LA CERVARA - ABBAZIA -S.Gerolamo al Monte di Portofino

LA CERVARA

ABBAZIA DI SAN GIROLAMO AL MONTE DI PORTOFINO

(XIV-XX SECOLO)



La posizione panoramica della Cervara, Abbazia di San Girolamo al Monte di Portofino, a picco sul mare tra Santa Margherita Ligure e Portofino rappresenta l’incontro tra il cielo ed il mare, tra la fede e l’umanità. Si tratta di una Abbazia che ha le caratteristiche di una  fortezza con compiti di vedetta e difesa contro gli attacchi improvvisi dei saraceni.

In questa fotografia scattata da un drone, si nota la sua vicinanza a Portofino sullo sfondo.

Ma quando ci si rende conto che l'antico edificio di origine trecentesca è, in realtà, circondato da un meraviglioso giardino monumentale all'italiana, l'unico della Liguria, il desiderio di raggiungerla e visitarla si fa ancora più forte. Sebbene, infatti, il complesso abbaziale abbia conosciuto, nel corso dei secoli, periodi di alterne fortune, il recente restauro ne ha fatto oggi un luogo di grande fascino che, non a caso, si è trasformato in un'ambita location per eventi privati, meeting, concerti e convegni. Con il valore aggiunto di poter accogliere i propri ospiti per la notte in una delle 9 stanze ricavate nell'edificio principale dell'Abbazia e nell'antica Torre Saracena.


Il complesso abbaziale é qui visibile nella sua interezza. Ai suoi piedi sul mare, lo scoglio della CAREGA sovrastato dal Pino di Aleppo ancora in salute (?) dopo la recente mareggiata. Sullo sfondo a sinistra il Castello che ospita le famiglie Berlusconi.


L'Abbazia della Cervara, o Abbazia di San Girolamo al Monte di Portofino, è un ex complesso monastico, luogo di culto cattolico. Nel medioevo questo luogo, come tutto il tratto di costa affacciata sul golfo del Tigullio che scende a picco sul mare verso Portofino, era detto Silvaria (da silvas, la parola latina che significa "boschi"), perché era fitto di vegetazione. Il termine Silvaria venne poi italianizzato in "Cervara".

L’Abbazia di S. Gerolamo della Cervara é il tipico luogo in cui il tempo si è fermato ed invita a riscoprire la sua secolare storia. Con questa magica idea si sentono risuonare secoli di storia nelle sale e negli splendidi giardini. La Cervara risale al 1361, quando fu iniziata la costruzione di un monastero di San Girolamo. Si racconta che sia stato visitato da religiosi e persone celebri: dal sommo Petrarca a Santa Caterina da Siena e a numerosi papi, dal condottiero Giovanni d’Austria al letterato Piccolomini e allo scienziato Marconi. Ma le tracce più significative furono lasciate da Francesco I, il re di Francia, sconfitto e imprigionato nella torre a strapiombo sul Golfo del Tigullio.


Chi entra per la prima volta nell'abbazia della Cervara ha immediatamente la sensazione di scoprire un luogo selvaggio e solitario che pare essere il posto ideale per la meditazione e la preghiera. Questa percezione attirò l'interesse di Padre Lanfranco di San Siro, che vi soggiornò per qualche tempo. Fu lui ad avere l'idea di edificare un monastero di Benedettini nell'antica Villa della Cervara. Il 18 marzo 1360 i monaci Certosini, proprietari del terreno, acconsentirono alla vendita, e in pochi anni, con l'aiuto dell'arcivescovo di Genova Guido Scetten, venne fondato il monastero dedicato a San Gerolamo del Deserto.

ARTE

Nel 1506, Vincenzo Sauli commissionò al noto pittore fiammingo Gerard David un superbo polittico per l'altare maggiore della chiesa di cui la famiglia ottenne il giuspatronato. Il polittico, oggi smembrato in tre parti, é custodito rispettivamente al museo genovese di Palazzo Bianco, al Louvre e al Metropolitan Museum di New York, raffigura la Madonna con il Bambino, San Mauro e San Gerolamo, l'Annunciazione, la Crocifissione e Dio.

Dal punto di vista della storia dell'arte il monastero divenne il simbolo della diffusione della cultura fiamminga in Liguria, fatto di cui si ricorda anche il trittico portatile con l'Adorazione dei Magi (ora conservato nelle sale di Palazzo Bianco a Genova) di Pieter Coeke van Aelst, autore fiammingo della metà del Cinquecento, attivo ad Anversa, che stilisticamente guarda al manierismo italiano.
“I tre scomparti compongono uno spazio unitario, reso continuo dallo scorcio del pavimento, dalla struttura architettonica del trono e dall’arazzo “millefiori” che fa da sfondo alla Vergine e alle figure dei due santi. Questo tipo di arazzo veniva ritenuto metafora del Paradiso, popolato dalle diverse categorie di eletti – ai martiri alludono le rose, ai confessori le viole, i gigli alle vergini – e contribuisce a connotare come paradisiaco lo spazio che accoglie i sacri personaggi.
Al centro, assisa su un trono, Maria tiene in braccio Gesù e lo aiuta a staccare un acino da un grappolo d’uva, che allude al sacrificio della croce e al vino eucaristico salvezza. La gemma che riluce in fronte alla Vergine, applicata a una striscia di tessuto prezioso su cui è ricamato l’incipit dell’Ave Maria, allude alle parole del Salmista: “Vergine regale, ornata delle gemme di tante virtù, luminosa per lo splendore dello spirito e del corpo”, mentre la regalità di Maria, che le deriva dall’appartenere alla stirpe di David e dall’essere madre e sposa del Re dei Cieli, è ribadita dai versi del Salve Regina, ricamati in caratteri aurei lungo l’orlo del manto.
Il gesto della Madre e il suo apparente distacco sono segno della dolorosa accettazione del destino che attende il figlio così come lo sguardo di Cristo, unico fra tutti gli attori di questa silenziosa e solenne scena che fissi gli occhi dello spettatore, rammenta che per la salvezza di ciascuno Egli verserà il suo sangue”.

LA CHIESA ED IL CHIOSTRO

L’Abbazia vista dal lato di Levante

Interno della chiesa – Navata centrale

La pianta della chiesa è a croce latina; la sua abside inclinata é resa suggestiva dalla caratteristica abside inclinata che simula il capo reclinato di Cristo.

Le colonne che separano le tre navate appaiono essere costruite con blocchi alternati ardesia e marmo, nel tipico stile architettonico ligure, sono in realtà di mattoni ricoperti da intonaco bicolore.


Il chiostro è di forma quadrangolare a due ordini di volte.


Galleria dell’Imperatore - Scalone

 

La camera che ospitò papa Pio VII reduce da Savona

Durante i recenti lavori di restauro è stata scoperta una sepoltura che, con ogni probabilità, è dell’Arcivescovo di Genova Guido Scettin, poeta e letterato, compagno di studi e amico di Francesco Petrarca.

Gettiamo un primo sguardo sui giardini…

La Cervara è da sempre avvolta da un alone di fascino misterioso


Giardino monumentale all’italiana


LA STORIA DELLA CERVARA

Il luogo selvaggio e solitario dove sorge l'abbazia, ideale per la vita monastica, semplice e appartata, impregnata di meditazione e di preghiera, attirò l'interesse di Padre Lanfranco di San Siro, che qui soggiornò per qualche tempo. Fu lui ad avere l'idea di edificare un monastero di Benedettini nell'antica villa della Cervara. L’originaria costruzione fu innalzata il 18 marzo 1360 dai monaci Certosini di San Bartolomeo di Rivarolo, proprietari del terreno. In questo primo periodo di grande prosperità, il convento acquisì un notevole patrimonio immobiliare e, in pochi anni, con l'aiuto dell'arcivescovo di Genova Guido Scetten, venne fondato il monastero dedicato a San Gerolamo del Deserto.In breve il monastero divenne un'importante congregazione benedettina e nelle sue sale molti sono gli ospiti illustri che vi soggiornarono: nel 1376, su consiglio di S. Caterina da Siena, in contatto epistolare con il priore del monastero, Papa Gregorio XI si fermò alla Cervara durante il suo trasferimento da Avignone a Roma, vi officiò messa solenne e concesse al monastero privilegi papali. Nel 1496 vi soggiornò Massimiliano I Imperatore d'Austria, chiamato in Italia da Ludovico il Moro. Nel 1525 fu la volta di Francesco I di Valois, in un soggiorno forzato nella torre prigione, dopo la sconfitta di Pavia ad opera di Carlo V, prima del suo trasferimento verso la Spagna.


La storia della Cervara alterna periodi di grande gloria e potere ad altri di declino: all'inizio del '400 venne gravemente danneggiata durante il conflitto tra Guelfi e Ghibellini. Nel
1435 il pontefice Eugenio IV fa eseguire alcune restaurazioni, dando facoltà ai monaci benedettini della Cervara di assolvere usurai e ladri, purché, pentiti, facciano una congrua offerta al monastero. Grazie alla protezione del Papa il monastero rifiorisce, incorporando il cenobio di S. Fruttuoso ormai decaduto dagli antichi splendori, e radunando i maggiori monasteri del nord Italia.

Nel 1546 il priorato della Cervara venne innalzato al rango di abbazia da Papa Paolo III.

Nel 1550 iniziò la costruzione del chiostro, mentre nel 1553 iniziò quella di una poderosa torre difensiva in asse con l'ingresso della chiesa. Il manufatto riprende tutti gli elementi tipici delle torri di difesa e avvistamento; è purtroppo completamente perduto il grande affresco raffigurante San Gerolamo, che lo arricchiva sulla facciata prospiciente la chiesa.
Nel corso del XVII secolo, grazie alla munificenza della famiglia Sauli, furono effettuati più interventi di rimaneggiamento su tutto il complesso.

A seguito della democratizzazione della Repubblica di Genova, nel 1797 e della successiva nazionalizzazione dei beni degli enti religiosi, anche il complesso della Cervara subì una decisa spoliazione. I beni dell'abbazia furono distribuiti alle chiese parrocchiali della zona: in particolare molti degli arredi e degli apparati liturgici furono trasferiti alla chiesa di Nozarego e sono attualmente esposti al museo diocesano di Chiavari.

In seguito a violente scorrerie viene fortificata con torri di difesa e subisce notevoli trasformazioni architettoniche, fra cui la costruzione dei chiostri.


Nel
1798 comincia una rapida decadenza: in seguito alla soppressione delle corporazioni religiose, voluta dalla Rivoluzione Francese, il monastero viene abbandonato, saccheggiato, ridotto a casa colonica e abitazione.
Nel
1804 il complesso viene affidato ai frati trappisti che vi aprono una scuola; le difficili situazioni politiche, determinate da Napoleone, costringono però i frati ad andarsene, lasciando ricadere il monastero nell'abbandono e nella rovina.

 

Nel 1868 il complesso venne acquisito dal marchese Giacomo Durazzo, che ne eseguì importanti lavori di recupero e decise poi di venderlo ai Padri Somaschi, affinché la presenza dei religiosi potesse riportare il monastero a rivivere gli splendori del passato.

Nel 1901 il convento venne occupato dai Certosini di Montrieux (tra Marsiglia e Tolone) che vi rimarranno fino al 1937 quando la Cervara venne acquistata dai conti Trossi. Venne dichiarata monumento nazionale nel 1912.

 

Successivamente, i Padri Somaschi vendettero la Cervara a un gruppo di Certosini provenienti dalla Francia: i nuovi monaci ebbero gran cura dell’abbazia e anche del suo giardino, ma furono costretti a vendere nel 1937, anno in cui la Cervara fu definitivamente destinata a dimora privata.

Nel 1990 venne acquistata dall’attuale proprietà e divenne oggetto di consistenti lavori di restauro portati avanti con la supervisione della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici della Liguria.
Il complesso è circondato da un incantevole giardino monumentale, anticamente orto dei monaci, esteso su due livelli, entrato a far parte del circuito dei grandi Giardini Italiani.
Oggi la Cervara è sede di rilevanti eventi culturali. E’ inoltre possibile organizzarvi riunioni, feste, incontri di lavoro e ogni altro tipo di evento.

LA TORRE SARACENA


La Cervara diventa Abbazia nel 1546: in seguito a violenti attacchi viene fortificata con torri di difesa e subisce notevoli trasformazioni architettoniche, fra cui la costruzione dei chiostri.

“Una prigione niente male”. Deve aver pensato re Francesco I di Francia quando, sconfitto a Pavia nel 1525 dalle truppe di Carlo V di Spagna fu costretto alla prigionia nella piccola torre a strapiombo sul mare dell’Abbazia di Cervara. E' questo, infatti, uno dei panorami più belli sulla baia di Portofino, un punto strategico da cui un tempo si scrutava il mare per difendersi dai possibili attacchi dei nemici e da cui oggi guardano alcune delle camere che fanno della Certosa una romantica maison de charme”.

I GIARDINO DEL COMPLESSO DELLA CERVARA

Nato come hortus di un’Abbazia benedettina, possiede uno dei rari giardini monumentali in Liguria, con pergole e terrazze a picco sul mare di Portofino. Tra le rarità botaniche un secolare albero del pepe e un glicine viola pluricentenario.

Il giardino de La Cervara rappresenta l’unico giardino storico in Liguria che si affaccia sul mediterraneo ed ha una struttura all’italiana. Di solito un giardino non è mai situato direttamente a picco sul mare, poiché i fiori e le piante sono danneggiati dalla salsedine. Invece il giardino all’italiana del complesso della Cervara, fiorisce splendido sul mare del Tigullio. Visitando ogni suo angolo si ha la netta sensazione di essere circondati dal mare ma sempre immersi in un’oasi di verde unica e originale.


Giardino all’italiana visto da un’altra prospettiva


In questa immagine ripresa da un drone, il complesso abbaziale svela anche i suoi segreti architettonici visti dalla prospettiva collinare.

Nella parte a monte, si trova un altro giardino, ricavato da un terreno una volta coltivato a fasce, da dove si perde la vista del giardino monumentale, ma non quella del mare, e si guadagna la cornice della caratteristica macchia mediterranea: l'antico bosco mediterraneo è pieno di aromi e di fruscii. Il leccio domina incontrastato nella macchia, il pino d’Aleppo, il lentisco, il viburno, il corbezzolo e tutte le altre essenze gli fanno corona. Ognuno si è ritagliato una nicchia nella quale prospera e fiorisce. Sempre nella parte rivolta verso il monte, è stato mantenuto il tradizionale orto in cui i monaci, fin dal medioevo coltivavano i "semplici" (varietà vegetali con virtù medicamentose), piante officinali ed erbe aromatiche del promontorio di Portofino; basse siepi di bosso riquadrano particelle che alternano tali coltivazioni a rari esemplari di agrumi in vasi di cotto, come era tradizione nelle abbazie.

Una porzione del giardino in cui sono coltivati, tra gli altri, il cedro pane, il limone ritorto, il limone fiorentino, il bergamotto, il chinotto, l’arancio amaro, il pompelmo, il calamondino variegato, il nadarino cinese o Nagami, la fortunella ovale, e le “mani di Buddha”.


