23.10.1971 - INCENDIO SULLA ANNA C.
23.10.71
INCENDIO
a bordo della nave passeggeri
“ANNA C.”
(Ex Southern Prince)
LA ANNA C. FU LA PRIMA NAVE PASSEGGERI
DELL’ARMAMENTO COSTA
SOUTHERN PRINCE - Fece una brillante carriera durante la Seconda guerra mondiale. Partecipò allo Sbarco in Normandia
ANNA C. A Genova, Ponte dei Mille Levante n.3
Anna C. (ex-Southern Prince - Prince Line)
Breve Storia della Southern Prince
- 1929: Varo
- 1940: Requisita dalla Marina Reale Britannica e ribatezzata HMS Southern Prince
- 1941: Silurata da un U.Boot tedesco
- 1944: Partecipa allo Sbarco in Normandia
- 1946: Viene restituita alla Prince line
- 1947: Viene acquistata dalla Costa Crociere
- 1971: Subisce un grave incendio a Genova
- 1972: Viene demolita presso i Cantieri Lotti di La Spezia
La ANNA C. fu acquistata nel 1947, entrò in linea per Rio de Janeiro e Buenos Aires l’anno successivo, dopo aver compiuto importanti lavori strutturali. La prima nave passeggeri della Flotta Costa iniziò il servizio di linea da Genova per Buenos Aires il 31 marzo 1948. Innovativa e pionieristica, era dotata di aria condizionata in tutti gli alloggi per i passeggeri. Con Anna C. inizia un sodalizio professionale con l’architetto Giovanni Zoncada e per trent’anni gli interni delle navi Costa porteranno la sua firma. Tre anni dopo sostituì i motori principali e la nave raggiunse i 20 nodi di velocità. Nel 1959 aumentò la capacità-passeggeri e portò la propria stazza a 12.030 grt. Per quasi tutti gli anni ’60, la Anna C. trascorse i mesi invernali ai Caraibi e quelli estivi nel Mediterraneo. Fu demolita a La Spezia nel 1972.
ANNA C. (ex Southern Prince)
Varo....................U.K. 1929
1a - Stazza Lorda........10.917 tonn.
2a - Stazza Lorda........12.030 tonn.
1a Lunghezza.............157.3 mt.
2a Lunghezza.............159.7 mt.
Armatore....................COSTA LINE
ZONA INCENDIO
Porto di Genova – Calata Sanità – La nave, ormeggiata di punta
(due ancore-poppa a terra), era in disarmo nell’attesa di essere trasferita a La Spezia per la demolizione, oppure d’essere venduta ad Armatori Greci per l’impiego in Mediterraneo.
I FATTI
La prima nuvola di fumo nero si sprigionò dalla Anna C. alle 13.05.
Scattò immediatamente il segnale d’allarme e dopo qualche minuto
giunsero in banchina, sotto la poppa della nave, le prime autobotti dei Vigili del fuoco e le Autorità Marittima e Portuale.
Via mare, arrivarono prontamente le lance dei VVFF e due potenti rimorchiatori. Dal cielo comparve l’elicottero del maggiore Enrico che compì numerose evoluzioni di ricognizione.
I PERICOLI
- La nave era vecchia ed in quell’occasione aveva un equipaggio ridotto.
- A calata Sanità vi erano numerosi depositi di carburante a distanza ravvicinata.
- Un’altra nave passeggeri, la Galaxy Queen era ormeggiata, anch’essa di punta, ad una decina di metri soltanto, dalla Anna C.
LE OPERAZIONI DI SOCCORSO
Alle 13.15 iniziarono le prime operazioni di raffreddamento delle lamiere. A bordo del rimorchiatore d'altura TORREGRANDE, il generale Luigi Gatti, Presidente del Consorzio Autonomo del porto del porto, riuniva a rapporto il Comandante della ANNA C. Cap. Stuparich, il colonnello L.Fignone, dirigente dell'Ufficio Marittimo del Cap, il colonnello A. Sala, l'ing. Capuccini, comandante dei VVFF.
Ne scaturiva l’ordine di spostare la Galaxy Queen.
La prima squadra dei VVFF localizzò l’incendio nella zona poppiera, dove lingue di fuoco fuoriuscivano dagli oblò d’ambedue le murate della nave.
- Verso le 14.00, per effetto delle circa 400 tonnellate d’acqua imbarcate in funzione antincendio, la nave sbandò a dritta. Furono subito attivate le pompe d’esaurimento a grandi masse del Torregrande e si rallentò al minimo l’immissione d’acqua.
- Furono portati a terra e a bordo della GALAXY QUEEN dei cavi per frenare o trattenere la ANNA C. da uno sbandamento fuori controllo, preludio di un possibile quanto tragico affondamento in porto.
- Nel frattempo le temperature e le emissioni di gas a bordo e nei dintorni raggiunsero limiti insopportabili.
- Verso le 15.00 fu ricoverato un vigile del fuoco, svenuto e con sintomi d’asfissia: guarirà in sette giorni.
“Muoversi dentro una nave in fiamme, dove il pavimento scotta sotto i piedi, le pareti sono roventi e l’aria in circolazione, satura di gas d’ogni genere, può uccidere in pochi minuti l’uomo più robusto”.
Commentò sottovoce un anziano volontario del pronto soccorso.
Erano cinquanta i vigili del fuoco impegnati sull’Anna C. Salivano a bordo a due per volta con l’autoprotettore sulle spalle. Uno aveva il compito di gettare la schiuma e l’acqua sulle fiamme, l’altro con il compito di gettare acqua sul compagno. Le squadre si alternavano con ritmi di mezz’ora e ad ogni rientro si faceva il punto della situazione a bordo del Torregrande.
L’incendio era scoppiato nel ripostiglio della biancheria e si propagò poi verso le cabine equipaggio e quelle dei passeggeri sui Ponti B-A fino agli alloggi del Ponte C e del Ponte passeggiata, dove andarono distrutti il cinema e la Chiesa.
Alle 17.00 la nave era passata da 12° a 6° di sbandamento.
All’interno della nave si registrarono cedimenti di pavimenti al Ponte/A, mentre i vigili lottarono ancora un paio d’ore contro gli ultimi focolai d’incendio.
Alle 19.00 il generale Luigi Gatti dichiarò che l’incendio sulla Anna C. poteva considerarsi domato.
I PROTAGONISTI
Come partecipanti e testimoni dell’opera di soccorso alla nave, portiamo sempre vivo nella memoria il coraggio e l’efficienza di tutti gli addetti alla sicurezza del nostro porto.
*L’autore di questo articolo era, in quella drammatica occasione, il comandante del M/r Torregrande.
ALBUM FOTOGRAFICO
ANNA C.
Carlo GATTI
Rapallo, 23 Gennaio 2018
NAVI MILITARI-SANTA MARGHERITA LIGURE
NAVI MILITARI
SANTA MARGHERITA LIGURE
Avevamo già scritto: Da più di un secolo, la presenza di navi militari nelle acque del Tigullio – è un elemento costante dell’orizzonte marittimo della nostra riviera, da sempre legata al mare nei suoi molteplici aspetti, a partire per l’appunto dalle unità navali e mercantili, da quelle da pesca o da diporto, di Rapallo ce ne siamo già più volte ampiamente perché nel tempo ha ospitato numerosissime navi da guerra appartenenti alle Marine delle nazioni più disparate, a testimonianza non soltanto di un fascino più propriamente turistico, ma anche della conoscenza e della valenza internazionale di una città nota e apprezzata in Italia e all’estero sin dalla fine del secolo XIX. Al tempo stesso, tra il 1890 e i primi anni Cinquanta del secolo XX, veniva pubblicato a Rapallo un periodico settimanale indipendente, il cui titolo – “Il Mare” – ben rappresentava l’intimo legame tra la città, il Mar Ligure e tutto il Mediterraneo. Preciso e puntuale nel citare e commentare gli eventi che vedevano coinvolti Rapallo e i suoi abitanti, “Il Mare” non mancò mai di riportare la presenza di unità militari nelle acque del Tigullio, segnalandone con buon anticipo l’arrivo e informando i lettori sugli incontri di ufficiali ed equipaggi con la popolazione e le autorità locali.
Oggi ci occupiamo delle navi italiane che sono state ospiti di Santa Margherita Ligure il cui fondale ha permesso l’ormeggio di navi importanti prima, durante e dopo le due guerre mondiale.
CAPITANERIA DI PORTO - SANTA MARGHERITA LIGURE
Ufficio Circondariale Marittimo
Il Corpo delle Capitanerie di porto nasce ufficialmente con un Regio Decreto del 20 luglio 1865. La Guardia Costiera, così come noi la intendiamo, tuttavia, appartiene a un’epoca più recente. Un embrione lo possiamo ritrovare già nel 1877 quando venne promulgato il Codice della Marina Mercantile che all’art. 122 affidava il soccorso in mare ai Comandanti di porto.
Sarà solo con un Decreto interministeriale dell’8 giugno 1989 che verrà attribuita ufficialmente la denominazione di “Guardia Costiera” ai reparti tecnico-operativi del Corpo, attribuzione alla quale negli anni successivi farà seguito l’adozione della tradizionale livrea bianca e del logo, ormai noto, raffigurante una fascia tricolore – in omaggio alla bandiera italiana – con un’estensione maggiore della banda rossa per poter accogliere al centro un’àncora nera su campo circolare bianco.
Con la Legge n°147 del 03 aprile 1989 l’Italia ratifica la Convenzione di Amburgo del 1979 sul soccorso marittimo che, trovando attuazione in un Regolamento emanato con il D.P.R. n°662 del 1994, individua nell’attuale Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l’Autorità nazionale responsabile dell’esecuzione della Convenzione, affidando al Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera la responsabilità e il coordinamento dei servizi di ricerca e salvataggio in mare nell’ambito dell’intera regione di interesse, che si estende ben oltre i confini delle acque territoriali, per un’area ampia circa 500 mila km².
COMANDI TERRITORIALI - GUARDIA COSTIERA - RIVIERA DI LEVANTE
GENOVA - Direzione Marittima
Il litorale del territorio italiano è ripartito in 15 Direzioni Marittime (zone) e 54 capitanerie di porto (compartimenti).
· LIGURIA (4 Direzioni Marittime)
· Genova (GE)
· Imperia (IM)
· La Spezia (SP)
· Savona (SV)
SANTA MARGHERITA LIGURE - Ufficio circondariale Marittimo
Circondario marittimo. ... Il Circondario marittimo è retto da un Capo del circondario che è un ufficiale superiore di porto facente parte del corpo delle capitanerie di porto e l'ufficio dove risiede si chiama ufficio circondariale marittimo.
Camogli ………. Ufficio Locale Marittimo (dipende da Compamare Genova)
Chiavari ………. Ufficio Locale Marittimo (dipende da Circomare Santa Margherita Ligure)
Lavagna…………. Ufficio Locale Marittimo (dipende da Circomare Santa Margherita)
Rapallo…………… Ufficio Locale Marittimo (dipende da Circomare Santa Margherita Ligure)
Portofino………….Ufficio Locale Marittimo (dipende da Circomare Santa Margherita Ligure)
Sestri Levante….Ufficio Locale Marittimo (dipende da Circomare Santa Margherita Ligure)
Ufficio locale marittimo. Gli uffici locali marittimi (LOCAMARE) sono uffici locali minori degli organi periferici dell'amministrazione della marina mercantile italiana. Il capo dell'Ufficio locale marittimo ha carica e titolo di comandante del porto o dell'approdo in cui ha sede.
Parlando del golfo Tigullio, non é un caso che Santa Margherita Ligure sia sede di Capitaneria di porto, mentre Rapallo, insieme alle città citate sopra siano sede di “Circomare”. Lo scopriremo da soli cammin facendo...
CASTELFIDARDO (pirofregata corazzata)
Progettata e costruita nei cantieri francesi di Saint Nazaire dietro ordinazione della Regia Marina, la nave, impostata nel 1862, venne varata nel 1863 e completata un anno dopo. Appartenente ad una classe di quattro unità, la Castelfidardo era una pirofregata a corazza completa (che si estendeva due metri al disopra della linea di galleggiamento, sino al ponte di coperta, ed un metro e mezzo al disotto di essa) e ridotta centrale, munita, oltre che di un poderoso armamento di 26 cannoni da 164 e 200 mm, di un massiccio sperone di tre metri di lunghezza. Alla prova dei fatti le navi della classe Regina Maria Pia si rivelarono delle buone unità, le uniche, nella Regia Marina, in grado di misurarsi con le corazzate austroungariche.
Unità più longeva della sua classe, la Castelfidardo negli ultimi anni venne usata come nave scuola torpedinieri. Radiata il 4 dicembre 1910, dopo oltre 46 anni e mezzo di servizio, venne avviata alla demolizione.
1900 – Corazzata SICILIA in rada
Nave Sicilia è stata una nave da battaglia policalibro della Regia Marina italiana della classe Re Umberto. Come per le altre unità della classe, il lungo periodo di costruzione l'ha resa superata al momento dell'entrata in servizio. La nave, della quale inizialmente erano state finanziate solo due unità, andò a risentire dei lunghissimi tempi di allestimento, dieci anni, che la fecero entrare in servizio parzialmente obsoleta.
L'armamento principale, che aveva largo campo di tiro, era costituito da quattro cannoni da 343/30 in due impianti montati in barbetta e situati a circa 10 metri dal galleggiamento e sparava proiettili da 567 kg in grado di perforare 870 mm di ferro dolce. Una caratteristica condivisa con la classe erano i fumaioli anteriori affiancati, invece che uno dietro l'altro.
La sua costruzione avvenne presso l’Arsenale di Venezia dove la sua chiglia venne impostata il 2 dicembre 1886 e varata il 6 luglio 1891 alla presenza di re Umberto e della Regina Margherita.
L'anello rituale realizzato per il varo della nave esposto a Palazzo Marina a Roma
La nave ebbe come madrina del varo la regina Margherita che, dopo la benedizione, appose un anello consacrato sulla poppa della nave secondo la tradizione veneziana dello Sposalizio del mare. L'anello, insieme alla bandiera di guerra e al cofano portabandiera sono oggi conservati a Palazzo Marina a Roma.
Dopo l'entrata in servizio la nave il 15 febbraio 1897, la nave, con l’insegna del viceammiraglio Felice Napoleone Canevaro al comando della 1ª Divisione della 1ª Squadra, che includeva anche le gemelle Sardegna e Re Umberto, l’incrociatore protetto Vesuvio e l’incrociatore torpediniere Euridice, giunse a Creta, durante un periodo di tensione tra la Grecia e l’Impero ottomano in seguito alla rivolta scoppiata nell’isola, che culminò nella guerra greco-turca.
il cofano in cui è conservata la bandiera di guerra a Palazzo Marina a Roma
Al ritorno della spedizione, nel 1899 la nave venne assegnata alla 2ª Divisione, che includeva anche l’ariete corazzato Affondatore la pirofregata corazzata Castelfidardo e gli incrociatori torpedinieri Partenope e Urania.
Nell'ottobre 1911 la nave, all'epoca inquadrata nella Divisione Navi Scuola, prese parte alla guerra italo-turca quale nave insegna del contrammiraglio Raffaele Borea Ricci D’olmo insieme alle gemelle della classe Re Umberto, Sardegna e Re Umberto appoggiando le operazioni di sbarco a Tripoli. Nel dicembre 1911, le tre navi furono sostituite dalle vecchie corazzate Italia e Lepanto. le navi della classe Re Umberto fecero ritorno nelle acque della Libia nel maggio del 1912 prendendo parte a tutto il ciclo di operazioni lungo le coste libiche fino alla resa degli ottomani nell'ottobre 1912.
Il 9 luglio 1914 la nave venne posta in disarmo, ma con lo scoppio della Prima guerra mondiale, venne deciso il suo mantenimento in servizio fino al termine del conflitto e così il 16 agosto 1914 la nave fece il suo rientro in servizio ed utilizzata a Taranto come nave deposito e come nave caserma per la nuova corazzata Giulio Cesare che stava completando il suo allestimento. Inizialmente l’Italia, che faceva parte della Triplice Alleanza, aveva dichiarato la sua neutralità, per poi entrare in guerra nel maggio 1915 a fianco dell’Intesa, contro gli Imperi centrali. Nel corso del conflitto la nave venne poi utilizzata a Taranto come deposito munizioni, successivamente come pontone ed infine come nave officina, prima di essere radiata il 4 marzo 1923 e successivamente demolita.
1917 – Tre sommergibili della classe H
nel Porto di Santa Margherita Ligure
Inprepido-Impavido-Cattaro
Incrociatore ANCONA (ex GAUDENZ) dopo la trasformazione del 1929
Palmaria
Visite a bordo...
Quattro dragamine ormeggiate ...
