FOTO STORICHE - RELITTI DELLA CORNOVAGLIA
FOTO STORICHE DI RELITTI DELLA CORNOVAGLIA
CORNOVAGLIA
Castelli sul mare della Cornovaglia
Vele nella tempesta
AMERICA'S CUP
La Cornovaglia, situata nella punta estrema a Sud-Ovest della Gran Bretagna è uno dei luoghi sede di miti e leggende, di popolazioni guerriere e legate al mare. Se moltissimi sono i castelli e le fortificazioni delle grandi famiglie nobili spesso legate al casato reale inglese, non vanno dimenticate le splendide spiagge, più di 300 chilometri di costa, molto frastagliate, ricche di insenature, calette e spazi ove il tempo, il mare e il vento hanno lavorato le rocce ricreando luoghi con un’aura magica ed enigmatica.
La Cornovaglia é una terra ai confini del mondo, tutta da scoprire! Camminando lungo i sentieri del South West Coast Path, tra cielo e mare, tra straordinarie formazioni geologiche e storie di marinai, corsari, relitti e minatori, si ammirano le scogliere di Land’s End e della penisola di Lizard, rispettivamente il punto più occidentale e meridionale dell’isola inglese e i piccoli borghi di pescatori come St. Ives e Penzance. C’é di più: nel tratto dell’antico sentiero percorso dai pellegrini per andare sul percorso Micaelico e visitare la suggestiva isola di St. Michael, sorella minore di quella in Normandia.
ALBUM FOTOGRAFICO DI RELITTI
JEUNE HORTENSIE - 1888
British Ship MALTA wrecking 1889
ANDOLA wrecking
BUSBY cargo ship
JEANNETTE 1878
The UMBRE SHIP wreking 1899
PANDORA
The SOCOA at Cadgwith - 1906
The HANSY ship wrecking - 1911
The CROMDALE wrecking - Lizard Peninsula - 1913
German U-BOAT blown ashore
The ANDROMEDA 1915
LIBERTY - wrecking
The VERT PRAIRAL capsizing - 1956 -
THe ALACRITY - Cornwall - 1963
PINO SORIO
A cura di Carlo Gatti
GENOVA LA BANDIERA PER IL NUOVO PONTE - LA CHIESA DI SAN GIORGIO
GENOVA
LA BANDIERA PER IL NUOVO PONTE "ITALIA" (?)
LA CHIESA DI SAN GIORGIO
Con il posizionamento dell’ultimo impalcato, la struttura del nuovo ponte per Genova è conclusa. Una grande emozione e un grande traguardo non solo per la Liguria ma per l’Italia intera, un modello, quello del cantiere del ponte, per un Paese intero e guardato da tutto il mondo con grande ammirazione.
Partiamo da questo felice EVENTO facendo riferimento alla bandiera di San Giorgio, simbolo di Genova che collega la storia antica a quella moderna nel segno della lotta perenne contro il male e gli infausti accadimenti.
Qualche settimana fa, proprio per ricordare e commemorare le gesta di questo Santo importante e popolare per la nostra regione, ci siamo soffermati sul panoramico Santuario che svetta a Portofino su quel promontorio dove il mare si sposa con le nostre verdi colline.
La Chiesa di San Giorgio a Genova é ubicata nella omonima piazza al centro della mappa (goccia blu)
Oggi, andiamo alla scoperta di San Giorgio in una chiesa nascosta nei caruggi appena dietro il Porto Vecchio. Un tempio dalla storia antica, travagliata, appoggiato tra le case civili che lo sostengono per non farlo cadere nell’oblio. Eppure esso rappresenta uno di quei frammenti che la Grande Storia lascia cadere durante il suo tortuoso cammino, ma che poi vengono provvidenzialmente raccolti e conservati dalle nostre chiese, veri “musei della fede” che noi dimentichiamo, nascondiamo e qualche volta demoliamo perché impediscono l’espansione della città.
La piccola suggestiva piazza San Giorgio fu nel secolo XI il primo mercato della città e da allora funge da sagrato a due chiese rotonde e attigue: San Giorgio e San Torpete, un santo venerato dai pisani. Genova e Pisa si facevano la guerra ma sapevano anche intrattenere proficui rapporti commerciali e intorno a questa chiesa aveva residenza la comunità pisana.
La chiesa di San Giorgio fu fondata prima dell’anno mille, ma fu ricostruita nelle forme attuali dai Teatini (il fondatore fu San Gaetano di Thiene) tra il 1695 e il 1700 con pianta centrale e cupola rotonda, mentre la facciata risale al 1859. La torre medievale degli Alberici, sopra al palazzo a sinistra della chiesa, venne curiosamente adattata a campanile.
San Torpete, costruita intorno al 1100, divenne chiesa gentilizia della famiglia Cattaneo e fu ricostruita nel 1730. L’interno è impreziosito con decorazioni a stucchi e nella controfacciata si può ammirare l’opera di Carbone “San Torpete illeso tra le fiere”.
La Chiesa di San Giorgio non è l’unica basilica di Genova con antichissime origini e il santo guerriero non è il patrono della città; ma il culto di San Giorgio e l’importanza data alla chiesa che porta il suo nome sono eccezionalmente significativi, soprattutto a partire dalle Crociate, quando l’immagine del santo che trafigge il drago sotto la bandiera con la croce rossa su fondo bianco fu portata in tutto il Mediterraneo.
La chiesa ha una pianta ottagonale: lo sguardo di chi entra é catturato dallo spazio che si allarga, e si spinge verso la cupola, illuminata da grandi finestroni.
Tra le ricche decorazioni, si segnalano gli affreschi e le tele di importanti pittori genovesi e non, come San Gaetano di Thiene che riceve dalla Vergine il Bambino di Domenico Piola, Martirio di San Giorgio di Luca Cambiaso, seconda metà del ‘500 appartenenti alla chiesa precedente), la Pietà di A. Sanchez Cohelo (Sec.XVI), il Cristo paziente e Santa Caterina Fieschi di Domenico Guidobono e poi sono presenti altri due artisti: Santo Panario e Giuseppe Isola
Lo stile neoclassico di metà ‘800 degli esterni si amalgama con il tessuto del centro storico genovese: l’ampia facciata ricurva con le decorazioni in stucco bianco su fondo verde pastello crea un bel contrasto con la scura e stretta prospettiva dei caruggi.
Attraverso i secoli, anche dopo la caduta dell’impero romano, si conserva la funzione del foro come centro della vita della città: nell’Alto Medioevo qui si convocava il popolo e si teneva un fiorente mercato.
Le prime fonti certe sulla chiesa partono dall’anno 964, e si ritiene che nei primi secoli del nuovo millennio l’originaria basilica o cappella fosse divenuta collegiata. (Il titolo di collegiata veniva dato dalla Santa sede poiché vi era un collegio di canonici e l'Arciprete insieme ai beneficiati. Oggi nelle parrocchie non vi sono più né canonici né beneficiati, a mala pena un sacerdote; queste chiese hanno perso questo titolo, a mala pena ce ne sono ancora in cattedrale.)
Nel secolo XI la piazza omonima era un fiorente mercato (il più antico fra quelli cittadini situati immediatamente a ridosso dell'area portuale), posta in posizione strategica lungo l'asse - l'odierna via Giustiniani - che collegava il porto con Porta Soprana.
Nulla rimane, però, dell'edificio primitivo: infatti il tempio venne rifondato alla fine del XVII secolo dai padri Teatini, che l'avevano acquisito nel 1629. La costruzione, a pianta ottagonale, si presenta con cupola rotonda e facciata curvilinea, rifatta a metà dell'Ottocento e decorata in stile neoclassico; il campanile risulta impostato su di una casa vicina, poiché si tratta del riadattamento della torre medievale degli Alberici.
Perché vi ho parlato di questa chiesa? Essenzialmente per alcuni suoi primati storici che oggi vanno ricordati:
La BANDIERA E LA RINNOVATA VIABILITA’
1) - Si suppone che il luogo sacro fosse intitolato al santo della Cappadocia fin dalla sua fondazione, avvenuta quando il culto di San Giorgio giunse a Genova con la milizia bizantina di cui era protettore. Il legame tra esercito e santo guerriero rimarrà per secoli, visto che la chiesa di San Giorgio, Santuario della Patria, conservava il vessillo della Repubblica, che era consegnato al capitano generale dell’armata navale genovese quando salpava a protezione verso una missione. La chiesa bizantina era sorta sull’area dell’antico foro romano: un raro slargo pianeggiante allo snodo tra il riparo naturale del porto antico e il nucleo abitativo originario – al tempo castrum - sulla collina di Sarzano.
2) - Per avere un’idea della rilevanza di questo sito, si pensi che la piazza fungeva da punto di origine per la misurazione delle distanze in miglia romane sulle vie Aurelia e Postumia che qui si incrociavano. Questa pratica diede origine a una serie di toponimi riferiti alle pietre miliari come Quarto, Quinto, Sestri (IV, V e VI milium ab urbe Janua), Pontedecimo (Pons ad X milium). Il fatto che tali toponimi siano giunti fino a noi, suggerisce il ruolo svolto da questo incrocio di assi viari nella millenaria genesi del territorio.
3) - Inoltre aggiungerei l’importanza della Chiesa di San Giorgio per la sua vicinanza alle calate interne del Porto Antico: un luogo di culto che nei secoli ha rappresentato per la gente di mare e per i pellegrini, il luogo d’incontro di civiltà, di religioni e di pacifica convivenza.
La chiesa è attualmente affidata in gestione temporanea alla comunità ortodossa genovese; in particolare vi vengono officiate le funzioni della Chiesa della Santissima Trasfigurazione del Signore dipendente dal Patriarcato di Mosca. Essa é promotrice e coordinatrice di alcune missioni ortodosse in Liguria (La Spezia, Varazze e Chiavari in cerca di sede stabile). Pertanto oggi, grazie alla Chiesa Ortodossa Russa, la chiesa di San Giorgio e la piazza omonima, “rivivono” e cantano la loro “antica storia” per la gioia dei fedeli, dei turisti e degli amanti di questa splendida città. Padre Marian (Mario) Selvini, originario di Uscio, é il chierico parrocchiale che ho avuto il piacere di conoscere. L'altro presbitero parrocchiale é P. Ioann Malish, ucraino.
“Genova è un’antica città italiana situata sulle rive del Mar Ligure. La città è conosciuta come il più grande porto d’Italia e del Mediterraneo. I genovesi, come gli altri italiani, sono in gran parte cattolici romani. A Genova ci sono chiese ortodosse di tre giurisdizioni: del Patriarcato Ecumenico, di quello di Romania e di quello di Mosca. La più grande chiesa (come quasi ovunque in Italia) è quella romena. Alla chiesa del Patriarcato Ecumenico vanno per lo più i greci locali (la chiesa greca di Genova è stata la prima a essere fondata). La chiesa più diversificata etnicamente e, a quanto pare, più missionaria è quella del Patriarcato di Mosca”.
Si noti il campanile, inglobato in una casa vicina, riadattamento della torre medievale degli Alberici.
La cupola
Il volto di un angelo in bassorilievo
Le icone bizantine venerate dagli ortodossi
L’altare Maggiore parzialmente protetto dall’Iconostasi
La Grande Pasqua Russa - Le uova rosse…
MARIAM SELVINI a destra é con l'altro presbitero P.IOANN MALISH (ucraino)
LA PASQUA ORTODOSSA
La data della Pasqua ortodossa non coincide con quella della Pasqua cattolica, dato che la chiesa ortodossa segue il calendario giuliano e non quello gregoriano, anche se a volte le due festività cadono nello stesso giorno. La Pasqua ortodossa viene celebrata la prima domenica dopo la prima luna dall’equinozio di primavera.
Una settimana prima della Pasqua gli ortodossi, come tutti i cristiani, festeggiano l'ingresso di Gesù a Gerusalemme o la Domenica delle Palme. In Russia l'entrata del Signore a Gerusalemme non si chiama Domenica delle Palme, ma dei salici: nella fredda Russia le palme non crescono, però secondo la credenza popolare proprio in questo periodo ogni anno spuntano le gemme dei salici. Ecco perche questo giorno si chiama in Russia la "Domenica dei Salici". Gli ortodossi hanno l'usanza di conservare nel corso dell'anno i rametti dei salici benedetti e usarli per abbellire le icone e per proteggere le case dalle malattie.
Alla Domenica dei salici segue la settimana santa di Passione, la più rigida per quanto riguarda il digiuno. Da lunedì a sabato compreso, chi osserva il digiuno rinuncia non soltanto alla carne, al latte e al pesce, ma anche all'olio vegetale. Mercoledì e venerdì, quando si commemorano il tradimento di Giuda e la crocifissione di Cristo è preferibile non mangiare nulla. Il lunedì santo, e soltanto una volta all'anno, il Patriarca russo celebra la cerimonia della benedizione del crisma. Il crisma è una miscela particolare di oli profumati, resine e altre sostanze. Viene distribuito a ciascuna parrocchia per compiere il rito del battesimo e della cresima e dell'unzione degli infermi. Per questo esiste anche il detto: "Siamo tutti unti dallo stesso olio", abbiamo cioè tutti qualcosa in comune. Il luogo in cui avviene questa ceremonia è il monastero Donskoj di Mosca.
