linea di fede, stranamente così si chiama a bordo la direzione della prora, e così comincia, senza neppure saperlo, a sorridere e ad affidarsi al Divino!
Un vecchio proverbio marinaro recita - Chi non sa pregare, vada in mare a navigare – Forse proprio da quell’antica saggezza nasce la DEVOZIONE che accomuna la gente di mare.
Tra noi gente della costa, schiacciati da sempre tra le impervie colline dure da coltivare, ed il mare dal carattere difficile da domare… sono esistite, fino a fine ‘800, solo due tipologie di persone: i contadini e i marinai, gente dura, veri interpreti della “cultura della fatica”. Gente che poteva contare solo sull’aiuto del cielo.
Non é dunque strano che in una terra dura e aspra come la Liguria, l’origine e la storia di molti Santuari si ritrovi intrecciata alla “cultura della fatica” e ai suoi personaggi.
Il Santuario di Nostra Signora di Montallegro nasce dopo l’Apparizione della Madonna del 2 luglio 1557 al contadino Giovanni Chichizola, nativo della vicina San Giacomo di Canevale; da quel giorno ormai lontano il Tempio, tanto caro alla gente tigullina emana, proprio come un FARO MARITTIMO, una forte luce diuturna per migliaia di naviganti che prima o poi lassù salgono in pellegrinaggio per pregare e lasciare una testimonianza di fede alla Madonna: un voto per GRAZIA Ricevuta durante il passaggio di un viaggio nell'inferno di CAPO HORN; ne abbiamo le testimonianze: tre velieri su cinque erano disalberati dai venti ruggenti e urlanti di quelle latitudini e si perdevano nei gelidi abissi dell’emisfero australe.
Con Quaranta ruggenti e Cinquanta urlanti vengono convenzionalmente indicate, nel mondo marinaro, due fasce di latitudini australi caratterizzate da forti venti provenienti dal settore OVEST (predominanti), le quali si collocano rispettivamente tra il 40º e il 50º parallelo e tra il 50º e il 60º parallelo dell'emisfero meridionale. Tali venti hanno la stessa origine dei venti da Ovest dell'emisfero settentrionale, ma la loro intensità è superiore di circa il 40 per cento: ciò è dovuto alla serie di intense depressioni che interessano queste zone, dovute all'incontro tra l'aria fredda dell'Antartide e l'aria calda proveniente dal centro degli oceani, inoltre questi venti sono amplificati dalla relativa scarsità di terre emerse nell'emisfero sud, cosicché soffiando sempre sul mare non incontrano mai la terraferma che li potrebbe frenare. La denominazione deriva dal nome dei paralleli alla cui latitudine soffiano questi venti: Quaranta o Cinquanta e dal rumore che il vento produce sibilando attraverso gli alberi, il sartiame e la velatura delle imbarcazioni a vela, che somiglia a un ruggito sui 40° e ad un grido sui 50°.
Da questi scontri durissimi con la natura selvaggia del mare nasce quel fenomeno mistico che ancora oggi si chiama DEVOZIONE MARIANA.
Tavolette, dipinti rustici, cuori argentati, grucce, vecchi fucili, proiettili, bombe a mano, attrezzi marinareschi e molti altri piccoli reperti: pezzi di salvagente, di cimette, bozzelli ecc…che in tempi più recenti diventano scatti fotografici che fermano il tempo su quei momenti tragici sofferti dalla gente di mare. Testimonianze che nell’assumere valore religioso, esprimono la fede, la speranza di salvezza e di protezione, e sono anche l’espressione di una gratitudine profonda ed indicibile.
Il sottile filo del tempo corre dalla preistoria fino ai giorni nostri unendo questi figli del mare immersi in tutte le attività ad esso collegate. Marinai che hanno dovuto affrontare la navigazione tra bonacce insidiose e tempeste estremamente pericolose, combattendo spesso a mani nude contro i frequenti attacchi dei pirati barbareschi che li depredavano, li sequestravano e li tenevano prigionieri nelle loro cale barbaresche in attesa del riscatto che veniva concordato con il “Magistrato genovese del riscatto degli schiavi”.
Dalle avventure di tal genere nascono spontanei gli ex voto raccolti a Montallegro e nei santuari mariani della nostra riviera, quale atto di devozione e di gratitudine per lo scampato pericolo, ma anche come manifestazione di religiosità, di quel senso spirituale che ogni uomo ha radicato in sé e che si estrinseca nei momenti difficili della vita.
Ex voto marinari che costituiscono un’espressione culturale riferita ai tempi cui appartengono. Vi sono alcuni capolavori che riflettono il talento ed il genio dell’esecutore e la profonda civiltà dell’ambiente in cui nascono e ci sono opere che, pur nella loro estrema semplicità, possono avere una loro sincerità ingenua e significativa, ma tutti trasmettono il palpito di una vita vissuta, intrecciata di pericoli di ogni genere, c’è insomma la vera arte popolare, un’arte forse minore, ma sublime e che talvolta può apparire primitiva, ma non per questo meno intensa e meno autentica dell’arte “colta”, per i valori artistici che vi si riscontrano.