Con la fine del conflitto, la mutata situazione strategica internazionale fece del Mediterraneo un crocevia dei movimenti navali delle flotte dell’Alleanza Atlantica e, già a marzo del 1947, erano presenti nel Tigullio due unità inglesi, la portaerei Ocean e il cacciatorpediniere Raider, facenti parte di un gruppo operativo al comando dell’amm. Sir Cecil Harcourt.
A partire da questi anni - e clntinuando sino al termine della "guerra fredda" nei primi anni Novanta - la presenza navale più consistente e significativa nel "Mare Nostrum" sarebbe però stata quella delle unità della Sesta Flotta della Marina degli Stati Uniti.
Dalle origini...
allo scoppio della I Guerra Mondiale
L'idea di realizzare un veicolo in grado di muoversi negli abissi marini é antichissima: si hanno notizie di progetti risalenti ai tempi degli Antichi Greci e di Alessandro Magno. Il primo attacco bellico di un mezzo subacqueo documentabile é avvenuto
nel 1776 durante la Guerra di Indipendenza Americana, compiuto da un battellino chiamato American Turtle.
Era solo l'inizio: trascorsero molti anni prima che venisse realizzato un mezzo subacqeotale da poter fornire adeguate prestazioni belliche
I primi sommergibili italiani e la preparazione alla Grande Guerra
In Italia i progetti dei primi sommergibili per la Regia Marina vennero affidati al Maggiore del Genio Navale Cesare Laurenti.
Questi giudico’ importanti le caratteristiche di velocitá, autonomia e qualitá nautiche, mentre ritenne trascurabile l'elevata quota operativa. Reputava sufficiente che l'unitá potesse scomparire dalla superficie del mare e fosse in grado di raggiungere la quota necessaria per non essere speronata da altre navi. Per questo giudico’ non necessario lo scafo resistente a sezioni circolari.
Divenuto affidabile il motore Diesel molto piú del motore a benzina nel 1910 venne impostata la classe Medusa.
Fra inizio secolo e I Guerra Mondiale oltre al Laurenti si misero in luce anche altri due ufficiali del Genio Navale: il Maggiore Bernardis e il Capitano Cavallini.
Progettarono rispettivamente i due sommergibili classe Nautilus e i due della classe Pullino.
Allo scoppio della I Guerra Mondiale era da poco terminata la guerra italo-turca, che era stata per la Regia Marina un' eccellente occasione di addestramento.
L'Italia disponeva perció di equipaggi dotati di elevata capacitá professionale ma con una flotta notevolmente logorata. Inoltre, solo alla vigilia della guerra, l' Italia si era staccata dalla Triplice Alleanza e si era alleata con le potenze dell' Intesa.
Questo creó gravissimi problemi alla Regia Marina che, per molti anni, si era preparata a una guerra contro Francia e Gran Bretagna.
Considerando alleate l'Austria e la Germania, per esempio, tutto il litorale adriatico era rimasto privo di fortificazioni difensive.
OSTRO cacciatorpediniere seconda guerra mondiale in rada a Santa Margherita
Nell'estate 1939 il cacciatorpediniere prese parte alle operazioni per l’occupazione dell’Albania. Nel corso dello stesso anno l'Ostro fu dislocato a Taranto. Oltre che in Albania, poco prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale l'unità operò anche in Africa settentrionale.
Alla data dell'ingresso dell’Italia nella Seconda guerra mondiale, il 10 giugno 1940, l'Ostro aveva base a Taranto ed apparteneva alla II Squadriglia Cacciatorpediniere, di cui facevano parte i gemelli Espero, Borea e Zeffiro.
L'Ostro al traverso.
Nella serata del 27 giugno 1940, alle 22.45, l'Ostro (Capitano di corvetta Luigi Monterisi) partì da Taranto per la sua prima missione di guerra, ovvero il trasporto a Bengasi (secondo altre fonti a Tobruk, o a Tripoli, unitamente all’Espero (Capitano di Vascello Enrico Baroni, caposquadriglia) ed allo Zeffiro (Capitano di Corvetta Giovanni Dessy), di due batterie contraeree (o anticarro) della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale per un totale di 10 bocche da fuoco, 120 tonnellate di munizioni ed i relativi serventi, 162 camicie nere.
Intorno a mezzogiorno del 28 giugno le tre unità della II Squadriglia, che procedevano in linea di fila (Espero in testa, Zeffiro al centro ed Ostro in coda) furono avvistate una cinquantina di miglia ad ovest di Zante da due ricognitori Short Sunderland: ad intercettare il convoglio venne inviato il 7th Cruiser Squadron della Royal Navy, costituito dagli incrociatori leggeri Sydney, australiano, ed Orion, Liverpool, Neptune, e Gloucester, britannici, che avvistarono la formazione italiana intorno alle 18 (o alle 18.30) a sud di Malta ed un centinaio di miglia a nord di Tobruk, nonché 75 miglia ad ovest/sudovest da Capo Matapam. Alle 18.59 gli incrociatori britannici, non ancora notati dalle unità italiane, aprirono il fuoco da distanza compresa tra i 16.000 ed i 18.000 metri. La velocità superiore che in teoria i tre cacciatorpediniere italiani avrebbero dovuto avere era annullata dall'appesantimento rappresentato dal carico imbarcato. Il capitano di vascello Baroni, caposquadriglia, prese dunque la decisione di sacrificare la propria nave, l’Espero, nel tentativo di trattenere gli incrociatori inglesi, ordinando al contempo ad Ostro e Zeffiro di dirigere per Bengasi alla massima velocità, disimpegnandosi verso sudovest mentre l’Espero li avrebbe coperti con cortine fumogene: entrambi i cacciatorpediniere scamparono così alla distruzione e giunsero in porto indenni il giorno seguente, mentre l'Espero fu affondato dopo un impari combattimento.
Dopo aver raggiunto Bengasi, l'Ostro e lo Zeffiro proseguirono alla volta di Tobruk, dove giunsero il 1º luglio, ormeggiandosi quindi in rada. I due cacciatorpediniere avrebbero dovuto rinforzare i quattro gemelli della I Squadriglia (Euro, Turbine, Nembo, Aquilone) nelle operazioni di bombardamento delle installazioni militari britanniche nei pressi di Sollum, intese ad indebolire le difese britanniche in tale zona prima dell'offensiva italiana che si sarebbe dovuta tenere di lì a poco.
Il 5 luglio, durante un'incursione di aerosiluranti Fairey Swordfish, vennero affondati lo Zeffiro ed il piroscafo Manzoni e danneggiati gravemente il cacciatorpediniere Euro ed i piroscafi Liguria e Serenitas (l'Ostro, che si trovava ormeggiato nella medesima posizione alla boa C4, non era invece stato attaccato). Essendosi dissolta, con la perdita di Espero e Zeffiro, la II Squadriglia, l'Ostro venne aggregato alla I.
Il 19 luglio 1940 l'Ostro, al comando del capitano doi fregata Giuseppe Zarpellon, si trovava a Tobruk, ormeggiato alla boa C4, sul lato meridionale della baia, a proravia del gemello Aquilone ed a poppavia del gemello Nembo. A bordo del cacciatorpediniere, così come delle altre unità militari, vigevano i servizi di difesa e di sicurezza: le mitragliere da 40/39 e da 13,2 mm erano armate e pronte al fuoco, i locali presidiati e portelleria e porte stagne chiuse. Si trattava delle procedure regolamentari per gli attacchi aerei all'ormeggio. Il personale non necessario a tali servizi era stato trasferito sui piroscafi Sabbia e Liguria.
Alle 21.54 del 19 luglio la base libica fu messa in allarme in seguito all'arrivo di sei aerosiluranti Fairey Swordfish dell'824th Squadron della Fleet Air, Arm decollati da Sidi el Barrani: i velivoli erano stati inviati sulla base con lo specifico scopo di attaccare le navi ormeggiate in rada e giunsero sui cieli di Tobruk alle 22.30. Dopo aver dovuto compiere diversi passaggi sulla rada per evitare il forte tiro contraereo delle difese di terra, per localizzare i bersagli e per prepararsi ad attaccare, gli aerosiluranti passarono all'attacco verso l'1.30 del 20 luglio, mentre anche le navi all'ormeggio aprivano il fuoco con le rispettive armi contraeree. L’incrociatore corazzato San Giorgio aprì il fuoco verso sud con alzo molto ridotto, spostando celermente il tiro verso ovest, e sull'Ostro ci si rese conto che gli aerei attaccanti erano aerosiluranti. La prima nave ad essere silurata, all'1.32, fu il piroscafo Sereno, che affondò lentamente di poppa.
L'Ostro ed il gemello e sezionario Borea alla fonda nelle acque di Bardia, nella primavera del 1940.
Poco dopo l'Ostro avvistò tre aerei, che volavano a bassa quota ed in formazione serrata, provenienti dalla direzione della caserma per sommergibilisti: mentre i velivoli, arrivati sul porto, si separavano, il cacciatorpediniere aprì il fuoco contro di essi con 2 mitragliere da 40 mm ed una da 13,2 mm (quella di dritta, che sparò una cinquantina di colpi), ma all'1.34 uno degli Swordfish mise a segno il suo siluro: l'arma esplose all'altezza del deposito munizioni poppiero, che deflagrò in maniera devastante e provocò lo sbandamento e l'affondamento dell'Ostro in dieci minuti, all'1.44. Numerose schegge infuocate prodotte dalla deflagrazione furono lanciate anche sul Nembo (che si preparò soccorrere l'unità gemella, ma venne poco dopo a sua volta aerosilurato ed affondato) e sull'Aquilone, e il furioso incendio sviluppatosi a poppa dell'Ostro, un'alta fiammata rossastra, proseguì a lungo, illuminando il porto.
Le ricerche dei dispersi, iniziate prima ancora della conclusione dell'attacco, continuarono sino al mattino successivo. Tra l'equipaggio dell'Ostro si registrarono 42 vittime (due morti accertati e 40 dispersi tra cui due ufficiali) e 20 feriti (tra i quali il comandante Zarpellon). Ad evitare perdite ancora più pesanti contribuì il fatto che parte degli equipaggi dei cacciatorpediniere fossero stati alloggiati non a bordo delle rispettive unità, ma sul Sabbia e sul Liguria.
L’Ostro aveva svolto in tutto 8 missioni di guerra (3 di caccia antisommergibile, 3 di scorta e 2 di trasferimento), percorrendo complessivamente 2723 miglia. Le artiglierie dell'Ostro e del Nembo, rimosse dai relitti dei due cacciatorpediniere, vennero portate in postazioni di terra ed utilizzate nella difesa di Bardia.
LA STORIA DEL CATTARO
IL CATTARO AUTOAFFONDATO L’8 SETTEMBRE A SANTA MARGHERITA NON ERA L’ EX DALMACIJA, MA L’INCROCIATORE AUSILIARIO EX JUGOSLAVIJA
https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=293%3Acattaro&catid=36%3Astoria&Itemid=142
Carlo GATTI
Rapallo, 3 Giugno 2020
IN MARE ...
IN MARE….
Si parla poco dei marittimi! Perché? Eppure le persone appartenenti alla GENTE DI MARE nel mondo sono 1,5 milioni sparsi su 85.905 navi destinate al lungo corso (2018). E quanti sono i loro familiari che li attendono a casa? Più volte abbiamo affrontato questo tema e, credo, vi sia una sola domanda e nessuna risposta:
La gente di mare non si vede, non si sente, quindi non esiste?
La cosa strana é che la “spiegazione” non viene neppure dalla gente della costa, (escluse alcune località di lunga tradizione marinara), che nel frattempo ha subito un salto di mentalità: da marittima a balneare, come se la linea dell’orizzonte li tagliasse fuori dal resto del mondo!
Suggestiva é l’immagine delle navi che scompaiono dall’orizzonte ed entrano nel mistero.
Forse perché il marittimo é la variante del frate trappista; entrambi vivono e si muovono tra una “cuccetta” e il ponte di comando che un tempo era il “tabernacolo” dalla nave preferendo “staccarsi” dal mondo per sprofondare tout court nella propria missione.
Fonte: Cultura ed Economia marittima
Durante "la gloriosa epopea della vela", un tempo non troppo lontano, il periodo d’imbarco su un veliero poteva durare quattro anni, oggi questa specie di “galera” si é ridotta a sacrifici che, pur essendo sempre UMANI…, non hanno modificato l’essenza della sua vocazione al silenzio, alla meditazione e alla convivenza forzata che lo immunizza, tuttora, da qualsiasi VIRUS terrestre.
Ogni tanto ricordiamoli e ringraziamoli per il loro “solitario” sacrificio che ci garantisce, con i trasporti giornalieri di cui é l’artefice, ciò di cui abbiamo bisogno!
Lasciamo ora la solitudine dei marinai ed entriamo nel loro “mondo" che é molto più affollato di quanto si pensi sulla terraferma! Un esempio di questa presenza ce la dà ogni giorno la carta di MARINE TRAFFIC.
MARINE TRAFFIC
Al servizio offerto da MarineTraffic accedono oggi oltre 6 milioni di utenti al mese. Ma questo non è l’unico numero che spiega l’importanza di questo database. In questo periodo di tempo vengono registrati 800 milioni di posizionamenti, 18 milioni tra navi maggiori e minori e 650mila elementi. Ovvero porti, fari e tutto quello che fa parte dell’universo marino. Ogni nave viene poi descritta nei minimi particolari: dimensioni, luogo in cui è stata costruita, tonnellaggio e numero IMO (International Maritime Organization) che la identifica a livello globale.
IL TRACCIAMENTO DEI DATI
Per raccogliere le informazioni viene utilizzato un sistema, chiamato AIS (Automatic Identification System). Uno standard mondiale che obbliga le navi di una certa dimensione a trasmettere attraverso un dispositivo alcuni dati importanti come posizione, carta d’identità del mezzo, velocità, rotta, stato dell’imbarcazione e destinazione. Dati che, sovrapposti e sistemati grazie alle API di Google Maps, permettono di creare una mappa molto dettagliata. Attraverso una partnership con Orbcomm, inoltre, MarineTraffic offre anche un impianto di localizzazione satellitare per quelle navi che, in giro per gli oceani, sono fuori dalla portata delle stazioni AIS costiere.
Marine Traffic non è l’unico sito che svolge un‘operazione di questo tipo. ShipFinder e Vessel Finder pur dando molte informazioni all’utente, presentano una piattaforma molto meno curata anche se offrono servizi molto simili, di cui quelli più avanzati a pagamento. FleetMon, invece, è una delle migliori applicazioni per iPad e iPhone per navigare per i sette mari.
Secondo il libro "Ninety percent of everything" della giornalista Rose George il 90% di ciò che compriamo arriva via mare. Eppure del trasporto marittimo si parla poco e ancora meno si sa. Non che manchino record e curiosità:
1. Un mondo di container
Considerato il numero di navi che ogni giorno solcano gli oceani, in questo momento ci sono circa 20 milioni di container in viaggio. È stato calcolato che ogni anno se ne perdono almeno 10 mila in mare. A proposito: si tratta di un'invenzione abbastanza recente. Li ha inventati Malcom McLean, nel 1956. Hanno dimensioni standard: sono lunghi 6 o 12 metri, larghi 2,4 m, alti 2,6 m. Ma ce ne sono anche di più alti, con lati aperti, o di dimensioni particolari.
Maersk Mc-Kinney MØLLER mentre attraversa il Canale di Suez.
2. Le navi dei record
Fino ad un anno fa le navi porta container più grandi erano le Maersk Triple EClass lunghe 400 metri, con una capacità di trasporto di 18 mila container e costavano 185 milioni di dollari l'una. Il primo cargo di questa serie il Maersk Mc-Kinney Moller è entrato in servizio a luglio 2014, seguito da altri due ad agosto. Nel giugno 2014 dai cantieri ne sono uscite altri 7. Oggi si parla di navi entrate in servizio con una capacità di 22.000 container.
3. Ecologico… o no?
Visti e considerati i numeri giganti del trasporto marittimo, l'impatto di migliaia di navi sull'ambiente non va sottovalutato. Se l'industria del trasporto navale fosse un Paese, sarebbe il sesto Paese più inquinante del mondo. Anche per questo, ma soprattutto per risparmiare carburante, diverse aziende stanno studiando come realizzare una nave da trasporto a vela (caratterizzata da altissime vele verticali). Tra queste anche la società irlandese B9 Shipping.
4. Google Maps
Potete tenere traccia delle navi che in questo momento solcano il mare attraverso una mappa di Google aggiornata in tempo reale sul sito Shipfinder. Cliccando su ogni nave si apre una scheda con nome e caratteristiche.
5. Pirati
Nel 2012 il numero di attacchi di pirati alle navi è stato maggiore di quello delle aggressioni violente in Sudafrica, il paese col tasso di criminalità più alto del mondo. Si calcola che dal 2005 ad oggi, i soli pirati somali abbiano sequestrato 149 di navi, realizzando più di 300 milioni di dollari di riscatto.