La preparazione liturgica alla Pasqua inizia il mercoledì, quando ha luogo la prima celebrazione importante, dedicata alla Passione del Signore. Anticipa la celebrazione mattutina del giovedì durante la quale gli ortodossi ricordano l'Ultima cena e accorrono in chiesa a comunicarsi in ricordo della prima Eucarestia. Durante il Giovedì Santo i credenti si preparano alla Pasqua in cucina: cuociono e dipingono le uova, preparano in una particolare forma di legno la Paskha di tvorog e mettono in forno i kulich. Gli ortodossi hanno appena il tempo di sistemare la casa per poi andare di sera di nuovo a messa dove vengono letti i dodici passi del Vangelo che descrivono la passione di Cristo. Tutto il giorno seguente, il Venerdì Santo, è dedicato esclusivamente alle liturgie: la mattina, al posto della messa tradizionale, si leggono le Ore. Quindi alle 14 inizia la "compieta santa", nella quale si ricorda la morte di Gesù e la sua Deposizione. Al centro della chiesa si espone un lenzuolo con la raffigurazione del Cristo morto. La "piccola compieta", che inizia alle 17, ha termine con la "sepoltura" del sudario che viene portato all'altare.
Il sabato è il giorno in cui si dovrebbe commemorare la presenza di Cristo nel sepolcro, ma in realtà nelle case russe e nelle strade regna un'atmosfera vivace: i padroni di casa si affrettano a imbandire una ricca tavola, i bambini e gli anziani corrono in chiesa a benedire i kulich, le Pashka e le uova preparate il giovedì prima. Il sabato a mezzanotte i fedeli si riuniscono, accendono ognuno il proprio cero e seguono la croce che viene portata in processione. Le campane suonano a festa e tutti si abbracciano tre volte; poi inizia laliturgia pasquale che dura fino all’alba. La mattina del giorno di Pasqua le famiglie si recano sulla tomba di un parente, dove viene consumato il pranzo. Durante i quaranta giorni successivi alla Pasqua, è di rito salutare chi si incontra con "Cristo è risorto"(Khristos voskres) ed è consuetudine ricevere in risposta "Veramente è risorto" (Voistinu voskres).
Durante il pranzo di Pasqua, famiglia e amici si riuniscono intorno a un grande tavolo, coperto con piatti di pesce e carni fredde. Al centro della tavola viene posta la cesta delle uova colorate. Il pranzo inizia con la tradizionale battaglia delle uova: ognuno sceglie un uovo e lo tiene in modo che si veda solo un estremo, che il vicino cercherà di colpire. E’ un’occasione di festa, sia per i credenti che non, i brindisi sono molti e sicuramente si riuscirà a gustare un pranzo delizioso. Per la chiesa ortodossa la Pasqua è la festa più importante, che si trascorre in famiglia e con gli amici, mentre durante l'intera settimana santa si hanno celebrazioni speciali. Alcune tradizioni legate alla Pasqua, al pari di molte altre tradizioni russe, abbinano credenze cristiane e pagane. Una di queste risale ai primi cristiani e vuole che il giorno di Pasqua si indossino soltanto vestiti nuovi (simbolo di vita nuova). Un’altra tradizione consiste nell’alzarsi all’alba per prevedere come sarà il tempo nell’estate seguente. Gli altri giorni del periodo pasquale sono tutti abbinati a un significato particolare: al mercoledì non si lavora, altrimenti il raccolto sarà rovinato dalla grandine; il giovedì è il giorno dedicato al culto dei defunti; e il venerdì è il giorno nel quale chiedere e ottenere il perdono dai propri cari e dai propri amici. Il Sabato Santo, i fedeli portano in chiesa i piatti tradizionali, preparati in casa, per farli benedire: le uova colorate, la paska, torta di ricotta con frutta candita, mandorle e uva passa, e il kulič, dolce cilindrico simile al panettone. Al centro vengono infilati dei ceri accesi con il sacerdote che si appresta a spargerli di acqua benedetta.
Non c’è Pasqua senza uova… Una fase obbligatoria delle preparazioni è la consuetudine a dipingere uova, meglio se con la tinta naturale. Questa tradizione è collegata al fatto che la Pasqua coincide con l’inizio della primavera, anticamente era celebrata con riti per la fecondità ed il rinnovamento della natura. Dipingere uova insieme ai bambini significa trasmettere loro i nostri valori, raccontare il senso di una grande festa. L’uovo di cioccolato della Pasqua occidentale è praticamente sconosciuto in Russia. Sono invece molto popolari e diffuse le uova di Pasqua fatte a mano, solitamente dipinte semplicemente di rosso per rappresentare il sangue di Cristo, ma in giro si trovano anche uova molto più elaborate.
NATALE ORTODOSSO
Gli ortodossi utilizzano il calendario giuliano e non quello gregoriano. Di conseguenza, ricorrendo al calendario istituito da Giulio Cesare e non quello da Papa Gregorio XIII, la data è posticipata. Le due Chiese, però, oltre ad avere la differenza del calendario, hanno altri piccoli particolari che si distinguono tra loro. Ecco quali sono le differenze! Differenze tra Natale Ortodosso e Natale Cattolico Tutti i Cristiani festeggiano il Natale, anche se le Chiese Cristiane lo celebrano in modo differente. Il Natale Ortodosso e quello Cattolico, oltre ad avere due date completamente diverse, hanno altre piccole differenze tra loro. Ad esempio, il Presepe non è un simbolo che appartiene alla Chiesa Ortodossa rispetto ai Cattolici che lo utilizzano come simbolo principale religioso della festa.
Oltre al Presepe, anche l’albero di Natale non viene inserito in tutte le confessioni religiose ortodosse, ma solo in alcune. I cristiani, invece, se ne prendono molto cura andando nei minimi particolari per farlo sempre nel modo giusto. Il simbolo del Natale Ortodosso, invece di essere il Presepe o altre icone particolari che i cattolici utilizzano, è una candela. La Vigilia di Natale cristiana prevede festeggiamenti dalla sera tardi fino alla mezzanotte del 25 dicembre per poter celebrare in compagnia di parenti e amici la nascita di Gesù. Grandi cene, divertimento e giochi da tavola sono i protagonisti della Vigilia, l’opposto di ciò che fanno gli ortodossi. Quest’ultimi, infatti, non festeggiano assolutamente allo stesso modo. Inoltre, l’Avvento, il periodo religioso che anticipa il Natale, è sostanzialmente diverso ed è caratterizzata da un sacrificio che chi è religioso deve effettuare, ovvero il digiuno. Infatti questo periodo si può anche chiamare digiuno della natività o quaresima invernale o di Natale. Inizia, per chi adotta il calendario giuliano, il 28 novembre; invece per altri il 15 dello stesso mese. Una festa ortodossa, quindi, che è molto diversa da quella cattolica a cui siamo abituati.
Il P. Giovanni La Michela, originario di Genova, é il parroco della comunità
COMMENTI ED OPINIONI DEI VISITATORI
La chiesa dal particolare colore verde mare ha una storia molto travagliata con una ricostruzione nel medioevo e una successiva dopo la seconda guerra mondiale fino ad arrivare ai giorni nostri quando la chiesa si trasforma in un luogo di culto ortodosso. Ancora oggi all'interno tutte le decorazioni sono perfettamente conservate ma si affiancano a quelle del culto ortodosso. Spettacolare la Cappella di S. Caterina attribuita al Guidobono e quella dedicata a S. Gaetano di Thiene con il dipinto di Domenico Piola. La chiesa è aperta raramente vicino al portale gli orari delle celebrazioni se si arriva un po' prima è possibile visitare la chiesa.
Sempre mi ha stupito il cavalcavia che collega la chiesa alle case, sovrastando via dei Giustiniani, ma mai avevo notato il campanile che spunta sopra i tetti delle case, inglobato in un edificio, trasformazione della torre medievale degli Alberigi.
Dalla piazza parte la misurazione delle distanze sulle vie Aurelia e Postumia.
La Chiesa è spesso chiusa, ma ricordo di esservi entrata durante una celebrazione ortodossa molto partecipata ed affascinante.
Per non dire delle tele di Luca Cambiaso!
Quanta storia è passata di qua
Si tratta di una piccola chiesa situata nella piazza omonima, nel Centro Storico di Genova, accanto alla chiesa di San Torpete.
Già la posizione è storica, infatti piazza San Giorgio corrisponderebbe al foro della città romana. La chiesa di San Giorgio risalirebbe a prima dell'Anno Mille e in questa chiesa era custodito lo stendardo di guerra della Repubblica di Genova, che aveva San Giorgio come patrono. Attorno al Cinquecento fu ricostruita perché pericolante. Da allora ha subito numerose ricostruzioni, tanto che la facciata è di metà Ottocento.
Anche i bombardamenti della seconda guerra mondiale l'hanno gravemente danneggiata. Singolare che la statua della Madonna sia rimasta intatta in mezzo alle macerie!
Ora c'è ancora un cantiere. La facciata è singolare, curvilinea e di color verde pallido.
C'è anche una bella cupola.
Ringrazio Il prof. Giorgio Karalis, Teologo ortodosso ed autore di molti autorevoli libri, per avermi introdotto nell’affascinante Mondo dell’Ortodossia.
CARLO GATTI
Rapallo, 29 Aprile 2020
AQUILEIA ROMANA -1a Parte
AQUILEIA ROMANA – STORIA – FORO ROMANO – BASILICA – MOSAICI - MUSEO
Aquileia può essere considerata uno dei più importanti siti archeologici dell’Italia Settentrionale, dal 1998 patrimonio mondiale UNESCO.
Importante città militare di frontiera fin dall’epoca repubblicana, divenne una delle capitali dell’Impero romano sotto Massimiano. Nel 148 a.C. da Aquileia ebbe inizio la costruzione della via Postumia che congiungeva l'Adriatico con il Tirreno presso Genova. La strada era una via consolare romana fatta costruire dal console romano Postumio Albino nei territori della Gallia Cisalpina, l'odierna Pianura Padana, per scopi prevalentemente militari.
Nel 452 d.C. fu infine distrutta dalle orde degli Unni di Attila, non tornando mai più agli antichi splendori.
IMPERIUM
Aquileia romana, situata nell’attuale Friuli-Venezia Giulia, è stata per molti anni centro nevralgico dell'Impero Romano nel mediterraneo, centro politico-amministrativo e capitale della X Regione augustea, Venetia et Histria. Aquileia fu fondata nel 181 a.C. nei pressi del fiume Natisa, come colonia da parte dei triumviri romani Lucio Acidino, Publio Scipione e Gaio Flaminio che erano incaricati di sbarrare la strada ai barbari confinati, (Carni e Istri) che minacciavano i confini orientali d’Italia. Al seguito dei triumviri si spostarono circa 3.500 fanti come coloni con le loro famiglie.
Provenivano dal Sannio e con le loro famiglie raggiungevano circa 20.000 persone.
CAPITOLIUM
UN PO’ DI STORIA
Nell’89 a. C. la colonia di Aquileia divenne municipio, si espanse notevolmente e si chiuse entro massicce cinte murarie diventando sempre più ricca e sicura.
Per la verità, la sua rilevanza politica va attribuita alla costruzione del porto fluviale, con il quale la città acquistò importanza come emporio commerciale diventando “oggetto del desiderio” da parte dei popoli barbari che si ammassavano alle frontiere (limes) per entrarne in possesso.
Lo stesso imperatore Augusto si recava spesso ad Aquileia con la moglie Livia che amava bere il vino Pucino che aveva la fama di garante di longevità. Secondo Plinio, l’imperatrice ne beveva tutti i giorni e proprio per questo motivo sarebbe vissuta fino ad 87 anni (età straordinaria per l’epoca).
Aquileia conobbe anche anni difficili. Il periodo compreso tra il 165 ed il 189 d. C. fu contrassegnato da una violenta pestilenza che in tutto l’Impero portò alla morte 5 milioni di persone (cifra discordante e mai confermata). Con ogni probabilità la pestilenza venne portata dai legionari romani che per ragioni militari orbitavano intorno a quella regione.
Nella primavera del 168 d.C., nel pieno della pestilenza, Marco Aurelio e suo fratello Lucio Vero decisero di invadere Carnuntum (si trova a circa 40 km da nell’odierna Vienna). Aquileia divenne fondamentale nella vicenda, poiché era tappa intermedia della spedizione romana.
Durante l’inverno successivo, Marco Aurelio, ritiratosi temporaneamente dal fronte di battaglia, decise di ritirarsi ad Aquileia. Qualche settimana dopo fu però costretto ad abbandonare la zona insieme a suo fratello d’adozione Lucio Vero e alla sua scorta personale a causa dell’aumento dell’epidemia di peste. La morte per Vero giunse poco dopo la fine delle ostilità, agli inizi del 169, secondo alcune fonti a seguito di un ictus, a non molta distanza da Aquileia, nei pressi di Altino. Autori moderni sostengono invece che il decesso fu forse causato dalla stessa peste, mentre era impegnato in nuove manovre militari lungo il fronte settentrionale.
Aquileia, come si é visto, fu più volte soggetta a tentativi di conquista. Fu costretta infatti a difendersi dagli attacchi dei Marcomanni e dei Quadi, entrambi respinti con successo.
