KUWAIT - CRONACA DI UNA COLLISIONE
KUWAIT
CRONACA DI UNA COLLISIONE
Il Kuwait é un emirato sovrano che si affaccia sul golfo Persico ed é incastonato tra l'Arabia Saudita a sud e l'Iraq a nord.
Il nome è il diminutivo di una parola araba che significa “fortezza costruita vicino all'acqua”. L'antico nome della regione era Qurayn.
il Kuwait è uno stato di modeste dimensioni, poco meno del Veneto, con una popolazione di un milione e 300.000 abitanti a cui si sommano due milioni e mezzo di immigrati, prevalentemente da Filippine, Pakistan e India, fondato su un’immensa risorsa, il petrolio, a cui si affianca una fiorente attività commerciale ed un welfare avanzatissimo.
Nonostante le dimensioni fisiche e demografiche, i numeri raggiungono quote considerevoli quando si vanno ad analizzare valori come la ricchezza, i livelli di produzione, investimenti e sviluppo.
La scoperta di enormi giacimenti petroliferi ha luogo negli anni ’30 del XXI secolo e lungo i decenni successivi, fino ad oggi, questa materia prima ha trainato lo sviluppo del paese. Uno dei fattori che contribuisce alla fama di apertura e democraticità del Kuwait è la sua costituzione, introdotta negli anni ’60.
Kuwait City é la capitale del Kuwait. Una città che si estende per 24 chilometri, unico grande centro abitato del Paese, presenta una grande varietà di grattacieli. Il più alto misura 400 metri ma c’è già l’idea di realizzarne uno ancora più ardito.
Oggi il Kuwait è una nazione che, pur nel pieno rispetto delle proprie tradizioni culturali e religiose, si sta aprendo molto all’Occidente e, in particolare all’Italia. Qui tutto ciò che è italiano piace moltissimo, dalla cucina alla moda alle auto, soprattutto le fuoriserie a marchio Ferrari o Maserati.
Grazie all’associazione Italia-Kuwait c’è stata la possibilità di conoscere da vicino questo Paese che è riuscito a ricostruirsi in tempo record dall’invasione di vent’anni fa da parte dell’Iraq.
MA IL MONDO PETROLIFERO DEL GOLFO PERSICO E’ MOLTO MENO ATTRAENTE……
CRONACA DI UNA COLLISIONE
T/n FINA ITALIA
Dati nave:
Anno di Costruzione |
Cantiere di Costruzione |
N° di Costruzione |
Armatore |
Bandiera |
1956 |
Ansaldo – Genova Sestri |
1509 |
Compagnia Marittima Palermitana - Palermo |
Italiana |
Stazza Lorda (t) |
Stazza Netta (t) |
Portata Lorda (t) |
Nominativo Internazionale |
Porto di Registro |
20.736 |
12.196 |
31.546 |
ICPA |
Palermo |
Mina Al Ahmadi, 25 Febbraio 1965.
Segue il Rapportino firmato dagli ufficiali di guardia che erano in manovra durante la collisione.
- Con la petroliera FINA ITALIA ci troviamo alla fonda a circa 2 miglia dalla testata del South Pier in attesa di ormeggiare per la caricazione di crude oil.
- Alle 03.00 il 2° Ufficiale di coperta allerta l’equipaggio riferendo che la nostra nave é attesa al North Pier di Mina Al Ahmadi (Kuwait) per caricare al pontile (Pier) N.11.
- Il North Pier Control ci fornisce le seguenti istruzioni:
- “Salpate e avvicinatevi per l’imbarco del Pilota”.
- Alle 03.10 si inizia a salpare.
- Alle 03.24 si dà il Pronti in Macchina
- Alle 03.30 àncora salpata; si procede ad andatura di manovra per il North Pier.
- Alle 03.42 il Nord Pier Control chiede la nostra posizione:
- “ci troviamo a 1,8 mg a Sud del Pier N.11. In avvicinamento lento essendo la nostra nave a “turbonave”.
- Subito dopo il N.P.C ci informa:
- “La T/N giapponese TOJO MARU ha disormeggiato dal Pier N.11 e ha preso il largo in direzione Levante”.
- Alle 03.45 il Pilota portuale della petroliera in movimento ci chiede via radio-VHF: “Può la TOJO MARU passarvi di prora tra voi e la costa”?
- Si risponde immediatamente: “ciò non é possibile non essendoci più spazio sufficiente per tale manovra - Stiamo procedendo per l’imbarco del pilota.
- Ci viene risposto OK a conferma della ricezione della nostra risposta (in inglese). Per non generare equivoci si segnala con due fischi brevi che si sta accostando a sinistra per lasciare maggior spazio alla nave in uscita verso il largo.
- Dalla TOJO MARU vengono emessi due fischi brevi per segnalare che anch’essi accostano a sinistra.
- Alle 03.48 si ferma la macchina per l’imbarco del pilota che sta dirigendo verso di noi sulla dritta.
- Improvvisamente si riscontra che la TOJO MARU, anziché accostare a sinistra come ha segnalato, sta accostando a dritta tagliandoci decisamente la rotta.
- Si mette la macchina Indietro a tutta forza per fermare il leggero abbrivo che ancora abbiamo in avanti per evitare la collisione.
- Sono le 03.50. Si chiede alla macchina manovra rapida e massima potenza indietro.
- Alle 03.52 si dà fondo l’ancora di dritta che rimane a picco essendo la nave ferma.
- La TOJO MARU sta intanto sfilando di prora ormai a poche decine di metri di distanza da noi e si ha l’impressione che stia sempre accostando a dritta proiettando la sua poppa contro la nostra prora.
- Infatti alle 03.53 la petroliera TOJO MARU urta col fianco sinistro, all’altezza del suo cassero poppiero, contro la nostra prora. Visto il rapido spostamento della sua poppa, l’urto é molto violento.
- Alle 03.56 macchina ferma. Si rimane all’ancora sul punto del sinistro a 0.6 miglia dalla testata Sud sul Rilevamento 316°, con due lunghezze di catena all’acqua.
- A causa dell’oscurità non si é in grado di constatare l’entità del danno, sia nostro che della nave giapponese. Ci si mette in contatto VHF con il N.P.C per assicurarci che non vi siano danni irreparabili a bordo della nave giapponese e per prestare eventuale assistenza. Ci viene riferito che non vi sono vittime tra l’equipaggio della TOJO MARU.
- Da quanto precede risulta evidente che si é agito con la massima prudenza e in ottemperanza al Regolamento Internazionale per evitare la collisione, ma che i nostri sforzi sono stati resi vani dalla manovra incomprensibile della TOJO MARU che essendosi dapprima allontana verso il largo, mostrandoci chiaramente il verde e passando a dritta della nostra prora, ha in seguito accostato verso di noi, cioè alla sua dritta per passare tra noi e la costa tagliandoci la rotta e inoltre segnalando la manovra di accostata a sinistra mentre accostava a dritta.
- Si fanno pertanto le più ampie riserve nei confronti di chi spetta, per tutti i danni subiti, visibili ed invisibili, per il tempo perduto, per eventuali perdite di nolo, per tutte le spese in qualsiasi modo sostenute in relazione al fatto salvo sempre il diritto dei proprietari della nave e dei noleggiatori d’intraprendere tutte le azioni ritenute utili per la salvaguardia dei loro interessi. Ritenendo l’incidente avvenuto per imperizia ed assoluta imprudenza da parte della TOJO MARU, si declina ogni e qualsiasi responsabilità.
Seguono le firme dei testimoni…….. omissis…….
Ripresa da terra, la TOJO MARU é appoggiata sul fondale. Soltanto le sovrastrutture rimangono emerse.
DINAMICA DELLA COLLISIONE
A = FINA ITALIA - B = TOJO MARU
La linea della costa é parallela alla rotta della nave B (TOJO MARU) (a destra) nel disegno.
I DANNI
La T/n FINA ITALIA rimase 40 giorni nel porto di Mina Al Ahmadi, affiancata presso una banchina isolata per essere sottoposta ad una “riparazione provvisoria” per renderla NAVIGABILE nel trasferimento in ballast (zavorra) verso l’Italia.
Una ditta norvegese fu incaricata di rendere stagna la prora (completamente schiacciata) con casse di cemento usate da sempre nei sinistri navali di questo tipo.
Il 1° Ufficiale di Coperta, l’Allievo Ufficiale di Coperta, il Nostromo e un Marinaio e che si trovavano al posto di manovra a prora, ebbero un comportamento eroico, ma disubbidirono all’ordine esplicito del Comandante che aveva loro impartito, con il Sistema Interfonico di bordo:
ABBANDONATE IL POSTO DI MANOVRA A PRORA!
Con zelo sicuramente eccessivo, la squadra di prora condotta dal 1° Ufficiale, rimase a prora per tentare l’impossibile: allascando e frenando l’àncora per “fare testa” con l’intento di spegnere l’abbrivo residuo.
Se La FINA ITALIA si fosse trovata in posizione avanzata soltanto di poche decine di metri, sarebbe stata colpita in una cisterna vuota con grande rischio di esplosione non essendo “gas free”.
Il Nostromo fu ricoverato in ospedale e successivamente sbarcato e rimpatriato a causa delle conseguenze fisiche sofferte nell’urto e per i traumi da shock da spavento. Il resto del personale riuscì ad arretrare e scendere dal cassero di prora prima che tutta la nave fosse investita da una intensa pioggia di scintille provocata dalla collisione e dallo sfregamento delle lamiere tra le due cisterne. Quel fuoco d’artificio fuori programma illuminò a giorno la rada di Mina e pensai: “Adesso tocca a noi saltare per aria… ma non era ancora destino…!
Buona parte di quei 40 giorni di sosta fu dedicata alle interrogazioni e testimonianze in Tribunale per l’istruzione della causa.
Alcuni anni dopo fui informato che la sentenza del Tribunale del Kuwait scagionò completamente la FINA ITALIA ed il suo equipaggio, attribuendo tutte le responsabilità della collisione al Comandante della TOJO MARU.
La sera prima di salpare per l’Italia: destinazione Fincantieri Muggiano di Spezia, il gigantesco norvegese Mr. Johanssen, responsabile dei lavori, pensò bene di festeggiare il suo FINE LAVORI ubriacandosi a bordo della FINA ITALIA.
Nessuno lo mandò via… ma ad un certo momento della notte volle togliere il disturbo e, rollando e beccheggiando alla gran puta… cadde in mare dallo scalandrone che si ergeva ben 15 metri sul livello del mare.
Dioniso, dio "ibrido" dalla multiforme natura maschile e femminile, animalesca e divina, tragica e comica, ci mise la cosiddetta PEZZA…
mettendo nella gola del marinaio di guardia un urlo d’allarme terrificante!
Bastarono pochi minuti per formare due squadre di marinai. Due di loro si tuffarono in mare per imbragarlo, altri tre lo sollevarono in banchina e poi sull’ambulanza giunta nel frattempo per trasportarlo all’ospedale. Quell’ubriacone di due metri che lavorò giorno e notte con grande dedizione e professionalità sulla nostra prora, si sputtanò con l’unico baccanale … che si concesse in quei 40 giorni come premio dei risultati raggiunti!
Insomma: fece tutto da solo!
Il Comandante Johanssen fu salvato da due sobri marò-nuotatori italiani che non ebbero alcuna esitazione sul da farsi…
Durante il passaggio del Canale di Suez, prima di rientrare in Mediterraneo, il nostro Comandante ricevette dal norvegese una gradita lettera di ringraziamento dedicata all’equipaggio della Fina Italia …
ALCUNE CONSIDERAZIONI
Sono passati 53 anni esatti dalla collisione che poteva volgere in tragedia qualora, come abbiamo già fatto notare, fosse stata la TOJO MARU (fully ladden) a colpire la nostra petroliera all’altezza di una cisterna vuota, ma sicuramente con sacche di gas al suo interno. Come si può vedere da questa nota riportata sotto: il lavaggio delle cisterne con petrolio greggio e l’immissione di Gas Inerte nelle stesse sarà applicato per legge soltanto 20 anni dopo…
La gestione dell’impianto di gas inerte deve essere affidato a personale-abilitato.
Con decreto ministeriale in data 11/ 06 / 1986 ( GU 178 del 02/ 08 / 1986 ) sono stati istituiti corsi di addestramento sul lavaggio delle cisterne con petrolio greggio che devono essere seguiti dal personale addetto alle gestione di questa operazione.
Fu GRAZIE alla perizia del nostro Comandante Domenico Puppo di Porto Maurizio (Imperia) se oggi possiamo raccontare questa storia…
Quel giovane Comandante di 36 anni, erede di una “grande scuola” di marineria ligure, prese le decisioni giuste con grande freddezza, in una fase di grande confusione generata dall’imperizia totale sia del Comandante giapponese e forse anche per la imprecisa gestione del traffico operata dal Pilota UK del porto di Mina.
Del nostro Comandante ricordo un altro episodio significativo che accadde nel Canale della Manica durante una violentissima burrasca in cui la visibilità era pressoché azzerata! Navigavamo per NE verso la Danimarca, avevamo il radar in avaria e non esistevano ancora gli schemi di separazione del traffico navale nei punti più rischiosi.
Oltre ad avere un marinaio di vedetta a prora, il resto dell’equipaggio era allertato in vari punti esterni del Ponte di Comando per ascoltare i segnali da nebbia delle navi in transito da tutte le direzioni.
Improvvisamente si sentì il FISCHIO di una nave in avvicinamento da proravia. Il Comandante chiese al personale presente sul Ponte e sulle alette di plancia la direzione di provenienza del segnale. Tutti rispondemmo all’unisono: “Ci attraversa da sinistra! Tocca a lei manovrare e passarci di poppa!”
Ma il Comandante diede l’ordine che nessuno si aspettava:
“tutto il timone a dritta”
Aveva ragione lui! La nave proveniva dalla nostra dritta! E toccava a noi manovrare per evitare la collisione.
In seguito il Comandante mi spiegò che quel giorno sulla Manica, oltre ai piovaschi intensi, c’era un vento forte dalla costa di NE che dava una accelerazione al segnale da nebbia della nave spingendolo più avanti, tanto da farcelo percepire sulla nostra sinistra.
Il Comandante Puppo era un assiduo e tenace osservatore della direzione del vento e non si fece fregare! Noi si!
ROTTE D'INCROCIO TRA DUE UNITA' A MOTORE
A sinistra la FINA ITALIA
Quando due unità a motore hanno rotte d'incrocio quella che rileva l'altra sulla dritta deve lasciare a questa la rotta libera manovrando in modo deciso e tempestivo.
Quella lezione mi servì per tutta la vita.
E’ utile che il Comandante ascolti tutti i pareri,
ma la decisione finale spetta sempre e solo a lui!
Segnali sonori in condizioni di visibilità ridotta.
In un'area di visibilità ridotta o nei pressi di essa, sia di giorno che di notte, i segnali prescritti in questa Regola devono essere usati come segue:
a) Una nave a propulsione meccanica che ha abbrivo, deve emettere, ad intervalli non superiori a 2 minuti, un suono prolungato.
La personalità di quell’uomo magro e basso di statura, con i baffetti ben curati e due occhi neri, piccoli e penetranti, riusciva SEMPRE a trasmettere tranquillità e freddezza! Ma l’uomo aveva anche un’altra arma in dotazione: era molto “parsimonioso” nel dare confidenza al prossimo, ma riusciva altresì a comunicare lo stesso calore umano di quei padri di altri tempi, un po’ severi ma presenti, che sapevano insegnare per amore e non per esibizione, per amore del mare e della nave, non per mostrare una eccelsa preparazione a noi giovani che, se era il caso, lo capivamo da soli… No! Il Comandante Puppo era un vero MAESTRO di vita e di mare!
“PORCA DELLA PUTTANONA !!!!!”
Era la sua abituale espressione che usava nei momenti di tensione e, ancora oggi, mi risuona dentro quando mi ritrovo negli stessi frangenti e la uso come se lui fosse sempre al mio fianco.
Giunti a Spezia a velocità ridotta, terminai i miei 15 mesi d’imbarco e sbarcai per convolare a nozze con mia moglie Gun Oskarsson in una chiesa cattolica in Svezia. Era il 25 Aprile del 1965. Erano passati due mesi esatti dalla collisione.
Molti anni dopo, in una notte di tramontana, salii da Pilota su una cisterna che faceva il “costiero” ed era diretta agli Oli Minerali nell’avamporto di Genova. Quando al buio riconobbi la voce del Comandante Puppo, ci abbracciammo provando una emozione molto forte. Erano passati 25 anni da quel lungo imbarco ma, come per incanto, decine di ricordi riapparvero su quel piccolo Ponte di Comando: quelle storie di mare appartenevano ad entrambi.
Gli dedicai la manovra sulle ancore, mi fece i complimenti e gli dissi:
“Il mio maestro é sempre lei! Porca della Puttanona!"
CARLO GATTI
Rapallo, 13 Marzo 2018
SAN GIOVANNI BATTISTA PATRONO DI GENOVA
SAN GIOVANNI BATTISTA PATRONO DI GENOVA
UNA STORIA MARINARA ALLA BASE DELLA TRADIZIONE…
San Giovanni Battista si festeggia il 24 giugno. Anche se, nella vulgata popolare, il vero simbolo della città é San Giorgio con il suo stemma della croce rossa in campo bianco. Ma come sanno tutti i nostri followers, di San Giorgio ce ne siamo già occupati ampiamente. Oggi spostiamo il nostro teleobiettivo su un’altra affascinante STORIA che tanti forse non conoscono.
Guglielmo Embriaco detto Testa di Maglio
Tra la fine dell’XI e l’inizio del XII sec. Genova é teatro di due straordinari eventi:
nasce il Comune e i Genovesi partecipano trionfalmente alla prima Crociata.
La storia ci porta indietro un migliaio di anni, all’insegna del coraggio e all’epica delle Crociate, in quei giorni quando emerse la figura del valoroso genovese Guglielmo Embriaco, detto “Testa di Maglio” famoso per le sue imprese, impregnate di fervore religioso e mistico teso a recuperare le reliquie dei Santi quando era estremamente diffusa questa usanza.
Genovesi, Baresi e Veneziani da tempo erano alla ricerca delle reliquie di San Nicola a Myra, in Asia minore.
Ma forse non tutti sanno cosa successe al resto del corpo del Battista dopo la sua decollazione. Le sue spoglie prive del capo, furono conservate e venerate a Sebaste in Samaria, ma poi, sotto l’imperatore Giuliano l’Apostata (361-363), vennero profanate, bruciate e le ceneri disperse.
La tradizione dice che un monaco le raccolse e le portò nel suo convento. Posteriormente sarebbero arrivate in un convento di Myra, città della Licia, nel 540. (parte bassa della carta)
Durante la prima Crociata (1096-1099) e di ritorno dall’assedio di Antiochia, i genovesi guidati da Guglielmo Embriaco si diressero a Myra per cercare le reliquie di San Nicola, città di cui era stato vescovo nel IV secolo.
Quando arrivarono sul posto vennero a sapere che erano stati preceduti dai baresi e dai veneziani.
I genovesi tuttavia non si diedero per vinti, in un monastero rinvennero altre sacre reliquie e quando seppero che appartenevano a San Giovanni se ne impossessarono.
E narrano gli storici che per condurre a Genova le ceneri del Battista si decise di suddividerle su diverse navi.
Durante il viaggio il mare volse in tempesta, le onde si alzarono abbattendosi sugli scafi ormai disastrati. Qualcuno allora pensò di unire le ceneri sulla galea capitana. Appena compiuta l’operazione di trasbordo, il mare ritornò ad essere maneggevole e gli equipaggi gridarono al miracolo.
E così, da allora, ci si rivolse al Santo per chiedere la sua protezione ogni volta che la violenza delle onde diveniva un’insidia per il porto e la città di Genova e si stabilì l’usanza di portare, in quelle occasioni, le ceneri del Battista davanti al mare.
Le ceneri arrivarono a Genova il 6 maggio 1099, dopo tre mesi di viaggio. Quest’episodio è anche rappresentato nel quadro di Bernardo Castello dove possiamo vedere lo sbarco solenne delle ceneri che sono attese in ginocchio dai cittadini della città, guidati dal vescovo.
L’arrivo delle Ceneri a Genova su tre vascelli nel 1098 fu un avvenimento memorabile per la città e, ancora oggi, viene rievocato dalla suggestiva Sfilata del Corteo Storico in occasione della Regata delle Repubbliche Marinare che si svolge ogni anno, a rotazione nelle quattro città. La devozione al Santo cominciò a farsi sempre più fervente e a riflettersi in molti campi: iniziarono a sorgere numerose cappelle pubbliche e private oltre che edicole sacre dedicate al Battista.
Risale al 1300 la tradizione genovese che affida a San Giovanni Battista un ruolo specialissimo per la protezione delle navi dalle tempeste di mare; già nel 1327 la processione - decretata in coincidenza con la proclamazione del Santo a patrono della città - prevedeva la benedizione del mare compiuta dall’Arcivescovo di Genova.
Anche nel 1391- secondo la leggenda - una terribile tempesta minacciò di far colare a picco persino tutti i velieri riparati ed ormeggiati in porto. Ma, quando l'arca con le sacre ceneri venne portata in processione fino alla riva, il mare si placò miracolosamente.
La tradizione del falò
Tornando indietro nel tempo, già da prima dell’XI secolo si ha notizia di come sulle piazze principali di Genova e nei paesi di tutta la Liguria si accendessero enormi falò attorno ai quali facevano festa i popolani; erano, queste, tradizioni sopravvissute al paganesimo, che il 24 giugno celebrava la festa di Fors Fortuna e con i fuochi della notte del 23 voleva allontanare gli spiriti maligni e le streghe che uscivano dai loro antri per danneggiare i raccolti e uccidere bestiame e uomini. La Chiesa continuò a condannare più volte tali rituali, ma vista l’impossibilità di cancellarli, decise la via accomodante di trasformare i falò in fuochi sacri e rievocativi dell’elogio di Cristo per il Battista.
Ancora oggi l’antica tradizione prosegue e la notte della vigilia della festa di San Giovanni la città si anima con giochi di strada e falò nelle piazze. Il 24 giugno, alla presenza delle massime autorità civili e religiose, di numerose confraternite che sfilano con preziose vesti portando i pesanti crocifissi in mezzo alla folla, esce dalla cattedrale la solenne e spettacolare processione che si dirige al Porto Antico; qui il cardinale benedice il mare con le reliquie del Battista al suono delle sirene delle navi.
Miss Fletcher racconta:
San Giovanni divenne Patrono di Genova nel 1327, da allora la città celebra il suo giorno con rituali coinvolgenti e suggestivi.
E così era in altri tempi, si accendevano fuochi e falò, le fiamme per il Battista ardevano nelle piazze e sulle alture dando un nuovo senso ad una tradizione che vede le sue origini in certi riti pagani, un tempo era infatti usanza accendere i fuochi per tenere distanti le streghe.
