NOSTRA SIGNORA DELLE GRAZIE-CHIAVARI-UN ANTICO TEMPIO MARINARO

NOSTRA SIGNORA DELLE GRAZIE – CHIAVARI

UN ANTICO TEMPIO  MARINARO

Il Santuario di Nostra Signora delle Grazie é al centro della foto aerea

PREMESSA

Nel nuovo millennio i Santuari Mariani sono meta di pellegrinaggi in cui, per lo più, i credenti coniugano fede e natura, storia e arte, panorami incredibili e prelibati cibi locali, quasi a rimarcare l’idea di fondazione che la leggenda assegna alla semplicità della vita contadina e marinara e alla spontaneità di iniziative nate tra il popolo e per il popolo.

I più noti Santuari Mariani sorsero in luoghi mistici collinari e montani, non solo nella nostra regione, dopo il Concilio di Trento. La linea geografica che li univa doveva essere percepita come “baluardo difensivo” contro l’espansione della Riforma Protestante di matrice calvinista.

Tale offensiva era messa in atto da mercanti di Ginevra e Lione che subdolamente penetravano nel porto di Genova a bordo di velieri commerciali con l’intenzione di fare nuovi adepti sotto la protezione di alcune famiglie della borghesia mercantile genovese: Agostino Centurione, Orazio Pallavicino, che si erano già dichiarati simpatizzanti di Giovanni Calvino (Jean Cauvin). La lista di personaggi discussi e molto noti negli ambienti mercantili del capoluogo é molta lunga; numerosi furono i processi celebrati dagli enti preposti, ma anche dall’Inquisizione ad eretici e a sostenitori della Riforma Protestante in generale.

Agli ordini monastici fu affidata la gestione dei Santuari e della religiosità popolare, per rivestirla di contenuti teologici, di pratiche devozionali “guidate” in una nuova arte architettonica e decorativa che affascinasse e incantasse il fedele con visioni “celestiali” e canti estremamente suggestivi, tali da opporsi efficacemente alla liturgia piuttosto austera ed essenziale rappresentata dal luteranesimo nordico.

La protezione della Madonna “funzionò” durante e dopo lo scossone tellurico provocato dal protestantesimo, ma anche contro le numerose epidemie di peste e di colera del ‘500 e del ‘600 e, come sanno in molti borghi delle Riviere, anche contro gli assalti dei barbareschi.

Situazioni emergenziali che, specialmente in Riviera, produssero moti spontanei di grande fede che vive tuttora anche nei fedeli tiepidi… che oggi preferiscono associare la “storica tradizione mariana” con il folklore legato al turismo, forse per rimarcare una linea di confine tra fede beghina e fede moderna che tenta di ribellarsi ad un certo tipo di clero antico, alla stessa maniera con cui questo tipo di clero “rifiuta o mal sopporta” che la fede Mariana si esprima soltanto con le esplosioni cromatiche dei fuochi d’artificio, il frastuono di mortaletti che richiamano alla mente i colpi di cannoni, le guerre e le distruzioni.

Prendiamo ad esempio le Feste di Luglio di Rapallo, in cui i due modi di vivere la fede popolare si rinnovano ormai da 462 anni, tra un mugugno e un’ovazione, tra processioni di cristezzanti e il panegirico, tra le competizioni dei sestieri e l’incendio del Castello… Poi, alla fine dei giochi… tutto si risolve in quella sana rivalità che spinge i ministri della Chiesa, i massari e i fedeli ad una FESTA commovente che termina tra le braccia di Maria Regina Sovrana del Tigullio.

Le diverse visioni dei riti si sovrappongono quindi nella comune accettazione di quella fede superiore che tende alla reciproca comprensione e al tripudio dell’attesa della Madonna che scenda dal monte con l’icona bizantina per essere venerata.

I brividi di gioia che ogni anno ripropongono le FESTE DI LUGLIO hanno un solo nome:

RAPALLINITA’

Dopo questa premessa dedicata alla fede popolare del Golfo Tigullio nel Terzo Millennio, ritorniamo al vicino Santuario di Nostra Signora delle Grazie di Chiavari. Lo avevamo già visitato nel 2014 in occasione di una pubblicazione di Mare Nostrum Rapallo, nella quale raccontai il ruolo che ebbe questo antico “luogo sacro” nelle vicende della Seconda guerra mondiale.

