FUTURO
FUTURO
Pietra su pietra
con costanza e pazienza
ogni pietra è una storia
di sconfitta e vittoria
ma occorre pulire
per ricostruire.
Come il germoglio
la vince sulla corteccia e il cemento
così la speranza
se
come il germoglio
ha radici ben salde.
di ADA BOTTINI
La bottega di Marco Locci
BABEL
UN PO’ DI TECNICA: UNA MANOVRA CON L’USO DELL’ANCORA
UN PO’ DI TECNICA
UNA MANOVRA CON L’USO DELL’ANCORA
Più volte mi è stato chiesto perché viene usata l’ancora in alcune manovre.
Questa domanda, apparentemente banale, nasconde valutazioni e spunti d’insegnamento interessanti.
Premesso che l’ancora è utile, se non indispensabile, in molte occasioni, in questo articolo vi voglio raccontare una manovra che mi è capitata alcuni giorni fa: l’arrivo della M/n HAYA. Si tratta di una portarinfuse lunga circa 100 metri, con elica a passo variabile a effetto destrorso, senza bow thruster, a pieno carico, destinata alla banchina Rubattino lato di ponente con la prua a terra (fianco di dritta in banchina).
È vero che la nave è di modeste dimensioni, ma presenta alcune caratteristiche che suggeriscono di non sottovalutare la delicatezza della manovra:
- l’elica a passo variabile ha un’efficacia, nella marcia indietro, molto inferiore rispetto al passo fisso e presenta, inoltre, un forte effetto evolutivo. Nel nostro caso, considerando che la nave è a pieno carico, ci dobbiamo aspettare difficoltà nell’arresto e una marcata tendenza della prora a venire a dritta;
- la mancanza del bow thruster non ci permette di contrastare l’effetto destrorso;
- è facile prevedere, nella fase finale, la necessità di dare indietro per arrestare la nave nella posizione voluta. Probabilmente ci troveremo con la prora che tenderà inesorabilmente verso la banchina e la poppa che si allargherà dalla stessa. Praticamente perderemo il controllo di tutti gli elementi e correremo il rischio di urtare la banchina con la prua.
Può sembrare esagerato, ma vi assicuro che, normalmente, il rapporto efficacia di arresto ed effetto evolutivo di una nave di pescaggio (anche se è di piccole dimensioni e procede a lento moto), che ha a disposizione un’elica a passo variabile, è molto svantaggioso.
In realtà ci sono alcuni accorgimenti che permettono di gestire la situazione anche senza l’utilizzo dell’ancora, ma sono operazioni di fino che non garantiscono il risultato.
Il primo consiglio è quello di dimenticare la fretta: in questo caso è imperativo andare piano e privilegiare la precisione a scapito della potenza.
Il secondo consiglio riguarda le istruzioni da dare al Comandante: affinché la manovra riesca bene, è necessario seguire i passaggi in maniera fluida. La prima cosa da fare, quindi, è accertarsi che:
- l’ancora venga appennellata in acqua pronta sul freno;
- in base al tipo e alla profondità del fondale e alle caratteristiche dell’ancora, si deciderà la quantità di catena da filare affinché la nave venga frenata ma non arrestata: in pratica dovremo dragare l’ancora. In caso di dubbio è meglio darne meno e filarne un po’ di più in un secondo tempo. Nel nostro caso, con 12 metri di fondale e un’ancora ben proporzionata, proveremo con una lunghezza in acqua;
- in prossimità dell’ormeggio il Comandante dovrà assolutamente regolare la macchina esattamente come gli verrà detto: la nave non si dovrà fermare! Potrebbe essere necessario, dopo aver dato fondo, aumentare anche considerevolmente la marcia avanti, mantenendo comunque una bassa velocità. Se l’abbrivo fosse così basso da permettere all’ancora di fare presa ed arrestare la nave, diventerebbe difficile riprendere il moto avanti;
- appena possibile devono essere mandati a terra il cavo alla lunga e lo spring di prora.
Procediamo con la manovra
Dall’imboccatura fino all’inizio dell’avamporto regoleremo la velocità a 6 kn circa, dopo di che imposteremo la leva sul minimo avanti. L’inerzia farà scendere la velocità lentamente e arriveremo all’accostata per entrare al Ponte Rubattino con la macchina ferma e una velocità residua di 3 kn circa. Dopo aver dato, utilizzando il timone alla banda, un invito a dritta, rimetteremo il timone al centro e la macchina indietro mezza.
L’effetto evolutivo aiuterà l’accostata arrivando quasi a fermare la nave.
Una volta imboccata la calata, rimetteremo la macchina avanti al minimo puntando poco oltre il centro della posizione prevista con un angolo di circa 30 gradi. Quando mancherà uno scafo alla posizione, daremo fondo una lunghezza all’acqua all’ancora di sinistra.
Arrivato il momento di agguantare la catena, presteremo particolare attenzione all’abbrivo, aumentando la macchina per impedire che l’ancora faccia testa.
Il punto giratorio della nave, che si sposterà molto vicino alla prora, ci aiuterà a variare la direzione sfruttando la macchina avanti e piccoli angoli di timone: in questo modo risulterà molto facile portare la prora esattamente dove vogliamo. Raggiunta la posizione avremo già passato lo spring e il cavo di prora a terra. A quel punto ridurremo la macchina, mantenendola comunque un minimo avanti, fino a fermare completamente l’abbrivo.
Il timone tutto a sinistra ci permetterà di portare sotto la poppa per dare i restanti cavi.
Quella descritta è una tra le manovre da noi chiamate “da brutte figure”.
Le dimensioni della nave, gli spazi che normalmente si hanno a disposizione e l’assenza di evoluzione, portano a sottovalutare l’esperienza necessaria a gestire questi tipi di ormeggio.
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John GATTI
Rapallo, 5 Luglio 2019
TOSCANA - Una nave, una storia
P.fo TOSCANA
dal 1935 al 1961
Fu la nave della
“SPERANZA, della SALVEZZA e della RINASCITA”!
Non era una nave grande, non era una nave veloce, non era una nave lussuosa, non è stata famosa per le sue caratteristiche, e in definitiva non era neanche una bella nave. Eppure, molti sono i libri ed gli articoli dedicati a questa nave che sarebbe rimasta del tutto "anonima" se non fosse stata coinvolta in eventi che hanno segnato la nostra storia e sui quali ancora oggi poco è stato scritto. Il piroscafo TOSCANA fu costruito in Germania nel 1923 col nome Saarbrùcken ma per noi la sua storia comincia nel 1935, come trasporto truppe per l'avventura africana, continua con la guerra civile spagnola, l'occupazione dell'Albania e poi, come nave ospedale, con la tragica seconda guerra mondiale. Fra i pochi sopravvissuti alla guerra fu quindi coinvolto nei primi collegamenti con le Isole maggiori, con il rimpatrio di nostri prigionieri dal Nord Africa e con il drammatico esodo di Pola come conseguenza di un iniquo trattato di pace. Finalmente ripristinato al servizio civile e posto in linea regolare dal Lloyd Triestino fra Trieste e l'Australia il Toscana contribuì in modo determinante all'esodo di circa 22.000 Triestini e Giuliani verso quel grande e lontano paese.
TIPO: Piroscafo Misto (1923-1935 e 1945-1961) Nave Ospedale (1941-1945)
PROPRIETA’: Norddeutscher Lloyd (1923-1935)-Italia Flotte Riunite (1935-1936)- Lloyd Triestino (1936-1943)
CANTIERE: AG Weser, Bremen – Impostazione: 1922 – Varo 1923 ed entra in servizio lo stesso anno come nave civile. 1° febbraio 1941 come nave militare.
GESTIONE: dalla-FlottaLauro nel-1938-1939
REQUISITO: Regia-Marina nel-1941-1945
Co.Ge.Na. (Comitato ministeriale Gestione Navi) 1945-1947
CIME (Comitato Intergovernativo per le Migrazioni Europee) 1947-1961
Nome precedente: P/s Saarbrücken – Radiata nel 1961 – Demolita nel 1962
Stazza Lorda: 9442 tsl - Lunghezza: 146,2 mt – Larghezza: 17,57 mt – Pescaggio: 9,52 mt.
Propulsione: 5 caldaia a carbone (poi dal 1947 a nafta) – Potenza: 4200 CV – 2 Eliche – Velocità 12,5 nodi Capacità carico: 9142 tonn.
Equipaggio: 176 – Passeggeri: (nel 1923) 198+142 - (Nel 1947) 826
UN PO’ DI STORIA
Militari in partenza per le colonie italiane sul TOSCANA
In vista della guerra d’Etiopia, il governo italiano decise di acquistare un certo numero di navi passeggeri per destinarle al Trasporto Truppe ribattezzandole con nomi delle regioni italiane. Sul mercato europeo c’era la Saarbrücken, che rientrava nelle specifiche previste per quell’impiego. Fu comprata nel 1935 e fu ribattezzata TOSCANA. La nave trasportò truppe dapprima nella guerra d’Etiopia e poi nella guerra civile spagnola trasportando ogni volta 1990 uomini, per un totale di 80.000 uomini e 4.000 veicoli.
Data in gestione alla Flotta Lauro, nel novembre 1938 la nave venne impiegata per qualche mese nel trasporto di 1720 famiglie italiane verso la Libia per un totale di 20.000 coloni; nel maggio 1939, la nave fu inviata in Spagna per rimpatriare 1900 militari italiani.
DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE IL TOSCANA FU CONVERTITA IN NAVE OSPEDALE
Per esigenze belliche, nel dicembre 1940, la Regia Marina decise la trasformazione della TOSCANA in Nave Ospedale. Fu ridipinta secondo le norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra per le navi ospedale, fu fornita di adeguate attrezzature sanitarie, di 700 posti letto, imbarcò il personale medico ed entrò in servizio nel marzo 1941.
Nel corso di questi mesi compì molte missioni umanitarie e subì anche numerosi bombardamenti aerei notturni.
Il 2 dicembre 1942 il Toscana, insieme alle piccole navi soccorso Capri e Laurana nonché a diversi cacciatorpediniere, venne inviata alla ricerca dei superstiti delle navi del Convoglio “H” che fu quasi totalmente distrutto in uno scontro notturno contro una formazione navale inglese presso SKERKI – costa tunisina. Complessivamente vennero tratti in salvo circa 1.100 naufraghi, un terzo del totale degli uomini imbarcati sulle navi del convoglio.
Il 28 aprile 1943 il Toscana trasse in salvo 72 naufraghi dell’equipaggio del piroscafo italiano Teramo, incendiato quello stesso giorno da motosiluranti britanniche ed aerei Kittyhawk durante la navigazione da Napoli a Tunisi carico di benzina (il relitto alla deriva si arenò il 29 aprile a sud di Capo Bon).
Il 29 aprile il Toscana, mentre rientrava dalla Tunisia con a bordo 938 tra feriti e malati, venne nuovamente attaccata con lancio di bombe e mitragliamenti – nonostante la trasmissione di segnali radio di riconoscimento – e fu stavolta colpita, con 15 feriti tra il personale medico e l'equipaggio, alcuni dei quali di notevole gravità.
Nel luglio-agosto 1943 la nave prese parte alle operazioni di evacuazione sanitaria della Sicilia, dopo lo Sbarco Alleato. Nel mese di luglio il Toscana e le navi ospedale Aquileia e Virgilio effettuarono cinque missioni, imbarcando circa 3.400 tra feriti e malati gravi sia tedeschi che italiani, radunati sulle spiagge di Sant’Agata e Ganzirri (Stretto di Messina). In agosto le stesse tre navi compirono altre tre missioni sino al giorno della caduta di Messina.
Il 17 agosto recuperarono altri 3.000 infermi. La Toscana e l'Aquileia furono le ultime navi ospedale ad abbandonare le rive dello stretto di Messina, sotto reiterati attacchi aerei.