E per il Battista a Genova si accendevano lumini in fragili lanterne di carta, scoppiettavano per San Giovanni i fuochi d’artificio.
E ancora racconta lo storico Michelangelo Dolcino che in epoche lontane si credeva che la rugiada della notte di San Giovanni avesse virtù prodigiose e così, ad esempio, in certe località si esponevano i panni dei neonati per renderli immuni dalle malattie.
E sulla Piazza di San Lorenzo si vendevano le benedizioni, foglie di noci e di sambuco madide della miracolosa rugiada della notte del 24 Giugno.
Tuttora si accendono i fuochi e le fiamme rischiarano la notte di San Giovanni, tuttora si celebra con una solenne processione il Santo della città, le ceneri del Santo vengono condotte davanti al mare e sono accompagnate dai rappresentanti delle Confraternite.
A rendere omaggio al Battista nei secoli passato vennero Papi e personalità di rilievo, venne persino il Barbarossa che donò una preziosa cassa d’argento conservata nel Museo dei Tesoro di San Lorenzo.
E parte dalla Cattedrale la suggestiva processione, si inoltra per le strade della vecchia Genova e culmina con la benedizione del mare e della città.
in San Lorenzo alcuni locali ospitano il Museo del Tesoro della Cattedrale dove sono raccolte opere d’arte e oggetti liturgici di inestimabile valore.
Troverete l’arca processionale con la quale si conducono per le vie di Genova le ceneri di San Giovanni in questo giorno a lui dedicato.
E’ preziosa e riccamente lavorata, è stata realizzata tra il 1438 e il 1445 ed ha l’aspetto di una piccola cattedrale, su di essa si riconoscono scene religiose di apostoli e profeti.
Come dicevamo prima, nella sala di San Giovanni Battista del Tesoro della cattedrale, possiamo inoltre ammirare i seguenti tesori realizzati per custodire le ceneri del santo:
l’Arca del Barbarossa, lo Stipo delle Ceneri e l’Arca Processionale
L’Arca del Barbarossa, del secolo XII, è così così chiamata perché si dice sia stata donata da quest’imperatore. Di forma rettangolare con coperchio a doppio spiovente, è un lavoro di oreficeria francese.
Lo Stipo delle Ceneri è una cassetta destinata al rito del bacio delle ceneri. E’ un manufatto del secolo XVI. Il coperchio reca un’iscrizione che informa che nel 1576 l’arcivescovo Pallavicini raccolse le ceneri e le depositò in questo reliquiario.
Infine, l’Arca Processionale: fu eseguita nel secolo XV da orafi liguri ed è in argento dorato. E’ una cassa a forma di cattedrale gotica sorretta agli angoli da leoni accovacciati. E’ decorata con motivi della vita di San Giovanni Battista e, ai quattro angoli, ci sono i santi protettori della città: San Giorgio, San Lorenzo, San Giovanni e San Matteo. L’opera venne commissionata dal Doge per portare in processione le ceneri del santo. La processione avviene tutti gli anni, il 24 giugno, come del resto in ogni cittá o paese del mondo il cui patrono è San Giovanni Battista.
Arca Processionale con le Ceneri di San Giovanni Battista
E’ esposto in questo museo un preziosissimo piatto, la tradizione vuole che sia stato usato per raccogliere la testa di San Giovanni Battista dopo la sua decapitazione.
Il piatto è di calcedonio, è poi incorniciato di oro e arricchito di smalti e rubini, l’immagine della testa di San Giovanni risale ad un’epoca più recente.
Però non sappiamo come il piatto fosse arrivato in Francia. Secondo altre versioni probabilmente faceva parte dei beni sequestrati ai Templari fra i quali vi erano anche molte reliquie sottratte in Terra Santa di calcedonio, un tipo di quarzo, e che si tratta di un manufatto romano di epoca imperiale, forse del I secolo d.C.. Nel XV secolo fu ‘arricchito’ con una decorazione, realizzata in Francia per la casa reale di Valois, in oro, rubini e smalti: al centro vi è una testa che raffigura il santo e il bordo è rivestito di una lamina d’oro con la scritta in latino “Joannes Baptiste inter natos mulierum non surrexit maior”, “fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista” - frase pronunciata da Gesù (Mt 11,11). Tralci e viti decorano il retro che ne nascondono la rottura. La speciale illuminazione del piatto fa sì che si possa ammirare il passaggio dall’azzurrino al giallo a macchie rosse, tipico del calcedonio, solo visibile quando questo minerale è attraversato dalla luce.
Alla fine del ‘200 fu creata la Confraternita di San Giovanni Battista che aveva il compito di portare le reliquie al molo in caso di tempesta in mare. Nelle ‘Memorie di Genova’ di Schiaffino (XVII secolo) sono registrate tutte le molteplici occasioni in cui, grazie alle ceneri, l’impeto delle onde fu dominato ed il vento calmato salvando molte navi ancorate in porto o in arrivo.
Sotto un’altra teca vedrete un’altra opera di mirabile fattura, lo stipo delle ceneri del Battista
La fede ha alcuni suoi antichi riti che hanno origine in gesti e ritualità del passato, alcuni di essi restano nel solco della tradizione e ogni anno rivivono con la medesima partecipazione. Passiamo spesso davanti alla Cattedrale, camminiamo di fronte alla sue antiche pietre e raramente il nostro pensiero va a quei crociati che partiti da terre lontane portarono a noi le sacre reliquie.
E poi giunge il 24 Giugno e i genovesi si raccolgono davanti a San Lorenzo. In questo giorno si celebra San Giovanni Battista, il patrono della città. Ed eccoci in Cattedrale.
La cattedrale di San Lorenzo
Cappella di San Giovanni
Il Portale della cappella
Veduta dell’interno
Le statue di sinistra: il profeta Isaia, Santa Elisabetta, Eva e la Madonna col Bambino.
La cupola della cappella con i medaglioni degli evangelisti.
ALCUNE EDICOLE GENOVESI DEDICATE A SAN GIOVANNI BATTISTA
Con questa prima edicola vi propongo una selezione delle edicole più significative che celebrano il nostro patrono:
In Via del Molo 54r si trova la secentesca edicola di San Giovanni Battista nota per la sua singolare collocazione.
Il tabernacolo infatti che custodisce nella sua profonda nicchia la statua del santo è inserito dentro alla fontana detta dei “Cannoni del Molo”, una delle stazioni terminali dell’acquedotto storico.
A tale cisterna risalente al 1634 erano collegati i tubi, un tempo chiamati “cannoni” che distribuivano l’acqua alle fontane pubbliche.
I cannoni, a differenza dei più evoluti bronzini dotati di valvola, erano forniti solo di tappi costruiti in marmo o ceramica, o ferro.
Proprio accanto al piccolo tempio si notano due listelle di marmo incastinate nelle pietre con numerazione araba e romana. Sotto s’intuisce la bocca marmorea, oggi occlusa, di uno di questi cannoni.
L’edicola in stucco si presenta nella canonica conformazione a tempietto classico con colonne ioniche in marmo.
La scultura protetta invece da una elaborata grata in ferro battuto risulta purtroppo poco visibile.
Ai lati sono incise due coccarde con cartiglio a forma di scudo abrasi.
Alla base la celebre epigrafe:
“Moles Esto / et Mollias /
MDCXXXIII.
(A ME ZENA)
In Via della Maddalena, sull’abside dell’omonima chiesa, è incastonata la settecentesca edicola di San Giovanni Battista. Talmente maestosa che gli storici dell’arte ipotizzano essere la parte superiore di un altare traslocato qui da qualche altro edificio religioso sconsacrato o demolito.
Protagonista è la statua del santo attorniata dalle Due Marie. Al centro del timpano spezzato la Madonna del Loreto con ai lati due putti in adorazione. (A ME ZENA)
All’angolo con Vico San Sepolcro l’antico portale in pietra nera di promontorio che rappresenta il Battista nel deserto al cospetto del Dio padre che affida la sua famiglia alla protezione divina. Il bassorilievo ricco di simbologie orientali e pagane rappresenta un’allegoria della famiglia proprietaria, quella dei Grillo, che volle affidarsi direttamente al Divino senza troppe intermediazioni.
A destra una cicogna, forse uno struzzo vicino ad un leopardo sdraiato a terra davanti ad uno sfondo di alberi e rocce. Sulla sinistra San Giuseppe accompagna con la mano una figura femminile alata che esce da uno scudo. La scena rappresenta la presentazione del casato al cospetto del Dio Padre che appare all’estrema sinistra pronto ad accogliere benignamente la richiesta. (A ME ZENA)
L’elegante settecentesco medaglione del civ. n. 4 di Via San Siro rappresenta la Sacra Famiglia con san Giovannino.
In Vico Cinque Lampade angolo Vico del Filo si può ammirare la splendida rappresentazione della Madonna col Bambino, San Giovanni Battista e Santa Caterina da Genova.
La settecentesca edicola presenta un mirabile tabernacolo in marmi policromi caratterizzato da lesene di ordine ionico con fregi e panneggi che fanno da cornice ad una poco profonda nicchia impreziosita da un cherubino alato.
Sull’imponente trabeazione si regge la raggiera dello Spirito Santo in un fastigio di riccioli e volute. In cima due teste di cherubini alati.
Ai lati si scorgono due grandi teste alate fra i fogliami che reggono due grosse lampade in ferro.
Protagonista della scena è la Madonna con in braccio il Bambinello che regge il globon terracqueo. Ai piedi della Vergine San Giovannino aggrappato alle sue vesti guarda verso l’alto.
Santa Caterina invece è in ginocchio offre con la mano destra il proprio cuore alla sacra coppia.
Sulla mensa recita il cartiglio:
“Regina Coelorum Restaurat. Anno 1790. 24. 7bris.
Alla base del tabernacolo sono posti due dipinti in ardesia rivolti verso i rispettivi caruggi…
ma questa è un’altra storia…
A tutti i Genovesi, felice festa di San Giovanni dalla cappella del Doge, un gioiello prezioso ed essenziale per comprendere e conoscere la storia di questa città.
Nel particolare dell’affresco del Carlone, Maria regina di Genova con i santi protettori della città, Giorgio, Giovanni Battista, Bernardo e Lorenzo, metà del 1600. (Serena Bertolucci)
Rapallo – Dino Alloi – Rapallini e Rapallesi: come siamo e come eravamo
CONCLUSIONE
I forestieri restano confusi dal fatto che Genova è detta la Repubblica di San Giorgio, mentre come patrono del comune di Genova è venerato San Giovanni Battista.
Ovviamente lascio agli storici genovesi il compito di scindere e interpretare questi due sentimenti. Di San Giorgio ce ne siamo occupati di recente, a San Giovanni Battista ho dedicato una breve ricerca in occasione della sua natività, il 24 giugno.
L’impressione che ho ricevuto, ripeto, dopo una breve esplorazione nel mondo di questi due personaggi nel contesto della nostra città capoluogo é la seguente:
San Giorgio rappresenta gli Ordini Cavallereschi, le alte sfere della Aristocrazia, ha un blasone nobiliare ed un carattere internazionale che ha “stregato” decine di Paesi del mondo medievale.
San Giovanni Battista “il Precursore”, secondo il mio modestissimo parere, parla il dialetto genovese, lo s’incontra spesso nel labirinto dei vicoli di Genova, nel più grande Centro storico d’Europa, come se le sue ceneri custodite nella Cattedrale di San Lorenzo siano state sparse, per suo volere, lungo la spianata che scende verso il mare e abbiano trovato dimora, da secoli, in mezzo ai marinai di mezzo mondo, tra i personaggi più ambigui ma veri tanto cari a don Gallo.
SACRO E PROFANO nel mercantilismo religioso...
Le meravigliose edicole scolpite da mani artistiche rimaste anonime, sono presenti tra le chiese e i casini, in quella atmosfera marinara che vide partire i crociati e ritornare con le sue ceneri, tra quei “caroggi” dove solo un uomo di mare sa destreggiarsi tra biancheria appesa come vele, e vicoli stretti e ombrosi come la sottocoperta delle galee, dei vascelli e di tutte le navi del mondo che circolano ancora oggi per i sette mari.
Lo spirito di questo Santo si trova ancora nella parte più nascosta di Genova, in mezzo alla sua gente di mare che lo venera perché ancora oggi li protegge dalle tempeste della vita.
Quella gente che grazie a Faber, a Lauzi e ad altri artisti della Scuola Genovese, abbiamo imparato ad amare.
Carlo GATTI
Rapallo, 24 Giugno 2020
IL VELIERO CRISTOFORO COLOMBO
IL VELIERO CRISTOFORO COLOMBO
era il gemello dell'AMERIGO VESPUCCI
Per non dimenticare...
Le navi della Marina Militare sono inquadrate principalmente nella Squadra Navale, alle dipendenze del Comando in Capo della Squadra Navale, presso cui sono concentrate quasi tutte le funzioni operative e il controllo dei mezzi.
I diversi tipi di navi militari hanno nomi che richiamano la loro funzione (incrociatori, fregate, ausiliarie, idrografiche, anfibie, cacciamine, ecc.).
Tutte le navi della flotta della Marina Militare italiana vengono denominate ufficialmente usando il termine "Nave" seguito dal nome dell'unità (es. "Nave Cavour") oppure in forma abbreviata usando il solo nome dell'unità preceduto dall'articolo maschile (es. “il Cavour”).
Del CRISTOFORO COLOMBO si hanno soltanto le biografie ufficiali della Marina Militare e qualche testimonianza ormai ingiallita… di quel periodo bellico e postbellico.
Al contrario, della nave scuola più bella del mondo, almeno così é stata definita l’AMERIGO VESPUCCI, si sa tutto in quanto ormai divenuto il SIMBOLO consolidato dell’Italia sul Mare.
Il VESPUCCI nel 2025 giungerà al traguardo dei 100 anni d’età e proprio non li dimostra…
Il CRISTOFRO COLOMBO terminò la sua carriera nel 1971 in terra straniera sotto bandiera straniera.
Di questa nave, fuori dell’ambiente militare, se ne sa molto meno.La “NAVE” ebbe uno strano destino, molto triste e oggi ne parliamo affinché non se ne perda del tutto la memoria, almeno tra le Associazioni Marinare che hanno il compito di passare il testimone alle nuove leve.
La nave gemella dell’AMERIGO VESPUCCI, il CRISTOFORO COLOMBO (nella foto), fu ceduto come parte del risarcimento in ottemperanza al trattato di pace firmato a Parigi, all'Unione Sovietica nel 1949.
Un suggestivo dipinto del CRISTOFORO COLOMBO
NAVE SCUOLA C.COLOMBO – VENEZIA 1940
Sandro Feruglio – Mariner Painter
Vespucci e Colombo ormeggiate a Venezia nel 1940
Nel 1925 l’allora ministro della Marina ammiraglio Thaon di Revel, propose per l’Accademia di Livorno un tipo di nave che mantenesse vivo, per l’imponente piano velico e per le eleganti linee dello scafo, il fascino e le funzioni degli antichi vascelli. L’idea del prestigioso Thaon di Revel fu accettata e attuata da suo successore il ministro della Marina ammiraglio genovese Giuseppe Sirianni. Sotto la sua supervisione nacquero così nel cantiere di Castellamare di Stabia le due splendide unità. Ambedue le unità furono progettate dall’allora colonnello del Genio navale Ing. Francesco Rotundi.
La COLOMBO, entrata in servizio nel 1928, alla fine della Seconda guerra mondiale venne ceduta, in base alle clausole del trattato di pace, alla Marina Militare Sovietica.
La VESPUCCI entrata in servizio ne 1931, sopravvisse miracolosamente agli eventi bellici e continua tuttora ad essere una valida palestra di addestramento per i giovani accademisti.
Di questa unità abbiamo già scritto un articolo di cui allegheremo il LINK.
Fra le due guerre mondiali, le fregate “CRISTOFORO COLOMBO” e “AMERIGO VESPUCCI” compirono numerose crociere, una mezza dozzina delle quali fuori del Mediterraneo riscuotendo ovunque ammirazione.
Oggi ci soffermeremo soltanto sulla CRISTOFORO COLOMBO la quale ebbe un destino diverso, direi infelice.
Le due fregate, considerate gemelle, fanno pensare alle fregate a vela costruite tra la fine del settecento e la prima metà dell’ottocento.
Le due navi avevano dimensioni leggermente diverse riprendendo i progetti del veliero Monarca, l’ammiraglia della Real Marina del Regno delle Due Sicilie, poi ribattezzato Re Galantuomo quando fu requisito dalla Marina piemontese dopo l’invasione delle Due Sicilie. I progetti ricopiati erano dell’ingegnere navale napoletano Sabatelli ed erano custoditi a Castellammare di Stabia insieme alle tecnologie necessarie alla costruzione di questa tipologia di imbarcazione; le fasce bianche rappresentano le due linee di cannoni dei vascelli ai quali il progettista si era ispirato.
Lo scafo, la struttura, i ponti e i tronchi portanti degli alberi e del bompresso erano in acciaio, così come i pennoni e le sartie. La nave era divisa in tre ponti principali: ponte di coperta, ponte di batteria e corridoio, con castello a prora e cassero a poppa. La copertura del ponte, del castello, del cassero e le rifiniture erano in legno di teak.
Altra differenza, anche se non visibile era che il Colombo aveva due eliche mentre il Vespucci solamente una.
I due velieri pur apparendo come gemelli, presentavano alcune differenze, fra cui la diversa inclinazione del bompresso, il diverso attacco delle sartie, che nel caso del VESPUCCI erano a filo di murata, mentre sul COLOMBO erano invece cadenti all’esterno. Altra notevole differenza era rappresentata dalle imbarcazioni maggiori che sul COLOMBO erano sistemate a centro nave con il relativo picco per le manovre di messa in mare e di sollevamento delle imbarcazioni. Il COLOMBO, inoltre aveva, per filare le catene delle ancore, due occhi di cubia per mascone, mentre il VESPUCCI, ne aveva uno solo.
La propulsione principale era a vela, costituita da ventisei vele di tela olona, la cui superficie totale misurava 2.824 metri quadrati.
La propulsione secondaria era costituita da due motori diesel elettrici accoppiati più due dinamo. La nave aveva due eliche controrotanti e coassiali (quindi calettate sullo stesso albero).
La costruzione delle due unità avvenne nel Regio Cantiere Navale di Castellammare di Stabia, La prima delle due unità fu la “Cristoforo Colombo”, il suo scafo venne impostato sugli scali il 15 aprile 1926 con il nome di “Patria” subito cambiato con il definitivo CRISTOFORO COLOMBO, in onore del famosissimo navigatore genovese. La nave, varata il 4 aprile 1928, entrò in servizio il 1º luglio 1928 e a partire dal 1931 venne affiancata nella sua attività addestrativa dalla seconda delle unità che erano state ordinate nel 1925, l’Amerigo Vespucci, molto simile, ed ancora oggi in attività.
In primo piano, l’idrovolante F.B.A. (Franco-British Aviation Company), mentre decolla per una missione. Sullo sfondo una affascinante immagine del CRISTOFORO COLOMBO.
Breve storia della nave CRISTOFORO COLOMBO
Il Nome
Il nome Cristoforo Colombo era già stato portato da altre quattro precedenti unità della Regia Marina: la prima era un brigantino a vela proveniente dalla Marina Sarda, varato nel 1843 e radiato nel 1867; seguirono due incrociatori, costruiti entrambi nell’Arsenale di Venezia, il primo dei quali varato nel 1875 e in servizio tra il 1876 e il 1891 e il secondo varato nel 1890 e in servizio tra il 1892 e il 1907 e una corazzata impostata nel 1915 nel cantiere Ansaldo di Genova, ma demolita nel 1921 ancor prima di essere stata varata.
Servizio
Nave scuola Cristoforo Colombo
il varo - scalo di costruzione
La polena raffigurante il navigatore Cristoforo Colombo
la polena del Colombo custodita a La Spezia
(foto dal sito web della Marina Militare)
Nave Cristoforo Colombo in allestimento ultimato
Il Cristoforo Colombo fu impostato il 15 aprile 1926 e venne varato il 4 aprile 1928. Il suo primo nome fu "Patria", venne però cambiato quando era ancora in costruzione. Entrò in servizio il 1° luglio 1928 e svolse la sua attività fino al 1943. Ha il primato di essere stata la 100° costruzione dell'allora Regio Cantiere Navale di Castellammare di Stabia!
Il Vespucci invece venne varato il 22 febbraio 1931 ed entrò in servizio, a fianco del Colombo, nel luglio dello stesso anno.
Effettuarono assieme le Campagne di Istruzione per ben nove volte. Solcarono i mari volgendosi sia nel Mar Mediterraneo, sia nel Nord Europa, che nell'Oceano Atlantico, fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
La nave, insieme all’unità gemella Vespucci, andò quindi a costituire nel 1931 la Divisione Navi Scuola ed esse effettuarono insieme una serie di Campagne di Istruzione, in Mediterraneo, Nord Europa e Atlantico, fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale. In particolare, nella campagna del 1931 il comando della Divisione Navi Scuola era affidato all’ammiraglio di divisione Domenico Cavagnari (poi capo di stato maggiore della Regia Marina allo scoppio del conflitto), con la Vespucci comandata dal capitano di vascello Radicati e la Colombo comandata dal capitano di fregata Bruto Brivonesi, che poi diventerà ammiraglio
Le due unità, salpate da Livorno, fecero scalo nei porti di: Portoferraio, Lisbona, Brest, Amsterdam, Kiel, Gdynia, Danzica, Londra, Ceuta, Portoferraio e Genova.
Ed ecco due originali, e rare, foto nelle quali puoi ammirare le navi scuola Amerigo Vespucci e Cristoforo Colombo ai tempi in cui navigavano assieme.
Nell’estate del 1933 le due navi, con a bordo gli accademisti livornesi, fecero insieme una crociera d’addestramento in Atlantico che va la pena di ricordare. La diresse lo stesso comandante dell’Accademia, ammiraglio Romeo Bernotti, che alzò la sua insegna sul VESPUCCI, comandata dal capitano di vascello Tommaso Panunzio. La COLOMBO era invece comandata dal capitano di fregata Aristotele Bona.
Il viaggio iniziò a Livorno il 22 giugno e si concluse sempre a Livorno, il 22 ottobre.
Durante i dieci giorni di permanenza nel porto di Baltimora le due navi vennero visitate da migliaia di persone e l’equipaggio ricevette calorosi festeggiamenti dalle autorità e dalla popolazione locale.
SAVOIA MARCHETTI S-55 in partenza da Orbetello per Chicago
Delle quattro grandi crociere aeronautiche italiane negli anni Venti e Trenta la più spettacolare è quella del Decennale, da Orbetello a Chicago, New York e ritorno, con la doppia attraversata dell'Atlantico settentrionale. Siamo nel luglio-agosto del 1933 e Italo Balbo, alla testa di cento uomini e 24 idrovolanti, entra nell'Olimpo dei grandi dell'aviazione.