Aquileia fu anche teatro di una battaglia tra romani…
Massimino il Trace, sceso dalla Pannonia, tentò di assediarla, poiché infuriato per l’elezione del tredicenne Gordiano a imperatore. Nella primavera del 238 d. C., Massimino tentò di sostare ad Aquileia con il suo esercito per riposare e fare approvvigionamenti. La città, però, era fedele a Roma e alle disposizioni del suo Senato, quindi chiuse le porte, negando sostegno a Massimino. L’invasore cercò a quel punto di conquistare la città. Sebbene il numero degli invasori fosse superiore a quello degli aquileiesi, l’assedio risultò difficile e di lunga durata a causa della penuria dei viveri, che causò l’ostilità delle truppe. Protagonista della difesa di Aquileia fu il senatore Rutilio Pudente Crispino che, incaricato dal Senato, arringò la popolazione di Aquileia contro Massimino. La resistenza della città durò fino a quando le truppe di Massimino, stanche dal protrarsi della battaglia, non si ribellarono, uccidendo il loro comandante e suo figlio Massimo.
Con l’imperatore Massimiano, eletto nel 286 d. C. come Augusto d’Occidente, furono edificate imponenti strutture e la città fu dotata di una flotta.
Gli anni immediatamente successivi alle opere di Massimiano furono caratterizzati da una profonda crisi sociale ed economica, che prestò il fianco di Roma ai colpi dei popoli barbari invasori. Ciò nonostante, la città, ancora sede di edifici ed istituzioni importanti, nell’anno 395, che combaciò con la morte di Teodosio I, figurava ancora tra le città più importanti d’Italia e di tutto l’impero.
Aquileia subì un gravissimo colpo nel 452 d. C.. Le truppe di Attila penetrarono nella città in seguito al crollo accidentale di un muro della fortificazione difensiva, devastandola. Alcune fonti sostengono che massacrò buona parte della popolazione, altre sono concordi nell’affermare che ne fece schiava una larga parte. Da questo momento in poi Aquileia smise di essere roccaforte a protezione dell’Italia settentrionale, nella sua parte orientale, venendo così sostituita da Verona sull’Adige. Dopo l’assedio di Attila nel 452, Aquileia tornò a fiorire grazie all’appoggio di Carlo Magno, il quale permise il ritorno del Patriarca Massenzio e restituì la città ai primitivi fasti.
Lasciamo momentaneamente la storia per addentraci nella AQUILEIA sito UNESCO dal 1998 per l’importanza della sua area archeologica e la bellezza dei mosaici pavimentali che custodisce. I primi scavi risalgono a 1934; vennero in seguito ripresi nel 1979 e sono tuttora in corso.
Aquileia - Arte romana
IL FORO ROMANO - ANFITEATRO – LE GRANDI TERME
Anche Aquileia, come la totalità delle importanti città romane, disponeva di un FORO, la piazza principale della città che si trovava all’incrocio tra il decumano massimo e il cardo massimo.
La sua pavimentazione risale al I secolo a. C. (età repubblicana), mentre gli edifici e le decorazioni sono attribuibili all’epoca imperiale. La lunghezza del Foro è di 115 metri ed è largo 57 metri, ornato ai lati lunghi da due file di portico-colonnato. Sotto ai portici c’erano negozi e botteghe (tabernae) e, con ogni probabilità, su uno dei lati del Foro doveva trovarsi la Zecca imperiale (istituita con la tetrarchia di Diocleziano). A sud del Foro vi era la Basilica con gli uffici amministrativi e giuridici del senato cittadino. A nord, invece, c’erano la curia e il macellum (il mercato). Purtroppo del porticato sono rimasti quattro basamenti in mattoni. Sul lastricato si è riusciti a reperire la parte finale di un’iscrizione di cui restano gli incavi per le lettere bronzee.
Aquileia - Foro romano
Aquileia sfruttò moltissimo la pietra proveniente dall’Istria e con essa costruì quasi tutta la città imperiale, ad eccezione di alcuni monumenti, per i quali si avvalse invece del marmo. L’artigianato locale era specializzato nella lavorazione di pietre dure da ornamento, nella scultura figurata e ornamentale in marmo e in pietra, nell’arte del mosaico.
Oltre all’oreficeria, anche l’ambra che giungeva dalle lontane spiagge del mar Baltico veniva lavorata nelle officine locali. Sempre per quanto riguarda l’industria artigianale, vi erano anche fabbriche di vasi, lucerne ed anfore in terracotta.
Area dove alcuni studiosi ipotizzano sia sorto il Palazzo imperiale di Massimiano, a fianco dell'attuale basilica di Santa Maria Assunta.
C’è innanzitutto la Basilica forense, la cui costruzione fu opera di un Aratrius, (esponente della borghesia della città) di cui ci resta un’iscrizione. Una sua parente (forse la figlia) nota col nome di Aratria Galla lastricò a sue spese il primo decumano meridionale. A sud del Foro sorgeva la Basilica civile. Sede del tribunale, luogo di riunione degli organi di governo e punto d’incontro dei più importanti uomini d’affari, questa Basilica aveva due absidi sui lati brevi, ed il suo interno era diviso in tre navate che arrivavano anche sui lati corti. La pavimentazione era in marmo per quanto riguarda la zona centrale, mentre quella del deambulatorio in pietra d’Istria.
Particolarmente suggestive sono anche le domus romane. Negli anni ’70 gli scavi al nord del Foro hanno rivelato l’esistenza di tre livelli di abitazioni romane, con annessi mosaici. Per questi mosaici venivano usate diverse pietre colorate, formando così dei bellissimi mosaici policromi. L’alabastro, l’agata e l’onice sono solo alcune delle pietre utilizzate dai Romani per comporre le loro trame. In particolare erano apprezzati i toni turchini, gialli, rossi e verdi, ottenuti con le paste vitree opache e semitrasparenti. Il mosaico tipico di Aquileia era il vermiculatum, che era caratterizzato da piccole tessere che, disposte in maniera asimmetrica, seguivano il contorno delle immagini. Le tessere impiegate, di forma e colori diversi, potevano avere dimensioni che variano dai 4 mm fino ad un solo millimetro.
Aquileia possedeva anche un anfiteatro. Utilizzato per gli spettacoli venatori e dei gladiatori, l’anfiteatro misurava 148 x 112 metri. Le ricerche e i nuovi scavi del 2015 hanno rivelato l’esistenza di una platea (larga circa 4 metri), che aveva il compito di sorreggere la serie di pilastri all’esterno della facciata. L’anfiteatro di Aquileia, inoltre, possedeva una galleria esterna molto più grande di quanto si credeva in precedenza rispetto ai recenti studi. All’inizio dell’età tardoantica cominciò il processo di spoliazione dei marmi dell’anfiteatro, che proseguì purtroppo nel corso dei secoli successivi. L’anfiteatro, infatti, costituì una comoda cava di marmi per la costruzione di nuovi edifici.
Grazie alle indagini commissionate dalla Fondazione Aquileia all’Università di Padova è stato scoperto recentemente anche il teatro di Aquileia. È stato ritrovato un tratto di muro curvilineo, dal quale si dirama una serie di strutture radiali secondo il caratteristico impianto di molti edifici di spettacolo di età romana. Secondo gli studiosi non ci sono dubbi: è una porzione del teatro della città friulana. Questo ritrovamento ci conferma ancora una volta che Aquileia fosse una città ricca, amante dell’arte e dello spettacolo.
Le Grandi Terme furono scoperte all’inizio del ‘900 e solo una parte di esse è stata riportata alla luce. Ad oggi sono emersi il settore del calidarium (a parte delle terme romane destinata ai bagni in acqua calda e ai bagni di vapore), del frigidarium (dove potevano essere presi bagni in acqua fredda) e le palestre, decorate con magnifici mosaici, in parte conservati nel Museo Archeologico Nazionale. Le terme si estendevano per più di 20.000 metri quadrati ed erano ornate con colonne in marmi policromi, pavimenti in mosaico, capitelli figurati e trabeazioni in marmo con decorazioni floreali. Grazie un’incisione, si è potuto risalire al nome originale delle Grandi Terme: Terme Felici Costantiniane. Furono dedicate quindi all’imperatore Costantino, nel IV sec. d. C., ma probabilmente furono erette in precedenza, intorno alla seconda metà del II sec. d. C..
LA BASILICA PATRIARCALE
Santa Maria Assunta
Di particolare rilevanza artistica e culturale è la Basilica Patriarcale leggermente decentrata rispetto al nucleo principale di Aquileia: sorge a lato della via Sacra, affacciando su piazza del Capitolo, assieme al battistero e all’imponente campanile.
Il nucleo più antico è formato dalla Aule Paleocristiane, fondate nel IV sec d.C. dal vescovo Teodoro con l’appoggio dell'imperatore Costantino e testimonianza indelebile del ruolo decisivo svolto dalla città nella diffusione della religione cristiana del primo Medioevo.
Magnifici i mosaici pavimentali che si ammirano all'interno e all'esterno della basilica, dalla quale si può accedere alla Cripta degli affreschi, decorata con affreschi di gusto bizantino.
I danni causati dal terremoto del 988 costrinsero l’allora patriarca Poppone ad attuare, nel 1031, un radicale restauro in forme romaniche, con influenze carolinge-ottoniane, che culminò con la costruzione del grande Palazzo Patriarcale (oggi distrutto) e dell'imponente campanile alto oltre 70 metri che domina la campagna friulana.
Dopo un ulteriore restauro a seguito del terremoto del 1348, l'ultimo grande intervento nella Basilica venne effettuato nel Cinquecento, quando artigiani e carpentieri veneziani furono chiamati per realizzare l'imponente soffitto ligneo che ancora oggi si può osservare.
L’edificio è rettangolare, di circa 90 metri per 66, ed è costituito da due spazi allungati separati da un cortile centrale. Probabilmente la copertura del magazzino era sorretta da robusti pilastri, disposti in relazione con i rinforzi delle pareti esterne per conseguire un corretto sistema statico.
Questo edificio sottolinea anche le grandi capacità dei costruttori romani verso la fine del III secolo d. C. poiché, oltre alle caratteristiche già riportate, possedeva anche spessi muri perimetrali che raggiungevano i 2 metri e profonde fondamenta, almeno a 5 metri sottoterra.
I MOSAICI
Il buon pastore
Aquileia - Pavimento della basilica - 1a metà del IV secolo
Aquileia - Uno splendido mosaico
Interno della Basilica con vista del pavimento a mosaico
Storie di Giona
SEPOLCRETO ROMANO
Museo archeologico di Aquileia
Colonna Traiana ci racconta…
Colonna Traiana - Classiarii che salpano dal porto di Brindisi, secondo porto della costa italico-adriatica. n.59: secondo porto della costa italico-adriatica.
n.63: quarta tappa, forse Aquileia (?). La marcia continuerà fino al Danubio, percorrendo la vias Gemina fino a Singidunum.
Rilievo scultoreo di Mitra (culto di legionari romani), oggi conservato presso il Museo archeologico nazionale di Aquileia.
Statua di Augusto (che utilizzò Aquileia quale quartier generale per le campagne militari degli anni 13-9 a,C.) (Museo archeologico cittadino).
Busto bronzeo forse di Massimino il Trace, il quale trovò la morte presso la città di Aquileia (Museo archeologico cittadino).
Statua priva di testa appartenente ad ammiraglio romano (presso il Museo archeologico di Aquileia).
Carlo GATTI
Rapallo, giovedì 13 Febbraio 2020
L'ABC DELLE MANOVRE PARTE DALLE ELICHE
Cresce sempre il numero delle persone che ogni giorno pone domande tecniche sulla manovra delle navi.
L'argomento è molto vasto e, disquisendo, è facile uscire dai binari della pratica per ritrovarsi immersi in passaggi teorici più interessanti per gli ingegneri che per la gente di mare.
Questo articolo, dove i concetti presenti sono appena accennati, è aiutato nella sua comprensione da un esempio pratico.
Buona lettura.
P.S.:
Mi è stato detto che molti non sanno dell'esistenza di un sito che, oltre a proporre video interessanti, raccoglie gli articoli che inviamo. Quindi, se volete approfondire gli argomenti, potete visitare:
www.standbyengine.com
L’ABC DELLE MANOVRE PARTE DALLE ELICHE
di John GATTI
Tornando con il pensiero indietro negli anni, mi rendo conto che, trovandomi a dover sostenere esami di manovra, il primo argomento trattato ha sempre riguardato le eliche.
Niente di complicato, anche se, per trasferire la teoria dei libri ai pensieri e alle azioni, il passo non è proprio dei più corti…
Per far capire meglio cosa intendo, accennerò brevemente alle differenti caratteristiche tra le eliche a passo fisso e quelle a passo variabile, per poi – con un esempio – incastrare queste poche informazioni tra i ragionamenti sviluppati per portare una nave in banchina.
Cominciamo.
La particolare forma dell’elica, collegata a un albero motore, fa sì che la rotazione di quest’ultimo si trasformi in movimento della nave.
Abbiamo quindi l’elica che, spingendo una certa quantità d’acqua, genera un movimento che viene trasmesso alla nave.
Cerchiamo di capire meglio come funziona il processo.