Alla Proclamazione dell’Armistizio il Toscana si trovava a Gaeta da dove salpò la sera del 9 settembre 1943, mentre le truppe tedesche occupavano la piazzaforte, riuscendo così ad evitare la cattura.
Tra il settembre ed il dicembre 1943, il Principessa Giovanna e Toscana effettuarono in tutto sei missioni di trasporto di feriti e malati sia britannici (per i due terzi) che italiani (per il rimanente terzo).
Di fatto, tuttavia, il Toscana (a differenza del Principessa Giovanna), benché formalmente iscritta nei registri britannici come Hospital Ship N.59, continuò ad essere impiegata per conto del Comando navale italiano del Levante sino alla fine del 1945, quando venne derequisita. Il 16 febbraio 1945 la Toscana venne inviata a Yarrow e vi rimase per tre settimane, venendo sottoposta ad un turno di lavori .
Nel corso della seconda guerra mondiale la Toscana aveva svolto complessivamente 54 missioni come nave ospedale, trasportando 4.720 tra feriti e naufraghi e 28.684 ammalati.
IL DOPOGUERRA E L’ESODO ISTRIANO
UNA PAGINA DI DOLORE E DI TRISTEZZA
Tornata a Napoli il 4 dicembre 1945 ed issata nuovamente la bandiera italiana, il TOSCANA venne utilizzata dal Co.Ge.Na. (Comitato ministeriale Gestione Navi) per conto del governo italiano, svolgendo collegamenti d'urgenza tra Napoli, Palermo e Cagliari. Restituita formalmente al Lloyd Triestino nell'ottobre 1946, la nave venne impiegata per il rimpatrio da Libia e Tunisia di profughi ed ex prigionieri. Nello stesso periodo la nave trasportò anche da Napoli a Massaua, via Suez e Porto Said, ex coloni italiani che tornavano in Africa Orientale dopo esserne partiti nel 1942, a seguito dell'occupazione britannica. Ad inizio gennaio 1947 il governo decise di impiegare il Toscana per l'evacuazione dei profughi di Pola, intenzionati a lasciare la città prima che questa venisse annessa alla Iugoslavia.
La nave TOSCANA durante l'abbandono di Pola (1947)
Una giovane esule italiana in fuga trasporta, insieme ai propri effetti personali, una bandiera tricolore (1945)
I VIAGGI DEI PROFUGHI ISTRIANI SUL TOSCANA
L'esodo giuliano-dalmata, noto anche come esodo istriano, coinvolse la maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia; iniziò alla fine della Seconda guerra mondiale (1945) e continuò negli anni successivi. Si stima che i giuliani, i fiumani e i dalmati italiani che emigrarono dalle loro terre di origine ammontino a un numero compreso tra le 250.000 e le 350.000 persone.
Il fenomeno, conseguente agli eccidi noti come massacri delle foibe, coinvolse in generale tutti coloro che diffidavano del nuovo governo jugoslavo e fu particolarmente rilevante in Istria e nel Quarnaro, dove interi villaggi e cittadine si svuotarono dei propri abitanti. Nell'esilio forzato, furono coinvolti tutti i territori ceduti dall’Italia alla Jugoslavia in base al Trattato di Parigi, compresa la Dalmazia dove vivevano i dalmati italiani.
I massacri delle foibe e l'esodo giuliano-dalmata sono ricordati dal:
Giorno del Ricordo
solennità civile nazionale italiana che si celebra il 10 febbraio di ogni anno.
Questo modesto articolo é dedicato anche alla loro memoria!
I VIAGGI DEL RITORNO IN PATRIA:
- Giunta a Pola, al comando del Capitano Caro agli inizi di febbraio, il TOSCANA imbarcò 1.865 profughi e ripartì dal Molo Carboni alle 8.30 del 2 febbraio 1947 diretta a Venezia.
- Dopo aver sbarcato i profughi, la nave tornò a Pola il 5 febbraio, imbarcando 2.085 persone e ripartendo il 7 febbraio alla volta di Venezia.
- Il 9 febbraio la nave fece ritorno nel capoluogo istriano, dove prese a bordo 1.550 persone salpando verso Venezia l'11 febbraio.
- Tornato a Pola il 14 febbraio, il piroscafo ne ripartì il 16 febbraio con 2.300 profughi a bordo, per poi tornare il 18.
- La successiva partenza (per Ancona e non per Venezia) del Toscana, che aveva imbarcato 2.156 profughi (tra cui 16 malati, 50 lattanti e 120 bambini con meno di quattro anni, oltre a numerosi anziani) era prevista per il 19, ma causa il maltempo venne inizialmente rimandata al 20 febbraio e poi, persistendo le condizioni meteorologiche avverse, poté infine avvenire solo il 21 febbraio.
- Rientrata a Pola il 23 febbraio, la nave ripartì il 26 febbraio con il sesto carico di profughi istriani.
- Il 2 marzo 1947 il Toscana partì da Pola per Venezia con 1.580 profughi in quello che avrebbe dovuto essere l'ultimo viaggio;
- ma il 4 marzo la nave tornò di nuovo nel porto istriano. Il 7 marzo, con un giorno di ritardo a causa di problemi tecnici, il Toscana ripartì da Pola, portando a bordo, oltre a 1.400 profughi.
- Negli ultimi due viaggi la nave trasportò soprattutto personale rimasto a Pola per le operazioni di evacuazione della città, che si presentava a bordo provvisto di documenti con apposito timbro di riconoscimento.
- Il 13 marzo il Toscana si presentò ancora una volta a Pola, con a bordo il capo della Pontificia Commissione di Assistenza. Ripartì il 14 marzo alla volta di Ancona, nuovamente carico di profughi.
- Il 17 marzo il Toscana fece ritorno a Pola per l'ultimo viaggio. La partenza era prevista per il 19, ma in realtà la nave partì con un giorno di ritardo. Dopo aver ricevuto dal Comitato di Liberazione Nazionale e dal Comitato di Assistenza per l'Esodo una PERGAMENA MINIATA in segno di riconoscenza, il Toscana lasciò Pola per l'ultima volta il 20 marzo 1947. (vedi foto sotto)
In dieci viaggi tra il 2 febbraio ed il 20 marzo 1947, il piroscafo aveva trasportato complessivamente 16.800 profughi istriani.
- (più del numero inizialmente previsto) -
Terminato il suo mandato di evacuazione degli Italiani dal Nord Adriatico, il Toscana riprese il servizio di rimpatrio di profughi ed ex prigionieri dall’Africa Settentrionale.
UNA BREVE PARENTESI STORICA
L'Italia nel 1796
Le tonalitè verdi della cartina, indicano le modifiche del confine orientale italiano dal 1920 al 1975.
Il Litorale Austriaco poi ribattezzato Venezia Giulia fu assegnato all'Italia nel 1920 con il TRATTATO DI RAPALLO (con ritocchi del suo confine nel 1924 dopo il Trattato di Roma) e che fu poi ceduto alla Jugoslavia nel 1947 con i Trattati di Parigi.
In verde - Le Aree annesse all'Italia nel 1920 e rimaste italiane anche dopo il 1947. - Aree annesse all'Italia nel 1920, passate al Territorio Libero di Trieste nel 1947 con i trattati di Parigi e assegnate definitivamente all'Italia nel 1975 con l'infelice Trattato di Osimo.
In giallo - Aree annesse all'Italia nel 1920, passate al Territorio Libero di Trieste nel 1947 con i trattati di Parigi e assegnate definitivamente alla Jugoslavia nel 1975 con il trattato di Osimo.
La folla festante per il ritorno di Trieste all'Italia, 26 ottobre 1954
Nella parte finale della Seconda guerra mondiale e durante il successivo dopoguerra ci fu la contesa sui territori della Venezia Giulia tra Italia e Jugoslavia, che è chiamata "questione giuliana" o "questione triestina". Trieste era stata occupata dalle truppe del Regno d'Italia il 3 novembre del 1918, al termine della Prima guerra mondiale, e poi ufficialmente annessa all'Italia con la ratifica del Trattato di Rapallo del 1920.
Al termine della Seconda guerra, con la sconfitta dell'Italia, ci furono infatti le occupazioni militari della Germania e poi della Jugoslavia.
L'occupazione jugoslava fu ottenuta grazie alla cosiddetta “corsa per Trieste”, ovvero all'avanzata verso la città giuliana compiuta in maniera concorrenziale nella primavera del 1945 da parte della quarta armata jugoslava e dell’ottava armata britannica.
Territorio libero di Trieste: con il trattato di Osimo (1975), la zona A fu definitivamente assegnata all'Italia, mentre la zona B alla Jugoslavia
Il 10 febbraio del 1947 fu firmato il trattato di pace dell’Italia, che istituì il Territorio Libero di Trieste, costituito dal litorale triestino e dalla parte Nord Occidentale dell'Istria, provvisoriamente diviso da un confine passante a sud della cittadina di Muggia ed amministrato dal Governo Militare Alleato (zona A) e dall'esercito jugoslavo (zona B), in attesa della creazione degli organi costituzionali del nuovo stato.
Nella regione la situazione si fece incandescente e numerosi furono i disordini e le proteste italiane: in occasione della firma del trattato di pace, la maestra Maria Pasquinelli uccise a Pola il generale inglese Robin De Winton, comandante delle truppe britanniche. All'entrata in vigore del trattato (15 settembre 1947) corse addirittura voce che le truppe jugoslave della zona B avrebbero occupato Trieste. Negli anni successivi la diplomazia italiana cercò di ridiscutere gli accordi di Parigi per chiarire le sorti di Trieste, senza successo.
La situazione si chiarì solo il 5 ottobre 1954 quando col Memorandum di Londra la Zona "A" del TLT passò all'amministrazione civile del governo italiano, mentre l'amministrazione del governo militare jugoslavo sulla Zona "B" passò al governo della Repubblica socialista. Gli accordi prevedevano inoltre alcune rettifiche territoriali a favore della Jugoslavia fra cui il centro abitato di Albaro Vescovà/Škofije con alcune aree appartenenti al Comune di Muggia (pari a una decina di km²). Il trattato fu un passo molto gradito alla NATO, che valutava particolarmente importante la stabilità internazionale della Jugoslavia.
IL RITORNO DEL TOSCANA
AL SERVIZIO CIVILE
Emigranti italiani a bordo del Toscana a Trieste nel 1954, in partenza per l'Australia
Nell'estate 1947 Il TOSCANA fu restituito FINALMENTE alla navigazione mercantile. Il piroscafo subì un turno di grandi lavori di rimodernamento eseguiti presso il Cantiere San Marco di Trieste. I bruciatori delle caldaie, alimentati a carbone, vennero convertiti alla nafta, venne sostituito il fumaiolo con uno più basso e tozzo (la velocità tuttavia non mutò, restando di 12 nodi) La stazza fu portata a 9.584 tsl. Anche le sistemazioni passeggeri vennero ampliate, potendo quindi alloggiare 826 persone.
Il TOSCANA, superate le prove di collaudo, tornò in servizio di linea e il 7 febbraio 1948 gli venne assegnato il collegamento diretto da Trieste a Durban. alle rotte dell'Estremo Oriente via Suez.
Dal 19 ottobre 1948 fu destinato al trasporto di emigranti (tra cui numerosi giuliani ed istriani, esuli dalle loro terre annesse alla Iugoslavia.
Nel 1954, 20.000 triestini che, dopo la restituzione della città all'Italia avevano lasciato Trieste perché disoccupati, raggiunsero Perth-l’Australia, a disposizione del CIME (Comitato Intergovernativo per le Migrazioni Europee), partendo inizialmente da Napoli e successivamente da Trieste (capolinea). I
Il 14 settembre 1960 l'anziana nave TOSCANA lasciò Trieste per l'ultimo viaggio di linea.
Disarmato a Trieste sul finire del 1961, il Toscana venne infine demolito, sempre a Trieste, nel 1962.