A new York l’arrivo (il 20 agosto 1933) della COLOMBO e della VESPUCCI coincise con la presenza in quel porto dei nostri sommergibili e delle nostre vedette che avevano scortato la Crociera aerea del decennale di Italo Balbo.
Quanto segue é la libera Traduzione dall’Inglese del sito: Sandro FERUGLIO Website (che ringrazio)
Nel 1934 il Colombo al comando del C.F. Brunetti fece la crociera toccando i seguenti porti, partendo da Livorno: Napoli, Palermo, Tripoli, Haifa, Porto Said, Porto Lago, Messina, la Maddalena, Ajaccio, Golfo Jouan, Marina di Campo, Livorno. Un percorso diverso da quello del VESPUCCI.
Nel 1935, la divisione navale, al comando dell’Amm.di Div. Palladini, fece una campagna addestrativa con un percorso unico per le due navi scuola, partendo da Livorno: Gaeta, Reggio Calabria, Candia, Tripoli D’Asia, Beirut di Siria, Lardo, Rodi, Coo, Portolago, Istambul, Messina, Milazzo, Palermo, Marina di Campo, Livorno. Il comandante del Colombo era il C.F.Correale, il C.V. Bona comandava il VESPUCCI.
Nel 1936 la Divisione navale Navi Scuola era comandata dall’Amm.di Div.Romagna Manoia. Le due navi scuola navigarono insieme toccando i seguenti porti, partendo da Livorno: San Remo, Livorno, La Maddalena, Cagliari, Palermo, Tripoli, Bengasi, Rodi, Navarino, Bari, Castellamare di Stabia, Napoli, Gaeta, Livorno. Al comando del Colombo il C.F.Giorgis, al comando del Vespucci, il C.F.Corsi.
Nel 1937, le due navi scuola comandate da C.F. Giorgis (nave COLOMBO) e C.F.Prelli (Nave VESPUCCI) toccarono i seguenti porti, partendo da Livorno: Siracusa , Brindisi, Cattaro, Ragusa, Riccione, Durazzo, Atene, Lero, Coo, Rodi, Alessandria, Lepts Magna, Tripoli, Tunisi, Napoli, Portoferraio ,Livorno. Comandava la Divisione Navi Scuola l’Amm.Sq.Goiran.
Nel 1938, le due navi scuola fecero la crociera in Nord Europa toccando i seguenti porti: Livorno, La Maddalena, Gibilterra, Kingstown, Oslo, Stoccolma, Amburgo, Plymouth, Gaeta, Livorno. Comandava la squadra il Contramm.Brivonesi, Il Cv. Muffone comandava R.Nave Colombo e Il C.F. Prelli comandava R.N. Vespucci.
Nel 1939, la Divisione Navale Navi Scuola è al comando del Amm.Div. Iachino, le due navi fecero una crociera nel Mediterraneo: Livorno, Alicante Palma, Siracusa, Valona, Durazzo, Riccione, Trieste, Pola, Venezia, Lussino, Pola, Venezia, Canale di Fasana, Venezia. Il Colombo era comandato al C.F.Bigi, mentre il C.F. del Minio comandava R.N.Vespucci.
Nel 1940, a causa degli eventi bellici, le due navi scuola sostarono a Venezia.
Nel 1941 il comando della Divisione Navi Scuola venne assunto dal C.V. Morin, che comandava anche il Vespucci, mentre il colombo era comandato dal C.F. Simola. Alle due navi scuola si aggiunse la Palinuro. Si trattava di un Brigantino-goletta (ex Vila Velebita), una nave scuola confiscata alla Yugoslavia, posta al comando del C.C Lantieri. La crociera delle tre navi si svolse nelle acque nazionali: Pola, Fiume, Veglia, Zara, Sebenico, Lussinpiccolo, Pola.
Nel 1942 il gruppo navi scuola era sempre comandato dal CV.Morin, che comandava anche il Vespucci, mentre il C.F. Baslini era al comando del Colombo, al gruppo navi scuola si aggiunse la ” MARCO POLO” , al comando del C.C. Bertelli (ex-yugoslava ”Jadran”, per maggiori informazioni segui il link:https://www.lavocedelmarinaio.com/2014/07/4-7-1942-saluti-dalla-regia-nave-scuola-marco-polo/ ). La crociera delle tre navi si svolse in acque nazionali, toccando i seguenti porti: Pola, Fiume, Veglia, Arbe, Cherso, Arsa, Pago, Zara, Lussinpiccolo, Pola.
Nel 1943, al momento dell’armistizio, le tre navi della Divisione Scuola (Colombo, Vespucci e Palinuro), stazionate nel porto di Trieste, furono subito dislocate dal Comando Marina locale a Pola, poiché si erano verificati dei movimenti notturni di truppe tedesche. Anche a Pola, sede importante di numerose scuole della marina, le forze tedesche presenti si allertarono, cosicché alle navi pronte per navigare fu dato l’ordine di partenza. La mattina del 9 settembre le tre navi scuola lasciarono la base navale con l’ordine di raggiungere Cattaro. Un po’ prima di mezzanotte il comandante del VESPUCCI, capitano di Vascello Sebastiano MORIN decise di prendere a rimorchio nave Palinuro, ferma per un’avaria all’apparato motore principale. Il reparto macchine lavorò intensamente tutta la notte al fine di riparare il guasto. Dopo mezzogiorno del 10 il comandante del Palinuro (C.F. Ugo Giudice) comunicò al Comandante Morin che l’efficienza del motore era stata ripristinata, ma chiese il permesso di lasciare il gruppo navale per proseguire verso il porto di Ortona, a motivo che la nave era rimasta a corto di combustibile e necessitava di un rifornimento. Mentre le navi Colombo e Vespucci dirigevano verso Sud, dopo aver ricevuto un messaggio di Supermarina in cui il porto di Cattaro veniva dato per insicuro. Il Palinuro entrò in tarda serata nel porto di Ortona dove venne reso inutilizzabile dall’equipaggio al sopraggiungere delle forze tedesche. Colombo e Vespucci raggiunsero Brindisi.
Terminata la guerra, il COLOMBO riprese la sua attività e, nel mese di novembre 1946, al comando del Capitano di Fregata Giovanni Adalberto, si trovò impegnata in un pericoloso fortunale al largo di Cagliari, che mise a dura prova le qualità nautiche della nave, del comandante e dell’equipaggio, tanto è vero che furono oggetto di un particolare “Elogio” da parte del Ministero della Marina. Un’altra tempesta, che lacerò le vele e fece rischiare il naufragio al COLOMBO avvenne alla fine del mese di gennaio 1947 nella crociera Napoli-Genova. La nave, però, riuscì anche questa volta a ripararsi nel golfo di Juan per poi ancorarsi nei pressi del faro di La Garoupe nella Costa Azzurra.
La nave ad Augusta nel febbraio 1949 in attesa della consegna ai sovietici
Alla fine della guerra il Colombo, in ottemperanza al trattato di pace, dovette essere ceduta all’Unione Sovietica insieme ad altre navi. il 9 febbraio 1949 lasciò il porto di Taranto alla volta di Augusta dove il 12 febbraio passò formalmente in disarmo, ammainando le bandiere della Marina Militare e issando quella della Marina Mercantile in attesa della consegna. Quest’ultimo rappresenta un fatto simbolico ma di estrema importanza morale: in forza di un trattato di pace, l’Italia paga i suoi debiti di guerra con navi “mercantili”, ma non ammaina la bandiera di guerra di navi militari che non si sono arrese al nemico. La CRISTOFORO COLOMBO salpò da Augusta alla volta di Odessa al comando del Capitano di Fregata Serafino Rittore, ufficiale superiore della Regia Marina Militare al quale è stato affidato l’incarico speciale di trasferire l’unità al porto di consegna in Unione Sovietica insieme ad altre unità del secondo gruppo. La CRISTOFORO COLOMBO batte ora bandiera mercantile e il comando è affidato a un ufficiale della Regia Marina ora formalmente in abiti da marittimo civile. Il CRISTOFORO COLOMBO raggiunge la sua destinazione il 2 marzo e ormeggia nella stessa banchina dove già si trovavano l’incrociatore “Duca d’Aosta” e la torpediniera “Fortunale”. All’arrivo in Unione Sovietica al comando dell’unità venne destinato il Capitano di Corvetta Nikolaj Korzun. Il pomeriggio successivo con la consegna formale ai sovietici il tricolore venne ammainato per l’ultima volta.
Fine ingloriosa
IL COLOMBO AD ODESSA
Ribattezzata con il nome Dunaj (Danubio in russo), la nave dopo essere stata consegnata all’Unione Sovietica venne posta ai lavori nel cantiere di Odessa ed i sovietici, allo scopo di cancellare il ricordo dell’italianità della nave, ridipinsero lo scafo di colore grigiastro al posto della colorazione bianca e nera che riportava ai ponti delle batterie dei cannoni tipica dei vascelli da guerra della fine del settecento. Nella Marina Sovietica, la nave, assegnata alla 78ª Brigata di addestramento, venne utilizzata saltuariamente come nave scuola ad Odessa nelle acque del Mar Nero fino al 1959, quando passò alle dipendenze della Scuola Superiore del Ministero della Marina di Leningrado che nel 1960 la destinò all’Istituto Nautico di Odessa. Nel 1961 avrebbe dovuto essere sottoposta ad importanti lavori di manutenzione, che mai furono iniziati; nel frattempo venne disalberata ed adibita a nave trasporto di legname, finché nel 1963 bruciò insieme al suo carico nelle acque sovietiche e poiché venne ritenuto economicamente sconveniente un suo recupero, venne radiata dall’albo delle navi nello stesso anno, restando abbandonata e semidistrutta per altri otto anni fino al 1971, anno nel quale fu definitivamente demolita.
BIBLIOGRAFIA:
NAVI E MARINAI - VOL.III - COGED
STORIA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE di Erminio BAGNASCO - ENRICO CERNUSCHI
STORIA DELLA MARINA ITALIANA Nella Seconda Guerra Mondiale di WALTER GHETTI - DVE
STORIA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE - Rizzoli
LA NAVE SCUOLA - AMERIGO VESPUCCI di Carlo GATTI
ha compiuto 80 anni ed é ancora la nave più bella del mondo
Carlo GATTI
Rapallo, 6 Maggio 2020
SULLA ROTTA DELLE BANANE...
SULLA ROTTA DELLE BANANE...
di Thomas Lebano
Durante l'intero periodo dell'anno, abbiamo la libera scelta di andare al supermercato o nei negozi per acquistare praticamente ogni tipo di frutta.
Ma perché abbiamo tutta questa disponibilità??
Determinati frutti, per crescere, hanno bisogno di condizioni climatiche specifiche, riescono a maturare solamente ad a una certa temperatura: ci dev'essere molto caldo e deve piovere copiosamente, queste caratteristiche esistono esclusivamente ai tropici.
Ormai le modalità di Trasporto sono ben note: via aria, via terra e via mare.
Il trasporto via mare è utilizzato per coprire grandi distanze e si adatta a merci non deperibili: generalmente, infatti, è il tipo di trasporto più economico, ma è anche più lento. Il tempo può variare da una manciata di giorni a mesi, a seconda della distanza e dei servizi disponibili. Un aspetto positivo è che con questo tipo di trasporto è possibile spostare grandissime quantità di materiali rispetto ai concorrenti via terra e via aerea, che hanno possibilità molto più limitate. Sicuramente per le compagnie marittime una delle difficoltà più importanti è data dal trovare, una volta che la merce è arrivata nel porto, un’adeguata rete di collegamento con l’entroterra.
Il trasporto via mare rimane comunque il mezzo ideale per le lunghe distanze e i grandi carichi internazionali, naturalmente se l’azienda ha un giro di affari tale da poter coprire le spese del servizio.
Il trasporto via mare rappresenta il metodo più diffuso per trasportare merci in tutto il mondo.
Dopo aver compiuto quattro imbarchi su navi bananiere con stive refrigerate, ho imparato davvero molte cose e ho potuto fare chiarezza su come sia possibile trasportare quintali di frutta e farla arrivare a destinazione prima che maturi del tutto.
Più di tante parole, a volte é sufficiente soltanto una fotografia per dare l'idea del progresso.
Foto Carlo Gatti
1963, PUNA' DI QUAYAQUIL (Ecuador) - Imbarco di banane sulla nave italiana MARCO POLO della Soc. Italia di Navig. A quel tempo le navi venivano caricate a spalla (vedi foto sopra); ogni casco di banane pesava 30-50 kg.
Questo articolo ha soltanto lo scopo di informare il lettore sui metodi applicati dalla mia Compagnia di navigazione; le procedure possono variare su altre navi simili, ma i risultati penso siano gli stessi, così come i viaggi e lo stesso mare tropicale.
La seguente scaletta dà un'idea, sintetizzata, dell'intera sequenza necessaria per far arrivare tutta la frutta dai luoghi di produzione a quelli del mercato.
● Inizialmente tutta la frutta si trova all'interno di una vasta piantagione, quando è ancora acerba ma della giusta dimensione, avviene manualmente il taglio del casco, dopo di che, tramite un sistema di carrucole, si portano tutti i caschi di banane al centro d'imballaggio dove prima vengono controllati e poi inscatolati.
● Successivamente il carico viene trasportato tramite i camion fino alla banchina del porto dove inizieranno le operazioni di carico e scarico a nave ormeggiata.
● Finite le operazioni commerciali la nave inizia il viaggio. Specifici membri dell'equipaggio che ora andremo a conoscere, hanno il compito di controllare le temperature delle stive e dei container. Questo controllo viene eseguito dall'allievo ufficiale di coperta insieme all'assistente elettricista, facendo per ogni container il check delle temperature due volte al giorno, alla mattina alle 08:00 e al pomeriggio alle 16:00, tutti i giorni fino all'arrivo.
● Infine, giunti al porto di destinazione, nel momento in cui la merce viene scaricata dalla nave, comincia il suo percorso attraverso i vari acquirenti che hanno richiesto il carico, tra cui negozi indipendenti e grossi supermercati.
Nave Cala Pedra
Cosiarma dispone di quattro navi di proprietà, le ‘Cale rosse’ (Cala Palma, Cala Pino, Cala Pedra, Cala Pula), ognuna con capacità di carico pari a 10.360 pallets in celle frigorifere e 560 TEUs in coperta.
DATI PRINCIPALI
Numero IMO |
9164782 |
Nome dell'imbarcazione |
CALA PEDRA |
Tipo di imbarcazione |
Refrigerated Cargo Ship |
Bandiera |
Italy |
Porto base |
Vado Ligure |
GT |
14868 |
DWT (t) |
16024 |
Lunghezza complessiva (m) |
190 |
Larghezza massima (m) |
24 |
MA COSA SUCCEDE DIETRO LE ROTTE DEI FRUTTI TROPICALI?
Navigo a bordo di una porta-container varata nel 1998, accompagnata da 3 navi gemelle chiamate abitualmente "CALE".
Tutte e quattro le navi compiono viaggi della durata di 35 giorni scalando i seguenti porti:
Viaggio di Andata
● Vado Ligure………………. (porto di partenza)
● Tarragona…………………. (Spagna)
● Rio Haina…………………… (Repubblica Domenicana)
● Turbo………………………… (Columbia)
● Moin – Porto capolinea (Costa Rica)
● capolinea.
Viaggio di ritorno
● Setubal ………. (Portogallo)
● Vado Ligure… (Italia)
● Fine e inizio di un nuovo viaggio.
Il NOLO di queste navi consiste nel trasportare principalmente grossi carichi di banane e ananas. Uso il termine principalmente perchè essendo la nave una porta-container può anche trasportare quantità di dry cargo, ovvero merce varia solida non deperibile.
La più marcata differenza tra questa tipologia di nave e la FULL-CONTAINER moderna, è che la prima non è FULL – Il che significa che i Containers non vengono stivati sottocoperta ma soltanto al di sopra di essa, mentre tutto il rimanente carico di frutta viene caricata all'interno delle stive, ossia dei ponti sottostanti alla coperta principale.
In parole "terrestri" si tratta di veri e propri piani posti verticalmente.
Queste stive, per facilitarne l'identificazione, sono chiamate a partire dall'alto; ALFA, BRAVO, CHARLIE e DELTA.
Ognuno di questi ponti ha a disposizione tre diversi locali numerati che vanno da prua verso poppa.
Per dare un'idea della disposizione, i ponti sono stati progettati nel seguente modo.
COPERTA DELLA NAVE
---------------------------------------
3. 2. 1. ALFA
---------------------------------------
3. 2. 1. BRAVO
---------------------------------------
3. 2. 1. CHARLIE
---------------------------------------
3. 2. 1. DELTA
---------------------------------------
Ogni locale numerato è diviso singolarmente dalle sliding door, che sono porte rettangolari che tramite un pistone si aprono e si chiudono orizzontalmente.
SLIDING DOOR
Dietro i paletti in basso, si può notare il pistone che guida la "porta" nella fase di apertura e chiusura.
Gli SLIDING DOOR hanno la funzione di separare i carichi per le diverse destinazioni e soprattutto quello di impedire il passaggio d'acqua in caso di falla del doppio scafo, quindi di un possibile allagamento. Le Sliding Door hanno anche la funzione di porte taglia fuoco con lo scopo d’impedire la propagazione di incendi. Questi locali sono molto ampi e necessitano della protezione di un impianto CO2.
All'interno di queste stive, i carichi di frutta vengono sistemati in maniera precisa e schematica.
Per facilitare le operazioni, si usano dei Bancali di legno che possono sostenere in totale poco più di 1.000 kg definiti Pallets.
Pallets di legno
Avendo una forma quadrata, al di sopra di questi bancali vengono impilati circa 50 scatole di frutta, il numero dipende dalla dimensione dei contenitori. Arrivano ad avere una forma compatta una volta imballati, dopo di che, tramite i transpallet e forklift, adibiti al trasporto di uno o due bancali, vengono incastrati senza lasciare spazi tra essi lungo le paratie fino a riempire l'intera stiva.
E’ necessario stivare i bancali in maniera compatta e senza spazi liberi per evitare danni in caso di rollio e beccheggio della nave con cattivo tempo.
Qui stavamo Navigando lungo la costa della Sardegna, l'anemometro segnava quasi 80 nodi di vento.
Costa Sarda vista dalla Plancia.
Per cui, più è compatto il carico, meno esso rischia di danneggiarsi cadendo o sbattendo contro le paratie. Inoltre, per maggiore sicurezza, la merce viene rizzata con i lashing bar.
Materiale di rizzaggio
Forklift
Transpallet
In totale le stive possono arrivare a contenere circa 6.000 pallets, mentre in coperta il numero dei container frigo può arrivare a 250, ogni container può contenere 20 pallets.
L'immagine che segue mostra come vengono sistemati i bancali all'interno della stiva
La seguente foto:
mostra il trunk di uno dei due side-loading posti a prua il primo, e a poppa il secondo, si possono notare i seguenti ponti collegati alle stive mentre in cima si vede la piattaforma che muovendosi verticalmente fa spostare i pallets dell'elevatore ai vari piani, una volta che si arriva al piano desiderato si fanno "camminare" i bancali su una serie di rulli chiamati Conveyor comandati da un operatore, a questo punto gli stivatori, manovrando il forklift, li recuperano dai rulli e li posizionano nella zona d'interesse a seconda della destinazione.
Durante la caricazione delle stive, gli ufficiali hanno il compito di marcare il modo in cui vengono posizionati i bancali accertandosi che il giusto quantitativo di merce venga stivata nella corretta posizione, segnando quantità e il brand ovvero la marca.
REEFER
Parlando invece dei container, ne esistono di vari dimensioni e con funzionalità diverse ad esempio quello presente nella foto, è un reefer container o container frigo, questo in particolare è di tipo high cube, ovvero il più alto tipo di container, funziona come un comune frigo e può contenere un massimo di venti pallets.
Dimensioni container da 40 piedi high cube :
Lunghezza: 12 metri e 19 centimetri
Larghezza: 2 metri e 43 centimetri
Altezza: 2 metri e 89 centimetri
Tutti i container a seconda del porto vengono caricati tramite 2 gru presenti in coperta oppure dalle gru paceco installate in banchina.
Gru di bordo
La prima Gru che si nota è quella di bordo, ha una capacità massima di 43 tonnellate.
La foto successiva mostra una gru di terra chiamata Paceco, molto più precisa e rapida. Le gru di bordo vengono usate nei porti minori dove le Paceco non esistono.
Gru Paceco
Pannello di un container frigo sul quale é visibile il display che mostra la temperatura di settaggio e quella che effettivamente viene erogata all'interno.
Uno sguardo alla sicurezza.
La sicurezza dell'equipaggio é primaria e viene salvaguardata in ogni momento sia in porto che in navigazione!
Molta attenzione viene prestata durante la caricazione, il rizzaggio, in navigazione e durante la scaricazione. Tutto dev'essere organizzato, pianificato e gestito, senza errori, perché ogni merce è assicurata e se dovesse arrivare danneggiata, la compagnia perderebbe una parte dei guadagni che sono fondamentali per la gestione della Compagnia.
Oltre al carico, l’equipaggio deve pensare all’efficienza e alla manutenzione della nave essendo sottoposta costantemente agli effetti corrosivi del mare salato trasportato dal vento, dalle correnti, dalla continua esposizione al sole e alle condi-meteo.
Ultima, ma non per importanza, é la sicurezza della navigazione. Il Comandante, se necessario, ma soprattutto gli ufficiali di coperta eseguono 3 turni di guardia sul Ponte di comando coprendo le 24H affinché la rotta proceda sempre in tutta sicurezza.
Per dare un'idea del livello di attenzione che si deve mantenere sul ponte di comando, la seguente foto mostra la situazione del traffico nei pressi dello stretto di Gibilterra.
Lo Stretto di Gibilterra é vicino
I momenti più "delicati" del nostro viaggio sono le manovre nei porti, il passaggio dello Stretto di Gibilterra, l’entrata nel Mar Caraibico e l’incontro con il flusso di navi nei due sensi del Canale di Panama.
Durante la navigazione oceanica occorre fare molta attenzione ai piovaschi che spesso celano la presenza di pescherecci, talvolta imprevedibili nei loro spostamenti. Tuttavia, la navigazione al giorno d’oggi gode di molti dispositivi di sicurezza e vari strumenti utili per condurre la nave in sicurezza, come ad esempio le carte elettroniche visibili attraverso l'ECDIS, insieme ai GPS, ECO-SCANDAGLI e RADAR.
I pericoli e gli incidenti, purtroppo, sono ancora tanti: incidenti ambientali e non, incendi, falle, esplosioni e collisioni sono all’ordine del giorno ad ogni latitudine e longitudine su tutti i mari. Per questo motivo a bordo occorre esercitare sempre la massima attenzione la quale, per essere efficace, deve essere supportata da passione e senso del dovere. Questa professione, per noi giovani alle prime armi, é maestra di vita perché insegna a non trascurare i dettagli e ad assumersi le proprie responsabilità.