6. Ispezioni
Solo il 5 per cento dei container spediti ai porti degli Stati Uniti viene ispezionato, e questa percentuale è ancora più bassa in Europa.
7. Ma dove vanno (e da dove vengono) i marinai?
I lavoratori provenienti dalle Filippine costituiscono un terzo di chi presta servizio sulle navi da trasporto merci nel mondo (circa 1,5 milioni di persone). Solo il 2% della forza lavoro dell'industria del trasporto navale è costituita da donne.
8. Che classe!
Le navi mercantili si dividono in 4 categorie: petroliere (trasportano petrolio), metaniere (trasportano gas), porta-container e porta rinfuse.
9. Ogni buco non è un porto
SIPG gestisce 125 ormeggi nel porto di Shanghai con una lunghezza totale di circa 20 chilometri. C’é da aggiungere il complesso portuale di Yangshan Deep Water (nella baia di fronte) che ha una lunghezza di 36 Km. Dove arriveranno i cinesi?
Secondo il World Shipping Council il porto di Shangai in Cina (nella foto) è il primo del mondo per traffico di container, seguito da quello di Singapore. E la Cina si accaparra 7 posizioni sulle prime 10. L'Europa entra in classifica all'undicesimo posto, con il porto di Rotterdam. E l'Italia? Tra i primi 50 porti quest'anno non c'è. Gli anni scorsi invece in classifica figuravano Gioia Tauro e Genova.
Fonte: www.focus.it
MSC OSCAR dell’Armatore italiano Luigi Aponte
MSC Oscar è una delle più grandi navi portacontainer al mondo. Battezzata l'8 gennaio 2015, MSC Oscar è stata per breve tempo la nave portacontainer più grande al mondo. MSC Oscar prende il nome dal figlio di Diego Aponte, presidente e amministratore delegato del proprietario della Mediterranean Shipping Company (MSC). La nave è stata costruita da Daewoo in Corea del Sud per 140 milioni di dollari.
MSC Oscar |
|
Descrizione generale |
|
Tipo |
|
Proprietà |
|
Porto di registrazione |
|
Identificazione |
9703291 |
Entrata in servizio |
2015 |
Caratteristiche generali |
|
192 237 tsl |
|
197 362 tpl |
|
Lunghezza |
395,4 m |
Larghezza |
59 m |
Pescaggio |
16 m |
Propulsione |
motore diesel MAN Diesel11S90ME-C a due tempi |
Velocità |
|
Autonomia |
· in immersione: · in emersione: |
Capacità di carico |
19 224 TEU |
Equipaggio |
35 |
10. Andiamo sulla Luna
Una nave container in un anno percorre in media l'equivalente di tre quarti della strada dalla Terra verso la Luna.
Paesi |
Numero di navi della marina mercantile |
Anno |
Indonesia |
9,053 |
2018 |
Panama |
7,914 |
2018 |
Giappone |
5,299 |
2018 |
Cina |
4,610 |
2018 |
Stati Uniti |
3,692 |
2018 |
Singapore |
3,526 |
2018 |
Liberia |
3,321 |
2018 |
Russia |
2,625 |
2018 |
Hong Kong |
2,615 |
2018 |
Malta |
2,205 |
2018 |
Corea del Sud |
1,897 |
2018 |
Vietnam |
1,863 |
2018 |
India |
1,719 |
2018 |
Malesia |
1,704 |
2018 |
Filippine |
1,615 |
2018 |
Norvegia |
1,581 |
2018 |
Gran Bretagna |
1,570 |
2018 |
Bahamas |
1,418 |
2018 |
Italia |
1,405 |
2018 |
Grecia |
1,343 |
2018 |
Turchia |
1,277 |
2018 |
Paesi Bassi |
1,233 |
2018 |
Saint Vincent e Grenadine |
889 |
2018 |
Antigua e Barbuda |
853 |
2018 |
Thailandia |
807 |
2018 |
Brasile |
791 |
2018 |
Belize |
764 |
2018 |
Iran |
720 |
2018 |
Danimarca |
668 |
2018 |
Canada |
657 |
2018 |
Germania |
629 |
2018 |
Messico |
617 |
2018 |
Emirati arabi uniti |
616 |
2018 |
Portogallo |
576 |
2018 |
Nigeria |
576 |
2018 |
Australia |
563 |
2018 |
Francia |
555 |
2018 |
Honduras |
550 |
2018 |
Sierra Leone |
469 |
2018 |
Ucraina |
417 |
2018 |
Vanuatu |
405 |
2018 |
Egitto |
389 |
2018 |
Arabia Saudita |
380 |
2018 |
Cambogia |
364 |
2018 |
Svezia |
359 |
2018 |
Bangladesh |
329 |
2018 |
Tanzania |
329 |
2018 |
Togo |
327 |
2018 |
Azerbaigian |
313 |
2018 |
Corea del Nord |
274 |
2018 |
Venezuela |
269 |
2018 |
Taiwan |
267 |
2018 |
Mongolia |
265 |
2018 |
Bahrein |
259 |
2018 |
Finlandia |
259 |
2018 |
Tuvalu |
254 |
2018 |
Saint Christopher e Nevis |
240 |
2018 |
Cile |
222 |
2018 |
Comore |
218 |
2018 |
Belgio |
192 |
2018 |
Papua Nuova Guinea |
173 |
2018 |
Argentina |
167 |
2018 |
Isole Cayman |
165 |
2018 |
Kuwait |
158 |
2018 |
Lussemburgo |
152 |
2018 |
Moldavia |
151 |
2018 |
Polonia |
148 |
2018 |
Qatar |
140 |
2018 |
Ecuador |
137 |
2018 |
Croazia |
131 |
2018 |
Barbados |
121 |
2018 |
Kazakistan |
121 |
2018 |
Spagna |
119 |
2019 |
Romania |
112 |
2018 |
Nuova Zelanda |
111 |
2018 |
Kiribati |
111 |
2018 |
Algeria |
106 |
2018 |
Colombia |
102 |
2018 |
Trinidad e Tobago |
102 |
2018 |
Brunei |
100 |
2018 |
Dominica |
100 |
2018 |
Libia |
98 |
2018 |
Perù |
95 |
2018 |
Myanmar |
95 |
2018 |
Irlanda |
88 |
2018 |
Sudafrica |
88 |
2018 |
Marocco |
87 |
2018 |
Sri Lanka |
87 |
2018 |
Georgia |
82 |
2018 |
Bulgaria |
80 |
2018 |
Iraq |
80 |
2018 |
Paraguay |
80 |
2018 |
Estonia |
74 |
2018 |
Turkmenistan |
72 |
2018 |
Lettonia |
68 |
2018 |
Tunisia |
66 |
2018 |
Lituania |
61 |
2018 |
Figi |
60 |
2018 |
Albania |
60 |
2018 |
Uruguay |
57 |
2018 |
Angola |
55 |
2018 |
Guyana |
55 |
2018 |
Libano |
55 |
2018 |
Pakistan |
53 |
2018 |
Oman |
51 |
2018 |
Bolivia |
49 |
2018 |
Ghana |
44 |
2018 |
Capo Verde |
43 |
2018 |
Giamaica |
43 |
2018 |
Israele |
42 |
2018 |
Cuba |
41 |
2018 |
Guinea Equatoriale |
38 |
2018 |
Islanda |
33 |
2018 |
Tonga |
33 |
2018 |
Giordania |
32 |
2018 |
Yemen |
31 |
2018 |
Svizzera |
30 |
2019 |
Gabon |
29 |
2018 |
Madagascar |
28 |
2018 |
Maurizio |
28 |
2018 |
Senegal |
28 |
2018 |
Mozambico |
27 |
2018 |
Congo (ex Zaire) |
27 |
2018 |
Seicelle |
24 |
2018 |
Isole Salomone |
23 |
2018 |
Repubblica dominicana |
23 |
2018 |
Kenya |
22 |
2018 |
Siria |
21 |
2018 |
Camerun |
19 |
2018 |
Sudan |
18 |
2018 |
Congo |
16 |
2018 |
Gibuti |
15 |
2018 |
Costa d'Avorio |
15 |
2018 |
São Tomé e Príncipe |
15 |
2018 |
Samoa |
13 |
2018 |
Montenegro |
12 |
2018 |
Etiopia |
11 |
2018 |
Costa Rica |
11 |
2018 |
Nuova Caledonia |
10 |
2018 |
Suriname |
10 |
2018 |
Namibia |
10 |
2018 |
Guinea Bissau |
9 |
2018 |
Gambia |
9 |
2018 |
Eritrea |
9 |
2018 |
Guatemala |
9 |
2018 |
Groenlandia |
8 |
2018 |
Slovenia |
8 |
2018 |
Mauritania |
7 |
2018 |
Grenada |
6 |
2018 |
Benin |
6 |
2018 |
Bielorussia |
5 |
2018 |
Somalia |
5 |
2018 |
Nicaragua |
5 |
2018 |
Haiti |
4 |
2018 |
Isole Falkland |
3 |
2018 |
El Salvador |
2 |
2018 |
Guinea |
1 |
2018 |
Niger |
1 |
2018 |
Laos |
1 |
2017 |
Macao |
1 |
2018 |
Zambia |
1 |
2017 |
Uganda |
1 |
2017 |
TOTALE = 85.905 unità nel 2018
Fonte:
Index mundi - https://www.indexmundi.com/
CONCLUSIONE
Nel presente articolo ho posto una domanda: dove arriverà la Cina?
Guardando in casa nostra, Genova e Trieste sono i porti italiani in prima linea per entrare a pieno titolo, anche con accordi di partnership, nei progetti italo-cinesi per la Belt & road initiative (Bri). La nuova Via della seta si sta sviluppando sia sulla direttrice terrestre, con la ferrovia, sia su quella marittima. E se il Mediterraneo appare al centro degli interessi cinesi che si stanno estendendo in vari scali dell’area, a partire dal Pireo, controllato da Cosco (China ocean shipping company), Genova e Trieste stanno diventando i maggiori poli d’attrazione del Tirreno e dell’Adriatico per il Dragone.
Genova-Sampierdarena. La zona qui rappresentata é tuttora chiamata Porto Nuovo. La zona portuale a monte della linea rossa, fu costruita negli Anni ‘20 tra le due guerre mondiali. Oggi la lunghezza delle navi si é quadruplicata e Genova dovrà decidere se rimanere una modesta realtà regionale, o se accettare la sfida dei porti Nord-Europei e rimanere nel grande circuito internazionale come la sua storia millenaria rivendica.
Un anno fa, nell’ambito della visita in Italia del presidente cinese Xi Jinping, lo scalo ligure ha messo a punto un accordo di partnership, con il gruppo Cccc (China communications construction company), terza società di costruzioni al mondo che, ha spiegato Paolo Signorini, presidente dell’Autorità di sistema portuale di Genova e Savona, fornirà supporto tecnico alla Adsp nell’affidamento degli appalti di alcune grandi opere all’interno del porto di Genova, tra le quali la nuova diga foranea.
La nuova configurazione della diga vedrà un avanzamento a mare dell’attuale opera di circa 500 metri, per uno sviluppo di poco meno di cinque chilometri, su fondali medi di quaranta metri. Il porto di Genova, una volta terminata l’opera, potrà contare su un’infrastruttura che consentirà l’accesso in banchina alle portacontainer di ultima generazione da 22mila teu.
“Inizia il percorso progettuale e amministrativo che cambierà la storia del porto di Genova” – Ha commentato Paolo Emilio Signorini, presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar Ligure Occidentale.
Carlo GATTI
Rapallo, 18 Marzo 2020
SCIOPERO !!!
SCIOPERO !!!
GENOVA - I transatlantici VULCANIA (sn) e SATURNIA (ds), con le insegne della Società ITALIA, sono ormeggiati a Ponte dei Mille.
La M/n VULCANIA in navigazione
Committente: Cosulich Line, Trieste.
Cantiere: Cantiere Navale Triestino (Cantieri Riuniti dell’Adriatico) di Monfalcone, Co. 161
Impostato: 30 gennaio 1926.
Varato: 18 dicembre 1926.
Viaggio inaugurale: 19 dicembre 1928.
Data fine: affondata nella baia di Kaohsiung il 20 luglio 1974.
Dati tecnici.
Lunghezza: 192,05 mt.
Larghezza: 24,31 mt.
Immersione: 7,46 mt.
Stazza lorda: 24.469 tsl.
Propulsione: due Diesel 8 cilindri Burmeister & Wain - CRDA (Fabbrica Macchine Sant'Andrea, Trieste); 24000 hp; due eliche.
Velocità di servizio: 19,25 nodi.
Velocità massima alle prove: 21,07 nodi.
Capacità d’imbarco: 1.665 passeggeri in quattro classi.
Prima classe: 370 passeggeri.
Seconda classe: 412 passeggeri.
Classe Turistica: 319 passeggeri.
Terza classe: 564 passeggeri.
Equipaggio: 510 persone.
LA M/N VULCANIA IN VERSIONE MILITARIZZATA/Nave ospedale
Nel 1942-’43, in accordo con le forze alleate iniziò il servizio di rimpatrio di civili internati (specialmente donne e bambini) e di soldati italiani feriti dall’Africa Orientale Italiana, con la protezione della Croce Rossa Internazionale.
Nel 1941 la guerra ormai rese il normale servizio di linea pericoloso ed inaffidabile e il Vulcania così come il Saturnia fu trasformato in modo da sostenere il nuovo servizio di trasporto truppe ed armi. Fu infatti requisito nel 1941 dallo Stato Italiano per svolgere i suoi nuovi servizi verso il nord Africa. Tra il 1942 e il 1943 l’Italia in accordo con gli alleati adibì il Vulcania al rimpatrio di civili e soldati feriti dall’africa orientale, e anch’esso prese parte allo stesso convoglio della nave gemella Saturnia.
I due transatlantici furono molto fortunati in quanto riuscirono entrambi a scampare al bombardamento di Trieste che come già detto affondò numerose navi nel porto. Ma la frenesia della guerra era ancora nel vivo e il Vulcania fu ancora una volta modificato e requisito dalla US Navy nel 1943 che non solo lo utilizzò per il trasporto di soldati tra l’America e l’Europa ma lo equipaggiò anche di armi di difesa antisommergibili e antiaerei. Fu inoltre noleggiato nel 1946 dalla compagnia America Export Line per il trasporto merci sulla rotta New York - Napoli - Alessandria d'Egitto, per poi tornare in mani italiane.
Alla fine del 1946 il Vulcania giunse a Genova dove la Società Italia lo fece ristrutturare totalmente e riallestire per tornare al servizio di trasporto di passeggeri. Il transatlantico riprese la navigazione nel luglio 1947 e dopo alcuni viaggi verso il sud America con partenza da Genova, il Vulcania tornò a prestare servizio sulla linea verso New York. Dopo numerosi viaggi il 5 aprile 1965 il transatlantico intraprese il suo ultimo viaggio sotto il nome di Vulcania in quanto al suo rientro in Italia fu venduto alla compagnia Siosa Grimaldi Line che lo rinominò Caribia. Il nuovo Caribia navigò fino al 1973 quando ormai vecchio e tecnologicamente obsoleto e superato fu radiato. Lo scafo fu trainato a Barcellona il 18 settembre 1973 da dove ebbe inizio il suo ultimo viaggio. Sempre a rimorchio, infatti, la nave fu portata a Kaoshiung, città dell’isola di Taiwan dove fu demolita definitivamente nel 1974.
Una bella fotografia della Vulcania vista dal ponte Lido di Prima classe dell'Andrea Doria nel 1954.
UNA SOSTA IMPREVISTA
Il 16 gennaio 1963 la nave passeggeri “VULCANIA”, a causa della fitta nebbia, incaglia nel Canale della Giudecca a Venezia. Dopo circa 12 ore viene disincagliata da 4 rimorchiatori; non subisce danni, ormeggia e prosegue il viaggio, con molti scali, diretta a New York.
Arriva la “calda” estate del 1963. Lo scrivente é tuttora imbarcato sulla M/n VULCANIA in placida navigazione da Halifax (Canada) verso New York.
Improvvisamente quell’incanto s’interrompe! Via etere giunge a bordo uno “strano” telegramma: GIOVANNI HA PRESO LA LAUREA.
Il destinatario é un garzone di cucina (noto per essere un rappresentante sindacale).
L’implacabile e velocissima “radio-caruggio di bordo” sparge la notizia:
Quel telegramma é il segnale (convenzionale) che prelude alla dichiarazione di sciopero dell’equipaggio durante la sosta della nave a New York.