Sebbene oggi, medie e grandi navi, tutte altamente automatizzate, solchino i sette mari con grande disinvoltura, le statistiche, purtroppo, ci dicono che il numero dei naufragi, è sempre alto: circa 400 l’anno, cifra costante, ineluttabile che spiega molto bene quanto si sia ancora lontani dall’aver capito i limiti della potenza del mare!
Tra i tanti, per lo più anonimi, ne scegliamo alcuni divenuti famosi per vari motivi storici, letterari ecc..
Il Voto del Raguseo
L’ex-voto su lamina d’argento raffigura la “caracca ragusea”, simbolo di destrezza e perfezione tecnica. C’è capitato di scoprire proprio a Dubrovnik (ex-Ragusa) altri esempi di Ex-Voto marinari, molto simili ai nostri e quasi sempre rappresentati con la “caracca di epoca colombiana”.
Iniziamo il nostro itinerario devozionale incontrando oggi il più antico e forse il più “chiacchierato” tra gli omaggi Per Grazia Ricevuta alla SS. Vergine. Si tratta di una lamina d’argento offerta dal capitano di mare Nicola Allegretta di Ragusa (l’odierna Dubrovnik-Croazia meridionale) che, scampato miracolosamente al naufragio del suo non specificato veliero su Punta Mesco, a causa di una terribile burrasca da libeccio, trovò rifugio nel golfo Tigullio e si recò poi pellegrino al Santuario il 26 dicembre 1574.
Il capitano Allegretti proveniva da questa realtà storico-geografica che per la sua peculiarità e grande fascino può ancora oggi reggere il confronto culturale con molte altre “perle” sicuramente più celebrate in Europa e nel mondo. Gli storici locali ci tramandano che la visita del Raguseo al Santuario di Montallegro si trasformò, molto presto, nel tentativo di recupero della Sacra Icona (la Dormizione di Maria), reclamata dalla comunità dalmata, che ne vantava la precedente proprietà. Ma qui, paradossalmente, avvenne un altro miracolo: il Senato genovese sentenziò, infatti, la restituzione del quadretto dell’Apparizione al termine di una vertenza legale che, tuttavia, non si realizzò a causa del misterioso rientro della Icona sul monte, che soltanto da quel momento cominciò a chiamarsi Monte Allegro per la felicità della popolazione che sentiva concretamente la protezione della Madonna. Lasciamo le questioni legali ed entriamo nel dettaglio dell’omaggio al Santuario, dal cui Codice Diplomatico (p.16-17) riportiamo:
“…Narra egli dunque di Nostra Signora del Monte il seguente bellissimo fatto, degno di perpetua memoria “ Dell’anno 1574 correndo naufragio Cap. Allegretti Raguseo con sua nave da mercanzia, che di là veniva a Genova, mentre si trovava nei nostri mari della Liguria, vicino a Monte Rosso delle Cinque Terre, radunatasi ha consolato tutta la ciurma, fecero voto unitamente a Dio, che se li avesse dall’imminente naufragio liberati, nel primo terreno o porto dove si fossero afferrati sarebbero tutti a piedi scalzi andati pellegrini alla Chiesa più memorabile per devozione che ivi fosse. Trascorsero per divina provvidenza portati dalla procellosa marea nel Golfo di Rapallo dove tranquillatasi la burrasca e accertati che la Chiesa di Santa Maria della Mont’Allegro che dalle spiagge li fu mostrata era la più rinomata per devozione e miracolosa che fosse non solo in queste parti, ma nei lidi della Liguria, pochi anni avanti colassù comparsa, non tardarono di andarla a visitare per adempire il voto fatto e vi portarono la tabella votiva o quadretto d’argento, in cui intagliata la Nave in atto di naufragare colla seguente inscrizione ancora oggi giorno nella Chiesa di detta Nostra Signora si vede.”
NARCISSUS
nave “speciale” così carica di ricordi letterari e nautici
L’Ex voto, di cm 87x67, dell’artista G. Roberto rappresenta il Narcissus in grave difficoltà nel passaggio del terribile Capo Horn, durante il quale l’equipaggio e la nave si salvarono miracolosamente per intercessione della “Vergine Santissima di Montallegro” il 22-23 .9.1903 La didascalia del quadro riporta la posizione geografica dell’avvenimento e i 12 nomi dell’equipaggio che offrono “in ringraziamento questo ricordo alla V.SS. di Montallegro (Rapallo) – Genova marzo 1904”.
Il dipinto ad olio del veliero Narcissus che si trova nel Santuario di Montallegro non è diverso dai tanti ex-voto che si ammirano nelle pinacoteche della devozione tra le due riviere, ma la sua presenza nell’immaginario collettivo, richiama alla mente mari scatenati, calme equatoriali e la sottile psicologia di tanti personaggi descritti magistralmente dal più grande scrittore di storie di mare Joseph Conrad, che proprio su quella nave imbarcò una prima volta da marinaio e poi da ufficiale di coperta con il brevetto di capitano di lungo corso che ottenne nel 1884.