Concludo RINGRAZIANDO i Comandanti, Ufficiali ed equipaggi che ho avuto l’onore di conoscere, con cui ho lavorato e vissuto in questo periodo d’allievo e soprattutto per quello che mi hanno insegnato; dal lavoro, al comportamento e il rispetto per le regole.
Un sentito ringraziamento va anche alla mia famiglia per il supporto datomi in particolare da mio nonno Comandante Carlo Gatti insieme a un amico di famiglia Comandante Nunzio Catena per avermi sempre seguito, scritto e aiutato.
Rapallo, 1 Aprile 2020
OSSO DI SEPPIA
La casa delle mie estati lontane, t’era accanto, lo sai, là nel paese dove il sole cuoce e annuvolano l’aria le zanzare. Come allora oggi la tua presenza impietro, mare, ma non più degno mi credo del solenne ammonimento del tuo respiro.
EUGENIO MONTALE
OSSO DI SEPPIA
I RICORDI DI NONNO NUNZIO
La mia prima nave è rappresentata nella foto sopra: un osso di seppia. In seguito, con un bastoncino e un pezzo di carta per vela, divenne il mio primo veliero con il quale cominciavo a immaginare i mari infiniti, le isole meravigliose... altre genti... colori diversi... altri mondi!
Da allora, avevo già deciso della mia vita: avrei fatto il "Capitano di coperta"! Forse incoraggiato anche dalla mia nonna materna. Si chiamava Concetta ed era nata nel 1874, infatti portava ancora la gonna lunga, il fazzoletto in testa con i lembi riportati sopra e il grembiule lungo davanti. Lei era di Francavilla, ma ormai, non avendo più casa (distrutta dalla guerra), viveva con noi.
Oltre alle favole, mi raccontava storie di briganti e poi alcune chicche di quando a Francavilla, durante l'estate, c'era il Cenacolo di Michetti che era frequentato anche da D'Annunzio il quale, essendo molto in auge in quel periodo, faceva ancorare le navi della Marina davanti al paese.
Così, per qualche giorno, la cittadina era invasa dai cadetti che sfoggiavano le loro eleganti divise bianche. Il suo sogno era di vedermi un giorno al posto di quei giovani e, mentre le saltellavo sulle ginocchia, lei diceva: “pur(e) custu' duventarra' nu bell Ficial(e)....!!!" (Traduzione: “anche questo qui diventerà un bell'Ufficiale”). Chissa'! Forse anche i racconti della nonna hanno influito sulle mie scelte!
Nonna Concetta
Bastava che vedessi dov’erano i contadini che innaffiavano a forza di braccia gli orti con dei solchi d'acqua e subito facevo la mia nave con una foglia di canna, poi la trascinavo tra un solco e l'altro inseguito dai loro rimproveri. Le barchette con la foglia di canna le facevano i bambini più “grandi” di otto anni, allora io davo le 5/10 lire che 'vincevo' alla nonna giocando a carte ad un ragazzino che in gran segreto mi avrebbe insegnato a costruire la barchetta con la foglia di canna.
La barchetta fatta di foglie di canna
C’erano tanti bambini un po' più grandi di me che erano interessati a trarre profitto da questa mia passione.
In effetti la costruzione era piuttosto semplice: si doveva prendere una scatola di latta, togliere i fondi, piegare a metà da una parte il restante rettangolo, stringere quei due lembi per formare la prora e la parte posteriore, inchiodare il tutto attorno ad una tavoletta sagomata che formava la poppa... e la nave era fatta, ma aveva un certo prezzo!
Prima della guerra, mio nonno Nunzio era un imprenditore elettrico e, per quanto i superstiti della guerra avessero depredato già tutto, conservava ancora dei grossi rotoli di filo di rame e il prezzo, a seconda della stazza della nave, era calcolato in proporzione: a tanti centimetri di nave corrispondevano tanti metri di rame.
Così cominciò la mia passione per il mare, più crescevo e più aumentava la voglia di entrare in quel mondo e farne parte!
Era il 1946, avevo 6 anni e non avevo mai avuto un vestito nuovo tutto per me. Al massimo un paio di pantaloncini corti ricavati da una giacca della divisa di papà, per l’inverno, altrimenti un paio di mutandine di "percalle" per i mesi caldi, tutto era cucito rigorosamente da zia Bianca che faceva la sarta. Io desideravo da sempre un vestito da marinaio.... e, finalmente, il momento arrivò!
C'era stata la guerra! zia Silvana aveva 16 anni, zia Marinella ne aveva 12; a qualcuno mancava la Cresima, ad altri la Comunione così, visti i tempi di magra che correvano, i grandi decisero di fare tutto in una volta, una festa unica che si prestava ad aggiungere pure Nunzietto, che ero io, il più piccolo! Già ero veramente piccolo, ma avevo il mio caratterino e facevo valere le mie ragioni:
“se non mi fate il vestito da Marinaio, io non ci vado in chiesa!”.
E così, anche se cucito da zia Bianca, ho avuto finalmente la mia prima "divisa" ed ero fiero di indossarla!
Io sono al centro del gruppo con la divisa da ufficiale-marinaretto
Mi attendeva – però - una delle prime delusioni della mia giovane vita. Era usanza a quei tempi, soprattutto in campagna, che in occasione della Cresima, il padrino regalasse al cresimando l'orologio da polso, sebbene non fossi ancora in grado di leggerlo, e non vedevo l'ora d’indossarlo.
Finita la cerimonia, giunse il momento dei regali. Erano tutti assonnati, la mangiata era stata luculliana! La mia povera mamma aveva dovuto preparare e cucinare una infinità di conigli, in quel cucinino pieno di fumo, per quella banda famelica di parenti che si radunavano nelle grandi occasioni.
Dopo tanta attesa ricevetti 6 birilli di legno con un pallino e una penna stilografica! Ricordo solo che li scaraventai da qualche parte e piangendo andai a nascondermi. Ritornai allo scoperto solo a sera inoltrata e adesso posso capire l'imbarazzo dei miei genitori, ma andò proprio così.
Intanto crescevo, i pescatori erano i miei miti e cercavo sempre di stare con loro per rendermi utile almeno come mozzo-marinaretto... Avrei potuto pulire una sentina dove solo le mie piccole mani potevano arrivare, ma nessuno mi portava in barca! Dicevano: “che lo porti a fare? Che ti fa "cussu!” (quello lì).
Che umiliazione sentirmi escluso dal bordo e dal mare! Eppure io capivo tutto quello che dicevano i grandi, e sapevo anche come fare…!
Avevo 10/11 anni quando andammo ad abitare alla casa al mare ed ero veramente felice! Bastava che qualcuno lasciasse la barca nei dintorni e subito andavo ad armeggiare con i remi. Anche se un po' gracile, di forza ne avevo tanta, ero ormai in grado di remare per poter stendere e salpare le reti. Finalmente Zi' Rocco, un uomo anziano con una gamba di legno, cominciò a portarmi con sé per mettere le reti. Andavamo poco prima del tramonto e le ritiravamo all'alba, anche perché alle 7.20 passava l'auto per andare a scuola!
Per San Giuseppe, insieme alle rondini, arrivano le seppie per deporre le uova lungo il litorale e le reti venivano messe dove c'erano gli scogli o i sassi: il nostro posto favorito era proprio alla foce di quel fiumiciattolo Arielli dove, oltre a qualche scoglio, c'erano i ruderi di un ponte fatto saltare dai tedeschi.
Di mattina, mentre tiravo su le reti, Zi' Rocco ogni tanto guardava il fondo e diceva:
«Nunzie', guarda che bel mattone!»
Che era una specie di ordine: "va a prenderlo!".
Anche se il sole si era alzato da poco e la brezza di terra fosse ancora fresca, se volevo conservare l'imbarco, non avevo altra scelta. Spogliato completamente, altrimenti mamma se ne sarebbe accorta, mi tuffavo nell'acqua piuttosto fredda perché era mescolata con quella del fiume: “ed ecco il mattone!” La cosa si ripeteva spesso durante quel tipo di pesca.
Poi crescendo ero sempre più richiesto anche per via della gratuità delle mie prestazioni d'opera!
Intanto Zio Giovanni, il papà di Tonino, il cugino che poi sarebbe diventato generale, stava ricostruendo le case al mare in località Pasquino. D’estate si rinforzavano i muri di cemento per difenderli dalle mareggiate invernali. A questo scopo lo zio aveva comprato un bel "moscone" di legno, un pattino, per invogliarci a dare una mano, magari un po’ piccola ed inesperta, ma molto svelta…
Avevo trovato lavoro! All'alba si partiva remando sulla rotta per Pasquino e dopo una giornata impegnativa, eravamo tutti contenti di poter remare e si ritornava a casa dove il moscone era gelosamente custodito e del quale, durante le pause di lavoro, ne avevo piena disponibilità.
Inoltre, dove andavamo a lavorare, c'era un tale "Balilla" affittuario di una casetta di Zio Giovanni, per usi non troppo puliti per quel tempo. Era un grossista di ferri vecchi, pezzi di motori usati; tutto ciò che serviva, lui ce lo aveva pronto.
Un bel giorno, lo zio mi fece provare una specie di canoa, tipo un vogatore seduto a poppa, rivolto verso prora ed un altro a prora con la faccia verso poppa. Aveva due galleggianti laterali che mi ricordavano le imbarcazioni polinesiane, in compensato foderato di lamierino sottilissimo, si remava con la doppia pagaia! Quel tipo di voga mi deve aver fatto un gran bene ai muscoli che si gonfiavano man mano… anche senza gli "anabolizzanti" di oggi…!
Poco distante da casa mia, abitava Antonio, un pescatore chiamato Lu Sord. Aveva 4 figli, la più grande aveva la mia età, quindi poteva essere mio padre!!! Bene, avevo 12-13 anni e il mio vero amico era proprio lui: 'Ndonio lu sord'. Chi era?
Avevo conosciuto il Sordo quando ero poco più di un bambino. Il padre 'Zì Luigi' era di Roseto degli Abruzzi, come i suoi avi, faceva il pescatore sulle paranze, quelle tipiche barche a vela di quei tempi e di quei mari le quali, pescando la sciabica tipica dell'Adriatico, era arrivato fin qui a Ortona.
Antonio (il Sordo), spingendosi all'interno per vendere il pescato, conobbe una ragazza di buona famiglia, che sposò e portò a vivere in una casetta vicino alla mia dove, nell’attesa del maschio che arrivò per ultimo, partorì quattro figlie. Quella famiglia attraversò periodi davvero brutti, perché lui era senza lavoro e senza i necessari e costosi attrezzi da pesca. Purtroppo non aveva scelta, quando c'erano i cefali, usava il tritolo!
Nunzio in primo piano e Lu Sord
Prima della guerra, i pescatori come Zi' Luigi, il padre di Antonio, dal mese di aprile in poi, pescavano con le sciabiche che erano reti molto alte, con dei piombi sotto e dei galleggianti sopra. Questo attrezzo veniva gettato al largo, e poco dopo iniziava il recupero da terra tramite i calamenti (cime robuste) che venivano tirate a riva dagli sciabicotti a forza di braccia.
I bracci laterali si avvicinavano lentamente verso riva, mentre il centro della rete contenente il sacco restava spostato verso il largo, sospeso da tanti galleggianti. Una volta che le due estremità della rete piano piano si avvicinavano a riva, i pesci impigliati nella rete sarebbero finiti nel sacco. Il quantitativo del pescato dipendeva dalla fortuna e dall’abilità con cui il pescatore capo barca aveva diretto l’operazione che poi si ripeteva in una zona poco distante.
Con quel faticoso modo di pescare, questa povera gente partiva da Roseto, pescava e vendeva il pescato lungo la costa, nelle campagne, ma anche nei paesini dell'interno che erano raggiungibili con i carretti. Il pescato consisteva in pesce povero, alici, sgombri, aguglie, cefali e raramente qualche pesce pregiato, come spigole, dentici ecc.
In quel modo riuscivano a sopravvivere e se era andata bene la stagione di pesca, portavano a casa qualche soldo. Di sera, tiravano a riva la barca, accendevano il fuoco e mangiavano il pesce arrosto, ed anche i prodotti della campagna che avevano avuto dai contadini in cambio del pescato. Dormivano nella barca e la mattina successiva ripartivano pregando San Tommaso!
Era una giornata di settembre meravigliosa! La gente si augurava:
"Bisogna ancora seccare i fichi." Alludeva alle giornate in arrivo che dovevano essere come questa.
Ricordo il mare 'oleoso', quando i branchi di cefali nuotavano in superficie increspando il mare come fosse un refolo di vento: un allarme visivo che attirava il fiuto del Sordo il quale, con tutta fretta, si gettava su una cassetta di munizioni belliche tedesche nascosta sotto una folta siepe e, dopo essersi guardato in giro con aria circospetta, estraeva le scatole di tritolo di diversa pezzatura, quindi sceglieva quelle adatte alla grandezza del branco e soprattutto all’altezza del fondale in quel tratto di mare. Dopo l’esplosione il mare diventava bianco di cefali morti che venivano con le pance a galla, ed erano così tanti da riempire la barca, ma anche in grado di appestare la spiaggia nei giorni successivi, quando il mare li spingeva sulla spiaggia dove finivano in pasto alle pulci di mare.
Fu così che, tra una vendita e l’altra di pesce fuori zona, 'Ndonio conobbe una ragazza di buona famiglia in un paesino dell'interno chiamato Canosa, si sposarono e si stabilirono in quella casetta sul mare, vicino alla mia, dove continuò a fare il pescatore.
Per me era un dio marino, un vero uomo “salato” che aveva imparato il mestiere dal padre sui trabaccoli, quei grossi barconi a vela che trasportavano merci in lungo e in largo per l'Adriatico. Da lui imparavo a rammendare la rete, a fare i nodi che servivano di più. Lo seguivo tutto il giorno come un segugio, al punto che mio padre ne era quasi geloso. Appena tornavo da scuola, mangiavo e correvo da lui, anche perché riuscivo quasi sempre a racimolare 15 Lire, con le quali Guerino, il figlio più piccolo, correva a comperare una "nazionale esportazione" per me ed una caramella per lui! Si approntavano le reti per la sera e poi tornavo a casa per studiare un po', ma pensavo sempre alla barca, alle reti, ai pesci…
Nel giugno del 1954 presi la licenza media a Francavilla. Andavo a scuola regolarmente con una bicicletta che, prima della guerra nonno Nunzio, aveva regalato alla zia Silvana. Era un po' più piccola delle normali e, siccome era stata recuperata dalle macerie, era anche un po' storta e per quanto si cercasse di regolarla, buttava sempre fuori la catena; immaginate le mani quando la mattina mi presentavo a scuola come il garzone di bottega del meccanico.
Era l’epoca di Coppi e Bartali… e Nunzio non nascondeva la sua simpatia
L'ISTITUTO NAUTICO
Finalmente potevo iscrivermi all'Istituto Tecnico Nautico di Ortona per diventare "Ufficiale della Marina Mercantile". A questo punto del racconto devo fare alcune precisazioni su Ortona. Per noi che abitavamo al Foro, era il posto dove si richiedeva un certificato dal Comune. Mamma vi si recava qualche volta il giovedì per il mercato, ma sempre per pochi minuti; io vi ero andato qualche volta nel mese di maggio per la festa di S. Tommaso, ma non di più.
Papà qualche volta, mi parlava di questo Istituto Nautico e mi diceva che in un cortile si vedeva, prima della guerra, un albero con un pennone per le esercitazioni.
Il vecchio Istituto Nautico
Infatti era proprio così: il vecchio Istituto Nautico si trovava dove attualmente c’è il Comune, mentre quello nuovo é l'edificio di fronte al castello che guarda sul porto!!!
La scuola di Ortona era da cinque anni la sezione distaccata dell’Istituto Nautico di Ancona e, mentre io ero una “recluta” agli esordi, i più anziani erano iscritti al 5° ed ultimo anno. Il primo giorno di scuola, lo ricordo perfettamente... Entrai dal portone verso il castello, non conoscevo nessuno. Poi riconobbi un ragazzo di Pescara, dove avevo frequentato la prima media, un certo Terrenzio che da allora fu il mio compagno di banco e ancora oggi viene a trovarmi! Anche altri due, forse tre, venivano da Pescara, uno di loro aveva il padre che navigava sui pescherecci atlantici della Genepesca e aspirava ad avere un figlio Capitano!
Terrenzio, scelse d’iscriversi al Nautico perché il fidanzato di una sua cugina, tal Ezio, aveva fatto il Nautico a Napoli era già un navigante e gli raccontava le sue avventure di mare con grande entusiasmo! Gli altri per la maggior parte erano di Ortona e molti facevano il Nautico perché era l'unico Istituto Superiore presente nel circondario e non avevano la possibilità di trasferirsi a Pescara! Io ero orgoglioso di fare il Nautico, perché ero già entrato da tempo nello spirito di un futuro Capitano di mare. Altro che Liceo... e per fare cosa? Il dottore, professore... non li calcolavo neanche!
I primi giorni, aspettavamo con ansia di misurarmi con le "Esercitazioni marinaresche" e pensavamo: “chissà, arrampicarsi sull’albero di una nave, funi, scale di corda, il famoso “marciapiede” ....
Finalmente arrivò il giorno fatidico: due ore di esercitazione marinaresca.
Suona la campanella e noi pensavamo di andare in un’aula attrezzata per questo scopo. Invece si presentò una persona anziana, con gli occhiali, calvo più o meno come mio padre, in mano aveva un quaderno con la copertina nera di un tempo, un po' sgualcito, ed un cavetto lungo non più di un metro.
Noi aspettavamo in piedi, entrò, salì sulla cattedra, ci guardò e disse: “Seduti!”
Subito dopo fece l'appello guardando ognuno di noi da sopra gli occhiali e facendo tra le varie domande l'albero genealogico di ognuno, eccetto quello di chi, come noi, veniva da fuori.
E cominciò: “Visto che non vi sono libri di testo, io vi detterò ogni volta un argomento previsto dal programma. Mi auguro che abbiate portato il quaderno, come per tempo era stata fatta richiesta. Scrivete: L'ANCORA.”
"L'ancora è quell'instrumento che, gittato in fondo al mare, trattiene la nave mediante cavi o catena. Le parti dell'ancora sono ..."
Ricordo che ci toccammo le ginocchia con una forza tale da farci male! Era una delle prime delusioni. Beh, forse avevamo troppa fretta, comunque dalla finestra vedevamo il porto, qualche nave che arrivava e facevamo tanti sogni...
Appena avevamo un po' di tempo, scendevamo in porto dove c'era quel che era rimasto di un cantiere navale e spesso, quando si temeva qualche interrogazione, non andavamo a scuola, grazie anche ai bei panini che la nonna preparava con la frittata, peperoni secchi, uova e qualche salsiccia di fegato. Qualche sigaretta non mancava mai e fino alle 14, l'ora della partenza dell'autobus, eravamo sempre lì al porto, alla ricerca di una barca di 5 o 6 mt. che Ezio avrebbe comprato appena sbarcato, per armarla con la vela. Dopo tante ricerche, ne trovammo una che poi comprò.
Il Rimorchiatore di servizio alla draga
In quel periodo avevamo fatto amicizia con l'equipaggio del rimorchiatore che aveva il compito di trainare fuori dal porto le bettoline cariche di fango scavato da una grossa draga. "Don Mario", il Capitano, non disdegnava qualche buon fiaschetto di vino del nonno Alfredo ed era un buon motivo perché mi sentissi virtualmente arruolato…
Intanto in mare ero diventato, in un modo o nell’altro, “utile” a tutti e tutti mi offrivano ospitalità. Papà mi chiedeva solo: "hai studiato?"; poi, al ritorno da scuola: "sei stato interrogato?"; e la sera, prima che andasse a mettersi a letto: "a che ora devo chiamarti domattina?". Sì, perché non avevamo una sveglia. Ovvero, la sveglia c’era ed era bella grande, un regalo di nozze salvatosi dalla guerra, ma non funzionava più la suoneria, così il nonno, che dormiva poco, mi chiamava più o meno alle 04, perché di sera non riuscivo a studiare, faceva freddo, e appena mi mettevo a letto con il libro, mi addormentavo!
A scuola, eccetto le Esercitazioni Marinaresche dove imparavo a fare i nodi, le segnalazioni con le bandiere e tante altre cosette interessanti, le altre materie erano quelle che si studiavano alle scuole superiori e, tranne la matematica, del resto non me ne fregava proprio niente! Comunque alla fine dell'anno ero sempre uno di quei 5 o 6 “promossi a giugno”; non potevo rischiare di giocarmi l'estate per riparare a ottobre, Terrenzio invece, al rusch finale, restava fregato in qualche materia!!!
Con il Sordo, mare permettendo, andavo tutti i giorni a pesca, ed il pescato, anche se era buono, era difficile venderlo perché la gente aveva pochi soldi e molti facevano il baratto con olio, patate ed i prodotti della campagna.
Tutte le volte che andavamo a salpare le reti, il Sordo mi diceva di prendermi dei pesci, cosa che non ho mai fatto, al contrario, tornavo a casa e dicevo a mamma: "lu Sord 'a piat lu pesc(e) vall'accattà!" (il Sordo ha preso il pesce, va a comperarlo).
Erano brutti tempi per una famiglia numerosa come la sua, con moglie e 4 figli. D'estate gli pescavo le telline per venderle, andavamo al Riccio, ma lui non poteva tuffarsi a causa dei timpani perforati, ed io raccoglievo le cozze più grandi che poteva vendere ai ristoranti di Francavilla. Ogni tanto da casa prelevavo una bottiglia di olio e gliela portavo. All’epoca non bevevo vino, però aiutavo mio padre a produrlo, anche tanto, per cui rinunciavo alla parte che mi spettava come vendemmiatore e la regalavo al Sordo. Papà apprezzava molto il mio gesto!
LA MIA BARCA A VELA
A me piaceva la vela, ma la barca del Sordo ne era sprovvista, tuttavia, essendo stato promosso, papà mi avrebbe dato i soldi per comprare il necessario allo scopo. Intanto avevo adocchiato le belle ferze di tela per le lenzuola di Marinella che mi voleva tanto bene e non le sarebbe dispiaciuto avere un lenzuolo in meno e farmi contento!
Così, dopo che mamma le aveva stese sui sassi puliti, ogni tanto le bagnava per farle diventare più bianche. Fatto il conto dei metri necessari, le ferze sparirono e subito cominciò il taglio per una bella vela al terzo.
Il Sordo, ricordando gli insegnamenti di Zi' Luigi, preparò altre ferze, ma bisognava cucirle. Il pensiero volò subito a Ninetta, la sorella più piccola dell'altra sarta di nome Ginevra, che abitava vicino a noi e non disdegnava qualche complimento o attenzione... e cosi, la vela fu cucita!