IL CANNONE DELLE GRAZIE. (che ha raccolto nel frattempo oltre 17.000 visite)

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=310;grazie&catid=52;artex&Itemid=153

Per capire l’importanza “strategica”, in senso generale, della posizione del Santuario, dobbiamo considerare un dato ottico-geografico di assoluta importanza navale.


Per un osservatore appostato su una collina alta 200 metri di altezza sul livello del mare, (é il caso del Santuario delle Grazie, nella foto) l'orizzonte visibile si trova ad una distanza di 70 chilometri, vale a dire 37,80 miglia nautiche.

Dalla più remota antichità sino all’invenzione della telegrafia senza fili via onde radio, i velieri navigavano da punta a punta lungo le coste per sapere sempre la propria posizione, ma anche per farsi riconoscere da terra: dai fari e fanali, ma anche da determinati conventi che avevano il compito di assistere in qualche modo i naviganti di passaggio.

A partire dal 1907, ad opera di Guglielmo Marconi, il mondo delle radiocomunicazioni e dei trasporti registrò una rivoluzione planetaria che accelerò i processi di sicurezza della navigazione e dei salvataggi in mare.

Non é quindi una fantasiosa leggenda che i Santuari situati lungo le coste abbiano assunto nei secoli un ruolo importantissimo per i naviganti che, a loro volta, attribuivano a questi edifici religiosi un potere taumaturgico che ricambiavano con un affetto devozionale molto particolare. Questo “amore” reciproco non é mai tramontato neppure quando i velieri non avevano più la necessità di passare sotto i conventi per richiamare l’attenzione con il corno da nebbia al quale i frati rispondevano con i rintocchi a festa della torre campanaria.

Farsi identificare dai frati aveva un’importanza vitale per le famiglie dei marinai che da mesi e forse da anni aspettavano notizie dei loro cari; ma era economicamente rilevante soprattutto per l’armatore che aveva il tempo di predisporre i lavori di bordo, il cambio dell’equipaggio, i nuovi noli e le relative destinazioni.

Il santuario di N.S. delle Grazie, posizionato sulla antica ss. AURELIA, aveva sicuramente il compito di vedetta, tuttora testimoniato dagli ex voto appesi ai vecchi muri in centinaia di esemplari e lasciati dai nostri avi-marinai a testimonianza della loro devozione alla Madonna.

Avvenuto il “contatto” tra il Comandante del veliero ed il Capo Guardiano, la missione proseguiva e si esauriva soltanto dopo la avvenuta comunicazione dell’avvistamento del vascello all’armatore o alle autorità portuali preposte. L’operazione si svolgeva in poche ore, alla velocità della carrozza a cavalli.

Il rettore del convento con i suoi monaci hanno rappresentato per secoli una sorta di AVVISATORE MARITTIMO ante litteram per lo shipping nazionale ed internazionale.

Il compenso per questo prezioso servizio si realizzava con offerte per il restauro del Santuario ed era molto gradito dai monaci, oltreché meritato.

Sul rapporto dei frati con i naviganti vi allego due LINK che sono correlati al tema in oggetto.

I POSTINI DEL MARE di Carlo Gatti e Nunzio Catena

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=583;post&catid=54;saggi&Itemid=160

I FRATI E LA POSTA DELLE SHETLAND - UN VECCHIO RITO di Carlo Gatti

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=177;i-frati&catid=54;saggi&Itemid=160


Vista panoramica dal santuario di N.S. delle Grazie

Tra li archi del portico d’accesso si gode uno stupendo panorama che spazia da Sestri Levante a Portofino. Il santuario é costituito da diversi corpi: la Cappelletta, il Portico, l’Ospedale dei pellegrini, la Chiesa e l’abitazione del Rettore.