Prima di tutto dobbiamo sapere che il passo dell’elica è la distanza teoricamente percorsa non considerando la cedevolezza del fluido, perciò corrisponde alla distanza che l’elica percorrerebbe se si muovesse all’interno di un corpo solido.
Solitamente, per rendere meglio l’idea, si suggerisce di immaginare il movimento di una vite che penetra in un pezzo di legno.
Siccome in realtà l’elica si muove in una sostanza cedevole, avremo che lo spostamento della nave, dopo un giro di elica, non sarà uguale al passo ma a una frazione di esso detta avanzo. La differenza tra passo e avanzo è detta regresso.
Quindi, il regresso è uguale alla velocità della massa d’acqua spinta dall’elica in senso contrario al moto. Se il regresso fosse nullo, non ci sarebbe la corrente respinta dall’elica.
Le eliche a passo fisso sono quelle a cui non può essere cambiato il passo. In questo caso le pale sono fissate al mozzo e non è possibile agire sul loro orientamento. In pratica, per invertire il senso di moto della nave, dobbiamo disaccoppiare l’asse dal motore, fermare quest’ultimo, riavviarlo al contrario e riaccoppiare l’asse. Non intendendo addentrarmi ulteriormente nella teoria, possiamo dire che questo sistema ha, rispetto all’elica a passo variabile, alcuni difetti e alcuni pregi, tra i primi possiamo citare: a) essendo l’elica legata agli avviamenti del motore, c’è sempre la possibilità che questi falliscano; b) quando si perde il governo è necessario intervenire con un nuovo avviamento; c) alcune navi sono dotate di un “Molto Adagio” piuttosto potente e, quindi, difficile da controllare quando servono piccoli spostamenti della nave o quando si vuole utilizzare lo spring, per esempio in partenza, per allargare la poppa dalla banchina. Per quanto riguarda invece i difetti: a) quando si ferma la macchina, l’elica non gira, eliminando così un grande pericolo per i cavi in acqua che altrimenti potrebbero venire risucchiati e per l’incolumità degli ormeggiatori che operano con la barca nei pressi della poppa; b) a marcia indietro è più efficace rispetto al passo variabile; c) ad ogni avviamento sviluppa subito una buona potenza.
- Quando possiamo cambiare l’orientamento delle pale per mezzo di servomeccanismi, abbiamo le eliche a passo variabile.
- In altre parole, le pale delle eliche possono essere ruotate attorno al loro asse longitudinale modificandone il passo. Quindi, per variare la velocità, o per invertire il moto, è sufficiente cambiare l’orientamento delle pale rispetto al mozzo. Vantaggi: a) non avremo avviamenti del motore per l’inversione di marcia; b) potremo regolare la velocità facilmente (caratteristica particolarmente utile in manovra). Svantaggi: a) essendo l’elica sempre in movimento, il rischio che i cavi vengano risucchiati durante la manovra è elevato; b) l’effetto dovuto alla rotazione delle pale è solitamente accentuato; c) se si diminuisce troppo velocemente il passo si tende a perdere il governo; d) si riscontra una certa difficoltà a trovare il “passozero”, ovvero a individuare la posizione del passo esattamente neutra;
- e) la resa a marcia indietro è inferiore a quella offerta dal sistema a passo fisso.
Bene! Adesso vediamo, con un esempio, come dobbiamo trasferire queste importanti nozioni teoriche all’interno di una situazione pratica.
Immaginiamo di essere sul ponte di comando di una nave lunga cento metri, con un pescaggio di otto metri, elica a passo variabile con effetto destrorso, senza thrusters, assenza di vento e di corrente, ormeggio finale con la dritta in banchina.
Quali valutazioni devo fare, basandomi sulle mie conoscenze teoriche?
- una nave di queste dimensioni, in condizioni di tempo buono, solitamente si manovra senza l’ausilio di rimorchiatori;
- otto metri di pescaggio sono tanti: questo vuol dire “nave pesante” che, generalmente, conserva per molto tempo il suo movimento inerziale;
- elica a passo variabile con effetto destrorso: cosa ci fa pensare questa informazione in questa situazione? Innanzitutto che dobbiamo prestare particolare attenzione all’abbrivo, perché le eliche a passo variabile non esprimono la stessa potenza a marcia indietro delle eliche a passo fisso. È quindi una manovra che, nella fase finale, va impostata a una velocità minima di governo. Dobbiamo, inoltre, regolare la diminuzione di velocità per tempo, perché una variazione del passo troppo repentina mi farebbe perdere il governo.
- effetto destrorso e fianco di dritta in banchina: situazione molto delicata! Nella fase finale, quasi certamente, dovremo usare la macchina per fermare in posizione questa nave che – non dimentichiamolo – è molto pesante e difficile da controllare. Per riuscire ad arrestare la nave dovremo usare una generosa potenza di macchina che genererà un importante effetto destrorso. In poche parole, la prua della nave accosterà in maniera decisa verso la banchina e lo farà con un abbrivo residuo;
- uso dell’ancora: tutti i pericoli/problemi sopraesposti portano a cercare una soluzione che, escludendo l’uso del rimorchiatore, ci permetta di gestire la manovra in sicurezza. L’uso dell’ancora di sinistra a dragare può risolvere i nostri problemi.
Quali sarebbero state le differenze più importanti se la nave in questione fosse stata dotata di elica a passo fisso?
In questo esempio è tutto teso a massimizzare gli effetti: nave pesante, senza bow thruster e lato di ormeggio non favorevole all’effetto dell’elica. Premesso che in tutte e due le condizioni conviene mantenere una cauta velocità di sicurezza, avremo che con il passo fisso potremo permetterci una certa velocità per poi fermare la macchina contando di mantenere (generalmente) un buon governo. Correggeremo eventuali abbattute con il timone e opportuni “colpetti” di macchina. Con il passo variabile dovremo programmare per tempo la diminuzione della velocità perché, in caso contrario, per non perdere il governo arriveremmo troppo veloci a destinazione con una nave che diventerebbe difficile da manovrare e da fermare.
Dovremo avere l’accortezza di arrivare vicino all’ormeggio con il minimo avanti per mantenere la direzione e con l’ancora di sinistra a dragare per evitare l’inevitabile caduta della prora in banchina nel momento in cui daremo indietro la macchina.
Ci fermiamo qui.
Ovviamente questo articolo è volontariamente sintetico e poco approfondito. Sicuramente lo affronteremo nuovamente attaccandolo su aspetti differenti.
Rapallo, Martedì 11 Febbraio 2020
QUANDO UN MARITTIMO DIVENTA TERRESTRE
QUANDO UN MARITTIMO DIVENTA TERRESTRE
Si nasce con una “dotazione di base” fornita dalla natura, arricchita dai genitori e completata da un “ingrediente sconosciuto” che ci rende unici.
Quando veniamo al mondo siamo come un grosso libro ancora da scrivere: il nostro nome stampato sulla copertina, ma con le pagine al suo interno quasi completamente bianche.
In questo testo non verrà narrata la nostra storia, ma il modo in cui vivremo la nostra vita, che dipenderà da come verremo “programmati“.
Da quando si nasce, e per tutta la vita, si ricevono input dall’esterno: suoni, immagini, pensieri, odori, procedure, verità, bugie… qualsiasi cosa è un dato da elaborare e da gestire.
Una quantità immensa di segnali; ma come si difende il cervello dal sovraccarico di informazioni? Nella sua incredibile efficienza, crea dei “programmi” che attivano degli “automatismi“.
Guidare la macchina è un esempio efficace: volante, cambio, frizione, acceleratore, freno… operazioni in successione che vanno eseguite con un certo tempismo. Quando si impara a guidare è necessario ragionare su quanto si sta facendo, sulla giusta sequenza nei giusti tempi. La ripetizione dei gesti arriva a creare un programma nel cervello che permette di agire in automatico, senza pensare e senza più mettere in discussione quello che si deve fare.
Ogni volta che dobbiamo ricordare qualcosa che impariamo, si viene a creare un circuito elettrico tra diversi neuroni chiamato “sinapsi“. In questo modo le informazioni che noi archiviamo possono interagire per dare forma a pensieri e conoscenze più profondi. Una volta creata, questa sinapsi non viene più messa in discussione (il fuoco brucia=non bisogna toccarlo, abbassare la maniglia=aprire la porta, allacciarsi le scarpe, scrivere, leggere, ecc.).
Acquisita una certa competenza, la stessa viene gestita da quella parte del cervello che si occupa dei processi automatici che non hanno più bisogno di essere verificati.
Quando il libro è vuoto i processi di programmazione sono semplici e lineari, ma cosa succede se, a distanza di anni, gli automatismi creati non sono più attuali? Quando ci si trova a dover adattare concetti nuovi a idee vecchie? Quando la natura porta a non mettere in discussione le “certezze” già archiviate?
Non è facile riprogrammare un circuito cerebrale, sovrascrivere una sinapsi, cambiare radicalmente idea su qualcosa…
In pratica, con il tempo, si rischia di prendere decisioni sulla base di programmi non più corretti o non aggiornati, ma che, comunque, non vengono messi in discussione. Programmi che, fuori dal nostro controllo, influenzano i nostri pensieri.
Cosa centra tutto questo con “un marittimo che diventa terrestre”?
Quanto scritto sopra può essere la base per molti argomenti.
L’apertura mentale, la capacità di mettersi in discussione, la predisposizione a cambiare le abitudini affinché gli automatismi non diventino dei limiti. Rendersi conto che nulla è per sempre: cambiano i presupposti, le circostanze, i soggetti, le cose giuste e quelle sbagliate, le cose possibili e quelle impossibili, e pertanto possono e devono cambiare le idee e le prese di posizione.
La differenza tra marittimi e terrestri è simile a quella tra pesci di mare e pesci d’acqua dolce: creature che si sono adattate ad ambienti profondamente diversi tra loro; paragonarli, giudicarli o anche semplicemente parlarne, è tutt’altro che semplice, perché troppi sono gli ingredienti che vanno a modificare la realtà di ognuno.
Per i marittimi, bisogna considerare dove hanno vissuto e lavorato, perché la vita a bordo di una nave passeggeri è molto diversa da quella su di una petroliera, su di un rimorchiatore o su di un traghetto, e così le esperienze che si maturano nel tempo. La nazionalità dell’equipaggio, le rotte che si seguono, i porti che si toccano, il grado che si ricopre, la lunghezza dei contratti, ecc., tutto concorre a rendere difficile la catalogazione del marittimo “tipo”.
Il terrestre può essere un dipendente oppure un imprenditore, lavorare in una grande azienda oppure in proprio, fare il pendolare o lavorare in casa, e così via per un’infinità di variabili.
Uomini di mare
Approfondiamo ora, generalizzando, la conoscenza di alcune verità che vanno a influenzare quasi sicuramente le tracce delle sinapsi dei marittimi:
- la considerazione della “gerarchia” a bordo di una nave non è percepita allo stesso modo in una struttura terrestre. L’estremizzazione del concetto “dopo Dio ci sono io“, riferito al Comandante di una nave, vede la sua giustificazione proprio nella necessità di garantire un certo “ordine” che, in mezzo al mare, equivale a “sicurezza”. L’adattabilità dell’uomo è innegabile ed è dimostrata una volta di più in questo contesto: mesi e mesi lontani dalle abitudini, dai propri interessi, dagli amici, dai propri cari, costretti a dividere uno spazio ristretto e la compagnia di persone che non si conoscono, riunite assolutamente a caso e, spesso, di nazionalità – religione – età – cultura completamente diverse. No donne. No vita sociale. No cinema. No birra con gli amici. No “ora stacco due giorni e mi rilasso“. Si potrebbe mai gestire una situazione tanto estrema senza una gerarchia ben precisa? Io sono convinto di no. Ma per capirlo e, soprattutto, per accettarlo, si deve entrare in quel mondo in punta di piedi, come ultima ruota del carro, occorre costruire lentamente delle sinapsi robuste e profonde, si deve capire e accettare. L’alternativa è saltare giù dalla giostra al primo porto, che è poi quello che succede a molte persone al primo imbarco.
- Il rapporto tra coloro che vivono in pochi metri quadrati 24 ore su 24 non può essere lo stesso che si viene a creare tra persone che si frequentano per sole 8 ore al giorno. L’importante concetto: “scegli saggiamente gli individui con cui arricchire la tua vita“, non ha possibilità di applicazione, e questo porta a “spaccati di esistenza”. Mi spiego meglio. A terra la vita gira a un ritmo più o meno costante, scandito dagli impegni lavorativi e da quelli famigliari. Le persone che l’arricchiscono (o la impoveriscono) sono sempre le stesse o cambiano lentamente nel tempo. Mi viene da pensare che la vita a terra scorre puntellata da equilibri che possiamo individuare nelle costanti e nelle certezze. Quella del marittimo si sviluppa, quanto meno, in due dimensioni: una nel contesto famigliare, dove spesso fatica a reinserirsi al termine di un imbarco e da cui poi fatica a staccarsi quando arriva il momento di ripartire; l’altra la ritrova a bordo (per circa otto mesi all’anno) dove l’ambiente cambia ogni volta e le costanti le àncora alla passione per il lavoro, alla solitudine, alla malinconia e all’egoismo in cui si rifugia per dare un senso a una routine che è umanamente difficile da accettare. Le parole “spaccati di esistenza”, quindi, intendono evidenziare come ogni periodo d’imbarco, caratterizzato da ingredienti sempre nuovi in un contesto sempre uguale, diventi un pezzo di vita a sé stante condiviso intensamente con persone che forse non si rivedranno più: ogni imbarco un ricordo circoscritto, un pezzo di vita che ha vita propria, quasi scollegata da quella vincolata tra la nascita e la morte.