Cappella di bordo, é in corso la celebrazione della Messa domenicale. Da sinistra in prima fila: Allievo Ufficiale (A) Carlo Gatti, il 1° Ufficiale Claudio Cosulich, il Commissario Governativo, il Comandante Giovanni Peranovich e il Direttore di macchina.
Di quei giorni ricordo ancora l’incredulità e la profonda delusione dei Comandanti in 1a ed in 2a della VULCANIA, entrambi originari di Lussimpiccolo (l’isola che nel 1947 passò alla Jugoslavia) i quali erano noti per il loro autoritarismo e senso della disciplina. Ero molto giovane e non saprei dire fino a che punto fosse esatta quella valutazione; ricordo che entrambi questi valenti uomini di mare avevano un piglio molto militaresco e, per dovere di cronaca, aggiungo che erano considerati, da tutti gli ufficiali di bordo, dei “veri marinai” con un passato bellico di tutto rispetto.
I due Allievi di coperta De Privitellio e Gatti all’arrivo al pier 84 di New York
MANOVRA DI PARTENZA
DA NEW YORK
Sta per iniziare il viaggio di rientro in Italia
Il Comandante ordina via interfonico: “equipaggio ai posti di manovra”. Quando gli Ufficiali di Coperta giungono a prora e a poppa per iniziare la manovra di disormeggio, i posti sono presidiati non solo dai marinai solitamente addetti a quella mansione, ma anche da camerieri, cuochi, infermieri ecc…
Il Comandante ordina al 1° Ufficiale di prora di rimanere su due cavi alla lunga, un traversino e uno spring. Il 1° ufficiale ripete l’ordine al nostromo che lo trasmette ai marinai; questi rispondono incrociando beffardamente le braccia. Stessa scena a poppa.
Gli ufficiali responsabili della manovra chiamano il Ponte di Comando:
“PONTE DA PRORA” – “PONTE DA POPPA”
“L’equipaggio non risponde agli ordini”
Un silenzio irreale inonda la nave da prora a poppa attraversando tutti i locali e i ponti dall’alto verso il basso. I passeggeri consapevoli dell’anomala situazione, osservano in trepidante attesa lo svolgersi di una manovra che non inizia mai, lo scenario é disegnato da sottili fili in tensione che minacciano lo strappo da un istante all’altro …
Poi tutto prosegue come durante un’esercitazione di routine che termina quando il Comandante comunica: “Esercitazione terminata, tornate ai vostri posti!”
Questa, al contrario, non é una esercitazione, ma una manovra vera che abortisce con il secco RIFIUTO dell’equipaggio di eseguire gli ordini del Comando di bordo. L’insubordinazione é fin troppo evidente e documentata, ma é disciplinata, composta e comunque rispettosa verso gli ufficiali coinvolti nel fallimento della manovra. Nessuno dimostra alcun imbarazzo nel recitare il proprio copione. Anche il Comandante afferra immediatamente l’inutilità di quella sceneggiata e non ripete l’ordine una seconda volta per non esasperare gli animi e volgere in dramma una commedia già andata in scena altre volte…come vedremo!
Dal Ponte di Comando giunge l’ordine perentorio:
"Manovra terminata! I capi servizio si rechino sul Ponte di Comando!”
Ricordo le lamentele coperte da ingiurie da parte dei passeggeri verso l’equipaggio ed anche le discussioni tra gli stessi marinai che non sembravano tutti d’accordo sull’esito di quel viaggio interrotto, senza preavviso, in quel modo anomalo per quei tempi. Ma il fatto che più mi sorprese fu che i marinai CAPI STIVA, pur essendo tutti di Lussimpiccolo e uomini di fiducia del Comandante, furono i più convinti e decisi tra gli scioperanti…
Credo che per il Comandante, vicinissimo ormai alla pensione, quello fu il giorno più triste della sua carriera: la delusione fu MASSIMA, si sentiva tradito… non tanto dai sindacati di terra ma dai suoi uomini che l’avevano sempre fedelmente seguito.
Non ricordo esattamente quanto durò lo sciopero, credo qualche giorno, perché l’America di quegli Anni non era terra di rivolte col “marchio comunista” che era detestato e contrastato aspramente… da tutti gli strati sociali USA.
Le parti trovarono ben presto un accordo provvisorio per cambiare “teatro” e per proseguire le lotte sindacali in Italia dove la sensibilità verso le tematiche sindacali legate ai Lavoratori sul Mare, era senza dubbio molto sentita.
In quei primi Anni ‘60 le navi passeggeri di Linea della FINMARE erano molto “amate” perché erano legate alla nostra emigrazione che si svolgeva ancora nei due flussi di andata e ritorno con le Americhe, e lo erano soprattutto lungo le coste italiane da dove provenivano tradizionalmente gli equipaggi imbarcati, per cui le “agitazioni sindacali” avevano una forte “cassa di risonanza” sia nel mondo marittimo statale che in quello privato.
UN PO’ DI STORIA….
Genova. Lo sciopero del ’59. Tutti fermi al primo approdo!
È una delle pagine memorabili della storia sindacale dei lavoratori del mare. Lo sciopero iniziato l’8 giugno 1959 durò quaranta giorni e coinvolse 118 equipaggi in tutto il mondo. A Genova i pensionati oggi raccontano quella storia nelle scuole ai giovani studenti.
Lo sciopero dei marittimi italiani più lungo e grande della storia durò quaranta giorni e arrivò, al suo culmine, a coinvolgere 118 navi ferme nei porti di mezzo mondo. L’ordine di incrociare le braccia partì da Genova in gran segreto la sera del 18 maggio 1959. I militanti della Film Cgil, l’allora federazione dei marittimi del capoluogo ligure, lo ricevettero in codice, lo stesso che veniva usato nella Resistenza. Il linguaggio cifrato era noto agli uomini degli equipaggi che avevano militato nella lotta armata al nazifascismo, ma sconosciuto agli armatori che non riuscirono a intercettarlo e ad attuare così le contromosse.
Quella primavera del 1959 stava lasciando lentamente il posto a un’estate che si annunciava rovente. A bordo delle navi le condizioni dei marittimi erano durissime, con turni massacranti di quattordici, e a volte anche diciotto ore al giorno, pessimo vitto, alloggi fatiscenti, nessuno straordinario riconosciuto. L’ultimo contratto del settore risaliva al 1931. I grandi armatori di allora – Costa, Lauro, Fassio – in mare erano veri e propri dominus assoluti, e si sentivano ben rappresentati dal governo in carica guidato da Antonio Segni, espressione della destra democristiana e futuro presidente della Repubblica.
Per gli appassionati di storia sindacale, riporto un DOCUMENTO significativo di quel periodo di lotte che modificarono i rapporti tra gli armatori e le varie categorie della “gente di mare” imbarcata, per cui nacquero i contratti di lavoro che avevano il diritto di essere appesi e consultati nelle salette di tutti le categorie: Ufficiali, Sottoufficiali e Comuni delle varie sezioni, Coperta, Macchina e Camera.
Il 1959 vide le navi passeggeri di bandiera italiana impegnate in prima linea nella lotta aspra contro gli Armamenti Statali e Privati che precedette e mise le fondamenta per le ulteriori rivendicazioni sindacali e relativi scioperi di cui é oggetto la mia testimonianza sopra riportata.
Di quell’anno 1959, così raccontavano a bordo della VULCANIA nel 1963:
“… gli equipaggi delle navi italiane furono abbandonati a sé stessi per 40 giorni, sopravvissero trovando ospitalità presso lontani parenti immigrati e amici degli amici… ma soprattutto trovarono cibo, assistenza, solidarietà e conforto spirituale presso i conventi francescani e benedettini delle grandi città dell’Argentina e Brasile…!” Quel fatto memorabile é riportato anche nello scritto che segue.
da Storia. R. Minotauro. Il compagno genovese Giordano Bruschi, racconta di sé, del Compagno Segretario Generale della Film Cgil Renzo CIARDINI e dello sciopero dei Lavoratori del Mare del 1959.
GIORDANO BRUSCHI già Segretario nazionale FILM CGIL
Questa è una storia che mi ha sempre visto a fianco al compagno ricordato in tutti gli interventi di oggi: Ciardini. Chiederei alla Fondazione di Vittorio di fare la ricerca su quello che ha significato, tra gli anni quarantacinque e cinquanta, l’attività dei Consigli di Gestione nel nostro paese. Renzo Ciardini nel 1946 venne a Genova dalla sua Livorno e diventò il coordinatore regionale dei Consigli di Gestione: a Milano c’era l’ingegner Leonardi e a Napoli protagonista dei Consigli di gestione un certo Giorgio Napolitano, diventato poi Presidente della Repubblica. Ci fu un tentativo nel dopoguerra di fare assumere alla classe operaia un ruolo nazionale, un ruolo dirigente come lo fu politicamente nella Resistenza. La resistenza è stata un fatto nuovo perché l’immensa partecipazione popolare ha tolto alle vecchie classi dirigenti l’esclusività delle scelte politiche e nel dopoguerra, il mio incontro con Ciardini fu proprio alla San Giorgio una delle grandi fabbriche genovesi.
Era il 1947 quando egli venne a costituire il Consiglio di gestione di una fabbrica che doveva essere riconvertita da produzione bellica a produzione di pace; la stessa sorte che toccò all’ILVA e all’Ansaldo. Ciardini mi chiese di entrare nel Consiglio di gestione della San Giorgio. Fu la nostra prima collaborazione. Io vi entrai all’età di 24 anni; i nostri ispiratori e maestri furono due personaggi della Cgil Vittorio Foa e Bruno Trentin. C’è sempre stato questo filo di continuità che noi applicammo nella vertenza della San Giorgio a cui ci tocco’ di partecipare. Lui venne a fare una assemblea, era un ironico toscano, quando raccontava di Borgo Cappuccini del filone anarchico. I livornesi sanno di cosa si tratta. Venne in questa assemblea a fare una proposta: frigoriferi e lavatrici al posto dei cannoni. Genova dovrebbe ricordare queste vicende e i personaggi come Franco Antolini, che era il dirigente ispiratore dei consigli di gestione, un grande economista, consigliere comunale e provinciale scomparso purtroppo il 4 luglio 1959 nel pieno della lotta dei marittimi. Genova ha avuto un gruppo dirigente politico di stampo burocratico ma anche una serie di compagni che hanno anticipato i tempi.
Questo discorso serve a capire perché nel 1959 i marittimi ebbero questa capacità di ribellione per le ingiustizie subite, che era contemporaneamente accompagnato da una proposta nuova. Vorrei che si ripubblicasse un libro scritto da Renzo Ciardini: “Un sindacato di classe dei lavoratori del mare italiani”; si tratta della relazione del congresso costitutivo del 3 aprile 1959 con una impostazione di una politica sindacale unitaria della Cgil Porti, flotta e cantieri questa è stata la costante della nostra azione, non la difesa della categoria ma una visione generale di un settore fondamentale, Genova sa quanto patisce oggi la mancanza di una politica economica di questo tipo. L’esperienza dei consigli di gestione è stata determinante per tutta una serie di compagni dell’Ansaldo, dell’Ansaldo San Giorgio perché ci siamo formati con questa idea che noi dovevamo esprimere sia le rivendicazioni immediate dei lavoratori ma anche le prospettive di un’altra società.
C’è insomma un periodo di storia che andrebbe ancora approfondito. Ciardini nel 1958 si ricordava di me, delle lotte della san Giorgio. Quando Di Vittorio, che era il più ostile nella Cgil alla fondazione del sindacato dei marittimi della Cgil (aveva una passione storica per Capitan Giulietti in quanto erano stati insieme nel sindacalismo nazionalista con Corridoni nel 1910 – 1915) Di Vittorio aveva questa ossessione dell’unità e diceva che la Film è l’unica categoria italiana non ancora divisa, potrebbe essere il nucleo di una nuova unità sindacale. Ma poi Rinaldo Scheda, Fernando Santi, Brodolini, che furono gli amici che ci aiutarono moltissimo nel primo congresso, lo convinsero che dopo la morte di Giulietti, nel marasma, il disastro, l’abbandono dei lavoratori, la Cgil doveva innalzare la sua bandiera anche sulle navi. Ciardini mi disse “abbiamo fatto tante cose insieme, vuoi tentate l’avventura dei marittimi?”.
Allora eravamo molto obbedienti, venivamo tutti da militanza di partito, non era facile però per un metalmeccanico come me, ma anche come Ciardini, entrare in una categoria assolutamente nuova, diversa come quella dei marittimi. Le vertenze sindacali possono nascere anche in modo strani. In quel periodo facevamo i viaggi a Roma. Non usava l’aereo per i dirigenti sindacali. Andavamo in macchina; Ciardini era un bravo guidatore e ricordo che mi pose, andando al Direttivo della Cgil, se con la mia esperienza di lotte sindacali potevo affrontare due problemi cruciali: primo, lo sciopero all’estero, io non ci avevo mai pensato; nessuno di noi aveva mai pensato ad una iniziativa del genere. Fermare le navi nei porti stranieri?
Lungo i tornanti del Bracco, in quel famoso viaggio in macchina, arrivammo ad una soluzione: io mi ricordo sempre delle mie esperienze della Resistenza, rammentavo i famosi me
ssaggi in codice. A bordo c’era la censura e l’autoritarismo. Sulle navi c’era la galera perché il comandante poteva mettere in galera il marittimo disubbidiente. Dico questo per ricordare il clima in cui eravamo. Il comandante aveva il diritto di leggere prima tutte le lettere, la Corrispondenza che arrivavano ai lavoratori. Abbiamo così ripetuto la storia dello sbarco in Normandia, cioè ci inventavamo i messaggi, esempio “Giovanni ha vinto il concorso”. Il comandante si complimentava con il marittimo, bravo hai trovato il posto di lavoro per tuo figlio e invece era l’ordine di sciopero; perché il “fermi al primo approdo” era quello.
Oggi anche Antonio Gibelli dalle pagine del Secolo XIX racconta molto bene quei fatti: come è possibile che contemporaneamente in tutti i porti del mondo da New York a Dakar le navi si fermassero? Abbiamo messo sulle spalle di quei lavoratori un peso enorme: hanno dovuto combattere con i consoli, con gli ambasciatori, con la polizia. Pensare ad uno sciopero della Bianca C. di 5 giorni nel Porto di Barcellona con il Presidente Segni che telefonava a Francisco Franco e diceva “tagliate i cavi”, questo sciopero non s’ha da fare, era come un novello Don Rodrigo italiano.
È stata, ed è la cronaca che lo dice, una cronaca eccezionale. La seconda cosa che mi chiese Renzo fu: “se vogliamo vincere la battaglia dobbiamo colpire Costa. Devi trovare il modo di fermare le navi di Costa”. Non ce l’avremmo fatta se non ci avesse aiutato Angelo Costa. L’unica cosa che mi sono sentito di fare è stata la comunicazione. Ho stampato un giornaletto, famoso, era il “lavoratore del mare” fondato da Giuseppe Giulietti. Sul giornale c’era una parte dedicata a una inchiesta: l’inchiesta di una nave di Costa, vecchia senza più ammortamenti la Anna C., e il giornale diceva ai marittimi perché bisognava fare il contratto per avere migliori condizioni di lavoro. Angelo Costa si arrabbiò Moltissimo e fece una cosa che forse oggi non ripeterebbe più: prese il giornale della Film Cgil ne ristampò 6 mila copie e lo inviò non solo sui bordi ma lo mandò anche nelle case tra i famigliari dei marittimi perché c’era il convincimento, c’è ancora oggi in qualche grande imprenditore, io sono il Dio, ti do il lavoro e tu devi fare quello che dico io; allora c’era questa concezione paternalistica dell’aiuto che il padrone dava al lavoratore, il quale doveva ringraziare il proprio datore di lavoro.
Quello che non eravamo riusciti a fare e cioè dare il giornale a tutti i marittimi, lo fece l’armatore. E poi mi domandò una volta: “ma perché hanno scioperato proprio le navi?”. Sulla Federico C. avevamo 10 iscritti su 290 marittimi non avevamo un iscritto sulla Bianca C. e nemmeno sulla Anna C. Ma se lei fa di queste diffusioni straordinarie, probabilmente i lavoratori capiscono da che parte bisogna muoversi. Da allora il binomio Ciardini-Costa ha funzionato. Costa voleva raggiungere un raccordo e i Fassio e i Lauro erano i più oltranzisti. Eravamo a metà di luglio, era una estate torrida. Eravamo al 37esimo giorno di sciopero e Ciardini convocò, il direttivo: bisognava trovare una mediazione, un compromesso. Non potevamo andare ad oltranza.