Questo piccolo santuario, di origine medioevale, ma ampliato e modificato nei secoli successivi, posto in posizione panoramica, a circa 200 di metri di quota lungo il fianco del monte, offre al visitatore uno splendido panorama con lo sguardo che spazia sul mare e sulla costa, da Portofino a Sestri Levante. Molto bello è l’interno che presenta un ciclo di affreschi che narrano alcuni momenti della vita di Gesù, datati 1539 ed opera di Teramo Piaggio e dal Giudizio Universale di Luca Cambiaso (metà sec. XVI). Giunti presso l’altare maggiore non si può non restare stupiti dalla splendida statua lignea della Madonna delle Grazie di chiara origine fiamminga.
Il Santuario è raggiungibile in auto dall’Aurelia o risalendo, senza grossi sforzi, il sentiero che attraversa una ricca macchia mediterranea, partendo dalle vicinanze della spiaggia della colonia Fara.


Venendo da Rapallo sulla Aurelia in direzione Chiavari, prima d’imboccare la galleria sotto il Monte Segnale, a 200 metri d’altezza sul livello del mare, sorge in mezzo alla macchia mediterranea il Santuario della Madonna delle Grazie.

Il Santuario è stato realizzato agli inizi del 1400.
Dai documenti storici ritrovati si rileva un atto notarile nel quale si chiede di unificare il Santuario alla Chiesa di Sant’Andrea di Rovereto.

Dal 1663 iniziarono i lavori, necessari a rendere accessibili e abitabili i locali per la residenza del custode.

L’edificio religioso assume l’aspetto attuale dopo varie operazioni di ristrutturazione, compiute tra il 1952 e il 1961, dovute a cedimenti strutturali causati dallo smottamento del terreno della collina per l’apertura di cave e scavi fatti durante la Seconda guerra mondiale.


Chiavari, N. S. delle Grazie, Madonna con il Bambino e il melograno, statua in legno policromo, fine XIV-inizio XV sec.

Franco Ragazzi colloca la sua datazione tra la fine del XIV e l’inizio del XV sec. e la ritiene un’opera fiamminga, sulla base di elementi stilistici quali la posizione, il panneggio tipico del gusto “internazionale” e la raffigurazione dei volti: in particolare quello di Maria, dalla forma un po’ allungata, gli occhi verso il basso, la bocca con le labbra strette, il piccolo mento sporgente, ricorda i visi delle Madonne di artisti fiamminghi come Jan Van Eyck, Joos Van Cleve e Gerard David. Inoltre la posizione del Bambino posato sul braccio destro della Vergine è un elemento costante dell’iconografia fiamminga.

LA STORIA:

La vicenda di questa stauta lignea della Madonna si pone al centro stesso della costruzione della chiesa contigua alla cappella: le ragioni che indussero Bertone e Andrea Vaccaro a costruirla su un loro terreno nel 1416, sono state raccolte e tramandate da Agostino Busco (sec. XVII):

“…un Patrone di nave, essendo di Fiandra, vidde una immagine di rilievo di Maria Vergine col Bambino in brachio in una bottega, li venne pensiero di comprarla, ma poi non se ne curò più, e volendo partire non potea. Parendoli cosa strana et esaminando tra se stesso, li sovvenne se forse fosse perché non aveva voluto comprare detta immagine; perciò andò a comprarla, e facela portare in nave, e senza più difficoltà si partì con prospero vento; et arrivato per contro Chiavari e quando poi fu in faccia di detta cappelletta della Pinara, la nave si fermò da per sé, e parendogli cosa meravigliosa al Patrone e Marinai li venne in pensiero se forse era volontà di Dio che portassero detta Immagine a detta cappelletta, e gliela portarono e devotamente qua la lasciarono; il che fatto poi si partirono senza difficoltà per il loro viaggio. Et li Signori Vaccà di cui è la selva, lì fecero fabbricare una assai grande Chiesa col Coro in quadro verso Oriente, con la porta al Ponente, fuori dalla quale si vede anco detta prima cappelletta con una bella Piazza, Portico e Casa (…)”

 

Questa è la leggenda popolare tramandata “per tradizione de’ vecchi e veridiche persone” che ripete un rituale analogo a molti altri Santuari Mariani. Nel caso del Santuario delle Grazie, insieme alle sedimentazioni della tradizione orale, ci sono alcuni dati di fatto storici:

- la presenza di una antica cappelletta,

- la rotta delle Fiandre

- la statua della Madonna scolpita nel legno svuotato sul retro, ma non tamponato: la tecnica usata indica che la destinazione originaria era una nicchia o un altare. E’ alta 142 cm. compreso il plinto di appoggio.

