PAURA
PAURA
Mare buio
Mare scuro
Mare nero
Mare ostile.
Con te
affronterò la notte
o forse la morte.
Chissà se mani amiche
si tenderanno
e, pur non amandomi,
diranno
forza fratello
aggrappati.
Ada BOTTINI
Rapallo, 28 luglio 2019
L'ANTICO BACINO DI CARENAGGIO - GENOVA
L’ANTICO BACINO DI CARENAGGIO A GENOVA
Dopo tanto girovagare per il mondo, mi è venuta voglia di illustrare alcuni angoli caratteristici della mia città, una città dalla consolidata vocazione marinara. Mi fa quindi piacere, illustrare l’antico Bacino di carenaggio, collocato nel Porto Antico, nella parte Orientale della vecchia Darsena, situata vicino a Porta dei Vacca.
Bacino di Carenaggio prima dell’accorciamento
Accorciato per fare spazio alla sopraelevata
Il bacino di carenaggio in questione è del tipo in muratura, che è uno tra i più comuni. Come consuetudine, le sue iniziali dimensioni erano ragguardevoli, in quanto dovevano contenere una nave intera. Ubicato nelle vicinanze dello specchio d'acqua dell’antica Darsena, con la quale comunica attraverso il lato corto. Costruttivamente parlando, il bacino è posto al di sotto del livello del mare, in questo modo l'imbarcazione che necessita di operazioni di manutenzione all’opera viva dello scafo, può farvi agevolmente ingresso. La via di comunicazione con lo specchio d'acqua viene quindi chiusa attraverso una speciale paratia a tenuta stagna, denominata “Porta Barca” o “Barca Porta”.
La “barca porta”, è in pratica un grande scatolone di lamiera, che può essere riempito d'acqua e quindi affondare, alloggiandosi nelle guide poste all'estremità del bacino. La tenuta stagna della chiusura è favorita direttamente dalla pressione esercitata dall'acqua esterna sulla superficie della barca porta.
Porta barca con pali per tenerla in verticale
Porta barca in esercizio a chiusura del bacino
Successivamente, si elimina l'acqua dal bacino stesso, attraverso un sistema di pompe collocate nella sala pompe attigua al bacino, e la nave rimane all'asciutto, poggiando sui delle taccate di legno e rimanendo in equilibrio grazie a dei pali in legno che scontrando contro le pareti verticali tengono la nave in posizione verticale e consentendo di lavorare intorno ad essa.
Al termine della riparazione si effettuano le operazioni inverse, estraendo l'acqua dalla barca porta, che diventa così galleggiante (da cui il nome di barca) e può essere trainata in posizione di sgombero per lasciar uscire l'imbarcazione.
Questo bacino di carenaggio, scavato nella pietra e con i gradoni laterali, è il più antico di questo tipo, esistente nel porto di Genova. La sua realizzazione si deve al Re Carlo Alberto, che con decreto del 21 Agosto 1845, approvò la costruzione di questo bacino all’interno del porto di Genova.
Veliero nel secolo scorso nel bacino asciutto
Nave in entrata nel bacino allagato
L’allora comandante della regia marina (Sua Altezza Reale Principe Eugenio di Carignano), affidò la realizzazione del bacino di carenaggio al Deputato Damiano Sauli (mentre copriva l’incarico di Colonnello del Genio), riuscì nell’impresa di realizzare il bacino, in soli 5 anni, iniziando i lavori nel 1847 ed inaugurando il bacino nel 1851, dovendo scavare il duro tufo roccioso fino ad una profondità di 12 metri con le mine, malgrado le notevoli difficoltà e la durata dei lavori, cosa molto rara per i tempi, non fu registrato nessun incidente mortale durante i lavori.
Damiano Sauli, prese ad esempio il bacino di carenaggio costruito a Tolone dall’Ingegnere e Costruttore Navale, Monsieur GROIGNARD, studiando ed avendo cura di eliminarne i principali difetti, dovuti ad una cattiva esecuzione del fondo che causavano ingenti infiltrazioni d’acqua.
Analogamente al suo fratello (tutt’ora operante) situato nel vecchio porto di Villefranche, la destinazione principale del bacino, era quella di essere adibito alla riparazione / manutenzione (carenaggio) delle navi militari della flotta Sabauda.
Successivamente, quando l’arsenale militare fu trasferito a La Spezia, con l’assenza di navi militari da riparare, fu adibito alla riparazione di navi mercantili, subendo nel passare degli anni numerose trasformazioni; l’ultima (la più dolorosa e significativa), fu compiuta negli anni’60, realizzando un significativo accorciamento del bacino, al fine di fare spazio alla nascente e discussa “Sopraelevata”. A causa dell’accorciamento, al fine di potere ospitare navi di lunghezza superiore che necessitavano di riparazione, la parte estrema del bacino fu sagomata come una prua di nave.
Attualmente, il bacino di carenaggio, è gestito dalla società “Rimorchiatori Riuniti”, che lo utilizza principalmente per i lavori di manutenzione e carenaggio dei rimorchiatori della propria flotta.
Rimorchiatore “Danimarca” in bacino asciutto
Parte del bacino sagomata per accomodare prua navi
Al fine di aumentarne l’operabilità ed il periodo di utilizzo, il bacino di carenaggio viene anche utilizzato per la manutenzione di mezzi di servizio del porto come: bettoline, chiatte da lavoro, mezzi speciali, oppure grandi yacht o super yacht.
La società “Rimorchiatori Riuniti”, che opera nel porto sino dal 1922, in collaborazione e con la tutela del Ministero dei Beni Culturali, ha curato le attività di restauro, conservazione ed adeguamento strutturale e funzionale del complesso che comprende non solo il bacino in pietra, ma anche l’attigua sala pompe ed una Gru elettrica su binario degli anni ’30 avente una capacità di sollevamento di 6 (t.).
Sala Pompe con gru elettrica
Portata Gru 6 (t.)
Gru elettrica su binari
Flavio SCOPINICH
Rapallo, 24 Luglio 2019
PITTORI DI MARINA-CLAUS BERGEN
PITTORI DI MARINA
Eco del golfo Tigullio
LA QUADRERIA DEL MARE
CLAUS BERGEN
La pittura di marina tedesca del novecento
Claus Friedrich Bergen (Stoccarda, 1885 - Lenggries (Baviera), 1964) è uno dei pochi pittori di marina tedeschi contemporanei i cui lavori sono conosciuti anche all’estero, in particolare per olii e acquerelli a riferiti a fatti della guerra navale in entrambi i conflitti mondiali.
Dal 1904 frequentò a Monaco gli studi dei pittori Moritz Weinhold, Otto Strützel, Peter Paul Müller e Hans von Bartels e, finalmente, nel 1909, riuscì ad essere ammesso all'Accademia d'arte di Monaco dove studiò e si esercitò sotto la guida del professor Carl von Marr. Nei primi tre decenni del secolo XX i lavori di Claus Bergen furono esposti a Monaco e in altre città tedesche ottenendo numerosi riconoscimenti non solo in patria ma anche all’estero, con medaglie e premi di cui fu destinatario a Monaco, Berlino, Amsterdam e Copenhagen.
Nel 1914 ottenne la nomina ufficiale a “Pittore di Marina” da parte del Kaiser Guglielmo II e, dopo la vittoriosa conclusione per la flotta tedesca della battaglia dello Jutland nella primavera del 1916, la richiesta di sue opere pittoriche relative a questo scontro divenne elevata, sia da parte del pubblico sia da parte di comandanti e ufficiali delle navi della Kaiserliche Marine che vi avevano preso parte.
Nel 1917, fatto sino ad allora senza precedenti, Claus Bergen venne aggregato all’equipaggio del sommergibile U-53 al comando del Kapitänleutnant (tenente di vascello) Hans Rose, prendendo parte ad una crociera in Atlantico della durata di due mesi nel corso della quale il battello affondò diversi mercantili britannici. I dipinti che realizzò al termine di questa navigazione sono considerati tra le sue migliori opere, abbinando alla perfetta rappresentazione dell’atmosfera nebbiosa e delle condizioni meteorologiche spesso tempestose dell’Oceano Atlantico settentrionale precise raffigurazioni di navi e sommergibili, il tutto permeato da una personale e intensa partecipazione emotiva agli eventi cui l’autore prese parte e che seppe traslare sulle numerose opere da lui realizzate ispirate alla guerra subacquea condotta dagli U-Boote della Marina Imperiale.
Tra le due guerre Claus Bergen si dedicò anche alla paesaggistica e alla tecnica pittorica della natura morta, come pure alla raffigurazione di navi mercantili e di transatlantici, ma la sua amicizia con gli ammiragli Erich Raeder e Karl Dönitz (come pure con Ernest Udet, “asso” della caccia tedesca nella Grande Guerra), gli fruttò numerose committenze per quadri e disegni raffiguranti navi militari tedesche dell’epoca. Nel 1922 Bergen, come molti altri artisti tedeschi, si iscrisse al Partito Nazionalsocialista e ciò - senza dubbio - favorì ulteriormente il suo talento e la sua notorietà, in particolare con la realizzazione, nel 1928, di dodici grandi tele relative alla storia della Marina germanica in seguito esposte in via permanente al Ministero della Marina a Berlino.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale l’attività di Bergen proseguì a un ritmo ancor più serrato e, soprattutto nei primi anni di guerra, produsse alcuni dei suoi lavori maggiormente conosciuti: U-53 im Atlantik (1939), Gegen England (1940), Beschiessung der Westerplatte, Wiedererstanden U-26, Schwerer Kreuzer Prinz Eugen im Gefecht in der Dänemarkstrasse (1940) e Kampfgebiet des Atlantiks (1941). Anche se ciò non può essere considerato un punto di merito, nove quadri di Claus Bergen furono acquistati dallo stesso cancelliere tedesco Adolf Hitler, mentre altri andarono ad arricchire le collezioni ufficiali di diverse città di mare tedesche e vennero esposti in palazzi e gallerie d’arte pubblici.
Al termine della seconda guerra mondiale, anche qui al pari di molti artisti tedeschi che avevano aderito al nazismo (verosimilmente, va detto, spesso più per convenienza che per convinzione…), pur non venendo epurato o messo al bando Bergen soffrì di un comprensibile periodo di “assenza mediatica”, ma, già verso la metà degli anni Cinquanta, aveva ripreso la sua attività dedicandosi soprattutto alla realizzazione di acquerelli a soggetto paesaggistico.
Ben presto, tuttavia, mise nuovamente mano a quella che era la sua più grande passione, ossia la pittura di Marina: all’inizio del 1963 fece personalmente dono al Presidente statunitense J.F. Kennedy di un grande quadro ad olio dal titolo The Atlantic (oggi esposto nella “Kennedy Library” di Boston) e, nello stesso anno, l’Ammiragliato britannico acquistò un suo grande quadro raffigurante il “tre ponti” HMS Victory, nave di bandiera dell’ammiraglio Nelson alla battaglia di Trafalgar.
Ai giorni nostri, opere a soggetto navale di Claus Bergen sono esposte in alcuni dei principali musei europei, tra cui il National Maritime Museum di Greenwich, e i suoi quadri fanno spesso parte di lotti a soggetto navale di aste e vendite d’arte ove raggiungono quotazioni assai spesso elevate, a testimonianza della valenza tecnica e professionale di un artista che ha fatto attraversare alla pittura di marina tedesca tutto il travagliato corso storico della sua nazione nel Novecento, esprimendo una grande passione per il mare e le navi militari e il suo personale riconoscimento per gli uomini che a bordo di esse hanno combattuto.
ALBUM FOTOGRAFICO
La Hochseeflotte (Flotta d’alto mare) tedesca in navigazione nel Mare del Nord il 31 maggio 1916 (il quadro è del 1917), nell’imminenza dello scontro dello Jutland con la Flotta britannica al comando dell’ammiraglio Jellicoe. Si noti la particolare “resa” pittorica delle onde e della schiuma, indice di una considerevole padronanza delle tecniche della pittura di matina e di conoscenze dirette dell’aspetto del mare e di tutti gli elementi meteorologici correlati.
Navi e incrociatori da battaglia tedeschi alla battaglia dello Jutland (1917, Monaco, collezione privata).
