METTITI CON LA SCHIENA AL VENTO NELLA POSIZIONE DEL CROCIFISSO…

 

METTITI CON LA SCHIENA AL VENTO NELLA POSIZIONE DEL CROCIFISSO…

Pochi giorni fa, verso le 15, Rapallo fu investita da una burrasca fortissima che ha prodotto danni ingenti e smottamento di massi per i quali ancora oggi siamo costretti a girare per le colline prima di poter scendere a valle. Ma questo non vuole essere un MUGUGNO… e poi contro chi?

Per fortuna quella serie di bombe d’acqua durò solo due ore…

La cosa più strana, ma non troppo, é che secondo l’ARPAL meteo di Genova, in quel pomeriggio stava splendendo il sole …

Nulla di nuovo sotto le stelle! Alcuni anni fa si diceva che le Previsioni del tempo basate su modelli matematici indovinavano soltanto una percentuale del 40%. Per cui si disse con qualche ironia e molte verità, che il problema poteva essere in parte risolto diffondendo previsioni opposte e contrarie a quelle emesse tramite i dati satellitari ottenendo in questo modo almeno il 60% di verità.

A quel punto, un familiare che si fida ciecamente dei dati forniti dal suo cellulare ultimo tipo mi ha chiesto:

Ma come hai fatto a ritornare sempre a casa dai tuoi viaggi con queste indecenti previsioni del tempo che lo Stato (Regione) fornisce e che, sicuramente, ai tuoi tempi erano ancora peggiori?

Ai miei tempi il Comandante si fidava solo di quello che vedeva: onde, vento, colore del mare, tipo di nuvole, volo dei gabbiani ecc…, ma soprattutto era un barometro dipendente. Per lui quello strumento era la voce di Dio. Ne aveva uno sul Ponte di Comando: il barografo, che gli metteva per iscritto l’andamento del tempo, uno in cabina e un altro nella sala da pranzo. Se la lancetta dello strumento tendeva ad abbassarsi faceva una smorfia preoccupata perché, secondo lui, stavamo andando verso una bassa pressione che era da evitare, specialmente se la rotta della nave poteva incrociare il suo centro.

OK! Ma chi vi forniva il Bollettino del tempo? E su cosa si basava?

Le grandi città marittime italiane e straniere disponevano di Stazioni Meteo Costiere che emettevano bollettini del tempo su date frequenze e a determinati orari. I dati emessi erano basati sulle osservazioni effettuate da specialisti dell’Aeronautica Militare per ogni zona del Mediterraneo oppure degli Oceani. Anche le navi oceaniche erano considerate Stazioni Meteorologiche ed avevano l’obbligo di compilare accuratissimi moduli meteo (OBS-AMVER ecc…) che dovevano essere inviati, via Radio, a ben noti Centri Internazionali che elaboravano i dati ricevuti e li trasformavano nelle previsioni del tempo che poi venivano diffuse e captate dalle navi in navigazione.

Mi stai dicendo che l’uomo di mare, prima dell’era satellitare, si fidava di ciò che un osservatore vedeva, elaborava e riferiva?

“Proprio così! Ma il Comandante di una nave, solo in mezzo al mare, doveva fidarsi soprattutto di sé stesso, con le sue personali osservazioni basate esclusivamente sulla propria esperienza”. I Bollettini Meteo che il Marconista (R.O.) di bordo riceveva e consegnava al Comandante erano di grande aiuto e affidabilità, tuttavia, chi ha navigato lo sa bene: esistono aree costiere, ma anche atlantiche in cui le condizioni meteo locali subiscono notevoli “variabilità” dovute a correnti aeree e marine fredde oppure calde, aree cicloniche che si formano velocemente e prendono direzioni poco prevedibili che vanno seguite in tempo reale”.

Ritornando dalle nostre parti, tutti sanno quanto il Mediterraneo sia insidioso un po’ dappertutto specialmente con la “rottura dei tempi”. Ma era davvero così importante il barometro? Possibile che non ci siano anche segnali visivi, premonitori che mettano in guardia il marittimo su cosa può capitargli?

“La materia é vecchia migliaia di anni… ma devi sapere che dopo ogni naufragio la gente di mare sopravvissuta ha imparato qualcosa… forse di non scritto, ma sicuramente di tramandato ai posteri. Di questa materia é formata l’ESPERIENZA… alla quale mi riferivo all’inizio.

Ricordi un aneddoto di quei tempi?

 


La motonave Vulcania in procinto di partire dalla stazione marittima di Trieste alla fine degli anni Venti; in servizio dal 1928 al 1972, fu una delle navi di linea più longeve della storia.

“1962, ero al mio secondo imbarco da Allievo ufficiale sul transatlantico VULCANIA, abbastanza datato, ma di grande prestigio, per di più era dotato di una strumentazione up-to-date per l’epoca: Loran, Omega e due enormi Radar Raytheon. Il Comandante Peranovich, in pieno Atlantico Nord Atlantico abbastanza incazzato, mi ordinò di rilevare il vento servendomi del ripetitore della bussola sull’aletta di plancia.

Visto che gli Allievi Ufficiali non contavano granché… ho pensato che mi prendesse per il c… Poi capii che faceva sul serio perché ordinò al 3° Ufficiale di venirmi a controllare…

Da poco uscito da scuola, avevo la testa piena di Rette di Altezza, formule trigonometriche imparate a memoria ed una infinità di nomi di stelle che in parte ormai conoscevo, ma nessuno mi aveva mai ordinato di rilevare il vento in quel modo e con quella precisione maniacale!

Vista la mia sorpresa, il 1° ufficiale anziano a cui ero stato assegnato, mi prese da parte e mi diede la seguente lezione di meteorologia.

PREMESSA:

In meteorologia la legge di Buys Ballot (dal nome del fisico olandese Christophorus Buys Ballot) afferma che un osservatore nell'emisfero boreale piazzato spalle al vento si trova l'area di depressione davanti a sinistra e di alta pressione dietro a destra, il che significa che l'aria circola in senso antiorario ...

N.B. Nell’emisfero SUD é tutto il contrario.

“Hai mai sentito parlare della legge di BUYS BALLOT?”

“Ho avuto degli ottimi professori, ma nessuno di loro aveva navigato!”

“Si tratta della legge scientifica che per la sua praticità serve maggiormente a chi va per mare in qualsiasi parte del globo terracqueo; già anche in terra! Siamo nell’emisfero Nord.


Se ti metti con le spalle al vento, nella posizione del Crocifisso, l’ALTA PRESSIONE E’ A DESTRA E LA BASSA PRESSIONE E’ A SINISTRA.

Se t’infili nell’area depressionaria ciclonica, il vento ti spinge verso il centro, nell’occhio del ciclone. Devi quindi cercare di evitarla, cioè devi eventualmente correggere la tua rotta ed allontanarti.

Al contrario, l’Anticiclone (alta pressione) tende ad allontanarti dal suo centro: si può dire che é una forza centrifuga ottimale che ruota nel senso delle lancette dell’orologio.


 


 

Quindi anche quando sono in casa, in base al vento che soffia, se mi metto con la schiena al vento so sempre dove si trova la Bassa Pressione che, specialmente  di questi tempi, fa paura…

 

CONCLUSIONE

 

Forse anche nel campo Meteorologico bisognerebbe ritornare un po’ all’antico e anziché guardare il cellulare verso il basso, sarebbe meglio scrutare gli elementi variabili del creato, allo stesso modo come quando “fissiamo” una persona in faccia per capire di che umore sia …

di CARLO GATTI

Rapallo, Venerdì 6 dicembre 2019


LIVINGSTONE USAVA IL SESTANTE IN AFRICA

LIVINGSTONE USAVA IL SESTANTE IN AFRICA!



Com.te ERNANI ANDREATTA (nella foto), é il Fondatore e Curatore del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari. Autore di decine di libri d’argomento storico-marinaro, é anche regista e produttore di qualche migliaio di DVD dello stesso argomento. A lui si deve l’approfondimento sul tema: LIVINGSTONE USAVA IL SESTANTE IN AFRICA! Diamo a lui la parola:

Incredibile! Lo Sapevate che nel 1871 il grande esploratore Scozzese David Livingstone in Africa, per capire dove si trovava usava il Sestante Nautico, cioè il nostro Sestante che ci ha guidato nelle nostre lunghe navigazioni di tanti anni fa? Eccone la prova!

https://youtu.be/9Qfb00guShg

Confessione di Ernani a nome di tutti o quasi…

Chi ha mai usato di noi l’orizzonte artificiale? Credo nessuno o almeno a me non è mai capitato né da Ufficiale né da Comandante. Eppure sarebbe stato utile quando ad esempio si vedevano bene le stelle, ma non si vedeva l’orizzonte a causa della foschia o altro.

Ma chi ci pensava?

Si sarebbe potuto fare il punto nave anche di notte, cioè quando si vedevano benissimo le stelle ma per via del buio non si vedeva l’orizzonte. Nessuno ha mai pensato che da secoli esistevano orizzonti artificiali che nessuno ha mai usato; parlo per me stesso.

A volte penso che l’orizzonte artificiale sia una specie di …. "fake news” … AH AH ... O perlomeno, nessuno al mondo ne ha mai parlato o magari qualche volta se ne parlava ma nessuno lo ha mai messo in pratica nonostante poteva anche essere utilissimo.

Al museo, come dissi, ho un sestante aeronautico dove si usava normalmente l’orizzonte artificiale perché spostandosi l’aereo molto velocemente non si poteva star lì a cercare l'orizzonte vero. Guardando in un oculare si vede la scritta “artificial horizon”, e pertanto esso fa parte integrante dello strumento stesso. Ho provato ad usarlo, ma NU GO CAPIU IN BELIN !

Non è facile. Ecco lo strumento. Se un domani verrete al Museo ve lo farò vedere e provare!

Confermo pertanto la mia ignoranza circa l’orizzonte artificiale dove mi chiedo, ma perchè, noi “Vecchi Naviganti” maestri del sestante non abbiamo mai e poi mai (almeno io) pensato di usarlo. Eppure ci sarebbe stato utile !!!


Com.te NUNZIO CATENA, di guardia sull’aletta con il suo “amato” sestante Plath.

Grazie dell’interessante articolo sull’Esploratore Livingstone che ha usato il sestante per trovare la sua posizione all’interno dell’Africa.

Molto probabilmente in mancanza dell’orizzonte marino, sul quale misurare l’altezza dell’astro, avrà avuto un sestante con orizzonte artificiale, visto che erano già in uso nel 1730.

 

Com.te ERNANI ANDREATTA

Giustissima osservazione la tua, ma siccome dice che era su un lago probabilmente l’orizzonte era quello del lago che però non hanno fatto vedere. Ma la tua ipotesi che ho pensato anch’io è più che giusta ma capisci che quello del filmato era solo un rifacimento di persone che sicuramente IGNORANO completamente che cosa era un sestante. Ciò non toglie che un grande esploratore come LIVINGSTONE il sestante lo ha usato davvero. E questa è una cosa che mi è piaciuta molto.

Altro che GPS ….

Com.te CARLO GATTI

Molti anni fa acquistai a Londra un piccolo sestante, con la bolla sul retro, adatto per la misurazione degli astri sull’orizzonte artificiale. E’ molto piccolo, quindi tascabile, particolare non trascurabile durante un viaggio terrestre, in particolare nel deserto, così mi fu spiegato dall’antiquario.

Eccovi le misure:

Altezza: 5 cm

Lunghezza: 20 cm con il cannocchiale estratto

Peso: 209 gr.

Fabbrica e data di costruzione: E.R.WATTS & SON- LONDON 1912 – N.314

Lo strumento é di tipo tascabile; per l’epoca questa caratteristica ne rappresentava il pregio maggiore! Mi dissero che era usato dagli inglesi per orientarsi nel deserto.

Ora vi mostro le foto:






Aggiungo un'altra testimonianza:

Il Com.te Vittorio NATILI, nativo di Rapallo e membro della Società Capitani e Macchinisti Navali di Camogli, dopo aver navigato e giunto al Comando di navi petroliere, nei primi Anni ’50 entrò in ALITALIA con il compito di addestrare “NAUTICAMENTE” i Piloti di linea e cargo (si trattava di aerei ad elica). ASTROCUPOLA si chiamava il suo alloggio e consisteva in una piccola cupola trasparente posta sulla fusoliera del velivolo ed era adatta per le osservazioni astronomiche, quindi per la determinazione della posizione del velivolo in un certo istante.



“Disponevamo di diversi sestanti, di vario tipo, tra cui quelli ad orizzonte artificiale per quando si navigava sopra le nuvole”.

Com.te Roberto DONATI

Come la maggior parte dei marittimi vi devo confessare che mai si parlava a bordo di Sestanti con orizzonte artificiale. La domanda venne spontanea con l’uso delle Tavole che usavano in Aviazione per il punto nave. Tavole utilissime che davano la possibilità di trovare le stelle, anche con scarsa visibilità, disponendo di azimut e altezza approssimata. Da quel momento abbiamo cominciato a parlare di orizzonti artificiali e punti nave fatti in aviazione.

 

Continua il nostro scambio d’idee sull’argomento “Sestante ed orizzonte artificiale” ed il Com.te Nunzio CATENA ci propone un LINK molto interessante per la ricchezza d’immagini.

http://filmatidimare.altervista.org/strumenti-nauticiorizzonte-artificialeartificial-horizon/

che contiene altri spunti interessanti.

Nunzio Catena ribattendo ad Ernani Andreatta:

Come te, mi faccio le stesse domande: perchè a bordo l’Orizzonte Artificiale non lo usava nessuno? Io l’ho visto ed usato solo quando frequentavo il Nautico ad Ortona.., era un sestante Plath  con orizzonte artificiale a bolla. Non era molto difficile da usare, bastava centrare la bolla come da figura:


Quando sono andato a bordo siccome non l’ho visto adoperare a nessuno, mi sono adeguato e quando ho avuto la possibilità di comprare un sestante ho scelto quello “marino” senza bolla, come facevano tutti i capitani di mare della nostra epoca. Ho continuato così come da tradizione…


PARATA DI COMANDANTI IN VISITA AL MUSEO TOMMASINO ANDREATTA    -   CHIAVARI

Cicci Panella, Roberto Donati, Carlo Gatti, Ernani Andreatta ed il compianto Emilio Carta (dx).