(sopra e sotto) La statua del putto



Il giardino dei semplici


LA STATUA DEL PUTTO

Intorno al giardino e all'edificio principale, terrazze e giardini si alternano incorniciati da pergole, colonne dipinte o di mattone, piante rare e fioriture eccezionali che si rubano l'attenzione a seconda della stagione: una ombreggiata corte prende il nome da una ultra secolare e di dimensioni monumentali pianta di glicine. Le colonne del giardino superiore sono interamente ricoperte da gelsomino profumato la bougainvillea, i rari caperi rosa, la bigonia, l’uva, l'albero del pepe rosa, le camelie, le rose, le ortensie, le sterilizie e diverse altre specie.

Il giardino "dei Semplici" e quello "delle Esperidi"

Il giardino delle Esperidi è un luogo leggendario della mitologia greca. Era stato donato da Gea a Zeus che, a sua volta, lo aveva dato ad Era come regalo nuziale ed in esso cresceva un melo dai frutti d'oro che era custodito dal drago Ladone e dalle tre Esperidi.

Nell’Eden in cui siamo immersi, la vita brulica di esseri grandi e piccoli: dalla rara splendida farfalla Charaxes jausius che si nutre solo delle foglie dell’Arbutus unedo, all’upupa schiamazzante,  dell’Arbutus unedo, ad una schiera di altri svariati uccelli presenti, ma assolutamente invisibili. S'intravedono le tracce della volpe e quelle inequivocabili del cinghiale.

 






… angoli di paradiso…


… quando anche i profumi si sposano…





… senza parole…



LA CERVARA OGGI

Il progetto di recupero

Nel 1990 Gianenrico Mapelli acquista l'abbazia e dà inizio ad un’opera di restauro senza precedenti che restituisce al monastero la sua antica bellezza. Grazie alla Cooperativa Arti e Mestieri, ogni prima e terza domenica del mese è possibile visitare questa splendida abbazia e suoi giardini all'italiana. La visita, guidata da storici dell'arte, inizia dal seicentesco portale, da dove è possibile godere di un panorama che abbraccia tutto il Golfo del Tigullio. Dal cortile, con la cinquecentesca torre di difesa assai simile a quella dell'abbazia di San Fruttuoso di Camogli, si raggiunge il chiostro inferiore e la cappella, passando per la porticina dei monaci. Ad accompagnare questa parte della visita c'è un sottofondo di musica sacra che ci rimanda ad atmosfere lontane di vita quotidiana dei monaci. Splendido il giardino superiore, formato da 60 pilastri ricoperti da gelsomini e buganvillee. Inoltre, è possibile visitare la nuova "sala della colonna", un ambiente sotterraneo, forse antica cripta o primitiva fondazione monastica che ospiterà l'archivio storico del monastero.
Suite rifinite con tessuti pregiati, pavimenti in ardesia o legno e mobili antichi, ricavate oltre che nella Torre Saracena nel corpo centrale dell'Abbazia. Ambienti dove si respirano tutti i sette secoli di storia de La Cervara.

Dal cortile, con la cinquecentesca torre di difesa assai simile a quella dell'Abbazia di San Fruttuoso di Camogli, si raggiunge il chiostro inferiore e la cappella, passando per la porticina dei monaci. Bello il giardino superiore, formato da 60 pilastri ricoperti da gelsomini e buganvillee. E' possibile anche visitare la nuova "sala della colonna", un ambiente sotterraneo, forse antica cripta o primitiva fondazione monastica che ospiterà l'archivio storico del monastero.

I lavori condotti alla Cervara, dichiarato Monumento Regionale della Liguria nel 1996, si sono svolti sotto la supervisione della Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici, che si sono avvalsi dell'intervento di Pinin Brambilla Barcilon, la celebre restauratrice del Cenacolo di Leonardo.

Per chi desiderasse ammirare questi capolavori dell'uomo e della natura, la Cervara apre le porte al pubblico durante la bella stagione, da marzo a ottobre, prima e terza domenica del mese alle 10.00, alle 11.00 e alle 12.00, offrendo ai visitatori l'opportunità di esplorarla su prenotazione attraverso interessanti visite guidate che portano alla scoperta dei suoi angoli più belli. Fiore all'occhiello dell'elegante complesso panoramico è proprio il giardino monumentale. Un magnifico spazio verde su due livelli collegati da una rete di pergole e gradini di raccordo. Non è affatto un caso se nel 2012 La Cervara è stata insignita del primo premio Grandi Giardini Italiani per il più alto livello di manutenzione, buon governo e cura di un giardino visitabile. Grazie alla realizzazione di una nuova terrazza dedicata, la massiccia opera di restauro ha saputo valorizzare a pieno il sistema di terrazze esistenti ed il prezioso glicine monumentale. E grazie al contributo di un gruppo di stagisti della Fondazione Minoprio il giardino è stato arricchito di una importante collezione di piante mediterranee.


ULTERIORI ISTRUZIONI PER LA VISITA DELLA ABBAZIA

Una guida della Regione Liguria ti accompagnerà a scoprire i segreti del giardino e dell’Abbazia della Cervara.

Le visite guidate sono alle ore 10.00, 11.00 e 12.00

Puoi prenotare anche chiamando il Numero verde 800-652110 oppure inviando una mail a visite@cervara.it

Visite guidate istituzionali

Biglietto intero Euro 12,00 | Biglietto ridotto Euro 10,00 (aderenti Fai, Touring Club e over 65)
Biglietto omaggio per i ragazzi sotto i 14 anni (accompagnati da un adulto).

Le visite alla Cervara si tengono sempre, da marzo a ottobre, la prima e la terza domenica del mese. Calendario delle visite guidate: http://www.cervara.it/visite/calendario-sante-messe-e-visite-guidate?mc_cid=1bcb614f39&mc_eid=bf942c865c

Gruppi

Con un minimo di 30 persone e prenotazione obbligatoria, è possibile visitare l’Abbazia ogni giorno dell’anno accompagnati da guide accreditate anche in lingua inglese, tedesca, spagnola e francese.
È inoltre possibile far seguire alle visite un aperitivo o un pranzo a buffet.

La Cervara - Una gita a - L'abbazia di Cervara https://www.giardinaggio.it/giardinaggio/una-gita-a/la-cervara.asp#ixzz6AqPnlp9H

 

Bibliografia

 

Guida d’Italia – Liguria – Touring Club Italiano

LIGURIAN GARDENS

Fiori di Liguria – G.Nicolini – A.Moreschi

Musei di Genova

Città Metropolitana – Fuori Genova

Genovagando furiporta

Associazioni Albergatori

Wikipedia

Visite Guidate all’abbazia della Cervara

FlorArte

Turismo.it

Turismo in Liguria

Mondointasca – Turismo e cultura del viaggiare

Tigullio news

VANITY FAIR

La maggiorana – Persa

Protagonisti alla Cervara

 

CARLO GATTI

Rapallo, 15 Gennaio 2020

 

 

 

 

 

 

 


LA DARSENA CUORE ANTICO DI GENOVA

LA DARSENA

CUORE ANTICO DI GENOVA

UN PO' DI STORIA

L’aspetto originario del porto è quello coincidente col naturale bacino (oggi cuore del Porto Antico) che risale al all’epoca del Comune, con l’istituzione dei Consoli del Mare, che sovrintendevano al corretto svolgimento di tutte le attività portuali ivi comprese le opere di manutenzione e ampliamento delle infrastrutture.

Il secolo XII vede l’espansione dei commerci genovesi nel Mediterraneo e la città diviene punto di smistamento del traffico di merci di lusso che arrivano dall’Oriente e dalle Fiandre, traffico che genera attività finanziarie e bancarie che nel volgere del tempo vedranno i banchieri genovesi protagonisti in Europa.

Il bottino di guerra derivante dalla sconfitta dell’acerrima nemica Pisa permette poi, sul finire del secolo, la realizzazione della darsena, con l’Arsenale per le costruzioni navali e il rimessaggio, e due bacini: uno destinato alla flotta di galee e l’altro al traffico del vino. Intanto, nel 1260, davanti a SOTTORIPA, viene completato il Palazzo del Mare, sede del Comune. Quello che oggi conosciamo come Palazzo San Giorgio sede dell’Autorità Portuale e che nel ‘400 ospitò l’antesignano di tutti i moderni sistemi bancari, il Banco di S. Giorgio.

Ai primi del ‘300 risale la costruzione della LANTERNA come la conosciamo noi oggi, anche se sappiamo dalle fonti che fin dal 1128 esiste una torre atta all’avvistamento di navi all’orizzonte e già dal 1161 le navi dirette in porto sono tenute a pagare un dazio per il servizio di segnalazione luminosa del faro.

La zona interna al molo vecchio è destinata all’attracco delle imbarcazioni minori e dal loro affollamento simile a quello di una mandria deriva il nome del luogo, detto Mandraccio.

Il nome "mandracchio" deriva dal lat. "mandra", “recinto, ricettacolo” e suo diminutivo lat. "mandraculum", spazio organizzato per non ingombrare e per occupare il minore spazio possibile. In greco esiste la voce corrispondente, mandràki (μανδράκι), prestito mediterraneo come altre parole comuni a varie culture del mare. Otre che ad indicare il mandracchio di Rodi, è anche nome proprio di due centri costieri: Mandràki Nisyrou (Μανδράκι Νισύρου), nell'isola di Nisiro, nel Dodecaneso, e Mandràki Serròn (Μανδράκι Σερρών), nell'unità di Serres, in Macedonia Centrale.

Vi erano altresì numerosi piccoli pontili, ma specialmente ritroviamo nell'iconografia la presenza di tre bacini separati da piccoli moli: la Darsena delle barche o del vino, cioè l'approdo del commercio di cabotaggio; la Darsena delle galere, rifugio delle navi mercantili e da guerra; l'Arsenale o Darsinale, luogo di costruzione delle galere e di deposito del loro armamento. Essi furono costruiti, secondo la tradizione, utilizzando diecimila marchi d'argento del bottino di guerra ottenuto contro i Pisani nella battaglia della Meloria (1284), e successivamente circondati da torri merlate e da mura (1312). Per secoli questi spazi e gli edifici esistenti su di essi hanno identificato il lato tecnico operativo, in chiave marinaresca, dapprima, nel Medioevo, di una politica di espansione commerciale e militare finalizzata alla costruzione di un impero coloniale tra i più importanti del Mediterraneo; successivamente, in Età moderna, della difesa dei confini operativi conquistati, commerciali e finanziari questa volta, con la scelta della neutralità e le arti della diplomazia.

La struttura portuale rimane invariata nei suoi aspetti fondamentali fino al Cinquecento inoltrato: gli interventi maggiori riguardano il Molo (corredato di un faro minore), che viene a più riprese ingrandito fino al 1553, quando a coronamento dei suoi 490 metri di lunghezza viene posta la Porta del Molo (o Porta Siberia) progettata da Galeazzo Alessi. I sei ponti perpendicolari alla Ripa Maris, cioè alla riva, prendono il nome dal tipo di merce che vi si scarica oppure dalle famiglie che hanno residenza nelle vicinanze: in origine interamente in legno, vengono ricostruiti in pietra a partire dal ‘400, contemporaneamente al progressivo potenziamento della darsena e all’escavazione del fondale per permettere l’attracco delle imbarcazioni man mano sempre più grandi.

A conferma dell’importanza del porto per la città, i Padri del Comune, già dal 1363, venivano nominati anche Salvatores Portus et Moduli, cioè Conservatori del Porto e del Molo, con responsabilità dirette nell’amministrazione portuale, dotati di poteri speciali e individuati in base a precise competenze tecniche.

La Darsena, "CUORE" della storia di Genova

Un grande spazio all'interno di quella che ora viene denominata area del Porto Antico era un tempo occupato da importanti infrastrutture al servizio del porto della città capitale della Repubblica di Genova. Vi si trovava il Molo vecchio, la struttura portante dell'approdo, caratterizzato dalla presenza dei "noraxi", cioè le grosse colonne, di marmo o di pietra di Promontorio, a cui le navi legavano gli ormeggi; da un faro, più piccolo della grande Lanterna, che chiudeva invece il bacino ad occidente; da "cannoni", cioè tubature che portavano l'acqua alle navi ancorate.

 


 

Sulla sinistra le arcate vecchie per le galee – Cristoforo Grassi Veduta di Genova particolare .

 


Dalle fonti sappiamo che era nato originariamente come uno degli spazi dell’Arsenale genovese per costruire o per tenere in manutenzione le galee della Repubblica di Genova.

L’edificio, che aveva il nome di Acate Nuove, si contrapponeva alle Arcate Vecchie costruite lungo la riva del mare, lo spazio che si trova tra il museo e la sopraelevata. Le Arcate Vecchie erano una quindicina di scali, disposti a pettine lunghi 50 metri, larghi 8, alte tra i 10 e i 15 metri. Qui le galee venivano costruite e poi scivolando sui tronchi, varate in mare.

Le Arcate Nuove invece, risalgono alla seconda metà del XVI secolo. La Repubblica decide di aumentare il numero di galee della sua flotta, per essere competitiva sul Mediterraneo. Alte e ampie arcate sono progettate per poter costruire e ospitare e al chiuso galee di grandi dimensioni.

 


Quando però nel ‘600 i lavori sono completati, le situazioni economiche e politiche mutano e le galee della Repubblica diminuiscono: da 25 passano a 15.

Di conseguenza anche gli edifici vengono modificati per avere utilizzi differenti. Le arcate alte nell’800 fanno posto a un edificio di tre piani e diventa magazzino della Dogana. L’area sul dock viene attrezzata allo scopo di carico, scarico e magazzino: gru, binari, scambi ferroviari, che vediamo ancora oggi.

L’edificio viene abbellito da un rivestimento neoclassico, con un torrino sulla facciata e la torre, che vediamo ancora. È in questo periodo che le “Arcate Nuove” prendono il nome di Galata.

Alla caduta della Repubblica Genovese, nel 1797, la Darsena è completamente militarizzata e così rimane, dopo l'annessione al Regno Sardo, fin dopo la metà dell'Ottocento. Durante questo periodo è interrato lo spazio acqueo dell'Arsenale e viene costruito un bacino di carenaggio, per altro ancora oggi esistente, al posto dell'ex bacino delle barche. Bisogna attendere il 1870, con la cessione dal Governo al Comune, perché abbia inizio la trasformazione della Darsena in emporio commerciale.

 

L’antica Darsena

 

Calata Simone Vignoso. Notare sullo sfondo gli alberi dei velieri ormeggiati alle “calate Interne”. Sulla sinistra il celebre PONTE REALE che permetteva agli armatori di scendere direttamente in porto.

 

1916 - Darsena e Ponte Reale

 


 

Darsena fine ’88 – Calata Simone Vignoso

 

Questa foto mostra la Darsena con un grande orologio sopra lo stemma del Comune di Genova.