L’interno di una torre di grosso calibro di una nave da battaglia tedesca alla battaglia dello Jutland ove, con grande partecipazione emotiva da parte dell’autore, è raffigurato l’intenso sforzo degli addetti al caricamento di proietti e cariche di lancio (1917).
L’incrociatore da battaglia tedesco Seydlitz, gravemente danneggiato alla battaglia dello Jutland, si allontana dalla zona dello scontro (1918, Greenwich, National Maritime Museum).
Il Kaiser parla agli equipaggi delle navi della Hochseeflotte dopo il rientro delle unità alle basi successivamente alla conclusione della battaglia dello Jutland (fine 1916, collezione privata).
Uno dei numerosi quadri realizzati da Claus Bergen al termine della sua navigazione di guerra sull’U-53 nel 1917: il battello si appresta ad attaccare in superficie un brigantino a palo britannico, visibile sullo sfondo a sinistra.
Il tema dell’affondamento di mercantili da parte degli U-Boote germanici fu affrontato da Claus Bergen tanto nel primo quanto nel secondo conflitto mondiale. Venticinque anni separano queste due opere: quella a sinistra (1917), è una delle tante realizzate al termine della navigazione di guerra sull’U-17; quella a destra, senza neppure “aggiornare” le caratteristiche della falsatorre del battello, tipiche dei sommergibili tedeschi della Grande Guerra, venne dipinta nel 1942.
Ritorno da un pattugliamento in Atlantico - Un U-Boot tipo “VII” rientra alla base dopo una lunga crociera di guerra nell’Atlantico settentrionale: il pittore ha reso al meglio le condizioni del sommergibile al termine di un lungo periodo operativo, con numerose chiazze di ruggine su tutto lo scafo; si noti sullo sfondo un caccia tipo “Z-1” (1942, Monaco, collezione privata).
Maurizio BRESCIA
Direttore del mensile
Rivista fondata nel 1993 da Erminio Bagnasco
Rapallo, 14 Febbraio 2019
GIA', MA AVEVO UN BEL FIATO
Già, ma avevo un bel fiato!
Già da piccolo avevo la passione per l’immersione in mare. Anche se a quel tempo l'acqua era limpida, avevo sempre gli occhi rossi, perché mi sforzavo di vedere i granchietti, i pesciolini colorati, e non mi sarei mai staccato da quella barriera corallina, senza padrone, che sentivo mia. Allora le maschere da sub non c'erano, e se c’erano giravano al largo dalla mia proprietà…
Fino ai primi anni ‘50 non avevamo l'acqua corrente, allora mi lavavo nella bacinella e, prima di lavarmi, vi immergevo la faccia per allenarmi a resistere il più possibile. Durante la giornata lo facevo parecchie volte ed ogni volta nonna Memena, mi bussava alla schiena e mi diceva: "jsci..., mò t(e) sfiet ..!" = (tira fuori la testa.. che così ti soffochi!).
Ma avevo escogitato un “sistema d’allenamento” che mi faceva incassare un regalo dalla nonna. Funzionava così: facevo una bella inspirazione e poi, espellendo l'aria lentamente, emettevo un suono bestiale che durava veramente troppo, lo replicavo finché non diventavo cianotico... Dopo due o tre disperati lamenti, la nonna ne aveva le scatole piene e per zittirmi mi sganciava 10 lire.
Quando poi era tempo dei bagni in mare, stavo più tempo sott’acqua, che sopra... Mi piaceva tanto, adoravo rimanere in apnea perché entravo in contatto diretto con i miei amici pesciolini che si fidavano al punto di venire a mangiare tra le mie mani! Mi venne una bella cassetta toracica, piena di fiato che mi serviva per andare a cercare le cozze, i cannolicchi e altro…
Già, ma avevo un bel fiato!
Dentro di me sentivo aumentare i limiti dei miei desideri. In pratica sognavo ad occhi aperti di realizzare qualcosa che somigliasse al “palombaro” che si muove in verticale sul fondo, con scarponi zavorrati e che respira attraverso un tubo.
Cominciai a parlarne con un mio amico, e presto scarabocchiammo un progetto… I problemi erano tanti. Abitavo in una frazione dove non esisteva neanche un negozio, non avevamo soldi e, praticamente, nulla che ci servisse!
Già, ma avevo un bel fiato!
Innanzi tutto pianificammo di cominciare dai piedi… per riuscire a camminare sul fondale come i palombari.
Abitando vicino alla ferrovia, ci venne in mente di smontare quelle piccole piastre forate di ferro, che servivano per fissare il binario alle traversine di legno con 4 grossi bulloni. Bene! su queste fissammo dei vecchi zoccoli trovati sulla spiaggia.
Per respirare avevo adocchiato un tubo di gomma telata, poco più lungo di un paio di metri, che papà adoperava per travasare il vino dalla botte ai recipienti più piccoli... Solo che puzzava di vino e respirare quell'aria già ubriacava...
Cominciammo le prove usando il pattino di zio Giovanni.
Il sistema per restare e camminare sott'acqua, era perfetto. Ciò che non andava era il tubo perché, oltre alla puzza, arrivati ad una minima profondità, l'aria non arrivava più…
Già, ma avevo un bel fiato!
Quella è l'età della scoperta di tutto. Beato chi ha un maestro! Però se non lo hai, impiegherai più tempo, ci sbatterai a faccia.., ma alla fine riuscirai a scoprire, senza saperlo, principi importanti di fisica e meccanica.
Così arrivammo a scoprire che con un solo tubo di un certo diametro, l'aria non faceva in tempo ad essere respirata e poi essere riemessa oltre una certa lunghezza del tubo! Ci sarebbe voluto un sistema: innanzitutto era necessario disporre di una maschera dove poter far circolare l'aria e da lì respirare.
Maschera antigas T.35
Le maschere che siamo abituati a vedere oggi, non esistevano, la plastica non era stata ancora inventata, però avevamo adocchiato una maschera antigas, della Seconda guerra mondiale, finita da non molto, che un vecchio aveva in un capannone e che faceva proprio al caso nostro.
Non passò molto che riuscimmo a rubare quella maschera e la nuova sfida fu di fare in modo che il tubo fosse interrotto nell'interno di essa. Non poche furono le difficoltà per evitare che entrasse acqua, ma alla fine bene o male ci riuscimmo. Infilammo i due tubi dove c'era quella specie di proboscide dove aveva il filtro e siccome non avevamo niente di adatto all’uso perché il silicone non era stato ancora inventato, dopo ore di concentrazione, arrivammo alla soluzione “naturale” : la cera d'api, che chiedemmo ad un apicultore... La necessità aguzza l'ingegno!!!. Ora il problema grande era trovare qualcosa per poter pompare l'aria.
Gira e pensa che ti ripensa... Alla fine vidi un soffietto a mantice, con due manici di legno, con un mezzo metro di tubo di ferro che papà, prima della guerra, adoperava per dare lo zolfo alle viti! Armiamo il tutto, andiamo dove l’acqua era un po’ alta, e io sul pattino dirigevo le operazioni. Legai con una cima di sicurezza il mio amico Renato, la cavia di tutti i miei esperimenti, non sempre riusciti… e, una volta immerso, comincio a pompare... ma dopo qualche attimo, vedo Renato emergere a razzo con gli occhi rossi, tossiva come se fosse intossicato. Lo calmai e lo feci rifiatare.
“Esaminiamo le cause” – dissi improvvisandomi esperto… “in quel soffietto, nonostante siano passati 15 anni, ci sono ancora tracce di zolfo! Eppure avevo pompato là dentro per giorni e giorni per togliere la polvere e la ruggine”.
Ricordo perfino di averlo messo sopra una pentola di mamma, dove bolliva l'acqua con tanto vapore, alla fine l'impianto era perfetto... Entrava un po’ d'acqua dalla maschera, ma riuscire a stare sott'acqua, per diversi minuti a 3/4 metri, e poter giocare con i pesci, ha significato per noi la realizzazione di un sogno!
Ripensandoci oggi, è stato un prodigio realizzarlo con niente… Adesso basta andare in un negozio, con i soldi di papà e comprare il prodotto finito. Però non li invidio i ragazzi di oggi, drogati da quegli “affaretti” che hanno in mano e dai quali non tolgono mai lo sguardo, senza mai guardare in alto per vedere una nuvola: e chiedersi: perché corre? chi la spinge? dove va ?
Gia! Forse per questo avevo un bel fiato!
Nunzio CATENA
Rapallo, 19.11.2016
COSTA ROMANTICA - Salvataggio Naufraghi Cubani
COSTA ROMANTICA
Salvataggio naufraghi cubani
Nel febbraio 1994 mi trovavo al comando della M/n Costa Romantica, (GRT 53.049, Lunghezza mt. 220,6 – Larghezza mt. 30,8 – Velocita max. 20 nodi, propulsione Diesel, potenza 28,800 BHP, dotata di 2 X 1200 KW bow thursters, 1 X 1200 KW stern thruster, capacità max passeggeri 1690, equipaggio 579). La nave, in quel periodo, effettuava crociere di sette giorni nei Caraibi, con partenze da Miami. Avevo seguito, da circa un anno, l’allestimento di questa bella nave che era, allora, l’ammiraglia della flotta Costa Crociere e della marina italiana. Era stata un’esperienza molto interessante e fui molto onorato di assumerne il comando. Sabato 5 febbraio, partiti da Grand Cayman, ultimo scalo della crociera, stavamo navigando verso Miami e ci trovavamo 40 miglia al traverso di Key West; lontanissima, dalla parte opposta, si intravedeva Cuba. Eravamo in acque internazionali. Ad un certo punto il primo ufficiale di guardia, mi informò di aver visto in lontananza, sul lato sinistro, una chiatta con molte persone a bordo che stavano facendo segnali di luce. Erano circa le 18.00. Mi recai sul ponte di comando, osservai con il binocolo per rendermi conto della situazione e, senza esitare, assunsi il comando riducendo subito la velocità, avvertendo la sala macchina che accostavamo per una manovra di emergenza in mare. Chiamai sul ponte il comandante in seconda, gli ufficiali e il personale addetto alla manovra. Furono avvertiti i passeggeri e, in pochi minuti, la “Costa Romantica” invertì la rotta andando incontro ai presunti naufraghi. Mentre ci avvicinavamo, avvertivamo sempre più chiaramente le urla e i segnali degli occupanti la zattera. Mandammo anche a tutte le altre navi e alla Coast Guard di Miami il messaggio che stavamo facendo un recupero di emergenza. Non ci furono problemi e ottenni l’autorizzazione anche dell’ immigrazione americana con la richiesta di inviare, subito dopo, i nominativi dei naufraghi recuperati.
Mi avvicinai lentamente, date le condizioni del mare molto mosso, non feci mettere la nostra lancia in mare perché sarebbe stato poi molto difficoltoso riagganciarla, ma sfruttando l’ottima manovrabilità della nave, mi accostai lentamente alla zattera sino a sfiorarla, azionai le macchine e le eliche di manovra, feci aprire il grande portellone centrale della nave dotato di rampa estendibile in senso orizzontale e manovrabile in senso verticale, fermai le macchine e i naufraghi, con l’aiuto del nostro personale, salirono a bordo. Erano in dieci: sette uomini, due donne e un bambino di 12 anni; erano tutti giovani, il maggiore aveva 41 anni, gli altri un’età compresa tra i 20 e i 30. Erano cubani, tutti provvisti di documenti. La zattera di circa sei metri per tre metri aveva un telaio in ferro sul quale erano state compresse cassette di legno e polistirolo. Erano in mare da oltre una settimana, allo stremo delle forze, disidratati, bagnati fradici, assetati e affamati. Avevano una cartina nautica che raffigurava la costa americana sulla quale era indicata la rotta da seguire, non avevano però fatto i conti con la corrente del Golfo. Quando li trovammo erano proprio sull’asse della corrente con un motorino da 15 HP, senza benzina. La corrente li avrebbe portati lontano dalle coste verso il largo. Furono visitati dal nostro medico, vestiti e rifocillati. Riuscimmo pure a sollevare e recuperare la zattera che poteva costituire un pericolo per la navigazione. Feci fare un annuncio ai passeggeri informandoli che tutti i naufraghi erano sani e salvi e notificai l’esito dell’operazione alle autorità di Miami e alla nostra Società. Il giorno dopo, effettuato il controllo dei loro passaporti da parte delle autorità di immigrazione, i naufraghi furono assegnati ad una associazione che si sarebbe occupata della loro integrazione nella comunità cubana in America.