Convenimmo che non era fondamentale, anche se ci aspiravamo molto, l’aumento salariale. Quello che contava era la prosecuzione della lotta nei nuovi rapporti di forza e allora la cosa che sorprese Costa, sorprese anche i Ministri. Ciardini si rese disponibile a firmare un contratto solo con una clausola che non ci sarebbero state rappresaglie sindacali. Lauro Achille disse subito di no, però Costa alla fine lo convinse. Gli stava più a cuore il livello salariale. Scalfari sull’Espresso disse che la vertenza si era rivelata una catastrofe per i lavoratori: fu ottenuto solo l’1% in più dopo 40 giorni di sciopero.
Però la verità venne subito a galla. All’arrivo a Genova la famiglia Costa prese una posizione dura cancellando, licenziando 115 marittimi della Anna C., la nave che si era fermata in Spagna a Las Palmas, Costa si giustificava con le motivazioni di oggi. Si trattava di contratti a viaggio. È finito il viaggio, non c’è rappresaglia sindacale, tutto va secondo le regole normali. Angelo Costa accettò di ascoltarci. Per noi era una cosa tremenda perché aver fatto uno sciopero di quel genere e trovarsi sulle spalle questi licenziamenti significava la sconfitta vera della vertenza. Il fatto quale era? C’era la precarietà. Nei marittimi come succede oggi in tante categorie di lavoratori, c’era la precarietà: ecco l’attualità della vertenza di allora, dei valori che oggi la Cgil con Epifani sa difendere. Insomma andammo da Costa con la documentazione: questi marittimi infatti da 10/15 anni si imbarcano sempre sulle sue navi. Ci fu un conflitto in famiglia. La domanda che facemmo a Costa era questa: “Peppino Di Vittorio ci ha raccontato che quando lei firma un accordo, lo rispetta sempre perché è un uomo corretto e leale” e lui rispose immediatamente “io sono sempre lo stesso uomo descritto da Giuseppe Di Vittorio”.
Alla vigilia del ferragosto del 1959 c’era Graziella Torrini la segretaria del sindacato che riceve una telefonata “Giordano, c’è Angelo Costa al telefono”. Ci comunicò che aveva deciso di reintegrare i marittimi cancellati dal turno e di riscriverli a turno. Ecco la svolta di quella vertenza, la vittoria del sindacato, il cambiamento dei rapporti che c’erano tra il padrone del vapore, come li descriveva Scalfari, e i disperati dei porti, come li descriveva Vittorio Emiliani. Costa chiese un incontro con Ciardini. E da allora per 17 anni c’è sempre stato un patto di consultazione, ognuno difendendo le proprie posizioni però nel rispetto reciproco e questo è stato il grande cambiamento.
Ci abbiamo messo 17 anni; però il programma del Congresso Cgil del ’59 l’abbiamo realizzato. Abbiamo realizzato la riconversione, non abbiamo avuto timore di mettere ai voti il disarmo della Michelangelo, l’ho fatta io l’assemblea a Gibilterra conclusa con 665 voti a favore, 5 contrari, 6 astenuti. Avevamo trovato una soluzione generale complessiva e cioè la continuità del rapporto di lavoro, la conquista storica con la quale cessava ufficialmente la precarietà e i lavoratori anche durante il periodo di attesa imbarco i lavoratori percepivano il salario. Oggi possono sembrare utopie, sogni.
Abbiamo ottenuto l’ordinazione di 65 navi ai cantieri. Fu la grande operazione di una riconversione mai più verificatasi. Pensate, alle navi container, ai traghetti e all’attività delle crociere. Avevamo indicato una nuova prospettiva nazionale di prosperità per il porto e per le città marinare. Poi le cose sono andate come sono andate, perché le aziende pubbliche, la Finmare l’Iri non sono state in grado di realizzare quello che i marittimi, con quella nostra vertenza, avevano creato. Quella con Ciardini era una grande squadra. A me piace tanto la canzone che parla dei mediani, perché ci sono nelle squadre le punte che fanno goal però se non gli passano i palloni buoni. Noi a Ciardini abbiamo passato tanti palloni buoni.
Ricordo i marittimi Sironi e Carotenuto, che vanno a Karadu davanti all’ambasciatore e ascoltano gli articoli del codice della navigazione che proibisce lo sciopero. Questi operai dal taschino tirano fuori
la Costituzione della Repubblica Italiana e all’ambasciatore leggono l’articolo 39 che garantisce il diritto di sciopero. Questi sono stati alcuni degli straordinari protagonisti di quelle lotte; così a New York i compagni del Vulcania, del Giulio Cesare riuscirono ad arrivare sino ad a Eisenhower Presidente degli Stati Uniti. La Società Italia aveva mandato a New York un vecchio rottame fascista per chiedere dopo 29 giorni, l’applicazione della legge per l’immigrazione che stabiliva che le navi andavano allontanate. I compagni, i fratelli di Brooklyn ottennero un decreto speciale per salvaguardare il diritto di sciopero dei marittimi italiani. Sono cose che ai giovani andrebbero raccontate. A Dakar c’erano due navi. Il Conte Grande e Conte Biancamano. Noi li tenevamo sorretti da continue telefonate, ma erano soli laggiù. Eppure hanno resistito per 40 giorni. Pensate a cosa è stata questa battaglia, il valore che ha ancora oggi. Così come sono ancora attuali le nostre proposte: abbiamo detto nel ’59 di seguire anche per Genova l’esempio di Rotterdam, di Anversa per l’autofinanziamento dei porti attraverso le entrate fiscali che derivano dal traffico marittimo. Purtroppo siamo ancora dopo cinquanta anni ai tentativi di ottenere questo riconoscimento. Ringrazio profondamente la Fondazione Di Vittorio, i relatori che ci hanno reso più meriti di quelli che forse meritiamo. Mi auguro che a questa iniziativa ne seguano altre. Questi valori di lotta di cinquanta anni fa sono attuali. Non è retorica: veramente questi compagni marittimi, questa squadra di mediani, ha realizzato un pezzo di storia del nostro Paese.
Carlo GATTI
Rapallo, 27 Febbraio 2020
L'IMPORTANZA DELLA REPUTAZIONE
L'IMPORTANZA DELLA REPUTAZIONE
di John Gatti
Un pezzo provocatorio che vuole essere spunto di riflessioni.
Una buona reputazione lavora a tuo favore 24 ore su 24.
Sto parlando a te!
So che mi sto addentrando in un sentiero buio e contorto.
Proprio per questo, prima di fare il primo passo, voglio citare un paio di definizioni sulle parole che seguono:
· La reputazione, in ambito sociologico, è un concetto che attiene alla credibilità che un determinato soggetto ha all’interno di un gruppo (wikipedia).
· Per quanto riguarda la saggezza, mi ha colpito questa definizione di Epicuro: Non è possibile vivere felicemente senza anche vivere saggiamente, bene e giustamente, né saggiamente e bene e giustamente senza anche vivere felicemente. A chi manchi ciò da cui deriva la possibilità di vivere saggiamente, bene, giustamente, manca anche la possibilità di una vita felice.
· Il Compromesso per come lo intendo di qui a seguire: Cedimento morale in vista di un vantaggio pratico (dizionario Corriere della Sera). Ne convengo che “il compromesso” è molto di più, spesso inevitabile e addirittura auspicabile, ma in questo contesto viene considerato solo nella sua accezione negativa.
Mettendo da parte Ia filosofia, ci accorgiamo che i discorsi relativi alla correttezza, alla coerenza e all’onestà, dipendono in larga misura dalla posizione occupata da chi parla.
Un esempio banale: supponiamo di avere due fette di torta, una di fronte a un uomo che non mangia da tre giorni, l’altra davanti a un uomo completamente sazio. Secondo voi chi dei due subirà maggiormente la tentazione di rubare il dolce?
Chi, come me, ha già percorso buona parte del tragitto professionale, si trova nella stessa condizione “dell’uomo sazio” e può quindi permettersi giudizi etici e filosofici a scapito di chi ancora combatte a un quarto della via…
In altre parole, il trentenne che aspira a fare carriera, dovrà confrontarsi con i compromessi imposti dall’ambizione; chi invece ha già superato questa fase, può indossare la veste del saggio e predicare l’importanza dei valori nella vita.
Bello così eh?
A dirla tutta, nutro seri dubbi sull’opinione comune che tiene in alta considerazione le parole di un anziano in virtù della saggezza maturata negli anni.
Il momento cruciale, quello che determinerà la qualità di questa saggezza, lo incornicio in una fase temporale che precede di molto l'”età matura” e, più precisamente, in quel periodo dell’esistenza dove si scontrano opportunità, credibilità e l’ambizione di raggiungere una posizione rilevante. È allora che l’istinto suggerisce strategie di conquista, che spinge verso compromessi che rimbalzano da una discutibile onestà a un allineamento verso idee di convenienza, dalla calunnia all’incoerenza, dalle bugie alle azioni nascoste. Tutto questo, pur di salire sul cavallo che si ritiene vincente nella corsa alla soddisfazione dell’illusoria regola secondo la quale l’universo girerebbe intorno a ognuno di noi…
Ma essere veri uomini non è una cosa scontata.
Non è uno status che spetta di diritto una volta raggiunta una certa età.
Diventare Uomini con la “U” maiuscola, il più delle volte, è il risultato di un percorso fatto di scelte che rispettano la propria scala dei valori, di coerenza intellettuale (che non vuol dire “non essere disposti a cambiare idea”, vuol dire farlo tutte le volte che lo si ritiene necessario, in armonia con il proprio modo di pensare e di essere) e, soprattutto, di decisioni prese con grande apertura mentale, dove l’eventuale sconfitta viene accettata a favore di un’opzione più giusta.
Chi cede al compromesso – quello del “cedimento morale in vista di un vantaggio pratico” – imbocca un sentiero dove il compromesso si autoalimenta; e più ci si addentra e più diventa facile ignorare il rispetto dei valori.
Alla fine si diventa qualcos’altro, che sicuramente non assomiglia all’Uomo con la “U” maiuscola e che, sicuramente, non permetterà di entrare a far parte dei “saggi” che si sono conquistati il prestigioso titolo sul campo.
Sono poche le persone con un’apertura mentale tale da permettere d’imparare scavalcando il proprio orgoglio e la propria presunzione, e più si cerca avanti negli anni e più è difficile trovarle.
Tra le righe di quello che ho scritto c’è la definizione della parola “reputazione”.
Ho iniziato affermando che una buona reputazione lavora a tuo favore 24 ore su 24.
Alle persone piace raccontare le cose belle e le cose brutte, e lo fa tendendo a massimizzarne l’effetto. Questo vuol dire che se qualcuno ha qualcosa da raccontare di “positivamente diverso” – rispetto alla massa – che ti riguarda, stai pur certo che lo farà esagerando, piuttosto che minimizzando. Scatenare un passaparola positivo sulla reputazione è quanto di più produttivo si possa fare per gettare delle solide fondamenta per il proprio futuro, sempre!
Ma distruggere una buona reputazione è veramente molto facile. È sufficiente cadere nella trappola del compromesso, che magari permette un veloce successo temporaneo, ma che alla lunga dipinge la personalità in modo distruttivo.
Mentre scrivo penso ad alcune persone reali, uomini ancora con la “u” minuscola, ma fatti di carne, di ossa e di sangue. Penso a individui che conosco da anni, a cui non manca nulla: intelligenza, preparazione, volontà, presenza fisica, carisma e ambizione; quell’ambizione, potenzialmente sana, ma che a volte spinge verso il famoso e famigerato “compromesso” (inteso sempre in accezione negativa, ovviamente).
Non ne avete bisogno!
Avete tutto quello che vi serve per arrivare dove volete senza calpestare valori a cui ancora non avete dato la giusta importanza.
È meglio un assaggio di buon Tignanello, gustato nel giusto bicchiere, alla giusta temperatura e nel momento giusto, piuttosto che una botte di vino scadente bevuto con la cannuccia nel cimitero dei valori calpestati.
Tu che stai leggendo… che sai che mi sto rivolgendo a te… che so che puoi capire…
non cercare di diventare una persona di successo, cerca di diventare una persona di valore, e arriverai a essere quello che ti spetta diventare.
John Gatti
Rapallo, 28 Giugno 2018
AGGUATO AL CONTE ROSSO - 1297 LE VITTIME
AGGUATO AL CONTE ROSSO – 1297 LE VITTIME
Il "Lloyd Sabaudo", concorrente principale di N.G.I., mette in cantiere due nuovi e grandi transatlantici: il Conte Rosso e il Conte Verde. L’iniziativa nasce dalla consapevolezza di dover dare una chiara risposta alle grandi Compagnie di navigazione europee che gestiscono il mercato internazionale delle navi passeggeri. Con l’entrata in linea dei due CONTI anche l’Italia farà presto parte della competizione internazionale.
Il Conte Rosso fu impostato nel cantiere William Beardmore & Co in Scozia nel giugno 1914, ma le necessità belliche degli inglesi costrinsero il Lloyd Sabaudo a vendere l'unità ancora incompleta agli inglesi che, non solo ne cambiarono radicalmente il progetto, ma trasformarono la nave in portaerei con il nome H.M.S Argus. Nel 1918, terminata la Prima guerra mondiale, la compagnia italiana decise di riacquistarlo confermando anche la costruzione di un transatlantico gemello, il Conte Verde. Il 16 gennaio del 1920 ebbero inizio le costruzioni di entrambe le navi che furono impostate nello stesso cantiere.
Il CONTE ROSSO all’ancora
Tipo: Transatlantico
Proprietà: Lloyd Sabaudo-Genova-Lloyd Triestino-Trieste
Costruttori William Beardmore & Co. Cantiere Dalmuir,Glasgow (Scozia)
Varo 10 febbraio 1921
Entrata in servizio 29 marzo 1922
Destino finale Affondato il 24 maggio 1941
Caratteristiche generali:
Stazza Lorda: 18.017 tsl
Lunghezza 180,1 mt.
Larghezza 22,6 mt.
Propulsione: Vapore
2 gruppi turboriduttori a doppia demoltiplicazione
Potenza: 19.200 cv.
Velocità 18,5 nodi
Equipaggio 442
Passeggeri:
212 in prima classe
269 in seconda
310 in economica
510 in terza
SINTESI STORICA DEL TRAGICO AFFONDAMENTO
Alle 20.41 - AGGUATO AL
CONTE ROSSO
La Seconda Guerra Mondiale era ormai iniziata e la Marina Militare a Genova lo requisì di nuovo per adibirlo per l'ennesima volta al trasporto di soldati in Libia, oltre a migliaia di coloni. Ma ben presto il Conte Rosso andò incontro al suo tragico destino. Il 24 maggio 1941 il transatlantico partì da Napoli alle 4.40 del mattino insieme ad un convoglio formato da altri 3 grandi transatlantici: il Marco Polo, l'Esperia e la motonave Victoria, oltre a numerosi cacciatorpediniere e incrociatori di scorta. Il convoglio era diretto a Tripoli ma sulla rotta nelle vicinanze di Siracusa fu intercettato dal sommergibile inglese HMS Upholder che alle 20.40 lanciò un siluro che colpì la prua del Conte Rosso che si trovava a capo del convoglio e quindi facile bersaglio. Sebbene la nave iniziò fin da subito ad imbarcare acqua, l'affondamento sembrava avvenire lentamente lasciando la speranza a tutti i soldati a bordo di poter raggiungere le scialuppe e mettersi in salvo...ma un secondo siluro lanciato dall'Upholder provocò una tremenda esplosione che portò il CONTE ROSSO a colare a picco di prua in soli 10 minuti, innalzando la poppa sopra il livello dell'acqua e quindi senza lasciare scampo alle migliaia di persone che ancora si trovavano sui ponti del transatlantico.
La nostra Liguria pagò il suo tributo alla nazione con la perdita di oltre 500 navi mercantili. Nel conto non sono inclusi i pescherecci ed il naviglio minore. Lo storico navale Maurizio Brescia, nelle sue ricerche, ci ricorda quanto segue:
- da “ Cacciatorpediniere classe Navigatori” (Albertelli-Parma 1995): Il 18 settembre 1941, in posizione 33°02'N-14°42'E, il sommergibile Upholder silurava ed affondava i transatlantici Oceania e Neptunia. (Dei 5.818 uomini a bordo delle due navi, ne morirono 384). Il Da Recco, capo scorta, recuperò ben 2.083 naufraghi delle due navi e protesse poi il rientro a Napoli del Vulcania, unico superstite del convoglio”.