Le vele, per essere conservate meglio, venivano pitturate con colori tipo la Terra di Siena, mentre i disegni servivano per essere individuati da lontano! Ricordo ancora dove avevamo steso la vela per pitturarla, e in poco tempo, senza fare il disegno prima, direttamente con il pennello, 'Ndoni(o) fece quel capolavoro di disegno! Ora mancava tutto il resto: i pennoni, le bigotte, le pulegge per il paranco, le landre, le femminelle, i ganci di ferro... e non c'era un negozio dove poter comperare quell’attrezzatura.
Era tanta la passione che nulla poteva fermarmi: facevo prima il disegno di ogni cosa, poi lo spiegavo al falegname o al fabbro e, con la mia presenza assidua e insistente, per lui era una vera rottura di scatole…, ma con le mie promesse “mantenute” di pesce regalato, riuscivo sempre nell'intento.
Ora mancavano i pennoni che si dovevano acquistare a Francavilla. Il problema consisteva nel come portarli a casa! Con quale mezzo?
L’unica speranza era sempre concentrata sul vino di Nonno. Quanti miracoli?!?
Per anni ho viaggiato con l'autobus della ditta "Forlini" che di questi mezzi ne aveva pochissimi, uno di questi era addirittura fornito di un rimorchio per il trasporto degli studenti e nei giorni di mercato veniva usato anche dai contadini con merce al seguito da vendere in giro. I dipendenti di Forlini erano brave persone ed io avevo già da tempo sondato il terreno circa la possibilità di trasportare i due travetti di legno della barca a vela da Fancavilla, uno dei quali misurava 6,5 mt.
Uno di questi si chiamava Vicenzo ed era molto sensibile al vino…:
"ma quess' n(e) l(e) pozz fa'. Mi ci joc lu post..."
(ma questo non lo posso fare, mi gioco il posto).
E io di rimando: “Ma daj Vince' chi ci ved, j aspett a Viscarella, (l’ultima fermata all'uscita di Fancavilla, io aspetto sul muretto della fermata i travetti hanno già una cima legata. Tu vai sul rimorchio un momento... Leghi... ed è fatto!”
E così fu. Non mi sembrava vero... Ora mancava solo il lavoro per sagomare quei travetti quadrati. E dopo tanto la barca fu pronta...
Furono sufficienti poche lezioni da velista e... via! Che emozione!
Si trattava della stessa felicità che provai qualche anno dopo nel fare la mia Prima Guardia da solo sul Ponte di Comando con il grado di Terzo Ufficiale di coperta. Ero io che decidevo se accostare, controllare la posizione della nave con il sole, contattare altre navi ecc.. ecc..
Ma la barca serviva per mettere le reti e, purtroppo, la vela era ingombrante e impediva certi movimenti, insomma dava fastidio. Allora la sera, prima di calare le reti in mare, si doveva disalberare e creare più spazio possibile. All'alba si salpavano le reti e dopo una accurata pulizia dello scafo con rimontaggio dell’albero e della vela, la barca diventava mia per tutto il resto del giorno.
Mi ero attrezzato anche per una rete a strascico, allora veniva pure il Sordo, ma i risultati erano scarsi. Allora pescavo gli sgombri alla traina. Che meraviglia!
A volte ne prendevo una cassetta in poche ore! 'Ndonio, guardava da terra e se facevo qualcosa di sbagliato, quando venivo a riva, mi rimproverava! Comunque, quando serviva, andavo sempre ad aiutare Zio Giovanni a Pasquino, e molte volte caricavo la barca di sassi per metterli nel cemento, purtroppo da quelle parti non ce n'erano.
A Ottobre, ricominciava la scuola, l'unica materia specifica era sempre e solo Esercitazioni Marinaresche, ossia segnalazioni con bandiere, l’alfabeto Morse ecc… Il numero di studenti in classe era più o meno invariato, perché ogni anno 7 o 8 venivano respinti ed erano rimpiazzati dai ripetenti della classe superiore. Anche la vita era sempre la stessa: Terrenzio, il porto e le barche. D'inverno l’andazzo era un po' più duro perché tirava vento e faceva freddo.
Mia sorella Marinella aveva avuto il posto da insegnante a Montenerodomo, un paesino di montagna e, siccome era disdicevole che una ragazza vivesse da sola, mamma era dovuta andare con lei e siamo rimasti io e papà. Il menù era sempre lo stesso: “pasta con aglio, olio e rape”. La mattina ricoprivo il letto, pulivo per terra e su un diario che ho ritrovato tempo addietro avevo scritto:
“Solo ora mi rendo conto di tutto quello che faceva mamma…!”
Comunque fuori con gli amici ero sempre allegro, pieno di spirito, ma dentro di me sono stato sempre un po' triste! Non ho mai capito il perché... come se mi mancasse qualcosa. Ma ora non divaghiamo!
Due amici sul porto, Nunzio (di fronte) e Terrenzio
Arriviamo a giugno e, come al solito, sono stato promosso: la barca, il mare, qualche ragazzina che cominciava a farmi pensare...
Arriva ottobre: si riapre la scuola con l'allegria di sempre, i compagni, Terrenzio e la solita stretta di mano con la gamba sinistra alzata e: "sempre amici, fra', anche in tempo di guerra”.
LE PRIME AVVENTURE MARINARESCHE…
Poco prima di Ferragosto Antonio (il Sordo) mi chiede:
"Vogliamo andare qualche giorno a Roseto in occasione delle feste patronali?" Ricordo che a Roseto degli Abruzzi, viveva il padre di Antonio (Zì Luigi) che pur avendo una bella età stava ancora bene ed aveva spazio per ospitarci.
Anche se allora usufruivo dei biglietti gratis, per via di papà ferroviere, risposi che ci sarei andato soltanto in barca a vela!
Messo un paio di scarpe in una valigetta, indossai un paio di pantaloni, una maglietta e partimmo con un bel vento di scirocco che ci consentiva una buona andatura anche solo con il fiocco. Era troppo bello, infatti, dopo il traverso di Pescara, si ruppe la femminella superiore del timone. Ci arrangiammo a governare con un remo messo il più possibile a poppa e riuscimmo ad approdare a Montesilvano. Ci serviva un piccolo succhiello per forare il dritto di poppa (dov'era la femminella), inserirvi qualche passata di filo di ferro che avevamo a bordo e ripristinare la sede per l'agugliotto del timone.
Nell’attesa dell'apertura pomeridiana del negozio di ferramenta, ci sistemammo all'ombra di una bellissima pineta e pianificammo il da farsi. Acquistato l'attrezzo necessario, ed effettuata la riparazione provvisoria, riprendemmo la navigazione per Roseto dove arrivammo giusto in tempo prima che il vento calasse del tutto.
Arrivati da Zì Luigi, trovammo Maria la marinara, così la chiamavano qui; era una sorella di Antonio che, prima della guerra, aveva sposato un certo 'Tosetto' di Padova il quale, dopo essere stato in sanatorio per via della tubercolosi, morì prematuramente.
La marinara aveva avuto la nostra stessa idea: venire a trovare il padre, insieme ad una figlia in occasione delle feste.
Si proponeva il problema di sistemarci per la notte, visto che la barca era tutta bagnata all'intern
ma quando finirono i fuochi artificiali, pensammo di metterci sulla parte asciutta del fiocco, sotto il muretto del lungomare di Roseto per essere ridossati dal vento fresco di terra.
Non ho mai invidiato Antonio come quella notte, perché mentre lui dormiva beatamente nel suo letto, io non riuscivo a prender sonno per il rumore delle fragorose pisciate, forzatamente trattenute dei passanti, frutto di birra e noccioline, allegramente assaporate nelle bettole dei dintorni, si trattava di piccoli torrentelli che scrosciavano da un lato e dall'altro senza soluzione di continuità. Il fenomeno idraulico si ripeté anche la notte successiva.
Dovevamo rientrare, Antonio era stato chiamato per un lavoro urgente da eseguire il giorno dopo.
Nel frattempo il mare era ingrossato. Antonio era dell'avviso di lasciare la barca e tornare in treno, ma io non avrei mai accettato quella proposta, ero troppo geloso della barca, anche se i suoi parenti ne avrebbero avuto cura.
Alla fine, per farmi contento, Antonio decise di tornare con la barca. Il mare era un bel po’ mosso, soprattutto vicino alla spiaggia dove le onde frangevano sulle secche, ed era difficile portarsi al largo. Anche se Antonio era davvero imbattibile in queste manovre di prendere il largo contro corrente, un'onda “anomala” ci sovrastò a tal punto da riempirci lo scafo di mare e costringerci a tornare a riva.
Aggottammo l'acqua e tentammo subito una seconda volta. Con la forza della disperazione applicata ai remi, riuscimmo a superare l’ostacolo.
Al largo l'onda era più lunga e maneggevole, con qualche frangente che ogni tanto c’investiva per tenerci sotto pressione… aiutato dal vento che non aveva voglia di scherzare. Arrivati sulla rotta fissata, terzaruolammo e con la tramontana al gran lasco cominciammo a volare sull’acqua…
All'arrivo a Ortona, il problema si ripresentava nel modo inverso: dovevamo evitare di farci portare a tutta velocità dal frangente sulla secca, col pericolo di rovesciarci oppure addirittura di spaccarci lo scafo e perdere la pelle.
Iniziammo a rassettare tutto per tempo e, aspettando l'istante giusto per sorpassare la secca, rientrammo felicemente accolti dagli applausi dei parenti ed amici che seguivano con trepidazione il nostro rientro fin dalla partenza da Roseto.
L'unica “vittima malconcia” del viaggio era stata la valigia di puro cartone pressato che alla fine si gonfiò tutta e cambiò di colore. Tale perdita fu ampiamente pagata dal bellissimo ricordo che conservo di quella mia prima crociera.
Una bella inquadratura del MIRANDA P.
Da Sinistra: La moglie del Sordo, il figlio (Guerino che mi ha spedito la foto), il sottoscritto, una mia amica, la figlia del Sordo, dietro il proprietario del peschereccio con suo figlio arrampicato.
Nella foto da sinistra: un ragazzino che non conoscevo, la figlia di Antonio, la MAMMA mia raggiante di gioia con la valigia di cartone, il bambino Guerino, figlio di Antonio (che mi ha mandato la foto), la testa di Olga, la moglie di Antonio, Antonio in canottiera e costume, una bambina in primo piano, ed infine si scorga poco del viso di zio Augusto, un fratello di mamma.
Il Sordo e sua moglie OLGA
LA MIA PiU’ GRANDE DELUSIONE….
Tempo di scuola! L’anno della scelta d’indirizzo: Coperta o Macchina. Naturalmente io avevo deciso per la Coperta già dalla mia prima infanzia.
Entriamo a scuola e trovata l’aula vedo scritto: 3° Corso Macchinisti. Giro per cercare altrove, poi un compagno mi dice: "Cate' a ddo' cazz ve'.." (Catè.., dove c...Vai?) :
"Come?” “ne le vid ca e' maccnist, quess?!” (Non lo vedi che è la sez. macchinisti quella?).
Quella destinata ai CAPITANI non esisteva!
E' inutile andare avanti nel racconto! Quel giorno fu in assoluto
IL GIORNO PIÙ BRUTTO DELLA MIA VITA... LA DELUSIONE PIÙ GRANDE che mi avrebbe segnato per tutta la vita... avevo solo 16 anni, e mi stava crollando in un attimo tutto il mio mondo: i sogni di un adolescente, le prime letture... Non avevo più niente... Non sono entrato. "Catè.. Catè..!" Non mi sono voltato... piangevo... Sono uscito e sono andato sul Castello, non guardavo l'orizzonte infinito che ammiravo sempre da lì, ma fissavo il dirupo sempre più intensamente. Fui distratto da un uomo che si avvicinava, ed alzando gli occhi, ho rivisto "l'orizzonte...". Ho avuto sempre tanta volonta':
NON FA NIENTE... NON FARÒ IL COMANDATE... FARÒ IL MOZZO... IN ULTIMO DIVENTERÒ UN BRAVO NOSTROMO, MA VIVRÒ SUL MARE.
Tornai a casa un po’ prima degli altri per non incontrarli... A casa più o meno le solite domande... subito andai sui massi che erano dei cubi di cemento 4 mt x 4, metà interrati, costruiti a difesa della ferrovia: il mio rifugio... passeggiando lì sopra studiavo, scrivevo tutte le mie date importanti, dove sognavo, dove pensavo. Erano i miei confessori!
I Massi di Ortona
Per tre o quattro giorni, non andai a scuola, ma non avevo il coraggio di dirlo a mio padre e dargli un dispiacere così grande.
Ogni tanto andavo a scuola, ma non andavo mai alle interrogazioni, il più delle volte ero sul rimorchiatore della draga a buttare fuori del porto il fango e Don Mario mi faceva fare il timoniere.
Intanto avevo cominciato a fare i documenti per il libretto di navigazione, dopo di che me ne sarei andato a navigare da mozzo!
Ero quasi alla fine quando il Nostromo del Porto di Pescara, mi guardò e chiese: “Quanti anni hai?”
E io risposi: “17” aumentando un po'. “Mbeh, ci vuole il consenso di tuo padre!” Infatti allora si era maggiorenni a 21 anni. Altra delusione...che fare? E cosi’, alla solita domanda di papà al ritorno da scuola: "sei stato interrogato?". Non ce l'ho più fatta e gli ho detto che a scuola non ci sarei più andato e che volevo imbarcarmi da mozzo.
Mio padre era rimasto impietrito...
Non dimenticherò mai il dolore che ho provato nel dargli questo dispiacere, che era ancora più grande di quello che provavo io stesso nel momento che ero costretto a rinunciare al mio sogno di diventare Capitano.
Comunque, ricominciamo da quel brutto giorno, il mio pensiero fisso era questo:
"O frequento la sezione Capitani, oppure a scuola non ci vado più".
Ora, la sezione Capitani era iniziata quell'anno nella sede di Ortona, ma dalla prima classe, il che non aveva molto senso poiché i primi due anni sono comuni per tutti gli indirizzi (Capitani, Macchinisti e Costruttori Navali). Avrebbero dovuto iniziare dal terzo anno! Ma l’Italia è stata sempre così!
Quindi la Sez. Capitani era ad Ancona. Il nonno cercò di calmarmi e mi disse che sarebbe andato ad Ancona per informarsi, cosa che fece il giorno dopo. Il lettore può immaginare il mio stato d’animo finché il nonno tornò a casa spiegando la situazione.
L'unica prospettiva possibile era l’iscrizione al "Collegio Anconetano". Il nonno aveva portato con sé il foglio per la domanda dove erano scritte tutte le condizioni da rispettare, le ore libere, quando si poteva tornare a casa, ecc. Io avrei accettato tutto, pure il carcere... ma quello che avevo letto in fondo mi lasciava un po’ sgomento: il costo era di Lire 18.000 + 2.000 per le spese. A quel tempo la pensione di papà era ancora quella provvisoria del 1951: Lire 25.000! Comunque papà non mi disse di no: "tu vacci ugualmente, poi vediamo un po', ti sarà sempre utile!"
IL CUTTER
Dopo qualche tempo, mamma, che fino ad ora non ho mai nominato, ma che cercava di starmi vicino il più possibile, anche se io con i miei modi "gentili" la allontanavo, mi disse:
"vid ca m'à dett padret(e) ca è quas sicur ca ti ci mann(e)!”
(vedi che papà mi a detto che è quasi sicuro che ti ci manda!)" E così cominciai a sperare, andai anche qualche giorno in più a scuola. Con gli altri ero sempre uguale: allegro e scherzoso. La maggior parte dei giorni stavo giù al porto dove, tra l'altro, in mezzo alle canne, quasi affondata nella sabbia, c'era un cutter (così si chiamavano una volta quelle barche con la vela marconi, deriva ecc.), pieno di acqua e per quanto non fosse mio, spesso lo pulivo.
Passò l'inverno: le reti, il Sordo, il mare e Terrenzio che ultimamente non ce la faceva a seguire a scuola... le risate varie ecc. Si chiuse la scuola: e fu respinto!
Estate come al solito, ma ero quasi sicuro di andare ad Ancona e invece, qualche giorno prima che si chiudessero le iscrizioni, papà mi venne vicino. Ero seduto poco lontano da casa sui sassi e, mentre pensavo, rompevo i sassi con un pugno: la mia specialità. Non sapeva come cominciare, credo che un dolore così non lo avesse mai provato e mi dispiaceva che fosse per causa mia. Mi disse che ad Ancona non sarei potuto andare perché i soldi non bastavano, cosa di cui io mi rendevo perfettamente conto.
Gli dissi solo: "Va bbon pà"... (Va bene Pà). Avrei voluto abbracciarlo per non farlo sentire in colpa... Lui mi avrebbe abbracciato, come per farsi perdonare, ma non eravamo capaci, non eravamo abituati. E così sembrava che il cuore volesse frantumarsi a entrambi! Sarebbe bastato che si fosse seduto vicino a me, un braccio sulla spalla... E invece lui tornò verso casa... e io verso i massi! Forse questi modi servivano per diventare più uomini.
Libretto della Pensione
Ecco la copia del libretto della pensione di papà da cui si evince che il promesso aggiornamento della pensione per Settembre, per cui mamma mi aveva detto che sarei potuto andare ad Ancona, è avvenuto al marzo successivo, troppo tardi per me e per la mia sognata scuola!
Sui massi scrissi la data... La stessa cosa che feci su un libro che mi portavo dietro, con l’aggiunta: "addio sogni di gloria!" Allora, dovevo decidere:
1) partire come mozzo, ma papà non mi avrebbe dato il consenso;
2) aspettare che arrivasse la sezione 3° Capitani ad Ortona ed avrei dovuto perdere un altro anno;
3) continuare la Sez. Macchinisti e, dopo il Diploma, imbarcarmi da mozzo oppure prendere anche l'altro diploma: quello a cui agognavo da sempre: Capitano di L.C. Decisi per la terza soluzione con un qualcosa dentro che non mi avrebbe più abbandonato!
Comunque a scuola andavo discretamente ed eccellevo nelle materie tecniche. Ero ritornato il Catena di prima con Terrenzio, e ci vorrebbe un romanzo per raccontare quegli anni: una classe di amici! Pensate che quando gli amici partirono per il militare, sono andato ad accompagnarli fino a Taranto! Sempre promosso a Giugno, anche agli Esami di Stato! Ma ora che fare?
Nessuno della mia famiglia mi disse di imbarcarmi. Io avevo già deciso da tempo: sarei tornato a scuola. Gli insegnanti dell'altro corso mi avevano consigliato fare un “recupero”: dare l'esame a settembre di 3a e 4a - frequentare la 5a e io per tutta risposta dissi:
“Cazzo! ho fatto tutti gli anni da Macchinista di cui non me ne fregava niente, e devo fare così affrettato quello che mi interessa? Riprendo a studiare dalla 4a!”
C’era solo un problema: incombeva il servizio militare. Avevo già avuto il rinvio e ora sarei dovuto partire. Per ovviare, mi sarei dovuto iscrivere all'Università per posticiparlo. Nonno non disse una parola, pagò anche quelle tasse, anzi, penso che fosse contento, vedendo che in qualsiasi maniera sarei arrivato dove volevo.
Mi sono diplomato il 27/7/60. Il 29/7, da Marinella è nato mio nipote Vanni "il piccunetto". La gioia raggiunse il massimo grado. Ma per me la gioia è sempre durata poco. Sembrava che tutto fosse andato bene, ma poi subentrò la setticemia! Mia sorella morì il 5/8/60! Non aggiungo altro... se non una (grossa imprecazione). Scusate!
Intanto si è riaperta la scuola, con i ragazzi di 16/17 anni. Alcuni miei compagni erano già imbarcati! È stata dura... dura... Comunque, quando andavo a Roma (e capitava spesso, o per l'Università o per qualche ragazza), giravo sempre per i mercatini di libri usati a Porta Portese, trovavo qualche vecchio testo di navigazione o di astronomia e quindi avevo modo di approfondire quelle quattro cose che bisognava sapere a scuola! Avevamo il professore di Navigazione e Astronomia, un napoletano, anziano per di più, e al mattino arrivava e diceva: "ne Cate' ogg(i) a tenimm a fa ..., u ssai ? " ( ne Catè, oggi dovremmo fare..., lo sai?) eh professo'... " sc(i)pijegal a chist quattr f(i)ss", (spiegalo a questi 4 fessi..), lui si sedeva al posto mio,... e cosi non è che avessi qualcosa di nuovo da imparare! Comunque, facevo qualche ricerca per conto mio, cercavo di realizzare qualche strumento con le mie mani. Il terrazzino che avevamo sul tetto era il mio regno!
Intanto la mia vita proseguiva intorno al mare: reti, barche, pronto intervento per tutto quello che riguardava il mio mondo. A primavera, iniziai la manutenzione del cutter con Renato e a fine maggio era pronto! Iniziai l’attività velica con tutte le sue varianti ed applicazioni.
Nunzio sull’albero della petroliera VOLERE
A fine anno scolastico mi meritai una media stratosferica; partecipai al concorso della Lega Navale Italiana, a livello nazionale per alunni IV° Corso Nautici italiani, e il mese di Luglio, mi arrivò la comunicazione: Viaggio premio Flotta Lauro Napoli che aveva navi passeggeri in tutto il mondo! Mamma, sempre previdente.."micc(i) cacche maj de lan(a).. 'nz pò mai sapè, t(e) mann a dò fa lu fredd ..?!!!"
(Trad. 'mettici qualche maglia di lana, non si può mai sapere, possono mandarti dove fa freddo'). Infatti mamma aveva ragione! Grazie alle potenti raccomandazioni che avevo, quando arrivai a Napoli, mi dissero:
"Allora vai ad Augusta (Sicilia), imbarchi sulla petroliera 'VOLERE', andrete a Mina al Ahmadi-Golfo Persico, cioè all’inferno, e ritorno ad Augusta!
Ho compiuto il mio primo viaggio con tanto interesse, e avrei rifatto un altro viaggio, ma non fu possibile per l’imminente riapertura della scuola! Ebbi delle ottime referenze da parte del Com.te il quale mi disse: “appena prende il Diploma, può imbarcare con Lauro!”
Si riapre la scuola: iscrizione all’Università - facoltà Ecomomia e Commercio - Roma per ottenere il rinvio del Servizio Militare.
Ogni tanto tornava a casa qualche mio compagno di scuola della sezione Macchinisti con il portafoglio pieno, mentre io chiedevo ancora a mamma 15 lire per una sigaretta “nazionale” e la caramella per Guerino! Racconti... soldi, America... Africa ... Donne... Commento nei miei riguardi: “ma chi cazz te la fatt fa' a riji a la scol!” (Trad. ' ma chi c... te lo ha fatto fare a tornare a scuola!!').