Capitano Superiore di Lungo Corso
Mario Terenzio PALOMBO
Rapallo, 10 Gennaio 2015
LA FOCACCIA AL FORMAGGIO DI RECCO - Fu inventata a Camogli!
LA FOCACCIA AL FORMAGGIO DI RECCO
FU INVENTATA A CAMOGLI!
La magica serata si svolge sui piani alti di Camogli, ospiti del comandante Nino Casareto e della sua gentile consorte Raffaella, ormai é un rito che si protrae da molti anni per salutare l’estate che se va. Gli ospiti del "cenacolo" sono Ernani Andreatta con sua moglie Simonetta, Giancarlo Boaretto con sua moglie Paola e lo scrivente con sua moglie Guny.
Ma quest’anno, il comandante Nanni Andreatta e la sua cara Simonetta, ci danno l’occasione per entrare in punta di piedi all’interno dei lontani segreti che avvolgono ancora oggi l’origine della cosiddetta “Focaccia al formaggio di Recco”.
Lo spunto per questa anomala digressione deriva dall’incontro che essi hanno avuto di recente con un grande personaggio, il più noto maestro focacciaro al mondo:
Il camoglino GIULIO CASSINELLI
di cui ci occuperemo tra breve.
Cosa c’é di nuovo da scoprire?
La risposta é semplice, tutt’insieme siamo stati trasportati nella storia di questo FAVOLOSO nonché “antico” piatto locale che nacque, secondo fonti sacre ed accertate..., nel monastero Benedettino di San Fruttuoso di Capo di Monte (Camogli) nel 1189 per merito, appunto, di un Monaco originario di Camogli.
REGNO, SCRIGNO E TABERNACOLO DELLA FOCACCIA AL FORMAGGIO
1951 - Gilberto Govi nel saio di frate Angelo durante le riprese del film:
“IL DIAVOLO IN CONVENTO”
di Nunzio Malasomma liberamente tratto dalla novella “il miracolo” di Mario Amendola.
San Fruttuoso a fine 800. La spiaggia si formerà con l'alluvione e la conseguente frana del 1915.
In questo scrigno di natura incontaminata, si sono susseguiti nei secoli innumerevoli eventi: devastanti mareggiate, assalti saraceni e persino naufragi. Da qui sono passati santi e furfanti, eroi e tanti pescatori che mai si sono arresi alle avversità. Grazie a loro il borgo vive ancora, e fa sognare ogni anno migliaia di turisti che rimangono incantati dalla sua indescrivibile bellezza.
L’abbazia di San Fruttuoso di Capodimonte vista in tutta la sua estensione. Intorno all'anno 1000, il Monastero passò ai monaci Benedettini per volere di Adelaide di Borgogna, vedova dell’imperatore Ottone I°.
San Benedetto da Norcia è il patriarca del monachesimo occidentale.
«Dovremmo domandarci», dice lo storico Jaques Le Goff, «a quali eccessi si sarebbe spinta la gente del Medioevo, se non si fosse levata questa voce grande e dolce?».
Nel solco della sua Regola - Ora et Labora - sorsero nel continente europeo centri di preghiera, cultura e ospitalità per i poveri e i pellegrini, ma questa operazione venne compiuta ed esaltata con l’assorbimento graduale del mondo barbarico, che invadeva l’Europa, non da straccioni… ma con eserciti armati fino ai denti che passarono alla storia per le loro crudeli barbarie.
Paolo VI proclamò il Santo di Norcia:
Patrono d'Europa il 24 ottobre 1964
Già, tutti lo sanno, ma pochi lo ricordano!
Un monaco un giorno mi disse:
“La tua vita è fatta per fare cose grandi, come gli uomini del Medioevo che vivevano nelle catapecchie e costruivano le grandi cattedrali in totale anonimato…”
La focaccia al formaggio é solo una piccola tessera di un mosaico ampio come l’Europa, la cui valenza storica va oltre l’arte culinaria locale e le simpatiche dispute campanilistiche tra piccoli centri montani e non… che ne vantano la paternità. San Benedetto da Norcia ed i suoi seguaci c’insegnano ancora oggi che un “umile” focaccia cotta al forno senza lievito ed infarcita di stracchino può essere il crisma del simbolo unitario dell’Europa.
Perché si arriva a tanto?
Si narra che questo prodotto esisteva già all’epoca della terza crociata. “Era la Pentecoste di rose dell’anno 1189… la cappella dell’Abbazia di San Fruttuoso accoglieva i crociati liguri per un solenne Te Deum prima della partenza della flotta per la Terra Santa… Sulle bianche tovaglie di lino ricamate facevano bella vista i piatti di peltro e di rame, zuppiere di ceramica e di coccio colme di ogni ben di Dio: pagnotte di farro ed orzo impastate con miele, fichi secchi e zibibbo, carpione di pesce, agliata, olive e una focaccia di semola e di giuncata appena rappresa (la focaccia col formaggio)…”.
In tempi lontanissimi le popolazioni del Golfo Paradiso si rifugiavano nell’immediato entroterra per sfuggire alle incursioni dei saraceni. Si narra che grazie alla possibilità di disporre di olio, formaggetta e farina, cuocendo la pasta ripiena di formaggio su una pietra d’ardesia coperta, venne “inventato” quel prodotto gastronomico che oggi conosciamo come “Focaccia di Recco col Formaggio”.
Sul finire del 1800, quando Recco contava circa 3.000 abitanti, ritroviamo la “Focaccia di Recco col Formaggio” nei cinque forni cittadini che campavano alla meglio vendendo esclusivamente le focacce liguri, uno di essi esiste ancor oggi (forno Moltedo). Alla fine dell’800 aprono a Recco le prime trattorie con cucina, ed a quei tempi la “Focaccia col Formaggio” veniva proposta unicamente nel periodo di celebrazione dei morti.
Grazie all’intraprendenza di “rechelini doc”, abili osti e fornai di allora divenuti importanti professionisti panificatori e ristoratori di oggi, la focaccia col formaggio vide il suo sviluppo commerciale e d’immagine. Con le loro capacità attirarono nelle osterie e nei forni recchesi il bel mondo d'inizio secolo diffondendo questo prodotto “principe” della gastronomia cittadina, (di quei tempi si ricorda che persino Guglielmo Marconi e l’Infanta di Spagna degustarono la focaccia col formaggio venendo appositamente a Recco).
GIULIO CASSINELLI
E’ il MITICO maestro panificatore camoglino nato nel 1936, maestro di intere generazioni di panificatori liguri.
Il “maestro” Giulio Cassinelli ripreso con la prima sfoglia trasparente…
Non ho avuto la fortuna di conoscere Giulio Cassinelli, lascio quindi la parola ad una brava giornalista di Repubblica che lo ha intervistato e, naturalmente, al Comandante Nanni Andreatta che di recente lo ha filmato.
Fonte: Repubblica 2012 mettere il nome della giornalista
“DUE mattarelli di olivo, un tegame in rame e il "suo stracchino". Sono gli attrezzi del mestiere, gli ingredienti indispensabili che Giulio Cassinelli, il maestro della focaccia al formaggio di Recco, porta da sempre con sé in ogni angolo del mondo, quando deve preparare la sua storica e personale ricetta. Ha le mani in pasta da sessantaquattro anni, migliaia le persone tra clienti, amici e famigliari che hanno assaggiato la sua focaccia; un uomo che ha saputo portare un po' di made in Italy in giro per l'Europa. «Dalla Francia all'Olanda passando per la Germania - ricorda Cassinelli - ma abbiamo preparato la focaccia di Recco anche al Salone del Gusto per racconta la storia della nostra terra». Oggi a 83 anni il maestro continua a sfornare quella sfoglia sottile per rispondere alle richieste di amici di vecchia data o per insegnare ai giovani l'arte di un mestiere che porta con sé la storia di una cittadina e dei suoi abitanti. «I ragazzi sono il nostro futuro e vanno incentivati - ribadisce Cassinelli - mi piace poter trasmettere ai giovani il sapere di una vita e offrir loro una possibilità per la loro vita professionale». Tanti gli allievi che hanno seguito le sue tracce come i titolari del ristorante "Lo zio Erasmo", il forno della focaccia al formaggio di Voltri. Proprio da domani, e per ogni giovedì, prenderanno il via da qui i "giovedì bianchi" in cui si mangerà solo focaccia al formaggio, secondo la ricetta di Giulio Cassinelli che ha scelto il sedicenne Alessio Lo Piccolo, figlio del titolare del ristorante, come allievo e continuatore della tradizione legata alla focaccia. Un prodotto nato prima della scoperta dell'America che resiste indenne al trascorrere del tempo e agli effetti della crisi economica. «Una volta la focaccia al formaggio la chiedevano solo in occasione della festa dei Santi e per il due novembre - ricorda il fornaio - la portavo direttamente a casa dei clienti. Erano anni in cui si lavora sette giorni su sette ma oggi si producono quantitativi di gran lunga maggiore, non paragonabili a qualche decennio fa». Quando si sente definire maestro ride, un po' incredulo ma soddisfatto del soprannome che si è guadagnato dopo tanti anni di lavoro trascorsi davanti al forno. «A Recco sono in tanti i maestri che hanno trasformato la capacità di fare la focaccia al formaggio in un' arte - ci tiene a precisare Cassinelli - ma io ho sempre partecipato alle manifestazioni e alle fiere così la gente si ricorda di me più facilmente». Guardandosi indietro tanti ricordi, tante persone conosciute davanti al forno e tante storie da raccontare. «La cosa più strana che mi è successa? Una coppia mi lasciò diecimila lire per un pezzo di focaccia che ne valeva a malapena cento - ricorda Cassinelli - erano gli anni Sessanta e guadagnavo mille lire al giorno». Storie di una vita di passione che riprende vita ogni volta che il maestro prende il suo mattarello di olivo e si rimette all' opera”.
Noi forse siamo dei ROMANTICI impenitenti… e preferiamo pensare che tanti impareggiabili camoglini come Raffaella e Nino siano, anzi sono, tuttora, i veri “conservatori” della ricetta benedettina dell’antico Monastero di San Fruttuoso.
Perché? Vi domanderete. Perché i “gioielli di famiglia” non si regalano a nessuno, ma si conservano nel cuore di questi liguri radicati nei propri orti, su quel terreno che dà gli ingredienti giusti, il profumo, la manualità dei vecchi, quel sapore antico di faggio stagionato che brucia emanando il giusto calore che si sente sulla pelle e ti dà il segnale che la focaccia é pronta…
Al centro di questo “miracolo" c’é la famiglia che insegna le tradizioni, i SEGRETI da tramandare solo per via “di lor sangue”.
La focaccia al formaggio é un matrimonio indissolubile tra queste colline che scendono profumate dai fiori del Monte, dagli ulivi, dai pini marittimi, dai lecci e l’effluvio salmastro del mare che sale dagli abissi.
Qui nacque l’Europa!
Al termine di questo viaggio nelle nostre tradizioni, allego il filmato realizzato da Ernani Andreatta.
mmta533 - Focaccia al Formaggio ma chi l’ha inventata ?
ALBUM FOTOGRAFICO
La “Focaccia di Recco col formaggio Igp” è un prodotto da forno ottenuto dalla lavorazione di un impasto a base di farina di grano tenero (senza uso di lievito), olio extravergine di oliva, acqua, sale. Una volta prodotta, la focaccia – composta da due sottilissime sfoglie – viene farcita con formaggio fresco a pasta molle. Alla vista si distingue facilmente dalle focacce tipiche della tradizione italiana e dalle altre liguri in quanto, oltre ad essere farcita con formaggio, è estremamente sottile. L’altra particolarità è rappresentata dal formaggio, cremoso, dolce ma con una leggera e gradevole nota acidula. La sua zona di produzione comprende l’intero territorio dei comuni di Recco, Avegno, Sori e Camogli.
Guny e Paola
In primo piano Simonetta, Raffaella e Nino
Il grande MAESTRO focacciaro, nonché Comandante e Pilota
Nino Casareto
Un prodotto semplice e sano, solo farina, sale, olio extravergine e formaggio fresco, difficile da fare solo se manca la manualità che permette di tirare la sfoglia sottile sottile con le mani e se non si dispone a casa di un forno che raggiunge almeno 250°C.