CONCLUSIONE:

Nunzio CATENA, cacciatore infallibile di siti su argomenti di mare, segnala per noi e per gli appassionati dell’argomento trattato, un LINK davvero interessante scritto da Cap.Mortola nostro “vicino di casa”, socio come noi della Società Capitani e Macchinisti di Camogli.

http://www.scmncamogli.org/mortola/riftempo.pdf

A cura di Carlo GATTI

Rapallo, 9 Ottobre 2019


BREVE STORIA DELLE ASSICURAZIONI MARITTIME

BREVE STORIA DELLE ASSICURAZIONI MARITTIME

Trent'anni fa, Maurizio Tosi, allora giovane archeologo dell'Istituto per lo studio del Medio ed Estremo Oriente (Is.MEO), si trovava a esplorare un territorio vergine e pressoché sconosciuto all'archeologia, il sultanato dell'Oman.

 

I PRIMI CONTRATTI
Anche le civiltà più antiche in India o in Babilonia hanno lasciato tracce di accordi, di
“contratti” stipulati, spesso oralmente, per proteggere i beni trasportati dalle navi o dalle carovane.

 


Nave Oneraria di Albenga

 


Nel 200 a.C. comparvero alcune iniziali forme d’assicurazioni di rendita vitalizia…

Un antico esempio di mutualità nacque da una legge promulgata a Rodi ancor prima dell’avvento di Cristo che sanciva il criterio della compensazione generale delle perdite conseguenti ad alleggerimenti del carico effettuati durante la navigazione allo scopo di salvare la nave, i passeggeri ed il suo equipaggio.


A Roma esistevano molte società di assistenza e, come in Grecia, anche i collegia tenuiorum provvedevano alla sepoltura di chi non poteva permettersi una cerimonia funebre.


Le guerre puniche (264-146 a.C.)

I fornitori di armi e vettovaglie delle legioni romane impegnate nelle Guerre Puniche contro Cartagine comunicavano al Senato l’intenzione di continuare a rifornire le LEGIONI soltanto dietro pagamento completo del carico anche in caso di perdita totale di un naviglio o di una spedizione.

Dopo la caduta dell'Impero Romano e per buona parte del Medio Evo, la necessità di tutelarsi é sempre riferita al rischio marittimo …


Navi epoca all’epoca delle CROCIATE

La prima forma di Assicurazione fu quella marittima, che risale al Basso Medioevo. Per Basso Medioevo si intende il periodo della storia europea e del bacino del Mediterraneo convenzionalmente compreso tra l'anno 1000 circa e la scoperta dell’America nel 1492. Ed è altrettanto naturale che le forme assicurative abbiano la loro origine nelle città marittime italiane, veri poli della navigazione e del traffico commerciale europeo e oceanico.

Già nel 1225 a Venezia si ebbe un esempio di Assicurazione Marittima (fino a 1000 lire) e quando si verificò un infortunio, il Governo obbligò l'assicuratore ad eseguire il pagamento.

Queste forme di tutela assunsero una particolare consistenza già con i grandi movimenti di massa al seguito dei crociati.

Con le Crociate, infatti, quando i viaggi via mare non erano solo commerciali, ma anche militari, le prime forme d’Assicurazione ebbero una rilevante importanza. Erano viaggi lunghi e pericolosi: con navi, uomini e merci duramente esposti a tempeste, malattie, incursioni piratesche e danneggiamenti, per cui s’impose la necessità da parte di tutti gli operatori di queste storiche SPEDIZIONI di mettersi al riparo dai rischi gravi cui erano sottoposti.

Nel XIII secolo nacquero anche sodalizi di mutua assistenza, generalmente nati all'interno delle Corporazioni di Arti e Mestieri, in cui gli aderenti versavano quote annue che servivano a cumulare un capitale che venisse in aiuto ai soci colpiti da malattia, o che avessero subito furti o incendi. Anche in questo caso abbiamo una tutela da un rischio, ma non possiamo ancora parlare di "assicurazione", poiché la tutela non prevedeva un risarcimento vero e proprio del danno, ma solo il versamento di una somma relativa al capitale raccolto e che pertanto poteva essere anche esigua, non essendo correlata all'effettivo danno economico subito dall'associato.

L'Assicurazione trasporti, secondo il suo concetto primario, comprendeva tutte le assicurazioni contro le perdite e i danni che colpivano le merci e i mezzi di trasporto; ma in pratica, per ragioni diverse, le assicurazioni trasporti per via di mare erano considerate separatamente dalle altre riguardanti trasporti per via di terra e di acque continentali.

Volendo procedere con un po’ di cronologia, si può affermare che i primi documenti di assicurazione sono di tipo marittimo e risalgono all'inizio del XIV secolo, che sono:

il Breve cagliaritano, statuto pisano per la città di Cagliari del 1318; le spese per il rischio nei libri di Francesco Del Bene del 1319-320:

l'Atto grossetano di quietanza, un atto notarile del 1329 per una somma assicurativa;

Vari contratti assicurativi dalle città di Genova (1343), Marsiglia (1333), Lucca (1334), Palermo (1350).

Nello stesso periodo nasce la figura del MERCANTE, che inizia a svolgere anche il ruolo di Assicuratore. Nel 1400 le Amministrazioni stabiliscono le prime norme in materia, come le Ordinanze di Barcellona (1435-1484), replicate successivamente anche a Burgos (1538), Siviglia (1556), Bilbao (1569) e Anversa (1570).

All'epoca i contratti di assicurazione erano stabiliti per polizza o con un atto notarile, talvolta anche a voce. Il carico, il periodo del viaggio, il mezzo di trasporto e la rotta influenzavano il calcolo del premio; la nave tipo galea-galera, ad esempio, era considerato il mezzo più sicuro via mare.

I maggiori esponenti del Cristianesimo, inizialmente, criticarono l'istituzione dell'assicurazione in quanto era assimilata al prestito con interessi e all’USURA, entrambe vietate dal Diritto Canonico Medievale.

 


BERNARDINO DA SIENA - De contractibus et usuris, XV secolo

Bernardino da Siena (religioso e teologo italiano, appartenente all'Ordine dei Frati Minori. Fu proclamato santo nel 1450 da papa Niccolò V), si rifaceva al Diritto Romano e riteneva il prestito assicurativo tollerabile, poiché aveva un'utilità pubblica. L'assicurazione dei commerci via terra era molto limitata, anche se esistente in misura minore, poiché era ritenuto più sicuro dei trasporti marittimi avendo delle Autorità Statali che ne garantivano il controllo.


Lo sviluppo dell'assicurazione a scopo speculativo inizia solo nel sec. XIV. Negli archivi di Firenze e di Genova si sono scoperti documenti che vanno dal 1300 al 1319; ma un esplicito e definitivo riconoscimento legale dell'
Assicurazione Marittima si ha solo:

con la legge del 21 ottobre 1369, promulgata a Genova dal doge GABRIELE ADORNO che ordinò il PRIMO CODICE su questa materia.


 

Stemma nobiliare degli ADORNO

 

E’ quindi di Origine genovese il primo Contratto di Assicurazione in senso moderno.
che si affermò tra i secoli XIII e XIV in Italia, diffondendosi successivamente in altri Paesi europei, quando lo sviluppo dei traffici marittimi determinò per i mercanti l’esigenza di garantire i rischi del trasporto contro le insidie del mare e gli atti di pirateria crescenti. 

Con essa, sono dichiarati validi i contratti per viam cambi seu assecuramenti. Nello stesso archivio di Palazzo S. Giorgio si trova anche il Registro dove, dal 1410 sono registrate le assicurazioni marittime stipulate a Genova, con le indicazioni del premio relativo, che era di soldi dieci per ogni cento lire di capitale assicurato.

Da questo momento le Assicurazioni dilagano per tutto il Mediterraneo e vanno a coprire anche altri rischi come quello dei Trasporti Terrestri.

Un forte sviluppo del mondo assicurativo fu dato dalla Spagna dove nacque la prima regolamentazione completa del rapporto assicurativo con le cinque ordinanze di Barcellona fra il 1435 e il 1484, ordinanze inserite nel celebre Consolato del Mare.

Tra i primi Codici riguardanti le assicurazioni marittime hanno speciale importanza, oltre la legge del 1369, l'ordinanza di Pisa del 1318, (che contiene già norme per regolare diritti e doveri dell'assicurato e dell'assicuratore), c’é l'ordinanza di Firenze del 1523 che stabilisce per le polizze una determinata forma simile a quella oggi in uso.

L’INTERVENTO DELLO STATO



Jean-Baptiste Colbert

I primi documenti che interessano l’intervento dello STATO nel settore assicurativo ci sono pervenuti dai Paesi Bassi con Filippo II il quale, con decreto del 1570, nominò un Commissario di Stato per le assicurazioni, Diego Gonzales di Gand, responsabile della sorveglianza sul buon fine dei contratti, il quale rese obbligatoria la registrazione delle polizze.

Nel 1681, in Francia, fu pubblicata la famosa ORDONNANCE DE LA MARINE e tutta la successiva legislazione sulle assicurazioni marittime trasse ispirazione da questo documento:

Jean Baptiste COLBERT - Ministro delle Finanze del Regno di Francia - esercitò anche una consistente attività legislativa. Tra le iniziative di maggior rilievo, vanno ricordate le quattro Ordinanze che, emanate tra il 1667 ed il 1681,Rivoluzione ed oltre. In ordine cronologico, esse furono: estesero la loro influenza sul DIRITTO francese fino alla

· Ordonnance civile pour la réformation de la justice (1667), sulla riforma della giustizia civile, a cui si sarebbe ampiamente ispirato il Codice di procedura napoleonico;

· Ordonnance criminelle (81670), sulla procedura penale, che stabiliva un sistema decisamente intimidatorio (ad esempio, regolava in maniera minuziosa l'uso della tortura);

· Ordonnance du Commerce (1673), il primo "codice di commercio" dell'era moderna. Stabiliva un regolamento generale del commercio di terra e venne redatta, sentito il parere delle varie corporazioni e delle giurisdizioni mercantili, con il determinante apporto personale del mercante parigino Jacques Savary, grande esperto di giurisprudenza commerciale. In suo onore è anche indicata come Code Savary;

- ORDONNANCE DE LA MARINE (1681). Avente come oggetto il commercio sui mari, era una rielaborazione delle consuetudini marittime, talmente perfezionata che non solo ispirò i legislatori napoleonici, ma pure i successivi CODICI DELLA NAVIGAZIONE.

Tra il 1600 e il 1700 il cuore dell’attività finanziaria si sposta a LONDRA.

Qui nacquero le prime polizze contro l’incendio e le prime assicurazioni collettive. Le prime ebbero un impulso dopo l’incendio che nel 1666 distrusse gran parte della City: assicurare gli edifici (che erano per lo più in legno) contro il fuoco divenne una prassi diffusa.

 

La statistica e le assicurazioni sulla vita

L’affermazione delle assicurazioni moderne non sarebbe stata possibile senza lo sviluppo della scienza della statistica, alla quale diede un impulso determinante – sempre nella seconda metà del ‘600 – il filosofo matematico francese Blaise Pascal.

Grazie alla statistica, le Assicurazioni poterono contare su una base scientifica per il calcolo delle probabilità: l’eventualità che un evento si verifichi poté, da allora in poi, essere misurata in modo matematico. Una delle prime Compagnie londinesi specializzata nelle assicurazioni contro gli incendi, adottò per esempio l'ipotesi che una casa su 200 bruciasse ogni 15 anni.

Le Assicurazioni collettive, in cui agisce non un unico assicuratore, ma un gruppo, ci rimandano invece a un nome che è tuttora tra i simboli delle assicurazioni nel mondo: I Lloyd’s.

Edward Lloyd era il gestore di un caffè londinese, dove si riunivano gli Assicuratori Marittimi, e dove nacque l’uso di assicurare collettivamente i rischi più ingenti. Ancora oggi Lloyd’s è il più grande ri-assicuratore del mondo.

Anche le assicurazioni sulla vita nacquero, probabilmente, da quelle marittime, poiché anche i Capitani erano preziosi, come le navi e il loro carico. Ma perché il “ramo vita” si sviluppasse in una forma moderna si dovette attendere la seconda metà del XVII secolo quando nacquero il calcolo delle probabilità e, soprattutto, la tavola di mortalità, grazie all'astronomo Halley.

Alla fine del ‘600 c’erano dunque le basi per lo sviluppo delle imprese moderne di assicurazioni che si svilupparono fino ai giorni nostri.

Il famoso COFFEE HOUSE di Edward LLoyd

 


Il moderno edificio dei Lloyd's

LLOYD’S - INGHILTERRA

Quando il dominio dei mari passò dalla Spagna all’Inghilterra, questo paese conquistò, ovviamente, anche il primato nel mercato delle Assicurazioni Marittime.

Il Lloyd’s di Londra, che nacque nel 1686, divenne il centro del mercato assicurativo marittimo inglese oltre che un gigante dell’industria assicurativa mondiale. In Inghilterra non solo fiorì l’Assicurazione Marittima, ma nacquero per la prima volta nel XVII secolo anche le Assicurazioni Terrestri e le prime moderne Imprese assicurative sia come società di mutue che società per azioni.

 

LA PRIMA COMPAGNIA

Contemporaneamente, nel 1681 si costituì a Venezia la prima Compagnia di Assicurazione che garantiva i rischi marittimi. E’ questa l’epoca in cui il mondo assicurativo subì una svolta ulteriore.

Gli assicuratori, associati tra loro, che sino a quel momento garantivano con i premi, ma anche con il loro patrimonio personale, lasciarono il posto ad un organismo più moderno in cui il rischio dei soci era limitato alla quota di capitale versata. L’esperienza accumulata da questa forma societaria, fu la base della ideazione della prima “tavola di mortalità” ideata da Deparcieux e messa a punto da Edmund Halley. Nel frattempo, nella società dell’epoca, cominciarono a comparire i primi elementi del “calcolo delle probabilità” grazie a Blaise Pascal e a Pierre De Fermat. Con l’istituzione dei registri anagrafici parrocchiali, le raccolte dati divennero “sistema” per il calcolo della mortalità e così fu fatto un altro, basilare, passo in avanti verso quella che è oggi la moderna polizza assicurativa. Con la costituzione della “The amicable society for a percentual assurance office” nel 1705, nacque il moderno concetto di assicurazione. Siamo in Inghilterra. La società britannica ancora non usava una differenziazione del rischio rispetto all’età dell’assicurato se non calcolando un rischio comune fra i dodici ed i quarantacinque anni.