Marittimo, così come per molti altri mestieri, lo si può diventare solo fino a una certa età. Età in cui le sinapsi non avranno ancora imposto i loro limiti.
Se si sarà già provato a lavorare a terra, se si sarà già conosciuta la possibilità di un rifugio cerebrale dai problemi quotidiani offerto da vite parallele (famiglia, amici, hobby, lavoro, ecc.), se si saranno già apprezzati i diritti e i vantaggi di una “gerarchia controllata“, se la gelosia, la nostalgia, e mille altri validi motivi avranno già consolidato profonde sinapsi nel cervello, difficilmente si deciderà di accettare una vita in mezzo al mare, poco conosciuta, ancor meno considerata e, spesso, dimenticata (vedi elezioni politiche, diritti e protezione sociale, ministeri dedicati, garanzia di lavoro, titoli non riconosciuti, ecc.).
Quando i pensieri tendono a prendere questa direzione, mi viene in mente il titolo di un libro: “I vivi, i morti e i naviganti”. Parole che trasmettono l’idea di qualcosa che galleggia immerso nella nebbia.
Viviamo in uno stivale che per 8000 chilometri è a contatto con il mare, eppure esiste ancora una netta separazione sociale tra chi lavora in un elemento e chi nell’altro.
Per pareggiare i conti della vita dei marittimi, lo Stato italiano deve fare ancora parecchia strada, dando magari un’occhiata a come viene trattato chi naviga sotto altre bandiere.
Ma, nonostante tutto, la nave è anche un rifugio.
Ho detto che la gerarchia è molto sentita, aggiungo che i ruoli, i doveri e i diritti sono ben definiti. I problemi sono quasi quotidiani, spesso indipendenti dalla volontà di qualcuno e il più delle volte legati agli elementi atmosferici, alle avarie, ai cambi di programma. Insomma, spesso si tratta di problemi pratici, risolvibili con la preparazione, la buona volontà e il rispetto delle competenze.
Il marittimo che diventa terrestre s’immerge in una burocrazia personale più profonda: scopre le scadenze, le bollette, le multe, e si accorge della differenza psicologica che passa tra la gestione della “cartaccia lavorativa” – dove si ha un tempo dedicato e previsto a cui ci si abitua – e quella in cui, non avendo più disponibili mesi liberi consecutivi, si rende necessaria una buona organizzazione del tempo. Realizza che non c’è più una seconda dimensione, che è svanita la possibilità di spostarsi in mare o a terra a seconda della convenienza.
Il gioco si fa più sottile, soprattutto se, prima di lasciare il mare, ha navigato per diversi anni.
I terrestri non sono pratici e semplici come i marittimi, per loro i problemi hanno molte facce e qualsiasi questione, a seconda di come viene guardata, ha più colori dell’arcobaleno. Il bianco e il nero, a cui era abituato chi navigava, hanno mutato di significato ampliando all’infinito le sfumature.
Tutto si complica. I rapporti con le persone, per esempio, diventano un mistero. A bordo, non cambiando l’ambiente e il contesto, in poco tempo i caratteri escono per quello che sono – non si può fingere – e di solito si raggiunge un equilibrio in tempi piuttosto brevi.
A terra l’umore e la personalità cambiano più volte al giorno, a seconda che ci si trovi in famiglia, al lavoro, tra amici: muta l’ambiente, il contesto, il ruolo e il modo di porsi, a volte, per cambiare, basta anche solo indossare o togliere la cravatta…
Ma stravolgere le abitudini è spesso una cosa positiva. Si deve uscire dalla zona di “comfort”, quella dove tutto è famigliare, rimettere in discussione gli automatismi creati nel cervello fino a quel momento, costruire nuove sinapsi e adattarsi al cambiamento.
Lo possono fare tutti?
Non credo. Ci vuole una certa predisposizione, la fortuna di capitare nell’ambiente giusto, una forte motivazione e l’elasticità necessaria a mettere in discussione le certezze create fino a quel momento.
Il marittimo che diventa terrestre è, in definitiva, il classico pesce fuor d’acqua e la velocità/possibilità di adattamento dipenderà, in buona misura, dal suo carattere e dalla famigliarità che sarà riuscito a conservare con l’ambiente solido.
Avrà comunque un modo di vedere le cose differente, che a volte sarà un pregio e altre un limite, ma che sicuramente aiuterà a riflettere.
Quando sei su una nave tra cielo e acqua sai a cosa devi stare attento: il mare non è amico di nessuno; a terra anche questo non è mai così chiaro.
JOHN GATTI
Rapallo, 5 Marzo 2018
1909-COLLISIONE: P.fo FLORIDA - P.fo REPUBBLIC
23.1.1909 ore: 05.00 a.m.
COLLISIONE
tra le navi passeggeri:
P.fo FLORIDA e P.fo REPUBLIC
Nave | Armamento | Stazza L. | Passeggeri | Equipaggio | Comandante |
Florida |
Lloyd Italico | 5.106 | 323 | 205 | Ruspini |
Republic |
White Star |
15.378 | 492 | 300 | Scalby |
"REPUBBLIC" IN NAVIGAZIONE
"FLORIDA" IN NAVIGAZIONE
Il REPUBLIC con le sue 15.400 t. viaggiò indisturbato per anni riscuotendo, come detto prima, un enorme successo tra l'alta società europea e statunitense di quell'epoca.
Nonostante ciò la vita di questo transatlantico fu breve e terminò tragicamente il mattino del 23 gennaio 1909, anticipando di 47 anni, con le stesse modalità tecniche, meteo e geografiche, la TRAGEDIA DELLA ANDREA DORIA che fu SPERONATA DALLA STOCKHOLM.
L'RMS Republic era in navigazione da New York verso Gibilterra, diretto in alcuni porti del Mediterraneo. Al largo dell'isola di Nantucket entrò in una fitta nebbia. Nonostante la velocità ridotta, le luci antinebbia regolarmente accese e la presenza del fischio di segnalazione, dalla fitta foschia spuntò la prua del transatlantico italiano Florida che speronò violentemente la poppa del Republic proprio nella zona della sala macchine e delle caldaie, che immediatamente iniziarono ad imbarcare acqua. Le vittime della collisione furono 6 in tutto: 3 passeggeri sul Republic e 3 membri dell'equipaggio del Florida.
Per la prima volta nella storia della navigazione fu utilizzato il telegrafo senza fii Marconi per lanciare l'S.O.S al quale risposero subito il transatlantico Baltic della White Star e la US Gresham. Nonostante la prua completamente devastata il Florida rimase a galla senza nessuno pericolo di affondamento...Al contrario invece il Republic iniziò da subito ad inclinarsi sul lato dello squarcio. I capitani e l'equipaggio di entrambe le navi furono molto efficienti e tempestivi nell'organizzazione dei soccorsi e dell'evacuazione del transatlantico inglese. Infatti immediatamente molti passeggeri del Republic furono trasferiti con le lance sul Florida che però, essendo un piroscafo di piccole dimensioni, si trovò subito in una condizione di sovraccarico...
Fortunatamente giunse sul posto il Gresham che recuperò velocemente altri naufraghi e infine il Baltic che ebbe difficoltà ad individuare il luogo dell'incidente a causa, appunto, della fitta nebbia. Tutti i passeggeri e i membri dell'equipaggio furono tratti in salvo e divisi tra le due navi giunte in soccorso e sul Florida stesso, capace ancora di navigare nonostante gli ingenti danni. Intanto sul luogo del naufragio arrivarono anche i piroscafi New York e Lucania della Cunard Line che insieme al capitano e alcuni ufficiali tentarono di legare e trainare il Republic su un basso fondale per poterlo in un certo senso salvare, ma fu tutto inutile, in quanto oltre ad essere già pericolosamente inclinato su un lato, aveva ormai imbarcato molta acqua...
SINTESI
Punto di collisione:
Nella zona del battello fanale di NANTUCKET , tradizionale punto di atterraggio a New York delle navi provenienti dall’Europa, nonché antica stazione di Pilotaggio e quindi importante stazione di smistamento del traffico navale in tutte le direzioni.
Causa della collisione:
A causa della nebbia fitta, tipica della zona, le due navi passeggeri si avvistarono quando ormai era troppo tardi per correggere le rispettive rotte.
I Fatti:
Il Florida era partito da Napoli diretto a New York. Il Republic proveniva da Boston a velocità di crociera ed era diretto a Liverpool. Il Florida che procedeva a velocità ridotta, riuscì a mettere le macchine indietro a tutta forza, ma l’urto fu inevitabile. Il Republic fu colpito sul fianco sinistro, a poppavia.
Le vittime: Nella collisione morirono sul colpo 3 membri
dell’equipaggio italiano e 2 di quello inglese.
I danni:
Nella meccanica dell’incidente il Florida ebbe la meglio, perché la prima paratia stagna resistette all’urto, mentre il danno sofferto dal Republic fu tragicamente determinante per la sua stabilità e galleggiabilità.
Il Florida, con la prora accartocciata, proseguì con i propri mezzi per New York.
Il Republic percorse un breve tratto al traino del Gresham e poi colò a picco a qualche decina di miglia da Nantucket.
Salvataggio:
Operazioni di L’S.O.S lanciato nell’etere dal Republic, subito dopo la collisione, fece convergere in zona una petroliera della Standard Oil, la City of Everest e poco dopo la famosa nave passeggeri Baltic della stessa White Star, sulla quale furono trasbordati e salvati tutti i passeggeri delle due navi.
Protagonista: Il tragico avvenimento ebbe un grande protagonista: LA TELEGRAFIA SENZA FILI DI GUGLIELMO MARCONI
Commento: La stessa identica storia si ripeterà 47 anni dopo, nelle stesse acque, tra l’Andrea Doria e lo Stockholm.
Rumoured cargo - Da un giornale dell'epoca:
There are many rumours that the Republic was carrying gold and/or other valuables when she went down. One rumour is that she was carrying gold worth $250,000 in American gold coins to be used as payroll for the US Navy's Great White Fleet. Another theory that she was carrying money for the relief effort for the1908 earthquake in Messina, Italy. A third theory, put forward by Captain Martin Bayerle, is that she was carrying $3,000,000 in gold coins as part of a loan to the Imperial Russia Governement. All of these values, of course, are in 1909 dollars when gold was $20 per ounce. Today, the coin values would bring the recovery to at least many hundreds of millions of dollars, and some experts have estimated that the recovery (with proper marketing of the recovered coins) could approach $5 billion or more, making the Republic salvage the largest treasure recovery of all time.
Questa è la breve storia dello sfortunato RMS Republic, conosciuto anche con il nomignolo "Millionaires' Ship", la nave dei milionari, in quanto fu meta ambita da illustri personaggi di quell'epoca, tra i più ricchi del mondo che la sceglievano per i loro viaggi di piacere e d'affari tra il Regno Unito e New York.
Inizialmente il Republic si chiamava SS Columbus ed apparteneva alla compagnia Dominion Line (controllata appunto da White Star). Fu impostato e costruito nei cantieri Harland & Wolf di Belfast tra il 1902 e il 1903. Fu varato il 23 febbraio 1903 e, completato l'allestimento, partì per il viaggio inaugurale da Southampton ad ottobre dello stesso anno riscontrando un enorme successo nonostante fosse stato concepito per lo più seguendo altissimi standard di sicurezza e stabilità, piuttosto che di bellezza e lusso.
Interni della nave REPUBLIC
La nave Florida fu costruita nel 1905 dalla Società Esercizio Bacini di Riva Trigoso, in Italia, per la società Lloyd Italiano. Stazzava 5.018 tonn., era lunga 116 metri e larga 14. Aveva motori a vapore a triplice espansione e doppia elica. Poteva viaggiare ad una velocità di 14 nodi e trasportare fino a 1.625 passeggeri, di cui 25 in prima classe e 1.600 in terza. Era utilizzata sulla rotta Italia-New York. Nel 1911 venne acquistata dalla società Ligure Brasiliana, sempre di bandiera italiana, e ribattezzata Cavour. Nel 1917 affondò in seguito a una collisione al largo delle coste italiane.
La prora della FLORIDA dopo la collisione con la REPUBLIC
LA REPUBLIC é ingavonata di prora e sta per affondare
CARLO GATTI
Rapallo, 16 novembre 2017
PORTOFINO - LA CHIESA DI SAN GIORGIO
PORTOFINO
LA CHIESA DI SAN GIORGIO
In questa stupenda fotografia di Fabio Merlo, la chiesa di San Giorgio si nota a destra sulla dorsale che scende a picco sul mare
Un tempo, come abbiamo già pubblicato su questo sito, molti santuari della nostra regione venivano costruiti in posizioni panoramiche di rara bellezza e di grande utilità: erano facilmente difendibili ed assumevano un ruolo polifunzionale, come si direbbe oggi, di stabile vedetta e presidio, con compiti d’allertare le autorità locali dagli imminenti pericoli dal mare; ma questi “Avvisatori Marittimi” non si sottraevano neppure al compito di contattare i velieri di passaggio, in tempi di pace, ed ottemperare alla vecchia consuetudine di consegnare la posta, con scambi di cibo e regali; inoltre avevano anche l’utilissima funzione di liaison tra i Comandanti ed i loro Armatori quando il veliero era diretto al porto di Genova.