Quattro navi ormeggiate in Darsena: due a Calata Ansaldo De Mari (calata Orologio)  ed altre due a Calata Andalò Di Negro. Una selva di maone sono sotto carico o in attesa.

 

Porto Vecchio - Genova, primi '900


Chi scrive ricorda d’aver ormeggiato in Darsena (al Cembalo) navi lunghe circa 100 mt. fino alla fine degli Anni ’70.

 

Darsena - Magazzini Interni

Preziosa foto dei CADRAI che si apprestano alla distribuzione del pasto di mezzogiorno a diverse categorie di portuali, ma soprattutto alle navi in porto.

Uno dei tanti “Maciste” dell’epoca…

 

Traffico intenso alla Darsena


Calata Ansaldo De Mari

I grandi depositi merci della Darsena

La Darsena fece muro contro l’ondata dei containers fino al 1970, poi andò in disarmo insieme alle sue romantiche navette e, da quel giorno, l’intera zona si consolò con il Diporto. Oggi le sue banchine ospitano il Museo Galata, il sommergibile Nazario Sauro e altre importanti realtà culturali, ma, a quell’antica gente del porto, le calate Orologio, De Mari, Andalò Di Negro e Cembalo parlano ancora di duro lavoro in allegria e di gioventù vissuta in un ghetto dorato, tra tanta merce orientale che, in piccola parte, brilla ancora sui marmi lucidi di tanti comò genovesi…

In un fondaco della Darsena arrivava lo stokke direttamente dalla Norvegia, e in quella tana buia e salmastra, Gian e Charly lo scambiavano con alcune stecche di “bionde americane” che volavano impunite tra bordi, banchine e caruggi aggirando varchi e presidi spesso consenzienti…

Qui, al riparo da tutte le ansie e dai segugi della Finanza, Zanna, cugino di Gian ed eccellente velista dalle mani d’acciaio, faceva il “punto nave” dell’Italia de lungu in crisi e, a mezzogiorno li portava da Pino u frisciolà per un pieno di profumi e specialità genovesi. Era il regno del puro vernacolo celebrato in compagnia dei barillai, ligaballe, carenanti e camalli con gli inseparabili ganci appesi dietro le braghe.

Magazzini e depositi del Porto Franco in Darsena

Dopo l'acquisto della Darsena il Comune predispone infatti un progetto generale di sistemazione (1889) che prevede la costruzione di altri edifici a più piani ad uso magazzino accanto al Famagosta e al Galata, già parte dell'antico Arsenale: il primo costeggiava via Carlo Alberto (l'attuale via Gramsci); il secondo si affacciava sulla calata Ansaldo De Mari ed è stato per lungo tempo adibito a sezione di Deposito franco, utilizzando per la manodopera la Compagnia dei Caravana (di cui ci siamo già occupati su questo sito).

Scena di vita portuale lungo il banchinato di marmo

 

Anni '50


I nuovi "quartieri" (la denominazione deriva dall'antico Portofranco), anch'essi col nome delle antiche colonie genovesi (
Caffa, Metelino, Cembalo, Tabarca e Scio) vengono terminati tra il 1895 e il 1898. Nel ventennio tra il 1879 ed il 1898, la Darsena è destinata, in tutto il suo coordinato complesso, al ricevimento, smistamento e immagazzinamento dei salumi in particolare e dei viveri in generale. Le merci provenivano dai porti nazionali, soprattutto dalla Sicilia e dalla Sardegna, e dai porti della Tunisia, dell'Algeria e del Portogallo; il baccalà arrivava direttamente dai luoghi di pesca e dai porti norvegesi, danesi, tedeschi, svedesi, islandesi. Al 1898 risale, come si è detto, la costruzione del quartiere Scio, il più grande, posto verso il mare, che utilizza, quale sedime del fronte longitudinale a settentrione, parte del molo cinquecentesco che delimitava il bacino dell'Arsenale. Sulla stessa linea di fronte mare il Cembalo, l'unico quartiere della Darsena servito da due gru di banchina atte allo sbarco delle merci a magazzino, adibito successivamente, nel 1916, a "frigorifero", con ventiquattro celle.


I celebri Caravana

 

I carbunin

Altra figura storica, diversa naturalmente ma non per questo meno importante, è quella del camallo, ossia lo scaricatore portuale, legata imprescindibilmente alla storia del porto fin dai suoi albori. L’organizzazione dei camalli in squadre affonda le radici in tempi remoti: l’atto di nascita della Compagnia dei Caravana, prima associazione di lavoratori portuali, risale al 1340, e si distingue fin da subito per le esclusive che riesce ad ottenere dal Comune riguardo lo scarico delle merci, nonché per le sue caratteristiche di mutuo soccorso, codificate nello Statuto, che prevedono il versamento di una quota del salario dell’associato nelle casse sociali, destinate all’assistenza dei malati e alle esequie di ciascun compagno.

LA DARSENA OGGI

Una nave museo a Genova - Il sottomarino NAZARIO SAURO (S 518)

Calata Ansaldo de Mari, entrata del GALATA MUSEO DEL MARE

 

PROGRAMMA DI RIQUALIFICAZIONE


 

ENTRATA IN DARSENA 1950 – IN GRAMSCI E QUARTIERE FAMAGOSTA

Il Programma di Riqualificazione Urbana della Darsena, area a mare di via Gramsci, ma appartenente al "Centro Storico", ha avuto inizio nel 1998 con la stipula dell’Accordo di programma.


Zona Darsena - L’ambito di intervento è la Darsena comunale, un’area di circa 10.000 metri quadri situata nel porto vecchio della città, sul fronte a mare del centro storico, caratterizzata da un insieme di edifici originati nell’antico nucleo dell’Arsenale al servizio del porto. La zona, che nel corso dei secoli è stata continuamente sottoposta a trasformazioni dettate dalle mutate esigenze della città e del porto, in tempi più recenti, venuta meno la funzione portuale a emporio commerciale:

-Con l’insediamento della Facoltà Universitaria di Economia e Commercio nel quartiere Scio e del Museo del Mare nell’edificio Galata, ha assunto un nuovo ruolo urbano connesso al processo di riconversione dell’intero porto storico e recupero dei quartieri Caffa e Metellino.

-Nei magazzini di calata Darsena ha sede l’Istituto Tecnico Nautico di Genova, antica scuola istituita nel 1816 da Vittorio Emanuele I e ancor oggi centro d’avanguardia per la formazione marinara.

-Davanti al Galata si trova la Urban Lab, una chiatta-laboratorio-urbanistico galleggiante, lunga 27 metri, disegnata da Renzo Piano per accogliere il team internazionale di architetti e urbanisti impegnati nel definire le linee del nuovo piano regolatore della città.

-La sistemazione della viabilità pedonale a livello banchina, con la realizzazione di una passeggiata in calata Simone Vignoso e calata Ansaldo De Mari.

-Il recupero di posti auto pubblici.

-La sistemazione della viabilità.

-Il restauro della pavimentazione di calata Dinegro.

-La demolizione e ricostruzione dell’edificio a ponente del bacino di carenaggio denominato "Bacinetto" (in via di progettazione esecutiva).

-La demolizione del quartiere Famagosta con recupero di posti auto.

-La manutenzione straordinaria del quartiere Tabarca.

-La realizzazione di una scuola materna nella nuova struttura edilizia e residenziale del quartiere Cembalo con recupero di spazi commerciali e artigianali.

Mappa della Darsena con i nomi storici delle sue Calate

Ricapitolando, il complesso architettonico della Darsena è stato ricostruito nel 1895 inglobando gli antichi arsenali della Repubblica e adibito allo smistamento e all’immagazzinamento dei viveri provenienti dai porti nazionali e internazionali. Nell’ambito del progetto di riqualificazione del water front della città, l’intera area è stata ridisegnata dagli architetti Enrico Bona e Guillermo Vázquez Consuegra e destinata a nuove funzioni.

Il Programma di Riqualificazione Urbana della Darsena, area a mare di via Gramsci, ma appartenente al "Centro Storico", ha avuto inizio nel 1998 con la stipula dell’Accordo di programma.

Edificio CEMBALO

Calata Andalò di Negro


Darsena - La conclusione dei lavori, il cui costo complessivo è pari a quasi 15 milioni di euro (7 milioni dei quali di provenienza pubblica), in un primo tempo prevista nel mese di novembre 2002, è stata poi prorogata dal Ministero delle Infrastrutture sino al 31/12/2011.

IL CEMBALO

VEDUTA AEREA -

Nonostante la sua quasi completa trasformazione funzionale vengono conservati intatti il prospetto verso la città e le strutture in muratura, travi di ferro e voltine in mattoni del piano terra, a testimonianza delle tecnologie costruttive caratterizzanti la vecchia darsena di Genova, testimonianza arricchitasi nel corso dei lavori grazie al ritrovamento di antichi paramenti murari sotto il sedime dell’edificio, di cui si è mantenuta la visibilità attraverso le finestre che dai pavimenti del piano terra si affacciano sul molo medievale.

L’edificio CEMBALO

IL NAZARIO SAURO E' ARRIVATO A GENOVA

IL 18 SETTEMBRE 2009


È arrivato in porto a Genova il Nazario Sauro, il sottomarino che sarà musealizzato in acqua, primo in Italia, dal Galata-Museo del Mare.

Il direttore del museo, Pierangelo Campodonico, che ha effettuato il viaggio a bordo del Nazario Sauro, ha ricordato i caduti di Kabul prima di ringraziare la Marina Militare e Fincantieri che, con il museo genovese, hanno portato a termine l’operazione. Il sottomarino, scortato da una motovedetta della Capitaneria di Porto di Genova, verrà portato ai Cantieri Mariotti per gli ultimi ritocchi e poi sarà trasferito nella darsena davanti al Galata per la collocazione definitiva.

9 agosto 2019

– ultime novità –

Presentato il progetto di riorganizzazione che include pescatori, diving center, museo del mare e rimorchiatori riuniti

La nuova sistemazione è stata presentata questa mattina a Calata Vignoso, negli spazi del mercato dei pescatori a km-0 dal sindaco Marco Bucci e dall’assessore all’Urbanistica Simonetta Cenci. Il progetto è stato elaborato e condiviso con la sovrintendenza e i soggetti che ne saranno protagonisti, gli operatori del settore marittimo (Rimorchiatori Riuniti, pescatori, diving center, Galata Museo del Mare).

Gli spazi della Darsena che verranno rinnovati riguardano le Calate Andalò Dinegro, De Mari, Simone Vignoso e il Bacinetto. Tra gli aspetti del piano di sistemazione:

- lo spostamento della chiatta Fincantieri in altra zona del porto antico.

- Quello delle barche dei diving sul lato sud della Darsena in modo da creare, sulla banchina di fronte al museo del mare un’esposizione galleggiante di imbarcazioni storiche.

- I pescatori avranno un chiosco, chiamato “fish lab”, dove potranno tenere laboratori di cucina e altre iniziative, inoltre faranno costruire delle strutture apposite dove tenere le reti oggi ammassate sulla banchina.

- Altra novità è l’apertura al pubblico del molo che circonda il “bacinetto”, il bacino di carenaggio di Rimorchiatori Riuniti.

- L’obbiettivo dell’amministrazione è completare il progetto di risistemazione entro il prossimo mese di marzo.

-SUBACQUEI - La ditta Arco 89 Diving and Sailing Services, operante nel settore dei lavori subacquei ha trovato giusta permanenza in Darsena. Ma la sede è stata spostata al Cembalo e dotata di pontili galleggianti sistemati in prossimità di Calata Andalò Dinegro, tra le imbarcazioni dell’Istituto Nautico e quelle della Polizia di Stato. I nuovi pontili saranno analoghi a quelli già esistenti per quanto riguarda l’uso di materiali, colori e tipo costruttivo in modo da rendere, anche in questo caso, l’intervento coerente con il contesto di appartenenza.

BARCHE STORICHE E MUSEO DEL MARE


Il progetto di riordino prevede lo spostamento della chiatta, oggi davanti al Museo del Mare e ancorata alla Calata De Mari, che ospita l’associazione “Dialogo nel buio” al fine di collocarla in una parte dello specchio acqueo del Porto Antico. La nuova ubicazione consentirà una maggiore visibilità con una condivisione dei visitatori migliorando la sinergia con il sistema di bigliettazione Acquario Village di cui “Dialogo nel buio” fa par
te.

GIOCHI BAMBINI E INSTALLAZIONE "BEFORE I DIE"

A Calata De Mari verranno ormeggiate le imbarcazioni storiche al fine di portare a compimento la valorizzazione dell’area in assonanza con il già presente sottomarino “Nazario Sauro” in modo da creare un polo turistico attrattivo antistante il Museo del Mare.

Nelle aree attigue a Calata De Mari, il progetto prevede il trasferimento dell’area giochi bambini in area limitrofa al Museo del Mare in modo da garantire maggiore protezione e sicurezza per i bambini.
In modo analogo a quanto già proposto in molte capitali europee con il progetto Before I Die, verrà realizzata un’installazione temporanea costituita da un allestimento di una parete sul lato del depuratore con funzione di ”lavagna” sulla quale i passanti, invitati a fermarsi e concedersi un attimo per riflettere, potranno scrivere con gessetti colorati un desiderio che vorrebbero realizzare prima di non poterlo più fare o solo lasciare un messaggio….”before I die”.

CHIOSCO FISH LAB PER LA PROMOZIONE ITTICA

 

Al lato sud-est di Calata Simone Vignoso, il progetto elaborato da un professionista genovese prevede l’inserimento di un manufatto destinato alla creazione di un chiosco Fish-lab in uso a membri dell’Associazione Pescatori Liguri per la lavorazione e la somministrazione dei prodotti del pescato. La forma, le dimensioni, i materiali e le cromie del chiosco riprenderanno e si accorderanno sia con quelli del chiosco già esistente sul lato opposto della Calata, sia del Mercato Ittico.
Il manufatto sarà utilizzato sia per la trasformazione dei prodotti pescati, in particolare per la stagionatura, marinatura ed altre lavorazioni delle acciughe, sia per la somministrazione.
La struttura consentirà di assistere all’attività, fortemente radicata nella cultura degli abitanti del versante marittimo della Liguria, di lavorazione e preparazione delle acciughe, prodotto di antichissima tradizione, e rappresenterà un’attrattiva per i molti turisti e cittadini che frequenteranno la zona della Darsena. Al fine di riqualificare lo spazio pubblico e rendere compatibile la presenza storica dei pescatori e della loro attività con la generale fruizione turistica e di vivibilità della Darsena è prevista l’installazione lungo banchina di alcuni porta reti da pesca, realizzati appositamente e grazie al supporto di RR.