 

NASCONO I PREMI DIFFERENZIATI

Il primo esempio di tecnica attuariale applicata al mondo assicurativo lo si deve a James Dodson nel 1750. Fu lo stesso Dodson che fondò – sempre a Londra – la “Equitable Society” che per prima ideò i “Premi” differenziati rispetto all’età dei clienti. Per la prima volta apparse anche una certificazione medica sullo stato di saluto dell’assicurato e il primo tasso di interesse di sconto.


Un manifesto pubblicitario del 1899 per una compagnia assicurativa olandese.

CARLO GATTI

Rapallo, 2 aprile 2019

 


UN AFFRESCO DEL MONDO DEI BARCACCIANTI

UN AFFRESCO DEL MONDO DEI BARCACCIANTI

Il m/r TORREGRANDE in un dipinto di Marco Locci

In piena notte fui svegliato dalla voce assonnata del Capitano d’Armamento della Società Rimorchiatori Riuniti. Ero convocato d’urgenza sull’ormeggio di Ponte Parodi (Porto di Genova).  La petroliera inglese SANTORINI, 40.000 tonnellate di stazza lorda, si era arenata sulla costa sud orientale della Sardegna. TORREGRANDE e CASTELDORIA erano stati scelti per l’operazione di disincaglio.


Molo Giano-Anni ’60 – Nella foto si nota la prora di un rimorchiatore portuale guarnita di “paglietto” (parabordo) usato soltanto in porto per spingere sul fianco di una nave nella fase finale dell’ormeggio in porto. Il paglietto veniva tolto in navigazione d’altura. Sullo sfondo la Torre Piloti ricostruita nel 1947 dopo essere crollata due volte durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale. La struttura esiste tuttora ed è assegnata ad altri servizi nautici.


Porto di Genova. M/r SVEZIA – Ultima generazione Voith Tractors. Notare la versione moderna del “paglietto” di prora.

“Abbiamo provveduto al rinforzo dell’equipaggio – m’informò il dirigente con un certo rammarico, consapevole dello spostamento forzato delle mie ferie. - Ho fatto togliere il “paglietto” di prora dalla squadra d’emergenza. Abbiamo provveduto a fare il pieno di bunker. Troverete pronto tutto l’occorrente, comprese le provviste per tre giorni. Contatterete la nostra Agenzia di Olbia che provvederà a mandarvi un mezzo con le provviste che gli ordinerete via radio. Lei sarà il capo convoglio”.

Pur essendo abituato a quel giro di chiamate, sempre notturne, sempre in inverno e con il mare che monta la diga, l’adrenalina mi entrò in circolo rapidamente senza rendermene conto. Durante il veloce viaggio da Rapallo a Genova, elencai mentalmente tutte le operazioni necessarie che non sarebbero mai venute in mente a chi non era interessato “direttamente” al disincaglio. Mi concentrai sulle carte della Sardegna orientale, sulla scelta del personale di rinforzo: 1° ufficiale di coperta, 1° ufficiale di macchina, marinaio, mozzo, marconista, sommozzatore, bombole, cavi nuovi, materiale per tamponare le falle ed infine i documenti per la “pratica di partenza” in Capitaneria.


Anni 2000 - Porto di Genova – Sulla testata di Ponte Parodi sono ormeggiati prora a terra i rimorchiatori in attesa della chiamata operativa. Sullo sfondo é visibile: l’entrata della Vecchia Darsena e parte del “nuovo look” del Porto Antico.

Era il 1969. Giunsi a Ponte Parodi tra il lusco e il brusco. Buona parte della “Terza Flotta” (così chiamata la flotta RR di allora) era nervosamente in movimento, sovrastata da nuvole di vapore. Quattro navi stavano pendolando in rada nell’attesa del pilota e gracchiavano in VHF chiedendo istruzioni.


Il TORREGRANDE (in primo piano) visto da un passacavi di bordo

Il Torregrande era ancora al suo posto, con la prora a terra, nella stessa posizione in cui l’avevo lasciato la sera prima. Il suo “naso” senza paglietto gli restituiva eleganza, ma senza quella bardatura medievale, perdeva aggressività come se, improvvisamente, fosse stato relegato a compiti di retrovia.

Per salire a bordo i marinai avevano sistemato una stretta passerella di legno dondolante che non prometteva nulla di buono...

La prua del Torregrande era molto più alta della banchina, ma nessuno aveva pensato a collegare, forse per la premura, uno scalandrone più decente.

Di solito si saliva sulla prora del rimorchiatore a filo banchina, e poi si trasbordava saltando da una coperta all’altra sino a giungere a destinazione. Ma quella mattina ancora buia, i rimorchiatori portuali avevano lasciato l’ormeggio per l’imboccatura e il “bestione d’altura”, alto, maestoso e senza “damigelle” legate al suo fianco, era legato di punta a Ponte Parodi, in solitario e con poche cime sottili.

Mi avviai con fare sbrigativo sull’asse di legno, con il solito sacco di tela olona che usavo per le trasferte brevi. Purtroppo sottovalutai la potente “smacchinata” dell’ultima “barcaccia” (rimorchiatore in tono affettuoso...) in partenza che diede un colpo di maglio sul fianco del Torregrande che si traversò facendomi perdere l’equilibrio. Il sacco cadde in mare insieme all’asse di legno che avevo sotto i piedi. I miei 30 anni mi permisero di rimanere appeso ai maniglioni del paglietto finché giunse il nostromo Zeppin richiamato dalle mie imprecazioni... Per fortuna mi stava aspettando sulla prora, ansioso di dirmi tante cose... e appena percepì il pericolo chiamò rinforzi e in tre riuscirono a sollevarmi sul copertino e a recuperare con la gaffa il mio sacco “galleggiante”.

“Belin Comandante! Voî pe pöco cazeîvi in mâ comme u Fiesco

(per poco cadeva in mare come il Fiesco)”. Borbottò preoccupato il mio fedele nostromo.

Vorrai dire come un belinone..”. – risposi trafelato - ma felice come fossi giunto in zona medaglie al bordo della piscina - Grazie per il salvataggio. Fatemi sapere chi é quel tanghero ... lo ringrazierò a modo mio, con la stessa moneta.”

Il tempo “maneggevole” ci mise tutti di buon umore e, allontanandoci da tanti occhi indiscreti, mi sentii finalmente “libero” di decidere e risolvere i problemi imminenti alla mia maniera.

Il marconista Gino si mise subito in contatto con la nave in difficoltà, e seppi che in seguito ad un blackout del motore, la SANTORINI aveva scarrocciato verso la costa andandosi ad appoggiare con la prora sulla scogliera che scendeva a picco su una spiaggia di sabbia. Il resto dello scafo sembrava libero e non incagliato.

Il direttore di macchina Silvan giunse sul ponte di comando per avvisarmi che il motore era a pieno regime. Alla nostra abituale velocità di 13 nodi, potevamo coprire la distanza di 310 miglia in 25 ore.

Con quella bonaccia, prima ancora d’entrare nel clima della “spedizione”, l’equipaggio si radunò spontaneamente sul ponte di comando. Capii che l’idea prevalente era di tornare sulla scena del delitto: il Comandante appeso come un salame al posto del paglietto di prora...

Giocai d’anticipo e chiesi al nostromo: “Zeppin, ma com’è la storia del Fiesco?”

Il nostromo Zeppin era il più anziano di bordo ed anche il marinaio più esperto. A lui spettava di prendere la parola, anche perché la frase: per poco facevi la fine del Fiesco” sembrava una delle numerose frasi del suo repertorio, un po’ sibilline e tanto storpiate che erano destinate a fare il giro di tutti i bordi di Ponte Parodi suscitando ilarità e commenti sui marinai carlofortini dei quali, per la verità, nessuno osava mettere in dubbio le qualità marinaresche, lo spirito di servizio e l’inesauribile laboriosità.


“Leudi Surairi” (zavorrai) alla foce del Torrente Petronio a RIVA TRIGOSO. A prua si nota la passerella molto stretta su cui i marinai transitavano in equilibrio con la coffa colma di sabbia e pietrisco sulle spalle. I leudi adibiti a questo tipo di trasporto erano chiamati SURAIRI in dialetto rivano, ed i suoi marinai FROISCIU. Tra i vari tipi di Leudi, a detta degli esperti, il “Zavorraio” aveva la linea più ELEGANTE rispetto ai Vinacceri e ai Formaggiai.


Leudo a Rapallo

E’ un modo di dire nella marineria di Carloforte. – precisò Zeppin - Da ragazzo navigai parecchi anni sui leudi “vinacceri”, “formaggiai” e “zavorrai”. Con questi ultimi si trasportava sabbia di fiume destinata all’edilizia dei costruttori del Tigullio. Il leudo pescava poco, si dava fondo la “zappa” (ancora) di poppa e si portava la prora a pochi metri dalla spiaggia dove si caricava. Il collegamento tra la prora e la battigia era un asse di legno lungo e molto flessibile. Scendere a terra con una coffa di sabbia sulle spalle, a parte il peso, era una specie di danza, ma se si perdeva il ritmo, era facile cadere in mare con la coffa in testa. Quanto capitava, la reazione del Capitano era sempre la stessa: pe pöco t’andavi in mâ comme u Fiesco. Ma mai nessuno mi spiegò il significato di quella frase. Forse non lo sapeva nessuno, così l’abbiamo sempre ripetuta a memoria come le scimmie”.

Radio cucina diffuse prontamente in genovese i suoi “giornali radio”…

Zeppin: (nostromo) Chi à premûa vadde adaxo.

(Chi ha premura vada adagio)

In effetti il Comandante aveva premura si partire…

Zagallo: De nëutte tûtti i gatti son bardi.

(Di notte tutti i gatti sono grigi)

Il cognome del Comandante era noto…

Zagallo (lo spiritello dispettoso): No te lasciâ di pê se ti no é attaccôu de man.

(Non lasciar andare i piedi, se con le mani non sei attaccato)

Per fortuna ero attaccato…

Bobby: (1° Uff.le) Se i belinoin avessan e äe, saieva de lungo nûvio.

(Se gli sciocchi avessero le ali sarebbe sempre nuvoloso)


Quando giungemmo in vista della SANTORINI, mi accorsi sul radar che la nave era staccata dalla scogliera. Si era disincagliata da sola. Chiamai il Comandante e chiesi se avesse ancora bisogno di noi.

“Abbiamo a disposizione pochi giri di macchina – rispose preoccupato – Ho bisogno che il vostro sub s’immerga di poppa per farmi una perizia su eventuali danni subiti dal timone o dall’elica. Temo che non sia tutto in ordine. Sentiamo forti vibrazione che da poppa arrivano fino al ponte di comando.

“OK Comandante. Stia tranquillo! Dugga, il nostro esperto sommozzatore, si é fatto cinque anni di guerra, quasi tutta sott’acqua. Il Mediterraneo é un cimitero di navi, ha fatto tanto allenamento! Andrà subito a poppa, ma poi gli farò ispezionare tutto lo scafo.

“Molto bene faremo così. Poi decideremo insieme il da farsi”.

Dugga rimase in acqua circa un’ora ed il suo rapporto fu impietoso per il Comandante della nave, ma molto vantaggioso per la nostra Società.

La petroliera UK era andata per scogli... Due pale dell’elica erano completamente piegate. Del timone era rimasta soltanto la parte alta appesa ad un solo agugliotto.

Più brevi del previsto furono gli accordi intrapresi tra gli armatori delle due unità. L’ordine mi venne confermato con un telegramma che m’invitava a prendere immediatamente la nave a rimorchio con destinazione Genova.

Mi recai sul Ponte di Comando della nave per concordare la rotta, l’assetto e le comunicazioni. Con me salirono a bordo il D.M. Guido Bianchi per carpire notizie sull’avaria del motore, il 1° Ufficiale di coperta Giorgio Ghigliotti che insieme al nostromo Zeppin si recarono a prora per occuparsi degli attacchi da rimorchio che avevo predisposto.


Il Comandante greco di nazionalità inglese parlava, come tutti i levantini, un ottimo italiano-marinaro. L’incaglio ed i danni che ne sono derivati, sono sempre vissuti da chi é al comando, come una sconfitta personale che potrà pesare in qualche modo sulla sua carriera. L’armatore e le Assicurazioni gli chiederanno molte spiegazioni sul suo operato di marinaio.

Il suo sguardo triste mi spinse a dargli tutto il mio appoggio morale e tecnico per ciò che rimaneva del viaggio. Ricordo che durante la navigazione, ogni due ore ci sentivamo sul Walky-Talkye e, dopo le prime conversazioni esclusivamente tecniche sulla navigazione in corso, prendemmo confidenza e si passò a parlare di sport, di musica, e poi delle nostre rispettive famiglie.

Il viaggio si concluse felicemente e con Capitan Lazzare diventammo amici......

P.S.  Sul sito di Mare Nostrum Rapallo, nella Sezione NAVI E MARINAI-Saggistica Navale,  il lettore può trovare il saggio:

QUANDO I FIESCHI FINIRONO A BAGNO...

Carlo GATTI

Rapallo, 10 Febbraio 2017

 


GEORGES VALENTINE - IL VELIERO RITROVATO

 

GEORGES VALENTINE

IL VELIERO RITROVATO

IL GEORGES  VALENTINE ERA STATO COSTRUITO A LIVEPOOL NEL 1870.  ATTRAVERSO’ L’OCEANO E ANDO’ A NAVIGARE INTORNO AL MONDO,  CON VIAGGI DALLA FLORIDA   VERSO L’AUSTRALIA !

NEL 1904 NAUFRAG0’ PRESSO STUART,  IN FLORIDA. MA  DOPO CENTODIECI  ANNI TORNO’ A CAMOGLI GRAZIE ALL’ASSOCIAZIONE CAPITANI E MACCHINISTI E AL MUSEO MARINARO GIO BONO FERRARI.

Il Comandante Roberto VOLPI

Una storia incredibile, legata a Camogli e alla sua marineria! Dopo molti decenni,  per la curiosità di un Comandante di Navi da Crociera,  Roberto Volpi, viene alla luce uno di quei naufragi che  chiameremmo spettacolari, e che una volta, purtroppo, non erano rari quando si navigava spinti soli dal “buon vento”.