Tutto ciò avveniva nei secoli precedenti la scoperta del telegrafo senza fili, e di lì a poco anche della Radio di G. Marconi che modificò il modo di navigare ed anche il ruolo di questi bellissimi Santuari che ritornarono lentamente alla loro originaria missione religiosa.
… MA ORA E’ TEMPO DI DI PREGHIERA …
Contro il coronavirus
Portofino – È l’abbraccio di San Giorgio a Portofino, alla Liguria e al Paese intero. Un abbraccio a tutti coloro che soffrono, che lottano e che combattono senza tirarsi indietro. Don Alessandro Giosso ha da poco esposto le reliquie di San Giorgio e invocato la sua protezione rivolto verso la piazzetta di Portofino. “Benedire come per custodire la certezza che questo disastro finirà e che tutti ripartiremo” ha precisato don Giosso spiegando il significato di un rito iniziato a porte chiuse; sul sagrato solo il sindaco Matteo Viacava e un agente della polizia locale.
Dal sacro al profano …
”Passòu o monte de Portofin moggé caa, torno fantin.”
“Passato il monte di Portofino cara moglie ritorno single”
Questo simpatico proverbio ci parla della nota località turistica di Portofino, che non appena oltrepassato, permette ai mariti genovesi, imbarcati sulle navi, di ritenersi liberi da ogni legame matrimoniale, forse per questo Portofino è così amato dai genovesi !!!!! Una specie di porta d’ingresso nella libertà.
L’incantevole Faro di Portofino
Ma per comprendere meglio il contesto: natura, religione e difesa, dobbiamo ora avventurarci in un seppur breve percorso storico.
Intorno all’Anno 1000 Portofino mise a disposizione della Repubblica di Genova esperti marinai per le galere che si recavano in Terrasanta e fu proprio di ritorno da uno di questi viaggi che i portofinesi portarono nel loro borgo delle preziose reliquie di San Giorgio che si trovano oggi in un sacrario scavato nella dura puddinga sotto l'altare maggiore della chiesa.
CHIESA DI SAN GIORGIO
Raffaello – San Giorgio e il drago – 1505 National Gallery of Art, Washington
LA LEGENDA AUREA - Jacopo da Varagine († 1293) nella sua “Leggenda Aurea”, fissa la sua figura come cavaliere eroico, che tanto influenzerà l’ispirazione figurativa degli artisti successivi e la fantasia popolare.
Si narra che in una città chiamata Silena, in Libia, vi fosse un grande stagno, tale da poter nascondere un drago, che, avvicinandosi alla città, uccideva con il fiato tutte le persone che incontrava. Gli abitanti gli offrivano per placarlo due pecore al giorno ma, quando queste cominciarono a scarseggiare, furono costretti a offrirgli una pecora e un giovane tirato a sorte. Un giorno fu estratta la giovane figlia del re. Il re, terrorizzato, offrì il suo patrimonio e metà del regno per salvarle la vita, ma la popolazione si ribellò, avendo visto morire tanti suoi figli. Dopo otto giorni di tentativi, il re alla fine dovette cedere e la giovane si avviò verso il lago per essere offerta al drago. In quel momento passò di lì il giovane cavaliere Giorgio, il quale, saputo dell'imminente sacrificio, tranquillizzò la principessa, promettendole il suo intervento per evitarle la brutale morte. Poi disse alla principessa di non aver timore, che l'avrebbe aiutata nel nome di Cristo. Quando il drago si avvicinò, Giorgio salì a cavallo e protettosi con la croce e raccomandandosi al Signore, con grande audacia affrontò il drago che gli veniva incontro, ferendolo gravemente con la lancia e lo gettò a terra, disse quindi alla ragazza di avvolgere la sua cintura al collo del drago, il quale prese a seguirla docilmente verso la città. Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma Giorgio li tranquillizzò, dicendo loro di non aver timore poiché «Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago: se abbraccerete la fede in Cristo, riceverete il battesimo e io ucciderò il mostro». Allora il re e la popolazione si convertirono e il cavaliere uccise il drago e lo fece portare fuori dalla città, trascinato da quattro paia di buoi.
Gustave Moreau, San Giorgio e il drago, 1889/90, National Gallery, Londra National Gallery, Londra
La leggenda nacque al tempo delle Crociate dalla dubbia interpretazione di una raffigurazione dell'imperatore Costantino che trafigge un enorme drago, simbolo del maligno. In seguito, la fantasia popolare giocò un ruolo importante e il racconto, attraversando l’Egitto, dove San Giorgio era venerato in molte chiese e monasteri, si trasformò nella intramontabile leggenda che tutti conosciamo.
Per la cronaca, é anche facile confondere San Giorgio con San Demetrio o San Teodoro anch’essi impegnati vittoriosamente nella stessa impresa contro il maligno.
Nel Medioevo gli ideali della Cavalleria si fondono in San Giorgio e la lotta contro il drago diviene il simbolo della lotta del bene contro il male. Il culto del soldato vincitore del drago, il grande martire e il trionfatore diventa popolarissimo nel mondo cristiano di allora.
Vari Ordini cavallereschi portano oggi il suo nome e i suoi simboli: l’Ordine della Giarrettiera, l’Ordine Teutonico, l’Ordine Militare di Calatrava, il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, il Reale e militare ordine di San Giorgio della Riunione e molti altri.
L’Ordine Cavalleresco del Santo Sepolcro, il più antico, fu istituito per la difesa del Sepolcro di Cristo, nel 1103 da Goffredo di Buglione che ne affidò l’incarico a suo fratello Baldovino I.
Ma il più famoso di tutti fu l’ORDINE DEI TEMPLARI, fondato dall’aristocratico Hugo di Payns nel 1118 su richiesta di San Bernardo di Chiaravalle al termine della prima Crociata. Il primo nucleo era composto da 11 monaci guerrieri, di cui San Giorgio era il Santo patrono e protettore. Il loro il compito era di scortare e difendere (dagli infedeli) i pellegrini che viaggiavano lungo le strade sante fra Jaffa e Gerusalemme. Fu affiliato ai Canonici del Santo Sepolcro e diventerà il più potente e famoso Ordine Cavalleresco durante il Medioevo Europeo.
San Giorgio è patrono d’Inghilterra, del Portogallo, della Lituania, del Montenegro, della Georgia e dell’Etiopia.
Ovviamente in Italia il culto per il Santo Soldato è assai diffuso e le città e i comuni di cui è patrono sono più di cento, dei quali uno – Campobasso - é capoluogo di regione, e tre sono capoluoghi di provincia (Ferrara, Ragusa, e Reggio Calabria); inoltre si contano ben ventuno comuni che portano il suo simbolo, tra cui appunto PORTOFINO.
La chiesa di San Giorgio è un piccolo tempio costruito sulla suggestiva scogliera del promontorio che scende a picco sul mare. Dedicato a San Giorgio Martire, la sua prima costruzione risale al 1154.
Fu bombardato quattro volte e venne ricostruito ogni volta. Notare la pavimentazione del sagrato a “risseu”. Il culto del Santo è fortemente sentito dagli abitanti del luogo: ogni marinaio, oggi come in passato, prima di allontanarsi da Portofino rivolge uno sguardo ed una preghiera al Santuario. Testimonianza di questa devozione è rappresentata dagli innumerevoli ex-voto conservati in una sala della sacrestia.
La bandiera di San Giorgio che sventola nella foto sopra, è costituita da una croce rossa in campo bianco. Originariamente era il vessillo della Repubblica di Genova che fu poi utilizzata dai crociati e in seguito adottata da molte altre città. La Croce di San Giorgio venne pertanto scelta come simbolo dei pellegrini che partivano per pregare sul Santo Sepolcro a Gerusalemme.
Nel 1095, anno di conquista di Gerusalemme da parte dei Turchi, cambiò lo scenario e i pellegrini si trasformarono in guerrieri armati di croce e di spada, decisi a liberare la terra ove nacque e visse Gesù Cristo e per conquistare l’impero Bizantino.
Nel 1099 la bandiera fu adottata da Goffredo di Buglione, a seguito della presa di Gerusalemme, in onore delle forze Genovesi ("Praepotens Genuensium Praesidium") al seguito di Guglielmo Embriaco i quali, giunti dopo un lungo assedio, risolsero le sorti della battaglia con un contributo decisivo nella conquista della Città Santa.
La scelta della bandiera crociata da parte dei genovesi, pare risalire ad epoche ancora più antiche, quando l’esercito bizantino stanziava nella città e il vessillo della guarnigione (una croce rossa in campo bianco) veniva portata per essere benedetta nella piccola chiesa di San Giorgio.
La bandiera, storicamente utilizzata dalla Repubblica di Genova, aveva un valore di “difesa si direbbe automatica”, infatti, le imbarcazioni nemiche, quando la vedevano garrire al vento, subivano una sorta di sortilegio che li spingeva a virare di bordo e a darsi alla fuga.
… UNA CURIOSITA’ …
Una leggenda, purtroppo non supportata da una documentazione originale, vorrebbe che nel 1190 i regnanti di Londra avessero ottenuto l'uso della bandiera per la flotta britannica, ma in cambio di un tributo annuale da pagare alla Repubblica di Genova.
Nel luglio 2018 l’attuale sindaco di Genova Marco BUCCI ha inviato una lettera alla Regina Elisabetta II del Regno Unito chiedendo il pagamento di 247 anni di tributi arretrati in quanto non fu più pagata la concessione del vessillo dal 1771.
Descrizione Araldica dello dello Stemma di Portofino: Castello in mattoni grigi con sfondo di azzurro chiaro come cielo ed azzurro intenso come mare alla base del castello, con delfino che nuota, il tutto contornato da rami di pino e pigne sormontato da una corona grigia.
L’attuale chiesa nacque come Pieve in stile romanico-gotico risalente al 1000. Fu poi modificata da numerosi rifacimenti rinascimentali e barocchi.
E’ dedicata a San Martino di Tours, anche se, a partire dall’anno 1120, a seguito dell’elezione di San Giorgio martire a Protettore di Portofino, lo stesso ne divenne Contitolare.
10 giugno 1548 – Anno della consacrazione, avvenuta dopo il rinvenimento sotto la mensola dell'altare maggiore, di una scatola contenente reliquie dei santi martiri Dorotea, Cassiano e Vincenzo.
1130 - Papa Innocenzo II decide di attribuirne la proprietà ai monaci dell’Abbazia di San Fruttuoso;
1550 – La proprietà rientra nei possedimenti di Andrea Doria e dei suoi eredi.
Alla fine del 1800 - la Chiesa dapprima appartiene alla Diocesi di Genova ed in seguito alla Diocesi di Chiavari, istituita, quest’ultima, nel 1892 con Bolla del Papa Leone XIII e riconosciuta dal Regio Governo nel 1894.
Il visitatore che si trova sul sagrato della chiesa, viene attratto da un pregevole portale bronzeo, realizzato dallo scultore milanese Costanzo Mongini, che raffigura San Giorgio che protegge il borgo dall’assalto dei pirati scatenando una tempesta, evento miracoloso risalente al Settecento.
Al suo interno è possibile ammirare, fra le altre opere, una grande scultura lignea, opera di Anton Maria Maragliano ed una statua, sempre in legno, dell’Addolorata.
Il Sagrato è decorato con il tipico risseu, mosaico ornamentale costituito dall’alternarsi di piccoli ciottoli levigati dal mare ed accostati a formare elementi figurativi di grande pregio.
L’interno della chiesa di San Giorgio. In una sala della sacrestia sono raccolti gli ex voto donati dai marinai nel secolo scorso. Si tratta di tele di varia grandezza, suggestive espressioni di ingenua ma affascinante arte popolare.
Un cimitero particolare, vista mare, che accoglie i residenti del paese e illustri ospiti, come l’eroe della X Mas, Luigi Durand De La Penne. Ammiraglio e simbolo di Portofino.
Il 15.2. 2014 - In occasione del centenario della nascita della Medaglia d’Oro al Valor Militare (M.O.V.M.) ammiraglio Luigi Durand de la Penne, la Marina Militare ha ricordato l’ufficiale genovese con una cerimonia che si è svolta a bordo del cacciatorpediniere che porta il suo nome.
Chi ha avuto la fortuna di conoscere questo personaggio, come il sottoscritto, ancora oggi si meraviglia di quanti inestimabili valori di intelligenza, semplicità, umanità e amore per la Patria potessero concentrarsi in una sola persona! Luigi Durand De La Penne appartenne ad una stirpe di Liguri Eccellenti che andrebbero studiati a fondo e fatti conoscere alle nuove generazioni come fulgidi esempi di “GRANDI ITALIANI”.