RIMORCHIATORI RIUNITI PORTO DI GENOVA S.R.L. AL BACINETTO


Il progetto prevede la rimozione della chiatta ancorata alla banchina posta in prossimità al bacino di carenaggio della Darsena Vecchia (Bacinetto) che verrà riqualificata e delocalizzata per lasciare posto ad un nuovo attracco dei RR.
Nel Bacinetto, oggi destinato al carenaggio e refitting dei rimorchiatori e delle imbarcazioni private, vengono svolte attività cantieristiche secondo operazioni antiche ancor oggi tradizionalmente in uso.
In particolare la manovra di inversione con tonneggio dei natanti per il posizionamento e la messa in galleggiamento con uscita vengono svolte manualmente da operatori e sommozzatori con una tecnica antica di particolare aspetto scenografico.
Recentemente è stata autorizzata la posa in opera di cartellonistica dedicata che illustra la storia del Bacinetto e delle operazioni che ancor oggi vengono svolte e così divulgate ai frequentatori del Bacinetto attratti dall’antico saper fare genovese in mare.
Il Molo antico verrà riqualificato rimuovendo le incongrue finiture oggi presenti che verranno sostituite con la posa di pavimentazioni possibilmente riutilizzando materiali antichi. Inoltre, verranno installate bitte, colonnine di servizio e parabordi a protezione degli ormeggi.
Il molo potrà essere reso fruibile con visite guidate compatibilmente con le esigenze di sicurezza.

Carlo GATTI

 

Rapallo, 30 Ottobre 2019

FONTI

-      PALAZZO S.GIORGIO: Archivio Storico (1903-1945)

-      UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI GENOVA: La Darsena del porto di Genova

-      GALATA Museo del Mare

-      Guida di Genova.itComune di Genova: La nuova sistemazione della Darsena    Municipale. Un museo a cielo aperto del saper fare genovese in mare

-      Porto di Genova storia e attualità Copertina rigida – 1977 – di E.Poleggi e G.Timossi Il Porto visto dai fotografi - 1886-1969

-      Il Porto visto dai fotografi: Genova 1886 – 1969 – SILVANA EDITORIALE

-      Telenord: Vecchia Darsena di Genova, parte la rigenerazione…

-      Mentelocale Genova: … come sarà la nuova Darsena…

-      GenovaToday: Darsena di Genova, al via progetto di riqualificazione

-      Porto di Genova storia e attualità Copertina rigida – 1977 – di E.Poleggi e G.Timossi Il Porto visto dai fotografi - 1886-1969

-      Il Porto visto dai fotografi: Genova 1886 – 1969 – SILVANA EDITORIALE

 


KRUZENSHTERN - Una vera Tall-Ship

UNA VERA TALL SHIP

KRUZENSHTERN


DATI PRINCIPALI

Numero IMO: 6822979 - Nome dell'imbarcazione: KRUZENSHTERN (Sailing Vessel - Bandiera: Russia - Gross Tonnage:3.141 ton - Lunghezza: 115 mt. Larghezza: 14 mt.

Come KRUZENSHTERN

Il 12 gennaio 1946 fu consegnata all’URSS e integrata nella flotta baltica della marina sovietica. Rimase attraccata nel porto di Kronstadt fino al 1961, subendo importanti lavori di riparazione ed un completo riallestimento, comprendente anche l'installazione dei suoi primi motori, finalizzato a rendere la nave adatta ad effettuare missioni per il dipartimento idrografico della marina sovietica. Dal 1961 al 1965 intraprese numerose ricerche idrografiche e oceanografiche per l’ACCADEMIA delle scienze dell’URSS nell’Oceano Atlantico, ai Caraibi e nel Mediterraneo,  e fu utilizzata come nave da addestramento per i cadetti navali. Nel 1965 fu trasferita al Ministero della Pesca dell'URSS a Riga per essere utilizzata come nave scuola per futuri ufficiali di pesca.

Dal 1968 al 1972 ha avuto luogo un altro importante ammodernamento: sono stati installati i due attuali motori Diesel da 1000 CV l'uno, e lo scafo è stato riverniciato secondo l'attuale schema cromatico, nero con un'ampia striscia bianca.

Nel gennaio 1981 la nave fu trasferita all'"Industria della pesca estone" a Tallin,  e nel 1991 entrò a far parte della flotta "Accademia statale del Baltico della pesca", con porto di origine a Kaliningrad.

La Kruzenshtern ha partecipato a molte regate internazionali, dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica trasportando anche passeggeri per coprire i costi delle traversate. Ha compiuto una circumnavigazione del globo nel 1995-1996, e nuovamente nel 2005-2006.

Il 23 giugno 2009 mentre si trovava in viaggio verso Charleston, l’albero di trinchetto fu danneggiato, spezzandosi a causa di una violenta tempesta al largo delle Bermuda.

Oggi ben poco é rimasto di quella singolare epopea velica, legata ai ricordi di quei trasporti commerciali. Per fortuna, grazie alle donazioni di alcuni speciali Armatori nordici, citiamo fra tutti Gustaf Erikson, possiamo ancora ammirare nel loro antico splendore alcune navi a palo che galleggiano solitarie, fuori dal tempo, e sono in perfetta “good shape”.

Una di queste é il veliero Kruzenstern, una delle poche unità che può vantare, con orgoglio, il nobile pedegree di vera nave da trasporto commerciale. L’anziano veliero regge ancora magnificamente il confronto con le giovani Tall-Ships del nuovo millennio, non solo sul piano estetico, ma anche su quello della velocità.

La Kruzenshtern è un veliero a quattro alberi, costruito nel 1926 a Geestemünde, nella città di Bremenrhaven, in Germania, varato originariamente come Padua (dal nome della città italiana). Fu ceduta all'URSS nel 1946 come riparazione di guerra e ribattezzata con l'attuale denominazione in onore dell'esploratore Adam Johann von Kruzenstern (1770-1846). Attualmente presta servizio come nave scuola per la Marina militare russa.

È una delle quattro Flying P-Liner* ancora esistenti (delle oltre 100 costruite), l'unica ancora in servizio; quando non è impegnata in campagne di addestramento si trova ormeggiata nel porto di Kaliningrad o in quello di Murmansk.  Dopo la Sedov, un'altra ex nave tedesca, è la più grande nave a vela tradizionale ancora in funzione.

* Le Flying P-Liner erano grandi navi a vela appartenenti alla compagnia di trasporti marittimi F. Laeisz di Amburgo. Il nome deriva dal fatto che avevano tutte un nome iniziante con la lettera P.

EX PADUA

Varata nel 1926 come ultimo esemplare dei P-Liners, la PADUA fu commissionata come nave da carico, utilizzata principalmente per spedire materiale da costruzione in Sud America e caricare salnitro nel viaggio di ritorno verso l'Europa. In seguito fu utilizzata anche per trasportare grano dall’Australia. Il suo viaggio inaugurale da Amburgo a Talchhuano, in Cile, durò 87 giorni. Nel 1933-1934 realizzò il record di navigazione da Amburgo a Port Lincoln, in Australia meridionale, impiegando 67 giorni.

Prima della seconda guerra mondiale compì un totale di 15 viaggi in Cile e in Australia. La traversata più veloce fu nel 1938-1939, da Amburgo all'Australia passando per il Cile e ritorno ad Amburgo in 8 mesi e 23 giorni, sotto il comando del capitano Richard Wendt; questo viaggio detiene tuttora il record mondiale per navi a vela.

Come tutti i P-liner, la PADUA era stata dipinta secondo i colori della bandiera nazionale dell'Impero tedesco: nero (scafo sopra l'acqua, parti superiori), bianco (area della linea di galleggiamento) e rosso (carena).

Come KRUZENSHTERN

Il 12 gennaio 1946 fu consegnata all’URSS e integrata nella flotta baltica della marina sovietica. Rimase attraccata nel porto di Kronstadt fino al 1961, subendo importanti lavori di riparazione ed un completo riallestimento, comprendente anche l'installazione dei suoi primi motori, finalizzato a rendere la nave adatta ad effettuare missioni per il dipartimento idrografico della marina sovietica. Dal 1961 al 1965 intraprese numerose ricerche idrografiche e oceanografiche per l’ACCADEMIA delle scienze dell’URSS nell’Oceano Atlantico, ai Caraibi e nel Mediterraneo,  e fu utilizzata come nave da addestramento per i cadetti navali. Nel 1965 fu trasferita al Ministero della Pesca dell'URSS a Riga per essere utilizzata come nave scuola per futuri ufficiali di pesca.

Dal 1968 al 1972 ha avuto luogo un altro importante ammodernamento: sono stati installati i due attuali motori Diesel da 1000 CV l'uno, e lo scafo è stato riverniciato secondo l'attuale schema cromatico, nero con un'ampia striscia bianca.

Nel gennaio 1981 la nave fu trasferita all'"Industria della pesca estone" a Tallin,  e nel 1991 entrò a far parte della flotta "Accademia statale del Baltico della pesca", con porto di origine a Kaliningrad.

La Kruzenshtern ha partecipato a molte regate internazionali, dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica trasportando anche passeggeri per coprire i costi delle traversate. Ha compiuto una circumnavigazione del globo nel 1995-1996, e nuovamente nel 2005-2006.

Il 23 giugno 2009 mentre si trovava in viaggio verso Charleston, l’albero di trinchetto fu danneggiato, spezzandosi a causa di una violenta tempesta al largo delle Bermuda.

Carlo GATTI

Rapallo, 17 Ottobre 2019


IL VIAGGIO DI CIRO

IL VIAGGIO DI CIRO

Ciro abita in Abruzzo. E’ figlio e nipote di pastori. Il suo nome fu scelto dal padre prima che lui nascesse. Suo padre aveva ascoltato la storia di Ciro, imperatore persiano, una notte d’estate, quando è bello incontrare i tra pastori sotto le stelle e raccontare, ascoltare. Il giovane pastore ascoltava il vecchio sardo che, a modo suo, gli raccontava di battaglie e vittorie, di giardini e città, di popoli schiavi e liberati.

Quella notte Pietro decise che se avesse avuto un figlio, l’avrebbe chiamato Ciro.

Gruppo della Maiella-Abruzzo

Ciro abita in un paesino ai piedi della Maiella, vive in una casa modesta con la mamma, la nonna e altri due fratelli. Il padre e il nonno passano mesi sulle montagne ad allevare pecore e capre e scendono solo d'inverno quando buio e freddo costringono al riparo uomini e animali.


Due Pastori della Maiella a braccetto…

Ciro vive bene nel suo ambiente: è un bambino sereno con una grande mancanza e un grande desiderio: è cieco e vuol vedere il mare. Come gli sia nato questo desiderio nessuno sa spiegarlo. Fatto sta che spesso chiede alla mamma: - Mamma, quando andiamo a vedere il mare? .- E la mamma brusca gli risponde : - Ma che vuoi vedere e vedere, cosa credi che sia il mare? Una grande pozzanghera ecco cos’è! Come d’inverno qui davanti a casa, quando si scioglie la neve e non puoi uscire senza bagnarti i piedi.-

Ciro non si fa scoraggiare facilmente, torna alla carica, allora la mamma sbuffa: - Siamo poveri noi, non si può viaggiare. Smettila con questi capricci, va fuori a giocare. -

Ciro ha imparato a rivolgersi alla nonna che lo ascolta un po’ di più. Il bambino ha tanto insistito che la povera donna è contagiata dal desiderio di Ciro e quasi quasi anche lei vorrebbe vedere il grande mare. Lo ha già visto in Tv e le fa anche un po’ paura, ma per amore del nipotino un bel giorno si decide a dire di sì.

- Zitto, Ciro, non insistere più. Ti porterò a vedere il mare, ma non parlarne quando ci sono il nonno e il papà in casa. Ci prendono per matti e poi incominciano a sbraitare quei due.-

- Davvero nonna mi ci porti? – chiede Ciro sorpreso.

- Sì, sì a primavera quando gli uomini vanno al pascolo e le galline fanno più uova. –

- Cosa c’entrano le galline, nonna? –

- C’entrano, c’entrano. Fanno le uova e io posso venderne un po’ e risparmiare qualche soldino. Ma, zitto, ci penso io. E’ un segreto tra noi due. Quando sarò pronta partiremo. -

La nonna ha davvero deciso di portare il bambino a vedere il mare, anche se sa che non lo vedrà. Sa però, che potrà conoscerlo in qualche modo. Ogni giorno la vecchia pensa a racimolare qualche soldo per il viaggio: le uova, una piccola risorsa, ma insufficiente, le verdure dell’orto sì anche quelle possono aiutare, ma ci vorrebbe ci vorrebbe qualcosa di più prezioso.


Ecco, le viene in mente il velo, il velo al tombolo, un regalo di nozze, l’unico pezzo importante del suo guardaroba. Lei l’aveva sempre tenuto da parte, bene incartato nella velina con un bigliettino: “Perché mi accompagni nell’ultimo viaggio” e qualche volta aveva immaginato sé stessa morta, le mani giunte sul rosario e il velo a incorniciarle la testa e il viso. Era orgogliosa di questa sua scelta, ma ora decide di venderlo per realizzare il sogno del nipote.

Un giorno di primavera si prepara di buon mattino con il vestito della domenica, il cesto con le uova e la verdura e una vecchia borsetta al braccio.

- Dove andate, mamma? – chiede la nuora impensierita

- Giù al paese grande. C’è mercato oggi e devo fare commissioni mie - risponde lei senza troppo concedere.

- Ma che novità è questa, avete forse bisogno del dottore e non volete dirlo? -

- Mai stata così bene. Non sono una bambina, so badare a me stessa. -

La nuora alza le spalle: - Buon viaggio allora. -

- Eh viaggio, viaggio, questo non è un viaggio - sospira la vecchia che incomincia a spaventarsi per il viaggio che dovrà affrontare. Ha le idee chiare però. Giunta al paese venderà al miglior prezzo la sua merce, compreso il prezioso velo. Garantirà uova e verdura fresca una volta alla settimana al negozio del centro, una coperta all’uncinetto in lana grezza alla moglie del sindaco che gliela chiede da una vita e poi la cosa più difficile per lei, andrà alla stazione e chiederà qual è il paese di mare più vicino e il costo del biglietto. Deve fare tutto da sola, ha deciso di non confidarsi con nessuno per non essere distolta dal suo progetto.

- Nonna, come è andata? – bisbiglia alla sera Ciro, quando sono in camera da soli.

- Tra un mese potremo partire. Tutto a posto. Ma non ti far scappare neanche una parola, altrimenti siamo rovinati.–

Il bambino si addormenta felice sognando il rumore del treno che lo porterà al mare.

Arriva il grande giorno. E’ l’alba quando la nonna e Ciro vestiti di tutto punto bussano alla camera della mamma.

- Noi partiamo, andiamo a vedere il mare. Non ti preoccupare, per sera saremo di ritorno.-

La povera donna è frastornata, le sembra ancora di dormire, accenna un :- Ma..-

La porta si è già richiusa sulle sue obiezioni.

Ancora prima di arrivare a Francavilla Ciro, affacciato al finestrino, sente un profumo diverso di piante aromatiche e di sale. - Nonna, ecco il mare – grida entusiasta.

- Ancora no, ma ci siamo vicini. - risponde la nonna con lo stesso entusiasmo. Quel bambino la fa tornare indietro nel tempo e scopre voglie assopite, mai realizzate.