Nel 1870, a Liverpool, dopo la sua costruzione nel 1869, viene registrata, dai LLOYDS di Londra,  una nave , che prende il nome di “ CAPE  CLEAR” per conto della Società MEIERS and COMPANY. In realtà si trattava di un piroscafo a un’elica, di 767 Tonnellate di registro, scafo in acciaio con vele ausiliarie, classificato  nell’uso comune “Vapore con Vele”.

Dopo il varo la nave fu impiegata nelle rotte Liverpool - Australia per il trasporto di passeggeri e merci varie.

Nel 1889 il “Cape Clear” fu venduto ad una compagnia di Navigazione Francese, con sede a Bordeax, che addirittura trasformò  il Piroscafo in Brigantino a Palo, eliminando la parte motrice a vapore, eccetto una caldaia. La Nave, così trasformata fu rinominata GEORGES VALENTINE e successivamente veniva venduta ad un armatore di DUNKERQUE.

Nel 1895 fu acquistata dagli armatori camogliesi Mortola e Simonetti  per essere adibita a viaggi regolari  per il trasporto del legname dal porto di Pensacola (Florida) per il Sud America.

Questa trasformazione “al contrario”, oppure in “controtendenza”   da Vapore a Brigantino a palo, rispetto all’evoluzione del tempo,  é davvero sorprendente...!

Nell'ottobre del 1904, per proseguire nel nostro racconto, il brigantino a palo GEORGES VALENTINE salpò da Pensacola per Buenos Aires con un carico di travi di mogano.

L'equipaggio consisteva in dodici uomini di differenti nazionalità, al comando del Cap. PROSPERO MORTOLA detto “TESTANEIGRA” di Camogli.

Il viaggio iniziò con tempo buono e venti favorevoli che si mantennero per tutta la traversata del Golfo del Messico. Il 13 ottobre era in vista delle luci dell'AVANA.

Improvvisamente, mentre era impegnato nell'attraversamento dello stretto della Florida, il brigantino fu investito da forti venti di burrasca che sostenne per un giorno e mezzo, senza riportare avarie. Nonostante ciò, dato il perdurare della burrasca, il Capitano preoccupato per la sicurezza dell'equipaggio e della nave,  ad un certo punto ordinò il gettito a mare del carico sopra coperta con l'intento di alleggerirla e migliorarne la stabilità.

Il terzo giorno le condizioni meteomarine peggiorarono ulteriormente, con venti forti, violenti piovaschi e mare molto agitato, con onde che spazzavano continuamente la coperta.

Il Capitano Mortola sapendo di essere scarrocciato verso la costa di sottovento, tentò ogni possibile manovra per mantenere il GEORGES VALENTINE in acque profonde, ma tutto fu inutile. Verso le 8.00 di sera del 16 ottobre, nel fragore delle onde che si infrangevano contro la   scogliera, la poppa urtò un banco di roccia sommerso e in breve tempo l'intero scafo fu sospinto contro la costa.

Nell'urto,  i tre alberi d'acciaio,  furono abbattuti uccidendo nella caduta uno degli uomini dell'equipaggio. Il cassero e le lance di salvataggio furono spazzate via dalle onde. Anche l'equipaggio, privo di ogni riparo, venne trascinato in mare e sospinto verso la costa molto accidentata.

Casa Rifugio com'era, com'é

Victor Erickson, un marinaio svedese, fu il primo a toccare terra, sostenendo l'ufficiale Ernest Bruce, troppo debole per lottare contro il mare. I due risalirono la pericolosa costa rocciosa nudi, feriti, stanchi e infreddoliti e raggiunsero la Casa Rifugio a Gilbert's Shoal, dove svegliarono il responsabile della struttura, il Capitano William  Rea, che diede immediato aiuto ai due uomini e organizzò la ricerca degli altri naufraghi.

La Casa Rifugio di Gilter's Bar, costruita nel 1876, è l'unica rimasta delle dieci Case Rifugio edificate dal Governo degli Stati Uniti lungo la brulla costa orientale della Florida, per offrire  assistenza ai superstiti dei numerosi naufragi che si verificavano lungo quella costa. Infatti i naufraghi che riuscivano a raggiungere la riva, generalmente in cattive condizioni fisiche per i traumi subiti nel disastro della loro nave, spesso morivano per mancanza di aiuto.

I custodi di queste Case Rifugio percorrevano la costa, specialmente dopo le tempeste, alla ricerca di persone che necessitavano di assistenza in seguito ai “non rari naufragi”.

Attualmente, la Casa Rifugio di Gilter's Bar,  è adibita a Museo, ma durante l'ultimo conflitto, tra 1942 e il 1945 fu ancora utilizzata come punto di osservazione per l'avvistamento di eventuali sommergibili tedeschi.

Erickson, si pose in alto sulle rocce, con una lanterna, per guidare i restanti membri dell'equipaggio sopravvissuti verso la salvezza, sfidando con il Capitano Rea il pericolo di essere colpiti dal legname trasportato dalla nave, scaraventato sulla costa dal vento. Le ricerche durarono per tutta la notte e portarono al ritrovamento di altri cinque uomini.

Tutti avevano riportato ferite, lacerazioni e fratture agli arti e furono aiutati a raggiungere la Casa Rifugio, dove vennero rifocillati e curati.

La tempesta imperversò ancora per due giorni e l'intero equipaggio del brigantino a palo sarebbe sicuramente perito se il naufragio non fosse avvenuto nei pressi della Casa Rifugio.

Nessuno dei cinque uomini mancanti, tra cui i camogliesi Prospero Modesti, allievo ufficiale, Francesco Schiaffino detto “Barbasecca”, nostromo e Filippo Chiesa, dispensiere, fu recuperato.

Il Georges Valentine divenne la loro tomba.

Quattro giorni  dopo il  Naufragio del Brigantino Camogliese, Il 17 ottobre 1904, durante la stessa tempesta, la nave spagnola “Cosme Calzado” si incagliò tre miglia a nord del Georges Valentine. Dei sedici uomini d'equipaggio uno solo annegò, impigliato nel sartiame, mentre gli altri riuscirono a guadagnare la spiaggia e a rifugiarsi in un capanno, sino a quando furono trovati e ospitati nella Casa Rifugio insieme all'equipaggio del Georges Valentine.

Il Capitano Rea e sua moglie, con l'aiuto di alcuni residenti locali, curarono tutti i naufraghi, sino a che furono in condizioni di intraprendere il viaggio verso le loro case.

Il Capitano Rea dichiarò: “Con questi due equipaggi abbiamo avuto scozzesi, russi, italiani, spagnoli e svedesi; mai tanti naufraghi erano stati ricoverati insieme nella Casa Rifugio, eppure tutto è andato bene e tutti hanno collaborato. Quando finalmente li ho accompagnati  a Jacksonville per il rimpatrio tutti gli uomini mi hanno salutato sull'attenti e il Capitano Mortola, abbracciandomi, mi ha detto commosso “Good-bye Captain, non ci rivedremo più'”.

Il George Valentine, del valore di  18,000 dollari, andò completamente perduto, mentre il carico di travi di mogano, per buona parte recuperato sulla scogliera e sulla spiaggia, con un valore iniziale di  7,000 dollari, fu venduto all'asta per soli 200 dollari.

Molti dei travi recuperati sulle spiagge o sulla costa, furono usati per la costruzione di case nella zona di Stuart in Florida.

Tutti gli uomini degli equipaggi dei due velieri rientrarono alle loro case, tranne un russo, Edward Sarkenglov, che cambiò nome in Ed Smith e divenne un pescatore locale, conosciuto come “Big Ed”.

Capitan Rea e sua moglie restarono alla Casa Rifugio sino al maggio 1907.

Questa è la storia del Georges Valentine, una storia drammatica, con risvolti tragici per la perdita di vite umane, ma soprattutto di solidarietà allo stesso tempo. Una storia sconosciuta, fino a poco tempo fa,  dai conservatori  della Storia Marinara di Camogli del Museo Marinaro Gio Bono Ferrari.

Ma ecco che il caso e la curiosità di un camogliese la riporta alla luce.

Al centro, il comandante Roberto Volpi

Bruno Malatesta a sinistra ospite della Casa Rifugio

Da sinistra: G.Massone, N.Andreatta, G.Gazzale, Pro.Schiaffino, C.Gatti, Mario Peccerini

Un membro veterano della Società Capitani di Camogli, il Comandante Roberto Volpi, comandante di prestigiose e moderne Navi da Crociera, contattò dalla Florida, dove si trovava imbarcato,  il Capitano  Bruno Malatesta, vice presidente della Società Capitani e Macchinisti. Egli riferì che a Stuart, circa 150 kilometri a Nord di Miami, si trovava un Museo che conservava alcuni reperti di un veliero camogliese, il Georges Valentine.

Qui ci fermiamo un momento per sottolineare la continuità della nostra tradizione marinara: un capitano di oggi che ha studiato al nostro Istituto Nautico – responsabile della vita di migliaia di persone e della sicurezza della sua nave - riportava alla luce dei fatti riguardanti la nave di un capitano camogliese di oltre cento anni fa!

Il Comandante Volpi, inviò a Malatesta  una documentazione riguardante i registri di accoglienza della Casa Rifugio di Gilbert’s Shoals, nelle vicinanze di Stuart. Quei fogli parlavano di un naufragio dove persero la vita delle persone e nel quale il brigantino camogliese Georges Valentine” fu dichiarato “perdita totale”.

I nomi registrati dall’allora responsabile della Casa Rifugio, Capitano William  Rea, riportati in maniera scorretta, erano  inconfutabili nomi camogliesi.

Bisognava però saperne di più: al giorno d’oggi è difficile far funzionare la macchina del tempo che ti riporta 110 anni indietro; per alimentarla hai bisogno di documentazione e ricerca che sono propellente raro, poiché introvabile in rete.
Ma l’occasione era ghiotta: ci veniva fornito il segmento finale, dice Malatesta,  di una tragica storia che, sul versante americano era motivo di interesse culturale,  ma per noi era anche la conoscenza di fatti tragici che coinvolsero dei concittadini naviganti.

Ovviamente iniziò una fitta corrispondenza con la direttrice capo del Museo di Stuart, Janet Hendrix, la quale ci fornì della preziosa documentazione, a noi completamente sconosciuta. Dal canto nostro, avevamo poco da offrire, se non la certezza che quei nomi riguardavano Camogli e la sua tradizione marinara e così, Malatesta,   si impegnò  ad effettuare delle ricerche.

Ma ecco finalmente la corrispondenza inconfutabile: nel famoso testo di Gio Bono Ferrari, “Capitani e Bastimenti di Liguria”, esattamente a Pag.478  - è sempre Malatesta che parla -  trovai l’annotazione che, a grandi linee, descrive il naufragio del Georges Valentine! Anche noi avevamo finalmente un riscontro ufficiale!

Immediatamente lo inviai alla signora Hendrix per un confronto, e di lì nacque un solido legame tra due remoti punti geografici della vita di questo veliero. Specifico qui che nella lista dei diplomati nautici del 1883, a Camogli, c’era solo la sezione Coperta, ed è riportato  elencato il nome Prospero Mortola, che all’epoca dei fatti avrebbe avuto circa  quarantanni.  Ogni ulteriore informazione – forse da San Rocco, dove il cognome Mortola è  molto comune - sarebbe  benvenuta.

Prospero Modesti, l’Allievo ed il suo compagno di classe,  Bartolomeo Simonetti, anch’egli forse Allievo,  si diplomarono al nostro Istituto Nautico nel 1903, cioè l’anno prima del naufragio, per cui erano ovviamente giovanissimi.

Il ricordo  del Georges Valentine che naufragò nel 1904, è ancora vivo e tangibile ai nostri giorni in Florida. A circa 50 metri dalla scogliera di Gilbert’s Shoals, ancora adesso,  incredibilmente,   i suoi resti strutturali sono   visibili  in fondo al mare a circa 12 metri di profondità. L’ossatura delle sue ordinate e della  chiglia, sono  diventate un paradiso per gli escursionisti subacquei ed è l’undicesima  “Area Protetta Marina” dello Stato della Florida.

In queste foto vediamo i resti dello scafo del Georges Valentine che giace su bassi fondali visitati dai sub.

Non solo, anche  RAI 3, poco più di una anno fa, si interessò alla storia del Georges Valentine. Lo stesso Malatesta collaborò a realizzare un interessante filmato  e ne venne fuori un ottimo servizio su Camogli e la sua importante  tradizione marinara.

Casa Rifugio per i naufraghi

Ma la storia non finisce qui, nel Giugno del 2014, racconta sempre Malatesta,  “mi recai in Florida,  per  visitare la “Casa Rifugio” ancora perfettamente conservata,  che oggi appartiene al sistema Museale Elliot. Incontrai  il Custode, Jim Mc Cormick,  ed altri suoi assistenti. Come souvenir,  dal lato camogliese, avevo un crest della Società Capitani e Macchinisti e il testo di Gio Bono Ferrari, opportunamente tradotto, nel punto in cui specificava la perdita del veliero camogliese.

Durante quella visita fui accompagnato dal Comandante Volpi che aveva segnalato per primo a noi di Camogli la connessione tra la Casa Rifugio e il  brigantino camogliese.

Rimasi entusiasmato dalle condizioni interne della Casa e dei suoi reperti, tra cui anche alcuni resti, proprio del Georges Valentine.

Le Case Rifugio, ai tempi dell’Epoca Eroica della Vela, ebbero grande sviluppo un po’ in tutto il mondo, soprattutto lungo le coste più  impervie,  privi di segnalazioni luminose e in acque ritenute pericolose dai naviganti anche per la frequenza di tempo cattivo”.

Molte sono le testimonianze che vengono descritte   nella letteratura di mare, e pensiamo sia interessate citarne alcune.

Spesso venivano redatte delle cartine come quelle qui riprodotte nel cosidetto “atterraggio” della costa inglese, della Cornovaglia. I nomi evidenziati in giallo sono quelli di velieri o navi naufragati mentre quelli sottolineati sono i nomi geografici dei luoghi. Questa che vi mostriamo,  più recente,  riporta anche il nome Torrey Canyon, una famosa petroliera che inquinò la costa inglese nel suo naugragio avvenuto nel 1967. (Vedi articolo sul sito)

La Torrey Canyon è stata una delle prime petroliere, battente bandiera liberiana ,  capace di trasportare 120.000 tonnellate di petrolio greggio.