Insieme con panni, pizzi e telerie, damaschi e broccati, nel porto di Genova sbarcavano dipinti e sculture che fecero di Genova l’emporio più importante di tutta Italia per l’arte fiamminga. Non è irrealistico dunque pensare di trovare un’opera fiamminga nel Santuario chiavarese.

Il melograno, segno di fortuna e di fertilità nella simbologia profana, è qui un simbolo della Passione di Cristo. Nella statuaria gotica è presente in molte opere francesi e dell’Europa settentrionale.



Sul sentiero d'accesso al Santuario, il pellegrino viene accolto da un bassorilievo marmoreo di pregevole fattura il quale sintetizza la devozione mariana dei naviganti che lasciano le loro imbarcazioni alla fonda per salire la collina e approdare tra le braccia della Vergine per ringraziarla della protezione ricevuta.


L’entrata della chiesa con il suo antico portico.

L’elemento più antico é la Cappelletta che risale al XII secolo. La copertura del portico é a capanna con gli abbadini di ardesia.

La Cappella, che costituisce la prima fase costruttiva del Santuario, si presenta a pianta rettangolare con una pavimentazione in buona parte autentica articolata su diversi livelli. Il piccolo altare è sorretto da una colonnina con capitello estraneo alle vicende del santuario.

La copertura consente di datare la cappella intorno al XII-XIII secolo. Una serie di capitelli pensili in ardesia (gli originali) e in pietra calcarea (di restauro) sorreggono otto archetti pensili romanico-gotici, attraverso i quali scaricano otto vele convergenti in una chiave di volta ottagonale di ardesia scolpita con l’Agnus Dei. Il capitello posto sull’arco di ingresso è a forma di testa apotropaica, che rimanda a forme analoghe presenti nell’entroterra chiavarese e nello spezzino.

GLI EX VOTO DELLA CAPPELLETTA



Il portico e i vani dell’ospitium, edificati nella fase successiva, sono gli elementi architettonici che contribuiscono maggiormente a caratterizzare l’immagine della costruzione, con le ampie volte a crociera poggiate con archi ogivali su robusti pilastri quadrangolari.


L’accesso alla cappelletta e alla chiesa


GLI INTERNI

GLI AFFRESCHI DEL SANTUARIO

Schema della distribuzione degli affreschi di N. S. delle Grazie

LUCA CAMBIASO - (FONTE - FINESTRE SULL’ARTE)

https://www.finestresullarte.info/Puntate/2012/01-luca-cambiaso.php

TERAMO PIAGGIO - (FONTE-TRECCANI)

 

http://www.treccani.it/enciclopedia/teramo-piaggio_%28Dizionario-Biografico%29/

LE OPERE D’ARTE


Chiavari, N. S. delle GrazieMadonna con il Bambino e il melograno, statua in legno policromo, fine XIV-inizio XV sec.

La chiesa fu invece costruita nel XIV secolo; ad unica navata presenta il presbiterio rialzato e più stretto. Le pareti sono tutte affrescate ad opera del pittore zoagliese Teramo Piaggio e illustrano a destra la STORIA DELLA MADONNA, a sinistra, nel lunettone del presbiterio:


l’ULTIMA CENA e sulla parete sempre di sinistra la PASSIONE DI CRISTO. La parete dietro l’altare maggiore rappresenta LA CROCIFISSIONE.


Chiavari, N.S. delle Grazie, volta a crociera del presbiterio


Teramo Piaggio, Crocifissione, particolare

Teramo Piaggio, Crocifissione, particolare

Sul tabernacolo dell’altare maggiore é la statua lignea della MADONNA CON BAMBINO E IL MELOGRANO di artista ignoto. Lo stato conservativo degli affreschi non é purtroppo ottimale a causa anche delle condizioni ambientali (salsedine in primis) che ne minano la sopravvivenza. Nella sacrestia sono appesi alcuni dei numerosi ex voto dedicati alla Madonna; il più antico é quello del Capitano Fontana datato 14 agosto 1600.