E' nostro parere che il TOSCANA avrebbe dovuto continuare a vivere nel tempo come NAVE MUSEO a perenne ricordo di TANTE SOFFERENZE, patite dagli italiani, proprio a TRIESTE, città che tutti noi di una certa età abbiamo tuttora nel cuore.
CONCLUSIONE
Siamo giunti al termine di questa breve carrellata storica in cui lo shape del transatlantico TOSCANA si staglia come emblema di una Italia “confusa” che mandò i suoi coloni in Africa a cercare lavoro e fortuna, poi a raccogliere feriti nel Mediterraneo nelle vesti di crocerossina, ed infine a riportare in Patria 350.000 profughi, ESODO GIULIANO-DAMATA per cui si é meritato il seguente riconoscimento:
Le missioni di pace e di speranza del TOSCANA si concluse, come abbiamo visto, con i viaggi degli emigranti triestini diretti a Fremantle-Perth, Australia.
Questo articolo lo abbiamo dedicato soprattutto a questo PIROSCAFO che, a distanza di molti decenni, dopo la decantazione naturale di errori infarciti di odio e stragi tra i Paesi belligeranti, ancora oggi ci riempie il cuore di stupore e di affetto per aver svolto un ruolo protettivo, direi MATERNO per migliaia e migliaia di militari e civili, anche non italiani, talvolta persino nemici.
Il TOSCANA, nell’arco della sua esistenza sui mari, fu davvero la nave della
“SPERANZA, della SALVEZZA e della RINASCITA”!
LA FIGURA DEL COMANDANTE
ERNANI ANTONIO ANDREATTA
S’INCROCIA CON LA VITA DEL TOSCANA
Nel frattempo sono proseguite le nostre ricerche sulla M/n TOSCANA e, con grande sorpresa, abbiamo scoperto che il Comandante Ernani Antonio Andreatta di Chiavari ha comandato la celebre nave per un lungo periodo sia durante la guerra che nel dopoguerra.
E’ stato proprio il figlio, il noto Fondatore e Curatore del Museo Marinaro di Chiavari: Comandante Ernani Andreatta a sottoporci in visione l’estratto matricolare di suo padre del quale riportiamo alcune parti:
Capitano Nave Date IMBARCO MESI GIORNI Qualifica
SBARCO
Se stesso TOSCANA 14.2.39/9.3.39 - 24 Com.te
Se stesso TOSCANA 31.10.39/8.3.40 4 09 Com.te
Se stesso TOSCANA 20.8.49/8.8.50 11 09 Com.te
Se stesso TOSCANA 29.11.52/30.4.53 05 01 Com.te
A metà circa della pagina allegata si legge: Sbarcato a Napoli il 3.9.1946 rimpatriato dalla prigionia in Siam (Tainlandia), già imbarcato sulla M/n SUMATRA”…
(notare la data: ….fu rimpatriato quando la guerra era finita da un anno e mezzo!)
Gli ultimi imbarchi del Comandante Ernani Antonio Andreatta, da come si evince dall’estratto matricolare, li ha effettuati sulle moderne motonavi della Compagnia di Navig. Lloyd Triestino di cui si conservano i modelli nel Museo Marinaro di Chiavari.
Il Comandante Ernani Antonio Andreatta con i gradi di 1° Ufficiale
In questa stupenda immagine scattata nel 1926 sul ponte di Comando di una nave passeggeri del Lloyd Sabaudo, si vedono due personaggi della nostra Riviera di Levante: in primo piano, davanti al timoniere, il 1° Ufficiale chiavarese ERNANI ANDREATTA (Sr), un Commissario di bordo ed il celebre ANTONIO LENA Comandante del CONTE DI SAVOIA. Infine a destra tre passeggeri della 1a classe.
Carlo GATTI
Rapallo, 6 febbraio 2019
IL COMPLEANNO DELLA LUNA
IL COMPLEANNO DELLA LUNA
Una festa così non si ripeterà mai più, almeno per qualche miliardo di anni. Ed io c'ero. Plenilunio di marzo, Oceano Atlantico, mare d'inchiostro e d'argento, cielo terso e teso come un fondale per la prima attrice: la Luna. Mai stata così sfavillante, con una corona di luce intorno, eppure nitida, con le sue macchie misteriose ed i suoi mari d’ombra.
La nave fendeva il mare nero in due baffi luccicanti, carica di luci, suoni e gente festante. Voi credete che qualcuno, su quella nave, alzasse il naso in aria e si accorgesse dello spettacolo naturale? No, no cari miei. Chi lavorava, chi danzava, chi dormiva, nemmeno un curioso intorno. Nel grande salone si festeggiavano i diciotto anni della figlia di un industriale americano e di una aristocratica francese. Tutti i passeggeri vi partecipavano: chi per invito, chi per curiosità mondana. I camerieri e gli orchestrali erano indaffaratissimi per non scontentare nessuno (cosa difficile quando si lavora con gente capricciosa).
La Luna guardava giù con una punta d'invidia: diamine, per diciotto anni di vita, una festa da favola! A lei, in miliardi di anni, nessuno aveva mai mandato un mazzo di fiori con la scusa che magari sarebbero seccati subito. D'un tratto si ricordò che sì, era anche il suo compleanno, perché, proprio il 15 marzo di quindici miliardi di anni fa, era nata lei. Allora incominciò ad agitarsi per attirare l'attenzione: concentrò due o tre raggi di luce verso il salone delle feste, che si rischiarò in modo straordinario, ma gli ospiti pensarono ad un gioco di riflettori ed applaudirono il comandante. La Luna s'imbronciò, chiamò dal Polo alcune nubi e le pregò di nascondere la sua luce. Mare e cielo si fecero tetri e foschi, la nave indifferente proseguì nel buio, anzi per un attimo sembrò più bella, con tutte le sue luminarie. Allora la Luna pregò le nuvole di lottare tra loro e produrre fulmini e saette, che si abbatterono sulla nave come riso sugli sposi. Un fulmine colpì il generatore di corrente e fece saltare l'impianto elettrico. Buio dentro e fuori. Un coro sommesso di sorpresa, qualche urlo, poi silenzio dentro e fuori. La nave era ferma sull'Oceano, la gente si guardava intorno e la Luna lassù, contenta di aver finalmente un po' di attenzione, cominciò a spogliarsi dei suoi veli e riapparve in tutta la sua bellezza. «Com'è bella!» «Com'è luminosa!» «Non mi stancherei mai di guardarla!» mormora qualcuno. Un bambino allungò il braccio. «Mamma, voglio la Luna» esclamò. «Non sei il primo» rispose la mamma, «ma è impossibile anche toccarla. Noi siamo qua e lei è là, non c'è strada tra noi e lei». Il bambino voleva la Luna, la Luna voleva una festa come si usa tra gli uomini.
Come fare? Quella notte la Luna era veramente la regina del cielo. Pregò le stelle così: «Stelle, amiche eterne delle mie notti, stelle voi siete tante. Non vi ho mai disturbato, non abbiamo mai litigato. Oggi è il mio compleanno, il centocinquantamiliardesimo compleanno, fatemi un regalo. Fate in modo che quella gente possa raggiunger mi per festeggiarmi!». Le stelle si intenerirono e tutte insieme si riunirono a formare una scala, che dalla Luna scendeva fin sulla nave. Non vi posso spiegare la luminosità e la magia di quella notte. Provate a chiudere gli occhi e richiamate alla mente il brillio di diamanti, zaffiri e rubini a migliaia. No, ancora non ci siamo. L'oro del mare a mezzogiorno, il silenzio della neve all'alba, il luccichio degli occhi di un bambino felice, risvegliano in me le emozioni di allora. Cominciammo tutti a salire, prima timorosi, poi sempre più veloci e sicuri verso la Luna.
La scala era lunghissima, ma per niente faticosa e in breve tempo fummo tutti lassù. Il bambino si divertiva un mondo a saltare e volteggiare come un palloncino pieno d'aria. La ragazza diciottenne offrì alla Luna i fiori che aveva tra i capelli e la Luna la ricambiò con polvere lunare da usare come cipria nelle occasioni importanti, perché dà una luminosità setosa alla pelle. Insomma fu uno scambio generale di auguri, doni reciproci, battimani, tappi di spumante che saltavano in tutte le direzioni; anzi, se vi capita di passare di là ce li trovate ancora, perché non siamo riusciti a raccoglierli tutti. Io suonai con il sassofono «Ma tu, pallida luna, perché...» e lei si commosse moltissimo e forse fece qualche magia al mio sassofono, perché ancora oggi ho un grande successo quando suono canzoni dedicate alla Luna. Nessuno le suona meglio di me.
L’alba ci sorprese festanti ed emozionati e ci costrinse ad un ultimo brindisi sulla scala di stelle, mentre tutti insieme cantavamo: «Buon compleanno Luna» e lei ci accarezzava con i sui raggi d’argento per ringraziarci.
Ada BOTTINI
Rapallo, 17 Ottobre 2016
"TITO CAMPANELLA": Un naufragio fantasma...
“M/n TITO CAMPANELLA”
UN NAUFRAGIO FANTASMA
14 gennaio 1984
La Bulk Carrier M/n TITO CAMPANELLA in navigazione
Armatore: AFRAMAR – Savona
Stazza lorda= 13.342 tonn.
Lunghezza ft.= 175,30 metri
Larghezza= 21 metri
Cantiere: Ansaldo S.A. Livorno
Varata:25-giugno-1961
Consegnata: gennaio 1962
Velocità: 13,50 nodi
Andata perduta in data 14 gennaio 1984 (Golfo di Biscaglia)
Ultima posizione: latitudine=45° Nord – longitudine= 8° Ovest in data 13 gennaio. Persero la vita l'intero equipaggio composto da 24 marittimi.
Oxelösund é una città della Svezia meridionale situata 92 km a SW di Stoccolma. La M/n TITO CAMPANELLA, al comando del C.L.C. Luigi Specchi di Viareggio, partì il 7 gennaio 1984 da questo porto con un carico di 20.000 tonnellate di laminati (steel plate) destinato ad Eleusis (Grecia), dove era attesa il 23 o 24 gennaio. La nave fece bunker a Flushing (Olanda) da dove ripartì il 12 gennaio. L’ultima comunicazione Nave-Roma Radio fu trasmessa il 14 gennaio: “navigazione regolare nel Golfo di Guascogna (Biscay). 100 miglia da Capo Villano” – (Estremità della penisola Iberica). La nave, da lì a pochi giorni, sarebbe entrata in Mediterraneo. Secondo i risultati dell’inchiesta parlamentare, che riportiamo in questo articolo, le condizioni avverse del mare incontrate nel Golfo di Biscaglia provocarono lo spostamento delle pesanti lamiere che avrebbero sfondato alcune paratie dello scafo nella stiva n.5. Da questa falla la nave avrebbe imbarcato tonnellate di mare in brevissimo tempo provocandone l’affondamento. La tragedia fu immediata e da bordo non ebbero neppure il tempo di attivare i soccorsi. A bordo c'erano 23 uomini e una donna, Alga Soligo Malfatti, 1° ufficiale di coperta e moglie del comandante.
«Sembra accertato», scrisse il 26 gennaio 1984 un’importata testata: «la Tito Campanella era fatiscente e non affidabile». Un giudizio che non deve stupire visto che un perito svedese, nel dicembre 1983, firmò un rapporto nel quale si diceva: «La nave presenta numerose deformazioni in tutte le stive, interessanti strutture trasversali e paratie». Inoltre, come sostenne la Commissione d'indagine, la stazione telegrafica di bordo era fatiscente, il personale a bordo insufficiente e i mezzi di salvataggio erano vecchi.
A distanza di 40 anni da quel tragico naufragio, siamo andati a visitare il porto di Oxelösund in Svezia. La giornata buia e piovosa ha reso ancora più triste il ricordo di quella lunga “bara” che trascinò con sé il suo equipaggio verso gli abissi.