Appena usciti dalla stazione la nonna decide di non dirigersi verso il centro. Vuole essere sola con Ciro nel momento che incontreranno il mare. I due camminano a lungo, finché una strada sterrata sulla sinistra appare invitante.

- Di qua, Ciro, di qua. – dice la nonna prendendolo per un braccio.

E là in fondo, attraente, un triangolo verde tra due dune ricoperte di cespugli.

La nonna tace, ma inavvertitamente stringe la mano del bambino, che si mette a correre.

- Eccolo, nonna. Lo sento, lo sento. – grida Ciro leccandosi le labbra, già insaporite di sale.

- Aspettami, Ciro. – e i due per mano corrono verso il mare vicinissimo e vociante.

Al di là delle basse dune il mare appare in tutta la sua immensità.

- Nonna, com’è? – chiede Ciro con un filo di tristezza nella voce.


Parco Nazionale della Val Grande – Abruzzo

- Più grande del pascolo di Valgrande, sai quello che ci metti tutta la mattina per attraversarlo, ma adesso, leviamoci scarpe e calze, se vogliamo conoscerlo meglio.- Esclama la nonna, tornata bambina imprudente.


I due ripongono calze e scarpe sotto un cespuglio e poi per mano si avvicinano al mare.


La spiaggia di Ortona  (Abruzzo) (Foto Rossana)

Prima lentamente gustando la sabbia fresca sotto ai piedi, poi sempre più veloci. Ridono, annusano, sguazzano, gridano, assaggiano, sputano, saltano, spruzzano. E’ un’esplosione di energia gioiosa, di vita.

In quest’eccesso di movimento Ciro perde l’equilibrio e cade in mare. Di colpo la nonna sente tutti i suoi anni, l’ansia, la prudenza.

- Dio mio, Ciro, che ti ho fatto!-

Ma lui ride, ride a crepapelle e tra un colpo di tosse e una risata dice : - Un regalo, un regalo mi hai fatto. Ti voglio bene, nonna.

La nonna lo tira fuori dall’acqua e se lo abbraccia stretto, come non aveva mai fatto prima. Così ora sono bagnati tutt’e due. Per fortuna c’è un gran sole in quel giorno di maggio. I vestiti di Ciro sventolano su un cespuglio, mentre lui in mutande si diverte a fare orme e tracce sulla sabbia e poi a toccarle con le mani, la nonna , strizzata la grande gonna nera, cammina avanti e indietro sulla spiaggia per farsi asciugare gli abiti umidi che ha addosso.

- E’ l’ora di mangiare – chiama dopo un po’, e tira fuori dalla grande borsa: polpettone, frittata, formaggio, pane e frutta. Ciro non è mai stato un gran mangione, ma quel giorno divora tutto, mentre chiacchiera senza pause.

- E’ stato bellissimo. Sentivo il mare che si muoveva intorno alle mie gambe, avanti e indietro, avanti e indietro. E’ tiepido, non è come il fiume. E poi così saporito. E la voce!. Mamma mia quanto parla. Adesso senti nonna, ha cambiato voce, parla più piano.-


Ortona Mare (Abruzzo) – Spiaggia al tramonto

(Foto Rossana)

- Sì, è diminuito il vento – sospira la nonna. Lei si riempie gli occhi dei colori del mare, come vorrebbe che anche Ciro vedesse.

Lui come se avesse letto il suo pensiero le chiede di botto: - Di che colore è il mare, nonna? Anzi, te lo dico io come me l’immagino. Ecco, qui dove fa più caldo deve essere color pomodoro, qui proprio all’inizio dove mi bagna il piede dev’essere… bianco, quasi come il sapone, quando mi lavo le mani, e più avanti, nel mezzo… non lo so, ma lontano lontano dev’essere color melanzana, sai quelle lunghe, lisce che mi fai fritte d’estate-

- Bravo, Ciro, hai indovinato tutto- esclama la nonna commossa – Ora che abbiamo visto il mare possiamo tornare a casa.-

- Ci torneremo?-

- Sì, ogni anno a maggio. – risponde risoluta la nonna.

- E i soldi, nonna, dove li trovi? –

- Ah, questa volta so io dove trovarli. Tuo papà, ogni anno deve regalarti una pecora e se non lo farà, se non capirà, vorrà dire che gliela mangerà il lupo. -  conclude ridendo la nonna.


Il Giglio di mare cresce tra le dune della

spiaggia di Ortona

Nonna e nipotino, infilate calze e scarpe, voltano le spalle al mare portandosi dietro il suo ricordo, che li accompagnerà per un anno.

 

Ada BOTTINI

 

Le foto sono state inviate dal socio Com.te Nunzio CATENA

Rapallo, 8 Settembre 2017


 


M/N MONICA RUSSOTTI, una Tragedia Evitata

 

M/N MONICA RUSSOTTI

Una tragedia evitata

Breve Storia:

Roll-on/Roll-off (anche detto Ro-Ro): Locuzione inglese che letteralmente significa: “rotola dentro/rotola fuori”. E' il termine per indicare una nave-traghetto vera e propria, progettata e costruita per il trasporto con modalità di imbarco e sbarco di veicoli gommati (sulle proprie ruote), e di carichi disposti su pianali o in contenitori, caricati e scaricati per mezzo di veicoli dotati di ruote in modo autonomo e senza ausilio di mezzi meccanici esterni. Generalmente sono dotate di più ponti garage collegati con rampe d'accesso e/o montacarichi. A differenza dell'ambito mercantile dove il carico è normalmente misurato in tonnellate. il carico dei Ro/Ro è tipicamente misurato dalle corsie in metri lineari (LIMs, Lanes in meters in lingua inglese). Questo è calcolato sommando i metri delle corsie dedicate al trasporto di semirimorchi.

NULLA MEGLIO DI UNA FOTO PUO’ SPIEGARE L’ORIGINE DEL SISTEMA DI TRASPORTO NAVALE ROLL-ON / ROLL-OFF.

Un carro armato "Sherman" sbarca su una spiaggia dall'USS LST-517, il 2 agosto del 1944 durante l'invasione della Normandia


Dal 1964, dopo aver subito un restyling operativo, la nave nella foto fu chiamata ELBANO PRIMO - Compagnia Sarda di Navigazione Marittima – Cagliari.

Noi di una certa età ricordiamo il PRIMO Ro/Ro italiano ELBANO PRIMO, ex LST (Landing Ship Tank) 3028: Royal Navy 1946 – “SNOWDEN SMITH” – (Ministry of Transport Army) – London.

Notare nella foto l’enorme rampa di poppa, autentico ponte tra il garage e la banchina.

Dopo oltre 50 anni di attività, questa tipologia di trasporto, vede in circolazione la più grande Roll-on/Roll-off del mondo: TØNSBERG della Compagnia (norvegese-svedese) Wallenius-Wilhelmsen. Dati: lunghezza f.t.265 mt.- larghezza 32,26 – Stazza Lorda 76.500 t. equipaggio 36. Giro del mondo in 41 giorni: toccati quattro continenti. Capacità di trasporto Auto 6.000.

13.4.1974

SPETTACOLARE INCIDENTE

alla Ro/Ro

“MONICA RUSSOTTI

 

Nave

Bandiera

Stazza Lorda

L.x.lar.

Costruz.

Cantiere

M.Russotti

Italiana

2986

115 x

19mt.

1973

Messina

 

Luogo dell’Incidente:

Nella zona del Porto di Genova denominata “Porto Vecchio”.

I Fatti:

Quando nel tardo pomeriggio, caratterizzato da for tramontana, il pilota giunse a bordo della moderna Ro/Ro Monica Russotti per metterla in partenza, tutto sembrava normale. Persino l’impiego del rimorchiatore appariva superfluo al Comandante ed al Pilota, nonostante il vento teso colpisse la nave al traverso sinistro, all’ormeggio di Ponte Colombo. La nave era dotata di un’elica di prora, di due eliche e due timoni a poppa. Si trattava quindi di una nave molto manovriera di recentissima costruzione.

Molla tutto”- suggerì il Pilota al Comandante, che ripeté l’ordine ai posti di manovra a prora e poppa.

L’Incidente:

La nave si abbrivò in avanti e subito cominciò a sbandare a sinistra, prima lentamente, poi s’inclinò paurosamente. La spinta del vento sulla struttura poppiera che in quella circostanza fece la funzione di una vela, fece orzare la nave, che venne con la prora a nord. Impeccabile  fu la manovra del Pilota che non si perse d’animo e riuscì a portare la nave verso il Molo vecchio, dove in tempi brevi, con l’aiuto dei rimorchiatori e degli ormeggiatori, assicurò la nave, al limite del rovesciamento, alla nuova banchina con cavi alla lunga. La Monica Russotti fu assistita, scaricata, raddrizzata e rimessa definitivamente in sicurezza.

I Danni:

Durante il fortissimo sbandamento, il carico, composto prevalentemente da TIR, si rovesciò sia in garage che in coperta, scagliando e spandendo la merce ovunque. Molti camion finirono in mare e tanti marinai si ferirono nell’arduo tentativo di arginare il rotolamento del carico. La nave subì molti danni materiali un po’ dovunque, ma in particolare nel locale macchine dove si ebbero notevoli infiltrazioni d’acqua di mare.

Le Cause:

Ci furono probabilmente due cause concomitanti:

- Un piano di carico portato a termine in modo difettoso.

- Un probabile errore nella fase d’assetto di stabilità della nave.

I Protagonisti:

Questo incidente, del tipo “spettacolare”, non registrò fortunatamente alcuna vittima tra coloro che vi si trovarono coinvolti. Tuttavia crediamo che l’infortunio legato alla Monica Russotti debba rimanere nella mente degli addetti ai lavori, come un monito da non dimenticare. I veri protagonisti della giornata furono: tutti i servizi portuali, nessuno escluso, che con la loro proverbiale tempestività intervennero a rimediare un possibile affondamento, in una posizione vitale del porto, evitando quindi un comprensibile blocco forzato delle attività commerciali. Ma se ci è consentito, vorremmo citare il pilota Adriano Maccario, dal cui sangue freddo dipese la contenuta dimensione dei danni alla nave, al suo equipaggio e l’affondamento della nave che avrebbe bloccato ll traffico nel Porto Vecchio per lungo tempo.

ALBUM FOTOGRAFICO

Le foto che seguono sono state scattate dal celebre “maestro” Francesco LEONI ed acquistate dall’autore.

La Ro-Ro “MONICA RUSSOTTI” subito dopo aver mollato gli ormeggi di Ponte Colombo ha iniziato a sbandare sulla sinistra e, grazie al sangue freddo del Pilota Adriano Maccario, é riuscita a procedere in situazione molto precaria fino ad arrivare alla prospiciente banchina del Molo Vecchio, dove grazie al pronto intervento dei rimorchiatori e degli ormeggiatori, la nave é stata assicurata alle bitte con i cavi di bordo evitando il rovesciamento ed un ben più fatale esito...

In questa splendida quanto drammatica istantanea, la MONICA RUSSOTTI é vista nella sezione longitudinale.

Molti camion si sono abbattuti insieme alla nave e parte del carico si é rovesciato in mare.

 

 

In primo piano il M/r INDIA al comando dell’autore. L’altro rimorchiatore di prora alla nave é M/r ISTRIA. In coppia, i due rotori Voith-Schneider sostengono la MONICA RUSSOTTI nell’attesa dell’ormeggio provvisorio e precario in testata al Molo Vecchio.

Foto Francesco Leoni - P.zza Vittoria 4/1 - Genova

 

Carlo GATTI

19 gennaio 2015

 


GENOVA CITTA’ DEI PAPPAGALLI…


GENOVA CITTA’ DEI PAPPAGALLI…

Robinson Crusoe è un romanzo di Daniel Defoe pubblicato nel 1719 con il titolo originale The Life and Strange Surprising Adventures of Robinson Crusoe e considerato il capostipite del moderno romanzo di avventura e, da alcuni critici letterari, del romanzo moderno in generale. Tutti noi futuri uomini di mare ci siamo abbeverati a quella fonte, ma non solo noi ovviamente… Tuttavia, in noi quel romanzo ha lasciato delle tracce che ogni tanto affiorano, come oggi …

Il romanzo racconta le fantastiche avventure del ragazzo di nome Robinson Kreutznauer, figlio di un mercante tedesco trasferitosi a York, chiamato da tutti Crusoe, che, desideroso di avventure fra i sette mari, si imbarca su una nave all' età di 19 anni. La nave naufraga, ma Robinson non si scoraggia.

Purtroppo viene catturato durante un altro viaggio da pirati di Salè e rimane prigioniero per alcuni mesi. Fortunatamente Robinson riesce a fuggire e si ritrova in Brasile, dove allestisce diverse piantagioni.

La sfortuna non abbandona Crusoe; durante un nuovo viaggio intrapreso allo scopo di acquistare schiavi, la nave su cui viaggia affonda al largo del Venezuela, presso la foce del fiume Orinoco e il giovane si ritrova ad essere l'unico sopravvissuto di tutto l'equipaggio. Crusoe, dopo un momento di smarrimento, esplora l'isola e pian piano la colonizza tutta. Vi rimarrà ventotto anni, solo, senza compagnia, ma si adatta con facilità alla nuova vita e cattura per compagnia un pappagallo parlante. Durante la permanenza su quest'isola scrive un diario in cui racconta le sue esperienze e avventure. In seguito scopre la presenza di alcuni cannibali, li attacca e ne libera uno che tiene con sé, a cui dà il nome "Venerdì", insegna la Lingua inglese e che converte alla fede cristiana attraverso la lettura della Bibbia.

Dopo tante peripezie torna in Inghilterra dopo un'assenza di 35 anni, scopre di possedere 600.000 sterline grazie alla rendita della piantagione brasiliana, divenuta nel frattempo fiorente, e per poco non muore di sorpresa. In seguito, richiamato da una sorta di nostalgia, vende la sua piantagione redditizia e si trasferisce sull'isola dove era naufragato, di cui assume il ruolo di governatore.

La vera storia dei pappagalli e dei pirati

Il cliché che vuole i corsari accompagnati dai simpatici uccellini è, anche se non ci crede nessuno, del tutto vera. Erano ottimi compagni di viaggio.



“perchè un tempo i pirati portavano un pappagallo sulla spalla?”.


“Da sempre l’iconografia riguardante i pirati li rappresenta con un pappagallo colorato sulla spalla: come mai proprio quest’animale?! Alla nostra domanda ci viene spiegato: Innanzitutto si dice che i pappagalli affascinassero i pirati per il loro piumaggio dai mille colori; inoltre, come si sa, questi animali parlano e sono molto dotati nel fare le imitazioni. Questo apportava un po’ d’animazione nei lunghi viaggi che i pirati dovevano compiere alla ricerca di navi da predare. I pappagalli, poi, si dice che potessero predire i cambiamenti metereologici: se si lisciavano le piume, era segno di temporale in arrivo, mentre se parlavano senza cessa e si agitavano di notte, era segno di tempo incerto e perturbato”.