Si arenò al largo della Cornovaglia ne 1967, causando il primo rilevante disastro ambientale dovuto allo sversamento in mare di grandi quantità di petrolio e successiva contaminazione costiera da parte del greggio fuoriuscito.

Per evitare altri danni alle coste francesi e inglesi, dato che il mare mosso impediva un intervento adeguato e non esistevano esperienze precedenti di contenimento di simili disastri, il governo inglese diede ordine alla RAF di bombardare la nave ed incendiare il petrolio fuoriuscito.

Possiamo solo commentare che per lo meno,  i velieri non erano inquinanti quando naufragavano,  mentre il progresso nell’uso del combustibile di petrolio ha portato anche a queste spaventose conseguenze, tragiche soprattutto per la fauna e flora marina. Infatti,  negli anni seguenti altre grosse petroliere provocarono disastri ambientali e non di poco conto. In seguito a questi disastri, per primo negli Stati Uniti, si sono introdotte norme di sicurezza molto più restrittive e da molti anni tutte le petroliere, devono essere costruite a doppio scafo.

Sable Island (Nuova Scozia)

Un’altra straordinaria testimonianza di quanto era dura la vita per i marinai nell’800, è questa incredibile riproduzione  dell’Isola di SABLE ISLAND cioè  Isola della Sabbia, con tutte le date e i nomi delle navi naufragate,  che si trova a circa 80 miglia a est  della Nuova Scozia,  in Atlantico.

Soprattutto per la sua posizione, e la sua costa bassa e sabbiosa,  i naufragi, sono stati incredibilmente numerosi. Sable Island è stata anche soprannominata "TRISTE ISOLA DI LUTTO", e se guardiamo questa stampa su tela,  esposta al Museo Marinaro Tommasino-Andreatta  di Chiavari,  comprendiamo facilmente il perché di questo soprannome. I marinai del tempo della vela hanno pagato prezzi spaventosi se pensiamo soltanto ai passaggi di Capo Horn o altre difficili navigazioni. Spesso,  la solidarietà umana ha cercato di lenire queste tragiche ferite che per secoli sono sono state un flagello per tanti naviganti.

Nei  maggiori porti di armamento o provenienza della “gente di mare” verso la metà dell'Ottocento  sorgeranno  delle associazioni a scopo prettamente umanitario  come la Società di Mutuo Soccorso di Lerici datata 1852 con scopi di assistenza sociale per le vittime dei naufragi o per chi rimanenva senza imbarco.

Mentre l'Assicurazione Marittima Camogliese riveste  scopi maggiormente assicurativi data la rilevanza economica armatoriale di tutto il mondo marittimo camogliese di quei tempi.

Molti anni prima, lungo le coste tempestose sorgevano le Case di Rifugio dette anche Case dei Marinai.

Molti di questi rifugi erano addirittura senza custodi dove il naufrago, infreddolito, bagnato e spesso ferito, all’interno vi trovava legna da ardere, cibo appeso al riparo dei roditori e istruzioni per raggiungere la sede di soccorso più vicina.

Un tipico esempio di questa straordinaria solidarietà era proprio l’isola della Sabbia che annovera circa 150 anni di soccorsi.

La prima stazione si formò nel 1801 e fu attiva sino al 1958. Molti naufraghi devono la vita alla preparazione e al coraggio degli equipaggi di soccorso. Chi è andato per mare sa bene che ogni puntino di questa carta ha rappresentato una tragedia. Vite perdute, famiglie distrutte, vedove  e bambini orfani.  Fin dal 1583,  i naufragi,  puntualmente registrati su Sable Island,  sono stati oltre 250. Un record non certo invidiabile crediamo.

Ma perché tanti naufragi a Sable Island!

Prima di tutto il mare attorno all’isola della Sabbia (nella foto),  è una delle zone più pescose del mondo. E’ anche vicino a una delle rotte più frequentate tra Europa e Nord America. Centinaia di navi vi passano   ogni anno.

Ma è una zona soggetta a tempeste.  Sable Island giace proprio sul passaggio della maggior parte delle tempeste che punteggiano la costa Atlantica del Nord America. Tempeste estremamente ingannevoli per i velieri che erano semplicemente spinti dal vento contro quest’isola.

La nebbia poi circonda l’isola: d’estate, l’aria calda della Corrente del Golfo produce densi banchi di nebbia incontrandosi con  l’aria raffreddata della Corrente del Labrador intorno a Sable. Sable è soggetta a nebbia 125 giorni all’anno; a Toronto,  nella costa vicina, sono soltanto 25.

Le correnti intorno a Sable sono ingannevoli. L'isola giace vicino al punto d’incontro di tre correnti oceaniche maggiori: la Corrente del Golfo, del Labrador e di Belle Isle.

Ma anche queste tragedie, per fortuna,  hanno avuto fine.

Sin dal 1947 non ci sono stati più naufragi: fino a tempi recenti, si usavano i sestanti per fare il punto nave. I  sestanti,  possiamo affermare  che  erano precisi, anche se si basavano sulla visibilità del sole o delle stelle ed erano inutili in caso di nebbia fitta o cielo coperto. In cattivo tempo, il Capitano navigava a “intuito” o meglio con la “navigazione stimata”,  usando la velocità della nave e la direzione per stimare la sua posizione. Ma anche in buone condizioni era un indovinare basato sull’esperienza. Correnti e temporali confondevano i calcoli del miglior “capitano”;  così si chiamavano sui velieri, non Comandante, come spiegano  al Museo Marinaro di Camogli.

Molti rapporti di naufragi riportano che il Capitano,  semplicemente …… “si perse”: giudicò erroneamente il punto nave e s’imbattè nell’isola della Sabbia per sbaglio.

Dopo la seconda Guerra Mondiale, il radar e altri strumenti di navigazione più avanzati in ultimo il GPS  si diffusero sulle navi mercantili. L’isola della Sabbia cessò così di essere un pericolo incombente per la navigazione.

Trascorsi 11 anni senza naufragi, l’insediamento umano fu chiuso nel 1958. Ora i fari sono automatici, la sede principale é in rovina. I  residenti permanenti di Sable sono ora mezza dozzina di osservatori meteorologici, talvolta con le loro famiglie.

Un altro aspetto di questi naufragi erano le svariate quantità di materiale di bordo compresi pezzi dello scafo che arrivavano a terra,  il cui legname serviva a molteplici usi non escluso quello edilizio. A quei tempi tutto era utile e non sono rari i saccheggi che avvenivano quando un veliero naufragava in una costa impervia. In certi casi, parliamo di qualche secolo addietro, si arrivava persino a spostare le poche e rare luci che servivano per la navigazione, ingannando il capitano e facilitandone l’incaglio in qualche scoglio. Dobbiamo anche ricordare che il calcolo della longitudine, insieme a quello della latitudine determina il punto nave, ma questo dato importantissimo  cominciò ad  assumere connotati di una certa  precisione soltanto ai primi dell’ottocento con la costruzione e la dotazione obbligatoria sulle navi di precisi cronometri di bordo in seguito alle insistenze quasi ossessionanti,  ma giuste, dell’orologiaio inglese John Harrison. Un orologiaio vinse la battaglia della Longitudine contro i "dotti" astronomi del tempo. Ma questa è un’altra storia, anche se non meno affascinante.

Abbiamo voluto collegare la straordinaria storia del Georges Valentine alle tante Stazioni di Soccorso o Case Rifugio che esistevano al tempo della vela, per far capire  una volta di più, quanto è stata dura la vita del marinaio, che spesso viveva giorni di supplizi e di paure con poco cibo, quasi sempre  avariato,  ed il mare che gli demoliva la nave. Nell’imminente naufragio,  la sua unica speranza e salvezza era una solida fede in Dio o al suo Santo protettore che spesso era l’unico salvagente al quale tenersi aggrappato.

Nave Narcissus (Quadreria Santuario di Montallegro-Rapallo)

Gli ex voto dei marinai che si trovano in molti  Santuari sparsi un po’ in tutta Italia, da Milazzo a quello di Montenero a Livorno, a quello di Montallegro, alla Madonna della Guardia o al nostro Boschetto di Camogli,  sono una rilevante testimonianza religiosa e di fede, che in mezzo ad  una tempesta è l’unica cosa in cui credere.

Possiamo solo aggiungere che il naufragio del “GEORGES VALENTINE” , grazie al Comandante Roberto Volpi,  è stato un importante  salvataggio della memoria.

Un ringraziamento è doveroso verso i membri dell’Associazione Capitani e Macchinisti, che con determinazione hanno contribuito a questa scoperta.

Mentre il Museo Marinaro, Gio Bono Ferrari,   rappresenta la memoria vivente e operante delle attività produttive della nostra gente, che permisero ai nostri padri e ai nostri nonni di crescere e prosperare.

Ancora una volta scrigno prezioso di tanti tesori, avventure e ... tempeste.

Ernani ANDREATTA

Rapallo, 4 Marzo 2015


Webmaster: Carlo GATTI


Bibliografia:

- Gio Bono Ferrari – Capitani e bastimenti di Liguria–Arti Grafiche Tigullio– Rapallo-1939

- Florida Departement of State – Division of Historical Resources

- Geaorges Valentie Archaeological Preserve – Historical Society of Martin County

- Sandra Henderson e Deanna Wintercon – Home of History –

Southeastern Printing Inc. - Stuart, Florida.

- Michael Barnett – Florida's Shipwrecks – Arcadia Publishing Charleston, S.Caroline.

Foto:

- Bruno Malatesta

- Agenzia Bozzo - Camogli

- The Historical Society of Martin County (gentilmente concesse)

-Grande Atlante del Mondo – Vallardi Editore - 1988





I DEFUNTI DELL'ASSOCIAZIONE MARE NOSTRUM RAPALLO

 

I  DEFUNTI

DELL'ASSOCIAZIONE MARE NOSTRUM RAPALLO


SILVANO MASINI


Nacque a Genova nel 1935. Con Silvano abbiamo scritto a quattro mani: CON LE BARCACCE NEL CUORE”. Silvano ci ha lasciati il giorno della 1° presentazione del nostro libro. Era il 27 luglio 2007. Gli telefonai e con un fil di voce mi disse: “Carlo mi dispiace di non poter venire, ma proprio non ce la faccio. Mi raccomando il nostro libro, pensaci tu”. Dopo qualche ora partì per il suo ultimo viaggio. Quel giorno lo ricordo come uno dei più tristi della mia vita. Silvano aveva appena compiuto 73 anni. Direttore di macchina con la Soc. RR, era una persona molto colta, amava il mare, i rimorchiatori, la musica classica.

In tarda età Silvano si laureò in Storia Medievale. Silvano, con il suo incredibile entusiasmo e professionalità, avrebbe voluto e potuto dare ancora tanto alla nostra Associazione marinara.

Ne siamo certi, da lassù Silvano continuerà a “spingere” sulla nostra vela.

 

STEFANO RISSO (Nitti)


STEFANO RISSO - nacque a Taranto nel 1934 per ragioni “belliche”, come diceva lui scherzosamente, in quanto suo padre in quel periodo era ufficiale di Marina in quella Base Militare. Ma la sua famiglia, da diverse generazioni, era originaria del Rione Scogli di Chiavari. E’ mancato a Sestri Levante il 28 Dicembre 2014 all’età di 80 anni.

Stefano Risso, conosciuto da tutti col nomignolo “Nitti”, era figlio di Luigi Risso, Tenente di Vascello della Regia Marina, scomparso in mare nel settembre 1940 a bordo della torpediniera Palestro. Fu insignito della medaglia d’argento al Valor Militare, a lui è intitolata via L. Risso nel suo Rione Scogli, a-Chiavari.
Laureato in ingegneria Navale, ha vissuto 43 anni di matrimonio con Andreina Varani, che lo ha assistito con una commovente dedizione fino all’ultimo istante della sua vita. Personaggio poliedrico che, oltre ad aver acquisito un indiscutibile successo professionale, ha saputo concretizzare la sua creatività per il disegno e per il modellismo navale; aveva una memoria di ferro e grazie ad essa teneva seguitissime conferenze alla Lega Navale italiana.

 

UMBERTO RICCI


Siamo nati lo stesso anno. Con Umberto (Berto) ho compiuto tutto il percorso scolastico, dall’Asilo, alle Medie e poi al Nautico di Camogli. La vita ci ha visti impegnati su ROTTE diverse, ma quando divenne DIACONO avevamo una specie di appuntamento settimanale … proprio in questa Chiesa, ed io prendevo l’OSTIA solo da lui e poi ci stringevamo la mano.

Umberto é mancato Venerdì 24 Gennaio 2014, aveva 73 anni, era ricoverato all’Ospedale di Lavagna.
Umberto Ricci, come tutti sanno, é stato un politico e storico che s’impegnò con AMORE per la citta di Rapallo, nacque il 29 Aprile 1940, navigò come allievo capitano di macchina, si imbarcò poi sulle navi per l’America, fu anche collaboratore di Monsignor Daneri, Arciprete di Rapallo e, per 40 anni, fu addetto sociale del Patronato e fondatore dei Volontari del Soccorso di Sant’Anna, presidente del Corpo Bandistico Città di Rapallo. La sua carriera politica nella DC lo vide anche consigliere comunale e assessore del Comune di Rapallo, conobbe anche Aldo Moro e Giulio Andreotti. Il vuoto che Berto ha lasciato non verrà mai colmato.

ELVI SBARBARO-MARTINI


La nostra cara Amica ELVI é mancata il 30 gennaio 2014 all’Ospedale di San Martino (Ge) dopo un breve ricovero. ELVI era una Camoglina doc con il sangue impregnato di tradizioni dialettali e marinare, viaggiava spesso con la nave al comando del marito Guido. Amava la sua Camogli e s’iscrisse con suo marito alla nostra Associazione perché adorava le Storie di Mare che noi le raccontavamo. Donna intelligente e simpaticissima, ci ha lasciato tanti ricordi legati ad incontri di natura culturale-marinara e di allegria conviviale. La sua casa sul porto di Camogli era diventata la sede distaccata di Mare Nostrum per gli EVENTI marinari e non solo della sua città.

MARCO LOCCI


MARCO LOCCI - È salito a bordo per l’ultimo viaggio, il più misterioso, senza nemmeno avere il tempo di preparare il suo baule da marinaio. Così, all’improvviso, tradito da un insulto cardiaco nella sua casa di San Massimo, il 5 maggio 2015 se ne è andato Marco Locci, pittore di navi e non solo. Marco é stato una delle colonne di Mare Nostrum Rapallo con le sue numerosissime mostre.