- da: “Cacciatorpediniere classe Freccia/Folgore/Maestrale e Oriani” (Albertelli-Parma, 1997): “…Quando la formazione si trovava ormai sulla rotta di sicurezza per l'entrata a Tripoli, alle 10.20 del 20 agosto 1941, il sommergibile inglese Inique silurò ed affondò l'Esperia; le unità di scorta recuperarono complessivamente 1.139 naufraghi, e tra questi 417 furono salvati dallo Scirocco …”
- “..La 3° Divisione assicurava la protezione a distanza della formazione e, vista l'importanza della missione, a bordo del Conte Rosso si trovava il contrammiraglio Canzonieri nella veste di capoconvoglio. Le numerose unità di scorta, la cui consistenza era stata rinforzata, all'altezza di Messina, da tre ulteriori torpediniere, non poterono però impedire il siluramento del Conte Rosso avvenuto alle 20.41 dello stesso 24 maggio, da parte del sommergibile britannico Upholder…”
Una vasta eco ebbe la perdita del glorioso Conte Rosso, militarizzato ed adibito al trasporto truppe. L'affondamento avvenne mentre navigava in convoglio a poche miglia da Siracusa. Morirono 1.297 dei 2.729 militari che si trovavano a bordo, diretti in Libia.
IL CONTE ROSSO IN NAVIGAZIONE
A bordo vi erano 2729 uomini tra soldati ed equipaggio, 1297 dei quali persero la vita nel naufragio...i sopravvissuti vennero recuperati quasi immediatamente proprio perchè il luogo dell'affondamento non distava molto dalla costa. Il relitto del Conte Rosso riposa nei pressi della costa di Siracusa, città che ancora oggi ricorda il naufragio con grande dedizione e commozione.
Il transatlantico Conte Rosso è noto per essere stato il naufragio in cui persero la vita il maggior numero di soldati durante la Seconda Guerra mondiale.
IL SOMMERGIBILE "KILLER" HMS UPHOLDER
In missione, durante la caccia AS (antisom) nel mare di Tripoli il 14/4/1942 la torpediniera Pegaso, comandata dal C.C. Francesco Acton, intercettò un sommergibile e sganciò su di esso diverse bombe di profondità colpendolo, era lo Upholder? Un sommergibile considerato dalla marina britannica per le sue ardue imprese un fiore all'occhiello. Questo affondamento è stato contestato con forza dallo Stato Maggiore della Marina Tedesca il quale asseriva che il sommergibile britannico Upholder era stato affondato il 14 aprile alle ore 13,10 dagli aerei Me-110 e Do-17 i quali, durante la scorta convoglio denominata operazione "Aprilia" hanno individuato un sommergibile, scoperto probabilmente dalla scia lasciata dall'idrofono. Gli aerei, sul bersaglio hanno sganciato un numero rilevante di bombe. In seguito, nel giro di ricognizione i piloti hanno avvistato in mare una macchia scura e diversi oggetti non bene identificati. Un rapporto della ricognizione aerea italiana asseriva che la mattina del 13 aprile il sommergibile Upholder si trovava a largo di Misurata, quindi la seconda ipotesi rimane la più attendibile.
Nota:
Posizione con le COORDINATE ESATTE DEL PUNTO DELL‘AFFONDAMENTO.
Notizia tratta dall’Estratto Notiziario Storico di Augusta N° 24 Edizione 2001.
Il volume Navi Mercantili Perdute Edito dall’Ufficio Storico M.M.I. precisa il punto di affondamento in 36°41′ Nord / 15°33′ Est. – Corretto nel 1977 in 37°01′ Nord / 15°33’ Est. Confermato anche dall’individuazione del relitto.
Riportiamo quanto scritto dallo storico augustano Francesco Carriglio:
Alle ore 20:41, in prossimità di Capo Murro di Porco di Capo Passero, l’incontro del convoglio con il sommergibile Upholder fu fatale, il sommergibile colpì il Conte Rosso con un primo siluro che distrusse la zona macchine, rallentandone così la velocità, un siluro successivo colpì la stiva provocando una grande esplosione; il Conte Rosso si inclinò su un fianco, gli uomini sopravvissuti all’esplosione cercarono di mettersi in salvo adoperando mezzi di salvataggio e di fortuna, ma il tempo fu tiranno per alcuni di essi, dopo solo 8 minuti dal secondo siluro il piroscafo si inabissò trascinando con esso molti uomini, adagiandosi su un fondale di 2.000 metri. Le navi di scorta coordinarono subito una azione offensiva nei confronti del sommergibile lanciando delle bombe di profondità, ma ben presto alcune di esse dovettero interrompere l’azione per dare soccorso alle moltissime persone che chiedevano, o meglio imploravano aiuto, il resto del convoglio, scortato da alcune Unità, proseguì per il porto di destinazione. Il Comando Marina di Augusta in allarme predisponeva l’organizzazione dei soccorsi, il prezzo di vite umane fu altissimo, al momento della tragedia sul piroscafo Conte Rosso vi erano 2.727 persone di cui 1.430 si salvarono e 1.297 morirono, di esse solo 290 salme furono recuperate dai mezzi di soccorso. La notizia non tardò a diffondersi tra la popolazione augustana. Alle ore 05:00 del mattino successivo alcuni superstiti del Conte Rosso giunsero nel porto di Augusta. Le banchine del porto si affollarono improvvisamente di persone che si volevano prodigare nell’aiuto agli sventurati naufraghi sopravvissuti all’immane tragedia. La cittadinanza diede il suo aiuto ai naufraghi offrendo ad essi cure, ospitalità, vestiario, vitto, alloggio ed affetto. Una cittadina che prese a cuore la sventura di questi uomini che nel tempo non hanno mai dimenticato l’affetto e la simpatia per questa città.
Il sottomarino KILLER UPHOLDER RIPRESO DA DUE ANGOLAZIONI DIVERSE.
La sua devastante carriera:
Fu comandato per la sua intera carriera dal Lt. Commander (equivalente del capitano di corvetta) Malcom David Wanklyn e divenne il sottomarino britannico di maggior successo della Seconda guerra mondiale, insignito della Victoria Cross e del Distinguished Service Order. Dopo un periodo di addestramento, partì per Malta il 10 dicembre 1940 e fu unito alla 10th Submarine Flotilla (la decima flottiglia) stanziata presso la base sottomarini dell’isola di Manoel, a nord de La Valletta, nello Stretto di di Marsamuscetto. Completò 24 ricognizioni, affondando 93.031 tonnellate di navi nemiche, ovvero il cacciatorpediniere Libeccio dopo la Battaglia del convoglio Duisburg (dal nome di uno dei piroscafi che lo componeva), due sommergibili (il Tricheco ed il Saint Bon), tre grossi trasporti truppe:
CONTE ROSSO, NEPTUNIA ed OCEANIA), sei navi da carico (Antonietta Lauro, Arcturus, Leverkusen, Laura C., Enotria, Tembien), una nave ausiliaria (il trasporto Lussin) ed un dragamine ausiliario (il B 14 Maria). Wanklyn fu insignito della Victoria Cross per una ricognizione nel 1941 quando attaccò un convoglio particolarmente ben difeso e affondò il transatlantico italiano tonnellate CONTE ROSSO la notte del 24 maggio. Danneggiò anche l'incrociatore italiano Giuseppe Garibaldi.
L'Europa era stata fortemente voluta dopo le due guerre mondiali, l'orrore delle trincee, dei gas asfissianti, delle bombe al fosforo, del delirio di onnipotenza di Hitler, Stalin e Mussolini. La seconda è stata generata dalle conseguenze della prima. Quando ancora i cannoni tuonavano e le atomiche americane, che avrebbero annientato le irriducibili resistenze del Giappone non erano state sganciate, alcuni uomini di buon senso, grande generosità e cultura, imprigionati dal regime del Benito nazionale, avevano concepito l'Unione Europea come antidoto ai nazionalismi ed alle follie dei dittatori.
Piercarlo Barale
L'azzurra linea del Mediterraneo, questo incantatore ed ingannatore di uomini audaci, manteneva il segreto del suo fascino e si stringeva al calmo petto le vittime di tutte le guerre, le calamità e le tempeste della sua storia, sotto la meravigliosa purezza del cielo al tramonto.
da L'Avventuriero di Joseph Conrad
Carlo GATTI
Rapallo, 24 novembre 2017
RICORDO DI MARIO RIGHETTI
RICORDO DI MARIO RIGHETTI
E’ mancato MARIO RIGHETTI da Casarza Ligure. Una vittima della solitudine provocata dal Corona Virus. Se n’è andato un mito dell’amicizia e della musica.
Era nato a Sesta Godano nel 1933, prima della pensione, è stato, e lo era ancora ma solo per gli amici, un abilissimo saldatore e tornitore del Cantiere Navale di Riva Trigoso. Nella sua officina di Casarza Ligure a Francolano c’è di tutto e di più, ma lui era il padrone assoluto di questa straordinaria confusione e se cercava un pezzo strano o una vite speciale la trovava subito. L’officina era piena zeppa di macchinari meccanici di ogni specie, dai torni più sofisticati ai sistemi di saldatura a ossigeno o a elettrodi, ma poteva saldare anche metalli preziosi o speciali. Oltre che un saldatore, con le sue grosse dita, si trasformava anche in orefice.
Non passava giorno che arrivasse qualcuno con un problema ad un attrezzo e lui aggiustava tutto come: tagliaerba, motoseghe, e ogni genere di utensile. E sempre gratis naturalmente.
E’ stato uno straordinario cacciatore con i suoi cani che addestrava con passione; aveva vinto anche una infinità di trofei. I più abili cani erano Kriss, Kroll e la piccola Suzy che divideva con la figlia Carmen.
Righetti è stato anche Campione Italiano di Tiro al piattello guadagnando molte medaglie d’oro. Andava spesso a pescare con la canna o con i palamiti ma mal sopportava le regole e i patentini sempre più oppressivi, perché Mario era un uomo libero, all’antica, nato quando in Italia si poteva andare a caccia col solo porto d’armi e andar per funghi e a pescare senza vincoli.
Un’altra delle sue grandi passioni è stata la Musica. Aveva studiato “armonia” per molti anni e con i suoi complessi aveva suonato in Italia e all’estero. Era figlio d’arte perché suo Padre Adalgiso, chiamato “Derciso” era un virtuoso della fisarmonica ancora ricordato in quel di Mattarana sul Monte Bracco.
Mario aveva un complesso molto conosciuto e con l’amico di sempre e suo compagno d’orchestra, si esibiva con Federico Garibaldi, ora affermato avvocato di Milano, ma originario di Pòntori nella val di NE’. Si divertivano ancora con qualche piccola suonata e cantata! E poi ci sono gli altri amici che spesso, anche più volte alla settimana, lo andavano a trovare per gustare insieme qualche specialità gastronomica. Ma Righetti sapeva far di tutto all’infuori che stare in cucina dove era però sempre in compagnia di amici che si cimentavano nelle varie specialità genovesi. Nel suo puro genovese diceva: io non so nemmeno lavare i piatti! Ma aveva tante altre doti! E così ogni settimana si incontrava nel suo “garage salotto” con Edilio Cafferata, che ultimamente era anche il suo cantante preferito, per interpretare vecchie e nuove canzoni. Facevano parte del gruppo “gastronomico” anche Marino Capraro, esperto in nodi e attrezzature marinare, Nino Moggia e il sottoscritto che naturalmente preferiva cimentarsi con l’intramontabile My Way “imitando” si fa per dire, Frank Sinatra.
Marino Capraro la mattina dell’11 Maggio è la persona che ha saputo per primo della tragica notizia passando davanti a casa sua e collaborando con le Autorità a rintracciare la figlia Carmen.
Nel suo “garage salotto” di Francolano, Righetti conservava una infinità di strumenti musicali. Aveva ben 11 fisarmoniche, pianole elettriche, pianoforti e amplificatori di ogni genere che teneva accordati e in perfette condizioni.
Righetti è stato un ottimo collaboratore del Museo Marinaro di Chiavari mettendo a punto strumenti vari tra i quali gli enormi segnalatori a lampi di luce tanto usati sulle grandi navi militari come le regie corazzate Vittorio Veneto, Duilio e Littorio nel periodo della prima e seconda guerra mondiale.
Mario Righetti, come musicista, ha avuto grandi soddisfazioni anche da giovane Militare. Nel 1954 era stato infatti scelto per formare il complesso musicale della Nave più bella del mondo: l’“Amerigo Vespucci”.
Su questa splendida nave fu imbarcato come orchestrale partecipando ad una lunga crociera navale di istruzione che portò la Vespucci da Livorno fino a Oslo e ritorno.
Era coniugato con la sua adorata Rosa, scomparsa nel 2014. Lascia due figli: Carmen, che si curava sempre della sua salute e Vittorio, che aveva ereditato la passione per la musica e spesso faceva parte del suo complesso musicale anche come cantante.
In questa foto, che vorrei fosse pubblicata, sono ritratti Mario e la moglie Rosa in un tipico fotomontaggio del tempo con lo sfondo dell’incrociatore da battaglia Raimondo Montecuccoli.
Mario Righetti era un uomo di grande bontà e con la sua musica ha sempre allietato tutti gli amici alla fisarmonica o alla pianola o al pianoforte ha allietato generazione intere.
Chi l’ha conosciuto lo ricorderà certamente come un uomo speciale, capace di amicizie sincere!
E’ senza dubbio una vittima del Corona virus poiché da quando si isolo’ per evitare il contagio soffri’ terribilmente di solitudine, soprattutto per la mancanza delle visite dei suoi tanto cari vecchi amici con i quali trascorreva piacevolissime ore.
Federico Garibaldi, Marino Capraro, Nino Moggia, Edilio Cafferata ed Ernani Andreatta, autore di queste note, uniti nel grande dolore per la grave perdita, sono vicini ai figli Carmen e Vittorio in questo terribile momento nel ricordo di un uomo semplice ma di grande nobiltà d’animo
Mario Righetti non si è tolto la vita ma, come a tanti altri, gli è stata rubata da un virus particolarmente crudele.
Cliccare su questo LINK
ALBUM FOTOGRAFICO
Mario Righetti quando era nell’orchestra dell’Amerigo Vespucci con la sua consorte Rosa deceduta nel 2014. In basso l’Incrociatore da battaglia Raimondo Montecuccoli.
Mario Righetti sulla Vespucci è alla fisarmonica durante alcune prove d’orchestra.
Mario Righetti con il suo complesso sull’Amerigo Vespucci è al centro seduto al pianoforte.
Mario Righetti in una recente foto nella sua officina dove, per gli amici, aggiustava qualsiasi cosa gli portassero.
Da Sinistra Federico Garibaldi, Ernani Andreatta e Mario Righetti nel suo “garage salotto” di Francolano a Casarza Ligure dove aveva la sua sala audizioni musicali.
ERNANI ANDREATTA
Rapallo, 12 Maggio 2020
SEMINOLE - PIPE LAYER CRANE VESSEL
SEMINOLE
PIPE - LAYER CRANE VESSEL
Un po’ di storia…
1/02/2010 - Martinšćica (Croazia) – Intercettato al cantiere croato di riparazioni e conversioni navali Viktor Lenac, dove la pipe-layer crane vessel Seminole è in ristrutturazione, Silvio Bartolotti – proprietario e presidente del Marine Contractor ravennate Micoperi – si dichiara “davvero soddisfatto di come stanno procedendo i lavori. Del resto non avevo dubbi, visto che Micoperi ha una lunga tradizione con il Viktor Lenac già da prima che io rilevassi l’azienda nel 1996 dal Ministero dell’Industria italiano”.
“Effettivamente il primo lavoro per Micoperi lo abbiamo fatto nel 1979” - chiarisce Davor Lukeš, membro del CdA del Lenac, esibendo una cartellina con tutta la documentazione.
“A me piace coniugare utilità ed estetica, perciò desidero che questa nave sia bellissima, da sembrare uno yacht” - prosegue Bartolotti, che non nasconde, fin nella camicia, la sua passione per le Harley Davidson, di cui possiede pezzi storici rimarchevoli.
“Abbiamo convenuto anche un completo rifacimento degli interni, cabine, servizi igienici e aria condizionata compresi, perché voglio una nave che sia a tutti gli effetti nuova e la più bella nella sua categoria. La ristrutturazione avverrà in due fasi. Nella prima, che verrà completata entro la fine del prossimo aprile, oltre ai lavori sugli interni, verranno cambiate circa 500 tonnellate di acciaio sulle 10.000 della nave. Nella seconda, che inizierà più o meno verso gennaio 2012, allungheremo la nave di 25 metri, portando la lunghezza totale a 160 metri e la capacità di sollevamento da 750 a 1350 tonnellate. Inoltre, SEMINOLE sarà dotata di posizionamento dinamico (classe DP-3), per il quale ho già acquistato 6 motori diesel Wärtsilä Vasa da 3400 kW ciascuno. In sostanza avrò una nave praticamente nuova, nella massima efficienza, con ‘soli’ 70 milioni di euro, quando chi ha scelto di costruire navi ex novo va a spendere cinque volte tanto. È chiaro che la differenza economica porterà ad un sicuro vantaggio in fatto di concorrenza”.