Paola Boaretto
Guny spia le mosse del Maestro e dei suoi assistenti
Due Piloti in confessionale ...
Ernani e Giancarlo
Carlo GATTI
Rapallo, 29 Agosto 2019
20.06.19 MUMA - PIATTAFORMA SEALAND
PIATTAFORMA SEALAND
MUMA-GENOVA
20.6.2019
L'incredibile storia della Piattaforma...
Giovedi 20 Giugno al museo Galata di Genova, quale ultimo appuntamento della bella ed interessante iniziativa “Incontri in Blu”, è intervenuto Michael BATES, figlio di Paddy Roy BATES, che fu il reale fondatore del mini-stato del “Principato di Sealand”.
Tutto cominciò durante la Seconda Guerra Mondiale, quando la Marina Militare inglese, nel 1942, al fine di potere contrastare le incursioni della aviazione tedesca proveniente dalla Francia, decise di installare, una serie di piattaforme al largo delle coste sudorientali Inglesi. Tale complesso di piattaforme marittime, chiamate “Fortezze Marittime Maunsell”, costituivano un complesso antiaereo alle foci del fiume Tamigi, ed una in particolare, una postazione avanzata in mezzo al mare. Nel dettaglio, lo schema di costruzione ed installazione di queste piattaforme OFF-SHORE dell’epoca, era molto primitivo e semplice; si basava essenzialmente nella costruzione di un complesso di piattaforme interconnesse fra loro da ponti, e sorrette da jacket a 3 o 4 gambe, mentre la più avanzata e lontana dalla costa, era in realtà una piattaforma sorretta da due grandi colonne, la cui base era collegata ad una bettolina.
Modello complesso Maunsell alla foce del Tamigi Schema costruttivo della piattaforma rimorchiata
Tale configurazione costruttiva, consentiva di potere trasportare la piattaforma in galleggiamento, e quando arrivati sul sito, affondare tutta la struttura, con un allagamento controllato, in modo di farla appoggiare sul fondo
Piattaforma armata durante il rimorchio
Piattaforma armata durante il posizionamento
Nel caso specifico, come sito finale venne scelto il banco di sabbia “Rough Sands” situato a circa 6 miglia a Sud Est di Felixstowe, un villaggio vicino al porto di Harwich e la piattaforma prese il nome di “H.M. Fort Rough”, che durante tutta la guerra, venne presidiato da circa 150 – 300 membri della Royal Navvy. Alla fine della guerra, il personale venne evacuato ed il forte (chiamato anche “Rough Towers”), venne abbandonato.
Location della piattaforma “Sealand” oltre 6 miglia SE da Felixstowe
La “Rough Towers” rimase abbandonata per circa un ventennio, fino a quando nel Natale 1966 Paddy Roy BATES (Un Ex Maggiore dell’Esercito Inglese),occupò la piattaforma con lo scopo di installare e dare continuità alla sua stazione radio “Radio Essex”, che all’epoca era una delle tante radio Pirata che si scontravano in continuazione con le autorità britanniche; autorità che non vedevano di buon occhio la nascita e la proliferazione di radio indipendenti e dal difficile controllo.
Gli avvocati rassicurarono Roy Bates sulla legittimità di occupare tale piattaforma, considerando che:
A) – Nel 1966, le acque territoriali britanniche si estendevano fino a 3 miglia nautiche dalla costa; (le acque territoriali furono estese a 12 Miglia a partire dal 1987).
B) – La piattaforma “Rough Towers” era situata ad oltre 6 miglia dalla costa (quindi fuori dalle acque territoriali).
C) La piattaforma “Rough Towers” era abbandonata e non presidiata a partire dalla fine della guerra.
Conseguentemente Roy BATES, occupò la piattaforma battezzandola SEALAND e cominciò la sua attività di Radio Pirata indipendente.
Situazione acque territoriali britanniche
Proclamazione nuovo stato “Sealand”
Ma la vita delle Rough Towers non è mai stata semplice, nel 1968 ci fu una scaramuccia con alcuni colpi di arma da fuoco scambiati con una fregata della Royal Navy da parte di Michael (figlio di Roy Bates), Fregata che secondo alcuni, aveva il compito di fare sloggiare gli occupanti dalla piattaforma. La corte Inglese, il 25 Novembre 1968, chiamata a giudicare l’accaduto declinò il compito, affermando che essendo la piattaforma fuori dalle acque territoriali britanniche, la corte non aveva giurisdizione sull’accaduto.
Rincuorato dalla sentenza della corte inglese, nel 1975 Roy Bates compì un ulteriore passo, cercando di trasformare la Rough Towers in micro-nazione chiamandola “Principato di Sealand”; compiendo negli anni successivi, tutti quegli atti formali necessari per definire una nazione, quali: Costituzione Nazionale, Bandiera Nazionale, Inno Nazionale, Battendo Moneta, rilasciando passaporti, Bandiera, e Francobolli. Costituì inoltre un Governo interno, riservando a se stesso e consorte, il titolo di Principe e Principessa di Sealand.
Monete (Dollari) dello stato di Sealand
La Costituzione di Sealand è stata scritta nel 1974. Si compone di un preambolo e sette articoli. Il preambolo afferma l'indipendenza del Sealand, mentre gli articoli variamente trattano lo stato di Sealand come una monarchia costituzionale, il potenziamento degli uffici di governo, il ruolo di un nominato, Senato consultivo, le funzioni di una nomina, di consulenza tribunale legale, il divieto di portare armi, se non per i membri di una designata 'Sealand Guard', il diritto esclusivo del sovrano di formulare la politica estera e modificare la costituzione e la patrilineare successione ereditaria della monarchia.
Bandiera dello Stato di Sealand
Passaporto
Francobollo
Timbro postale
Nel 1978 ci fu una specie di colpo di stato, approfittando dell’assenza del reggente, la piattaforma fu occupata dal Primo Ministro (un tedesco), che con l’aiuto di alcuni cittadini olandesi, rapì il figlio di Roy Bates e lo fece trasferite nei paesi bassi. La replica del reggente non si fece attendere; l’ex Maggiore dell’esercito inglese, con un elicottero d’assalto ed alcuni mercenari, riprese il controllo della piattaforma, fece prigionieri gli occupanti e con alcune serrate trattative riuscì a fare rilasciare il proprio figlio Michael.
Prigionieri dopo l’assalto dei mercenari
Le proteste dei governi Olandese e Tedesco presso il Governo Inglese furono ignorate da quest’ultimo, in quanto fu replicato loro, che, essendo la piattaforma fuori dalle acque territoriali britanniche, il Governo inglese, non aveva giurisdizione sull’accaduto.
Grazie alla intermediazione di un ambasciatore tedesco, il problema venne risolto, i prigionieri rimpatriati in Olanda e Belgio, dando a Roy Bates l’opportunità di affermare che essendoci stato di mezzo un ambasciatore voleva dire che il Principato di Sealand era stato riconosciuto di fatto, da uno stato estero, ed era quindi uno stato vero, purtroppo per Roy Bates, questa interpretazione unilaterale, non fu mai considerata valida, e nessun stato estero mai riconobbe formalmente il Principato di Sealand.
Non solamente il tentativo di colpo di stato minacciò la tranquillità del Principato, ci fu anche un tentativo di assalto da parte di un’altra radio pirata la “Radio Caroline“, assalto che fu respinto a colpi di bombe Molotov. A seguito di questi eventi, Roy Bates decise di istituire turni di guardie armate, in modo da prevenire ulteriori futuri tentativi di assalto alla piattaforma.
Articoli dei giornali dell'epoca
Guardie armate sul ponte
Come stabilito dalla costituzione, tutta la famiglia Bates partecipò alle guardie armate, prendendo in modo molto serio la difesa armata del Principato, a partire dal padre fino ai figli ed alla figlia.
Famiglia Bates in guardia armata sul ponte
Figlio Michael
Figlia
Nel 1987 il Regno Unito decise di estendere il confine delle acque territoriali da 3 a 12 miglia nautiche, ma “fortunatamente” il giorno prima, il Principato di Sealand dichiarò in 3 miglia nautiche, la distanza che delimitava le proprie acque territoriali, in modo da non “invadere” le acque territoriali Inglesi, ed al fine ultimo di non venire fagocitato all’interno delle acque territoriali britanniche, e creare una specie di “confine acquatico” con il governo Britannico.
Tale “fortunata” mossa, ha consentito fino ad oggi la sopravvivenza del Principato di Sealand senza ulteriori “ingerenze” da parte dello stato Britannico.
Traccia delle acque territoriali dello stato di Sealand al 1987
Veduta aerea Principato Sealand
A partire dagli anni ‘90, per un certo periodo, Sealand produsse anche passaporti, purtroppo, a causa della quantità massiccia di passaporti in circolazione (stimata in circa 150.000 unità), ed una accusa di passaporti falsi circolanti ad Hong Kong, alla fine degli anni ’90, la famiglia Bates revocò tutti i passaporti di Sealand che aveva essa stessa emesso nei precedenti 30 anni. Mentre negli anni 2000 una polizia di uno stato europeo, scopri un gruppo criminale che commerciava passaporti falsi del principato di Sealand, uno di questi passaporti, fu trovato in possesso dell’omicida di Gianni VERSACE.
All’inizio del millennio, al fine di incrementare le entrate, fu tentata la opzione di ospitare siti WEB “chiacchierati”, che avevano difficoltà a prosperare nei paesi di origine, offrendo ospitalità anche a “NAPSTER”.
Il 12 Ottobre 2012, alla morte del fondatore Roy Bates, il titolo di Principe è passato al primogenito Michael, che già dal 1999 fungeva da reggente a causa delle precarie condizioni di salute del padre.
Accantonate le tribolazioni finanziarie, nel secondo decennio degli anni 2000, il Principato di Sealand (a scopo promozionale), si fece parte attiva nello sport, legando il nome del Principato a diverse discipline sportive quali:
a) – L’alpinismo: Il 22 maggio 2013 l’alpinista Kenton Cool posiziona la bandiera di Sealand sulla sommità del monte Everest.
b) – Il Football: Nella stagione calcistica 2003-2004, grazie ad un accordo pattuito dal principe Michael con la squadra danese Vestbjerg Vintage, fu creata una nazionale di calcio.
c) – La maratona: Nel 2003, l'atleta canadese Darren Blackburn rappresentò il principato del Sealand nella disciplina della maratona in alcune competizioni.
Kenton Cool sull’Everest
Nazionale Football
Maratona con Darren Blackburn
Per quanto riguarda il riconoscimento formale da parte di altri stati, che indichi il “Principato di Sealand” quale stato sovrano, è riportata qui sotto, una interessante spiegazione trovata su Wikipedia:
L'affermazione che Sealand sia uno Stato indipendente e sovrano, si basa su un'interpretazione di una decisione, di magistratura inglese, risalente al 1968, in cui è stato dichiarato che Roughs Tower si trovasse in acque internazionali e quindi al di fuori della giurisdizione dei tribunali nazionali.
Nel diritto internazionale, le scuole di pensiero più comuni per la creazione di uno stato sono le teorie costitutive e dichiarative della creazione dello stato.
La teoria costitutiva, è il modello standard ottocentesco della statualità e la teoria dichiarativa è stata sviluppata nel XX secolo per ovviare alle carenze della teoria costitutiva. Nella teoria costitutiva, esiste uno stato esclusivamente tramite il riconoscimento da parte di altri stati. La teoria si divide se questo riconoscimento richiede 'riconoscimento diplomatico' o semplicemente 'il riconoscimento dell'esistenza'. Sealand non ha ricevuto alcun riconoscimento ufficiale, ma è stato sostenuto da Bates che i negoziati condotti dalla Germania a seguito di un breve episodio di ostaggi costituisca 'il riconoscimento dell'esistenza' (e, dato che il governo tedesco secondo come riferito ha inviato un ambasciatore alla torre, riconoscimento diplomatico).
Nella teoria dichiarativa di statualità, un'entità diventa uno stato non appena soddisfa i criteri minimi per la statualità. Pertanto, il riconoscimento da parte di altri Stati è puramente 'dichiarativo'.