Carlo GATTI
Rapallo, 25 Marzo 2020
LINK
GLI EROI DELL'IMPRESA DI ALESSANDRIA - di Carlo GATTI
https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=299;alessandria
VISITA AL MUSEO STORICO NAVALE - VENEZIA
VENEZIA
Museo Storico Navale
Come é strutturato il Museo
42 sale distribuite su cinque piani. Il Museo comprende anche il "padiglione delle Navi" nell'antica officina dei remi dell'arsenale e la chiesa di S.Biagio, antico luogo di culto della marineria veneta e poi austriaca, infine adibita alle funzioni religiose del personale della Marina Militare.
Piano terra, primo e secondo piano
La SMS Viribus Unitis fu una corazzata della Imperiale e Regia Marina austro-ungarica, nonché nave ammiraglia e fiore all'occhiello della flotta. La classe Tegetthoff fu impiegata di rado nel corso della Prima guerra mondiale, la Viribus Unitis fu affondata il 1º novembre 1918 nel porto di Pola in seguito all'incursione di una piccola unità d'assalto italiana, in quella che fu poi ribattezzata IMPRESA DI POLA.
All'esterno, a ridosso dell'edificio presso l'ingresso, dal 1961 sono collocate due ancore di due corazzate austro-ungariche della Prima guerra mondiale, una della SMS Viribus Unitis e l'altra della SMS Teghtthoff, (vedi la prima foto in alto) le cui gemelle sono poste all'ingresso di Palazzo Marina a Roma. I primi tre livelli sono dedicati alle imprese, alle attrezzature e ai personaggi della Marina di Venezia e della Marina italiana, con alcune testimonianze delle altre Repubbliche marinare al secondo piano. Sempre al secondo livello, è presente una sala dedicata al Bucintoro, l'antica imbarcazione da cerimonia del doge.
Terzo piano
(foto Carlo Gatti)
In queste sale sono esposti modelli di imbarcazioni tipiche della laguna di Venezia, imbarcazioni da pesca e varie gondole, tra cui quella donata da Peggy Guggenheim al museo dopo la sua morte.
Quarto piano
(foto Carlo Gatti)
Fa parte di questo piano la "Sala svedese" dedicata ai rapporti industriali e militari tra la Marina italiana e quella svedese, evidenziando l'aiuto che le nostre industrie hanno pdato alla formazione della marina e dell'aviazione del paese scandinavo. In una sala attigua é molto rilevante una ricca collezione di conchiglie donata da Roberta di Camerino (celebre stilista veneziana 1920-2010).
Padiglione delle navi
In particolari occasioni viene aperto al pubblico e sono esposte navi veneziane civili e militari ed una parte della Sala Macchine del panfilo ELETTRA (la Nave-esperimenti di G.Marconi)
Vi è conservata la campana della R. N. coloniale ERITREA
Chiesa di San Biagio
La chiesa ancora oggi appartiene alla Marina Militare e da sempre, gli equipaggi delle navi di stanza a Venezia, qui "prendevano messa" prima di uscire in mare. Anche il giovane allievo Guglielmo Teghetoff vi si recava la domenica, durante gli anni in cui fu allievo del vicino Collegio Navale (accademia) situato allora nell'ex convento di Sant'Anna a Castello, tra il 1840 ed il 1845. Nella chiesa è conservato il corpo dell’ammiraglio Angelo Emo, ed è esposto un dipinto olio su tela del pittore Giuseppe Frascaroli, che ritrae Santa Barbara, patrona dei marinai.
Modelli, dipinti, cimeli e molto altro narrano la storia della Marina Militare veneziana ed italiana, offrendone un quadro completo ed appassionante. Ne fanno da cornice e contenitore il cosiddetto “granaio”, edificio principale del sistema museale, la chiesa di San Biagio e l’attiguo Padiglione delle Navi, situato nell’antica Officina dei remi dell’Arsenale.
L’edificio fu realizzato alla metà del Cinquecento per la funzione di officina e deposito dei remi. Poco dopo la sua realizzazione, nel 1577, venne adattato temporaneamente a sede del Maggior Consiglio, il principale organo di governo della città, a seguito del rovinoso incendio che rese inagibile Palazzo Ducale per molto tempo. Le sale mantennero sostanzialmente la funzione di falegnameria specializzata per i remi, affiancata da un’officina febbrile e da spazi di deposito, fino alla metà dell’Ottocento. A seguito degli interventi di riordino dell’Arsenale avviati dopo il 1866, anno in cui Venezia fu annessa al Regno d’Italia, i locali furono destinati a magazzini e officine del Genio. In quel periodo vi fu un intervento di restauro delle coperture, con l’introduzione di un interessante sistema bidirezionale di tiranti in ferro che integravano le incavallature lignee del tetto. Dal 1980 gli spazi delle officine dei remi hanno assunto la denominazione di Padiglione delle Navi. Essi ospitano imbarcazioni di grande rilievo storico e costituiscono un ampliamento della sede principale del museo.
(foto di Carlo Gatti)
(foto di Carlo Gatti)
Vista laterale del modello del Bucintoro
Il Bucintoro era la galea di stato dei dogi di Venezia, sulla quale si imbarcavano ogni anno nel giorno dell’Ascensione per celebrare il rito veneziano dello sposalizio con il mare.
Origine del nome
Il nome bucintoro, come testimonia anche il Sanudo, deriva dal veneziano buzino d'oro (burcio d’oro), latinizzato nel Medioevo, come bucentaurus, nome di un'ipotetica creatura mitologica simile al centauro ma con corpo bovino. Questo ha portato qualcuno a sostenere che il nome derivasse da una testa bovina utilizzata come polena della galea, ma l'ipotesi è erronea: il nome bucentaurus non esiste nella mitologia greca, e la polena dei Bucintori (come appare nei dipinti che li raffigurano) è Venezia sotto forma di Giustizia.
Sembra comunque che qualsiasi grande e sontuosa galea veneziana fosse chiamata con il nome Bucintoro. DuCange cita dalla cronaca del doge Andrea Dandolo (morto nel 1354):
Storia e caratteristiche
Il Bucintoro aveva sede nell’Arsenale di Venezia, dapprima in un bacino, come attestato dalla pianta di Jacopo de Barbari del 1500, in seguito in un apposito scalo coperto, detto Casa del Bucintoro, dove la nave era conservata all'asciutto e priva degli addobbi. Prima di essere utilizzato il Bucintoro veniva accuratamente calafatato, per ripristinare l'impermeabilità dello scafo, e riaddobbato. Ai remi erano per esclusivo privilegio gli operai dell'Arsenale, detti Arsenalotti, mentre il comando spettava all’Ammiraglio dell’Arsenale, coadiuvato da prua dall’Ammiraglio del Lido, che verificava la rotta, e da poppa dall’Ammiraglio di Malamocco che sovrintendeva al timone.
Modello in scala ridotta di una galea dei Cavalieri di Malta
Ricostruzione di una galea sottile veneziana
(foto di Carlo Gatti)
Qualche antico fucile
- Due Tromboni a focile del XV Secolo
- Cannoncino ad avancarica a percussione del XVIII Secolo
Frammento della poppa della corazzata austriaca Wien recuperato dopo la Prima guerra mondiale ed ora esposto al Museo storico navale di Venezia
Coppia di MAS in esercitazione (1918)
La sera del 10 dicembre 1917 Luigi Rizzo partì al comando di un'unità MAS composta da due motoscafi, il MAS 9 e il MAS 13 per attaccare i due navigli austriaci ancorati nel Vallone di Muggia.
I due MAS, trainati da altrettante torpediniere da Venezia fino al mezzo del golfo di Trieste, partirono con i loro motori elettrici fino alla diga nord della baia. Rizzo verificò che l'incursione non fosse stata notata prima di dare l'ordine di tagliare le ostruzioni che impedivano l'accesso alla baia. Dopo due ore era stato tagliato anche l'ultimo dei cavi d'acciaio messi a diversi livelli sotto la superficie dell'acqua e i due MAS entrarono dal varco creato. Il MAS 9 puntò sulla SMS Wien, il MAS 13 sulla SMS Budapest. A 50 metri dalla sagoma della Wien Rizzo ordinò, senza essere stato notato dalle sentinelle austriache, il lancio dei siluri. Contemporaneamente furono lanciati anche i siluri sulla Budapest dal MAS 13 ma al contrario dei siluri del MAS 9 che centrarono in pieno la Wien, quelli del MAS 13 mancarono il bersaglio ed esplosero sulla banchina.
Siluro a lenta corsa italiano esposto all'ingresso del museo
La Motosilurante MS 473 fu costruita dai Cantieri Riuniti dell’Adriatico a Monfalcone nel 1942, con la denominazione di MS 31, nell'agosto dello stesso anno prese parte alla grande battaglia aeronavale di Mezzo agosto, durante la quale nella notte del 13 agosto, al comando de Tenente di Vascello Calvani, affondò, con un siluro, il piroscafo britannico Glenorchy di 8982 tonnellate.
(foto di Carlo Gatti)
Armi navali
(foto di Carlo Gatti)
RUDOLF CLAUDUS
Pittore di marina
RUDOLF CLAUDUS, 1893-1964
Il 23 aprile 1893, Odenburg ora Sopron vicino Vienna, diede i natali a Rudolf Claudus. Non sono molte le notizie sulla sua infanzia: il padre era un ufficiale dell'esercito; importante per la sua vita fu la figura dello zio, l'ammiraglio Sternek della marina imperiale austro-ungarica.
Da ragazzo era evidente il lui l’attitudine al disegno che lo portò a frequentare gli studi di alcuni pittori dai quali apprese i rudimenti del mestiere. La sua vocazione era l’arte marinista che corrispondeva al suo amore per il mare. Alla fine della prima guerra mondiale fu a Pola – Istria ed entrò in amicizia con gli ufficiali della Marina italiana: iniziò così un lungo periodo di collaborazione con la Marina italiana di cui divenne in pratica il pittore ufficiale. In circa mezzo secolo di sodalizio ha realizzato centinaia di opere destinate ad ornare le sale di navi e Circoli, stanze di rappresentanza dei palazzi della Marina e per essere donate alle Autorità in occasioni di manifestazioni ufficiali.
AMERIGO VESPUCCI
Il Regio Esploratore VENEZIA
Il Regio incrociatore GIUSEPPE GARIBALDI
La Regia corazzata Giulio Cesare a Punta Stilo
La Regia nave da battaglia DUILIO in navigazione
Ad esclusivo scopo divulgativo, come da Statuto della nostra Associazione, ci siamo concessi la "libera scelta" di pubblicare alcune foto a dir poco splendide del BUCINTORO per la gioia dei nostri associati che sono infermi e MAI potranno visitare questo magnifico edificio che ci racconta e celebra la nostra storia di Repubbliche Marinare Italiane e non solo!
Ringrazio pertanto tutti coloro che gentilmente non si opporranno alla loro pubblicazione.
Carlo GATTI
Rapallo, 4 febbraio 2020
QUALI SONO LE NAVI PIU’ IMPEGNATIVE DA MANOVRARE? 2a parte
QUALI SONO LE NAVI PIU’ IMPEGNATIVE DA MANOVRARE?
2^ parte
di John GATTI
Nell’articolo precedente abbiamo parlato delle navi di piccole dimensioni senza bow thruster.
Proseguiamo:
- Petroliere di misure medio-grandi con pescaggi rilevanti.
Per associazione di idee penso alla “calma”, allo “slow motion”, mi viene in mente un elefante che cammina lento ma inesorabile.
Per gestire bene queste manovre, l’impostazione è la cosa più importante.
Le forze che si utilizzano sono notevoli e i mutamenti dinamici che provocano non sono immediati e tendono a durare nel tempo.
In altre parole, se utilizziamo un rimorchiatore a tutta forza per fare accostare la poppa, impiegherà tempo a far partire il movimento e altro tempo, eventualmente, per arrestarlo. Sembrano considerazioni banali, eppure quasi tutta la difficoltà sta nel preciso controllo delle forze in gioco e nella percezione dei movimenti inerziali innescati:
- conoscere la potenza necessaria e per quanto tempo utilizzarla;
- dove impiegarla;
- quando cominciare a contrastare il movimento che si è creato.
Le dimensioni, il rischio di inquinamento e i potenziali danni che potrebbe provocare una nave con una massa così importante urtando una banchina, le fa entrare di diritto tra le manovre più delicate.
A questo proposito mi viene in mente una situazione particolare in cui mi sono trovato tanti anni fa…
Petroliera in manovra.
“Ero al comando di una petroliera da 52.000 di GT, e dovevamo caricare da una nave ferma all’ancora in Indonesia (transhipment).
Prima di continuare il racconto devo aggiungere qualche informazione:
– Conoscevo molto bene la nave perché ne avevo seguito l’allestimento in fase di costruzione e c’ero stato imbarcato da primo ufficiale per due volte;
– eravamo partiti dall’Italia scarichi e mi ero trovato a manovrare in spazi ristretti in arrivo a Port Said;
– oltre che durante il transito nel Canale di Suez;
– nello Stretto della Malacca;
– a Singapore dove avevamo fatto bunker e in arrivo in Indonesia.
Cominciamo da qui.