Quando Conrad lasciò il navigare nel 1894, s’immerse ancor più nel suo mondo marinaro e per trent’anni scrisse i suoi romanzi, saggi e racconti, fra i quali risalta “The nigger of Narcissus”.
Joseph Conrad li definì così. Marinai di Capo Horn: “Una razza scontrosa e fedele, vigorosa e fiera, capace di ogni rinuncia e dedizione, con i suoi riti, i suoi usi, il suo coraggio e la sua fede…”
Brigantino a palo “Confidenza”. E’ un barco chiavarese per la navigazione atlantica. Dipinto su carta 78x57 cm. Secolo XIX.
Il terzo ex-voto è riferito ad un altro brigantino a palo, il “Confidenza”, costruito nel 1872 per lo stesso Armatore Dall’Orso di Chiavari. Lo scampato naufragio si riferisce al ciclone incontrato al largo di Filadelfia il 9 settembre 1889 che fu così riassunto dal suo capitano Giuseppe Lagomarsino ….”conoscendo l’eminente pericolo della perdita del bastimento e vita fece voto a M.S.S. di Monte Allegro e per la grazia ottenuta fece del presente quadro a questo Santuario in memoria eterna”.
In questa rappresentazione di gran pregio, la parte riservata all’iconografia sacra che riproduce l’apparizione della Vergine al veggente G. Chichizola è notevole e molto dettagliata.
Nave a palo Francisca, 1874. Lamina d’argento sbalzata.
Lo stesso avvenimento è ancora ricordato con una lamina d’argento sbalzata che raffigura il veliero che naviga a gonfie vele verso il suo destino. I due doni esprimono un contrasto: lo splendore, la velocità e la ricchezza di un veliero oceanico spinto da un buon vento, contro la caducità della vita, del rapido cambiamento del destino sottoposto alla spietata legge della natura avversa. In questi frangenti, rivolgersi alla Vergine significa, per il marinaio, aggrapparsi ad un’ancora di salvezza, simulacro di croce, la speranza di continuare a vivere.
Il brigantino affonderà nel 1887 probabilmente sotto i colpi del terribile monsone di SW che spesso arriva sul Capo di Buona Speranza con la massima forza della scala Beaufort. Il veliero proveniva dall’estremo oriente con un carico di riso.
Uragano sofferto nell’Oceano Indiano, 22.2.1874 dal brigantino a palo “Francisca”, 683 tonn. di Stazza lorda. Armatore Dall’Orso. Fu costruito a Chiavari dai Cantieri di Matteo Tappani nel 1873
Il dipinto, tempera su carta, dell’artista Fred Wettening rappresenta il veliero in balia della tempesta con vele stracciate ed una trinchettina di fortuna per mantenersi alla cappa (con la prua al mare) per non essere travolto dalle onde. In alto a sinistra è finemente stilizzata l’icona venerata della Dormizione della Vergine.
Le cerimonie religiose che ancora oggi si praticano in tanti porti del Mediterraneo sono incantesimi, perennemente reiterati contro il capriccio delle bufere e delle tempeste. Gli ex voto di marinai scampati al pericolo parlano di quella paura annidata nel cuore degli uomini, che mai si abbandonano a cuor leggero alla perfidia delle onde. E' alla Vergine Maria, "Stella Maris", Stella del Mare, che i marinai dell'occidente raccomandano i loro carichi, e soprattutto i loro corpi e le loro anime.
Fernand Braudel
Maria, come recita un antico inno, è, specialmente nel mese di Maggio, invocata come "Stella Maris". Perchè la Madonna viene chiamata "Stella del Mare"? Le stelle si presentano come un segnale luminoso e posseggono un loro fascino simpatico e misterioso per tutti noi, ma per quanti operano in mare esse sono sempre state fondamentali per la sicurezza della navigazione.
Quando il cielo era limpido e la notte serena, la loro fiammella era il richiamo rassicurante per il procedere in mare ed in vista della meta desiderata. Ed anche quando il firmamento restava oscurato dalle nuvole, era motivo di fiducia il pensiero che comunque le stelle al di là continuavano ad esistere e non cessavano di mandare la loro flebile luce, anche se momentaneamente non veniva percepita.
Nel mare della vita tutti abbiamo bisogno di avere qualche stella, che ci mandi la sua luce, ci indichi il cammino, ci doni sicurezza. Quando siamo sinceri con noi stessi sentiamo che non si può vivere in una continua oscurità e senza almeno qualche certezza. La notte della mente e del cuore fa paura, suscita ansia, blocca la vita e nessuno può essere talmente masochista da voler vivere in una situazione di perenne confusione e di vuoto interiore.
Abbiamo bisogno di luce spirituale per vivere sereni, vogliamo vedere davanti a noi il cammino da percorrere, desideriamo conoscere la strada del nostro destino e la meta della nostra vita.
Maria può essere quella guida materna che la nostra vita ricerca, si presenta come la stella luminosa del mattino delle nostre giornate, è la voce di quel navigatore spirituale che indica la strada da percorrere.