Quei poveri marittimi furono abbandonati a se stessi, “prima, durante e dopo il naufragio”. Su quel famigerato epilogo, si lessero tante illazioni, supposizioni, intrecci di verità e menzogne che finirono per confondere le idee a tutti. Il caso si chiuse tra polemiche, inchieste di ogni tipo, ma senza una spiegazione attendibile. La verità sparì in Atlantico con il suo carico, forse “mal stivato”, e con il suo equipaggio incolpevole. La nave era obsoleta, ne veniva da un anno di disarmo e non era in ordine, né sotto il profilo meccanico, né per la robustezza dello scafo. Tuttavia, nessuno di quelli rimasti a terra pagò penalmente per quelle disattenzioni... sicuramente qualcuno pagò per farla partire!
“Chi é in mare naviga, chi é in terra giudica”
Si diceva un tempo. Purtroppo, chi muore non può difendersi e non può puntare il dito contro i veri responsabili, né raccontare il film di quella tragedia. Le Assicurazioni sistemarono le “cose terrene” e gli armatori girarono pagina... Al contrario, le mogli, i figli, i parenti e gli amici piangono da 40 anni quel dolore senza fine, soprattutto non dimenticano, e noi vecchi marinai con il sale nel sangue, siamo ancora e sempre con loro, con quello spirito di solidarietà che in terra si predica... ma che in mare si pratica sempre, allora come oggi.
Lo spirito di questo scritto é racchiuso in questo semplice collage di memorie, di ricordi, di articoli pubblicati, di foto raccolte qua e là affinché non si perda la memoria di un NAUFRAGIO ANNUNCIATO, di una “vergogna marinara” che non ha testimoni, ma solo silenziosi uomini di mare che ricordano con dolore quella triste perdita e intendono semplicemente tramandarlo alle nuove generazioni di marinai e alla grande Storia, per non dimenticare!
Vi mostriamo una serie d’immagini di Oxelösund e del suo porto. Un contesto di isolotti, pinete e canali che fanno da scudo a queste banchine fiancheggiate da dune di minerale che il vento solleva e sparge dovunque. Questi porti sono tutti uguali: isolati e squallidi!
Da una di queste banchine del porto di Oxelösund (Svezia), la nave mollò gli ormeggi per il suo ultimo viaggio. Superate le insidie del Mar Baltico e del Mare del Nord, fu inghiottita dalle onde del Golfo di Biscaglia. Nella tragedia persero la vita 24 persone dell'equipaggio.
Da questa Stazione uscì il Pilota che vide la nave ed il suo equipaggio per l’ultima volta.
Nelle pagine che seguono, riportiamo una raccolta di articoli che uscirono sulla stampa in quei drammatici giorni e delle ottime foto che furono scattate a bordo alcuni mesi prima della tragedia e che ho raccolto dal BLOG “pagine di mare”. Segue infine la Relazione del Senatore dott. Aldo Pastore alla Camera dei Deputati in merito all'affondamento. Tale intervento, a nostro giudizio, fu molto efficace, preciso e puntuale sotto ogni punto di vista: amministrativo, tecnico-marinaro e politico. Da quella relazione emerse un quadro d’insieme che a definire DISASTROSO sarebbe molto riduttivo.
Purtroppo, dopo quanto é successo a Genova, il 7 maggio 2013, con l’abbattimento della Torre di Controllo dei Piloti da parte di una nave sub standard, non siamo più sicuri che TRAGEDIE come quella della TITO CAMPANELLA abbiano insegnato qualcosa agli “imprenditori del mare”.
E’ giusto affermare che nel campo della SICUREZZA NAVALE si sono fatti passi giganteschi, ma é soprattutto consigliabile non abbassare mai la guardia: contro certi “virus” che si annidano nelle pieghe della peggior marineria del pianeta, non esiste alcun vaccino.
Intervento alla Camera dei Deputati del Senatore dott. Aldo Pastore
Signor Presidente, Signor Ministro, Onorevoli Colleghi,
credo sia doveroso, da parte nostra, tributare un sentito riconoscimento ai componenti della Commissione d'Indagine Amministrativa per il lavoro svolto; si trattava di una inchiesta complessa e difficile, si dovevano valutare, con serena obiettività, tutta una serie di fatti e di circostanze in partenza difficilmente spiegabili o interpretabili; ebbene ritengo che la Commissione abbia svolto questo compito con serietà, diligenza e competenza.
Certo: esistono, nella documentazione presentata, ancora delle lacune, dei nodi non sciolti, dei problemi rimasti insoluti e non si tratta, signor Ministro, di problemi di scarsa importanza; tuttavia la Commissione è riuscita a giungere a conclusioni che mi paiono verosimili e pertanto largamente condivisibili.
Quali sono queste conclusioni?
La Commissione ritiene non esservi più alcun dubbio sulla scomparsa per naufragio della nave.
Aggiunge che il naufragio stesso è stato repentino ed imprevisto.
Inoltre la Commissione ritiene che la causa più probabile del Sinistro sia rappresentata da uno spostamento del carico, dovuto ai violenti e bruschi movimenti della nave soggetta ad un mare assai tempestoso.
In particolare (conclude la Commissione) è verosimile che lo spostamento sia avvenuto nella stiva numero cinque, in relazione al tipo di caricazione e rizzaggio eseguiti in tale settore; lo spostamento avrebbe provocato una falla sul fasciame esterno, determinando l'ingresso dell'acqua con il riempimento della stiva suddetta fino al piano di galleggiamento relativo.
La "Tito Campanella" affondò quindi parallelamente al proprio assetto, senza quindi che il personale sul ponte potesse tempestivamente rendersi conto di quanto stava accadendo.
Queste dunque le sintetiche conclusioni della Commissione di Indagine Amministrativa; ma, stando così le cose, noi tutti, signor Ministro, dobbiamo chiederci quali sono state le cause più antiche che hanno condotto al determinarsi di questo tragico evento.
E queste cause più remote noi le troviamo scritte qua e là nel contesto della relazione della Commissione; vogliamo aggiungere, in tal senso, che il lavoro della Commissione non ha fatto altro che confermare (totalmente o parzialmente) le certezze, le intuizioni o più semplicemente i sospetti che il nostro gruppo parlamentare aveva puntualmente denunciato nell'interrogazione presentata alla Camera in data 24 gennaio 1984.
Quali sono queste cause più antiche?
1) La vetustà della nave: si trattava di una nave costruita nell'anno 1962, ridotta (come da noi denunciato nella interrogazione) ad un "ammasso di ferro", rassomigliante ad "un relitto appena tirato su dal fondo".
Queste nostre affermazioni hanno trovato puntuale conferma nel rapporto redatto dal perito svedese Eric Baldall in data 26-27 dicembre 1983; in tale rapporto si legge, infatti, che "la nave presentava numerose deformazioni ed indentature in tutte le stive, interessanti strutture trasversali, paratie, cielo del doppio fondo ed anche la coperta; nessuna delle stive risultava asciutta: in particolare le stive 1, 3 e 6 contenevano da 7 a 70 centimetri di acqua; anche il ponte della nave è stato trovato rugginoso.
2) La stazione radio-telegrafica era fatiscente (come da noi puntualmente evidenziato); a tal proposito è vero che la Commissione ha affermato che "un giudizio esauriente sulla funzionalità delle apparecchiature radio-telegrafiche potrà essere dato solo quando sarà completata la raccolta di tutte le informazioni ancora mancanti", ma vi sono, nel contesto della relazione e della documentazione allegata, indizi certi che la stazione non era idonea allo scopo; basti accennare al contenuto del giornale radiotelegrafico del mese di dicembre 1983 (pagine 8 e 9 della relazione della Commissione di Indagine), regolarmente firmate dal Marconista e vistate dal Comandante della nave, o alle dichiarazioni dell'ex Marconista Nappi Raffaele (pagina 45 della relazione).
3) I mezzi di salvataggio a bordo erano sicuramente vetusti; di questo problema si parla soltanto incidentalmente nella relazione della Commissione; ma che la situazione al riguardo fosse disastrosa lo si deduce dalla descrizione fatta a pagina 5 di tali mezzi di salvataggio.
Essi erano rappresentati da:
n. 2 imbarcazioni da 40 posti ciascuna, una delle quali munite di motore;
n. 1 zattera da 20 posti sistemata a poppa;
n. 1 zattera autogonfiabile da 6 posti;
n. 40 giubbotti di salvataggio.
Orbene, l'età di questi mezzi di salvataggio coincideva con l'età della nave e non si sa se essi siano mai stati usati e se su di essi veniva eseguita una regolare e periodica opera di manutenzione.
L'unica eccezione è costituita dalla zattera di salvataggio autogonfiabile, che è stata sostituita nel corso dei lavori di riparazione e di manutenzione della nave, avvenuti dal 30 agosto al 17 settembre 1983.
4) Il carico delle lamiere è risultato eccedente, sproporzionato alle caratteristiche statiche della Tito Campanella e per di più sistemato in maniera assolutamente scorretta nelle stive della nave.
Questa affermazione (che peraltro era già presente nel testo della nostra interrogazione) ha trovato esatta conferma nei documenti acquisiti dalla Commissione ed in particolare risulta evidente nelle pagine 27-28 e 29 della relazione.
5) La composizione dell'equipaggio (così come risulta dalla tabella esibita dall'armatore) era insufficiente perchè non comprendeva né il terzo ufficiale di coperta, né il terzo ufficiale di macchina, espressamente previsti dalla Tabella di armamento, approvata nella riunione tenutasi il 23.10.1983 presso la Capitaneria di Porto di Savona tra l'armatore ed i rappresentanti sindacali.
Queste sono dunque, a nostro giudizio, le cause più antiche che hanno condotto al tragico evento.
Ma, signor Ministro, la Commissione d'Indagine Amministrativa ha dato altresì conferma alle nostre certezze ed ai nostri sospetti anche per quanto concerne i soccorsi prestati (o meglio non prestati) ed i ritardi con i quali si sono iniziate le ricerche del la nave scomparsa.
Dalla documentazione agli atti e dalla stessa relazione della Commissione si evince infatti che:
1) nessuna notizia sul mercantile è pervenuta in Italia dal 14 gennaio al 19 gennaio senza che alcuno, ai diversi livelli di responsabilità, si preoccupasse della totale assenza di notizie sul mercantile;
2) i mezzi di soccorso italiani hanno partecipato alle operazioni di ricerca in grave ritardo; questi delicati compiti sono stati, in effetti, delegati ai mezzi di soccorso spagnoli, portoghesi e francesi.
Dalla documentazione allegata alla relazione si ricava infatti che:
a) gli spagnoli hanno iniziato le ricerche della Tito Campanella al mattino del sabato 21.1.1984 (pag. 14) mediante aerei e successivamente hanno attivato alla ricerca anche la marina (pag. 20);
b) i portoghesi hanno partecipato alle ricerche mediante velivoli, inviati in data 23.1.1984 (pag. 21);
c) i francesi, dalla stessa data, hanno esplorato la zona nord della punta Estaca de Vares (pag. 51);
d) gli italiani hanno iniziato le ricerche soltanto all'alba del giorno 26 gennaio (pag. 13) mediante due aerei e due elicotteri, in grave ritardo quindi rispetto agli altri e soltanto dopo la visita a Madrid del ministro Carta (visita avvenuta il 24.1.1984).
Sorge, quindi, a questo punto, il problema delle responsabilità, pubbliche e private.
Certo: tali responsabilità saranno precisate dagli ulteriori accertamenti che verranno effettuati dalla Commissione d'inchiesta formale, prevista dall'art. 580 del Codice della Navigazione; è ovvio, d'altra parte, che ci troviamo di fronte a responsabilità di tipo diverso, alcune aventi rilevanza penale (e come tali di competenza della Magistratura ordinaria), altre aventi significato più propriamente politico.