L’attraversamento dello schema di separazione del traffico tra Singapore e Pulau Sambu (Indonesia) non era dei più semplici: il fatto di dover partire da fermi per entrare in una corsia molto trafficata e, successivamente, dover effettuare un’inversione a “u” per immettersi nella corsia giusta, obbligava a manovre ben studiate. La difficoltà successiva era data da due isolotti: bisognava uscire perpendicolari allo schema di separazione, passare in mezzo ai due isolotti, fermarsi alla giusta distanza dalla storage tanker ship ancorata poco distante da terra, dare fondo e aspettare il pilota per l’ormeggio. Tante manovre concentrate in poco tempo… ma la nave era scarica.
Restammo due giorni affiancati alla storage tank, due giorni molto impegnativi perché, al di là delle operazioni commerciali, avevamo dovuto risolvere diversi problemi tecnici. Risultato: quarantott’ore senza chiudere occhio.
Per il disormeggio non era previsto il pilota. Dovevamo staccarci dalla nave e andare poco lontano a dare fondo in attesa dei documenti del carico.
Nel frattempo un’altra petroliera aveva raggiunto la zona di fonda e c’erano sempre i due isolotti…
La manovra di disormeggio non presentò particolari difficoltà, ma la stanchezza mi fece abbassare la guardia e non mi resi conto che, rispetto a due giorni prima, la situazione era completamente cambiata: in quel momento, sottraendo il peso della zavorra, avevamo circa 50.000 tonnellate in più a bordo!
Accostai tutto a sinistra convinto di schivare agevolmente la nave all’ancora, ma la risposta al timone fu “pachidermica”. Quando mi resi conto che a nave carica la curva di evoluzione sarebbe stata molto più ampia, sentii il cuore aumentare il ritmo e la forza. Sul Ponte di Comando tutti gli occhi erano puntati su di me ma, a dispetto di quello che provavo, restai impassibile. Aumentai la macchina fino ad Avanti Mezza. Ci volle ancora qualche minuto per capire che l’incremento di potenza aveva dato i suoi frutti restringendo il cerchio di evoluzione. Passammo, vicini, ma passammo.
Allibo. Immagine tratta da marineinsight.com.
Il mare è grande, ma può diventare piccolo come un bicchiere d’acqua.
Una frase che trovo molto appropriata per la situazione che avevo appena vissuto.
Può sembrare un racconto banale a cui ho dato troppo peso, ma vi assicuro che quel giorno ho imparato una lezione importante: pianifica sempre le manovre e non sottovalutare le situazioni, neanche quelle apparentemente più semplici.
Mi vengono in mente un altro paio di occasioni in cui sono caduto nella trappola della sottovalutazione, ma le racconterò in un’altra occasione.
A chi non lo avesse già visto, consiglio di cliccare qui per approfondire l’argomento seguendo una manovra con gli occhi e le osservazioni del pilota.
- Portacontenitori, Ro-Ro e portamacchine tra i duecento e i quattrocento metri.
Le dimensioni e i pescaggi, per alcune di esse, sono gli stessi delle petroliere di cui sopra. Cambiano la potenza dei propulsori, la presenza delle eliche di manovra, la superficie velica e la tipologia di carico.
In effetti la dinamicità della manovra, rispetto alle navi cisterna, è completamente differente. Devo generalizzare, altrimenti non basterebbe un libro… Sappiamo, infatti, che ogni manovra è diversa dall’altra, che il pescaggio, l’assetto, il vento, la corrente, la potenza della macchina indietro rispetto all’avanti, ecc., sono solo alcuni dei parametri che cambiano, a volte radicalmente, le carte sul tavolo. Però, se vogliamo restare allineati all’esempio precedente, qui, invece che allo “slow motion” e agli elefanti, mi viene da pensare alla guida di una macchina potente su di un fondo sdradale scivoloso. Le risposte della macchina, del timone e dei thrusters, come pure quella dei rimorchiatori, sono apprezzabili in tempi brevi, rendendo la manovra piuttosto dinamica. Questo è dovuto al rapporto favorevole tra peso e potenza disponibile ed alle forme degli scafi. In queste manovre le difficoltà maggiori sono date, generalmente, dagli scarsi spazi disponibili unite a condizioni meteomarine negative. I container in coperta o la forma a parallelepipedo delle portamacchine, le rendono particolarmente sensibili al vento e, a seconda dei pescaggi, sono spesso anche condizionate da eventuali correnti.
Manovre impegnative? Direi che nella scala valutativa potrei posizionarla su di un valore medio, ma pronto a crescere con l’aumentare delle dimensioni e in presenza di vento.
Anche per questa tipologia di nave vi consiglio la visione dei video che abbiamo preparato qui.
L’articolo continua con la valutazione, dal punto di vista manovriero, di altre navi. A presto.
Rapallo, 29 Dicembre 2019
HEDY LAMARR, ATTRICE E GENIO DELLE TELECOMUNICAZIONI
UN PO’ DI STORIA DEL CINEMA CHE POCHI SANNO
L’AFFASCINANTE STORIA DI
HEDY LAMARR
UN GENIO NELLA TELECOMUNICAZIONE
di Ernani Andreatta originale di Peter Dally di Sidney
Traduzione di Carlo Gatti ed Ernani Andreatta
Nel 1933, una bella, giovanissima austriaca si spogliò per un regista. Corse nei boschi, nuda. Nuotò in un lago, nuda. Andando ben oltre i costumi sociali dell’epoca.
Il più popolare film del 1933 fu King Kong. Ma tutti a Hollywood parlavano di quel film scandaloso con la giovane e vistosa signora austriaca.
Louis B. Mayer, dell’immenso studio MGN, affermò che essa era la donna più bella del mondo. Il film fu pubblicizzato praticamente dovunque, dove naturalmente poteva diventare popolare e apprezzato. Mussolini, secondo quel che si dice, rifiutò di vendere la sua copia per qualsiasi cifra…
La STAR del film, chiamata Ecstasy, era Hedwig Kiesler. Essa disse che il segreto della sua bellezza era: "Qualsiasi ragazza può apparire meravigliosa. Basta che stia ferma e sembri stupida".
In realtà, Kiesler era tutt’altro che stupida, anzi era un genio. Era figlia unica di un famoso banchiere ebreo ed era un genio matematico che eccelleva nelle scienze. Quando fu adulta diventò inossidabile usando tutto il potere che le potevano dare il suo corpo e la sua mente.
Tra i ruoli sexy da lei interpretati, recitò con la sua esuberante bellezza e la forza del suo intelletto, Kiesler avrebbe mandato in rovina gli uomini della sua vita inclusi due dei più inossidabili dittatori della 20th century, nonché uno dei maggiori produttori cinematografici della storia.
La sua bellezza la fece ricca per un po’ di tempo. Di lei si disse che guadagnò e spese 30 milioni di dollari.
Ma il suo vero talento risultò provenire dal suo intelletto e la sua invenzione continua a “disegnare” il mondo in cui oggi viviamo.
Vedi, questa giovane attricetta avrebbe preso da sotto il naso di Hitler, uno dei più preziosi diritti tecnologici mai sviluppati fino ad allora.
Dopo essere volata in America, non solo diventò la più famosa attrice di Hollywood, ma il suo nome comparve su uno dei più importanti Brevetti mai rilasciati dall’U.S. Patent Office.
Oggigiorno, quando usi il tuo cellulare, o quando sperimenterai nei prossimi cinque anni, in base alla tua esperienza di “super-fast wireless Internet access (tramite qualcosa che si chiama “long term evolution” oppure “LTE” technology), ebbene, sarà usata una estensione tecnologica concepita per la prima volta da una attrice di 20 anni mentre era a pranzo con Hitler.
In quel momento essa recitava Ecstasy, la Kiesler era sposata con uno dei più ricchi personaggi in Austria. Friedrich Mandl era un magnate dell’industria bellica che sarebbe diventato la chiave di volta dei rifornimenti bellici del nazismo.
Mandl usò la bellezza della sua giovane moglie da mostrare come pezzo forte in un importante pranzo d’affari con rappresentanti austriaci, italiani e forze fasciste tedesche. Uno dei temi principali in queste riunioni che includevano cene con Hitler e Mussolini, fu la tecnologia che riguardava il controllo radio dei missili e dei siluri.
Le armi telecomandate assicuravano un maggior raggio d’azione rispetto agli altri sistemi usati a quell’epoca.
La Kiesler partecipava a questi pranzi sembrando stupida mentre al contrario “assorbiva” tutto ciò che sentiva.
Essendo ebrea, Kiesler odiava i nazisti e detestava gli ambiziosi affari del marito. Mandl rispose alla sua capricciosa moglie imprigionandola nel suo castello, Schloss Schwarzenau.
Nel 1937 essa tentò la fuga. Drogò la sua domestica, le rubò i vestiti e sgusciò via dal castello, poi vendette i suoi gioielli per finanziarsi il viaggio verso Londra.
Fece giusto in tempo a scappare. Nel 1938, la Germania annesse l’Austria. I nazisti confiscarono la fabbrica di Mandl che era mezzo ebreo. Mandl volò in Brasile. Più tardi divenne il consigliere del presidente Juan Peron, icona del populismo.
A Londra, la Kiesler combinò un incontro con Louis B.Mayer con il quale firmò un contratto a lungo termine diventando una delle più famose STAR della MGM. Apparve in oltre 20 films diventando co-star di Clark Gable, Judy Garland e persino Bob Hope. In ciascuno dei suoi primi sette film fu considerata una bomba ad alto potenziale...per la risonanza riscontrata.
Ma la Kiesler, per combattere i nazisti, guardò più lontano e non soltanto interpretando film erotici. Raggiunto il massimo della sua fama, nel 1942 sviluppò un nuovo sistema di telecomunicazioni ottimizzando l’invio di messaggi in codice che non potevano essere decifrati. Mise in pratica un sistema-guida di siluri e bombe che erano in grado di raggiungere i loro obiettivi. Fu in grado di costruire un sistema per uccidere i nazisti.
Dagli anni 1940, sia i nazisti che gli alleati stavano usando una specie di singola frequenza per il controllo-radio che l’ex marito della Kiesler
aveva prodotto e venduto. Il ritiro di questa tecnologia permise al nemico di trovare la frequenza giusta per intercettare il segnale di guida del missile con interferenze adeguate.
La chiave innovativa di Kiesler consistette nel “cambiare canale”. Questo fu il modo di codificare un messaggio attraverso una banda larga nello spettro delle trasmissioni radio. Se una parte dello spettro subiva interferenze, il messaggio riusciva a passare comunque attraverso le altre frequenze usate nello stesso canale.
Ma c’era un problema: la Kiesler non riusciva a capire come poter sincronizzare il cambio di frequenze su entrambi il ricevitore e il trasmettitore. Per risolvere il problema si rivolse al primo tecno-musicista al mondo: George Anthiel.
Anthiel era un conoscente della Kiesler che acquisì una certa notorietà per la creazione di complesse composizioni. Egli sincronizzava le sue melodie attraverso 12 pianisti producendo suoni stereofonici che nessuno aveva mai ascoltato prima. La Kiesler assimilò la tecnologia per sincronizzare il suo. Poi fu in grado di sincronizzare i cambi di frequenza tra il ricevitore dell’arma ed il suo trasmettitore.
L’11 agosto 1942 fu assegnata la PATENT N° 2,292,387 ad “Anthiel e a Hedy Kiesler Markey”, che era il cognome del marito di quel momento.
La maggior parte di voi non riconoscerebbe il nome Kiesler. E nessuno ricorderebbe il nome Hedy Markey. Ma é una facile scommessa, per chiunque di una certa età che legge questa lettera, ricordare una delle più grandi bellezze dell’epoca d’oro di Hollywood, Hedy Lamarr. Il nome che il regista Louis B. Mayer diede alla sua preziosa attrice. Quel nome che la Compagnia cinematografica rese famoso.
Mentre quasi nessuno conosce Hedwig Kiesler, Hedy Lamarr, fu una delle pioniere delle radiotelecomunicazioni. La sua tecnologia fu sviluppata dalla Marina degli USA che la usa fin d’allora.
In questo momento tutti noi stiamo probabilmente usando la Tecnologia Lamarr. Il suo Brevetto é situato presso la “Spread Spectrum Technology”, che usiamo ogni giorno quando ci colleghiamo alla rete wi-fi o facciamo delle chiamate con il cellulare abilitato Bluetooth.
Hedy Lamarr è nel cuore di tutti i massicci investimenti nella cosidetta quarta generazione “LTE” (Long Term Evolution) cioè l’evoluzione a lungo termine di queste tecnologie della comunicazione senza fili. La prossima generazione di telefoni cellulari o di ripetitori di cellulari, sicuramente genereranno un enorme ed esponenziale aumento sulla qualità e velocità delle reti di trasmissione diffondendo i segnali senza fili attraverso l’intero spettro disponibile. Questa specie di “decodifica” è possibile soltanto usando quel tipo di commutazione di frequenza che “Hedwig Kiesler”, al secolo la bellissima “Hedy Lamarr” inventò.
Ed ora sappiamo il resto della storia!
Memory di Ernani Andreatta:
Ed io personalmente ricordo benissimo questa bellissima e affascinante attrice che era HEDY LAMARR nei film proiettati al Teatro Cantero di Chiavari.
Rapallo, 12 luglio 2018