Nacque a Genova nel 1951 ed intraprese la carriera artistica all’inizio degli anni Settanta quando, giovane studente di Architettura, venne rapito dai fermenti culturali del periodo. Nel 1976 entrò nel Gruppo Miloto. Marco cominciò ad organizzare performances e installazioni, ad allestire documenti fotografici, a progettare improbabili modelli di fantasiose macchine volanti.

Sempre in quegli anni prese forma l’epopea dei Patanchi, immaginario popolo lillipuziano che affolla, come un esercito di nere formiche, tavole e tavole di una mitologia personale colma di meraviglia e di sorridente ironia. Locci descrisse l’universo dei Patanchi con la minuzia di un etnografo dell’Ottocento sbarcato su un’isola remota oltre l’orizzonte.

Questo gusto del viaggio per mare, tra insidie e incanti, domineranno la pittura di Locci a partire dagli anni Ottanta. Le navi diventano protagoniste, anzi, il pittore diventa “ritrattista” di navi, personaggi che con carni di legno e di acciaio solcano il mare oscuro. Spavalde e fragili. Sole come tutti noi. Marco vinse molti premi come pittore di navi. I suoi quadri sono famosi in tutto il mondo.

AMEDEO DEVOTO


AMEDEO DEVOTO - Il Poeta dell’immagine - Nato a Chiavari l’8 settembre 1935 si è spento nella notte del 6 Dicembre 2013. Amedeo Devoto, pittore e artista eclettico originario del Rione Scogli a Chiavari. Aveva 78 anni e da tempo era sofferente a causa di una grave malattia. Il decesso è avvenuto nell’Ospedale di Sestri L.

Amedeo Devoto aveva dedicato la sua vita artistica al Rione natio degli Scogli, con grandissima dedizione e impegno fino al punto di diventarne uno dei protagonisti più affascinanti della sua importante storia marinara.

Uomo semplice e discreto, appassionato di arte pittorica, seppe estendere la sua competenza professionale anche ad altri campi: l’incisione, la progettazione navale, la meccanica, la costruzione di strumenti musicali e la modellistica. Nel 2006 la Società Economica di Chiavari gli conferì il Premio Turio-Copello.

Fin dagli albori del nascente Museo Marinaro Tommasino-Andreatta, Amedeo Devoto fu uno tra gli artefici principali della progettazione, sviluppo e realizzazione finale dell’istituzione che oggi é Museo Statale. Ha lasciato la moglie Ida, i figli Stefania, Elisa, Nicola, Renzo, e un vuoto incolmabile tra i tanti amici e conoscenti. Amedeo Devoto subentrò a Marco Locci come curatore artistico delle annuali Mostre al Castello.

CLAUDIO MOLFINO


CLAUDIO MOLFINO - All’età di 58 anni é mancato prematuramente il 4 maggio 2017, lasciando nel dolore la moglie Stefania e la sua adorata figlia Clarissa. Fu Socio fondatore di Mare Nostrum, di cui è anche il creatore del logo. “Persona tanto buona e brava quanto modesta” – Così potremmo definire Claudio, che non voleva mai apparire, ma lavorava tanto e bene dietro le quinte. Egli era molto ironico e come tutte le persone intelligenti era anche allegro e sempre di buon umore. Claudio amava definirsi un appassionato d’arte, ma i suoi scritti sul mensile IL MARE rivelarono ben presto una vasta cultura da vero esperto e critico in questo ambito; grande era l’amore che esprimeva con la divulgazione delle opere pittoriche e scultoree delle nostre chiese e persino nelle pievi più nascoste del nostro comprensorio. Claudio, anche quando non poteva esporre la sua consueta Mostra fotografica a causa di lavori in corso o per inagibilità del suo locale, amava talmente Mare Nostrum che la viveva in nostra compagnia dalla apertura sino alla chiusura del cancello, seduto accanto a noi rinunciando ai suoi numerosi impegni quotidiani. Egli era attratto dalle avventure e vicissitudini degli uomini di mare, da noi raccontate in innumerevoli conferenze, esperienze che lui amava rivivere attraverso i nostri volti e le nostre parole. Nel suo animo, Claudio aveva molte “incrostazioni di salino” e si sentiva intimamente un uomo di mare, uno di noi.

 

RINO CASARETO


RINO CASARETO - venerdì 25 maggio 2018 è mancato il socio Rino Casareto di Camogli, fratello del nostro caro socio Nino Casareto, entrambi Amici e Sostenitori molto presenti di Mare Nostrum Rapallo.
Rino è stato in gioventù un buon pallanuotista, un esemplare uomo di mare, un valente Comandante di navi ed in seguito, come suo fratello Nino, un MAESTRO di Pilotaggio nel Porto di Spezia. Rino era anche un grande appassionato di Storia Navale, come tutti noi, ma soprattutto uno sposo ed un padre eccezionale e, per noi uomini di mare come lui, un carissimo compagno di Avventure ed anche di sofferenze sempre condivise nelle nostre lunghe conversazioni! Rino ci manca e ci mancherà sempre!


SCIPIONE D’ESTE


SCIPIONE D’ESTE - Venezia 1963 - Rapallo 13 novembre 2018 – Il giorno della sua ascesa al cielo, l’intera città di Rapallo cadde nel più profondo dolore. Presidente del consiglio d’amministrazione della cooperativa Letizia Tallini, aveva praticamente salvato l’Istituto Gianelli quando l’Istituzione scolastica rapallese era entrata in crisi. Persona di grande sensibilità, generosità ed altruismo, era particolarmente apprezzato e stimato come professionista e per essere stato un grande Uomo, un Padre e Marito esemplare. Per il grande Amore dedicato all’Istituto Gianelli di Rapallo, così é stato scritto: “Senza la forza che hai profuso alla nostra scuola oggi non solo avremmo perso te ma, il Gianelli come lo abbiamo conosciuto, vissuto e amato non esisterebbe più”. Ha lasciato nel dolore la moglie Hanna, i figli Sofia, Camilla e Leonardo e naturalmente tutti noi parenti e amici che lo abbiamo conosciuto da vicino come tesoriere di Mare Nostrum, appassionato di storie di mare, esperto velista, collezionista di cartoline antiche di Rapallo che amava dal profondo del suo animo.


EMILIO CARTA


EMILIO CARTA - Rapallo 1946 - Lavagna 2 dicembre 2018 é mancato il giornalista Emilio Carta, colui che aveva gestito per molti anni l’Ufficio Stampa del Comune di Rapallo. E’ stato un operoso corrispondente del Secolo XIX, conosciuto e benvoluto dall’intera città di Rapallo e non solo.

Emilio Carta ha dedicato numerosi libri alla storia della nostra città e alle sue tradizioni; al mare, alle navi e alla navigazione alla quale dedicò pagine letterarie bellissime, ma volle concludere la sua esistenza con la scrittura di tanti romanzi gialli che avevano, come marchio letterario, lo sfondo storico reale ed uno scenario rivierasco. Emilio era un vulcano di idee e di progetti che poi concretizzava nonostante un male incurabile che lo martirizzò con 33 interventi. Operazioni che lui, la sua Marziana e la figlia Valentina affrontarono con estremo coraggio e stoicismo fino all’ultimo momento della sua vita. E’ stato direttore di molte testate giornalistiche, ma quella che ha amato di più é stata IL MARE.

Mare Nostrum Rapallo nacque dal nulla, per una sua idea che seppe sviluppare e portare avanti per circa 30 anni. Sul sito della nostra Associazione, si trova tutto il suo operato di giornalista, scrittore ed eccelso organizzatore di EVENTI, MOSTRE, CONVEGNI insieme ai suoi Amici e collaboratori. Rapallo non potrà mai dimenticare il suo OPERATO, la sua SIMPATIA ed INTELLIGENZA.

CONCLUDO: rivolgendo il nostro fraterno pensiero ai nostri carissimi COMPAGNI DI VIAGGIO, che hanno lasciato MARE NOSTRUM RAPALLO nel corso di questi anni per salire al CAELUM NOSTRUM che un giorno ci rivedrà ancora una volta insieme dove:

il naufragar m’é dolce in questo mare!

Cicerone diceva che “la vita dei morti sta nella memoria dei vivi”. Ebbene, cari AMICI, Voi ci avete lasciato increduli ad affrontare un enorme vuoto, ma abbiamo la certezza che rimarrete sempre nella nostra mente e nei nostri cuori!

 

COMUNICAZIONE

 

Giovedì 12 Dicembre 2019, alle 17.30 presso la Chiesa di San Francesco verranno commemorati i DEFUNTI dell’Associazione Mare Nostrum Rapallo. La Messa sarà celebrata da padre Francesco Fissori.

Alle 20.00 seguirà la CENA DI NATALE presso la nostra sede: HOTEL EUROPA

 

Carlo GATTI

Rapallo, 29 Gennaio 2019

 


CONSIGLI PER IL CONCORSO DA PILOTA DEL PORTO

 

CONSIGLI PER IL CONCORSO DA PILOTA DEL PORTO

di JOHN GATTI

 


 

In tanti mi hanno chiesto consigli per affrontare nella maniera migliore l’esame per diventare Pilota del Porto e, in questo articolo, vi scrivo quello che penso.

Innanzitutto, tengo a sottolineare il fatto che Pilota si diventa dopo aver vinto un concorso e aver passato un anno da allievo a imparare sul campo; è quindi assurdo pretendere dagli esaminati conoscenze che potranno maturare solo con l’esperienza diretta.

Partendo da questo punto, arriviamo ai due principali scopi dell’esame:

  • Il primo, e più palese, è quello di verificare il livello di preparazione teorico per le diverse materie previste dal programma.

Come vi ho già detto, nessuno si aspetta che l’esaminato abbia già le conoscenze e l’esperienza di un Pilota effettivo, ma deve sicuramente avere le fondamenta – giuridiche, linguistiche e di manovra – su cui costruire l’impianto tecnico e pratico che poi applicherà durante il lavoro.

È quindi importante studiare bene gli articoli del Codice della Navigazione che si riferiscono al pilotaggio e, per fare questo, è sicuramente utile giocare d’anticipo cominciando a memorizzarli parecchio tempo prima dell’esame.

Con l’inglese le cose si complicano… È una materia che, purtroppo, ha bisogno di tempo e costanza per essere digerita bene.

Personalmente ho provato in tanti modi a migliorare il mio livello: ho studiato cercando di progredire guardando film in lingua originale, leggendo libri in inglese, dialogando più volte alla settimana con professori madrelingua. Ho seguito anche corsi online per molto tempo ma, a essere sincero, il rapporto sforzo/risultato non mi ha mai soddisfatto.

Se uno vuole dare una vera svolta alla conoscenza di questa materia, il modo più efficace è quello di andare direttamente in Inghilterra per un paio di mesi, trovare alloggio presso una famiglia, iscriversi a una scuola e vivere l’esperienza in completa immersione, scordandosi l’italiano e gli italiani. Certo, capisco che organizzare questa avventura nel periodo estivo tra un anno e l’altro di scuola è senz’altro più semplice (non ci sono problemi di lavoro, famiglia, corsi obbligatori da fare) ma in ogni caso, decidere di affrontare di petto lo scoglio dell’inglese nella maniera più efficace, garantisce sicuramente il risultato ed elimina un problema ricorrente nella vita.

Dal punto di vista pratico, basta andare su internet per trovare agenzie che si occupano dell’organizzazione di ogni singolo aspetto. Il sistema ha un costo e richiede sacrifici, ma sicuramente funziona.


La preparazione all’esame di manovra merita qualche riflessione e, in questo caso più che mai, può essere utile cercare di entrare nei panni di chi sta dall’altra parte del tavolo:

Sarete esaminati da due Capi Pilota, uno della corporazione di cui volete fare parte e l’altro di un altro porto; persone che avranno sicuramente migliaia di manovre alle spalle. Questo significa principalmente due cose: primo, che il loro esame sarà “inquinato” da una visione molto pratica; secondo, che la parte teorica, da voi studiata, verrà filtrata e modificata spontaneamente da chi è abituato a mescolarla con l’esperienza diretta. Questo vuol dire che – probabilmente – non sarà un esame puro di teoria della manovra, almeno non completamente.

Entro nello specifico.

Ogni porto ha le sue peculiarità: spazi più o meno ristretti, vento, corrente, nebbia; non tutti i rimorchiatori hanno le stesse caratteristiche o lavorano allo stesso modo; la scuola di pilotaggio di ogni porto è differente, come pure il linguaggio che viene usato.

Quindi, il consiglio che vi dò, è quello di studiare il porto per cui sosterrete l’esame: la sua orografia, le sue caratteristiche, la tipologia di navi che lo frequentano, i venti dominanti. Se ci sono canali dovete scoprire le insidie che nascondono, il linguaggio usato nelle manovre, e così via. Questo per condire le risposte alle domande con elementi famigliari agli esaminatori e per cercare di prevedere quali saranno gli argomenti su cui batteranno di più.

È ovvio che prima di tutto dovrete avere una buona base di teoria della manovra, per cui armatevi di buona volontà, raccogliete un po’ di testi e studiatela bene.


  • Il secondo scopo dell’esame, che è anche il più importante, è quello di capire se avete le caratteristiche giuste per svolgere questo mestiere e per collaborare all’interno di un sistema dove il singolo ha un peso notevole.

Avrete un lasso di tempo a vostra disposizione per convincere gli esaminatori che siete preparati, sicuri di voi ma umili, rispettosi ma di carattere, educati e brillanti.

Non è una cosa semplice, e questo a prescindere dalle vostre vere qualità: perché avrete diverse persone davanti a voi che vi faranno delle domande e molta gente alle vostre spalle che ascolterà quello che direte.

È una situazione a cui pochi sono abituati e riuscire a vendersi al massimo del proprio potenziale senza cadere nella soggezione e senza subire le insidie portate dallo stress, non è da tutti, anzi, a dire il vero è proprio da pochi e saranno proprio quei pochi che faranno colpo sulla commissione.

Dovrete vendervi bene!

Questo è il segreto.

E, secondo la mia esperienza, uno dei modi più efficaci per imparare a farlo, è dato dalla frequentazione di un corso specifico di public speaking.