Michael Bates lascia il Principato di Sealand a bordo del suo motoscafo
Flavio SCOPINICH
Rapallo, 20 Luglio 2019
PITTORI DI MARINA-DOMENICO GAVARRONE: Ritratti di Navi nella Genova dell'Ottocento
PITTORI DI MARINA
Eco del golfo Tigullio
LA QUADRERIA DEL MARE
DOMENICO GAVARRONE
Ritratti di navi nella Genova
dell'800
Con vero piacere, giunti ormai alla decima uscita di questa rubrica sulle pagine de “Il Mare”, mi accingo a presentare ai nostri lettori uno tra i più celebri pittori di marina dell’Ottocento genovese, la cui notorietà ha travalicato i confini liguri e italiani arrivando sino oltreoceano, consegnandone le opere ai momenti più significativi di questo genere artistico e inserendole - per le loro indubbie qualità - nell’immaginario collettivo a quanti studiano e si appassionano alla “ritrattistica navale” nel senso più artistico, e allo stesso tempo tecnico, del termine.
In realtà, gli elementi biografici su Domenico Gavarrone (1821-1874, nato e vissuto a Genova) non sono poi molti anche se, fortunatamente, sono stati approfonditi e ben descritti dall’attuale direttore del Museo del Mare e della Navigazione di Genova, Pierangelo Campodonico, in un bel volume del 2000 edito da Tormena (I velieri di Domenico Gavarrone) che, ad oggi, è il saggio più completo ed esaustivo sull’attività e la produzione di questo artista ligure e marittimo “a tutto tondo”.
L’arte di Domenico Gavarrone si inserisce, di diritto, nella categoria dello ship portrait: un genere pittorico assai in voga nel Settecento e, soprattutto, sino agli anni Ottanta del secolo XIX quando la fotografia non si era ancora affermata quale fonte documentale primaria anche per il campo marittimo e navale. Erano difatti numerosissimi gli artisti attivi all’estero in questo settore: basterà citare la dinastia marsigliese dei Roux (tra l’altro protagonista di questa rubrica sul numero de “Il Mare” dello scorso mese di febbraio), le cui realizzazioni non mancarono di influenzare per stile, soggetti e tecnica pittorica quelle di Gavarrone. Va inoltre ricordata, dall’era napoleonica ai primi decenni dell’Ottocento, la presenza a Genova del maltese Nicolas Cammilleri (1777-1860) che, ancor più dei Roux, rivestì per Gavarrone un ruolo di guida e ispirazione sicuramente fondamentale.
In pratica, come avveniva all’epoca nei principali porti europei e degli Stati Uniti, armatori, comandanti e ufficiali erano usi commissionare a pittori specializzati lo ship portait (ossia un vero e proprio “ritratto” della propria nave, solitamente una vista al traverso di dritta o di sinistra) da esporre nella sede della compagnia, a bordo oppure nell’abitazione di residenza come ancora avviene ai nostri giorni con le stampe fotografiche. Negli anni, gli ship portrait hanno assunto una valenza non soltanto artistica ma anche documentale, in quanto una delle loro caratteristiche è costituita dall’assolutamente fedele riproduzione di scafi, alberature, attrezzature ed elementi dell’allestimento: in molti casi questi dipinti costituiscono l’unico documento iconografico certo e preciso su una determinata nave e, in quanto tali, il loro valore risulta ancor più accresciuto anche sul mercato delle opere d’arte, talvolta raggiungendo ragguardevoli quotazioni nell’ordine delle decine di migliaia di dollari o di euro.
A cavallo dei decenni centrali dell’Ottocento l’attività di Domenico Gavarrone e del suo studio fu frenetica, con centinaia di dipinti (in particolare olii su tela e acquerelli) realizzati per committenti dalle diverse origini ma, nella maggioranza dei casi, riferiti all’area dello shipping genovese e della Liguria di levante, all’epoca e sino agli anni del secondo dopoguerra tra gli ambiti italiani più importanti per l’armamento e la marineria mercantili. Al fine di accelerare quanto più possibile le tempistiche della realizzazione di uno ship portrait, gli artisti dell’epoca (ed anche Gavarrone non mancò di sfruttare questo escamotage) preparavano in anticipo gli sfondi di un quadro con il mare, il cielo e - spesso - un tratto di costa in lontananza, disponendone quindi sempre in buona quantità: a questo modo era possibile riprodurre soltanto il bastimento una volta che il dipinto veniva commissionato, ciò anche perché, allora come oggi, la permanenza di una nave in porto poteva non essere lunga in ragione delle tempistiche commerciali e delle condizioni meteorologiche. Non pochi furono pure gli armatori stranieri che si avvalsero dell’arte di Domenico Gavarrone: una delle più vaste collezioni estere di suoi ship portrait è esposta al Peabody Essex Museum di Salem (Massachusetts, USA), ma suoi lavori sono presenti anche in musei francesi, britannici e canadesi.
Soprattutto in ambito Mediterraneo (e, più specificatamente, italiano, greco, maltese e spagnolo) la tipologia pittorica dell’ex-voto visse nell’Ottocento il suo momento più fulgido: Domenico Gavarrone non mancò di rendersi attivo interprete in questo campo, con le sue opere che - insieme a quelle del coevo Angelo Arpe - aggiungono importanti valenze documentali e artistiche a dipinti devozionali che costituiscono uno delle più significative espressioni del sentimento religioso ligure. Ex-voto di Gavarrone sono presenti nei santuari di Montallegro a Rapallo, di N.S. del Boschetto a Camogli e della Madonna del Monte sulle alture di San Fruttuoso a Genova.
Infine (anche se non pochi suoi quadri si trovano al Mueso del Mare e della Navigazione nel Porto Antico di Genova), una tra le più vaste e importanti collezioni di ship portrait di Domenico Gavarrone è esposta al Museo Navale di Pegli: un corpus di quasi quaranta olii ed acquerelli che costituisce, di per sé, una tra le più importanti testimonianze della pittura di marina genovese, italiana ed europea oggi esistenti al mondo.
ALBUM FOTOGRAFICO
La permanenza a Genova del pittore maltese Nicolas Cammilleri portò alla realizzazione di numerose opere i cui soggetti e stile influenzarono la pittura di marina di Domenico Gavarrone. Questo ex-voto di Cammilleri, raffigurante una difficile situazione fronteggiata dal brigantino Concordia il 10 novembre 1937, è esposto all’interno del Santuario di N.S. del Boschetto di Camogli.
In un olio su tela di Domenico Gavarrone del 1848, il brigantino Laura, all’epoca comandato da Lazzaro Bertolotto. Si noti che il tricolore italiano a riva alla varea dell’asta della randa è raffigurato posteriormente alla vela in modo da non rendere visibile lo stemma sabaudo: un espediente spesso posto in atto dai pittori di marina del periodo (o richiesto dallo stesso committente) al fine evidenziarne i sentimenti repubblicani in contrapposizione alle istanze di Casa Savoia. Nel riquadro, tratto da un’altra opera del Gavarrone, la bandiera navala e mercantile del Regno di Sardegna in uso precedentemente al 1848 (Museo Marinaro Gio Bono Ferrari, Camogli).
Al Santuario di Montallegro a Rapallo è conservato questo ex-voto di Domenico Gavarrone risalente al 1849, donato all’istituzione religiosa “per grazia ricevuta” dal capitano Filippo Campodonico, raffigurante il brigantno Granduca Leopoldo che scampa al naufragio.
Il bovo San Giuseppe in un quadro del 1854 esposto al Museo del Mare e della Navigazione di Genova. Insieme al “pinco” (con un solo albero e antenna con vela latina), il “bovo” era un’altra tipologia di imbarcazione ligure per il cabotaggio costiero, a due alberi attrezzati con vela latina (il trinchetto) e vela aurica (la mezzana). Si noti, sullo sfondo a sinistra, il promontorio di Portofino.
Il brigantino a palo Fortuna del comandante Angelo Pillo nel 1862. In questo caso, ormai conseguita l’unità d’Italia nel 1861, la bandiera mercantile con lo stemma sabaudo fa mostra di sé a poppa del bastimento (Museo del Mare e della Navigazione, Genova).
Domenico Gavarrone raffigurò nelle sue opere anche navi estere in entrata o in uscita dal porto di Genova. In questo acquerello, oggi conservato al Peabody Essex Museum di Salem (Massachusetts, USA) e raffigurato il “tre alberi” statunitense Sooloo in navigazione di bolina e con velatura ridotta.
Nello specifico genere dello ship portrait, gli artisti (che spesso avevano esperienza diretta di navigazione o costruzione navale) ponevano grande attenzione nell’esatta raffigurazione di alberi e attrezzature. Nell’immagine, un dettaglio dell’albero e della velatura di trinchetto del brigantino a palo Fratelli Cadenaccio in un acquerello di Angelo Arpe (artista coevo di Gavarrone), conservato al Museo Navale di Pegli (foto M. Brescia).
Pegli, Museo Navale: un angolo della sala che ospita una selezione di ship portrait di Domenico Gavarrone. Si tratta, per la maggior parte, di acquerelli che - verosimilmente - costituiscono la più vasta raccolta di opere del Gavarrone custodite in una singola istituzione museale (foto M. Brescia).
Da un acquerello di Domenico Gavarrone, uno degli sfondi “standard” con la Lanterna e l’accesso al porto di Genova che venivano preparati “in serie” nello studio dell’artista e ai quali, in un secondo tempo veniva sovrapposta la vista laterale della nave richiesta dal comandante.
Maurizio BRESCIA
Direttore del mensile
Rivista fondata nel 1993 da Erminio Bagnasco
Rapallo, 8 Febbraio 2019
UN ABBRACCIO TRA GENOVA E ODESSA
CONFERENZA PALAZZO DUCALE GENOVA
7 ottobre 2016
Sabato pomeriggio Mare Nostrum Rapallo è stata ospite dell’Associazione LA MELA DI VETRO (Presidente Franco Andreoni) a Palazzo Ducale (Genova).
In sintesi il Programma:
- UN ABBRACCIO FRA GENOVA E L’UCRAINA allo storico gemellaggio GENOVA-ODESSA, agli antichi commerci genovesi in Crimea.
Agli scritti di IVAN FRANKO (il Dante Ucraino) –
(1856-1916) Leopoli, letterato, scrittore, giornalista e politico.
IVAN FRANKO L’ARTE DELLA PAROLA. Poemi e storie a cura di Stefania Statchevic, Docente di letteratura ucraina. Pregevolissimo l’intervento di alcune signore in costume antico ucraino che hanno recitato poesie e dissertato sulla travagliata storia dell’Ucraina sotto la direzione di Elena Mikneieva, Lameladivetro per l’Ucraina. Stefania Lorusso, dirigente associativa.
- IVAN FRANKO: ricordi di mare a cura di Carlo Gatti. Non potevano mancare le navi della MORFLOT (passeggeri, petroliere e da carico) che da sempre hanno collegato le nostre nazioni.
Per questo argomento, sono state proiettate 27 immagini e raccontato episodi, aneddoti e situazioni di mare che sono state apprezzate dal numeroso pubblico italo-ucraino, tra cui numerosi diplomatici di vari Paesi.
- I GEMELLAGGI FRA GENOVA E ODESSA a cura di Nuccio Schifano
- A conclusione della conferenza, LAMELADIVETRO ha offerto piatti tipici ucraini che sono stati molto apprezzati e graditi da tutti noi per la loro semplicità, genuinità e squisitezza.
Ringrazio i nostri soci che ci hanno seguito in trasferta, in particolare Marcella Rossi Patrone e suo marito Andrea che hanno fatto conoscere MARE NOSTRUM in questo contesto che ama l’Italia e gli italiani molto più di quanto gli italiani stessi ne siano consapevoli. Ringrazio il Presidente dell’Associazione Franco Andreoni con il quale mi complimento per l’ottima riuscita dell’incontro.
Ho quindi rivissuto di persona, con molto piacere, quel PERIODO in cui GENOVA e ODESSA avevano intensi scambi culturali, commerciali e turistici.
Segue l’intervento del Comandante Carlo Gatti,
Presidente dell’Associazione MARE NOSTRUM RAPALLO
Dopo aver navigato su petroliere, navi passeggeri e da carico, sono stato Comandante di Rimorchiatori portuali e d’altomare a Genova per oltre otto anni. Nel 1975 ho vinto il concorso da Pilota del Porto di Genova. Mi sono congedato nel 2000, dopo 33 anni di manovre.