La gamba di legno, l’uncino, le bandane, barbe, la benda sull’occhio. Sono alcuni dei tratti tipici del pirata caraibico che imperversava nei mari delle Antille tra seicento e settecento, senza dimenticare il più importante di tutti: il pappagallo, come animale di compagnia.

Tra tutti gli stereotipi del filibustiere, questo è – incredibile a dirsi– del tutto vero. Personaggi come Long John Silver, nato dalla penna di Robert Louis Stevenson, avevano un pappagallo con sé. Sulla spalla, in gabbietta. Non si trattava di una geniale invenzione letteraria: nell’età d’oro della pirateria c’erano davvero, e accompagnavano i pirati - e/o corsari - e/o filibustieri a seconda dei casi nelle lunghe traversate sul mare. Da un’isola all’altra, da un veliero all’altro, le giornate passate navigando erano tante e molto noiose.

E allora, un compagno simpatico, che non chiedeva troppo cibo, che non necessitava di spazio, sgargiante e divertente era proprio il benvenuto. Il pappagallo, così, si prestava alla perfezione a questo compito.

E in più, se ci si stufava anche dei pappagalli, li si poteva rivendere. Erano apprezzati per il colore e per la voce, perciò avevano un buon mercato. Sbarcando in un porto qualsiasi, purché non si venisse riconosciuti dalla polizia e messi in galera, non era difficile piazzarli a qualcuno. Certo, poi la bestiola avrebbe ripetuto le bestemmie dei pirati, ma forse anche questo era parte del divertimento.

All’epoca, i pappagalli più richiesti provenivano dai dintorni di Vera Cruz, una regione della costa messicana. E anche oggi, fanno notare gli studiosi, la zona è un centro per il traffico clandestino di pappagalli. Perché i pirati non ci sono più, ma le tradizioni, anche quelle peggiori, restano.

Abbiamo ricreato un po’ di atmosfera per introdurre un argomento d’attualità che interessa Genova, il nostro capoluogo che, non a caso, é terra di naviganti e avventurieri da sempre.

 


Parrocchetti dal collare

La prima coppia di pappagalli era arrivata negli anni Settanta e aveva messo su famiglia a villa Gruber. Si trattava di due parrocchetti dal collare, che hanno dato origine al "quartiere" dei papagalli: oggi sono centinaia, stanno sugli alberi di alto fusto e tendono a dormire in gruppo. Si possono osservare anche nei giardini del centro: "Sono molto diffusi a Levante e in centro, occupano il 28% del reticolo urbano e sono in continua espansione", spiega Aldo Verner veterinario della Lipu ed esperto di fauna selvatica. Sono verdi con il collare nero e di medie dimensioni, (tra i 38 e i 42 centimetri) si riconoscono per la coda lunga, le ali arrotondate e il volo molto rumoroso: "E' soprattutto interessante notare come i parrocchetti dal collare siano riusciti a passare l'inverno e a riprodursi" - aggiunge Vernier.

Amazzone fronte azzurra

Capita di frequente di vederli volare tra gli alberi dei parchi e anche in pieno centro, e infatti Genova viene definita la città dei pappagalli. In particolare, è presente una specie esotica proveniente dalla giungla amazzonica. Si tratta dell’amazzone fronte blu, un uccello che può vivere fino a 70 anni, dalla voce altissima e che in diverse decine ha nidificato all’ombra della Lanterna. La presenza degli amazzoni fronte azzurraosserva Verner – è straordinaria perché sono animali della giungla amazzonica ed è abbastanza strano che riescano a sopravvivere d’inverno. Nidificano nei buchi dei muri e degli alberi e sono presenti nella zona di piazza Corvetto, a Castelletto e in corso Firenze.


Parrocchetto Monaco


Già negli anni ’70 questi pennuti dalla parlantina facile erano presenti ma, spiega ancora Aldo Verner della Lipu di Genova, “sono in aumento, grazie soprattutto alla grande adattabilità di questi animali. Inoltre, se le altre specie presenti, come il parrocchetto monaco (diverse centinaia), popolano anche altre città d’Europa, tra cui Londra.

“Solo a Genova – spiega Enrico Borgo, esperto del museo di Storia naturale ‘Doria’ – troviamo l’amazzone fronte blu in diverse decine di esemplari. Un fenomeno raro, la cui origine è da attribuirsi alla proliferazione dei pappagalli importati sfuggiti alla cattività. La verità è che, mentre il loro numero cresce progressivamente, i pappagalli si stanno espandendo in territori dove prima non si erano mai spinti e questo può diventare un problema.

 

Sono tanti, si stima tra i cinque e i seicento in città, un numero triplicato rispetto a soli pochi anni fa. E proprio ora che se ne avverte meno la presenza nei quartieri dove è iniziato il loro insediamento, i grandi pappagalli verdi - i parrocchetti dal collare e i più rari e pregiati esemplari di amazzone dalla fronte blu (che si trovano allo stato libero, così numerosi, solo a Genova) - minacciano di diventare un pericolo.

Verner è il primo a disegnare un quadro inquietante in cui gli stormi verdi si stanno spingendo - dai luoghi di nidificazione ormai consolidati, in centro e a levante attorno ai parchi - verso la Valpolcevera. Ma anche, sempre più in profondità, nella valle del Bisagno, in zone di campagna dove già la scorsa primavera avevano iniziato a attaccare i peschi ancora in fiore malgrado i tentativi di proteggerli con reti di plastica, inesorabilmente strappate a colpi di becco. “I parrocchetti si nutrono dei vegetali più diversi: spaziano dai piselli, di cui sono ghiotti, a limoni e arance selvatiche che riducono in poltiglia, mangiano i frutti delle magnolie e i semi delle conifere, col loro becco possono frantumare i gusci più duri. E si stanno espandendo, sicuramente per l’alimentazione e forse per la riproduzione, in zone dove prima non si spingevano”.

I parrocchetti dal collare ed Amazzoni nidificano nel cavo degli alberi; meno frequentemente in cavità artificiali. Molto più tipica è la nidificazione dei Monaci che li differenzia da tutte le altre specie di Psittacidi. Essi, infatti, usano costruire un grosso nido comunitario, con diverse camere d’incubazione, abitato dall’intera colonia. Allo scopo usano rami di vario calibro che trasportano alacremente su di un albero ritenuto sicuro per edificare l’abitazione della colonia. Alcuni nidi possono raggiungere dimensioni ragguardevoli (anche alcuni metri di diametro), rappresentando un serio problema nel momento in cui i rami dell’albero non dovessero più essere in grado di reggerne il notevole peso. Purtroppo i parrocchetti monaci, che fanno i nidi all’esterno, sono facile preda di taccole, cornacchie e ratti.

Sono vivaci, rumorosi, colorati e intelligenti ma c’è chi non li ama. Le colonie di pappagallini di un bel verde brillante, i parrocchetti dal collare, sono in espansione a Genova dove trovano un clima ideale. Sono un problema? Le opinioni sono contrastanti. A rigore sono una specie che proviene dall’Africa e sulle nostre coste proprio non ci dovrebbe essere, però ormai c’è. E non vive bene solo a Genova, anche Roma ne ospita colonie molto numerose così come Palermo e Cagliari e diverse altre città italiane.

Fa notare la Lipu – delle specie autoctone. Sono quasi scomparsi invece i primi pappagallini che si ambientarono a Genova negli anni Sessanta,

La sfida è ora come contenere l’aumento di questi uccelli sapendo che per quelli che già vivono nelle nostre città non è più possibile effettuare dei controlli numerici. Il fenomeno non va sottovalutato.

 

CARLO GATTI

Rapallo, 27 Dicembre 2019

 

 


MALEDETTO “EFFETTO COANDA! ” (…)!

 

 

MALEDETTO

“EFFETTO COANDA!”

di M. Garipoli – Pilota del Porto di Ravenna

 

Devo dire la verità: prima di sperimentarlo nella realtà non lo conoscevo… non sono nemmeno sicuro di averlo studiato a scuola. E’ anche vero che molte leggi fisiche o teoremi che ho appreso al Nautico, non sarei in grado di esporli così su due piedi, se non altro senza fare un breve ripasso, ma l’effetto Coanda proprio non ricordo di averlo mai studiato! Eppure un nome così singolare, dovrei ricordarlo…

L’ho invece sperimentato!
Per manovrare le navi in canale, è necessario: in primis studiare la teoria degli effetti idrodinamici; occorre poi sperimentarne l’esistenza nella pratica quotidiana; infine, qualora gli effetti fossero insidiosi per quel tipo di manovra, si devono attuare determinati provvedimenti come – se lo spazio disponibile lo permette – l’allungamento del cavo da rimorchio di quel tanto  da rendere ininfluente l’effetto scia contro lo scafo. (come da illustrazione successiva)

Gli effetti più comuni – descritti in molti testi di manovra navale – sono quelli dovuti alle interazioni fra navi e fondali, navi e navi, navi e banchine; si parla quindi di attrazioni e di respingimenti.

Bank SuctionBank Cushion sono determinati da differenti pressioni, positive o negative, che agiscono sullo scafo della nave.

Pressioni positive respingono, pressioni negative attraggono.

Anche nel nostro libro “A BORDO CON IL PILOTA” affrontiamo l’argomento con spiegazioni dettagliate ed esempi pratici, perché fanno parte del bagaglio che ogni Capitano deve avere con sé.

L’effetto Coanda è meno comune in campo marittimo e sono certo che non tutti i naviganti sanno cos’è. Ne sono certo perchè anche qualche collega, a cui ho rivolto la domanda, non ne conosceva l’esistenza, o meglio, ne riscontravano l’effetto, ma ne ignorava il nome e la teoria.

Immagino che qualcuno leggendo sorriderà.

Il lavoro da Pilota è essenzialmente un lavoro pratico.

Nel travaso di esperienza che avviene durante l’anno di apprendistato, l’allievo Pilota viene istruito e bombardato di nozioni dai suoi futuri colleghi. La formazione prosegue anche oltre, negli anni a seguire. Ogni manovra insegna qualcosa, ed è piuttosto comune la convinzione che “ci vogliono almeno 5 anni per fare un Pilota”.

Ricordi…

Nel periodo in cui io ero allievo Pilota, ricordo che era frequente ormeggiare navi di 150 metri di lunghezza per 25 di larghezza, navigando di poppa in una canaletta larga soli 50 metri.

Passando da Pilota a Pilota potevo confrontare accortezze e “trucchetti” di ognuno e, in base a quelli, forgiare il mio personale stile. Non che ci sia una rosa infinita di tecniche diverse… una stessa manovra si fa in genere in un paio di modi, forse tre, tuttavia le sfumature sono innumerevoli.

In quella circostanza, particolarmente delicata, qualche pilota usava entrambi i rimorchiatori per mantenere il corretto assetto della nave, Mentre altri davano il solo ordine iniziale al “trattore” di poppa di mantenere sempre il centro del canale, utilizzando il solo rimorchiatore di prua per correggere le eventuali sbandate.

Ovviamente i secondi ottenevano una manovra più semplice e meno “lavorata”.

Cosa succedeva ai primi: quando per correggere una deviazione, il rimorchiatore trainante veniva spostato dall’asse del canale, la sua scia si incuneava tra nave e sponda creando una zona di pressione che andava a contrastare l’azione del cavo. 
Spesso si dovevano usare ripetutamente macchina e timone per aiutare il rimorchiatore nel suo compito.

E’ questo l’effetto Coanda? Non proprio.

Più propriamente possiamo dare la colpa alla pressione che si genera tra sponda e nave e alla repulsione che ne deriva. Però, se togliendo la canaletta e posizionando la nostra nave in spazi più ampi, notiamo lo stesso fenomeno… beh… sì, allora stiamo sperimentando l’effetto Coanda!

In campo aeronautico Henry Coanda, al pari di Bernoulli e Venturi, è ben conosciuto, chi ha studiato il volo sa bene di chi e di cosa stiamo parlando. La teoria descrive l’effetto Coanda per mezzo della variazione di velocità di un flusso che investe una superficie convessa: “la parte a stretto contatto della superficie rallenta per via dell’attrito, la parte esterna accelera e si genera una riduzione di pressione, ma essendo il fluido coeso molecolarmente questi rimane aderente alla superficie convessa seguendone il profilo generando, contemporaneamente, una zona di bassa pressione”.

Bassa pressione = attrazione.

Così succede che, in certe condizioni e a un determinato angolo di tiro, il rimorchiatore può  investire con la sua scia la fiancata della nave e parte del suo flusso può creare, nella fiancata opposta, una forza di attrazione capace di annullare, o addirittura invertire, il senso di rotazione che vogliamo imprimere alla nave stessa.


Immagini estratte dal libro: A bordo con il pilota

Se adesso, finite di leggere queste poche righe, usciamo dalla pagina e cerchiamo “effetto Coanda” su Google, possiamo trovare enormi quantità di informazioni. Tra queste è simpatico e istruttivo l’esempio del cucchiaio sotto il rubinetto.

Io l’ho fatto! Ho preso il cucchiaio, ho aperto il rubinetto e, tenendolo con due dita in modo che fosse libero di oscillare, ho fatto scorrere l‘acqua sulla superficie convessa sperimentando empiricamente l’attrazione che il fluido esercita su di esso.

Dopo questo esperimento, quanto scritto diventa più comprensibile e difficile da scordare.

Alla prossima occasione osservate il comportamento della nave e tra gli effetti che riscontrerete provate a riconoscere quello descritto in questo articolo. Vedrete che, con un po’ di attenzione e affinando la nostra tecnica di manovra, diventerà facile prevenirlo e compensarlo.

 

Rapallo, 28 Ottobre 2019


ALEXANDER von HUMBOLDT - Veliero

ALEXANDER von HUMBOLDT


Friedrich Heinrich Alexander Freiherr von Humboldt (Berlino 14 settembre 1769 – Berlino, 6 maggio 1859) è stato un naturalista, esploratore, geografo e botanico tedesco.


La corrente di Humboldt (o corrente del Perù) è una  CORRENTE MARINA fredda che circola nell’Oceano Pacifico al largo delle coste occidentali del Cile e del Perù e scorre da Sud a Nord.  Deve il suo nome allo scienziato tedesco ALEXANDER  von HUMBOLDT.

La corrente è prodotta dai venti occidentali delle medie latitudini e, al suo avvicinarsi alle coste a ovest del Sudamerica, viene deviata in direzione equatoriale rinfrescando le coste della fascia tropicale, questo fa sì che le temperature dell'acqua lungo la costa occidentale del Sudamerica siano mediamente inferiori di 7°- 8° rispetto alla temperatura dell'acqua alla stessa latitudine nelle aree dell'Oceano Pacifico più lontane dalla costa.

Questo provoca anche un abbassamento della temperatura dell'aria, riducendo le precipitazioni e facendo sì che le aree costiere siano aride, desertiche, ma molto umide, uggiose e nebbiose allo stesso tempo per il fenomeno dell’inversione termica nei bassissimi strati troposferici che nel contempo inibisce la Convezione e dunque la formazione di cumulonembi, causando siccità marcata in diverse aree.