L'attuale copertura, costituita da un tetto ligneo a capanna rivestito da abbadini d'ardesia, risale al 1896. Il presbiterio è leggermente rialzato e poco più stretto della navata, coperto da un'ampia volta a crociera costolonata di derivazione gotica. L'arcone che divide la navata dal presbiterio  poggia su due robuste semicolonne addossate alle pareti con i tipici capitelli a forma sferocubica frequenti nella Liguria  medioevale.


LUCA CAMBIASO - L’insieme del GIUDIZIO UNIVERSALE (1550)


Particolare della fascia inferiore

Particolare della seconda fascia


Particolare del terzo registro


Particolare del quarto registro

Sulla parete della controfacciata del santuario, appare il pregiatissimo GIUDIZIO UNIVERSALE del genovese Luca Cambiaso, uno dei maggior pittori del ‘500.

Nel 1550, morto Franchino Vaccaro, il compito di completare gli affreschi della chiesa passò a suo figlio Andrea, che preferì affidare i lavori della controfacciata a LUCA CAMBIASO. Luca a quel tempo aveva solo ventitre anni e non aveva ancora raggiunto l’età dell’affrancamento dal padre per cui non poteva accettare incarichi professionali: è perciò probabile che gli affreschi di N. S. delle Grazie siano l’ultimo lavoro eseguito in collaborazione con suo padre Giovanni.

Giovanni Cambiaso era nato nel 1495 in Val Polcevera, dove conobbe Andrea Semino che lo avviò all’arte della pittura e lo avvicinò a Teramo Piaggio. Una testimonianza della loro amicizia è data dai ritratti dei tre pittori nel Martirio di S. Andrea realizzato da Teramo per la chiesa di S. Andrea a Genova e dal ritratto di Giovanni nella Crocifissione delle Grazie.

Luca aveva iniziato a quindici anni la collaborazione con il padre, ottenendo diversi incarichi importanti dalle grandi famiglie genovesi, soprattutto dai Doria. E’ già da questi primi lavori che Luca dimostra una personalità più spiccata di quella del padre.

Franchino Vaccaro aveva preferito una pittura legata alla tradizione quattrocentesca come quella del Piaggio per assicurare al Santuario una continuità con i caratteri popolari del culto locale. Suo figlio Andrea preferisce dimostrare di conoscere le novità dell’arte figurativa genovese e l’ideologia religiosa romana, ma soprattutto vuole testimoniare lo status sociale e politico raggiunto dalla sua famiglia scegliendo artisti apprezzati e ricercati dalle grandi famiglie genovesi.

Ispirandosi al Giudizio Universale  di Michelangelo, Luca divide la parete in quattro registri orizzontali:

- nella fascia più bassa, a sinistra rappresenta la Resurrezione dei Morti, mentre a destra i dannati divorati dalle fiamme.


HECCE HOMO

Un'opera certamente curiosa è un Ecce Homo dipinto su tela (c'è chi sostiene che sia una stampa su tela e che l'originale sia a Genova), collocato in cornice, alla sinistra di chi entra, su un inginocchiatoio che funge da sostegno.

La cosa più inquietante è che girando attorno al quadro, si nota che il retro è dipinto con la schiena del Cristo, tormentata e addirittura scarnificata dalle torture inflittegli, secondo un'iconografia inusuale. E' presumibilmente un'opera ottocentesca, legata a qualche confraternita dei flagellanti, che il crudo verismo induce a collocare in ambito iberico.


Chiavari, N.S. delle Grazie, acquasantiera, XV sec.


Chiavari, N.S. delle Grazie, particolare di  capitello sferocubico di una  semicolonna dell’arcone del presbiterio

BIBLIOGRAFIA

- Berzero G., Gli affreschi di Teramo Piaggio nella chiesa di N. S. delle Grazie a Chiavari, in “Atti della Società Economica di Chiavari-1932”, 1933.

- Castelnovi G.V., Il Quattro e il primo Cinquecento, in La pittura a Genova e in Liguria, Genova, 1987, pp. 73-160.

- Grosso Orlando, Genova e la Riviera ligure, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma, 1951.

- Magnani Lauro, Committenza e arte sacra a Genova dopo il Concilio di Trento: materiali di ricerca, in “Studi di storia delle arti”, Università di Genova, Istituto di Storia dell’Arte, 1983-85.