RICORDI: Ne ho veramente tanti.
Cominciamo dai più seri: In tanti anni di professione, non ho mai fatto un danno con una nave della Morflot. Questo significa principalmente due cose:
A bordo ho sempre trovato un ambiente IDEALE. (fatto non sempre scontato)
Non mi è mai capitata una AVARIA alle macchine, al timone o altro.
Questi due evidenze delineano una grande serietà degli equipaggi e della organizzazione che c’era al loro interno.
Il ricordo tra i più significativi è sicuramente legato al Comandante Serghei Stepanov e alla sua nave passeggeri ODESSA. Conoscevo da tempo Serghei, avevamo la stessa età, (pochi giorni di differenza). La sua nave arrivava a Genova il sabato mattina e ripartiva alle 20.00 per la crociera di una settimana nel Mediterraneo. (Barcellona-Tunisi….).
Quel giorno, ormeggiata l’ODESSA a Ponte dei Mille, Serghei mi disse:
“potresti venire con noi” – “Dove?” - Risposi – “In crociera” – Insistette.
“Ma cosa racconto a mia moglie?” – “Vai a Rapallo, la prendi e stasera si parte!”.
Beh! Non me lo feci dire due volte. Organizzai tutto ed alla sera partimmo con il pilota già a bordo che non sarebbe sbarcato sull’imboccatura del porto, ma avrebbe proseguito per una vacanza che non era in programma. I miei colleghi di guardia dimostrarono molto fair play salutandoci con una serie di fischi più o meno lunghi ….dall’invidia.
Avevo un grande feeling con Serghei! Ma tra il 19 gennaio 1990 e il 26 dicembre 1991 accadde quel che tutti sappiamo: La dissoluzione dell'Unione Sovietica, che fu il processo di disintegrazione che coinvolse il sistema politico, economico e la struttura sociale sovietica.
La nostra amicizia fu quindi vittima di quel ciclone geo-politico …
Ho sempre sperato d’incontrarlo a bordo di qualche altra nave ucraina, ma passarono quasi dieci anni e non lo rividi più.
La nave passeggeri ODESSA era la più elegante della Flotta del Mar Nero, ma non riuscì neppure essa a salvarsi da un lunghissimo sequestro nel porto di Napoli per insolvenza nei pagamenti di creditori italiani. Seguii con tristezza la vicenda e seppi che al comando non c’era più Serghei Stepanov ma il Comandante Lebanov.
Un altro mio simpatico ricordo è legato al Comandante della nave passeggeri SHOTA RUSTAVELI, purtroppo non ho presente il nome, ma ricordo che era un’autentica “sagoma”. Parlava bene l’italiano e ogni due parole diceva belin… era sampdoriano e quando la SAMP giocava a Genova correva allo stadio Marassi. Persino in manovra indossava la sciarpa della Samp e non sembrava davvero un UCRAINO, ma un super tifoso della “gradinata Sud”, insomma era uno di loro… (io sono genoano), che tifava per il famoso giocatore sampdoriano: l’ucraino Pietro Vierchowod (denominato lo ZAR).
Fin dall’inizio della mia carriera avevo imparato a dare gli ordini nella lingua russa, avevo fatto anche un corso… e conoscevo parecchie frasi per cui a bordo mi attiravo sorrisi e simpatie.
Le navi da carico e le RO-RO russe entravano in porto alla mattina presto per essere ormeggiate ed operative in banchina quando imbarcavano i portuali (mani chiamate alle 06.00).
Finita la manovra avevo sempre un “simpatico” problema da risolvere. Il Comandante mi trascinava in cabina davanti ad un enorme vassoio di tartine burrate coperte di ottimo salame delle steppe, ma anche di squisito caviale. Ma prima d’iniziare la colazione, secondo lui, era imperativo preparare lo stomaco e la testa… con una VODKA “Moskovskaya” ghiacciata.
La situazione a volte era disperata: il mio stomaco vuoto, che era quello di un irriducibile astemio, si sforzava educatamente di minimizzare il rifiuto. Gli facevo ascoltare la mia radio di servizio che urlava il mio nome da tempo stato destinato all’entrata di un’altra nave, che aveva salpato ed era pronta, ancora in cubia, in attesa del pilota…
Il Comandante mi guardava con lo sguardo truce e pieno ci compassione per chi non riusciva a tenere il suo passo di uomo duro e virile.
Punto nell’orgoglio alzavo il bicchiere e via:
ваше здоровье (vaše zdorov'e)!!!
Finita la cerimonia chiamavo la pilotina sperando nella fresca tramontana... per recuperare il mio profumo naturale…
A volte capitava uno stacco di tempo tra una nave e l’altra, ed era anche piacevole rimanere in sua compagnia. I Comandanti ucraini sono molto acculturati e dell’Italia conoscono la storia, la letteratura e la musica sicuramente meglio della media degli italiani.
Se la manovra era stata difficile a causa del vento, e il Comandante era soddisfatto del lavoro svolto, me ne ritornavo in torretta con la bottiglia di Vodka: Moskovskaya o Stolichnaya, ma in casa mia non mancava mai il vasetto di caviale e la Chakta (granchi del Kamchatka).
Tra i Piloti italiani e i Comandanti ucraini c’é stato un cordiale rapporto di lavoro e anche di amicizia. Genova e Odessa sono gemellate soprattutto dalla loro STORIA. Odessa (1979 anno del gemellaggio ufficiale).
La regione di Odessa era abitata anticamente dagli sciti ed è probabile che proprio qui fosse stata fondata una colonia greca chiamata Odessos. Terra attraversata dai popoli migratori a partire dal III secolo d.C., temporaneamente sotto l'influenza polacca e lituana, dopo la grande invasione del 1241 divenne in possesso dei tatari che vi eressero l'insediamento di Haçi-Bey. Nel 1529 questa zona venne invasa dagli ottomani, sotto cui rimase fino alla guerra russo-turca degli anni 1787-1791.
Via Richelieu - Cartolina del XIX secolo
La città di Odessa venne fondata ufficialmente nel 1794 dalla Russia nel territorio perso dalla Turchia nel 1792 . La fortezza turca di Yeni Dünya divenne il principale porto russo sul Mar Nero col nome di Odessa (Одесса). La città crebbe velocemente sotto il governatorato del Duca di Richelieu negli anni 1803-1814. Nel 1819 Odessa divenne un porto franco e tale rimase fino al 1879. In questo lungo arco di tempo la città si affermò come importante centro di scambi commerciali e zona di transito tra Europa e Asia, da un carattere squisitamente cosmopolita. Durante la guerra di Crimea (1853-1856), la città venne pesantemente bombardata dalla Marina inglese e francese. In seguito riprese nuovamente a crescere e svilupparsi in quanto principale porto russo per l'esportazione dei cereali. Nel 1866 venne collegata da una linea ferroviaria a Kiev e Kharkiv in Ucraina e Iasi in Romania.
La biblioteca tra il 1890 e il 1900
Nel 1905 la città divenne luogo della rivolta operaia sostenuta dall'equipaggio della corazzata POTEMKIN e dalla rivista leninist Iskra. Durante la Rivoluzione russa del 1917 Odessa venne occupata dal Comitato Centrale Ucraino, dall'esercito francese, dall'Armata Bianca e dall'Armata Rossa. Quest'ultima prese possesso della città nel 1920, annettendola poi all' Unione Sovietica.
Nel 1847 in questa città è morto Vasil Evstatiev Aprilov, scrittore e patriota bulgaro.
Il detto - di autore anonimo - "Genuensis, ergo mercator", ossia "Genovese quindi Mercante" - fu mirabile sintesi di quel mercanteggiare così famoso nel mondo sul quale i genovesi basarono un impero coloniale fondato su Colonie d'oltremare che andava dall'Irak all'Isole Canarie, dall'Inghilterra alla Palestina (raggiunta fin dalla prima crociata), racchiudendo nel proprio pugno tutto il Mar Mediterraneo occidentale e il Mar Nero, definito il Lago genovese, e tenendo testa quando non ponendo sotto il proprio controllo tre imperi: quello Svevo, quello Bizantino e quello Asburgico, del quale ultimo i genovesi controllavano l'economia ed il commercio. Caffa, Solcati, Tana, Chio, Focea, Mitilene, Pera non sono che alcune fra le tante Genova che i mercanti della Superba fecero risplendere nei commerci.
La città di Odessa ha una storia strettamente legata all'Italia. Infatti gli italiani sono menzionati nel Duecento per la prima volta, quando sul territorio della città odierna fu ubicato l'ancoraggio delle navi genovesi. La nuova affluenza degli italiani nel Sud dell'Ucraina crebbe particolarmente con la fondazione di Odessa.
Agli inizi dell'Ottocento la comunità italiana cominciò ad avere un ruolo importante nella vita pubblica e commerciale della città. La Lingua Italiana iniziò a diffondersi e con il passare del tempo entrò nella sfera delle comunicazioni degli uomini d'affari.
All'inizio del XIX secolo la colonia italiana era composta in primo luogo da commercianti, marinai e militari in servizio nell'Armata russa.
L'architetto italiano Francesco Boffo (1790-1867) fu capo architetto del comune di Odessa per oltre 40 anni, contribuendo alla trasformazione di Odessa in un vero museo a cielo aperto dell'architettura neoclassica e neorinascimentale italiana, rivaleggiando con San Pietroburgo nel nord dell'Impero russo. La sua opera più famosa è la scalinata Potemkin, oltre a circa 30 palazzi ed edifici pubblici.
CLASSE IVAN FRANKO
M/n. IVAN FRANKO
M/n TARAS SCHEVCHENKO
M/n MARCO POLO ex PUSKIN
M/n ODESSA
M/n MAKSIM GORKY
M/n MAKSIM GORKY
Gorbachev and Bush about to share a meal on board the Soviet cruise ship Maxim Gorky, Marsaxlokk Harbour, Malta 2-3 dicembre 1989
Carlo GATTI
Rapallo 31 Ottobre 2016
"MARINA DI EQUA": Naufragio assistito
MARINA DI EQUA - TITO CAMPANELLA
NAUFRAGATE
PREMESSA
I naufragi delle Bulk Carrier avvenuti a distanza di tre anni l’uno dall’altro, hanno in comune alcune coincidenze:
- Erano navi obsolete
- Avevano caricato laminati in Nord Europa
- Era inverno. Mare forza e onde alte 10 metri
- Sono affondate nello stesso cimitero di navi: Golfo di Guascogna
- Nessun superstite
- Naufragio assistito... per la MARINA DI EQUA
- Naufragio fantasma... per la TITO CAMPANELLA
I due articoli che seguono intendono essere una raccolta di dati, di testimonianze raccolte qua e là per tenere sempre accesa la fiamma del ricordo delle vittime, ma anche per tenere “alta la guardia” contro coloro che perseguono soltanto il profitto economico e considerano la SICUREZZA una tassa da pagare, non un cammino di civiltà da percorrere insieme.
33° ANNIVERSARIO DELL’AFFONDAMENTO DELLA BULK CARRIER
“MARINA DI EQUA”
UN NAUFRAGIO ASSISTITO
30 vittime, la perdita della nave e del suo carico. Questo é l’ennesimo tributo pagato al Golfo di Biscaglia
29 Dicembre 1981
La Marina d’Equa, 32mila tonnellate di stazza e 178 metri di lunghezza, di proprietà della compagnia Italmare, s’inabissò nel golfo di Biscaglia, a circa 175 miglia dalla costa spagnola di La Coruña, nel pomeriggio del 29 dicembre del 1981, trascinando in fondo al mare, in pochi secondi, il carico e i trenta marinai: undici di Meta, sette di Piano di Sorrento, uno di Sorrento e due di Massa Lubrense, insieme ai cinque di Torre del Greco, ai tre dell’isola di Procida ed all’unico cileno.
Monumento ai Caduti del Mare
In data 29 Dicembre 2006 si è commemorato a Meta il 25° anniversario della scomparsa dei trenta uomini di mare dell'equipaggio della M/n MARINA D’EQUA affondata nel golfo di Guascogna il 29-12-1981.
Alle ore 09.50 è stata celebrata una messa in suffragio dall'arcivescovo Mons. Felice Cece presso la Basilica di S. M. del Lauro.