Al grande scienziato tedesco é stata dedicata la costruzione del brigantino a palo:

Alexander von Humboldt

Anno di costruzione: 1906 dal cantiere Weserwerft di Brema (costruzione N° 155) per essere utilizzato come nave faro per conto della Wasserbauamt di Flensburg.

Costo:  RM 538.400 (Reichmarks) dell'epoca.

Inizialmente era armato a goletta a tre alberi.

Scafo in acciaio

Stazza: 396 tonnellate lorde.

Lunghezza: f.t 53,50 metri, scafo 46,60 metri,

Larghezza 8,02. Immersione min. 4,50 metri, max. 5,50.

Dislocamento: 700 tonnellate.

Propulsione principale: superficie velica 1.035 m².

Il faro fungeva da albero maestro.

Propulsione secondaria: macchina a vapore da 175 PS che dava una velocità di 6 nodi.

L'illuminazione interna era a petrolio.

Equipaggio di complemento: 14 uomini.

Venne varato: il 10 settembre 1906. Prima della consegna venne ribattezzato Reserve.

Operò come nave faro in tutte le stazioni del Mare del Nord. Il porto di armamento era Sonderburg e così ricevette il nome di Reserve Sonderburg.

Nel 1914 venne militarizzato. Dotato di due cannoni, fu inviato nel Baltico con il nome di Ost.

Nel 1918 fece ritorno da Dünamünde a Kiel sotto vela per mancanza di carbone.

Nel 1919 venne comandato come faro di riserva per le stazioni del Mare del Nord.

Nel 1920 venne comandato a Holtenau essendo Sonderburg diventata danese.

Nel 1925 venne sottoposto a lavori di modernizzazione degli impianti luminosi.

Tra il 1933 ed il 1935 venne riallestito integralmente con nuovo motore diesel da 300 PS, fu montato un nuovo e più potente faro con luce elettrica prodotta da due motori diesel, la stazione radiotelegrafica potenziata, ecc.

Nel 1937 vennero rifatte le sistemazioni interne, gli alloggiamenti e le cabine.

Tra il 1939 ed il 1945 venne utilizzato spostandolo in varie località della costa del Mare del Nord.

Nel 1946 venne utilizzato sia come nave faro che come nave appoggio per i piloti portuali a Kiel.
Nel 1950 venne ancora trasformato e rimodernato con aggiunta di altri alloggi per i piloti.


Il 5 luglio 1957 venne speronato e semiaffondato.

Nello stesso anno venne recuperato e mandato in cantiere per le riparazioni ed altri ammodernamenti. I lavori terminarono nel 1959.

Il 19 giugno 1959 riprese servizio a Kiel.

Nel 1963 vi fu installato il radar.

Il 5 luglio 1967 fu trasferito nel Mare del Nord essendosi soppressa la postazione di Kiel per la costruzione di un faro fisso.

Il 21 settembre 1983 la nave faro Reserve cambiò armatore: dall'Amminsistrazione Marittima di Lubecca passa all'Amministrazione Marittima di Wilhelmshaven.

Gli ultimi stazionamenti furono il Golfo di Germania, la foce dell'Elba e, dal 17 settembre 1986, la foce del Weser dove il 17 settembre 1986 venne speronata dal mercantile liberiano Ocean Wind.

I danni furono ingenti e la nave faro dovette essere rimorchiata in cantiere a Wilhelmshaven.

Messa in disarmo, il 23 settembre 1986 venne venduta alla Deutsche Stiftung Sail Training che la portò in cantiere a Brema per i lavori di restauro.

Nel 1987 venne completamente rifatta dal cantiere Motorenwerk di Bremerhaven su progetto del cantiere Lenin di Danzica.

Nel 1988 venne riarmata a brigantino a palo e fu montato un nuovo motore diesel MAN Tipo R 8V 16/18 T4 da quattro tempi della potenza di 510 PS.

L'equipaggio odierno è di 60 uomini più 45 passeggeri od allievi.

Il suo faro originale è nel Museo della Navigazione di Kiel.

Il suo porto di armamento è Brema.

Inizialmente ribattezzata Confidentia, il 20 maggio 1988 alla consegna della nave alla società proprietaria prese il nome di Alexander von Humboldt.

Da allora con le sue caratteristiche vele verdi solca in tutti i mari e partecipa ai raduni delle Tall Ships di tutto il mondo.



Carlo GATTI

Rapallo, venerdì 27 Settembre 2019


IL REZZAGLIO DEL MIO AMICO "COCOLA"

 

RACCONTI IN RIVA AL MARE

IL REZZAGLIO DEL MIO AMICO ENNIO detto "COCOLA"

Pubblicazione che riporta le foto di Cocola che seguono

Ennio "Cocola" in attesa

Cocola in azione...

Splendido scatto! che rende l'idea dell'ampiezza del rezzaglio lanciato da Cocola

Cocola aggiusta la sua arma...

Nunzio Catena a lezione  di rezzaglio da "Cocola"

Per quanto riguarda il rezzaglio, come si può vedere dalla foto, bisogna raccogliere la rete in una maniera ben precisa e tenerla nella mano destra, mentre una parte dei piombi della circonferenza  va sul braccio ed un'altra viene lanciata con la mano sinistra per far aprire la rete.. Questa è una pesca che per avere buon esito va fatta ad una profondità massima di un metro, se maggiore, per il tempo che la rete tocca il fondo, il pesce, con un colpo di coda, è già fuori. Per questi motivi non viene pescata dalle vostre parti.

Quella che 'Cocola' faceva per vivere, è una pesca molto sportiva, innanzi tutto ci vuole abilità a lanciarlo perché il pesce, che veloce cerca di entrare nel fiume, vede noi come noi vediamo lui, perciò la rete deve essere lanciata quasi rasente la superficie del mare altrimenti se troppo alta, per quando i piombi toccano il fondo, ha tutto il tempo per fuggire.. Diversa è la pesca in acqua torbida, quando viene lanciato a caso, nel qual caso gioca la fortuna, oppure si lancia un sassolino, se ci sono cefali nei dintorni, questi dapprima si allontanano ma poi, siccome sono curiosi, tornano per vedere cos'è, cercando di calcolare i tempi, può andare anche bene. Purtroppo dove era Cocola, questi ultimi tipi di pesca non potevano essere effettuati e l'unico punto dove i cefali e qualche spigola convergevano, era la foce del fiume, dove la corrente uscente del fiume, 'urtando' l'onda del mare si alza e in quella trasparenza si riesce a vedere il pesce che veloce cerca di entrare.

Anche io ho imparato da piccolo a lanciarlo con una rete proporzionale alla mia 'stazza' e pescavo i pesci piccoli vicino a Cocola (che lui non pescava). Da bambino andavo lì perché papà aveva un 'trabocco' da 6 mt. di lato, al fiume, proprio vicino alla foce.

È stato proprio un bellissimo 'rezzaglio' il regalo che mi aveva fatto Marilena appena dopo sposati, perché spesso mi lamentavo di quello che avevo...Lo aveva fatto a mano il Sordo. A mano, perché spesso lo fanno raccordando diversi pezzi di rete, invece quello era fatto aumentando per ogni giro di rete un certo numero di maglie in modo che dalle poche maglie che formavano  il cerchietto centrale (attraverso il quale passavano i fili che servivano per tirare l'armatura con i piombi), si doveva arrivare ad una circonferenza di circa 15 mt. Mi piaceva da matti quella pesca, che più propriamente era una 'caccia', anche perché i cefali pescati erano commestibili e non come quelle 'petroliere' pescate nei porti, dove si vedono riuniti in gran numero che boccheggiando sembrano aspirare il petrolio come per purificare l'acqua.


La casa paterna di mio padre era molto vicina al fiume ed insieme ai fratelli hanno avuto anche prima della guerra un 'trabocco' che poi hanno ricostruito al ritorno di uno zio dall'America che da pensionato amava passare le giornate in quel tipo di pesca.

A proposito del rezzaglio, chi viveva di quello, era proprio Cocola, che era sempre alla foce del fiume Foro, in attesa di prendere qualche cefalo che cercava di entrare nel fiume. Purtroppo, Cocola non era da solo, ed allora era una lotta a chi prima poteva lanciare la rete; quando Cocola tirava la rete e vedeva nel cavo dell'onda che il cefalo era dentro, restava fermo, immobile, quasi in catalessi per alcuni secondi, chissà, forse la gioia di aver pescato qualcosa da vendere e portare casa qualche soldo.

Nel dopoguerra il REZZAGLIO era ancora molto praticato vicino alla foce dei fiumi e dei torrenti. Era un tipo di pesca molto redditizia, ma allo stesso tempo dispendiosa di energie, sia per il peso del piombo posto alle basi, sia per il fatto che la rete una volta bagnata diventava sempre più pesante.

Nel periodo che va da Ottobre a Dicembre con il passaggio di cefali, spigole e orate che migravano verso il mare si ottenevano risultati eccezionali, pescando soprattutto spigole di grosse dimensioni.

Un tempo il rezzaglio veniva costruito (sarebbe meglio dire autocostruito) in canapa o cotone, ora viene utilizzata la tortiglia di polyester o il nylon. Anticamente cucita a maglia sempre più fitta mano a mano che la rete si allontanava dal centro del cerchio, adesso viene cucito a fasce di diversa grana, mano a mano più fitta. Esistono infatti diversi tipi di grana a seconda della dimensione dei pesci a cui un rezzaglio è destinato.

Lungo il bordo inferiore del rezzaglio vi è una corda ricoperta di piombi (la funaia) che trascina la rete verso il fondo. La circonferenza della rete varia tra i dodici e i quindici metri.


Dal bordo partono circa venti cordicelle (i ramiglione) che passano all’interno della galla e confluiscono verso la corda del giacchio, lunga più di tre metri. Alle estremità della corda vi sono due occhielli (cappiole).
In alcuni modelli i ramiglione a circa venti centimetri dalla funaia si biforcano, questa deviazione è detta femmenella.


Ma come si usa? La barca si avvicina in modo lento e silenzioso verso la zona individuata. Il lanciatore si sposta verso la prua e posiziona la tavola del giacchio tra le sponde.

Il pescatore comincia serrando la corda intorno al polso (o infilando l’anello della corda al mignolo) così da non perdere la rete. Raccoglie con una mano la parte superiore del giacchio per circa metà della sua lunghezza. Con l’altra mano afferra il lembo rimasto libero.

Il pescatore ruota il busto all’indietro e, subito dopo, fa seguire un movimento in avanti. L’abilità del pescatore sta nel coordinare questi movimenti e nel lasciare andare la rete al momento giusto, facendo in modo che, grazie alla rotazione impressa, si apra completamente in aria prima di toccare la superficie dell’acqua.


Quando cade in acqua il rezzaglio deve essere disteso, così da coprire la maggior area possibile. Il peso dei piombi lungo la funaialo fa scendere rapidamente verso il fondo, imprigionando i pesci che incontra inabissandosi.

Il rezzaglio viene recuperato tirando lentamente con piccoli colpi la corda del giacchio e poi il fascio dei ramaglione. Mentre la rete viene raccolta, il perimetro della funaia si stringe e i piombi si avvicinano tra loro scorrendo sul fondo così da non far uscire i pesci.

Al pescatore non resta che issare il rezzaglio a bordo, posando la rete sulla tavola dove la libera del pescato.


Nunzio CATENA- Carlo GATTI

Rapallo, 2 agosto 2017

 

 

 

 

 


ACHILLE LAURO-ANGELINA LAURO, due navi predestinate?

“ACHILLE LAURO” - “ANGELINA LAURO”

DUE NAVI PREDESTINATE ?

Nel gennaio 1964 l’Armatore napoletano Achille Lauro acquistò le due illustri ed attempate  navi olandesi:

 

La “Oranje” (nella foto), fu varata ad Amsterdam nel 1939.

La Oranje fu ribattezzata: Angelina Lauro ed iniziò i lavori il 4.9.64. presso l’O.A.R.N di Genova

La Willem Ruys” – (nella foto) Fu varata a Flessinga nel 1947.

La Willem Ruys fu ribattezzata: Achille Lauro ed iniziò i lavori il 7.1.65 presso i C. N. R. di Palermo.

Le due navi subirono radicali lavori di ristrutturazione e restyling. Ma l’allestimento delle due navi venne ritardato di sei mesi a causa di incendi che, a pochi giorni di distanza, danneggiarono le due navi. I giornali dell’epoca parlarono di sabotaggio contro la “politica armatoriale”.

 

 

ACHILLE LAURO

Un po’ di Storia:

Ordinata nel 1938, il suo scafo venne impostato nel 1939 a Vlissingen, Olanda, per i Rotterdamsche Lloyd. La costruzione venne ritardata dalla Seconda guerra mondiale e da due bombardamenti, la nave fu varata nel luglio 1946. Venne completata alla fine del 1947 e compì il suo viaggio inaugurale il 2 dicembre 1947.

Nel 1964, venne venduta alla Flotta Lauro e ribattezzata Achille Lauro (dal nome del precedente sindaco di Napoli Achille Lauro). Ricostruita estensivamente e modernizzata nei Cantieri del Tirreno di Palermo rientrò in servizio nel 1966, subì degli incendi che descriveremo tra breve.

 

Nell’aprile 1975, mentre si trovava nello stretto dei Dardanelli entrò in collisione con una nave trasporto bestiame, la Yousset che affondò. Nel 1982 successivamente al fallimento della Flotta Lauro, passò alla Mediterranean Shipping Company.

Le due navi si somigliavano nello scafo, ma avevano alcune differenze: come si può notare nelle rispettive foto, l’ACHILLE LAURO aveva una ciminiera in più. Anche la Stazza Lorda e la Lunghezza delle due navi erano leggermente diverse. (Vedi tabelle)

Ricordo personale dell’autore:

Anche la motorizzazione ed il sistema propulsivo delle due navi era diverso: l’ANGELINA LAURO aveva a poppa una grande elica propulsiva centrale e due eliche laterali di dimensioni minori per la manovra: un unicum della sua epoca. La near sister ship ACHILLE LAURO aveva invece due eliche propulsive normali (una era destrorsa e l’altra sinistrorsa).

Achille Lauro: band.Italiana, Stazza Lorda 23.951, Lungh.xlargh. 196 x 25- Pax. 900 - Velocità, 25 nodi - Varo 1965

19.5.1972

INCENDI sulla Mn ACHILLE LAURO

1° Incendio avvenne durante i lavori di ristrutturazione nel 1965 a Palermo. Nel 1971 la nave urtò un peschereccio all’uscita del porto di Napoli. Morì un pescatore.

2° Incendio in Cantiere a Genova nel maggio 1972


Foto Francesco Leoni – Archivio dell’autore

Genova, 19 Maggio 1972 La M/N ACHILLE LAURO é affiancata al molo del Cantiere Navale. L’incendio é appena divampato. La nave é stata evacuata dal personale. I Vigili del Fuoco sono arrivati ed hanno sistemato i loro mezzi antincendio sottobordo alla nave. Presto entreranno in azione.