Ma non saremmo sinceri e leali con noi stessi e con la società civile che qui rappresentiamo se, già sin d'ora, noi non esprimessimo il nostro pensiero su tali responsabilità, ben sapendo di pronunciare parole dure ed impietose verso tutti coloro che, in qualche modo, consideriamo coinvolti in questa dolorosa vicenda.
Ed allora dobbiamo dire, senza mezzi termini, che a nostro giudizio, portano grandi responsabilità:
1) La società armatrice:
- per aver consentito ad una nave di tal fatta di compiere viaggi di navigazione internazionali di lungo percorso;
- per aver posto in mare la Tito Campanella dal maggio all'agosto 1983 (dopo undici mesi di disarmo), senza far effettuare alcun lavoro di manutenzione (vedi pagina 24); per essersi disinteressata del destino della nave dal 14 gennaio al 19 gennaio, ben conoscendo le caratteristiche statiche del mercantile, ben conoscendo la difficile rotta seguita dalla nave e ben conoscendo, infine, quale tipo di bufera si era, in quei giorni scatenata sui mari percorsi dalla Tito Campanella;
- per avere provveduto a dotare la nave di un organico di personale insufficiente quantitativamente e qualitativamente.
2) Le autorità ed i tecnici preposti alla caricazione della nave (nel porto svedese di Oxelösund)
- per aver autorizzato ed effettuato un carico sproporzionato rispetto alle effettive possibilità della nave e, per di più, utilizzando un sistema di rizzaggio tecnicamente inidoneo.
3) Il RINA (Registro Navale Italiano).
- per aver dichiarato che la nave era in regola (con tutte le prescritte documentazioni) allorquando riprese i viaggi, partendo da Genova in data 17.9.1983, dopo aver effettuato i lavori di riparazione effettuati dalla ditta Mariotti, lavori che furono controllati dal RINA tramite i suoi Ispettori.
- Qualcuno, in particolare, deve venirci a spiegare la contraddizione esistente tra le dichiarazioni del RINA del settembre 1983 ed il rapporto del perito svedese Eric Baldall del dicembre 1983; confrontando le due documentazioni sembra addirittura di trovarci di fronte a due navi diverse, l'una quasi nuova, l'altra ridotta ad un ammasso di rottame; in buona sostanza qualcuno deve dirci come sia possibile che una nave possa aver subito un tale rapido deterioramento delle sue condizioni statiche e funzionali in soli tre mesi; sorge veramente il fondato sospetto che la certificazione del RINA sia stata in effetti una documentazione "di comodo" ad uso e consumo esclusivo dell'armatore.
4) Il Governo italiano
In questa vicenda le responsabilità politiche del Governo possono ricondursi a due distinti tipi di omissione:
a) la prima (contingente e legata direttamente alle vicende della Tito Campanella) è costituita dal fatto che il nostro Governo ha provveduto ad organizzare e ad inviare i mezzi di soccorso con grave ritardo e senza un organico piano di intervento;
b) la seconda (di carattere più generale e che trascende l'episodio contingente e coinvolge responsabilità governative ben più ampie e complesse in tema di sicurezza del lavoro in mare) è costituita dal cronico e colpevole ritardo con il quale il Governo onora i trattati e le convenzioni internazionali sulla materia; desidero ricordare, a tal proposito, che dopo il naufragio della "AMOCO CADIZ" il Parlamento europeo ha predisposto una direttiva (trasformata dal Consiglio dei Ministri della Comunità in raccomandazione) contenente disposizioni precise in tema di standards minimi di navigabilità e contemplante, tra l'altro, ispezioni di bordo e l'immobilizzo delle navi in condizioni di substandard, prive cioè delle"condizioni minime"; ebbene il nostro Governo ha sempre e costantemente disatteso tale raccomandazione.
Analoghe considerazioni possono farsi relativamente alla Convenzione Internazionale SAR '79 relativa ai problemi della ricerca e del soccorso marittimo ed al Regolamento Internazionale delle radio-comunicazioni (emanato a Ginevra dall'Unione Internazionale delle Telecomunicazioni), destinato a facilitare la ricerca della posizione di relitti e di naufraghi nel corso di operazioni di ricerca e salvataggio.
Emergono dunque dalla relazione della Commissione, dalla documentazione allegata ed, in ultimo, dalle "conclusioni e proposte di carattere generale (pag. 63 e seguenti) 1.1 delle gravi e precise responsabilità politiche del Governo; e la conferma di questa assenza del Governo sul tema della sicurezza del lavoro in mare deriva altresì dal fatto che durante l'attuale legislatura il Governo, su questo argomento, è riuscito a varare soltanto il Disegno di Legge n. 1230, Disegno di Legge che, per la sua inconsistenza e per la sua fumosità, è stato addirittura dichiarato improponibile dalla Commissione affari costituzionali di questa Camera.
Concludo, signor Presidente, e voglio terminare questo mio intervento con un auspicio (auspicio che, peraltro, è implicitamente racchiuso anche nei suggerimenti formulati dalla Commissione d'Indagine Amministrativa); voglio cioè augurarmi che tragedie come quella della Tito Campanella e di molte altre navi che l'hanno preceduta non abbiano più a ripetersi in futuro; il progresso scientifico e tecnologico consentono oggi di ridurre, in misura significativa, il rischio del lavoro in mare; è compito del Governo, è compito del Parlamento far sì che la nostra legislazione nel settore vada al passo con i tempi ed anticipi, in qualche caso, le innovazioni tecnologiche più significative, tenendo presente che, costantemente, la vita e la dignità dell'uomo debbono prevalere sempre sulla logica mercantile del profitto.
CONCLUSIONE:
Le accuse lanciate dal sen. Pastore sono come un proiettore sul luogo del delitto, hanno il grande pregio di fare chiarezza su tanti punti oscuri e sono ancora oggi molto valide e più che giustificate.
Tuttavia, sullo sfondo della tragedia rimangono ancora alcuni interrogativi: com’é possibile, in tempo di pace, che una nave di grandi dimensioni come la “TITO CAMPANELLA” svanisca nel nulla senza lasciare tracce nell’etere (S.O.S-Chiamate di Soccorso), sul mare (lance di salvataggio-zattere) o residui sulla costa? La rotta obbligata che congiunge La Manica a Gibilterra é sempre affollata di navi, com’é possibile che nessuno si accorse della sua sparizione? Probabilmente le condizioni meteo marine erano pessime, ma non proibitive. Non si verificarono (grazie a Dio) altri naufragi in quella terribile zona di mare e non ci furono danni alle città costiere.
I motivi del naufragio vanno ricercati altrove. Per fortuna la Storia non ha premura...
Carlo GATTI
Rapallo, 20 ottobre 2014
FUTURO -1-
FUTURO - 1 –
Riposerò su strati di nuvole
navigherò tra onde di vento
sempre più libera, leggera e pura
verso l’Amore e la Sapienza
e finalmente anch’io conoscerò
l’Essenza della vita.
di Ada BOTTINI
dipinto di Marco Locci
Rapallo, 1 Agosto 2019
INQUINAMENTO NAVALE Inquinamento Navale: Naturale, Volontario e Accidentale
INQUINAMENTO NAVALE
Inquinamento Navale: Naturale, Volontario e Accidentale
L’inquinamento Navale è un argomento di attualità … da molti anni.
E’ un problema che ciclicamente torna in auge e spesso ci sbatte in faccia i nostri fallimenti, insieme agli sforzi insufficienti che attuiamo per risolverli.
Dal più piccolo natante alla più grande nave passeggeri, passando per l’interminabile schiera di cargo commerciali e cisterne di ogni tipo, le navi tessono reti di scie inquinanti in mare, che si aggiungono a quelle create nei decenni da auto, camion e treni sulla terraferma; aerei, droni, razzi e satelliti in aria nella troposfera e più su nella stratosfera. *
*Ricordiamo che la TROPOSFERA è la fascia sferoidale aeriforme dell’atmosfera che si trova a diretto contatto con la superficie terrestre, di spessore variabile a seconda della latitudine: ai poli è spessa solamente 8 km mentre raggiunge i 16-20 km all’equatore. In altre parole, è la fascia di atmosfera dove si hanno i fenomeni meteorologici.
La STRATOSFERA comincia intorno ai 12 km (8 km ai poli e 20 km all’equatore) e termina a un’altitudine di circa 50 km, dove la temperatura raggiunge un massimo di -3 gradi Celsius.
Questi fenomeni di inquinamento sono in crescita esponenziale, in quanto seguono l’andamento demografico e lo sviluppo generale.
Già dal 1967 l’ONU interviene sulla problematica inerente i Diritti e le responsabilità degli Stati sull’utilizzo dei mari e degli oceani.
Il suo impegno ha dato corpo alla UNCLOS (United Nations Convention on the Law Of the Sea), conosciuta anche come “Convenzione di Montego Bay”, la quale indica le linee guida sulle quali misurare le acque interne e quelle Internazionali, stabilendo quest’ultime: proprietà di tutti. La Convenzione stabilisce inoltre le regole sull’utilizzo dei mari e precisamente: la loro giurisdizione, lo sfruttamento delle risorse, le estrazioni di ogni genere, le ricerche scientifiche, nonché il tema oggi molto sentito della protezione dell’ambiente.
(Vale la pena ricordare che prima della UNCLOS vigeva la regola dello “sparo del cannone”, secondo la quale gli Stati vantavano diritti nazionali per tre miglia nautiche dalla linea di costa, ovvero la gittata dei cannoni oltre la quale la difesa con le armi non era più possibile. Oltrepassato quel limite le acque divenivano Internazionali, ma secondo il principio di libero accesso e proprietà di nessuno).
Oggi l’ONU denuncia che un quarto delle morti premature e delle malattie in tutto il mondo è legato all’inquinamento e ai danni all’ambiente causati dall’uomo; viene inoltre dimostrato che una grande quota di responsabilità grava sull’inquinamento navale.
Già nel 2012 la WHO (World Healt Organization) aveva classificato cancerogeni i gas emessi dai motori Diesel, paragonandoli all’amianto nella scala di pericolosità.
Le navi possono inquinare in tre diversi modi: per via naturale, volontaria o accidentale.
Ovviamente è tutto molto complicato da regolamentare, per alcuni aspetti la tecnologia ci aiuta a migliorare, per altri invece, il numero di navi sempre in crescita e con nuove soluzioni tecnologiche spesso ci obbliga a lunghe ed anche vane rincorse.
Per sua natura una nave inquina con le seguenti “pollutions”:
1 - Emissioni di anidride carbonica, azoto e zolfo dei motori Diesel – Che aumentano il particolato nell’aria accrescendo l’effetto serra e il riscaldamento globale i quali, a cascata, determinano fenomeni meteorologici disastrosi tra cui siccità, inondazioni e tempeste violente, contribuendo all’innalzamento del livello delle acque marine per effetto dello scioglimento dei ghiacci. Il particolato che sappiamo cancerogeno, è causa di disturbi respiratori e neurotossici e, nelle sue forme più fini, può anche portare a mutazioni del DNA.
2 - Carico e scarico delle acque di zavorra – che determinano cambiamenti dell’ecosistema, altrimenti impossibili, trasportando organismi animali vegetali, batteri e virus alieni in luoghi dove, spesso, si sostituiscono a specie autoctone.
3 - Emissioni acustiche – in porto attraverso i grossi generatori di corrente necessari al mantenimento dei servizi di bordo, ma soprattutto in navigazione dove, per via della facilità di trasmissione del suono attraverso i liquidi, disturbano e danneggiano la vita di molte specie marine che usano i suoni per orientarsi o cacciare.
4- Versamenti di liquami – ovvero quei liquidi derivati dagli scarichi di lavanderie, docce, bagni e tutto ciò che è legato alla pulizia degli ambienti navali. Quando le acque reflue non vengono adeguatamente trattate, possono contenere oli, grassi, idrocarburi, metalli e plastiche o anche batteri e virus, che vanno a contaminare pesci e crostacei che entrano nella nostra stessa catena alimentare.