Immaginate come mordevo il 'morso'!!! Comunque l'anno scolastico era finito... Gli Esami di Stato duravano un mese... Finalmente il 26/7/62 avevo ottenuto il titolo di "ALLIEVO CAPITANO DI LUNGO CORSO", in effetti era stato un LUNGO perCORSO, avevo “sprecato” tre anni di tempo prezioso, con tanta amarezza e tanto dolore... nel veder tramontare a quella eta’ tutti i miei sogni...!
SOLO UNA PASSIONE ED UNA VOLONTÀ SENZA FINE, HANNO FATTO SÌ CHE NON MI PERDESSI… E CHE RIUSCISSI A RAGGIUNGERE QUELLO CHE AVEVO SEMPRE SOGNATO.
*****
QUESTA STORIA AUTOBIOGRAFICA HA SOLO UN INSEGNAMENTO:
NELLA VITA OCCORRE SEMPRE AVERE UNO SCOPO!
Ai miei nipoti
Nonno Nunzio
Prima di chiudere questo racconto autobiografico, vorrei ritornare per un attimo al suo titolo:
OSSO DI SEPPIA
poiché racchiude in sé un diario di ricordi legati alla mia prima gioventù, ai miei amici e alle prime lotte d’astuzia per pescare quelle prede estremamente intelligenti che, una volta catturate mi rendevano fiero agli occhi dei miei genitori quando in compagnia di parenti e vicini di casa li cucinavamo alla griglia…
La seppia è un decapode della famiglia dei cefalopodi. Corpo ovale e schiacciato, dotato all’interno di un telaio con sfumature rosa (il famoso “osso di seppia”). Il tronco è circondato da una sorta di gonna che ha la funzione di una pinna.
I due tentacoli più lunghi sono anche più larghi all’estremità, con quattro file di ventose.
Sul capo intorno alla bocca, la seppia possiede 8 tentacoli di cui due più lunghi, flessibili, utilizzati per acchiappare la preda. Al centro dei tentacoli c’è la bocca, in essa è presente con un dente molto affilato, simile al becco di un pappagallo, con cui riesce a cibarsi.
Sotto la bocca possiede un sifone, questo viene utilizzato per nuotare in verso opposto, con una velocità fulminea se si sente minacciata. Il mantello è particolare, la seppia come gli altri cefalopodi ha un’incredibile capacità nel mimetizzarsi, infatti riesce ad assumere la colorazione di ciò che sta intorno in pochi istanti.
Il colore del corpo varia dal grigio zebrato al verde fino al bruno, poiché la seppia ha capacità mimetiche. Vive su fondali sabbiosi o tra le alghe e gli scogli. La sua vescica è più sviluppata di quella degli altri cefalopodi.
Lo strato d’acqua dove vivono le seppie è il più vicino al fondo o nelle pareti rocciose sommerse, la profondità a cui vivono varia da un metro a oltre 100 metri. Questi cefalopodi possono raggiungere la lunghezza massima di 30/35 cm. In genere le seppie si cibano di piccoli crostacei, i granchi e i gamberi sono il loro pasto principale insieme a pesci ma di piccole dimensioni.
In Mediterraneo, la pesca professionale alle seppie avveniva con le reti e le nasse. Invece per noi sprovvisti totalmente di mezzi, nella pesca da riva o dalla barca la tecnica per catturarle era tutt’altro…
Come si riproducono le seppie
La riproduzione avviene all’inizio della primavera. I maschi, riconoscibili dalla banda bianca presente nella pinna che circonda il tronco, danno inizio al corteggiamento assumendo una colorazione del mantello zebrata. Tramite questa “veste”, le seppie di sesso femminile capiscono le intenzioni di accoppiamento. A loro volta le femmine fanno intendere di essere disposte ad accoppiarsi.
Concluso il “rito di corteggiamento” avviene l’accoppiamento vero e proprio. Le due seppie si uniscono muso contro muso e intrecciano i tentacoli. Il maschio inserisce il quarto tentacolo all’interno della seppia femmina e trasferisce il seme nelle ovaie.
Dopo la fecondazione, la femmina ha un compito, quello di dare una protezione alle uova prima di deporle, tutto ciò avviene internamente. Terminato il processo di protezione delle uova, è il momento di deporle. La femmina sceglierà un posto sicuro, pulito, dove l’acqua circola in modo continuo, al fine di garantirne la schiusa.
Il periodo migliore per la pesca alle seppie è la primavera insieme all’autunno.
“Questi erano i giorni nei quali venivano a terra le seppie per deporre le uova e noi le prendevamo con le nasse, oppure con la fiocina. Occorreva fare un fascetto di viti, o meglio di alloro (perché più profumato), all’interno del quale veniva messo un mattone per tenerlo fermo sulla secca. Al mattino si andava cautamente con la fiocina (anche senza barca), si spargevano delle gocce di olio sull’acqua, in modo da togliere l’increspatura del vento.
Con un po’ di pratica, si riusciva a distinguere la sagoma della seppia che era perfettamente mimetizzata nella sabbia, in prossimità della ‘fascina’, ed era pronta per essere infiocinata.
Un altro metodo molto valido era quello di trascinare lentamente sugli scogli una seppia femmina legata nella parte posteriore, questa manovra faceva partire dal fondo, come “la freccia di Cupido” il maschio ‘ingrifato’ che era pronto per lo stupro… Era il momento d’impedire quella “violenza gratuita”…!
Il suo impeto sessuale incontrollato lo spingeva ad attaccarsi alla femmina come una ventosa! Ma in quella circostanza lo attendeva soltanto una cattura ingloriosa…senza neppure il coppo…!
Quando poi s’aveva l’opportunità di usare le nasse approfittando del loro fanatico “intimo gaudio”, si lasciava una femmina all’interno come esca.
Con il mio amico il Sordo, avevamo sperimentato anche un altro trucco: si metteva in qualche nassa dei pezzi di specchio che riflettevano l’immagine della seppia stessa.
L’inganno ha sempre dato buoni frutti.
A proposito della loro prolificità, alla fine della primavera, le nasse diventavano nere dalle tante uova che le seppie depositavano.
Era bello prenderne una quando era quasi finito il tempo della gestazione, bastava schiacciarlo un po’ con delicatezza e subito usciva la seppietta che per prima cosa, spruzzava una piccola goccia di nero”.
Un altro sistema di cattura, nel caso non disponessimo di una seppia compiacente era il seguente: si trainava a lento moto, (ad una certa altezza dal fondale), una sagoma di legno pitturata di bianco da sembrare il ventre di una seppia, alla quale avevamo fissato degli ami ai lati ed nella parte posteriore, in modo da poter braccare il maschio, che accecato dal desiderio, partiva come un razzo dal fondo per compiere l’atto peccaminoso…
Secondo la mia modesta esperienza, acquisita in quel periodo della mia gioventù, sono ancora convinto che la seppia sia la specie più “vogliosa di sesso” del creato. Il maschio si riconosce dal colore bianco che definisce l’orlo della corolla con la quale si sposta a ‘lento moto’ ed una colorazione striata del dorso, mentre la femmina presenta delle macchie color rosa nel ventre ed un colore piuttosto uniforme del dorso. Di solito la femmina è più grande del maschio”.
ALBUM FOTOGRAFICO
di alcuni siti citati nel racconto
Porto di ORTONA
L'Adriatico è lo sfondo onnipresente ed il polo su cui gira nella Storia la vita dell'intera città, che non ha mai abbandonato la sua vocazione marinara. La quotidianità è scandita dalle partenze e dai ritorni dei pescherecci, e il mercato ittico è uno dei più animati del Centro Italia. L'Istituto nautico, che dal 1919 cura la formazione di capitani e macchinisti, è un punto di riferimento a livello nazionale. Sul litorale si vedono ancora i trabocchi, le ingegnose strutture di legno e corda che danno il nome alla costa tra Ortona e Vasto: "macchine da pesca" vecchie fino a quattro secoli, ancorate agli scogli da una passerella ma non fondate, per meglio reggere all'urto delle onde. Il rapporto col mare si alimenta di sapienza antica e abilità empirica, ma ha in sé anche valenze simboliche profonde.
ORTONA vista dal mare
Il CASTELLO ARAGONESE
La città laica ha il suo simbolo nel Castello Aragonese, che fu fatto costruire da re Alfonso e rimanda ai fasti quattrocenteschi, all'Ortona porto franco in cui sbarcavano schiere di mercanti diretti alla fiere di Lanciano; benché dimezzato dal tempo - rimangono solo due torri e un tratto della cinta muraria - ci appare ancora nobile e grandioso. Esempi insigni di architettura civile sono poi le dimore patrizie di Corso Matteotti, la via su cui si innestano i due rioni storici: Terravecchia, il più antico, si sviluppò a partire dal porto sull'area dell'Ortona frentana e romana; Terranova nacque nel XII secolo e si definì centro storico di Ortona.
Il Comune ed il Castello si guardano...
Il Castello vigila sulla città
San Tommaso
Il monumento che più rispecchia la vicenda della città è la Cattedrale, risalente al XII secolo e più volte rimaneggiata prima di essere ricostruita nel dopoguerra; qui si custodiscono le reliquie di San Tommaso, esposte ai fedeli durante la grande Festa del Perdono, in cui la concessione dell'indulgenza plenaria è accompagnata da processioni solenni e cortei storici. Tra gli elementi medievali superstiti della chiesa ci sono il magnifico portale gotico di Nicola Mancino e quello più antico che si apre sul prospetto sinistro; nella decorazione interna emergono gli stucchi di Vincenzo Perez nella Cappella del Sacramento e i dipinti di Tommaso Cascella, che realizzò inoltre per la Cattedrale alcune maioliche e i disegni delle vetrate; al padre Basilio si deve invece la grande tela che raffigura l'Incredulità del Santo.
Vista parziale delle spiagge di Ortona
Rapallo, 1 ottobre 2018
MARE NOSTRUM - RAPALLO
INCENDIO A BORDO DELLA S/S HOMERIC
INCENDIO A BORDO DELLA S/S HOMERIC
S/S HOMERIC in navigazione durante la sua fulgida carriera di nave passeggeri
La notte del 1 luglio 1973, ci fu una bruttissima sorpresa. Eravamo in navigazione da New York verso i Caraibi, con destinazione Port au Prince (Haiti); all’altezza di Cape Hatteras, il mare era calmo, ma c’era una nebbia fitta, che riduceva a zero la visibilità. Il comandante era con noi sul ponte di comando ed eravamo concentrati davanti ai radar perché la zona era percorsa da pescherecci e motobarche. Il silenzio era interrotto ogni due minuti dalla sirena della nave, che segnalava la nostra presenza in mare in navigazione con nebbia. Improvvisamente suonò sul ponte di comando l’allarme incendio.
Erano le 03.55 del 1 luglio 1973, la spia dell’avvisatore elettrico segnalava un allarme incendio.
Evito di descrivere le varie fasi delle operazioni di spegnimento per non entrare in un mare di tecnicismi... La cucina fu distrutta completamente e si dovette invertire la rotta e tornare indietro per mettere la nave in sicurezza.
L’equipaggio era tutto italiano, eccetto i cinesi in lavanderia.
il Comandante si chiamava Alberto MAROSSA di LA SPEZIA e il Comandante in Seconda era Lorenzo ANTOLA (Lolly) di CAMOGLI (entrambi deceduti).
La notizia dell’incendio venne trasmessa da tutte le TV americane. Ricordo la bellissima intervista rilasciata dal primo passeggero americano che scese dalla nave: “se l’HOMERIC ripartirà nei prossimi giorni, sarò il primo passeggero a salire a bordo”.
Queste parole ci fecero sentire orgogliosi di quanto avevamo fatto. Non vi fu alcun ferito a bordo e la nave ritornò a New York con i propri mezzi. Avevamo dimostrato a tutta l’America cosa sanno fare gli ITALIANI!
Ancora oggi, il segreto del successo ottenuto, si può spiegare soltanto con l’amore che tutto l’equipaggio sentiva per quella nave che mentre andava a fuoco piangeva dalla disperazione triplicando la forza di contrasto al fuoco.
Purtroppo, a causa dei danni subiti dal calore sprigionato dalle fiamme, la nave ebbe danni irreparabili al ponte superiore che si era completamente deformato.
Dopo diverse perizie ed indagini, l’armatore decise di vendere la S/S HOMERIC ad un Cantiere di demolizione di Taiwan.
Soffrimmo tutti per quella inevitabile decisione!
Allora io ero Primo Ufficiale addetto alla sicurezza. L’HOMERIC era una nave molto lussuosa; tutto era prezioso su quella nave: l’arredamento era di tipo “classico”, i saloni erano ricchi di opere d’arte: quadri e sculture famose, arazzi e broccati sopraffini. Tanta ricchezza d’arte non l’ho mai più vista a bordo delle nuove navi. Era finita un’epoca! Dalle belle navi si passò alle FUN SHIPS.
"S/S HOMERIC in disarmo, sbandata e senza lance di salvataggio. A questo punto affiorano alcuni ricordi: "All'inizio si parlava di disarmo e demolizione a La Spezia, alla fine arrivò con grande sorpresa l'ultimo ordine: trasferimento della nave a TAIWAN per essere demolita. Ricordo che il comandante Antola preparò la nave per il viaggio e tutto andò bene. La nave partì con 50 persone d'equipaggio e due sole lance di salvataggio. Passò dal Canale di Panama. Al ritorno raccontava che la cosa triste e impressionante fu quando arrivati a Taiwan, il Pilota disse: AVANTI TUTTA... verso la spiaggia!"
C.S.L.C. Mario Terenzio PALOMBO
INFORMAZIONI STORICHE
S/S HOMERIC
In origine si chiamava MARIPOSA. una nave da 18.017 tonnellate lorda, lunghezza 192,63 mt x 24,20 mt con una velocità di 22 nodi. Poteva trasportare 475 passeggeri in prima classe e 229 passeggeri in classe economica. Costruito dal cantiere navale Betlemme Shipbuilding Corporation a Quincy, per la Società di Navigazione Matson di Los Angeles. Varata il 18 luglio 1931. La nave fu utilizzata sulle rotte San Francisco - Honolulu - Sydney e nel 1941 entrò in servizio come trasporto della US Navy. Alla fine della guerra fu posta in disarmo ad Alameda nel 1953 fu venduta e rinominata HOMERIC e passò sotto la bandiera di Panama. Fu completamente ristrutturata e con sistemazione per 147 passeggeri di prima classe e 1.096 passeggeri di classe turistica. Iniziò regolarmente la linea tra Southampton - New York con partenze nel 1955 e Le Havre - partenze di Montreal nel 1957. Dal 1963 è stato utilizzata come nave da crociera e nel 1973 dopo un grave incendio fu ritenuto antieconomico ripararla e fu venduta per la demolizione a Taiwan.
Ringrazio il Comandante C.S.L.C. Mario Terenzio Palombo per il contributo di esperienza e conoscenza offerto al sito di Mare Nostrum Rapallo. Anni fa Mario fece per Mare Nostrum una brillantissima conferenza sulle navi della Costa Crociere con la quale svolse gran parte della sua eccellente carriera che qui sintetizzo:
“Sono nato a Savona il 30 agosto 1942, da famiglia di tradizioni marinare: mio padre Francesco, autentico “lupo di mare” era originario di Porto Santo Stefano (Monte Argentario), mia madre Renata Mattera, era dell’Isola del Giglio. La mia famiglia nel 1935, per esigenze di lavoro, si trasferì in Liguria, nella pittoresca cittadina di Camogli. Mio nonno Biagio, già armatore del pinco-goletta ”Nettuno”, comandato da mio padre, si mise in società con una famiglia camogliese ed iniziò i trasporti e la vendita a Camogli e Santa Margherita Ligure, di carbone e legna proveniente dalla Sardegna. Mi sono diplomato nel 1963 all’Istituto Nautico “Cristoforo Colombo” di Camogli. Dopo 9 anni di esperienze su navi da carico e petroliere, nel 1972 iniziai la mia carriera su navi passeggeri con la società di navigazione Home Lines imbarcando sulla T/n HOMERIC con il grado di Primo Ufficiale e, subito dopo, sulla T/n DORIC. Raggiunsi il grado di Com.te in 2nda, nel 1979 sulla T/n OCEANIC e, il mio primo comando nel 1982 sulla M/N ATLANTIC, di cui avevo seguito l’allestimento, in Francia, da Com.te in 2nda.
Seguii anche l’allestimento in Germania della nuova M/N HOMERIC. Nel novembre del 1988 questa società fu venduta e venni, nello stesso mese, assunto dalla società Costa Crociere, imbarcando da Com.te in 2nda sulla T/n EUGENIO COSTA e, pochi mesi dopo, ripresi il grado di comandante sulla CARLA COSTA.
Con la società COSTA CROCIERE ho maturato sempre più la mia esperienza professionale partecipando a vari allestimenti di nuove navi, con l’affidamento del comando di navi prestigiose.
Con la Costa Crociere ho comandato : CARLA COSTA – COSTA ROMANTICA- COSTA CLASSICA- COSTA VICTORIA- COSTA ALLEGRA - COSTA ATLANTICA- COSTA MEDITERRANEA – COSTA FORTUNA
Allestimenti : COSTA ROMANTICA – COSTA VICTORIA – COSTA FORTUNA
Sono Rimasto a ruolo con la Costa Crociere sino al giugno 2007, ritirandomi in pensione
ALCUNE INFORMAZIONI TECNICHE
Sulle navi devono essere fatti conoscere alle persone imbarcate, a mezzo di cartelli stampati con grossi caratteri, i segnali di allarme per i seguenti casi di emergenza:
a) "uomo in mare": uno squillo di sirena oppure un colpo lungo di fischio quando manchi la sirena;
b) "incendio grave a bordo": due squilli lunghi di sirena.
c) "allarme generale": una successione di non meno di sette colpi brevi di fischio o squilli brevi di sirena, seguiti da uno lungo, insieme con il suono della suoneria di allarme e degli altri apparecchi sonori eventualmente esistenti nei vari locali.
d) "abbandono nave": Ordine del Comandante per altoparlante, seguito dal suono continuo dei campanelli di allarme fino a quando l'abbandono della nave non é completato.
I naviganti sanno molto bene che tra tutte le emergenze che possono accadere a bordo, l’INCENDIO GRAVE é il più temuto sia perché incide sulla respirazione delle persone coinvolte, sia perché esso va domato con l’organizzazione e la capacità dell’equipaggio di gestire e coordinare tutte le procedure del caso le quali variano sempre in base a tanti fattori, non escluso quello meteo.
Sul sito di Mare Nostrum, abbiamo dedicato l’intera Sezione Navi e Marinai-Salvataggi e Disastri al racconto di molti incendi esplosi su navi italiane con l’intento di sensibilizzare sia gli equipaggi che i passeggeri.
Niente e nessuno, come la Storia Navale, può INSEGNARE quanto sia importante l’esercitazione e la disciplina per riuscire a neutralizzare un INCENDIO a bordo di qualsiasi tipo di nave.
A cura del Com.te Carlo Gatti
Webmaster del Sito: Mare Nostrum Rapallo
BATTAGLIA NAVALE… AL POGGIOLINO DI RAPALLO - 2004
BATTAGLIA NAVALE…
AL POGGIOLINO DI RAPALLO
2004
Per la sua XXIII Edizione, da sabato 16 ottobre a lunedì 1 novembre 2004
L’Associazione “MARE NOSTRUM – Rapallo”
tra i suoi numerosi EVENTI organizzò, il 31 ottobre 2004, a cura dell’Associazione Modellisti di Milano, la simulazione di una battaglia navale con attacco a convogli di navi appoggio di rifornimento a un’isola fortificata, con siluramenti, scoppio di mine, affondamenti di naviglio, recuperi, salvataggi ed altro.
L’esibizione si svolse nella vasca olimpionica esterna della PISCINA COMUNALE DEL POGGIOLINO, alla presenza di un folto numero di appassionati e curiosi che ben presto riempirono sia la vasta tribuna che tutta l’area circostante.
La platea, da un atteggiamento iniziale un po’ freddina, come del resto fu quel pomeriggio piovoso…, passò ben presto ad una partecipazione entusiasta e chiassosa.
I presenti, sollecitati dallo speaker ufficiale, si schierarono in due tifoserie urlanti in favore della squadra navale che avevano scelto per colori, costumi, armi e simpatia. Ad un certo punto il vento aumentò d’intensità e, per ragioni di sicurezza, si pensò per un attimo di sospendere la manifestazione. I proiettili, tipo fuochi d’artificio, prendevano rotte strane e pericolose per gli artificieri ma anche per il pubblico che tendeva ad assieparsi a bordo vasca.
Durante una breve pausa di consultazione tra i tecnici della manifestazione su come procedere, il tempo abbonacciò e l’esibizione ripartì con ancor più vigore fino alla conclusione della battaglia navale.
Tuttavia, il pubblico in tribuna continuava ad applaudire ben oltre la fine dell’esibizione urlando il bis di qualche scena dimostrando un alto gradimento per la manifestazione che forse non era stata sufficientemente propagandata.
Gli abilissimi Modellisti, altamente qualificati, che giunsero a San Pietro con decine di camper e roulotte, dovettero alla fine concedere il bis nonostante le polveri da sparo fossero state “indebolite” dalla pioggia, non solo, ma si arresero “volentieri” anche alla richiesta di mettere in mostra al pubblico i propri modelli galleggianti e telecomandati con tanto di spiegazioni tecniche.
Si trattò di un avvenimento che portò prestigio alla nostra Associazione, alla stessa città di Rapallo che mai, come in quella occasione, richiamò l’attenzione della stampa, delle TV locali ed altre numerose Associazioni del ramo marittimo.
C’è da aggiungere soltanto che la manifestazione ebbe un degno finale, molto pacifico questa volta, che presto si trasformò nel vero CLOU di quella giornata particolare in piscina.
L’esibizione finale fu offerta dal prestigioso modellista varesino Duilio CURRADI con il suo FANTASTICO MODELLO del NORMANDIE della cui storia ci siamo occupati poche settimane fa.
Qui sotto, il modello navigante del transatlantico francese é stato fotografato durante un’esibizione in un lago imprecisato del nord Italia e dà un’idea ben precisa della sua maestosità.
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Questo modello oltre ad essere navigante è anche radiocomandato. Il suo shape riproduce la nave nel momento del suo internamento nel porto di New York. Il modello è in grado di eseguire le manovre di navigazione e simulare le esercitazioni di emergenza. |
I lettori e gli appassionati di modellismo statico e dinamico possono approfondire il tema digitando su Google il nome e cognome del modellista citato, oppure il sito: mitidelmare.it
Un esempio! La massa di foto relative sia il modello del TITANIC sia di tutta la sua produzione modellistica é vastissima, completa e conosciuta in tutto il mondo.