“Fate quello che Gesù vi dirà”. Ecco la voce della stella, ecco l’indicazione del navigatore. Ha un nome, Maria, e dice una cosa: “Fate quello che Gesù vi dirà”.
Maria è la stella del mare della vita, che manda la sua luce solo a quanti alzano gli occhi verso di lei e sanno mettersi nel silenzio, come quando vogliamo ascoltare il silenzio delle stelle.
Solo chi sa stare in silenzio può percepire la voce dell’altro che parla, riesce ad ascoltare i propri sentimenti, ha la capacità di rispondere agli interrogativi del suo cuore e quindi riesce a dare luce al cammino della propria vita.
“Vi è un incanto nei boschi senza sentiero ed è un’estasi sulla spiaggia solitaria vi è un rifugio dove nessun importuno penetra. Accanto alla profondità del mare ed alla musica del suo frangersi riesco ad amare più la natura di quanto ami l’uomo. In questi colloqui riesco a liberarmi da quanto sono o credo di essere stato per essere un’unica cosa con l’universo e sentire quanto non riesco ancora ad esprimere e che non so neppure nascondere.“
Scritto da Lord George Gordon Byron allo Stella Maris nell’anno 1821
Significato
Nome composto da Maria Stella. Maria deriva dall'ebraico Maryàm e vuol dire "principessa, signora", mentre Stella ha origine latina ed il suo significato è "luminosa come un astro". Può comparire anche nelle forme Maria Stella o Maristella. Stella Maris ossia Stella del mare è un antico titolo utilizzato per Maria Vergine, madre di Gesù. L'onomastico può essere festeggiato il 12 settembre giorno dedicato al Santissimo Nome di Maria oppure l'11 maggio in memoria di Santa Stella martire.
L’immagine della STELLA MARIS qui raffigurata è forse la più conosciuta a bordo delle navi
MAESTRA E SIGNORA DEL MARE
Secondo questa interpretazione il nome di Maria deriverebbe da MOREH (ebr. Maestra-Signora) + YAM (=mare): come Maria, la sorella di Mosè, fu maestra delle donne ebree nel passaggio del Mar Rosso e Maestra nel canto di Vittoria (Es 15,20), così "Maria è la Maestra e la Signora del mare di questo secolo, che Ella ci fa attraversare conducendoci al cielo" (S.Ambrogio, Exhort. ad Virgines).
Altri autori antichi che suggeriscono questa interpretazione: Filone, S. Girolamo, S. Epifanio. Questo parallelo tipologico tra Maria sorella di Mosè e Maria, madre di Dio, è ripreso da S. Agostino, che chiama Maria "tympanistria nostra" (Maria sorella di Mosè e la suonatrice di timpano degli Ebrei, Maria SS. è la tympanistria nostra, cioé dei Cristiani: il cantico di Mosè del Nuovo Testamento sarebbe il Magnificat, cantato appunto da Maria: questa interpretazione è sostenuta oggi dal P. Le Deaut, uno dei più grandi conoscitori delle letteratura tergumica ed ebraica in genere: secondo questo autore, S. Luca avrebbe fatto volontariamente questo parallelismo.
Quando nel volto di Maria il poeta Giorgio Caproni ricordava con nostalgia inquieta la fede della sua infanzia: "Nel vago della notte, io disperso mi sorprendevo a pregare. Era la stella del mare".
Oggi festeggiamo il nostro destino, che è di vita e non di morte. Maria, assunta in cielo, dice che il miracolo della Resurrezione non è privilegio divino, ma meta per tutti. La Vergine ci precede, e ci mostra la via.
Non a caso una delle metafore più usate dai poeti di ogni tempo è proprio quella di Maria stella del cielo, che indica la rotta ai naviganti. La stella polare indica il Nord a tutti
Per il mio nuovo viaggio lungo le rotte della memoria, non cerco porti idonei alla partenza o ai ritorni; non cerco nave od equipaggio. La terra, la mia, farà da porto e da riparo; e magicamente sarà nave ed equipaggio. Insieme veleggeremo, fatalisticamente sospinti da ataviche maledizioni, da fallaci certezze, da vecchie e nuove paure, alla ricerca di serene spiagge, di gioiosi lidi. Alla Stella del Mare raccomando questo singolare veliero, insieme ai corpi ed alle anime del nostro equipaggio. A mia madre rivolgo pensiero e gratitudine e a lei dedico gli esiti incerti e le possibili conquiste del viaggio; a mia moglie, come ad ogni partenza, la promessa del primo abbraccio del ritorno.
Il comandante
Carlo GATTI
Rapallo, 30 Marzo 2020
22 MAGGIO 2020-GIORNATA DI PREGHIERA E MEMORIA PER TUTTI I MARINAI E PER IL POPOLO DEL MARE
AGENZIA D'INFORMAZIONE
22 MAGGIO 2020
NEGLI STATI UNITI SI CELEBRA OGGI LA GIORNATA DI PREGHIERA E MEMORIA PER TUTTI I MARINAI E PER IL POPOLO DEL MARE
In questo momento 18 milioni tra navi maggiori e minori navigano sui mari di tutto il mondo
Nel 1933, il Congresso dichiarò la Giornata marittima nazionale per commemorare il viaggio a vapore americano della SAVANNAGH dagli Stati Uniti all'Inghilterra, segnando la prima traversata di successo dell'Oceano Atlantico con propulsione a vapore.