Le navi con i loro equipaggi, possono inquinare anche “volontariamente”.
Casi di inquinamento volontario perseguibili legalmente ce ne sono stati molti nella storia navale del dopoguerra. Si spera ne avvengano sempre meno in quanto gli sforzi per contrastarli sono stati molto implementati.
. Possiamo raggrupparli in questo modo:
1. – Inquinamento da rifiuti solidi – Biodegradabili o meno. Carta, plastica e metallo. Spesso le grandi navi utilizzano la raccolta differenziata che poi viene smaltita nei centri a terra e molte navi sono dotate di inceneritori. Ma è spesso accaduto che parte di questi rifiuti siano stati versati in mare, inquinando in primis, ma creando, spesso, anche grandi ostacoli per la sicurezza della navigazione. Fortunatamente, la prevenzione e i controlli sempre più serrati e tecnologici della Guardia Costiera degli Stati più efficienti, producono da anni ottimi risultati per arginare questo problema. Il FLIR di cui parliamo in questo articolo è solo uno degli strumenti di ultima generazione a supporto della sorveglianza attiva.
2. – Inquinamento da olii di sentina – Problema parzialmente risolto dall’installazione di separatori, che permettono di trattare le acque di sentina, recuperare gli idrocarburi e scaricare a mare le acque una volta ottenuta la percentuale minima richiesta dalla legge di 15 ppm.
3. – Inquinamento da lavaggio cisterne del carico petrolifero. – La cui pratica illegale risulta molto difficile da rilevare e da perseguire penalmente.
Infine annotiamo il grande problema legato all’inquinamento accidentale, dovuto quindi a incidenti di varia natura che frequentemente accadono in mare.
Le navi possono collidere, incagliare, incendiarsi e poi affondare:
Tali eventi passano di solito alla storia sia per le perdite umane sia per i danni subiti a tutti i livelli dalle chilometriche coste inquinate … di intere nazioni.
Tralasciando il tema delle piattaforme petrolifere, che vantano un triste primato nei disastri ambientali in termini di proporzioni, in cima alla lista delle navi più pericolose troviamo il settore delle petroliere, le quali, per la natura del loro carico sono un vero e proprio pericolo per l’ambiente. A questo proposito ricordiamo che il greggio uccide in due fasi. Nella prima creando una pellicola impermeabile all’ossigeno che stermina la fauna in superficie e il plancton sottostante. Nella seconda, quando la componente leggera evapora e quella pesante precipita verso il fondale, uccide tutti gli organismi che vi hanno dimora. Sono necessari moltissimi anni per bonificare un tale inquinamento e i dati ci dicono che sono milioni le tonnellate di greggio che vengono versate in mare, in vario modo … ogni anno.
Ma da questi eventi tragici possono derivare anche inquinamenti di natura chimica o radioattiva.
Quali le difese?
L’IMO è l’agenzia dell’ONU specializzata in campo marittimo, che si impegna, tra le altre cose, per prevenire, monitorare, controllare e ridurre l’inquinamento marino e atmosferico.
La Convenzione MARPOL già dal 1973 e poi coi suoi emendamenti, ci offre una guida utile alla salvaguardia dell’ambiente dall’inquinamento navale. Doppio scafo, zavorra segregata, Crude Oil Washing, gas inerte, casse di raccolta e sedimentazione, addestramento del personale, raccolta differenziata dei rifiuti, inceneritori, separatori, panne costiere e d’altura o assorbenti, macchine scrematrici, norme per la prevenzione, regolamenti e divieti sono soluzioni note e sempre attuali.
Ma tante altre convenzione sono dovute all’IMO, tra le ultime: International Convention for the Control and Management of Ships’ Ballast Water and Sediments, del 2004 e The Hong Kong International Convention for the Safe and Environmentally Sound Recycling of Ships, del 2009.
Lo stesso Parlamento Europeo ha emanato negli anni disposizioni e norme per gli Stati membri, volte a intensificare i controlli di PSC (Port State Control) e quelli di monitoraggio da parte della autorità costiere anche attraverso l’obbligatorietà del sistema AIS.
L’EMSA (European Maritime Safety Agency) nata nel 2002, fornisce consulenza tecnica e assistenza operativa per migliorare la protezione dei mari, la preparazione e l’intervento in caso di inquinamento e la sicurezza marittima. Nel 2007 ha creato il CleanSeaNet, un sistema di sorveglianza satellitare per l’individuazione di chiazze di idrocarburi fornendo supporto alle autorità locali per identificare e perseguire i responsabili dell’inquinamento volontario al largo delle coste.
Le iniziative si moltiplicano di anno in anno e molti cercano di fare la propria parte.
Nel 2013 sono diventate obbligatorie certificazioni di conformità a nuovi standard di efficienza energetica. Sono in atto in diversi porti mondiali incentivi per le navi più ecologiche. Tasse portuali ridotte o attracchi prioritari a navi eco-friendly. La prima pilotina ibrida sarà presto sperimentata dai Piloti del Tamigi, una pilotina che potrà garantire 6 ore di autonomia elettrica a 10 nodi e potrà essere ricaricata quando supererà tale velocità usando i motori Diesel per 2 ore, potendo così operare al 90% in modalità ecologica.
Molte compagnie stanno investendo sull’elettrificazione delle future unità navali. E’ notizia recente, per esempio, che la società Grimaldi ha ordinato 6 nuove ro/ro ibride Diesel-elettrico che risolverebbero, almeno durante le soste in porto, l’emissione di inquinanti, utilizzando batterie al litio ricaricate in navigazione da motori tradizionali, meno inquinanti degli attuali. Sullo stesso fronte si stanno muovendo tutte le più grandi compagnie di navigazione. Abbiamo parlato di navi elettriche a controllo remoto anche in questo articolo: link.
Oggigiorno l’opinione pubblica mondiale è molto sensibile a questi temi, anche perchè le previsioni pessimistiche e talvolta catastrofiche di qualche decennio fa, si stanno puntualmente avverando.
Gli sforzi si moltiplicano, ma le soluzioni sembrano sempre troppo distanti.
La nuova convenzione sul clima e sull’inquinamento atmosferico, che avrà luogo nel 2020, fissa già nuove frontiere, per allora alcune emissioni inquinanti dovranno essere drasticamente ridotte e gli attori sono già in movimento.
Non sono sfide facili, ma è assolutamente necessario lottare contro l’inquinamento a tutti i livelli. Terra, aria e mare; industrie e privati.
Perché come diceva il grande principe De Curtis in arte Totò: “.. è la somma che fa il totale!”
Comandante Maurizio GARIPOLI
Rapallo, 25 Giugno 2019
PITTORI DI MARINA-WILLEM VAN DE VELDE IL VECCHIO E IL GIOVANE
PITTORI DI MARINA
Eco del Golfo Tigullio
LA QUADRERIA DEL MARE
WILLEM VAN DE VELDE IL VECCHIO
E
WILLEM VAN DE VELDE IL GIOVANE
Dall’Olanda alla corte di Sua Maestà: i Willem van de Velde
Willem van de Velde padre (noto anche come “il vecchio” 1611-1693) e figlio (noto come “il giovane”, 1633-1707) sono senza ombra di dubbio i pittori di marina seicenteschi più completi e preparati.
Dopo la ben più numerosa “dinastia” marsigliese dei Roux, descritta in questa rubrica su “Il mare” dello scorso febbraio, ci avviciniamo oggi a un altro gruppo famigliare, numericamente più ristretto ma di grande importanza per la storia della pittura in generale e per quella di marina in particolare: i pittori olandesi (omonimi) Willem van de Velde padre e figlio che - nel contesto culturale e storico del XVII secolo - rivestono un’importanza fondamentale che trascende dai già eccellenti aspetti qualitativi della loro attività artistica.
Nativi di Leiden (Leida) in Olanda, Willem van de Velde padre (noto anche come “il vecchio”, 1611-1693) e figlio (noto anche come “il giovane”, 1633-1707) sono senza ombra di dubbio i pittori di marina seicenteschi più completi e preparati e tali da aver saputo “traghettare” questo specifico genere dalle ridondanze barocche verso un più moderno neoclassicismo, che raggiungerà la sua più completa maturità nella pittura di marina britannica del successivo secolo XVIII.
Willem van de Velde padre nacque in una famiglia di comandanti dello shipping mercantile olandese e, anzi, talune biografie riportano che in giovinezza praticò questa professione prima di dedicarsi alla pittura di marina come apprendista nello studio di Simon De Vlieger (1601-1653), artista di quel genere piuttosto rinomato all’epoca, soprattutto a Rotterdam. Analoga fu la scelta artistica del figlio che, anzi, dette avvio ad una fattiva collaborazione con l’Ammiragliato delle “Province Unite” divenendo, al pari del padre, pittore ufficiale della Flotta olandese.
Da sinistra: Willem van de Velde il vecchio (incisione di G. Sibelius, ca. 1689) e Willem van de Velde il giovane (olio su tela di Lodewijk van der Helst, ca, 1665-1670, Rijksmuseum, Amsterdam).
L’attività dei van de Velde si svolse quindi, in particolare ad Amsterdam, in abbinamento con quella della Marina dei Paesi Bassi all’epoca delle guerre anglo-olandesi: tre conflitti che - tra il 1652 e il 1674 - ebbero come protagoniste le sette “Provincie Unite” e la Gran Bretagna per motivi di preminenza marittima e commerciale sulle rotte dell’Europa settentrionale e dell’Oceano Atlantico. Nella fattispecie, Willem van de Velde padre fu presente alla “Battaglia dei quattro giorni” (giugno 1666) e alla “Battaglia di San Giacomo (o “dei due giorni”) del luglio successivo, scontri navali che videro contrapposte le flotte olandese e britannica con la prima vincitrice ai “quattro giorni” e la seconda ai “due giorni”. Ad entrambi gli scontri il pittore partecipò a bordo di una piccola unità a remi, prendendo appunti e realizzando schizzi che avrebbe poi utilizzato per la realizzazione di successive opere pittoriche.
Willem van de Velde il vecchio: “Studio del due ponti olandese De Zeven Provincien” (disegno a matita e inchiostro grigio, ca, 1665-1668, National Maritime Museum, Greenwich via Sotheby’s).
Nel 1672, con un repentino “cambio di campo” in parte dovuto anche al rischio di un attacco francese ai Paesi Bassi, subito dopo lo scoppio della terza guerra anglo-olandese i van de Velde trasferirono la propria attività in… Gran Bretagna, passando al servizio della corte inglese - anche in questo caso come pittori ufficiali di marina - al fine di celebrare, per l’innanzi, le glorie e le vittorie della Royal Navy. Gli attuali canoni etici potrebbero far considerare una mossa del genere un vero e proprio tradimento ma così non era nell’Europa dei secoli XVI e XVII, quando il concetto di “guerra totale” era ben lungi dall’essere acquisito e tra Stati belligeranti rimanevano sempre in essere rapporti artistici, culturali (e talvolta anche politici) che non interrompevano taluni interscambi economici e passaggi di personalità, anche di rilievo, da un Paese all’altro a discapito della nazionalità.
Willem van de Velde il vecchio: “Consiglio di guerra a bordo del De Zeven Provincien, 10 giugno 1666” (olio e inchiostro su tela, 1667, Rijksmuseum, Amsterdam). Da un’osservazione diretta dell’artista nell’imminenza della “Battaglia dei quattro giorni”, vinta dalla flotta olandese su quella britannica.
Willem van de Velde il vecchio: “La flotta olandese in navigazione”, opera probabilmente riferita alla spedizione navale olandese del 1667 verso la Medway e Sheerness. Alcuni lavori dei van de Welde sono esposti anche in musei italiani. Questo inchiostro su pergamena fu acquistato nel 1674 dal cardinale Leopoldo dei Medici e fa oggi parte delle collezioni di palazzo Pitti a Firenze.