Al termine della Santa messa, alla presenza della autorità civili, militari e religiose ci si è recati in corteo sino al largo "Stella Maris" per l'inaugurazione del monumento a tutti i caduti del mare scolpito dal M° Umberto De Martino. Sono intervenuti alla cerimonia diversi sindaci della penisola sorrentina, le autorità portuali di Napoli, e dalla Spagna la testimonianza di un ex marinaio della marina militare spagnola Josè Ignacio ANDRES, all'epoca impegnato nelle purtroppo vane operazioni di soccorso.
Alle 17.55, ora precisa in cui la nave è definitivamente inabissata in mare, due minuti di raccoglimento su tutta l'area comunale con rintocchi funerei delle campane di tutte le chiese e serrata estemporanea di tutti gli esercizi commerciali, con le luci spente.
Foto scattata dall’aereo francese poco prima dell’affondamento. La stiva n.1 appare scoperchiata.
La M/n MARINA D'EQUA durante la navigazione sul fiume WESER (Germania) tra BREMEN e BRAKE, alle 02.00 del 10.12.1981 subiva un'avaria ai generatori che le procurava un "Black-Out". Tale fenomeno, comportante l'arresto del Motore Principale, si ripeté più volte nell'arco di circa un'ora; allo scopo di evitare pericolose conseguenze,alle 02.55 fu deciso di ancorare dando fondo all'ancora di sinistra per una lunghezza. Durante la manovra, per effetto della corrente del fiume, la nave ruotò, toccando col lato dritto della poppa sul fondo del canale. Riparato l'inconveniente, la nave proseguì per Brace dove si ormeggiò regolarmente. Successivamente, il giorno 11, fu eseguita una visita occasionale allo scafo da parte del R.I.NA. (a seguito dell'incaglio) e confermata nella sua Classe, non essendo emerso alcun danno. Anche l'avaria ai generatori, individuatane la causa, fu eliminata e dopo opportune prove, tutto fu trovato in ordine. Si trasferì quindi ad ANVERSA (Belgio) per imbarcare un carico di lamiere in rotoli (coils) e manufatti metallici per un totale di Tonn. 30.196 da sbarcare in più porti del Golfo Messico.
IL VIAGGIO (In sintesi)
DESCRIZIONE DEI FATTI
26/12/81 07,18 Sbarcato il Pilota all'altezza della Boa A1 (largo di Ostenda)
26-27/12 Navigazione lungo il Canale della Manica seguendo le rotte prescritte
27/12/81 11,30 Posizione Lat. 49° N - Long. 04° W
28/12/81 12,00 Posizione Lat. 48° N - Long. 08° W
29/12/81 13,55 Posizione Lat. 45°35' N - Long. 11° W - SOS
29/12/81 14,43 La Nave "THEODORE FONTANE" (Germ.Est) riceve sul canale 16 la chiamata di soccorso del MARINA D’EQUA e subito cambia rotta per raggiungere la nave in pericolo.
29/12/81 14.50 circa Inverte la rotta puntando su Brest, mettendo il mare in poppa
29/1278115,36 Le due navi sono in "contatto visivo". e su richiesta del M.d'Equa procedono per Rotta = 070° - Velocità 7 nodi, la nave tedesca in assistenza (Stand-by)
29/12/81 15,47 Giunge sulla verticale del M.d'Equa un aereo "Atlantic 4 CZ" dirottato appositamente da altra missione da parte del CECLANT (Comando dell'Atlantico della Marina Francese di Brest) che conferma la rotta e la velocità delle due navi.
29/12/81 16,34 Via Roma radio Il M. d'Equa comunica con la Società Armatrice.
29/12/81 17,00 Un altro aereo della Marina Francese (CXI) rileva il precedente (4 CZ) che rientra alla base per fine autonomia.
29/12/81 17,44 Il M.d'Equa chiede che l'equipaggio sia evacuato a mezzo elicotteri.
29/12/81 17,55 Posizione Lat. 45°41'N - Long. 09° 54' W - Le luci del M.d'Equa scompaiono dalla vista della nave tedesca e svanisce l'eco radar.
LA NAVE E' AFFONDATA
Queste, in modo sinottico, le ore drammatiche del naufragio. Alle 17,55 del 29 Dicembre 1981 a circa 320 miglia a SW di BREST, il MARINA D'EQUA s'inabissava nell'Atlantico in tempesta. Le cause del sinistro furono attribuite, dalla Commissione d'Inchiesta Ministeriale - come fatto iniziale - al cedimento degli elementi n° 2 e 3 dei boccaporti della stiva n°1 e come causa finale - al collasso della paratia tra la stiva 1e 2.
Il tutto per le proibitive condizioni del tempo instauratesi nei giorni 27, 28 e 29 Dicembre per la presenza di una depressione di 975 mb. (731 m/m) posizionata in Lat. 43°N e Long. 28°W che provocava, sopratutto il 29 Dicembre, vento da SW forza 10 e mare da WSW di altezza significativa di 11 metri. Il ché provocò, come detto, dapprima un notevole imbarco d'acqua nella stiva e, successivamente, per lo sbattimento della massa d'acqua penetrata nella stessa stiva n°1, il cedimento (collasso) della paratia stagna fra la stiva 1 e 2, con conseguente perdita di galleggiabilità e quindi l'affondamento della nave. Nel tragico epilogo, persero la vita trenta uomini di mare, il più giovani dei quali aveva solo diciassette anni.
Grado - Cognome – Nome - Luogo d'Origine
1- Comandante MASSA Michele Torre del Greco
2- 1° Ufficiale BUONOCORE Anselmo Meta
3- 2° Ufficiale ESPOSITO Raffaele Meta
4- 3° Ufficiale CASTELLANO Costantino Meta
5- All.Uff.Cop. PISANO Gennaro Sorrento
6- All.Uff.Cop. S.N: LAURO Salvatore Piano
7- Radio Telegr. POLESE Salvatore Torre del Greco
8- Dir. di Macchina GAGLIARDI Tullio Meta
9- 1° Macch. CIBELLI Pietro Procida
10- 2° Macch. VISAGGIO Giuseppe Procida
11- 3° Macch. MARESCA Luigi Meta
12- All.Uff.Macch. RUGGIERO Giovanni Meta
13- All.Macch.S.N. VINACCIA Angelo Sorrento
14- Nostromo CIOFFI Luigi Piano
15- Marinaio TORTORA Guglielmo Torre del Greco
16- Marinaio PALOMBA Raffaele Torre del Greco
17- Marinaio TORTORA Luigi Torre del Greco
18- Marinaio D'ELIA Giuseppe Piano
19- Marinaio QUINTANA CORREA Carlos Santiago (Cile)
20- Mozzo PEPE Michele Meta
21- Mozzo S.N. VINACCIA Francesco Piano
22- Caporale SCOTTO di MARRAZZO Giuseppe Procida
23- Operaio AVERSA Antonino Meta
24- Elettricista D'ANGELO Ciro Meta
25- Fuochista CIOFFI Antonio Piano
26- Giov. Macch. ESPOSITO Maurizio Meta
27- Cuoco ESPOSITO Antonio Meta
28- Picc. Cucina CACACE Pietro Massa Lubrense
29- Garz. 2^ GELZO Antonino Massa Lubrense
30- Piccolo PAESE Antonio Meta
Da un documento dattiloscritto riportante la dichiarazione del Comandante Dieter HOHLE resa a Rostock (Germania Est) l’8 Febbraio 1982.
………………………………….omissis……………………………
“Il giorno 29 dicembre alle ore 14,43 GMT l’Ufficiale di Guardia ricevette un messaggio sul canale 16 che diceva: SHIP ON MY PORTSIDE COME IN (Nave sulla mia sinistra, rispondete) ripetuto a brevi secondi con l’aggiunta: THIS IS A MAY-DAY CALL (Questa è una chiamata di soccorso)- Il 2° Ufficiale Hans Jurgen WOLF, appunto di guardia, rispose al messaggio e furono scambiati i nomi delle navi. Sul nostro radar appariva una sola eco sulla sinistra a circa 11 miglia di distanza ed era inequivocabilmente il M.d’E. Conseguentemente alle 14,50 GMT cambiammo rotta dirigendo per 125°sul bersaglio rilevato e potemmo comprendere meglio il messaggio che diceva : HATCHCOVERS N° 1 STOVE IN (?) (probabilmente Hold = Stiva) SINKING IN POSITION 45°40’N 10°53’W ( Pannelli di copertuta della stiva n° 1 stanno affondando nella posizione 45°40’N 10°53’W). Ci accorgemmo che la longitudine non era corretta. Più tardi la M.d’E. ci chiese a che ora l’avremmo raggiunta e fu risposto: ”IN 40 MINUTI”-
Alle 15,36 la M.d’E. ci chiese di metterci in “STAND-BY” con rotta parallela alla sua, cioè 070°. Ormai la nave era visibile otticamente. Alle 15,50 il primo aereo (aereo militare francese) volò basso sopra di noi.- Dalle 15,54 ci fu uno scambio di messaggi a tre (noi – aereo –M.d’E.) ed apprendemmo che la M.d’E. dirigeva per BREST (distante 300 miglia) che aveva un equipaggio di 30 persone e richiedeva l’intervento di elicotteri per evacuare la gente. L’areo rispose però che a quella distanza l’area non era coperta da elicotteri di salvataggio francesi. Il M.d’E. replicò che dalle coste spagnole la distanza era inferiore e l’aereo rispose che doveva accertarsi se fosse operabile tale possibilità. Successivamente intercettammo un messaggio dell’aereo (francese) che aveva chiamato un peschereccio francese che era nelle vicinanze.
Quando fummo al traverso della MARINA D’EQUA. (distanza 0,7 mg. a dritta) notammo che i portelloni centrali della stiva n°1 erano mancanti. Non potei stabilire se questi portelloni erano caduti nelle stive o portati via. Le onde venivano da poppa, spazzavano sulla prua con creste che si rompevano vicino alla stiva n° 1 permettendo così all’acqua di entrare nella stiva. La prua della nave. era molto bassa sull’acqua. La MARINA D’EQUA è affondata alle 17,55 GMT (tempo medio di Greewnich) in posizione 45° 45’ N e 09°45’ W. Circa 10-15 minuti dopo, l’oscurità era totale.
Io non osservai direttamente l’affondamento, perché, in quel momento, ero all’interno del ponte ad ascoltare un messaggio della MARINA D’EQUA, che ascoltavo sul canale 16 VHF (canale di soccorso) ed era la parte finale del suddetto messaggio.
In questo messaggio dicevano che un peschereccio francese si stava portando rapidamente nelle vicinanze e sulla sua rotta. E’ mia opinione che la MARINA D’EQUA, al momento dell’affondamento, avesse una prua di circa 70° ed una velocità stimata al disopra dei 7 nodi. Al momento dell’affondamento il MARINA D’EQUA era sulla nostra dritta – a circa un miglio di distanza – mentre noi eravamo su una rotta parallela. L’affondamemto del MARINA D’EQUA, a mia stima, non deve aver superato i 20-30 secondi. Quando la vidi per l’ultima volta, notai il suo fanale rosso di sinistra e quello di maestra ancora accesi, l’antenna radar era in moto e penso che anche qualche luce nei locali interni fosse accesa.
Immediatamente dopo l’affondamento noi girammo sulla sinistra dando l’allarme generale e localizzammo il luogo dove la M.d’E. era scomparsa. All’arrivo notammo cinque o sei portelloni galleggiare, di colore grigio-marrone, una parte di lancia di salvataggio, uno zatterino gonfiabile inadoperato con ancora l’involucro ed altri due sommersi e parzialmente gonfiati. Al tempo dell’affondamento le condizioni meteorologiche erano: vento da 240° forza nove – mare forza otto.
Per completezza di informazione il Capitano HOHLE, precisa che le precedenti condimeteo erano state le seguenti:
12,00 GMT = Vento da 240° forza 9 – Mare forza 8
13,00 GMT = Vento da 240° forza 9 – Mare forza 8
14,00 GMT = Vento da 240° forza 10 – Mare forza 8
15,00 GMT = Vento da 240° forza 10 – Mare forza 8
16,00 GMT = Vento da 240° forza 9 – Mare forza 8
Da quanto sopra, si evince che il picco massimo della tempesta si è verificato tra le 14,00 e le 16,00 GMT proprio nelle ore (14,43 e 15,36) dei messaggi di soccorso e di richieste di elicotteri.