A riprova dell’ottima collaborazione con il Viktor Lenac, entro un paio di settimane arriverà qui per lavori anche Micoperi 30, posatubi con capacità di sollevamento di 1200 tonnellate, anch’essa classificata RINA, come tutte le altre unità della flotta di Bartolotti. Quasi inevitabilmente il discorso va a cadere sulla tormentata vicenda del rapimento dello AHTS Buccaneer, che ha riempito le cronache estive della stampa generalista.
“Dopo 1 anno e 2 mesi, il mezzo è finalmente arrivato alla nostra base di Ortona. La soluzione è stata ‘politica’, sia da parte nostra che del governo italiano, anche se ovviamente ci sono stati dei costi. Basti pensare che per il solo gasolio consumato per l’aria condizionata durante il fermo abbiamo speso 300.000 euro”.
Bartolotti conclude affrontando il tema dei bilanci. “Nel 2009 abbiamo realizzato un fatturato di circa 70 milioni di euro, mentre per l’anno prossimo contiamo di arrivare a 120, sempre mantenendoci su un utile lordo tra il 10 e il 15%. La nostra società è solida, non abbiamo debiti di rilievo. Il nostro rating finanziario è talmente buono che le banche della zona vengono a offrirmi soldi di cui non abbiamo proprio bisogno”.
La Micoperi, con una flotta di dieci navi specializzate nella posa di tubature subacquee, nel recupero di navi affondate e nell'assistenza alle piattaforme petrolifere, era salita alla ribalta delle cronache mondiali nell'aprile 2009 quando nel golfo di Aden i pirati sequestrarono il ‘Buccaneer’ (vedi foto) un supply vessel di 75 metri di proprieta’ del gruppo ravennate con 16 membri di equipaggio. La crisi si era risolta nell'agosto successivo con la liberazione della nave e di tutti i marittimi.
LA “SEMINOLE” OGGI
Al centro della foto si nota la gru della WALTER TOSTO un’altra nave speciale che scala il porto di Ortona con carichi particolari
IL Comandante Nunzio Catena racconta:
“Fino a ieri mi divertivo a guardare la gru del ‘SEMINOLE’ che si muoveva giù al porto., ieri si è mosso ed è fermo in rada. Ecco alle 10,51, dove era ancorata da ieri pomeriggio”.
La SEMINOLE é una delle più versatili navi mai costruite per le sue caratteristiche di Self propelled Lifting & Laying combination vessel, adatta specialmente per lavori su bassi fondali.
La nave, originariamente, fu costruita nel 1979 ma con l’intenzione di realizzare nel tempo una serie di trasformazioni che la rendessero sempre MODERNA e attuale considerando la rapida evoluzione delle tecnologie impiegate nelle operazioni marittime odierne. Questo programma di rinnovamento e modifiche non é terminato nel 2011, perché la sfida tecnologica sui mercati mondiali é in itinere…! Non solo ma, a causa di questa ascesa sui mercati internazionali, la SEMINOLE deve tenersi aggiornata con la legislazione mondiale che richiede stringenti richieste tecniche e tecnologiche da parte dell’IMO per le SPS (Special Purpose Ship).
ORTONA. Grandi manovre in porto per l'arrivo della Seminole trasformata nella nave da lavoro più grande del Mediterraneo.
Micoperi ha investito 80 milioni di euro. L'imbarcazione può ospitare fino a 250 persone tra tecnici ed equipaggio, è lunga oltre 132 metri ed ha una stazza di 13.232 tonnellate. Provvista di speciali gru che possono sollevare carichi di oltre 700 tonnellate, la nave é anche in grado di operare in fondali molto profondi. L'unità sosterà nel porto di Ortona per circa due mesi. Durante questo periodo saranno ultimati i lavori di allestimento. Una volta certificata, a cura della Capitaneria di porto sulla base della convenzione internazionale Solas e del codice Imo Sps 2008 (Special purpose ship), potrà operare in tutto il mondo. Spettacolare l'ormeggio della grande imbarcazione alla banchina di Riva del porto, nell'area dei cantieri Micoperi. Le operazioni, gestite dalla stessa società in collaborazione con gli uomini della capitaneria di porto sotto la direzione del comandante Giovanni Greco, sono avvenute nel pieno rispetto dei requisiti di sicurezza e senza particolari problemi. L'arrivo di un'unità così importante dimostra per l'ennesima volta le potenzialità dello scalo teatino. Il bacino attende ancora il dragaggio che dovrebbe portare i fondali ad una profondità. Secondo il general manager Silvio Bartolotti la nuova nave - tecnicamente si tratta di una pipe-layer crane vessel – che consentira’ al gruppo di allargare le mete oltre il Mediterraneo e di potere arrivare in ex Urss, Messico, Brasile, Africa orientale e mari del Nord.
SEMINOLE
ALBUM FOTOGRAFICO
Progetto esecutivo per collegamento ferroviario con il Porto di Ortona
Il porto di Ortona
NUNZIO CATENA - CARLO GATTI
Ortona - Rapallo, Martedi 17 Marzo 2020
AQUILEIA ROMANA - 2a Parte - IL PORTO
LA STORIA DEL PORTO DI AQUILEIA
Emporio Cosmopolita dell'Impero Romano
AQUILEIA Romana rivestiva una posizione geografica assolutamente strategica nella difesa dell’Impero che era già all’epoca della sua fondazione minacciata ad Est da popolazioni barbariche che minacciavano i suoi confini.
Situata nell’attuale Friuli-Venezia Giulia, Aquileia è stata per molti secoli centro nevralgico dell'Impero Romano nel mediterraneo, centro politico-amministrativo e capitale della X Regione augustea, Venetia et Histria, nonché prospero scalo e ricco emporio di merci in transito. Aquileia può essere considerata uno dei più importanti siti archeologici dell’Italia Settentrionale, dal 1998 é patrimonio mondiale UNESCO.
Porto di Aquileia
A partire dal periodo immediatamente successivo alla fondazione della colonia romana nel 181 a. C. Aquileia svolse un ruolo fondamentale nei commerci marittimi dell’area del nord Adriatico.
Tuttavia, per due secoli circa, i rapporti commerciali coinvolsero soltanto la via marittima e una limitata parte dell’entroterra della città, in seguito i romani capirono ed attuarono un sistema viario di cui riportiamo qui sotto una cartina esplicativa di quanto l’Impero fosse strategicamente preparato a dominare vaste zone con la propria presenza e rapida mobilità.
Aquileia divenne quindi il CENTRO del sistema viario della regione per la sua posizione all’incrocio di più strade, tra cui le maggiori erano la via Postumia, la via Iulia Augusta e la via Gemina; era inoltre il punto di partenza delle strade che si diramavano verso il bacino danubiano e la via dell’ambra che giungeva dal mar Baltico.
RACCORDO CON NOME
LA VIA ANNIA
1. 1.PADOVA …………………………………….. La strada da Patavium a Bononia (Bologna).
2. 2.PADOVA …………………………………….. La Padova a Vicenza (Vicetia)
3. 3.PADOVA ………………………………………VIA AURELIA
4. 4.(Tra San Bruson e Marghera)…………………VIA POPOLLIA
5. 5.ALTINO ………………………………………. VIA CLAUDIA AUGUSTA
6. 6.CONCORDIA SAGITTARIA………..Bruson-Marghera nel punto mansio Maio Meduaco ad XII
7. 7.CONCORDIA SAGITTARIA………. Da Iulia Concordia-Aguntum e Vipiteno e Virinum
8. 8.AQUILEIA ………………………………….. Da Aquileia ad Aguntum (Lienz) e Vipitenum
9.AQUILEIA ………………………………….. Da Aquileia a Santico e Virunum (Klangefurt10.AQUILEIA ………………………………… La strada da Aquileia a Iulia Emona (Lubiana)
10.AQUILEIA…………………………………. Da Aquileia a Pola (via Flavia da Trieste a Pola)
Da Aquileia a Tarsatica (Fiume)
IL PORTO DI AQUILEIA: DATI ANTICHI E RITROVAMENTI RECENT!
NORD
SUD
Fig. I. Pianta generale di Aquileia con posizionamento dei siti citati nel testo (da BERTACCHI 1980a): I. banchina portuale (loc. Santo Stefano), 2. ponti; 3. scavo in concessione alla EFR; 4. decumano; 5. circo; 6. foro; 7. saggio 1989 nel Campo sportivo a cura della Soprintendenza; 8. porticato; 9. porto canale (scavo Brusin); 10. muro di controsponda del porto; 11. magazzini; 12. mura post-attilane; I3. teatro; I4. fiume Natissa; 15. terme; I6. anfiteatro; 17. horrea; I 8. mercati tardo-antichi; I 9. banchina del fondo Pasqualis (scavo Soprintendenza); 20. complesso basilicale.
PORTO FLUVIALE
Il bacino del porto era formato dalla confluenza di due corsi d’acqua, che si univano nella zona dell'attuale frazione di Monastero; è stato possibile stabilire ciò grazie al ritrovamento nella zona settentrionale di due ponti che segnalano il passaggio di due distinti corsi d'acqua destinati a confluire più a sud. Uno di questi era un fiume di risorgiva chiamato Roggia della Pila, l’altro aveva una portata maggiore perché riceveva le acque del Natisone e del Torre. Attualmente il Natisone non attraversa più la città, poiché confluisce nell'Isonzo; invece ciò che rimane del vecchio corso d'acqua è il fiume Natissa.
La rete di canali artificiali unita ai corsi fluviali presenti rese facile nell'antichità il collegamento con il mare e probabilmente consentì la circumnavigazione della città. Infatti su quasi tutti i lati sono state ritrovate delle strutture portuali collegate fra di loro; è incerta solamente la presenza di un percorso verso ovest.
Porto Fluviale, area archeologica di Aquileia. Foto di © Gianluca Baronchelli
Oggi il Natissa scorre placido e silenzioso, ma una volta era il ben più imponente fiume Natisone. Fu l’imperatore romano Giuliano a deviarne il corso. Il largo bacino del fiume, ampio circa 50 metri, destò l’interesse degli antichi romani che lo trasformarono in un approdo strategico di notevole rilevanza economica e militare per i loro traffici mercantili nel Mediterraneo e per lo spostamento delle proprie milizie attraverso l’Adriatico, visto il suo vicino sbocco al mare.
L’attuale livello dell’acqua si trova ad un livello più basso, ciò permette passeggiate lunghe e tranquille lungo gli antichi argini della Via Sacra ottenuta sullo sbancamento dell’alveo del fiume stesso.
Lo scenario ereditato dall’antichità permette al visitatore di immergersi in questa atmosfera ed immaginare lo svolgersi del lavoro portuale tra navi, banchine e magazzini: grano, olio, anfore e tessuti provenienti da ogni parte del mondo osservando in particolare le banchine con tutti i loro accessori, (anelli, bitte, scalette, iscrizioni su pietra ancora intatte) elementi che parlano della tecnica di un tempo che ha fatto da maestra alla tecnologia ancora oggi utilizzata nei porti moderni.
La cosiddetta banchina occidentale, in pietra d’Istria, é considerata la più importante perché conduce al Foro della città. Percorrendo questo tratto portuale ci s’imbatte nella zona che fu del mercato pubblico e in quei particolari edifici in mattone che erano utilizzati come magazzini per lo stivaggio delle merci in arrivo, in transito o in partenza. In questa direzione si giunge alla Basilica medievale.
Aquileia - La via Sacra
La VIA SACRA altro non é che un viale alberato lungo il fiume che é percorribile a piedi, una passeggiata archeologica posta nell’alveo del fiume e lunga circa un chilometro, che è stata creata con la terra di risulta degli scavi e lungo la quale sono stati collocati resti architettonici e monumentali provenienti dagli scavi delle mura e del foro.
Il viale ricalca l’andamento dell’antico corso d'acqua formato dalla confluenza del Natiso cum Turro, che in questo tratto aveva un letto largo m. 48. È oggi visibile il lato occidentale delle banchine del porto, con strutture che misurano 380 m di lunghezza.
Il molo è disegnato da due banchine, poste ad altezze diverse per ovviare ai dislivelli delle maree. La banchina superiore conserva la propria architettura d'ormeggio orizzontale e sporgente, quella inferiore evidenzia ormeggi verticali e incassati nei blocchi che rinforzavano la sponda.
Le strutture sono in pietra d'Istria, resistente all'azione corrosiva delle acque salmastre.
Sono ben visibili i magazzini di stoccaggio delle merci e il tratto iniziale delle strade lastricate perpendicolari alla riva che permettevano di trasportare i prodotti dalle banchine al Foro poco distante, dove venivano venduti.
Le strutture portuali mostrano anche tracce di difese militari, si suppone a motivo dell’invasione di Aquileia da parte di Massimino il Trace nel 238 d.C., mentre ulteriori cambiamenti risalgono all’assedio di Giuliano l’Apostata nel 361 d.C.
Inizio modulo
Resti delle mura e dei magazzini sulla Via Sacra
Ecco come ci viene storicamente descritto l’evoluzione costruttiva in due fasi storiche diverse:
“Il porto fluviale fu completamente ristrutturato all’inizio del I secolo d.C., con un nuovo complesso di banchine e un lungo edificio retrostante, che si apriva verso il fiume. Tre rampe, oblique rispetto al prospetto delle banchine, consentivano il collegamento con la viabilità urbana. Ulteriori trasformazioni risalgono all’età di Costantino il Grande, pochi anni prima che alle banchine si sovrapponessero le nuove mura di cinta, decretando, assieme al restringimento dell’alveo, la progressiva defunzionalizzazione del porto”.
PORTO FLUVIALE Descrizione Tecnica
Banchine: erano costituite da un poderoso sistema di lastroni verticali di calcare sormontati da blocchi parallelepipedi a incastro, che costituivano il piano di carico e scarico superiore. A poco meno di due metri dalla sommità della banchina correva un largo marciapiede, che doveva servire alle attività di carico per imbarcazioni di piccola stazza. Dal livello inferiore si staccavano le rampe che si congiungevano alle strade urbane, in corrispondenza delle quali vi erano due ampi piani inclinati che permettevano di accedere ai retrostanti magazzini.
Una curiosità: sulla superficie dei marciapiedi, sono incisi talvolta dei piccoli schemi per il gioco, utilizzati dai marinai e degli addetti alle attività portuali come passatempo.
Anelli di ormeggio: ancora oggi possiamo notare sulle banchine, a distanze regolari, alcuni blocchi parallelepipedi sporgenti, in alcuni casi con l’estremità arrotondata, caratterizzati da un foro passante verticale. Secondo gli studiosi poteva trattarsi di anelli d’ormeggio per le imbarcazioni oppure di fori per l’inserimento di gru lignee per il carico e lo scarico delle merci. Sul piano di carico inferiore, esistevano invece dei blocchi con foro passante orizzontale, più piccoli dei precedenti, utilizzati per fissare le cime d’ormeggio dei navigli.
Resti delle mura: sopra le banchine si possono facilmente riconoscere i resti di una grossa struttura, spessa quasi tre metri sovrappostasi in età tardo-antica (IV secolo) alle strutture portuali. Il fiume, o ciò che rimaneva di esso, forniva così un ulteriore presidio alle difese murate, che erano dotate anche di torri. In una fase ancora successiva (V secolo?) fu costruita un’altra linea di mura di cinta a potenziamento della precedente, ancora più avanzata in ciò che rimaneva dell’alveo fluviale.
Le tre foto sopra mostrano una banchina lunga ed ampia molto ben conservata che ci offre una eloquente descrizione della portualità romana di quel tempo. Al porto fluviale lungo le sponde del Natissa confluivano le acque del fiume Torre e Natisone, con la banchina a doppio livello per essere usata da imbarcazioni di stazza diversa e per contenere il flusso delle maree. Largo 48 metri e lungo circa 350 era costruito con grandi blocchi di pietra d’Istria squadrati, con anelli per l’ormeggio delle navi.
Resti di magazzini: alle spalle della banchina portuale, si sviluppava un lunghissimo edificio, di cui restano i muri perimetrali in laterizio dei lati lunghi. In rapporto alla lunghezza, che superava addirittura i trecento metri, la larghezza era assai limitata, non più di tredici metri. Il complesso, costruito all’inizio del I secolo d.C. demolendo in parte le retrostanti mura di cinta repubblicane, serviva probabilmente come magazzino per lo stoccaggio delle merci, forse con annessi ambienti riservati ad uffici. Vi si accedeva da almeno due ingressi dotati di gradinata. È probabile che le rampe di collegamento con la città passassero sotto l’edificio. In tarda età costantiniana, gli spazi del grande edificio furono ulteriormente ampliati: ne sono testimonianza le fondazioni di pilastri che tuttora si possono riconoscere all’interno e all’esterno del perimetro originario.