Willem van de Velde il giovane: “Resa del tre ponti britannico Prince Royal alla Battaglia dei quattro giorni” (olio su tela, da un disegno a inchiostro su carta di Willem van de Velde il vecchio, ca. 1666-1667, Rijksmuseum, Amsterdam). Si noti, sulla destra, il Prince Royal con le vele “a collo” mentre alcune lance olandesi si avvicinano al suo lato sinistro. Le bandiere bianche dell’unità britannica non sono un’indicazione di resa, ma attestano l’appartenenza della nave al “White Squadron” della Royal Navy, all’epoca divisa in tre gruppi operativi (White, Red e Blue Squadron), contraddistinti per l’appunto da bandiere bianche, rosse e blu.
Willem van de Velde il giovane: “Uno yacht del Servizio di Stato olandese , con navi e chiatte mercantili in calma di vento” (olio su tela, ca. 1660, New York, Newhouse Galleries sino al 1991, ora collezione privata).
Willem van de Velde il giovane: “Il due ponti britannico HMS St. Andrew in navigazione” (olio su tela, 1673, National Maritime Museum, Greenwich). Dopo il passaggio al servizio della Corte inglese i van de Velde si dedicarono alla raffigurazione di unità della Royal Navy: il St. Andrew faceva parte, come indicato dalle bandiere a riva, del “Blue Squadron” della Marina britannica.
In alto - Willem van de Velde il giovane: “Navi olandesi in calma di vento” (olio su tela, 1665, Rijksmuseum, Amsterdam). In basso - Willem van de Velde il giovane: “L’HMS Royal Sovereign spara una cannonata di saluto in calma di vento”, 1701, Weston Park, collezione privata). Cambiano i tempi, i committenti e le Marine di riferimento ma lo stile resta il medesimo… Si notino i colori più vivi del quadro del 1701, indici di un rinnovato stile che influenzerà tutta la pittura di marina settecentesca in Gran Bretagna; il Royal Sovereign e lo “Yacht” in primo piano a sinistra hanno inferita sull’asta di poppa la bandiera del “Red Squadron” della Royal Navy.
I van de Velde furono attivissimi alla corte di Carlo II sino al 1688, quando la “Glorious Revolution” portò sul trono britannico Guglielmo III di Orange che - verosimilmente anche per le sue origini olandesi e senz’altro meno interessato all’arte e alla pittura di marina - privò i due pittori di alcuni privilegi. Cionondimeno, l’attività di Willem van de Velde padre e figlio proseguì senza particolari contraccolpi grazie alle loro eccellenti doti artistiche, sempre più apprezzate dalla committenza pubblica e da quella privata.
Mentre Willem padre si specializzò in grandi “cartoni” disegnati a penna con inchiostro scuro, Willem figlio sviluppò un vero e proprio talento nella realizzazione di olii su tela che, in parte, erano ispirati a precedenti disegni a penna del padre. Le opere di entrambi i pittori, al di là della loro indubbia valenza artistica, permettono di apprezzare nel dettaglio ogni aspetto delle navi dell’epoca, e consentono agli storici navali di acquisire preziose informazioni sull’allestimento, sulle manovre, sulla velatura, sull’armamento e su ogni altro dettaglio delle unità navali seicentesche che, a tutti gli effetti, possono essere considerate le antesignane dei celebri vascelli a due e a tre ponti del Settecento, l’”epoca d’oro” della marina velica sino all’era napoleonica.
Non stupisce quindi che, grazie al trasferimento a Londra dei Van de Velde (e del loro ricchissimo archivio di disegni, appunti e quadri) il maggior depositario di loro opere - più di ottocento! - sia il National Maritime Museum di Greenwich, anche se non pochi cartoni e quadri sono oggi conservati anche al Rijksmuseum di Amsterdam.
Maurizio BRESCIA
Direttore del mensile
Rivista fondata nel 1993 da Erminio Bagnasco
Rapallo, 23 Gennaio 2019
UNA SERATA SUL RIMORCHIATORE "STORICO" PLÖN
UNA SERATA SUL RIMORCHIATORE STORICO
PLÖN
PLÖN - Burrasca di prora
Il Rimorchiatore PLÖN ormeggiato al Muggiano di punta, poppa a terra. La barca da pesca di Renato é affiancata al rimorchiatore.
Renato Rozzi, Comandante (Cap.l.c.) vecchia conoscenza dei tempi dell'armatore Lolli Ghetti, dopo un po’ di anni di silenzio, ha convocato un gruppo di vecchi Amici per aggiornarli sulla sua “vita di bordo” a tutto campo!
Questo omone dal carattere mite e “nostalgico” per tante cose del passato, pur parlando poco, com’é nel suo carattere, è riuscito ad emozionarci con non poche sorprese.
La prima riguarda la sua famigliola: La dolcissima moglie Zoila, di Santo Domingo e due bellissimi ragazzi, Caterina e Mario. Insieme hanno accettato di vivere stabilmente a bordo del rimorchiatore tedesco PLÖN per condividere le stesse passioni per il MARE e per il lavoro sul mare.
Renato, tra le comodità che offre oggi la società e quelle che può offrire un rimorchiatore di 76 anni ci passa un bel mare di cose… Rifaresti questa tua scelta?
Motore IVECO da 650 CV.
- La vita é quella che ti scegli! Dagli altri… tu sai a chi mi riferisco, non mi aspetto nulla. Quindi conto soltanto sulle mie braccia di pescatore e sull’amore della mia famiglia.
Ma per rispondere alla tua domanda vengo subito al sodo con un esempio che taglia la testa al toro. Mi sono venduto un appartamento per comprare il nuovo motore che ho installato sul rimorchiatore, un IVECO di quasi 700 CV. -
L’idea é molto originale, piena di suggestioni ed esprime tutto il tuo coraggio di essere in una sola persona: armatore, comandante e dipendente-lavoratore imbarcato H24.
- Per la verità tutto si svolge entro limiti ben precisi: in estate, a richiesta, faccio qualche viaggetto portando soci e membri di importanti Associazioni verso mete rinomate della zona portuale e del golfo di Spezia. Negli intervalli, in pratica sempre, faccio il pescatore e modestamente anche il cuoco, ovviamente cucino pesci, ma le mie migliori performance le ottengo a bordo, nel mio ambiente naturale, con il mio pescato dedicato agli Amici, come stasera. Presto capirai a cosa mi riferisco! Ti premetto che senza l’aiuto di mia moglie, della sua mente organizzatrice e naturalmente dell’essere una cuoca provetta, non vi avrei invitati. -
Levami una curiosità: come ha fatto tua moglie ad adattarsi a questa vita per certi versi eroica?
Labaro dei Fratelli della Costa
- Certamente non viviamo su un Yacht di lusso, questo lo sappiamo entrambi, ma in questo modo abbiamo meno da pulire e nessuno da stipendiare… Mia moglie é nata sugli scogli di Santo Domingo ed é più ”marinaio” di me! -
Non ricordavo nulla della tua manualità da operaio specializzato. Oggi mi sento veramente sorpreso davanti alle cose che sai fare. Dove hai fatto pratica?
Notturno
- Come vedi ho avuto l’autorizzazione per ormeggiarmi qui di punta al Muggiano. Siamo all’interno di uno dei maggiori Cantieri navali del nostro Paese. Tutti mi conoscono ed io conosco tutti. In caso di necessità non mi mancano gli Amici. E’ vero! Appartengo alla sezione ”coperta”, ma le mie mani hanno imparato a fare di tutto, anche il macchinista, l’elettricista, l’idraulico il carpentiere, il nostromo ecc... Acquistai il PLÖN dieci anni fa a Savona, ed era la classica ”barca da lavoro” giornaliera. Per renderla adatta ai nostri scopi, ho dovuto attuare modifiche un po’ dappertutto: sotto coperta, nella zona di poppavia per ricavarne alloggi per la mia famiglia e, naturalmente, per le nostre esigenze di lavoro. Nulla, comunque, che modificasse la fisionomia e la personalità eccezionale del PLÖN. -
La seconda sorpresa Renato ce la serve sul piatto d’argento della storia. Già! Si tratta dell’incredibile storia del PLÖN che ora andiamo a sintetizzare.
Renato, prima di addentrarci nei meandri del PLÖN, ti vorrei subito porre una domanda: nell’Ambiente degli Arditi Incursori del Varignano, di cui mio figlio John ha fatto parte, circola la voce che il PLÖN sia stato costruito con l’acciaio della Bismarck. Riporto quanto scritto su un sito:
"Alle tredici, sempre di domenica, siamo a bordo del rimorchiatore “PLÖN”, costruito nel 1939 con l’acciaio della corazzata Bismarck; lì troviamo un altro caro amico Renato Rozzi, insieme ad alcuni giovani ragazzi…..ecc…."
- Mi è stato riferito di questa possibile origine del PLÖN. So che sono state fatte ricerche presso l’Archivio Storico della Germania del Nord. Ma non ho nulla in mano per certificarne o meno la verità.-
Dal momento che l’affondamento della Bismarck è successivo al varo del PLÖN, penso piuttosto che l’accostamento storico delle due unità sia nato dal fatto che la prima era ritenuta “inaffondabile” dalla propaganda, mentre per la seconda è il tempo che continua a testimoniare la sua “inaffondabilità”.
Possiamo vedere la documentazione del PLÖN?
- La ricostruzione storica, da quando il rimorchiatore PLÖN fu varato, è scritta in queste due pagine che un amico tedesco mi ha inviate dalla Germania, sono scritte in tedesco e per fortuna anche in inglese.-
Stemma della città di Elmshorn
PLÖN – Fu costruito nel Cantiere S.W. Kremer nella città di Elmshorn (Schleswig-Holstein/Germania del Nord) come RIMORCHIATORE MILITARE denominato BODDEN.
Caratteristiche dell’unità al momento dell’entrata in servizio il 18.7.1940 presso la Marinehafenbauamt-Rügen:
Stazza lorda:…….101 tonn.
Lunghezza f.t.:…..22,02 mt
Larghezza:……………5,18 mt
Motore:…………….260 CV. (6 cilindri-4 tempi)
Velocità:…………….10 nodi
Equipaggio…………. 8 membri
Nel Volume 6° di GRÖNER: (Die deutschen Kriegsschiffe 1815-1945)
a pag.100, viene riportata una annotazione del periodo bellico in cui risulta che il PLÖN fu attivo sotto diversi Comandi operativi.
Nel 1941 fu trasferito presso la Hafenbaudirektion di Gotenhafen. (Polonia occupata - oggi città e porto polacco di Gdynia), dove rimase in servizio, per periodi alterni, fino alla resa della Germania agli Stati Uniti. In seguito l’unità rimase sotto la direzione del Porto di Brema fino al termine del conflitto.
31.1.1946 .....in charter presso la WSD di Kiel
16.8.1946..... in charter presso la Società Rimorchiatori URAG
23.2.1948 .....viene acquistato dalla DDG Hansa-Bremen
18.5.1948..... rinominato BOMBAY
20.10.1954... passa alla Guardia Costiera Tedesca (Bundesgrenzschutz) come pattugliatore di frontiera.
Maggio 1955.. Viene rinominato PLÖN
1.7.1956....... Passa alla Marina Militare Tedesca
19.8.1970..... L’unità viene radiata
8.7.1972...... PLÖN é venduto all’Olanda e rinominato PIRANHA
1975.............Viene venduto ad una Società di Savona.
1996............ Viene acquistato dal sig. Renato Rozzi di La Spezia.
Nota storica
Quanto segue è stato ripreso da un saggio che l’autore di questo articolo ha scritto sul sito di Mare Nostrum Rapallo il 2.8.2012, dopo aver effettuato un viaggio di studio nel Mar Baltico, e s’intitola:
Da BORNHOLM a PEENEMÜNDE – Mare Nostrum in giro per il BALTICO. (Sezione- Storia Navale).