Afferma l'Amministrazione Marittima degli Stati Uniti sul suo sito web:
"Durante la seconda guerra mondiale oltre 250.000 membri della marina mercantile americana hanno servito il loro paese, con oltre 6.700 persone che hanno dato la vita, centinaia sono stati arrestati come prigionieri di guerra e più di 800 navi mercantili statunitensi sono state affondate o danneggiate".
Come parte della tradizione, ogni anno il Presidente degli Stati Uniti offre un annuncio in riconoscimento della festività e dell'importanza della Marina mercantile degli Stati Uniti.
Si celebra oggi in tutti gli Stati Uniti la Giornata nazionale di preghiera e di memoria per tutti i marinai e per il popolo del mare.
Istituita nel 1933 dal presidente Roosvelt per celebrare l’arrivo a Liverpool della prima nave a vapore SAVANNAH partita proprio il 22 maggio da Savannah in Giorgia, la celebrazione voleva onorare la Marina mercantile americana e oggi ricorda tutti coloro che lavorano sui mercantili e i benefici apportati dall’industria marittima alle nostre società. Brendan J. Cahill, vescovo della diocesi di Victoria, in Texas e responsabile dell’Apostolato del Mare (Aos), ha celebrato una messa sabato 19 maggio nel santuario nazionale dell’Immacolata Concezione a Washington DC e ha incoraggiato ogni diocesi a ricordare, il 22 maggio, tutti gli uomini e le donne del mare sia nel corso delle omelie che con preghiere speciali.
L’Apostolato del Mare (Apostleship of the Sea – Aos) è un organismo della Chiesa cattolica che accompagna nella loro particolare vita di fede, i marittimi, i pescatori, le loro famiglie, il personale portuale e tutti coloro che lavorano o viaggiano in alto mare per lunghi mesi, indipendentemente dalla razza, dal colore o dal credo.
Negli Stati Uniti, l’Aos è presente in 53 porti marittimi di 26 Stati e in 48 diocesi. Cappellani sacerdoti, diaconi, religiosi e laici offrono attraverso questo servizio una “casa a chi è lontano da casa” per i marittimi attraverso la messa, la comunione, la confessione e altri sacramenti. A questo si aggiunge l’assistenza ai marittimi in difficoltà, le visite alle navi, piccoli centri sulla terraferma, con connessione internet, telefoni cellulari e schede telefoniche che facilitino i contatti con le famiglie. Durante le celebrazioni si è ricordato anche il messaggio che il cardinal Turkson, prefetto del Dicastero per lo sviluppo umano integrale, aveva inviato lo scorso anno ricordando che “il lavoro duro di oltre 1,5 milioni di marittimi, che trasportano quasi il 90% dei beni da noi utilizzati, ci consente di vivere una vita confortevole”. L’otto luglio prossimo, in occasione della giornata mondiale del mare, anche la Chiesa statunitense proporrà iniziative e celebrazioni per i marittimi.
U.S. Celebrates National Maritime Day
Giornata marittima nazionale!
Ogni anno, il 22 maggio, gli Stati Uniti celebrano la Giornata marittima nazionale, una festa in osservanza dei contributi degli uomini e delle donne della Marina Mercantile Americana, nonché dell'industria marittima degli Stati Uniti e dei benefici che porta al paese in termini di trasporti, posti di lavoro, merci, attività ricreative e sicurezza nazionale.
La data del 22 maggio è significativa perché segna il giorno in cui la SS Savannah nel 1819 partì per il primo viaggio riuscito da parte di una nave a vapore attraverso l'Atlantico, scatenando silenziosamente una nuova era di viaggi e trasporti marittimi.
La Giornata marittima nazionale fu dichiarata per la prima volta dal Congresso nel 1933, ma la festività assunse un significato speciale nella seconda guerra mondiale quando i membri della Marina mercantile degli Stati Uniti trasportarono le truppe e i servizi necessari alle truppe all'estero, il tutto subendo un tasso di perdite straordinario.
IMO
(Organizzazione marittima internazionale)
celebra la Giornata del Marittimo il 25 giugno
Con la sua campagna di sensibilizzazione “I AmOnBoard” nei confronti di un lavoro svolto sul mare, ma anche per il mare e con il mare, al di là del ”genere”. Per tutto il 2019, c’è una forte enfasi nel mondo marittimo sull’importanza e il valore delle donne all’interno dei ranghi professionali. Tutto è iniziato con la Giornata mondiale del
Mare (Empowering Women in the Maritime Community)
che ha portato una risonanza molto forte e di vasta portata. Sicuramente, le tantissime donne che lavorano sul mare e a bordo di navi in navigazione, meritano una giusta attenzione.