Cercate su internet quello recensito meglio; durano in media quattro giorni, durante i quali vi verranno insegnati i fondamentali sul verbale e il paraverbale, sulle tecniche di gestione dello stato emotivo, sulle cose da fare e su quelle che vanno assolutamente evitate.

Al termine del corso avrete un’arma in più che vi aiuterà ad alzare il valore percepito della vostra persona.

Ovviamente, come ho già accennato, una buona conoscenza della teoria della manovra è imprescindibile: àncora, sistemi di propulsione, di governo, utilizzo dei rimorchiatori, effetti e conseguenze, sono solo alcuni degli argomenti che dovrete approfondire molto bene anche se, per alzare il vostro livello, sarà di aiuto incrociare le conoscenze teoriche acquisite confrontandole con l’esperienza maturata da qualche professionista.

Aiuta sicuramente la visione e lo studio dei video di manovra e degli articoli proposti sul sito www.standbyengine.com

Inizialmente era mia intenzione chiudere l’articolo con queste osservazioni ma, volendo essere sincero fino in fondo, ho deciso di aggiungere ancora una considerazione non proprio “banale”.

Entrare a far parte del Corpo Piloti di un Porto, è paragonabile a sottoscrivere un “contratto di matrimonio”.

Una volta entrati si diventa soci, e questo stato dura per decine di anni.

È evidente che la scelta deve essere attentamente valutata, soprattutto sotto il profilo caratteriale.

Mettetevi nei panni dell’esaminatore, voi cosa fareste?

Tutto sommato l’ambiente dei marittimi è “piccolo” e, pertanto, un paio di telefonate a qualche Capitano d’Armamento, a qualche Comandante e a Piloti di altre corporazioni, aiutano a delineare i profili dei candidati, almeno inizialmente.

Il passaggio successivo prevede un giro sui social e sul web. Già, proprio così: oggigiorno il curriculum vitae è superato. FacebookInstagramLinkedin, ma anche eventuali siti web o ricerche su Google, contribuiscono a tracciare i contorni degli aspiranti. Curate maniacalmente anche questi aspetti e ricordatevi che la reputazione lavora per voi ventiquattr’ore su ventiquattro, come ho già scritto in questo articolo.

In genere i concorsi sono per pochissimi posti, contesi, il più delle volte, da molti candidati di altissimo livello.

Conta la preparazione, hanno un peso determinante le qualità soggettive, il peso specifico della carriera conquistata sul mare, ma anche la determinazione e un pizzico di fortuna.

Ne vale la pena? Leggete la risposta in questo articolo.

Ovviamente gli esami non sono tutti uguali, ci sono infatti anche commissioni molto tradizionali ma, in linea di massima, penso che questi suggerimenti saranno utili a molti di voi.



di JOHN GATTI


Rapallo, 20 Settembre 2019

 

 


 



CENNI SULLA COCCA, CARAVELLA E CARACCA

CENNI SULLA COCCA, CARAVELLA E CARACCA

CIVADA E CONTROCIVADA

La nave a vela, nelle sue varie forme e dimensioni, ha solcato i mari dal tempo delle civiltà più antiche, passando per le grandi scoperte geografiche, le rotte mercantili che hanno reso ricchi gli imperi coloniali e l’era dell’industrializzazione, la quale, all’inizio del XX secolo, ha portato alla sostituzione del veliero con le navi a motore.


COCCA ANSEATICA

Il primo veliero vero e proprio fu la COCCA (foto sopra), un’imbarcazione medievale che poteva raggiungere una stazza di 200-300 tonnellate. Essa può essere considerata la più importante delle navi a vela che seguirono il periodo delle navi a propulsione mista: remi e vele.

La cocca aveva il ponte di coperta, sotto il quale vi era la stiva. Successivamente, si aggiunse un ponte coperto più piccolo a prua e uno maggiore a poppa. Aveva un solo albero con una sola vela quadra e di grandi dimensioni.

La cocca é un prodotto dei mari del nord. Nasce intorno al XII secolo per realizzare gli scambi commerciali via mare tra nazioni isolate dal clima duro e da mari tempestosi. Dette condizioni climatiche favorirono costruzioni navali robuste e tecnicamente in grado di affrontare situazioni emergenziali pericolose: neve, ghiaccio, nebbie, tempeste ecc…

Si sviluppa quindi un nuovo tipo di nave chiamata

 

COCCA  ANSEATICA

 

Il nome deriva dalla LEGA ANSEATICA, che dominava il MARE DEL NORD e il BALTICO negli ultimi secoli del Medioevo.


Le cocche anseatiche presentavano un disegno che abbandonava la prua ricurva del passato scegliendone una dritta, formante un angolo di circa 60 gradi, bloccata da una lunga chiglia dritta con un dritto di poppa anch'esso quasi verticale, formante un angolo di 75 gradi. L'attrezzatura velica era composta da una vela quadra con bracci e boline in modo che la vela potesse essere orientata per favorire la spinta in avanti della nave con vento al traverso. La nave presentava le sovrastrutture agli estremi: castelli di prua e di poppa, rialzati ed utili in caso di scontro armato, in tempi in cui la pirateria era presente, armatissima e scaltra nella guerriglia navale nel mondo conosciuto di allora.

La vela quadra nel dettaglio


1. ferzi
3. lato di inferitura
7. terzaroli
8. matafioni dei terzaroli

La vela quadra era dotata di matafioni di terzarolo lungo il bordo inferiore in modo che il bordame venisse assicurato con i matafioni.

Lo scafo era rivestito di assi di legno, fasciame, di norma sovrapposte bordo su bordo.

Inizialmente la cocca presentava il solo albero di maestra, con vela quadra. Fu intorno al 1300 che si ebbe la fusione fra le tecniche costruttive del Nord e quelle mediterranee. L’alberatura della cocca, così come lo scafo e le sovrastrutture, venne rinforzata con l’aggiunta di un secondo albero a prora, detto di trinchetto e, in seguito, con l’installazione di un terzo albero, più piccolo, a poppa, detto di mezzana. Era nata la nave a tre alberi, resa più manovriera dalla presenza delle vele di prora e di poppa, mentre la vela dell’albero maestro conservava la sua funzione propulsiva. Le estremità superiori degli alberi vennero munite di coffe, piattaforme rotonde protette da parapetti o griglie che potevano contenere un certo numero di arcieri o balestrieri e, successivamente, di archibugieri.


Nel XIV secolo la
cocca arrivò ad avere sino a quattro alberi, attrezzati sia con vele quadre sia con vele latine; aveva una lunghezza massima di 30 mt fuori tutto, cioè dall’estremità della poppa a quella della prora, e di 20 mt al galleggiamento. Questo tipo di nave poteva trasportare circa 150 t di carico e veniva armata con un equipaggio di venti o trenta uomini; poteva imbarcare armi da fuoco pesanti, sia a scopo difensivo sia offensivo. La cocca fu per quasi quattro secoli la nave commerciale per eccellenza: nel corso del tempo le sue dimensioni aumentarono e, verso la fine del XV secolo, la sua capacità di carico toccò le 1000 tonnellate. L’evoluzione finale della cocca porterà alla nascita della caracca.


Le vele erano governate tramite il sartiame, una complicata serie di cime, bigotte e bozzelli. Le corde prese singolarmente venivano chiamate cime.

Inizialmente anche il timone per governare era formato da due remi fissati ai lati della poppa. In epoca successiva, invece, venne sviluppato un timone centrale di poppa, detto timone alla navaresca.


In Italia il timone poppiero unico venne detto alla navaresca, poiché fu applicato per la prima volta su imbarcazioni alla navaresca, con bordi alti e vele quadre, come le Cocche.

Si è così ritenuto che il timone di questo tipo fosse di origini nordiche, anche perché la sua prima inequivocabile attestazione è su di un sigillo del 1242 della città baltica di Elbing, rinomata per i suoi cantieri navali, (vedi foto sopra).


In realtà una delle 99 miniature, oggi raccolte nella Bibliothèque Nazionale di Parigi, dipinte nell’anno 1237 (anno 634 dell’Egira), che illustrano le 50 Moqamat (Conversazioni) di Abu Mohammaoud al-Qasìm al-Hariri (1054- 1121), mostra una nave con timone centrale, del quale sono chiaramente rappresentate tre coppie di femminelle ed agugliotti.

Appare evidente quindi, a parte la lieve precedenza cronologica di una rappresentazione rispetto all’altra, che il timone centrale si fosse sviluppato in modo indipendente nel Nord Europa,  nell’Oceano Indiano e nel Golfo Persico da dove, forse, venne diffuso nel Mediterraneo. Nel Milione (1271–1295) Marco Polo, sempre così attento alle novità, dice semplicemente che: le navi asiatiche hanno “un timone”, e non vi si sofferma, come se la cosa non gli fosse nuova.

 

CARAVELLA E CARACCA

L’erede della cocca fu la CARAVELLA, divenuta famosa per essere stata l’imbarcazione utilizzata da Cristoforo Colombo nei suoi viaggi verso le Americhe. Questo veliero nacque all’inizio del 1400 e la sua fortuna coincise con le grandi traversate oceaniche, per poi declinare verso il XVII secolo.

La caravella era una nave inizialmente di piccole dimensioni, il cui tonnellaggio aumentò solo in seguito, dandole una forma più panciuta e tonda. Di norma presentava tre alberi, con vele quadre e latine che le conferivano una buona velocità e doti manovriere. Era dotata inoltre di una novità nautica strutturale: l’albero di bompresso, che si stagliava obliquamente all’esterno della prua, e montava una vela quadra chiamata CIVADA. Questa velatura mista le consentiva di gestire con maggiore facilità le diverse condizioni di vento. E’ mia opinione personale che detta vela, oltre a determinare una spinta in avanti, fosse in grado di sollevare la prua con il mare di punta e, opportunamente manovrata, facilitasse le accostate.

Le caravelle più grandi presentavano un cassero a poppa, vale a dire un castello sopraelevato rispetto a quello di prua. La potenza di fuoco della caravella era notevole, anche se non di grosso calibro, e necessitava di un equipaggio che si aggirasse tra i venti e i quaranta uomini.

Questo veliero, purtroppo, era soggetto a problemi strutturali (fragilità, poca protezione contro i parassiti) allo scafo e agli alberi, ma nel complesso si trattava della nave più affidabile e innovativa in circolazione, almeno fino all’avvento della CARACCA la cui fortuna durò dalla metà del XV alla metà del XVII secolo, ebbe origini prettamente mercantili. Di forma più tondeggiante rispetto alla cocca, presentava più ponti sovrapposti, castelli non sporgenti dallo scafo – di frequente costituiti a loro volta da più piattaforme – e una non disprezzabile capacità di artiglieria, per la prima volta disposta dietro a pannelli scorrevoli nella tipica formazione a batteria, in file orizzontali sovrapposte lungo le fiancate della nave.

La CARACCA era inizialmente utilizzata soprattutto dalla Lega Hanseatica nell’Europa del Nord e presentava una struttura velica e di sartiame piuttosto evoluta. Inoltre, per sfruttare al meglio il vento, oltre alle grandi vele quadre e alla vela latina all’albero di trinchetto, potevano essere issate anche vele poste più in alto lungo gli alberi, denominate vele di gabbia. Un ulteriore aiuto, come abbiamo appena visto, era fornito dalla vela di civada e dalla velatura di un quarto albero a poppa, detto albero di contromezzana o bonaventura. Le cime venivano assicurate alle lande: spranghe metalliche attraverso la quale ogni sartia era collegata allo scafo.

Grazie allo scafo accuratamente calatafato – cioè reso impermeabile – la caracca possedeva un’ottima resistenza alle intemperie, qualità che alla caravella mancava, e trasportava un maggiore carico di merci, armi e soldati, ragione per cui ebbe tanto successo nelle spedizioni intorno al mondo e sulle nuove rotte mercantili transoceaniche che fecero la fortuna degli imperi coloniali. Lo scafo era spesso rinforzato da parabordi che lo proteggevano dai contatti con altre navi o con gli scogli.

L’imbarcazione necessitava di un equipaggio di norma attorno ai cento uomini. Le caracche più grandi, però, potevano annoverare una ciurma composta da trecento o quattrocento marinai.

Benché la caracca costituisse un’evoluzione importante dell’architettura navale, la tecnica costruttiva non si fermò. Le rotte oceaniche erano impegnative, piene di pericoli ed imprevisti;  l’esperienza acquisita portò alle nascite del GALEONE, del VASCELLO, della FREGATA, dei CLIPPERS ecc

Una replica della Santa María ormeggiata vicino a Palos de la Frontera

La SANTA MARIA fu una CARACCA (nonostante comunemente venga ritenuta una CARAVELLA come le sue due compagne) e venne usata come nave ammiraglia della spedizione.

Costruita a Santander era molto robusta e faceva servizio mercantile con il nome di Galenda. Apparteneva a Juan De La Casa che la noleggiò per l'impresa. Aveva tre alberi con vele quadre ed una stazza che di circa 51 tonnellate. Era lunga 26,32 metri e larga 8 metri. L'albero di maestra era alto 26,6 metri con il grande trevo,coltellacci laterali, sul quale era dipinta la Croce di Castiglia e, sopra, una piccola vela di gabbia. Sull'albero di trinchetto c'era l'omonima vela e, sull'albero di mezzana, la vela latina triangolare.

Aveva un ponte di coperta, castello di prora e un cassero rialzato di poppa con l'alloggio del capitano. Il timone, come per le navi dell'epoca, era privo di ruota di comando e si trasmetteva il movimento al timone stesso per mezzo di due cime. Era la più lenta dei vascelli di Colombo. Portava quattro bombarde da 90 mm. – Colubrine e armi portatili nonché girevoli posti sul ponte inferiore e sui castelli di prua e di poppa.

Il GRANDE navigatore era partito il 3 Agosto 1492 dal porto di Palos de la Frontera, raggiunse il continente americano dopo 71 giorni di viaggio.

La SANTA MARIA, ammiraglia nella spedizione, era in grado di raggiungere i 10-12 nodi di velocità in condizioni favorevoli.

Il 25 dicembre 1492 l'equipaggio era in coperta e per un errore di manovra finì sugli scogli a Hispaniola e venne perduta. Colombo così si trasferì sulla NIÑA. Il relitto della Santa Maria venne ritrovato nel 1968. (A questo presunto relitto abbiamo dedicato un articolo sul nostro sito).