 

Foto Francesco Leoni – Archivio dell’autore

Il 19 Maggio 1972 – L’incendio divampò tra i Ponti Superiori della ACHILLE LAURO In questa istantanea ripresa con il teleobiettivo dal famoso fotografo genovese Francesco Leoni, ci colpisce l’impagabile opera dei Vigili del Fuoco che si distinguono sparpagliati per tutta la superficie surriscaldata ed impregnata di fumi tossici. Li vediamo arrampicarsi, trascinare, distendere e puntare le manichette antincendio contro il nemico più insidioso delle navi:

IL FUOCO.


Foto Francesco Leoni – Archivio dell’autore

Genova, 19 Maggio 1972 - La foto presa di prora, mostra lo sbandamento dell’ACHILLE LAURO avvenuto per effetto dell’acqua pompata dai rimorchiatori FORTE e SVEZIA (nella foto). L’incendio appare tuttavia sotto controllo e lo dimostra l’apparente tranquillità del gruppetto di civili che assiste a poche decine di metri dalla prora della nave.


Foto Francesco Leoni – Archivio dell’autore

19 Maggio 1972 - Il traffico scorre veloce sulla sopraelevata della città. A pochi metri di distanza prende fuoco la M/n ACHILLE LAURO ormeggiata nel sottostante Cantiere per gli annunciati lavori di restyling.

Nel 1973 la Flotta Lauro rischia il fallimento, in concomitanza con il raddoppio del prezzo del greggio.

Nel 1975 l’Achille Lauro speronò un cargo libanese all’ingresso dello Stretto dei Dardanelli, morirono quattro marinai dell’altra nave.

3°Incendio

La M/n ACHILLE LAURO in difficoltà a causa del terzo incendio

Nel 1981, al largo delle Gran Canarie, la nave subì il terzo incendio. Morirono due passeggeri che si lanciarono in mare in preda al panico e affogarono. La nave fu fermata a Tenerife per pignoramento e poi fu disarmata a Genova. La “nave azzurra” venne nuovamente rimessa in servizio nel 1984 da un gruppo di armatori sorrentini sotto la vecchia ragione sociale e noleggiata ad interessi greci per l’impiego in crociere estive nel Mediterraneo.

IL DIROTTAMENTO IN EGITTO

Il 7 ottobre 1985, mentre compiva una crociera nel Mediterraneo, al largo delle coste egiziane, l’ACHILLE LAURO venne dirottata da un commando del Fronte per la Liberazione della Palestina (FLP). A bordo erano presenti 201 passeggeri e 344 uomini di equipaggio. Si giunse in un primo momento ad una felice conclusione della vicenda, grazie all’intercessione dell’Egitto, dell’OLP di Arafat e dello stesso Abu Abbas (uno dei due negoziatori, proposti da Arafat).

Due giorni dopo si scoprì che a bordo era stato ucciso un cittadino americano, Leon Klinghoffer, ebreo e paralitico: l’episodio provocò la reazione degli Stati Uniti. L’11 ottobre dei caccia statunitensi intercettarono l’aereo egiziano (un Boeing 737), che, secondo gli accordi raggiunti conduceva in Tunisia i membri del commando di dirottatori, lo stesso Abu Abbas, Hani El Hassan (l’altro mediatore dell’OLP) oltre ad degli agenti dei servizi e diplomatici egiziani, costringendolo a dirigersi verso la base NATO di Sigonella, in Italia, dove fu autorizzato ad atterrare poco dopo la mezzanotte.

Gli Stati Uniti richiesero nuovamente la consegna di Abu Abbas, in base agli accordi di estradizione esistenti tra Italia e USA, senza tuttavia portare prove del reale coinvolgimento del negoziatore nel dirottamento. I legali del ministero di Ministero di Grazia e Giustizia e gli esperti in diritto internazionale consultati dal governo ritennero comunque non valide le richieste statunitensi.

In seguito ci furono gli strascichi di Sigonella e la crisi politica nei rapporti tra Italia e Stati Uniti.

Il 4° Incendio

Ed eccoci al dramma finale. La nave era partita da Genova il 19.11.94. mentre era in navigazione al largo della Somalia scoppiò un improvviso incendio a bordo.

Era il 30.11.94, tre giorni più tardi, il 2 dicembre 1994 la nave affondò.

l’Achille Lauro si trovava a:

-100 miglia al largo della Somalia, a

-250 miglia a sud del corno d’Africa.

-Alle 05.00 fu dato l’Allarme generale

-Alle 05.50 venne lanciato l’S.O.S.

-Alle 06.00 furono calate le prime scialuppe di salvataggio.

-Alle 09.00 la nave Hawayan King giunse in soccorso.

-Alle 11.00 il Comandante ordinò l’Abbandono nave.

Le Vittime:

Durante il naufragio dell’ Achille Lauro nell’Oceano Indiano, perirono due turisti uno dei quali fu schiacciato da una lancia di salvataggio, altri otto rimasero feriti.

La maggior parte dei passeggeri venne salvato dalla nave battente bandiera panamense Hawaiian King. Una parte dell'equipaggio venne tratta in salvo dalla fregata ZEFFIRO della Marina Militare Italiana che rientrava da una missione a Gedda. Le operazioni di salvataggio dei superstiti andarono a buon fine. I passeggeri vennero scortati nel porto di Gibuti sotto il controllo di Davide Bottalico ufficiale medico della fregata Zeffiro. Secondo la Commissione d'Inchiesta istituita dal Ministero dei Trasporti, l'incendio fu dovuto al caso. Non è pensabile il recupero del relitto che si trova a 95 miglia dalla costa somala, in pieno Oceano Indiano, alla profondità di circa 5.000 mt.


“ANGELINA LAURO” - Band. Italiana - Stazza Lorda, 24.377 - Lungh. x Largh. 200 x 25,5 metri - Capacità Pax, 665 - Velocità, 26,5 - Varo 1964

28.8.1965 ore 05.00

Luogo Incendio:

Genova-Cantieri O.A.R.N. – I lavori di ristrutturazione si prolungarono per 17 mesi e compresero il rifacimento della prora, della ciminiera e di tutti i ponti destinati ai passeggeri. L’incendio divampò alle 05 del mattino del 28.8.65. Il luogo dell’incidente fu localizzato sul ponte “F” verso proravia, a vari metri sotto la linea di galleggiamento della nave. Ma soltanto dopo molte ore i vigili del fuoco poterono inoltrarsi in quei locali bui e devastati dall’esplosione che provocò l’incendio e recuperare i corpi ormai irriconoscibili:

Le sette Vittime: G.Bruno, G.Tebaldi, P.Dellepiane, G.Sessarego, C.A.Pagano, G.B.Chiossone, G.Olcese.

Le Cause: In questi frangenti, la causa e quasi sempre la stessa: presenza di sacche di gas che sprigionano dalle casse dei combustibili non perfettamente degasificate e che esplodono in presenza di fiamme libere.

Dopo la cessione dell’Angelina Lauro al gruppo Costa nel 1977 ed il ritiro di Lauro dalla gestione diretta del gruppo, le sorti della Compagnia peggiorarono fino alla dichiarazione di fallimento ed alla Gestione Commissariale dal 1882.

Ultimo Incendio:

La Angelina Lauro andò completamente perduta in seguito ad un altro incendio che la distrusse il 31.3.1978 quando si trovava all’ormeggio a St.Thomas nelle Isole Vergini Statunitensi (Caraibi).

Il fuoco era divampato nelle cucine del transatlantico che presto si piegò di 25° sul fianco sinistro. Non vi furono vittime a bordo. La nave fu recuperata soltanto nel mese di luglio, ma fu venduta ad un demolitore di Taiwan.

Concludiamo questa triste storia con un articolo pubblicato da: Epoca n.49, domenica 11 dicembre 1994) che rende ancora oggi l’idea della drammaticità di certi avvenimenti che ciclicamente si ripetono, anche con navi moderne a tecnologia avanzata. Le riflessioni che ne derivano sono numerose e denunciano quanto sia pericoloso “abbassare la guardia” sul fronte della SICUREZZA NAVALE.

La nave maledetta. L’agonia della Achille Lauro

di REMO URBINI

Un inferno. Il fuoco si è fatto strada dalla sala macchine, il fumo ha invaso le cabine, l’odore di bruciato è arrivato fino alla sala da ballo affollata da passeggeri in smoking e lamé. Roy Boltman, sudafricano, mago e intrattenitore, è stato uno dei primi a capire: lui, un naufragio lo aveva già vissuto tre anni fa sulla nave greca «Oceanos». Poi la musica si è interrotta con un fischio e sono arrivati gli ufficiali, nervosi, ma decisi: signori seguiteci sul ponte, per favore, c’è un incendio a bordo. Stavano per arrivare in paradiso i passeggeri di questa crociera sull'Achille Lauro partita da Genova e diretta in Sud Africa: : il 1° dicembre avrebbero dovuto approdare sulle spiagge delle Seychelles, il 5 sdraiarsi al sole delle Mauritius. Invece sono finiti in coperta, stipati e terrorizzati: chi in abito da sera, chi, come un gruppo di olandesi, in pigiama, chi ancora, come una comitiva di inglesi, in maglietta. Hanno lasciato tutte le loro cose nella cabina: sulle scialuppe c’è posto solo per le persone.

Sos affondiamo. Era la notte di martedì 29 novembre 1994: alle 5 e 54 ora italiana, dal transatlantico è partito l’Sos. Ed è iniziata l’ultima giornata di una nave da crociera leggendaria e famigerata: dicono che porti sfortuna. E fortuna di certo non ne ha avuta, nove anni prima, quando un commando di terroristi palestinesi la dirottarono e uccisero un passeggero. Ora c’è chi dice che la sfortuna non c’entra, che la nave non era sicura, che il boom delle crociere esploso nell’ultimo periodo spinge le compagnie ad abbassare i livelli di controllo pur di partire sempre a pieno carico.

Sull'Achille Lauro c’erano 572 passeggeri e 402 membri d’equipaggio, due persone sono morte: il cuore di Gerard Szimke, 68 anni, tedesco, ha ceduto alla paura. Arthur Morris, 64 anni, inglese residente in Sud Africa, invece ha incontrato il suo destino: era già salito sulla scialuppa di salvataggio quando un palo, caduto dalle fiancate della nave, l’ha colpito alla testa uccidendolo sul colpo. Tutti gli altri, compresi i 12 passeggeri italiani, si sono salvati, raccolti dalle navi accorse alla richiesta d’aiuto: la panamense «Hawaian King», la greca «Treasure Island», la liberiana «Bardu». Poi, dopo i primi soccorsi improvvisati, sono arrivate altre navi e i naufraghi sono stati avviati verso Gibuti e Mombasa.

L'Achille Lauro, quella che tutti a Napoli conoscono come la Nave Blu per il colore delle sue fiancate, è rimasta a bruciare in mezzo al mare. Cento marinai hanno lottato fino all’ultimo per spegnere le fiamme, hanno esaurito la schiuma dell’ultimo estintore, poi hanno ceduto. Per mezz’ora, l’unico ad aggirarsi sui ponti, in uno scenario spettrale, è stato il comandante Giuseppe Orsi, 58 anni. Alla fine anche lui se ne è andato, ultimo come prescrive la legge e l’onore degli uomini di mare. La nave si è inclinata, poi, dopo due giorni di agonia, si è inabissata.

Mezzo secolo di guai. Così l'Achille Lauro, una nave che aveva quasi mezzo secolo, ha ceduto. Negli uffici napoletani della Starlauro, gli armatori avevano accarezzato un sogno da irriducibili: recuperare lo scafo, magari anche ripararlo. Ma il comandante era pessimista. "L'Achille Lauro di nuovo in mare? Impossibile. Può anche darsi che non affondi, ma ormai è distrutta". Aveva ragione: quando uno dei rimorchiatori mandati dagli armatori ha cercato di trainare la nave in fiamme, l'Achille Lauro ha abbandonato la lotta, è affondata.

Questa volta insomma, il fuoco ha vinto la sua battaglia. Non c’era riuscito nel 1971 quando il transatlantico speronò un peschereccio (un marittimo morì) e si incendiò, non c’era riuscito l’anno dopo quando una parte della nave bruciò nel porto di Genova. Due episodi di una lunga storia di disavventure. Quelle che hanno guadagnato all'Achille Lauro la fama di “nave maledetta”. Progettata nel 1939 in un cantiere olandese, lega la sua nascita al terribile destino del suo armatore, Willem Ruys, ucciso in un campo di concentramento tedesco. Varata nel 1947 col nome appunto di Willem Ruys, naviga per quasi vent’anni negli oceani di tutto il mondo. Sui ponti in alto ci sono passeggeri come Henry Ford o Alfred Hitchcock, in quelli bassi si stipano gli emigranti in viaggio verso l'America. Nel 1964 sul transatlantico mette gli occhi Achille Lauro, armatore, monarchico, sindaco e padre-padrone di Napoli. La nave è in brutte condizioni: Lauro, «’o comandante» la spedisce in cantiere per quattro anni. Quando esce, con quel suo colore blu che la differenzia dalle navi bianche delle compagnie concorrenti, è una fuoriserie del mare. Ma la sfortuna non l’abbandona: incidenti, incendi (ce ne fu uno anche alle Canarie nel 1981, dove la nave era sotto sequestro dopo il crack della flotta Lauro). Fino a quel 7 ottobre 1985 quando la nave in viaggio verso Port Said viene dirottata da un gruppo di terroristi palestinesi. Per dieci giorni rimane in mano a un gruppo di esaltati che vuole utilizzarla per attaccare Israele. I 450 passeggeri vivono giorni di terrore, uno di loro, Leon Klinghoffer, un americano in sedia a rotelle, viene ucciso. Alla fine i terroristi trattarono, si consegnarono agli italiani: ora tre sono tornati liberi, in carcere resta solo l’assassino dell’americano.

Una carretta del mare? Ora la storia della nave maledetta è finita. E cominciano le polemiche. Qualcuno parla di equipaggio poco qualificato (tanti filippini e peruviani a basso costo), di cattive condizioni di manutenzione. La stampa rispolvera il termine abusato, ma sempre efficace, di carretta del mare . Ma gli armatori insorgono. Il direttore amministrativo della Starlauro, Antonio De Rosa spiega: “È vero che il personale straniero costa meno, ma viene impiegato nelle cabine, ai tavoli, come inservienti insomma. I marinai sono tutti specializzati. Cattive condizioni della nave? Tutte frottole: l’Achille Lauro aveva passato un’ispezione il 14 novembre”.

Tutto vero? Per saperne di più bisognerà aspettare i risultati dell’inchiesta (ci sono in ballo anche i 27 miliardi per cui era assicurata la nave). Ma quella di oggi sembra proprio l’ultima puntata della battaglia tra l’Achille Lauro e la sfortuna.

 

Carlo GATTI

Rapallo,  8 Luglio 2015