Modellino del TITANIC realizzato da Duilio Curradi (scala 1:100)
Il primo marzo 2020 Duilio mi ha scritto:
Visto il tuo passato penso ti faccia piacere sapere che ieri mattina ho consegnato a Generalmarine di Genova (N.d.r. - Società del gruppo Rimorchiatori riuniti di Genova)- dott. Emanuele Burlando - il modello in scala 1:50 del Varazze.
E' venuto abbastanza bene e farà bella mostra di sé presso la loro sede in via al Molo Giano.
Adesso faranno costruire una teca.
Ti allego una foto.
Se vuoi saperne di più puoi dare un’occhiata a:
- modello finito: http://www.mitidelmare.it/A.H._Varazze-modello.html
- costruzione del modello: http://www.mitidelmare.it/A.H._Varazze.html
Mi farebbe piacere un tuo parere tecnico.
Grazie. Un abbraccio
Duilio Curradi
Supply-Vessel AH VARAZZE
Duilio é un mio caro amico e socio dell’altrettanto prestigiosa Società Capitani e Macchinisti di Camogli, della quale mi onoro di far parte e di esserne stato Vicepresidente e Presidente.
Dal sito della Società “recupero” e vi segnalo il LINK dell’articolo redatto dallo stesso Duilio Curradi il quale ci spiega e ci rivela alcuni segreti… sulle funzioni principali del modello al quale, credetemi, manca solo la parola!
Credo di fare cosa grata ai membri dell’Associazione MARE NOSTRUM-RAPALLO l’esprimere a nome di tutti, l’ammirazione più sincera al GRANDE MAESTRO Duilio Curradi per la straordinaria competenza messa in atto nell’arte della Costruzione Navale a così alti livelli.
La costruzione del modello dinamico del NORMANDIE.
http://www.scmncamogli.org/oldsite/pagine/nnorman_tec.htm
Gli organizzatori della MANIFESTAZIONE:
Carlo GATTI - Emilio CARTA
CARLO GATTI
Rapallo, 10 giugno 2020
LA SAGA DEI FLORIO
LA SAGA DEI FLORIO
“C’era una volta il SUD…” - Non é un film di Sergio Leone! Quella dei FLORIO é una storia vera, tutta italiana e siciliana in particolare, che é degna di essere raccontata alle nuove generazioni che ormai conoscono il Meridione soltanto attraverso la lente della propaganda che i media “regalano” quotidianamente alla mafia e al malaffare.
La storia dei Florio, la più prestigiosa famiglia siciliana del secondo Ottocento e dei primissimi anni del Novecento, ci racconta di collegamenti con i più alti vertici della finanza e dell’industria internazionale e rapporti con regnanti di tutta Europa. Oggi il loro nome in Italia e all’estero è ricordato soltanto da una marca di liquori: il Marsala e da una corsa automobilistica su strada, la Targa Florio, tra le più antiche d’Europa. Ma per l’immaginario collettivo siciliano e meridionale in genere i Florio da tempo sono entrati nella leggenda e nel mito; essi rappresentano gli uomini simbolo delle capacità imprenditoriali quando anche al Sud fiorivano iniziative industriali vincenti.
A quel tempo il nome Florio equivaleva, nel campo della navigazione mercantile, a quello degli Agnelli in quello automobilistico dei decenni successivi, o di Berlusconi nel settore televisivo ai giorni nostri.
Il brand FLORIO era noto in Italia e all’estero, perché i loro cento piroscafi solcavano tutti i mari del mondo e i loro prodotti (vini e tonno in scatola) e molto altro conquistavano i mercati italiani e stranieri.
Ignazio e Paolo Florio iniziano la loro avventura a Bagnara, un paesino della Calabria dove l’unica ricchezza è il mare. Hanno in società con il cognato una barca con la quale fanno il “traffico”, ma dopo l’ennesimo terremoto che distrugge la loro casa decidono di trasferirsi a Palermo, che è già una delle capitali del Mediterraneo.
All’inizio nessuno gli dà credito: sono solo “bagnaroti”, un marchio che gli rimarrà impresso per sempre. Ma i Florio hanno qualcosa in più degli altri, sembrano anticipare le mosse, precorrere i tempi, arrivano per primi, sbaragliano la concorrenza e ci riescono anche quando gli equilibri politici ed economici cambiano durante le sanguinose rivolte libertarie o le repressioni dei Borboni.
Con l’Unità d’Italia il loro avvocato è un tale Giolitti che gli assicurerà prosperità anche dopo l’avvento piemontese. Non gli viene negato nulla, neppure la nobiltà a lungo inseguita per la quale Vincenzo Florio è disposto persino a rinunciare all’amore. Ma loro sono gente autentica; spietati, è vero, ma sanno anche cedere ai sentimenti, così anche l’amore trionferà.
I generazione - Paolo Florio (1772-1807) lasciò Bagnara Calabra a causa del terremoto che colpì la parte della Calabria più vicina allo Stretto di Messina e si trasferì a Palermo.
Il capostipite dimostrò di possedere la vena dell’imprenditore aprendo un negozio di spezie provenienti dalle colonie, tra cui il chinino che serviva a curare la malaria. Quella attività divenne in breve tempo un centro commerciale di primo ordine. Quando morì nel 1807, il fratello Ignazio, dotato anch’egli di grandi capacità imprenditoriali, migliorò l’attività di famiglia decidendo di espandere i propri orizzonti acquistando due tonnare. Prese sotto le proprie ali il nipote Vincenzo, figlio di Paolo, lo fece studiare in Inghilterra ed ebbe l’intuito di avviarlo in quel “mondo particolare” nel quale tutti i Florio dimostreranno il loro valore.
Vincenzo Florio (Bagnara 1799-1868), alla morte dello zio Ignazio, aveva 29 anni e prese in mano il timone dell’azienda di famiglia.
II generazione – Vincenzo Florio approdò a Palermo quando aveva pochi mesi e, crescendo in quell’ambiente famigliare particolarmente ricco di idee, riuscì piano piano a metterne in pratica una buona parte.
La tonnara di Favignana
Nel 1833 intraprese la produzione del celebre vino MARSALA, quella del tabacco e del cotone. Vincenzo acquisì tra le altre tonnare dello zio, anche quella dell’Arenella.
L’unica pecca di Vincenzo fu quella di non intuire le grandi potenzialità economiche che poteva trarre dalle tonnare. Infatti nel 1841 egli prese in affitto dai genovesi Pallavicino la tonnara di Favignana con un contratto di 18 anni. Nonostante l’attività producesse ottimi profitti, nel 1859 Vincenzo rescisse il contratto, facendo subentrare il genovese Giulio Drago nell’affitto di quella tonnara isolana a cui si deve la realizzazione del primo nucleo dello Stabilimento Florio ed importanti innovazioni nel settore della lavorazione del tonno.
C’é da dire che Vincenzo Florio, proprio nel 1841, era impegnato in altre iniziative molto più importanti: come la nascita del Cantiere Navale di Palermo che avrebbe segnato una svolta nella storia industriale della città modificandone la fisionomia e la vita sociale. Fondò a Palermo una fabbrica di macchinari a vapore, l'unica dell'isola e successivamente la fonderia ORETEA, moderna industria metallurgica complementare alle esigenze dell'attività armatoriale. Nella Sicilia preunitaria. Vincenzo Florio fondò in quel periodo anche la Compagnia di navigazione "Società battelli a vapore siciliani" che assicurava il collegamento tra Napoli, Palermo e Marsiglia e, naturalmente, tra i diversi porti della Sicilia.
Dopo l'unità d'Italia costituì la "Società Piroscafi Postali" stabilendo una convenzione con il governo.
I collegamenti locali navali si espansero fino a collegare l’America.
Oltreoceano, col supporto d’imprenditori inglesi, fondò la Anglo Sicilian Sulphur Company.
Nel 1868 fu nominato senatore del regno d’Italia. Morì in quello stesso anno lasciando un enorme patrimonio al figlio Ignazio, passato alla storia come Senior, per non confonderlo con l’altro Ignazio che gli successe dopo.
Ignazio Florio Senior
III generazione – Nel 1868 muore Vincenzo e gli succede il figlio Ignazio Senior (Palermo 1838 – 1891) il quale proseguì nel solco tracciato dal padre espandendo e potenziando ancora il giro d’affari di famiglia. Nel 1874 acquistò le isole di Favignana e Formica sperimentando la produzione e vendita di tonno conservato sott’olio e non più sotto sale. Fu un successo enorme!
Sotto la sua guida la Società “FLOTTE RIUNITE FLORIO” divenne la prima Compagnia di Navigazione Italiana.
Ignazio Senior diventò Senatore del Regno d’Italia come il padre Vincenzo.
Ignazio Florio Junior
IV generazione - Quando Ignazio Senior morì nel 1891, lasciò tre figli. Ignazio Junior, il più grande che si assunse l’onere della gestione del patrimonio familiare e lo fece con grande saggezza. Purtroppo il clima storico e politico in cui si trovò ad operare Ignazio junior non era più favorevole come prima, infatti gli affari dei Florio risentirono della situazione politico-sociale della Sicilia all’alba dell’Unità d’Italia e nei primi del ‘900. Ciononostante, Ignazio intraprese alcune nuove attività come la costruzione dei Cantieri Navali a Palermo (ancora oggi esistenti), acquisì miniere di zolfo di Caltanissetta e fece costruire per i malati di tubercolosi la splendida Villa Egea, che porta il nome della figlia, struttura che poi fu trasformata in albergo di lusso tuttora in auge. Uno dei successi maggiori Ignazio junior lo ebbe nella vita privata, sposando l’affascinate e carismatica donna Franca Notarbartolo di S. Giuliano. Bellissima e colta, Franca seppe creare intorno a sé un salotto internazionale di mondanità, raffinatezza e cultura, che divenne il cuore pulsante della società palermitana più “IN”. Ignazio e donna Franca erano famosi per il lusso, per i ricevimenti fatti in onore di personaggi illustri come Gabriele D’Annunzio, il tenore Caruso, lo Zar di Russia, il re d’Italia. L’Imperatore tedesco Guglielmo II fu ospite varie volte dei Florio.
Oltre ad ingrandire i cantieri navali ed i bacini di carenaggio, diede vita al quotidiano L’Ora, il cui primo numero uscì il 22 aprile 1900.
Nel 1906 il Cantiere Navale di Palermo, insieme ai cantieri di Ancona e Muggiano, legati nella loro attività alla società Navigazione Generale Italiana, confluì nella società Cantieri Navali Riuniti, con sede a Genova e successivamente trasformata in Società per Azioni, il 20% delle quali era controllato dalla Terni, a sua volta controllate dalla Banca Commerciale Italiana. Nel 1913 il Cantiere del Muggiano viene rilevato dall'adiacente Cantiere FGIAT-San Giorgio che era stato impiantato nel 1905, uscendo dalla società Cantieri Navali Riuniti.
Nel 1906 entra in scena anche Vincenzo, fratello d’Ignazio Junior rivelandosi un eccellente uomo d’affari, ma anche sportivo ed organizzatore di eventi celebri come la corsa automobilistica denominata “TARGA FLORIO”.
A lui si devono anche il “Giro Aereo di Sicilia” e il “Corso dei Fiori”.
I Florio furono, tra la fine dell’Ottocento e l'inizio del Novecento tra le famiglie più ricche d’Italia. La famiglia disponeva di una flotta di novantanove navi ed un impero che spaziava dalla chimica al vino, dal turismo all'industria del tonno.
Grazie ai Florio, i rapporti tra le due città di mare GENOVA e PALERMO sono sempre stati costanti e duraturi, felici e produttivi. Il padre del giovane Florio, il senatore Ignazio Florio, figlio di Vincenzo aveva costituito la SOCIETA’ NAVIGAZIONE GENERALE ITALIANA, nata dalla fusione dalle FLOTTE FLORIO E RUBATTINO, che aveva costituito la Società Esercizio Bacini, per la gestione di due bacini di carenaggio in costruzione a Genova.
DONNA FRANCA FLORIO
La Regina senza corona
Fotografia di Franca Florio a venti anni
Franca Florio a circa 30 anni:
Grazie alla sua passione automobilistica, Franca aveva dato vita alla rinomata TARGA FLORIO dando il via alla prima gara automobilistica in Sicilia. Una corsa che si sviluppava intorno al circuito delle Madonie con la partecipazione dei più famosi piloti del mondo.
Due fotografie per giornali europei di Franca Florio in cui viene descritta come “the best looking woman of Italy”:
Nota come la 'Regina di Sicilia' e discendente da una delle più nobili famiglie dell'aristocrazia siciliana, donna Franca era infatti l'indiscussa animatrice degli appuntamenti del bel mondo palermitano. Colta, intelligente, la dama parlava fluentemente quattro lingue e la sua eleganza sembra abbia sedotto centinaia di uomini, tra cui Gabriele d'Annunzio e Guglielmo II di Germania, per i quali era rispettivamente l'"Unica" e la "Stella d'Italia". Donna Franca era anche abile imprenditrice che aiutava il marito Ignazio negli affari di famiglia.
'Ritratto di Donna Franca Florio' realizzato da Giovanni Boldini
Per immortalare la bellezza e la grazia della moglie, nel 1901 Ignazio Florio commissionò al pittore ferrarese Giovanni Boldini un dipinto che ne rappresentasse degnamente l’eleganza.
Apriamo ora un breve capitolo di approfondimento dell’aspetto ARMATORIALE DEI FLORIO
Flotte Riunite Florio
Come abbiamo già accennato, Le Flotte Riunite Florio furono una Compagnia di Navigazione di Palermo, nata nel 1840 come Società dei battelli a vapore, ad opera dell'imprenditore Vincenzo FLORIO. Fu incorporata nel 1936 dallo Stato nella TIRRENIA DI NAVIGAZIONE.
Sotto il Regno delle Due Sicilie
La Società dei battelli a vapore siciliani nacque nel luglio 1840 per iniziativa di Vincenzo Florio, di Beniamino Ingham, di Gabriele Chiaramonte Bordonaro, che già possedevano battelli a vela, e di un gruppo di più di 120 soci minori.
Nel 1847, Vincenzo Florio fece venire a Palermo dalla Francia il piroscafo "Indépendent", in piena rivoluzione, sotto bandiera francese per essere al riparo dalle navi borboniche. Era nata l'Impresa Ignazio e Vincenzo Florio per la navigazione a vapore. Alla nave fu dato il nome di "Diligente" iniziando regolari viaggi intorno alla Sicilia.
Il Corriere siciliano di Vincenzo Florio (1852), 247 t
Nel 1851 fu ordinato ai cantieri Thompson di Glasgow il "Corriere siciliano", dalla potenza di 250 cv, capace di trasportare un centinaio di passeggeri tra prima e seconda classe. Destinato ad alcune linee mediterranee, arrivava sino a Marsiglia. Poi arrivò un terzo vapore, l'"Etna", di 326 tonnellate di stazza, sempre da Glasgow. Gli fu affidata la concessione del servizio postale tra Napoli e la Sicilia. Un nuovo bastimento, l'"Elettrico", raggiungeva l'eccezionale velocità, per quei tempi, di 13 nodi.
Quando Garibaldi sbarcò la Sicilia, il governo borbonico aveva requisito per il trasporto delle truppe quattro piroscafi della compagnia su cinque, ed uno era affondato al largo di Gaeta.
Dopo l'Unità d'Italia
L'Elettrico di Vincenzo Florio, 344 tonnellate (1859)
Nonostante queste perdite, grazie alle altre attività di famiglia, Vincenzo Florio fu in grado di riorganizzare la compagnia di navigazione: abbandonò la struttura familiare e la ricostituì in forma di Società in accomandita per azioni con un capitale di quattro milioni di lire. Così il 25 agosto 1861, venne costituita la Società in accomandita Piroscafi postali di Ignazio e Vincenzo Florio, con sede a Palermo.
Nel 1862 la Florio fu una delle quattro Compagnie che ottennero sovvenzioni dal governo italiano per il servizio postale: le linee esercite dalla Florio erano: la Palermo-Napoli e il cabotaggio intorno alla Sicilia con puntate verso gli arcipelaghi siciliani, Malta e Tunisi. Nel 1863 erano dodici le unità che componevano la flotta e la compagnia, ottimamente diretta, guadagnò ancora in forza economica e prestigio. Fu acquisita la Compagnia di navigazione a vapore La Trinacria, sorta a Palermo nel 1869 e fallita nel 1876 in conseguenza della crisi economica del 1873.
La convenzione postale del 1877 permise un'ulteriore espansione della Florio, che ormai era una delle uniche due grandi Compagnie di navigazione italiane: l'altra era la RUBATTINO. In tale occasione la società palermitana ottenne il cabotaggio del canale d’Otranto e dello Jonio, con i traghetti Ancona-Zara-Brindisi-Corfù, ma soprattutto ebbe le linee per Salonicco, Smirne, Costantinopoli, e Odessa. Fuori dalla convenzione, nel 1877 Florio inaugurò anche la linea per NEW YORK, che due anni dopo divenne Marsiglia-Palermo-New York.
La fusione con Rubattino
Il 4 settembre 1881 vedeva la luce la NAVIGAZIONE GENERALE ITALIANA N.G.I. (Società Riunite Florio e Rubattino). Ignazio Florio e Raffaele Rubattino conferirono le rispettive imprese ricevendo ciascuno il 40% delle azioni mentre il CREDITO MOBILIARE sottoscrisse il restante 20% del capitale. La sede fu fissata a Roma, mentre Genova e Palermo erano i compartimenti operativi. Coi suoi 83 piroscafi (subito passati ad oltre 100).
La Navigazione generale italiana (N.G.I.) si presentava come il più grande complesso armatoriale mai sorto in Italia.
Pochi anni dopo alcuni armatori genovesi presentarono però offerte più convenienti di quelle della Navigazione Generale per l'assunzione dei servizi convenzionati dallo Stato, mentre la compagnia, non era in grado di acquisire una nuova, grande flotta che sostituisse gli oltre cento bastimenti posseduti e iniziò la crisi. Fallita la N.G.I.
Si apre così l’ultimo capitolo…
Il Novecento, tuttavia, non fu prospero per i Florio. La prima guerra mondiale causò ingenti danni a molte delle attività, in particolare industriali e bancarie, della famiglia. Inoltre, né Ignazio né Vincenzo ebbero eredi maschi che potessero occuparsi direttamente del patrimonio. La prestigiosa famiglia fu costretta, dunque, a iniziare a vendere i propri averi e si ridusse in miseria, seppur mantenendo fama e orgoglio.
Nel 1989 si è spenta Giulia Florio, ultima erede della nota stirpe. Con la sua morte, si è conclusa quella dinastia che per quasi un secolo e mezzo ha regalato a Palermo e a tutta la Sicilia grandi fortune.
Echi dei grandi Armamenti FLORIO ci arrivano ancora…
Nel 1925 Ignazio Florio Jr fondò la Società di Navigazione Flotte Riunite Florio, che si fuse nel 1932 con la Compagnia Italiana Transatlantici per creare la:
Tirrenia - Flotte Riunite Florio - CITRA, poi salvata da FINMARE nel 1936 e nella TIRRENIA DI NAVIGAZIONE.
SOPRAVVIVONO I NOMI SUI TRAGHETTI NAZIONALI
VINCENZO FLORIO – RAFFAELE RUBATTINO
nella Soc. TIRRENIA DEL NUOVO MILLENNIO
La classe Vincenzo Florio è composta da due navi traghetto di tipo cruise ferry in servizio per TIRRENIA CIN. La Vincenzo Florio e la Raffaele Rubattino vennero costruite alla fine degli anni '90 nel Cantiere Navale Ferrari di Spezia, ma dopo il fallimento del costruttore, i traghetti vennero terminati in luoghi differenti. La 'Vincenzo Florio' fu ultimata nel Cantiere Navale I.N.M.A. a Spezia, mentre la “Raffaele Rubattino” presso i Nuovi Cantieri Apuania di Marina di Carrara. Le due unità entrarono in servizio nel 1999 e nel 2000 sulla rotta Napoli-Palermo.
VINCENZO FLORIO
RAFFAELE RUBATTINO
Le due navi gemelle hanno le seguenti caratteristiche: RO-PAX – Velocità: 22 nodi. Lunghezza180 mt, Larghezza: 26 mt, Stazza lorda: 31.041. Capacità passeggeri: 1471 passeggeri. Auto: 630
I LIBRI
Per i lettori appassionati dell’argomento, segnalo il LINK di Mare Nostrum Rapallo in cui compaiono i FLORIO in un contesto storico più generale:
LE NAVI PASSEGGERI DI LINEA ITALIANE
DAL 1900 AL 1970 - Visite: 181.650 – Lo studio fu firmato da Carlo Gatti il 20.02.12
Carlo GATTI
Rapallo, 14 Aprile 2020
RICORDO DI PIETRO RICCI, MAESTRO D'ASCIA DELLE GRAZIE (SP)
RICORDO DI PIETRO RICCI
MAESTRO D’ASCIA DELLE GRAZIE (SP)
Il 27 Marzo ultimo scorso è mancato a Le Grazie (Spezia) all’età di 94 anni PIETRO RICCI una persona straordinaria, Maestro d'ascia e soprattutto maestro per i suoi ragazzi ai quali con grande passione insegnava come lavorare il legno e tante altre cose.
Pietro Ricci, come militare, aveva prestato servizio nell’Areonautica e per alcuni anni prestò servizio alla Scuola Telecomunicazioni FF AA di Chiavari proprio negli anni ’50.
Dal Libro “LA CASERMA DI CAPERANA” edito alcuni anni fa dal Museo Marinaro coautori CV S. Benedetti e Col. S. Schiappacasse a pag. 118 e 119 rileviamo:
La sera del 14 ottobre 1953, dopo vari giorni di pioggia intermittente, un violento nubifragio si scatenò sulla zona di Chiavari. Verso le ore 0,45 del 15 ottobre le acque divenute impetuose del fiume Entella tracimarono circa 3 km a monte della foce e, percorrendo la via provinciale investirono violentemente il muro di cinta della Scuola a ovest e a nord. Un tratto di una trentina di metri del muro di cinta lato ovest, verso l’ingresso degli alloggi Sottufficiali, venne violentemente abbattuto e l’acqua sfogò all’interno del comprensorio militare. Dopo circa 7 minuti le acque avevano raggiunto l’altezza di un metro e mezzo nella zona nord e di un metro nella zona sud, circa 600 metri del muro di cinta erano stati abbattuti, tutti i locali del pianterreno e gli scantinati erano invasi dall’acqua fangosa. Fu subito aperta una breccia di 5 metri sul muro di cinta lato sud, a mezzo di un camion, per consentire il veloce deflusso delle acque che avevano già raggiunto i due metri di altezza.