È un’opportunità per le donne in una vasta area di carriere e professioni marittime, ma che occorre focalizzare i tanti aspetti che i marittimi in genere soffrono, a partire dai contratti di lavoro che riguardano solo i periodi d’imbarco e per finire ai tanti certificati (STCW) per poter svolgere la professione di “gente di mare”.
In particolare, contestiamo la deriva culturale dei Nautici italiani in professionali dei trasporti; la rivoluzione culturale che non esistono più ”Comandanti e o Capitani” – della via in mare – ma solo conduttori di un mezzo, su vie stabilite e pianificate dall’economia e non dalla navigazione, chiamato ancora nave. Per l’Italia dei marittimi e portuali il problema è ancora più complesso, visto che ancora non si riesce a ristabilire un Ministero del Mare e della marina Mercantile, e che la maggior parte dei marittimi non si riconoscono “ferrovieri e camionisti”.
“E’ chiaro che nella categoria dei marittimi vi sono tutti i lavoratori che operano si sul mare, ma anche per e con il mare. Anche quest’anno si può partecipare sui social media “ # IAmOnBoard” per mostrare la propria solidarietà per l’uguaglianza di genere nella marineria, sia su Twitter, Facebook e Instagram. Buon vento in poppa e mare calmo a prua.
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25 Giugno 2012: Giornata Internazionale del marittimo
Argomenti:
Persone ed Enti:
CONFERENZA EPISCOPALE STATUNITENSE
Luoghi
Carlo GATTI - Nunzio CATENA
Rapallo, 22 Maggio 2020
M/Y DIONEA
M/Y DIONEA
Durante i primi Anni ’60, nell’Alto Adriatico si costruivano Traghetti per i VIP che, al termine della loro carriera, con pochi lavori di refitting entravano nel mercato degli Yacht di classe, con tutto l’onore ed il rispetto per un trascorso passato di alta marineria che meritavano allo stesso modo dei marinai che portano sul cuore la medaglia di Lunga Navigazione, di onorato servizio senza incidenti gravi.
Questi scafi speciali di un tempo ormai lontano, erano molto marinari e potevano sopportare crociere lunghe ed impegnative avendo alle spalle una lunga esperienza di mare. La DIONEA ci sorprende ancora oggi, a distanza di quasi 60 anni di vita, per la purezza delle sue linee e per l’eleganza delle sue sovrastrutture che ci ricordano, in versione ridotta, i grandi ed elegantissimi liners italiani che erano inimitabili nel loro shape per quella inconfondibile ARTE ITALIANA che divenne celebre nel mondo.
Attualmente la DIONEA si trova a Genova e, dobbiamo osservare che, tra tante navi moderne che entrano ed escono dal Porto, essa risalta ancora per la sua bellezza, per quel fascino antico che a dirla tutta era veramente sprecato nel ruolo di traghetto costiero.
Un tempo le navi passeggeri erano considerate “opere d’arte”, erano tutte BELLE nei porti e molto marine in navigazione; purtroppo quei concetti non sono più applicabili alle navi di ultima generazione che devono soddisfare l’aspetto economico, disegnato e calcolato sulla base di parametri che hanno a che fare soltanto con la capienza e la capacità di trasporto merci o passeggeri.
COSA E’ OGGI LA DIONEA?
Costruito dai cantieri navali di Felszegi nel 1962 come un traghetto di alto livello, nel 2003 DIONEA fu convertito e rimesso a nuovo come nave di lusso dal noto cantiere italiano T. Mariotti - Genova.
Il progetto di refitting abbina l’affascinante atmosfera dei vecchi tempi con il lusso atteso da una moderna nave charter con “interni” eleganti di Ivana Porfiri. Gli “esterni” vantano due opzioni per mangiare all’aperto sul ponte di poppa principale, e il wheeldeck a poppa vanta lettini prendisole e un grande bimini.
(Un top Bimini è un top in tela con apertura frontale per l'abitacolo di una barca o jeep, generalmente supportato da un telaio metallico. La maggior parte dei Biminis può essere collassata quando non in uso e sollevata di nuovo se si desidera l'ombra o il riparo dalla pioggia)
Da quella data la Dionea è diventata uno yacht ideale per una crociera romantica o in famiglia nel Mediterraneo e per eventi aziendali (Festival di Cannes, Cannes Lions). Grazie alla sua eccezionale capacità e al suo enorme spazio sul ponte, DIONEA può ospitare per esempio: fino a 120 ospiti per cocktail in banchina dove gli invitati sono accolti da un equipaggio esperto, dinamico e professionale di nove persone.
UN PO’ DI STORIA…
Varo in TANDEM....
Nel 1962, giunge l'ora della sostituzione di anziani traghetti con la messa in linea delle bellissime motonavi AMBRIABELLA e DIONEA, affiancate dalla più grande EDRA.