Peenemünde dista soltanto 35 miglia nautiche da Rügen, circa due ore di traghetto da Bornholm e circa quattro ore da Gdynia, cioè l’intera zona che fu battuta dal PLÖN nel periodo bellico.
“Gli alleati, come si seppe in seguito, erano completamente allo scuro di ciò che accadeva nella vicina Peenemünde, (isola di Usedom nel Land del Maclemburgo-Pomerania anteriore che dista solo 115 km in linea d’aria da Bornholm), dove una sezione speciale di scienziati del Terzo Reich, guidata da Wernher von Braun, costruiva e sperimentava lanci di armi micidiali note con le sigle: V-1 e V-2, ma anche aerei a reazione che superavano in velocità gli Hurricane e gli Spitfire inglesi di oltre 200 K/h e almeno altri 20 tipi di armi tra cui minisommergibili, giganteschi cannoni, fucili che sparavano dietro agli angoli delle case. Anche la bomba teleguidata PC-1.4400X (Fritz) che colpì la corazzata italiana Roma era stata progettata e testata a Peenemünde.
Regione del Mecklenburg-Pomerania. L’isola di Rügen a sinistra in alto, Peenemünde al centro.
Un esemplare di V-1 sulla rampa di lancio a Peenemünde
Un esemplare di V-2 sulla rampa di lancio a Peenemünde
Nei paraggi di questo sito segreto, si parla della vicina isola di Rügen dove si sarebbero sperimentati gli effetti della prima bomba atomica ‘sporca’ (sulla pelle di chi, non é ancora dato di sapere?) come sostiene lo storico berlinese Rainer Karlsch nel suo saggio Hitlers Bombe pubblicato nel marzo 2005.
Le informazioni destinate agli Alleati erano molto precise e dettagliate essendo ravvicinati gli avvistamenti di ordigni volanti che si proiettavano sempre più spesso sui cieli di Bornholm. A volte lo erano anche troppo: secondo alcune testimonianze, pare infatti che alcuni razzi fallirono la traiettoria e caddero sull’isola danese (più vicina alla Svezia che alla Danimarca). Sulla stessa Bornholm, i tedeschi costruirono speciali sistemi di antenne collegate alle sperimentazioni di Peenemünde che furono puntualmente sabotate da uomini della Resistenza locale. L’occupazione nazista durò ben cinque anni, una vera angoscia per questa minoranza di danesi staccata dalla madrepatria.
Il momento peggiore si verificò, tuttavia, negli ultimi giorni di guerra, quando l’Armata Rossa, temendo che i tedeschi ritardassero la resa per consegnarsi ‘soltanto’ agli americani, attaccò l’isola dal cielo. Il 7 maggio 1945 L’aviazione di Stalin sganciò sull’isola un numero esagerato di bombe che danneggiarono gravemente le città, in particolare Rønne e Nexø. Nel capoluogo, furono completamente distrutte 250 case su 3400, 23 incendiate e 3000 più o meno danneggiate. A Nexø fu distrutto quasi tutto il centro cittadino ed il porto dove erano ammassate le difese militari tedesche. I morti si contarono a centinaia.
Ancora oggi, gli isolani di una certa età ricordano con grande rabbia la vigilia della liberazione da parte dei sovietici e provano a raccontarne l’orrore a tutti coloro che s’intrattengono sull’argomento.
Bornholm fu liberata dai Russi ma non fece mai parte dei Paesi che varcarono la ‘cortina di ferro’ amministrata dalla Unione Sovietica.
Renato, sembra addirittura incredibile che il tuo rimorchiatore PLÖN sia sopravvissuto ai massicci bombardamenti anglo-americani piovuti dal cielo proprio nell’area di massimo interesse per l’evoluzione strategica (missilistica ed atomica) che si stava sviluppando in quel momento.
- Ogni nave, come ogni persona, ha il proprio destino. Non conosco le ragioni ultraterrene che determinano questi meccanismi. Nessuno le conosce! Tuttavia ognuno di noi può farsene una ragione. Personalmente ritengo che il mio PLÖN, possa degnamente rappresentare, come essere vivente e ancora navigante, a 76 anni dal suo varo, la memoria di quei 55.000.000 che morirono per un ideale nella Seconda guerra mondiale. Il PLÖN é un Mausoleo Navigante che merita di essere conosciuto e rispettato come un anziano guerriero che da tempo ha abbassato le armi nel nome della pace e della convivenza pacifica.-
Renato, ti ringrazio insieme alla tua famiglia per l’accoglienza, per l’umanità del tuo pensiero e per averci fatto vivere un pezzo di storia del tuo PLÖN che non conoscevo.
Concludo questa piacevole conversazione presentando il menù con il quale Renato e Zoila ci hanno deliziato.
- Frittelle di muscoli
- Insalata di polpi e patate
- Insalata di acciughe, peperoni, sedano e pomodori
- Gamberoni alla piastra
- Linguine con sugo di muscoli
- Muscoli
- Vino bianco locale
- Caffé
- Liquore di Santo Domingo MAMA UANA (miscela di Rum, vino rosso, miele)
Ringrazio il Comandante Renato Rozzi e la sua famiglia per l’ospitalità a noi riservata a bordo del “mausoleo navigante” e per le sue sorprendenti scelte esistenziali che ci avvicinano, ancor più, a quello spirito marinaro che ormai alberga soltanto in pochi rari esemplari…
Ringrazio caldamente gli amici della Tavola Fratelli della Costa: il suo Luogotenente Rolando Spezia, Luciano Brighenti membro nazionale Commissione degli esperti, Marcello Bedogni dal 2007 al 2013 Gran Commodoro della Fratellanza, il caro amico Renzo Bagnasco che insieme ad altri Fratelli mi hanno “rimorchiato” sul “leggendario PLÖN”.
ALBUM FOTOGRAFICO
Sala Nautica
Ruota del timone
Salpancore
Renato, l’armatore-comandante tuttofare é in piedi a destra
Crest del PLÖN
Carlo GATTI
Rapallo, 17 settembre 2013
TROMBE D'ARIA A GENOVA
LE TROMBE D’ARIA
UN INCUBO PER L’ARCO LIGURE ED IL PORTO DI GENOVA
Le cronache di mezzo agosto 2014 si sono dovute occupare, ancora una volta, di trombe d’aria che si sono abbattute sulla costa genovese provocando gravissimi danni materiali alle strutture del litorale. Per non dimenticare, abbiamo pensato di rievocare, a dieci anni esatti di distanza, i due episodi che misero in ginocchio il porto di Genova paralizzando il settore “containers” per un anno intero. A quei danni ingentissimi, si aggiunse la morte di un portuale genovese che rimase schiacciato dalla gru che doveva proteggerlo.
31.8.1994 - 17.9.1994
Due date che i genovesi non hanno più dimenticato
Il fenomeno meteorologico si ripeté dopo 17 giorni in un’altra zona del porto di Genova: otto gru furono abbattute.
Data |
Zona |
Tipo di gru |
Danni Lire |
Mor.Fer. |
31Agosto 1994 |
P.te Rubattino |
Elevatori |
|
1 - 50 |
17 Settem.1994 |
P.te Libia |
Portainer |
Centinaia di Miliardi |
due date |
Su tutto l’arco ligure si scatenarono in quel periodo gigantesche trombe d’aria che portarono scompiglio, allarmi, danni e morte. Forse sarebbe più corretto chiamarli tornado*, perché essi dimostarono la stessa forza distruttiva dei loro parenti americani.
La tromba d’aria si sta avvicinando minacciosa alla diga del porto di Genova.
Ai piedi della Lanterna si consumò questa ennesima tragedia. Di prora alla nave si vede la gru appena abbattuta. La “VECTIS ISLE” di appena 2.330 t. é stata risparmiata dalla tromba d’aria per pochi metri.
Il 1° settembre ’94, l’autore mise in partenza la piccola nave britannica Vectis Isle (vedi foto) da calata Bettolo ponente, a pochi metri dal punto in cui perse la vita lo sfortunato gruista genovese.
L’anziano comandante inglese era ancora sotto schock e raccontò la tragedia al pilota, così come la vide e la visse: “Seguivamo con apprensione la rotta a zig-zag dell’enorme tromba d’aria che proveniva dal mare, mentre eravamo rinchiusi dietro i vetri del nostro ponte di comando. Quando vidi quell’immensa colonna nera puntare decisamente verso il nostro molo, uscii sull’aletta ed urlai al gruista di scendere e scappare. Il portuale si rese conto immediatamente del pericolo, scese e si mise al riparo dietro la gru stessa, che forse, molte altre volte lo aveva protetto da fenomeni atmosferici ben più comuni.
Distruzione e morte. In primo piano la gru che ha investito lo sfortunato portuale. Le gru di Ponte Rubattino erano - “Elevatori Ansaldo IV” – da sei tonnellate costruiti nel 1952.
Nel frattempo il tornado (così lo definì) colpì ed ingoiò brutalmente la prima gru, quella che era posizionata in testata Rubattino, la sollevò e la scagliò come fosse un giocattolo verso la gru più vicina a noi, la stessa che divenne la tragica tomba di quel pover’uomo che vi si era rifugiato dietro.
Non avevo mai visto nulla di più terrificante! Mi creda, anch’io sono all’ultimo imbarco prima del mio “retire”.
Ma oggi sono ancora più triste perché ho saputo dal mio Agente che anche il gruista, la vittima del tornado, era al suo ultimo giorno di lavoro prima della pensione.”
Per avere una conferma, ancora più precisa, della forza immensa di queste trombe d’aria, si dovette attendere soltanto diciassette giorni, per assistere esterrefatti alla demolizione di gru alte più di venti metri ed un peso di centinaia di tonnellate.
9Queste gru erano del tipo Portainer, costruite dalle officine Reggiane su licenza Paceco e furono allestite nel 1971. Gru di questo tipo, sono tuttora operative, hanno una portata di 45 tonn. ed uno sbraccio di oltre quaranta metri.
Genova ed il suo porto dovettero attendere circa un anno, prima di vedere rimarginate quelle ferite che tante perplessità avevano suscitato non solo negli addetti ai lavori, ma soprattutto nell’opinione pubblica, tuttora incredula, dinanzi a ciò che razionalmente, è fuori statistica e si chiede:
“come è possibile che nel nostro organizzatissimo porto si possano verificare due identici e tragici incidenti, in tempi così ravvicinati”?
COME SI FORMA LA TROMBA D’ARIA?
L’insorgere di questo genere di fenomeni e’ strettamente legato alle condizioni atmosferiche. Quando si e’ in presenza di correnti d’aria calda negli strati inferiori e di correnti d’aria fredda negli strati piu’ alti, possono innescarsi fenomeni turbolenti. A causa della differenza di peso, l’aria calda degli strati sottostanti tende a salire verso l’alto, mentre quella fredda e’ spinta verso il basso. Se le condizioni delle correnti lo consentono, questo movimento di masse d’aria puo’ provocare un cilindro d’aria rotante intorno ad un asse perpendicolare al terreno. Processo di formazione di una tromba d’aria: la continua spinta delle correnti d’aria calda verso l’alto, puo’ allungare il cilindro d’aria verso l’alto creando appunto la tromba d’aria.
*Dalla grande enciclopedia “IL MARE”:
TORNADO: colonna d’aria posta in violenta rotazione, apparentemente sospesa alla base di un cumulolembo. Il terribile vortice presenta in genere un diametro di alcune centinaia di metri; ruota in senso antiorario e produce vento stimato da 100 a 300 km orari. La sua traiettoria è governata dalla sua nuvola madre. Il tornado che non è una per turbazione tropicale come uragani o tifoni, può verificarsi anche in Italia (Venezia 11 settembre 1970), ma raggiunge le massime frequenze in Australia e negli Stati Uniti dove se ne contano fino a 200 l’anno, specialmente nelle grandi pianure dei Fiumi Missisipi, Ohio e Missouri.
Carlo GATTI
Rapallo, 10 Ottobre 2014