Giungeva ad Aquileia ogni tipo di materiale e di viveri: legna, marmi, metalli, vino, olio, lana, spezie, bestiame e addirittura schiavi. Grazie all’edificazione del porto e alla sua posizione strategica, Aquileia si confermò come uno dei più grandi centri nevralgici dell’Impero Romano. Il ferro, che veniva importato dalle miniere del Norico, veniva poi lavorato ulteriormente nelle officine della città; la stessa cosa accadeva per il vetro che era poi esportato fin nelle regioni danubiane. Vi erano inoltre industrie che si occupavano della trasformazione del legname, proveniente dalle più diverse regioni dell’impero.
Un altro importante prodotto era la lana, che giungeva dai grandi pascoli dell’Istria interna e prima di essere esportata veniva lavorata nei vestiarii della città; sempre riguardo all’industria tessile, vi erano anche famose tintorie.
L’archeologo Giovanni Brusin
Grazie a studi recenti gli archeologi sono venuti a conoscenza del fatto che questo primo porto era più a occidente rispetto a quello attualmente visibile: ciò è dovuto allo spostamento del fiume verso est.
Il porto, scoperto nella parte orientale della città, ha un bacino che dista dal mare circa 10 chilometri; sono state ritrovate e scavate entrambe le sponde, ma quella occidentale, la più vicina alla città, ha rivelato di essere quella meglio attrezzata e perciò è quella ancora oggi visibile.
Aquileia - Porto fluviale
Il porto fluviale è stato scavato per la prima volta verso la fine dell’Ottocento da Enrico Maionica, poi l’opera è stata portata avanti da Giovanni Brusin negli anni Trenta.
La sistemazione del porto monumentale risale probabilmente alla fine del I secolo d. C. Giovanni Brusin l'aveva ipotizzato studiando i moduli dei mattoni, riferibili all'età di Claudio per la struttura e anche per la fama di questo imperatore in campo di impianti portuali (Porto di Claudio a Roma). Inoltre si può anche osservare che la parte settentrionale (abitata) fu abbandonata verso la fine del I secolo a. C. con l’inizio della grande impresa edilizia. Ancora non si sa se la costruzione della banchina orientale fu contemporanea a quella occidentale. Sono in corso studi e convegni per dare risposte a questo ed altri importanti quesiti. Ma si sa, l’archeologia non ha premura!
Porto fluviale - Banchina occidentale
La banchina della sponda occidentale del porto è lunga 380 metri ed è costituita da lastre verticali in pietra d’Istria. Vi è un primo piano di carico sovrapposto a questi lastroni e composto da blocchi con grandi anelli di ormeggio a foro passante verticale che abbiamo visto nella foto; il secondo piano di carico, che si trova circa 2 metri più in basso, è costituito da un marciapiede lastricato largo circa 2 metri e fornito anch’esso di anelli di ormeggio a foro passante orizzontale. Il fatto di avere due diversi piani di carico rendeva possibile sia che fossero accolte imbarcazioni di stazza grande o piccola, ma é più probabile che il porto venisse utilizzato anche nei periodi di bassa marea.
“Dalla banchina partono tre vie di accesso alla città che conducono ognuna ad un diverso decumano: l’accesso posto più a sud è costituito da una gradinata, mentre gli altri due sono strade lastricate in pendio (questo perché l'angolazione delle vie con la linea del porto non permettesse la salita dell'acqua in caso di piena del fiume); queste ultime due strade sono dotate di coppie di rampe perpendicolari che conducono ai magazzini”.
Aquileia - La riva orientale del porto
La riva orientale è stata scavata per un breve periodo negli anni Trenta e ne sono stati riportati alla luce poco più di 150 metri, anche perché ad un certo punto la struttura sembra interrompersi brutalmente. La banchina è molto stretta e composta da parallelepipedi di pietra, vi si notano solo quattro scalinate inserite nel muro e alcune pietre di ormeggio; dietro sono situati degli edifici, possibili magazzini o uffici.
Analizzando le diversità di struttura tra le due banchine, Brusin è giunto alla conclusione che quella occidentale sia anteriore; bisogna anche notare che la banchina orientale si trovava in una zona suburbana, mentre quella occidentale era più vicina al foro e al centro della città così da necessitare forse di un aspetto monumentale. Il porto ha subito nel tempo diverse modifiche che dimostrano la vitalità del centro e anche i molti sforzi per adeguarsi agli avvenimenti storici del tempo.
Le prime opere di difesa, che sono state realizzate sulla banchina occidentale, risalgono quasi sicuramente al 238, anno del bellum aquileiese, e riflettono la crisi politica e militare del tempo; in seguito queste strutture hanno anche influito sulla costruzione dei magazzini retrostanti.
Probabilmente nel 361, quando la città si schierò con Costanzo II e fu assediata da Giuliano l’Apostata, il fiume fu deviato per motivi strategici e di conseguenza la portata d’acqua diminuì. Queste opere provocarono poi un’alluvione, che fu la causa dell’abbandono del quartiere orientale. In epoca tardo-antica, verso la fine del IV secolo, furono realizzate altre opere difensive e di queste mura è stato ritrovato il lato orientale sulla banchina; si pensa che queste fortificazioni siano state costruite in grande fretta, anche perché i materiali utilizzati sono stati quelli recuperati da altre strutture (trabeazioni marmoree, iscrizioni votive e onorarie, colonne, ...).
L’intero porto fluviale, anche in seguito alle numerose invasioni barbariche (quella di Alarico nel 410, di Attila nel 452, di Teodorico nel 489 e infine dei Longobardi nel 568) e alle lotte dei pretendenti per il trono di Roma, fu così trasformato in una pura opera difensiva.
Aquileia - Scavi al porto
Analizzando il periodo che va dal IV al VI secolo d. C., si può osservare che Aquileia era il porto principale dell'alto Adriatico all'inizio, mentre sembra essere del tutto scomparso alla fine di quest'epoca.
Sono molte le testimonianze letterarie riguardanti il IV secolo e tutte tendono a sottolineare la grande vitalità di Aquileia, soprattutto per il suo ruolo commerciale: punto di partenza dei grandi itinerari marittimi e centro di esportazione di molti prodotti. Erano molto importanti e frequenti i rapporti con l'oriente, anche perché nella città vi erano comunità orientali molto dinamiche che erano ancora presenti nel V secolo.
Tuttavia già verso la fine del IV secolo il ruolo di Aquileia sembra essere cambiato: alcune grandi importazioni, come quelle di grano, scompaiono dalla città in favore di altri centri; continua invece il commercio di beni di lusso. Altri elementi che testimoniano l'evoluzione funzionale del porto di Aquileia sono episodi militari che caratterizzano la storia della città: infatti questa struttura assume uno scopo difensivo a scapito delle attività portuali poiché viene riempita progressivamente con le mura.
A partire dal VI secolo Aquileia e il suo porto cominciano a non essere più citati nelle opere letterarie, perché Grado, Venezia e Ravenna assunsero probabilmente sempre più importanza come scali marittimi.
A sud della città antica, nel tratto in cui il fiume Natissa scorre da est verso ovest, è stato ritrovato un complesso che è stato riconosciuto come il mercato pubblico; studiando il materiale usato e la sua struttura, si pensa che sia stato attivo per moltissimo tempo, dall’inizio dell’età imperiale fino a quella tardo-antica.
Ecco com'era l'antica Aquileia
FORO
Bibliografia:
Aquileia e il suo territorio agli albori del II Secolo a.C. Maselli Scotti
Studio Archeo Antico - Carre- Maselli - Scotti
Aquileia sulle tracce dell'Impero
Aquileia Porto fluviale.webarchive
Aquileia Romano Impero
Dalla via Annia verso le altre direzioni
Strutture portuali- "Antichità Altoadriatiche" Maselli Scotti, P.Ventura
Carlo GATTI
Rapallo, 18 Febbraio 2020
OSKAR IL GATTO INAFFONDABILE
OSCAR
IL GATTO INAFFONDABILE
(The Unsinkable!)
PREMESSA: I naviganti ed i terrestri in generale hanno poche cose in comune. Ogni nave é un’isola che naviga in un mare che divide gli Stati e le civiltà per categorie, razze, religioni ecc…
In terra si parla molto e si fa tanta politica che divide ancora di più i terrestri. In mare l’ambiente é asettico perché il buon senso, quello ANTICO come il mondo, suggerisce una forma di convivenza più saggia: “risparmiare tutte le energie per i giorni tempestosi, perché l’unico obiettivo é quello di arrivare in porto.”
Di problemi in mare ce ne sono anche troppi: navi vecchie e stanche,
logorate da avarie e toppe su cui vigilare… Tutti evitano di creare ulteriori problemi, ogni tentativo in quel senso sarebbe una stupidità inutile. In terra, come tutti sappiamo, esistono tanti problemi, ma i più comuni sono quelli che le persone si creano nei vari tentativi, spesso falliti, di migliorare la propria esistenza.
Tuttavia, tra questi due mondi che si frequentano poco, c’é un punto di contatto: l’amore per gli animali!
I cani e i gatti la fanno da padroni… e molto spesso imbarcano e sbarcano ognuno con il proprio marinaio, dopo imbarchi lunghi ed impegnativi.
I marittimi di una certa età ricordano certi incontri ravvicinati in oceano con vecchie carrette tirate su dal fondo, dopo giorni e giorni di cielo e mare.
Per vedere l’altro da vicino, si accostava un po’ di gradi per sbracciarsi a salutare, sentire abbaiare un cane, cantare il gallo se era l’alba e, a volte, quando si era sottovento ad una nave ligure, si poteva annusare l’aroma del basilico coltivato nei vasi a bordo che arrivava con l’odore di casa, pieno di nostalgia. Quando poi si era al traverso ci si scambiava il rito del fischio: un brivido che ti rimaneva a lungo sulla pelle. Si prendeva il binocolo e spesso si vedeva il Comandante con un gatto tra le braccia, oppure un cagnolone che gli scodinzolava tra le gambe in segno di festa.
Spesso dalla coperta partiva un urlo:
“A peggio di noi !!!”
Come se qualcuno trovasse in quell’ululato gettato al vento un motivo di consolazione…
Certe emozioni si provano solo in mare, tra marittimi che neppure si conoscono ma che si sentono fratelli nella solitudine, nella vita, nel destino di quasi tutti i rivieraschi del mondo.
Questa premessa ci dà lo spunto per addentrarci in un nuovo capitolo
da aggiungere nella “Saggistica Navale” del nostro sito nel quale, chi scrive dedicò insieme all’amico Bruno Malatesta, un articolo intitolato: “CANI MARINAI” da amare.
Di GATTI NAVIGANTI che raggiunsero una certa fama ne ricordiamo due: CHIPPY, gatto soriano, che accompagnò Ernest Shackleton nella spedizione-Endurance (1914-1917) in Antartide. Fu soppresso quando l'Endurance, ormai intrappolata dalla banchisa, non era più in grado di navigare e l'equipaggio fu costretto a proseguire a piedi;
SIMON, gatto arruolato come tradizione antica, mantenuta dagli Inglesi, quale portafortuna e scacciatopi sulla Royal Navy. Fu apprezzato ancor più per vere imprese eroiche e per ferite di guerra nel 1947-1949, meritandosi ambite decorazioni.
Ai gatti vengono riconosciuti dei super poteri, come la capacità di prevedere il meteo e tante altre situazioni più o meno pericolose che vanno ad intrecciarsi con superstizioni e stregonerie che si perdono nella notte dei tempi.
LA STORIA DEL GATTO OSCAR
OSCAR é il meno celebre tra i personaggi a quattro zampe, almeno sulla terraferma, perché la sua fama non nacque dalla fantasia di uno scrittore, ma dalle atrocità di una guerra sui mari che durò dal 1939 al 1945.
Oscar, gatto a macchie bianche e nere, fu mascotte “militarizzato” e roditore ufficiale sulla Bismarck della Kriegsmarine nel 1941, e su alcune unità della Royal Navy come vedremo in seguito.
IL LIBRETTO DI NAVIGAZIONE DI OSCAR
Il gatto-marinaio apparteneva ad un ignoto marinaio in servizio sulla nave da battaglia BISMARCK durante il suo primo e unico viaggio nel maggio del 1941.
La BISMARCK fu affondata in mare aperto dopo una lunga caccia e un intenso cannoneggiamento a opera della marina britannica. Il 27 maggio sopravvissero all'affondamento solo 115 marinai su oltre 2.200 imbarcati.
Il gatto fu trovato ore dopo l'affondamento, era sopravvissuto artigliando un carabottino di bordo. Venne recuperato dall'equipaggio del cacciatorpediniere HMS COSSACK che lo adottò. Il gatto fu ribattezzato Oscar dall'equipaggio britannico.
Oscar rimase a bordo del COSSACK per alcuni mesi, durante i quali la nave fu impiegata come unità di scorta nel Mediterraneo e nel Nord Atlantico. Il 24 ottobre 1941 il COSSACK partì da Gibilterra per scortare un convoglio verso il Regno Unito e fu silurato dal sommergibile tedesco U-563.
Colpito da un siluro, subì danni gravi che ne compromisero la stabilità: la prua era stata danneggiata per circa un terzo della lunghezza della nave, causando 159 vittime su 190 d’equipaggio.
Il cacciatorpediniere HMS LEGION tentò di rimorchiare la nave danneggiata tuttavia, un peggioramento delle condizioni meteo fece fallire il tentativo. Dopodiché l'equipaggio, compreso il gatto Oscar, fu tratto in salvo dal LEGION mentre il COSSACK affondava il 27 ottobre al largo di Gibilterra.
Qualche mese dopo, dalla portaerei UK HMS ARK ROYAL partì la richiesta per avere un gatto, come arma anti-topi. Così Oscar, nel frattempo soprannominato Unsinkable Sam, (l’inaffondabile) prese servizio sulla portaerei.
Durante un viaggio di ritorno dal Mediterraneo centrale, dove aveva lanciato degli aerei di rinforzo verso Malta, il 14 novembre 1941 la HMS ARK ROYAL venne silurata dal sottomarino U-81. Ogni tentativo di traino del relitto fallì per via delle enormi falle da cui entrò il mare vivo. La nave si capovolse a trenta miglia dalla costa di Gibilterra.
L'affondamento fu abbastanza lento tanto da permettere il salvataggio di tutto l'equipaggio, con l'eccezione di un solo uomo.
Unsinkable Sam fu recuperato dall'acqua, aggrappato ad un reperto galleggiante proveniente da una lancia distrutta.
In seguito fu assegnato all’ HMS LIGHTNING che, a sua volta, venne affondato in combattimento nel 1943 senza che Oskar subisse alcun danno fisico e morale....
Il suo ultimo imbarco ebbe luogo sull’ HMS LEGION (che lo aveva già raccolto dopo il siluramento del HMS COSSACK), ma la nave fece naufragio nel 1944. Oscar, arrabbiato ma in perfetta salute, si salvò ancora una volta. Scampato cinque volte alla morte, il fortunato felino venne soprannominato “The Unsinkable Sam” (l’inaffondabile) e divenne popolarissimo tra i marinai inglesi.
IL PENSIONAMENTO DI OSCAR
Dopo l’ultimo naufragio, Oscar fu trasferito presso gli uffici del Governatore di Gibilterra e poi rimpatriato nel Regno Unito per essere affidato ad un marinaio di Belfast.
Prudentemente, (forse per salvargli la nomina di portasfiga…) l’Ammiragliato decise di tenerlo ben lontano dal mare e dopo un congedo onorevole, lo affidò - come riporta Detlef Bluhm nel libro ”Gatti di lungo corso” - in un istituto per marinai: House for Sailors di Belfast. Qui morì di morte naturale nel 1955.
Oscar è protagonista di un ritratto dal titolo: Oscar, il gatto della Bismarck eseguito dall'artista Georgina Shaw-Baker, di proprietà del National Maritime Museum di Greenwich.
Il ritratto di Georgina Shaw Baker è pregevole ma, a parere di qualcuno, non coglie in pieno il carattere coriaceo di Oscar e l’essere, dopo tanti naufragi, INCAZZATO NERO…
APPENDICE
LE NAVI DI OSCAR
LA BISMARCK
La BISMARCK fu una nave da battaglia tedesca della Seconda guerra mondiale, così battezzata in onore del cancelliere del XIX secolo Otto von Bismarck (1815-1898). È famosa per l'affondamento dell’incrociatore da battaglia HOOD e per la caccia successiva che le venne data che portò alla sua distruzione. Eponima della classe Bismarck, l'unica altra unità della stessa classe fu la TIRPITZ.
La nave da battaglia tedesca BISMARCK in navigazione
Cacciatorpediniere UK - HMS COSSACK
Cacciatorpediniere UK - HMS LEGION
Cacciatorpediniere UK - HMS LIGHTNING
La portaerei inglese HMS ARK ROYAL poco prima dell’affondamento
Carlo GATTI
Rapallo, 28 Marzo 2018