Le due gemelle per molti anni si alternano sia sulla linea Trieste-Muggia-Capodistria che su quelle per Grado e Grignano-Sistiana ma, per ragioni economiche, nel 1976 la Società è costretta a ridurre i servizi e cedere la motonave AMBRIABELLA ad un armatore straniero, Qualche anno dopo anche la motonave EDRA viene venduta alle Ferrovie dello Stato che la trasferiscono sullo Stretto di Messina. Rimane così solo la motonave DIONEA la quale, nel 1978 abbandona la linea per Muggia e va a sostituire la sorella maggiore EDRA.
LE DUE NAVI SULLO SCALO DI COSTRUZIONE DEI CANTIERI NAVALI FELSZEGI DI TRIESTE
Sullo sfondo della DIONEA in navigazione si scorge il Castello di Miramare (Trieste)
La DIONEA in navigazione veloce
La DIONEA all’ancora
I Favolosi Anni ’60 - Una scialuppa, dice la didascalia nella foto, é evidente il richiamo all’estetica e alla eleganza dei personaggi inquadrati. Da segnalare un particolare tecnico: l’elica é protetta dal mantello KORT é viene manovrata come fosse un timone.
OGGI
INFORMAZIONI STORICHE
Impostata il 30.05.1961 - Varata l'11.01.1962 - Allestita ai Cantieri san Rocco nel 1962 - Consegnata il 20.06.1962 alla Società di Navigazione Alto Adriatico di Trieste.
Dati tecnici originari : stazza lorda: 292,49 tonn - portata lorda: 115 ton - lunghezza ft: 51,82 m - lunghezza pp: 45,60 larghezza ff: 7,40 m - altezza: 3,25 m - immersione: 2,20 m - App. motore: 2 Fiat S.G.M. 2x650 cv - Velocità: 15,06 nodi - Passeggeri: 314
Nel 1979 passò in gestione al Lloyd Triestino e nel 1987 all'Adriatica di Venezia - Dal 1991 in disarmo e poi nel 1993 ceduta ad un armatore greco e ribattezzata KALARA sotto bandiera dell’Isola di Man - Nel 1999 trasferita a Genova al Cantiere T. Mariotti per essere ristrutturata e trasformata in yacht di lusso per charter nuovamente con il nome di DIONEA - Dal 2002 in gestione alla Società Armatrice Mariotti S.p.A. (dati dal sito www.ilcarbonaio.it)
Lapo Elkann, nipote di Giovanni Agnelli, é stato a bordo due volte per tre settimane: “la Dionea ha un fascino e una classe che nessun scafo moderno può vantare e che prima o poi qualcuno la comprerà”.
Carlo GATTI
Rapallo, 13 Maggio 2020
IL RITORNO
IL RITORNO
.. Il Santa Caterina ritorna !!!
La notizia correva di caruggio in caruggio.su per le erte scale di ardesia delle alte case ammucchiate sul porto…
Il clipper dato per scomparso da più di un mese ritornava..
Tra poco avrebbe doppiato il promontorio e sarebbe apparso con la sua maestosa velatura all’orizzonte.
“Il Santa Caterina ritorna ! …”: lo udirono le madri, le mogli. le sorelle di coloro che da tre anni erano lontani per mari sconosciuti e in un frusciare dl gonne, ondeggiar di scialli, rumorio di zoccoli e scarpe si ammucchiarono sul molo vicino al faro.
“Il Santa Caterina ritorna !... Lo udì la moglie del comandante mentre compilava la lista della spesa della giornata e alla serva che la guardava silenziosa. quasi aspettandosi ordini speciali. disse “Non è venerdì di quaresima e non facciamo sempre zemin di ceci e baccalà al verde " e la serva non riuscendo a trattenersi". Ma io credevo ... ritornando dopo tre anni ... al comandante forse piacerebbe...” "Zitta, pettegola! Non c’è niente da credere ... o da pensare ... va’ a fare il tuo dovere!”
Stringendo le labbra prese uno scialle dall’armadio sistemò i capelli allo specchio e gli occhi le caddero sulla lettera che sporgeva dalla scatola dei fazzoletti, l'ultima che aveva ricevuto: senza troppi riguardi il marito l'avvisava che sulla nave con lui c’era la figlia di non so quale capo per la quale doveva far preparare la villetta al Boschetto che era un onore per loro ospitarla ...
Quella lettera che annunciava un fatto che non era poi tanto insolito (c'erano stati figli e figlie di maraja che dopo alcuni mesi passati da loro, proseguivano per l’Inghilterra dove andavano a studiare ...) le era sembrata tuttavia quasi minacciosa come se questa volta tutto fosse diverso: era una lettera distratta senza affetto (non che il comandante fosse poi troppo espansivo ma tra loro c’erano frasi scherzose e certe allusioni che prendevano il posto di mille romanticherie): più la rileggeva, più i1 suo cuore si stringeva …
"il Santa Caterina ritorna!” Lo udì Maddalena con un brivido, mentre appena uscita dal letto dell’amante, si aggiustava i capelli davanti allo specchio ... Senza svegliarlo si vestì in fretta e scese furtivamente le scale.