Qui finisce la deposizione del Comandante del Theodore Fontane, che come già detto risulta da un dattiloscritto, peraltro privo di qualsiasi attestato di autenticità da parte di autorità consolari, ma comunque di notevole attendibilità.
Abbiamo consultato la Relazione della Commissione Ministeriale (Biblioteca Collegio Capitani-Compartimento di Napoli) ed in particolare al paragrafo “Condotta della Navigazione” così si esprime:
La nave navigava per SW con grosso mare in prora ad una velocità non superiore ai sei nodi quando si verificò il primo sinistro cioè il collasso dei pannelli della stiva n° 1.
……………omissis…………
E’ altresì evidente che, dato il tipo di nave, le onde coprivano con frequenza la prora, per cui, la stiva n°1 con la boccaporta aperta, imbarcasse acqua continuamente. Vista l’impossibilità di reggere il mare per i violenti urti che la nave subiva al rovesciarsi delle onde sulla prora, il Comandante deve aver avvisato la macchina di tenersi pronti ad aumentare i giri al momento opportuno, quando, tra un’onda ed un’altra, fosse apparso possibile virare per mettersi col mare in poppa. Quantunque questa fosse notoriamente una manovra rischiosa, peraltro venne considerato un rischio preferibile e fu condotta a buon fine, non risulta esattamente quando, anche se è presumibile entro 1 ora circa dallo sfondamento della boccaporta.
…………omissis…………
La virata produsse la rottura delle rizze del carico in coperta (telefonata della nave agli Armatori alle 16,34) e ciò può aver fatto presumere che anche il carico nelle stive potesse aver avuto qualche spostamento, comunque la situazione si presentava, nel suo complesso, migliore, in quanto la nave non era più soggetta ai rudi impatti con le onde. Tuttavia la nave era appruata ed il mare lungo, più veloce della nave, entrava da poppavia nella stiva n°1 che si appesantiva sempre più.
………omissis………
La richiesta di soccorso via elicotteri dimostra la preoccupazione del Comandante, quantunque non sia facile valutare la misura di tale preoccupazione. E’ comunque certo che egli decise di tenere l’equipaggio a bordo sin quando la nave resistesse al mare, piuttosto che affrontare il rischio sicuro connesso con la scelta di farlo scendere in mare, con mezzi salvataggio che, benchè regolamentari, apparivano del tutto inadatti a quelle condizioni di vento e di mare. La commissione ritiene che la decisione fu calcolata e sofferta e presume che l’apparente tranquillità dell’equipaggio nelle ultime ore di vita dellla nave ed anche il senso della telefonata si possono interpretare come segno di responsabilità del Comandante e dell’equipaggio.
………omissis………
L’imprevisto accadde intorno alle 17,55 del 29 Dicembre, quando la nave affondò, infilandosi di prua in un’onda alla velocità fino ad allora tenuta di 7 nodi restando sommersa in meno di un minuto. La Commissione fa rilevare che l’affondamento in un tempo così breve, può essere collegato soltanto al collasso strutturale della paratia tra la stiva 1 e 2, difficilmente prevedibile senza l’ausilio di calcoli appositi eseguiti con mezzi e con teoria di non comune applicazione.
………omissis………
Dal paragrafo “ Commento al Traffico RT/RTF/VHF”
Non si spiega come mai il Theodore Fontane non abbia ricevuto il segnale S.O.S. in RT 500 kc/s emesso alle 13,55 dalla Marina di Equa e successivamente ripetuto dalla stazione RT di La Coruna; anche se non ci fosse stato ascolto continuo sul T. Fontane, doveva scattare l’autoallarme. Si rileva altresì che l’autoallarme RT e RTF non è scattato su nessuna delle navi in zona.
………omissis………
Dal paragrafo “ Coordinamento delle operazioni”
Il punto in cui si trovava la marina di Equa quando chiese soccorso alle 13,55 ed anche il punto in cui la nave affondò alle 17,55 si trovano nella zona di giurisdizione del Centro di Soccorso /SAR) di Plymouth /Gran Bretagna) , a poche miglia di distanza dei limiti delle Regioni dei Centri di Soccorso /SAR) di Madrid e di Brest.
………omissis………
Riteniamo con queste citazioni di aver in qualche modo apportato altre conoscenze e commenti al disastro della Marina di Equa. Aggiungiamo che in ogni modo parteciparono, dopo l’affondamento, alla ricerca di eventuali superstiti e per diversi giorni seguenti:
Mezzi navali
Oltre al Theodore Fontane, i pescherecci 280 e 120, peschereccio spagnolo Efru, M/n liberiana Mary Beth, peschereccio Monte Sant’Alberto, Piroscafi Churruca, Langara, AR 41, Lagollan Guidhe. Mari Conchi, Mironich
Mezzi aerei
Oltre agli arei della marina francese Atlantic 4 CZ e CXI che agirono prima dell’affondamento,gli aerei francesi P2H, Atlantic FXCXE, velivolo inglese Rescue 52, aereo Atlantic francese WH, Fokker spagnolo 27.
Quanto sopra fino al 1° Gennaio quando furono interrotte le ricerche. Ma su intervento del Governo italiano, le ricerche furono riprese il 2 e proseguite fino al 4 Gennaio. A quest’ultima ricerca parteciparono gli aerei: francese Atlantic WE, Fokker spagnolo 27, Atlantic italiano I-1015. Il risultato di questa complessa operazione di ricerca a cui hanno partecipato in tempi e a titolo diversi 12 mezzi navali e 10 aerei dalle 17,55 del 29 Dicembre 1981 alle 16,09 del 4 Gennaio 1982, ha portato all’avvistamento ....
DATA/ORA AVVISTAMENTO MEZZO
29/12-22,11 Theodore FONTANE Due dinghy rossi con bande argentate – VUOTI
30/12-05,48 “ “ Due zatterini gonfiabili lanciatidall’aereofrancese –VUOTI
30/12-03,17 Aereo franc.FXCXR Salvagente con luce- VUOTO
30/10-10,00 M/pesca Monte Sant’Alberto Massa estesa di nafta 45°54’N e 09°40’ W
30/12-16,42 P.fo Churruca Resti del naufragio tra 46°40’N/45°40’N e 10°W/09°W
30/12-12,30 P.fo Mary Beth Pezzo di un’imbarcazione e 1 zattera da 10 persone-
VUOTA in 46°06’N
30/12-12,55 P.fo Mari Conchi Un salvagente con la dicutura Duncan
30/12-13,06 “ “ Un salvagente con la dicitura Schothlite
04/01-17,15 M/n Camberra Avvistato un cadavere in 47°14’N e 06°48’W (*)
94/01-18,10 Aereo ital.I-1015 Esplora la zona su indicata con esito negativo
(*) circa 150 mg. a Nord Est dal punto di affondamento. Ho qualche riserva che possa essere un membro dell’equipaggio del MARINA DI EQUA. Però tutto può essere possibile. Rimane purtroppo deludente il mancato ritrovamento e/o recupero.
Cartina con le rotte seguite dalle due navi a partire dalle 12,00/12,30 fino alle 17,55 del 29/12/1981 ora dell’affondamento in 45°45’N e 09°45’W. In rosso la rotta della MARINA D’EQUA. In Blu la rotta della nave tedesca THODORE FONTANE.
CONCLUSIONI
La Commissione ministeriale d’inchiesta sul naufragio della MARINA DI EQUA, composta da quindici membri – tra cui il Presidente (Consiglio di Stato) due ammiragli, un Capitano di Vascello (CP), sei ingegneri, tre Capitani Superiori di Lungo Corso, due avvocati – insediatosi il 12 Gennaio 1982, ha tenuto complessivamente 19 sedute plenarie e l’ultima – conclusiva – il 31 Gennaio 1983, ascoltato 25 testimonianze dirette o per rogatoria ed aver acquisito agli atti centinaia di documenti e decine di perizie tecniche ed aver effettuato tre visite di accertamento all’estero e dopo aver espresso alcune raccomandazioni per il miglioramento generale delle strutture e dotazioni delle navi esprimeva – tra l’altro – la richiesta di un maggior dimensionamento dei pannelli dei boccaporti (colonna battente attuale da 7 metri a 11 metri ) dotazioni anche sulle navi da carico di tute protettive galleggianti e protettive della temperatura del mare da 2° a 30° ed all’unanimità così si esprimeva:
“che il naufragio della MARINA DI EQUA e la conseguente perdita dell’equipaggio e del carico verificatosi il 29 Dicembre 1981 siano da attribuirsi alle circostanze eccezionali sopradescritte e che, pertanto, il sinistro sia avvenuto esclusivamente per caso fortuito, senza dolo o colpa da parte di chicchesia.”
A noi non resta altro che esprimere – a distanza di 25 anni - il rinnovato e più vivo cordoglio ai famigliari delle 30 vittime e notiamo comunque che una serie di circostanze particolarmente negative quali l’eccezionale cattivo tempo – la distanza dalla costa – l’impossibilità di usare i messi di salvataggio e, soprattutto la giovanissima età della maggior parte dell’equipaggio, rendono ancora drammaticamente collettivo il dolore per una tragedia che ha visto coinvolto tanti individui di questa costiera. A loro và il nostro pensiero e la preghiera: riposino in pace!
Fortunato IMPERATO
di LUIGI DE ROSA
Le onde colpivano lo scafo incessantemente, cazzotti in pieno volto, jab destro e sinistro, gancio destro e poi montante sinistro a stordirti. Upper cut infiniti d’acqua salata colpivano rabbiosi, senza pietà, e tu, niente,impotente, sbattuto sul ring della vita a resistere sul ponte di una nave. Un freddo micidiale ed un mare infernale, quel lontano dicembre del 1981, mi riempivano di sconforto l’anima; lo avevo detto ad Hans: “maledetta vita la nostra, anni interi su quest’acqua amara e pochi giorni a terra per carpire affetto a una moglie ed a dei figli che ti guardano di anno in anno, di imbarco in imbarco, come uno sconosciuto, vorrei farla finita!” Ma non so fare altro che governare una nave!” Poi , d’improvviso, quel gracchiare sommesso e sempre più insistente della radio: ”SHIP ON MY PORTSIDE COME IN… THIS IS A MAY-DAY CALL…” Venisti tu, Hans (secondo ufficiale ) ad avvisarmi”: ”Herr Commander Dieter Hohle una nave è in difficoltà… Comandante, una nave italiana ha lanciato il may-day……” Mi precipitai sul ponte di comando, calcolai il tempo che rimaneva :”quaranta minuti e siamo lì” - Dio dammi di più!, pensai,gridai, pregai Arrivammo che la MARINA D’EQUA era lì, fuscello di metallo in un inferno salato, ago di bussola alla deriva senza più né nord né sud, il rumore di un aereo ci fece sperare in soccorsi che non giunsero mai in tempo,…non furono ali d’angelo a sorvolare i sogni, le speranze e il futuro di quei trenta marinai sorrentini, ma quelle impotenti di un semplice aereo militare francese! A mio parere Signor giudice il mare inghiottì quella nave in venti, trenta secondi…. Vidi il fanale rosso di sinistra e quello di maestra ancora accesi e poi delle luci nei locali sparire nell’oscurità… in quel mare di pece, vidi quelle luci affievolirsi a poco a poco e poi sparire nella notte che non prevede il sorgere di una futura alba, le onde cucirono il sudario d’acqua che finì per inghiottire tutto e tutti. Pensai alla luce che brilla negli occhi di una madre a cui danno il batuffolo di carne appena partorito ed alla luce che si spense negli occhi delle madri alle quali comunicarono che quel figlio non l’avrebbero più visto. Pensai al figlio e alla figlia, alle mogli che aspettano con gioia, timore e trepidazione il padre e marito che scende dalla scaletta a fine imbarco ed alla solitudine di quella scaletta vuota, poggiata sul fianco della nave…non scenderà più nessuno.
In ricordo dei trenta marinai della nave Marina d’Equa affondata al largo del Golfo di Biscaglia il 29 dicembre 1981
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Carlo GATTI
Rapallo, 23 Ottobre 2014