Verso le 03,30 una squadra inviata in ricognizione nella zona nord della Scuola rinveniva, in un rientrante della palazzina Sottufficiali, il cadavere del 1° Aviere Gentile Sosio e lo trasportava in infermeria; successivamente i feriti che si erano rifugiati nella palazzina Sottufficiali venivano trasportati presso l’Ospedale Civile. Verso le 05,30 le acque erano completamente defluite dalla Scuola e si contavano le perdite e i danni: un militare di truppa deceduto ed 11 feriti lievi. Pochi sanno che tra i feriti c’era l'aviere PIETRO RICCI da Le Grazie. Lo trovarono insieme agli altri tutto pieno di fango con gli occhi chiusi. Pensavano fosse morto anche lui ed invece era solo svenuto e quasi annegato ma ancora vivo.
Grazie alle testimonianze dei commilitoni, l’aviere Gentile Sosio che nel nubifragio perse la vita, sarà proposto con la sottonotata motivazione per una Medaglia di Bronzo al Valore Civile
“Nella notte del 15 ottobre 1953 il 1° Av. di governo B.F. Gentile Sosio è accorso volontariamente nella zona nord della Scuola ove, in seguito allo straripamento del fiume Entella, si è verificata una infiltrazione di acqua attraverso una porta del muro di cinta che minacciava di allagare i padiglioni alloggi Sottufficiali. Mentre era intanto al lavoro di tamponamento, il 1° Aviere Gentile è stato mortalmente colpito dai massi di un tratto del muro di cinta, crollato in seguito all’urto dell’acqua irrompente”.
Alcuni anni fa registrai in audio e video la narrazione del nubifragio del 1953 dalla viva voce di Pietro Ricci.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente nelle mie numerose collaborazione con il noto giornalista della NAZIONE di La Spezia CORRADO RICCI. E così ho pensato di ricordare questa straordinaria persona anche con questo sconosciuto episodio. Nel maggio del 1946 partecipò attivamente alla riparazione dei velieri FEDE e FENICE che portarono in Palestina migliaia di Ebrei i cosiddetti “immigranti illegali” sfuggiti allo sterminio nazista.
Ma vi prego dare un’occhiata a questi LINK e al comunicato stampa a firma Corrado Ricci della Nazione di La Spezia per capire la grandezza di questa straordinaria persona grandissimo anche per la sua semplicità e modestia ma soprattutto per la sua “SAPIENZA” che ora abbiamo perduto.
mmta548 – Ricordo di Pietro Ricci di Corrado
mmta401 - Pietro Ricci parla del Calafataggio
https://www.youtube.com/watch?v=8j8Gql-aVMM
ALBUM FOTOGRAFICO
Ernani ANDREATTA
Rapallo, 31 Marzo 2020
Il FERROVIERE CHE GUARDAVA VERSO IL MARE…
Il FERROVIERE CHE GUARDAVA VERSO IL
MARE…
Dai miei ricordi d’infanzia emerge, sempre più spesso, l’inseparabile visione dei miei primi eroi, tutti ferrovieri: macchinisti e fuochisti del treno, che mentre noi, giovani viaggiatori dell’Adriatico, si leggeva, si discorreva e poi ci si appisolava in uno scompartimento, loro ci portavano a destinazione.
Il macchinista era davanti ai comandi, attento ai segnali, il fuochista di spalle a impalare carbone.
Due uomini che arrivavano a fine corsa “neri” ed esausti, muniti di gamella del pranzo e della cena da riscaldare, poi al dormitorio. Le percorrenze erano lunghe a causa della scarsa velocità, ed il viaggio poteva durare anche due giorni. Dormire di giorno, lavorare di notte.
A quei tempi la sicurezza e l’efficienza dei treni dipendeva da queste due persone spesso rappresentate con maschere affumicate.
Non possiamo di sicuro dimenticare i capistazione ed i casellanti che avevano da svolgere anch’essi compiti assai complicati, ma sui MACCHINISTI gravava tutto il peso del viaggio: responsabilità e fatica, due articoli molto rari e difficili da gestire con competenza e raziocinio navigando a vista come le navi quando i ponti di comando erano vuoti di strumenti e di sistemi d’allarme in caso di emergenza.
Rifornimento d’acqua per la caldaia
Le vampate di fuoco che uscivano dallo sportello quasi sempre aperto del focolaio, producevano un caldo che d’estate diventava insopportabile e, d’inverno addirittura pericoloso quando, per sporgersi al freddo, si rischiava una polmonite. Vento e acqua piovana entravano dappertutto … quello era il modo di navigare sulle rotaie, proprio come su certe carrette dei mari in voga in quei decenni eroici e gloriosi quando gli uomini erano o dovevano essere d’acciaio!
Questa non é facile retorica, se pensiamo che quei due uomini erano sempre neri e sporchi di fuliggine nonostante il berretto e gli appositi occhiali.
La polvere di carbone entrava comunque negli occhi e spesso provocava irritazioni e malattie della vista. Il fumo e le particelle entravano, in gran quantità, anche in bocca, nel naso e nei polmoni.
Il macchinista era perennemente con gli occhi sulla linea sia per rispettare i semafori e le bandierine ma, soprattutto, per vedere in tempo eventuali ostacoli sulle rotaie come persone imprudenti, oppure animali vaganti che potevano creare incidenti gravissimi con morti e addirittura stragi.
Per questi motivi, la leva della rapida (il freno di emergenza) doveva sempre essere pronto all’uso.
“Bigliettiiiii!!”, la voce del conduttore che a volte ti svegliava e ti riportava alla realtà. E poi, ancora tante le figure, ormai scomparse, che consentivano a quel mondo di correre in sicurezza sui binari: casellanti, guardialinee, deviatori e verificatori. Il guardia-valige, addetto al deposito bagagli del personale viaggiante nei dormitori, il chiamatore, figura che vedevi sfrecciare in bicicletta per le strade della città, quando il telefono non era diffuso nelle case, per correre “a chiamare” in servizio un macchinista o un fuochista da rimpiazzare all’ultimo momento.
Vagone ferroviario del primo dopoguerra. La "Garitta del frenatore" é a destra nella foto.
Mio padre faceva il frenatore, una figura che non esiste più da quando anche i treni merci furono dotati di freni ad aria compressa. Lavoro duro, condannato a stare in una garitta di un metro quadrato dell'ultimo vagone, per frenare il treno all'arrivo di una stazione azionando una vite senza fine che stringeva il freno metallico sulle ruote.
Papà faceva servizio a Pescara ed ogni giorno, a qualunque ora, d'estate e d'inverno, raggiungeva quel posto in bicicletta, una 'Ganna' (che nessuno poteva toccare), con la sua classica valigetta quadrata di fibra scura, che conteneva il suo pranzo.
Siccome era scomodo portarla in bicicletta, papà mi avvisava a che ora sarebbe passato il suo treno davanti casa nostra al ritorno, ed io dovevo aspettarlo un po’ più avanti, dove c'era una siepe sulla quale la buttava, senza che subisse il minimo danno.
Qualche problema lo avevo io per raccoglierlo tra gli spini, ma mi ero attrezzato di una bella canna munita di uncino che si prestava perfettamente al recupero.
Manutentore
Aggiungiamo due disegni che ci aiutano a comprendere il funzionamento di un locomotore con le sue componenti meccaniche.
Rimini 1973
Anni fa, nella villa comunale dedicarono un “monumento” al ferroviere, una bellissima locomotiva a vapore de lontano 1916, molto ammirata dagli adulti in cui suscitava ricordi, e dai bambini che la toccavano con aria di stupore. Oggi, quel “monumento”, ha trovato una nuova collocazione nell’ambito della villa ristrutturata, è più nascosto, per vederlo ci devi sbattere il muso sopra, ora è solo una vecchia locomotiva su un tratto di binario morto.
Traverse
Quando ero piccolo, forse avevo 5 o 6 anni, papà aveva diritto ogni anno ad un certo quantitativo di carbone per poterci riscaldare d'inverno, ma oltre a quel combustibile, poteva disporre anche di un certo numero di quelle vecchie traverse (traversine in gergo) di faggio (oppure quercia, rovere, pino) su cui poggiavano i binari. Quel legno forte ma ormai consumato, aveva un particolare odore di catrame ed era molto pregiato per il potere calorifico che emanava.
Il dopoguerra fu molto duro per tutti, e tanti bambini come me non avevano di che mettere al fuoco, ed allora io li aiutavo a cercare tra le rotaie della ferrovia, i pezzetti di carbone che cadevano dal tender del treno mentre il fuochista riforniva il forno della locomotiva.
L’incoscienza dei bambini! Il centro del nostro mondo era il treno, e i suoi binari la nostra Via Pal. Mia madre era sempre in pensiero, conosceva benissimo gli orari del passaggio dei treni ed ogni volta mi sorprendeva tra le rotaie con gli altri bambini, sebbene noi facessimo molta attenzione all’avvicinarsi del treno ed avessimo un nostro sistema di allarme per toglierci in tempo dal pericolo.
Quanti sculaccioni ho preso da mamma!
E tornando alle traverse, ricordo lo sforzo immane che facevano due uomini robusti per farle a pezzi con quelle grandi seghe munite di lunghi manici di legno ad ogni lato per poter lavorare in coppia. Su questi legni c’era un marchio, ricordava la testa di una puntina da disegno, sulla quale era stato impresso l'anno di 'nascita'.
Una volta fatta a pezzi, ciò che restava della traversa la spaccavano con la scure, ma spesso non ci riuscivano per via delle venature, ed allora ricorrevano alle zeppe o scalpelli, veri e propri cunei che penetravano sotto i colpi della mazza, una sorta di grosso martello con manico lungo che era adattissimo a ridurla in piccoli pezzi.
Ma questi miei ricordi s’intrecciano con quelli di un altro personaggio delle ferrovie: il cantoniere che ogni mattina passava con la sua bici e teneva in ordine la strada quale dipendente ANAS.
La Ferrovia Adriatica, fu costruita da queste parti, nel 1863 e ad un intervallo di un paio di chilometri veniva costruito un Casello ferroviario che era abitato da personale dipendente dalle ferrovie, responsabile della manutenzione e dal controllo della linea. Erano dislocati di solito anche in prossimità di punti che richiedono maggiore sorveglianza, come ponti, passaggi a livello, ecc.
L'addetto responsabile di quella struttura era il casellante che aveva il compito di controllare tutta la porzione di linea di propria competenza, prevenendo così incendi che potevano scaturire dalle scintille delle locomotive a vapore e tenendo sempre libera la sede ferroviaria da erbacce infestanti.
Da bambino mi piaceva guardare le persone che lavoravano lungo la ferrovia che passava accanto a casa nostra.
Ricordo in particolare il casellante che insieme agli operai formavano la Squadra che assicurava la buona manutenzione della ferrovia. Era formata da sette/otto uomini che agli ordini del caposquadra svolgevano diverse mansioni come rincalzare il pietrisco sotto i binari o cambiare le traversine.
A volte il loro lavoro era molto impegnativo, capitava infatti che dovessero sostituire un pezzo di binario e, per sollevarlo e spostarlo, dovevano agire in coppia con delle pinze molto speciali adatte ad imbragarlo, molto lentamente al ritmo di comandi vocali molto secchi: " in.. (pausa).. aria.."
Per sostituire una traversina di legno ormai al limite dello spessore usavano una specie di grossa fiocina che un uomo cercava di immergere nel pietrisco mentre altri due la tiravano per mezzo di una catena provvista di un’impugnatura di legno.
Quando la squadra lavorava sui binari venivano poste a qualche centinaio di metri due bandiere rosse per segnalare il pericolo, ed era il caposquadra ad avvisare gli operai quando era il momento di sgombrare i binari per il sopraggiungere del treno.
Un'altra figura che li seguiva sempre era quella di un operaio invalido che, infilato il moncone rimastogli nel manico di un secchio di stagno pieno d'acqua, con un maniere, sorta di mestolo metallico, dissetava gli operai esausti sotto il sole cocente d'estate.
Castello di Chillon
Giorni fa ho visto un documentario in TV, si trattava di un turista inglese che si sposta da un continente all’altro con una pubblicazione turistica dei primi del ‘900, a caccia di fatti inediti e di persone curiose un po’ speciali.
In questa puntata la sua meta era il lago di Ginevra e dintorni, più precisamente il famoso Castello di Chillon che ci ha illustrato dalla torre di guardia più alta, il belvedere, fino alle umide segrete sotto il livello del lago.
L’inglese si é poi soffermato sulla descrizione della ferrovia che fu costruita a pochi metri dal lago togliendo spazio vitale al padrone di un terreno, lungo 3 chilometri, su cui la vittima di questa intrusione, coltivava una vigna che produceva un vino speciale: il glorioso e ben pubblicizzato Chasselas.
Essendo quel vino nel frattempo diventato famoso, e non potendo quel signore “pretendere” la sua proprietà dallo Stato… scelse la via del silenzio accontentandosi di ridurre l’estensione della vigna in larghezza e lunghezza. Nel programma TV é poi apparso il figlio del famoso vignaiolo il quale, imperterrito, continua a coltivarla lungo una striscia ridotta al minimo che corre a pochi metri dal lago. L’attuale produzione non é più paragonabile a quella del padre, ma la sua perseveranza ha salvato il vitigno e conservato il nome di quel vino pregiato che ha portato più lustro alla Svizzera di quel tratto di ferrovia…
Una bella storia, che ci ha consentito, tra l’altro, di capire che il famoso Castello era stato costruito dai Savoia per controllare la strada romana che passa tuttora dietro Chillon e portava le Legioni romane in Francia e Germania quindi, le Chateaux non aveva la funzione di controllare il LAGO, come tutti credono ancora, ma era una vera FORTEZZA con tanto di segrete e tante storie vere di condannati terrestri e non di pirati lacustri!
L’intermezzo ginevrino con l’intervista al vignaiolo “mezzo abusivo” del Lago Lemano, mi ha fatto venire in mente un personaggio che conobbi da ragazzino ad Ortona. La guerra era finita da poco lasciando miseria, macerie e quasi nulla per poterla ricostruire in breve tempo dalle fondamenta. Ma si doveva ripartire al più presto per vincere la fame per sopravvivere…
Come dicevo poc’anzi, il mio mondo girava intorno a quel che rimaneva della ferrovia e ai suoi instancabili e valorosi personaggi. Tra questi c'era un'altra figura caratteristica: quella del 'Sorvegliante' il quale camminava lungo la ferrovia per controllare lo stato dei binari che allora erano lunghi 15/20 mt. che poggiavano su delle piastre di ferro fissate con grossi bulloni su traversine di legno di quercia, imbevute di catrame ed immerse dentro un letto di pietrisco.
Il sorvegliante, per la verità, si chiamava tecnicamente il 'guardialinee'. Lo vedevo tutti i giorni: estate e inverno, e mi incuriosiva perché camminava lungo la rotaia, come un funambulo su un filo. Spesso camminava, da perfetto equilibrista, sul binario guardando attentamente i perni che univano le rotaie ed i bulloni che le tenevano legate alle traverse (che con le sollecitazioni del treno si allentavano). Aveva una specie di borsa a tracolla dove c'era, oltre al panino preparato dalla moglie, due petardi da mettere su binario prima di una eventuale interruzione per allertare il macchinista e far fermare il treno, una piccola tromba per emettere un suono per lo stesso scopo ed una bandiera rossa da segnalazione. Sempre a tracolla, incrociata con l'altra, aveva una lunga chiave di ferro dietro la schiena che serviva per riavvitare le grosse viti che univano i binari, ed i bulloni e relativo serracaviglie (o più propriamente chiavarda). Oltre tutto ciò, aveva in mano la classica lanterna con i vari colori da usare nelle gallerie.
Ogni giorno controllava la linea da Francavilla ad Ortona che misura esattamente 13 km e penso che tornasse indietro con qualche treno perché mai lo vidi camminare nel senso contrario.
L'ho visto tutti i giorni fino agli anni ‘50/’60. Ricordo che con il vento al traverso rollava e beccheggiava sotto i suoi “ferri” come un bragozzo che rientrava in porto fuggendo dalla burrasca in arrivo.
Lo chiamavamo lo STORTO, ma storto non era, bassotto sì, ma il suo fisico era forte, tarchiato e ben proporzionato. Forse si chiamava STORTO di cognome …
Casa nostra era situata a pochi metri dalla ferrovia e spesso papà, (ex ferroviere), specie con il caldo d'estate, offriva qualcosa da bere a questa persona che faceva quel lavoro così particolare ed importante che pochi altri conoscevano.
Da bambini, cercavamo di non farci vedere dallo Storto per un motivo molto semplice: ad una certa distanza dalla stazione, da entrambi i lati, c'era un piccolo traliccio sul quale era applicato un braccio pitturato di bianco e di rosso, con dei catarifrangenti, che a seconda di come era posizionato indicava al macchinista del treno se fermarsi prima di arrivare alla stazione, oppure no.
Se il braccio era a 90º rispetto al palo che lo sorreggeva, indicava lo STOP; se ruotava verso il basso di 45º, indicava il Via Libera. Questo braccio veniva mosso con delle leve opportunamente fulcrate con dei grossi contrappesi, direttamente dalla stazione, per mezzo di cavetti d'acciaio che erano sorretti da paletti a circa venti metri di distanza, e per limitarne l'attrito, scorrevano nella gola della ruotina metallica in una puleggia.
Non é difficile immaginare che noi bambini davamo la caccia a quei cuscinetti a sfera svedesi che erano le GOODYEAR delle nostre cariole da corsa con le quali gareggiavamo lungo una strada in discesa del paese.
Avendo la coscienza sporca, il guardialinee era l’uomo burbero e misterioso da tenerci a distanza di sicurezza…
M/ ESPERIA
Di quel brav’uomo si raccontavano tante storie, anche un po’ strane per noi ragazzini che allora non capivamo... Si diceva che durante le brevi soste tra un controllo e l’altro della linea, trovasse il tempo per accudire alcune vigne che producevano un vino bianco eccezionale che nessuno, si dice, avesse mai assaggiato…
Poi, un giorno mio padre ci svelò alcuni arcani misteri: “Rocco Storto” era il suo vero nome e cognome, aveva un figlio di nome Franco che era imbarcato come ufficiale sulla M/n ESPERIA, una famosa ed elegante nave passeggeri di linea della Società Adriatica di Navigazione.
Lo Storto, nella sua professione di grande camminatore solitario al servizio delle FFSS, aveva sviluppato una sua particolare spiritualità che concentrava sul figlio navigante. Conosceva i suoi turni di guardia a bordo e, sapendo che anche il figlio era solo con sé stesso come tutti i marinai, aveva preso la strana abitudine di guardare verso il mare ogni dieci metri di rotaia cercando di immaginare suo figlio Franco su quella bella nave bianca viaggiare lungo l’Adriatico da Istambul verso Venezia e viceversa.
Era un modo come un altro per passare il tempo con suo figlio, per parlargli e aggiornarlo sui fatti della famiglia, del lavoro e del mare… in fondo navigavano insieme via terra e via mare lungo una linea di sabbia bagnata che la fantasia riduceva al parlarsi come in una stanza senza finestre dove il vento e gli spruzzi in inverno erano gli stessi che bagnavano i loro volti di guardia sulla rotta tracciata per entrambi.
Vigne e binari
E il vino? Già il vino era il loro segreto, l’oggetto di tante conversazioni che un giorno li avrebbe visti brindare insieme intorno a quella damigiana che era stata riempita con tanto orgoglio in una terra di nessuno, in uno spazio rubato ad un mondo ignaro di quel nettare che si nutre di salino, schiaffeggiato dai colpi di vento diffusi dal treno che passa… e accarezzato dall’odore di quella specie di bitume che gli antichi romani usavano per rendere stagne le anfore.
Da tempo i binari sono saldati, le traversine di legno sono state sostituite con quelle di cemento e la figura del “guardialinee” non esiste più. Lo “Storto” è stato sostituito da una apparecchiatura posta sotto alcuni locomotori che rilevano le più piccole anomalie, ma ogni tanto qualcosa non funziona e non registra sul display che un pezzo di rotaia é saltato, come nell'ultimo deragliamento dove ci sono stati tanti morti...
Anche quel romantico nettare é scomparso da quella zona insieme al suo custode, ma forse qualcuno, al contrario di quanto si vociferava in giro all’epoca lo aveva assaggiato e se n’era innamorato.
L’antico filosofo greco “dalle spalle larghe” (Platone) sosteneva che le idee del Supremo circolano liberamente nell’aria, l’uomo le cattura, le fa sue e se le vende….
Sta di fatto che un vino simile coltivato a terrazze sulle sponde del lago di Ginevra lungo i binari della ferrovia, ricorda ancora il gusto speciale ed il profumo del vinello dello STORTO di Ortona.
Anche i due nomi col marchio DOC dicono qualcosa:
Chasselas é il suo nome sul lago Lemano
Coccocciolà si chiama ad Ortona sul nostro mare Adriatico.
Se siete appassionati della materia potete leggere nel quadretto fotografico riportato qui sotto alcune curiose coincidenze, tra cui la parentela tra lo Chasselas e la Cococciolà.
I misteri sono quasi sempre inspiegabili: nascono, muoiono e risorgono con molta facilità… ma trattandosi questa volta di un vino molto speciale, siamo portati a pensare che Rocco, prima di lasciare questo mondo, abbia provveduto a consegnare in buone mani la formula magica del suo vitigno.
Noi sappiamo di certo che i suoi segreti non erano finiti nelle segrete stanze degli industriali del vino e di certi enologi che usano le polveri che non sanno di salino, né di vento e non profumano di rude catrame vegetale… ma ce lo vendono come vino “navigato” e noi “abbocchiamo” perché abbiamo perso la memoria e la fantasia dell’improvvisazione e dell’arrangiarsi con quel poco che si aveva e che mai più ritornerà. Il mondo va avanti così, senza ricordi e neppure rimpianti. Ma in quale direzione?
Noi vogliamo credere che le vigne di Rocco Storto siano ancora vive, magari segretamente, nella sua terra e possano allietare le serate dei suoi estimatori di oggi affinché il suo ricordo rimanga lungo il MARE ADRIATICO per sempre!
Le persone di una certa età ricordano il PERGOLONE come un vino bianco da tavola squisito! Lungi da noi l’idea di metterla in politica, tuttavia, con grande rammarico, dobbiamo informare il lettore che questo genuino, popolare ed apprezzatissimo vitigno ortonese, non viene più coltivato su grande scala in quanto gli é stato preferito un gran numero di vini scadenti ma molto più pubblicizzati…
ALBUM FOTOGRAFICO
Capotreno
Casellante
Macchinista
Una fase della lubrificazione
Ferrovie abbandonate
Incidente accaduto nella notte del 25 febbraio 1956
FINE
Per gli appassionati del mondo ferroviario segnalo il seguente LINK relativo al Museo del Treno di Montesilvano (Pescara):
https://www.tripadvisor.it/Attraction_Review-g194834-d10375627-Reviews-Museo_del_Treno-Montesilvano_Province_of_Pescara_Abruzzo.html
Nunzio CATENA - Carlo GATTI
Rapallo/Ortona, 18 Agosto 2018