Era una di quelle giornate di inizio marzo, quando un mare di ardesia rispecchiava un cielo uguale e l'orizzonte ingialliva dl zolfo sbiadito:colpi di vento marezzavano la superficie delle acque e nell’ aria c'era qualcosa di inquieto come quando d'estate si attende il temporale.
All'estremità del molo accanto al faro si stringeva il gruppo grigio marrone nero delle donne: davanti a tutte con la sua cuffia merlettata la moglie del comandante.
Giungevano intanto abbandonando gli attrezzi pescatori e carpentieri, insomma una piccola folla si arrampicava sulla scogliera per scrutare il tratto di mare verso la punta della Chiappa … Il vento si era fermato: i gabbiani silenziosi erano allineati sulle rocce, sui prospetti dell’antico castello.
“Eccola! “un grido a più voci segnalava l’apparizione della prua che doppiava il promontorio: presto l’intera imbarcazione sarebbe apparsa alla vista … ed ecco che il grido gioioso si smorzò: a poca distanza dalla nave le nubi presero forma di cono,un turbine grigio scuro si alzò tra cielo e mare e ruotando sull’acqua si diresse verso il promontorio …
Le donne caddero in ginocchio: il vascello ora era tutto in vista, ma era chiaro che, salvo un miracoloso evento, il turbine lo avrebbe investito in pieno. E così fu. In breve le vele divelte, si vide il “Santa Caterina” inclinato di prua a imbarcare acqua: all’unanime grido straziato delle donne risposero i richiami degli uomini che armati velocemente gozzi e barche, si dirigevano verso il disastro non disperando di riuscire a raccogliere i sopravvissuti.
Sul molo le donne si stringevano e ognuna cercava dentro di sé la forza di accettare la probabile disgrazia anche se,come sempre accade,la speranza non voleva spegnersi.
Maddalena artigliava le dita allo scialle: pallida guardava verso l’orizzonte. No, non poteva credere che il terribile pensiero che, alla notizia del ritorno, la sua mente aveva formulato si fosse concretizzato davanti ai suoi occhi. Si teneva in disparte per evitare le maligne occhiate delle altre. Lì in quell’alveare di case strette tra mare e collina nessuno parlava apertamente, ma tutti sapevano tutto degli altri. Si inginocchiò anche lei a pregareorgo.
Solo la moglie del comandante era in piedi: per lei, visto che appariva chiaro che la nave sarebbe affondata, non poteva esserci alternativa: il comandante avrebbe seguito la sorte del “Santa Caterina”. Conosceva bene l’orgoglio del marito.
Cominciarono a rientrare nel porto le prime imbarcazioni: vivi e morti raccolti insieme, gioia e grida di angoscia si mescolavano. I morti allineati sul molo venivano pietosamente coperti,l a campana cominciò a suonare lugubri rintocchi…
All’orizzonte ormai del “Santa Caterina” era visibile solo una parte di poppa e il mare a poco a poco avrebbe forse restituito relitti e i corpi che mancavano all’appello: tra di essi anche quello del marito di Maddalena. Solo meno di un terzo dell’equipaggio era sopravvissuto … da almeno vent’anni il piccolo porto non era stato colpito da una tale disgrazia.
Tutti gli occhi erano tuttavia attratti verso una delle imbarcazioni rientrate. In essa, assieme ai due rematori, c’era una grande cassa di legno arabescato, con un verricello fu issata a riva: galleggiava presso il relitto.
Con i suoi preziosi intarsi suggeriva mondi lontani: gli occhi di tutti fissavano la moglie del comandante che pallida con impassibile volto si avvicinava.
Dalla cassa improvviso uscì un gemito che fece indietreggiare spauriti quelli che la circondavano.
“Aprite!” fu l’ordine secco della donna: apparvero sete multicolori :il lamento veniva da un viluppo dorato; apparve un piccolo volto color avorio antico e due grandi occhi scuri smarriti…
Consapevoli sguardi corsero tra la folla “Ecco un altro di quei foresti che portava il comandante!” Cosa avrebbe fatto ora la scià Eugenia ? ora che il comandante era morto?
La ragazza, ancora quasi una bambina, era stata rivestita pietosamente di panni asciutti: un carrozzino era arrivato per portarla come consuetudine alla villa del Boschetto con la sua preziosa cassa, ma eccola d’improvviso avvicinarsi ad Eugenia tendendo le braccia con una sola incerta parola “Mother!”
Tutti videro il viso della donna arrossire e gli occhi riempirsi di lacrime mentre la prendeva per mano.
“Al Boschetto, scià Eugenia ?” “No, Giuachin, andiamo a casa”
Maddalena, sfuggendo alle parole di condoglianza, desiderava solo un angolo buio dove rifugiarsi :nel tumulto della sua mente vedeva solo visi accusatori e le sembrava di dover subire un orribile castigo, anzi forse lo desiderava ardentemente in un angolo del suo cuore … sentì una mano sfiorarle il braccio, era Pin, il suo amante, Scosse rabbiosamente il braccio “Via, via! Vattene! mai più,… mai più !”
La vide sparire come una furia su per la salita.
di Maria Grazia
Bertora
Rapallo, 31 Gennaio 2019