Un po’ di terminología essenziale


1) Controvelaccino

2) Velaccino

3) Parrocchetto

4) Trinchetto

5) Controcivada

6) Civada

7) Controvelaccio

8) Velaccio

9) Gabbia

10) Maestra

11) Belvedere

12) Mezzana

13) Coltellaccio della mezzana

 

CLONI DELLA CARACCA DI CRISTOFORO COLOMBO



Le foto (sopra e sotto) si riferiscono a “repliche” naviganti di caravelle dell’epoca di Cristoforo Colombo del periodo delle grandi scoperte, sono armate con due alberi e con vele tra loro di ugual ampiezza. Da notare come queste vele siano alquanto tondeggianti (venivano anche chiamate vele tonde). Sull'albero di mezzana è invece situata una vela latina con la sua lunga antenna. A prora, sull'albero di bompresso, la civada, che verrà in seguito sostituita dal fiocco.


Il bompresso, nell'evoluzione dalla galea al galeone, diventando ALBERO BOMPRESSO diagonale rispetto alla linea dello scafo, ed ospitante solitamente una sola vela, detta civada, in seguito, per rinforzarne l’effetto, compare una seconda vela sistemata su un prolungamento verticale dell'albero, detta controcivada.

Queste vele nate nel III secolo a.C. Con l'avvento della Vela Latina caddero in disuso, ma nel XV ricomparvero con la vela quadra insieme con la vela latina.

UN PASSO INDIETRO….

LA NAVE ONERARIA


NOTARE A PRORA (a destra del disegno) LA PRIMA CIVADA DELLA STORIA NAVALE

LA NAVE ONERARIA - Prima ancora di allestire una flotta da guerra, i Romani avevano un grande numero di mercantili: erano dette navi onerarie (dal latino onus, carico), cioè navi da carico. Con una forma piuttosto rotonda venivano spinte dalle vele: non vi erano rematori, per consentire al carico il maggior spazio possibile. La vela aveva una forma quadrata. Nella costruzione di questo tipo di navi, i Romani curavano particolarmente la chiglia, che fosse solida e impermeabile, su cui veniva stesa una lastra di piombo. Con questo sistema di protezione, l'acqua non filtrava assolutamente nella stiva e la merce trasportata poteva considerarsi al sicuro.
Sulla poppa v'era di solito un ornamento chiamato chenisco. Con questo tipo di nave i Romani svolgevano i loro commerci soprattutto nei vari porti del Mar Tirreno: trasportavano olio, vino, grano, frutta e bestiame. Quando i Romani ebbero una flotta militare, le navi onerarie servirono per il trasporto dei viveri, delle truppe, dei cavalli e delle macchine da guerra: catapulte e arieti.

La CIVADA nasce nel III secolo a.C. - Nel XV ricompare con la vela quadra e con la vela latina. Si tratta di una piccola Vela Quadra inferita al di sotto dell’albero di bompresso e da questo sostenuta al pennone di civada. La civada é comune nei vascelli del XVII e XVIII secolo.

La sua curiosa denominazione deriva, per l’analogia della sua forma originaria con il sacco d'avena (in provenzale civadiera), che si appendeva sotto il muso dei cavalli.

I velieri dei sec. XVII e XVIII avevano spesso, a proravia della civada, una seconda vela quadra chiamata controcivada che era sostenuta inizialmente dall'albero di civada, sopportato a sua volta dal bompresso e, in epoca successiva, sospesa allo stesso bompresso.

All'inizio del XIX secolo le vele quadre del bompresso non furono più utilizzate e al pennone di civada fu destinata la funzione di dare angolatura opportuna alle manovre fisse di ritenuta laterale dell'albero di bompresso.

Verso il sec. XIX le vele quadre al bompresso scomparvero e al pennone di civada (talvolta sostituito da due picchi disposti uno per lato trasversalmente all'albero di bompresso) fu affidata la funzione di dare angolo conveniente alle manovre laterali (venti) del bompresso.

Da queste trasformazioni sperimentate nei secoli, nacque il FIOCCO

IL MODELLISMO CI OFFRE LA POSSIBILITA’ DI ENTRARE NEI PARTICOLARI COSTRUTTIVI DELLA CIVADA


 

CARLO GATTI

Rapallo, 27 Marzo 2019

 


MACAIA e CALIGO

MACAIA e CALIGO

A Primavera in Rapallo si terrà il Raduno Regionale dei suonatori di campane, organizzato dall’Associazione  Campanari Liguri, che sta tornando a rivivere per merito dei suoi associati, coinvolgendo sempre più giovani, indispensabili campanari di domani. In Liguria poi abbiamo addirittura un “suonare alla ligure” ed i campanari utilizzano per farlo, i “pestelli”, che battono su robusti tasti; pare siano rimasti gli unici ad usarli.


I nostri campanili si evidenziano in quanto sono sproporzionatamente alti rispetto alla Chiesa cui appartengono.

 

Li hanno costruiti così svettanti perché il loro suono, anche quando scandivano le ore, doveva essere facilmente udito da tutti, compreso i contadini  sparpagliati  a coltivare l’avaro terreno lungo le strette valli; per tutti era l’”orologio” che ritmava le varie fasi della giornata. Solo così l’onda, piovendo dall’alto, poteva giungere il più lontano possibile.

Non tutti sanno però che di analoga funzione ne fruiva anche chi andava per mare; fungevano da faro senza luce, da bussola e da “radar” in un’epoca nella quale pochi avevano l’orologio, se non lavoravano nelle ferrovie e nessuno possedeva gli altri due supporti: oltretutto il radar ancora non esisteva.

 

Abbiamo accennato a quanto il campanile rappresentasse  anche una indispensabile sicurezza per chi era impegnato nella pesca a breve e medio raggio, sino a divenire vitale se si era colti dall’improvvisa foschia, il terribile <caligo>, che con la sua densità ovattata faceva perdere totalmente  l’orientamento, così come erano indispensabile in certe notti che, divenendo improvvisamente buie e tempestose, era vitale localizzarne i rintocchi, unico sistema per dirigersi verso terra; così le torri campanarie sono state utilizzate per secoli.

Ed è a questo punto che entrano in scena “macaia” e “caligo”.

Edoardo Firpo nella sua < Mattin de frevâ > così canta il ‘dopo maccaja’:

A tramontann-a de vei

al’à scorrio a maccaja

e netto o çê a l’à lasciòu.

In sce-a cianùa marinn-a

sciorte de nuvie perfette.

E case i schêuggi a collinn-a.

son serræ dentro un cristallo.

Dai limpidiscimi monti

nasce unna strana creatua,

leggera leggera, ch’a dua

appena-a o tempo de moï.

Traduzione: La tramontana di ieri ha scacciato l’umidore e limpido cielo ha lasciato. Sulla pianura del mare escono nuvole perfette. Le case, gli scogli,la collina son chiusi in un cristallo. Dai limpidissimi monti nasce una strana creatura ,leggera leggera, che dura appena il tempo di morire.

In effetti la “maccaja”, così la si scrive in dialetto, è parola ligure di probabile origine greco/latina’ malacia’; sta ad indicare una singolare condizione meteorologica che si verifica in particolare nel Golfo di Genova, quando spira vento di scirocco, con cielo coperto e tasso di umidità elevato.


Di lei ha scritto Cristiano De Andrè nella sua  Notti di Genova < Genova apriva le sue labbra scure/ al soffio caldo della maccaja>, la stessa che rende inutilizzabili i bicchieri se non ben lavati.

Tutt’altra cosa e assai  più pericoloso è invece il <Caligo> ovvero la ‘nebbia di mare’.


La nebbia, spesso presente altrove, da noi si forma improvvisamente solo quando giunge il flusso mite dell’anticiclone africano e trova un mare ancora freddo: scorrendovi sopra fa condensare rapidamente le goccioline appena evaporate, rendendo invisibile tutto attorno.  Si forma preferibilmente  in Aprile e Maggio, mesi in cui il mare, che funziona come un  condensatore, ha ancora una temperatura invernale; mai in autunno, quando il mare è ancora caldo dall’estate.

Oggi il caligo non gode più della triste fama di un tempo, perché a bordo tutti hanno una  bussola quando non anche il radar ma, un tempo, in loro mancanza, era provvidenziale l’intervento delle campane.

In quei frangenti, le donne dei pescatori, sempre in eterna ansia, correvano dai Parroci, svegliandoli se di notte o allertandoli  se di giorno, affinché suonassero le campane con uno suono cadenzato seguito da un certo silenzio prima di riprendere, così che chi era in mare potesse percepirne il caratteristico segnale e verso di esso orientarsi, perché il caligo è come un materasso di fitta nebbia, adagiato per uno spessore non eccessivo sul mare, ma talmente avvolgente da far perdere l’orientamento specie ai sottili e bassi gozzi. Quel suono ripetitivo e alternato cessava non appena, solo a pochi metri da riva, spuntava dalla nebbia una prua di qualche gozzo che, alla voce, orientava anche gli altri.

Lo so perché sono un “prain” e vedevo le donne, e pesciæ-e, quelle che avrebbero dovuto poi andare a vendere il pesce, raggruppate sulla battigia in angosciante attesa a pregare e scrutare: i capelli arricciati dalla bruma, l’una vicina all’altra, stringendosi nei loro lisi scialli

Ecco perché abbiamo ricordato i campanili parlando di  … mare.

A Prà, sino a pochi anni fa centro di pescatori, il piccolo campanile di San Rocco, era praticamente sulla spiaggia perche lì avevano edificato la demolita Chiesetta.

Chiudiamo con questa vecchia filastrocca:

Alto svetta il campanile

Sotto un celo primaverile

Poi scampana allegramente

Per avvisare tutta la gente

Che c’è festa in tutto il mondo

Fin nel mare più profondo

Forte suona la campana

Nella valle più lontana

Per portare in ogni cuore

La certezza dell’amore

 

Renzo BAGNASCO

Rapallo, Martedì 7 Febbraio 2017

 


COSTA VICTORIA - I NAUFRAGHI FORTUNATI

COSTA VICTORIA

I NAUFRAGHI FORTUNATI

Caraibi

Il 15 aprile 2001, la domenica di Pasqua, coincise con l’inizio della crociera di rientro. La nave attese i passeggeri provenienti dall’Europa con l’ultimo volo e alle 19.00 partì per la traversata atlantica. Gli scali previsti nei Caraibi erano Nassau, Isola Catalina, Tortola e St. Lucia. Dopo la partenza, alle 20.00  ci fu la santa Messa pasquale celebrata in teatro con una grande partecipazione dei nostri ospiti, alla quale seguì una bella cena. Il tempo era buono e dopo una sosta tranquilla e soleggiata a St. Lucia, il 20 aprile alle 18.00 iniziammo la traversata atlantica con destinazione St. Cruz de Tenerife.

Martinica

Dopo circa tre ore di navigazione, ci venne segnalata la presenza di una barca da pesca alla deriva in Atlantico con tre uomini a bordo; il motore funzionava, ma, essendo il sistema di ingrana/sgrana in avaria, era in balia del mare da due giorni. Era vicinissima alla nostra rotta. I tre uomini, stavano per perdere le speranze quando videro avvicinarsi un gigante enorme, l’imponente “Costa Victoria”, pronta a dare una mano alla loro fragile imbarcazione.

La barca da pesca alla deriva

Erano terrorizzati nel veder la nave sempre più vicina. Nel frattempo era arrivato anche un aereo da ricognizione che stava illuminando il mare con il proiettore.

 

Ricognitore

I tre giovani, grazie ad un piccolo Gps, erano riusciti a trasmettere le coordinate esatte, l’ultima opportunità, per loro, di essere soccorsi, essendo già piena d’acqua la barca, carica di circa 700 chilogrammi di pesce. Il mare lungo ed il vento forza 5 causavano non poche difficoltà alla manovra di avvicinamento alla piccola imbarcazione. Dopo una serie di manovre compiute sottovento, venne lanciata la cima. Fallito il primo tentativo, andò a segno il secondo, avendo sempre l’accortezza di fare in modo che il battello non finisse a poppa, dove avrebbe potuto essere risucchiato dalle eliche. Il Comandante in seconda, intanto, oltre ad essermi di supporto nella manovra, aveva destinato il nostro personale, sotto la destrezza del bravo e giovane  nostromo,  ai vari portelloni perché fosse pronto ad ogni evenienza. Intanto l’hotel director, molto collaborativo e attento, si preoccupava di informare i passeggeri sulla nostra manovra e di avvertire il capo alloggi del personale che stesse pronto con il vestiario del guardaroba di bordo e che provvedesse a predisporre la sistemazione dei naufraghi in cabina. Fu una mezz’ora di grande tensione, seguita dai circa 1900 passeggeri e dagli 800 uomini di equipaggio, poi finalmente si riuscì ad affiancare la barca al portellone già aperto e a recuperare i pescatori, tre robusti giovanotti creoli, provati da due giorni terribili.

 

Ormai sicuri di salvarsi, ebbero la prontezza di  prendere il  miglior pesce tra tutto quello che avevano a bordo - alcune cassette di capponi - per regalarlo al personale che li stava aiutando a salire a bordo. Dopo di ché affidai alle cure del medico di bordo i tre giovani ormai disidratati e sfiniti, che dissero di essere fratelli. Presi poi contatto con la capitaneria di Martinica per comunicare l’avvenuto salvataggio e la posizione dell’imbarcazione lasciata alla deriva che fu, il giorno dopo, ritrovata da altri pescherecci più grossi e trainata sino in porto. Con la salvezza, i tre fratelli si conquistarono anche un’enorme simpatia tra i passeggeri che vollero incontrarli  nella tarda serata, dopo la fine dello spettacolo. Ci fu un grande applauso in loro onore, perché oltre ad essere giovani e robusti erano anche dei bei ragazzi. La solidarietà dell’equipaggio e dei passeggeri  fu grandissima, organizzammo una colletta che fruttò 2581 dollari, una fortuna per i tre fratelli.

Con parte del denaro poterono così riparare la loro barca al rientro a Martinica. All’arrivo a Santa Cruz de Tenerife, il 26 aprile, venne il console francese a bordo e i tre fratelli, dopo aver espletato le pratiche di sbarco, ci salutarono e lasciarono la nave.

 

La traversata fu tranquilla, dopo gli scali a Gibilterra e a Barcellona, martedì 1 maggio arrivammo a Genova.

 

 

Santa Cruz de Tenerife

 

CSLC Mario Terenzio PALOMBO

Rapallo, 23 Febbraio 2015