- Magnani Lauro, Il Giudizio Finale, scheda in Omaggio a Luca Cambiaso, catalogo della mostra, Sagep, Genova, 1985.

- Ragazzi Franco, Il Santuario delle Grazie a Chiavari. Gli affreschi di Teramo Piaggio e Luca Cambiaso, Genova, 1992

- Giovanni Meriana, La Liguria dei Santuari

Carlo GATTI

 

Rapallo, 12 luglio 2019


LA MARCA DI BORDO LIBERO

LA MARCA DI BORDO LIBERO

UNA MAGISTRALE LEZIONE CI VENNE DALL’INGLESE SAMUEL PLIMSOLL

 


I genovesi, così come tanti turisti provenienti da ogni parte, oggi possono avventurarsi entro i limiti consentiti tra le calate del porto di Genova in cerca di qualche “scatto” marinaro da portarsi a casa e mostrare agli amici come ricordo di una giornata passata tra le “case” dei naviganti.

Si tratta di un incontro vivo e reale tra realtà esistenziali che fino a poco tempo fa, non solo si ignoravano, ma erano divise dalla cinta portuale interrotta soltanto da pochi varchi doganali presidiati dalle forze dell’ordine.


Scalandrone di una Nave scarica


Scalandrone di una Nave carica


Scalandrone di una nave passeggeri

Poi, una volta giunti sottobordo, i turisti in transito scoprono che la scala a murata, chiamata scala reale o scalandrone (foto sopra), é presidiata da un marinaio che nega, ovviamente, l’accesso a bordo agli estranei, e allora i nostri amici si accontentano di perlustrare la fiancata lato banchina con l’intento di catturare qualche curiosità che subito non capiscono ma che intendono svolgere in seguito, in tutta tranquillità, come certi “compitini” dei figli o dei nipoti…

Questa volta la signora Maria col marito Ernesto si sono soffermati incuriositi dinnanzi ad uno strano insieme di “segni bianchi stampati” a centro nave sulla murata della nave di cui non hanno capito nulla. Hanno visto anche un ufficiale avvicinarsi a questo strano simbolo e scrivere qualcosa sullo smartphone subito dopo aver sentito la sua voce gridare alla radio portatile: “Siamo alla marca!” (foto sotto).


Ecco come si presenta la Marca di BORDO LIBERO su ciascun lato della nave.

In questo caso la nave é alla marca. Il livello del mare lambisce la linea orizzontale che taglia in due il disco di Plimsoll.

Giunti a casa Ernesto, un impiegato di banca che conosco da molti anni, mi ha telefonato chiedendomi lumi su quella frase pronunciata in quella circostanza dall’ufficiale di guardia della nave.

Ai miei amici dedico questo articolo il cui unico scopo é quello di trasferire qualche “infarinatura nautica” alla loro legittima curiosità. Null’altro!

COS’E’ LA MARCA DEL BORDO LIBERO?

Tutte le navi impegnate in viaggi internazionali e battenti bandiera di paesi aderenti alla Convenzione Internazionale sul Bordo Libero devono avere un marchio visualizzato sul fasciame esterno (di solito realizzata a mezzo di lamierini saldati) e chiamato:

OCCHIO (anche Disco) DI PLIMSOLL

Esso indica fino a quale livello la nave, una volta caricata, può immergersi e navigare in sicurezza. In fin dei conti indica assai semplicemente quanto carico può portare la nave.

UN PO’ DI STORIA:

Fin dall’antichità i capitani di navi onerarie greco-romane dovettero combattere contro l’ingordigia dei caricatori portuali che insistevano per appesantire il più possibile la nave, la quale doveva però misurarsi con il serio problema della “sicurezza della navigazione”, cioè la possibilità di conservare una quota di Bordo Libero, cioè di galleggiabilità, di riserva di spinta che le avrebbe garantito la sopravvivenza nelle burrasche del Mare Nostrum.

I capitani più duri e determinati a non farsi “sopraffare” dall’ingordigia dei “terrestri” (armatori, noleggiatori, caricatori ecc..) furono di sicuro i più longevi della loro epoca…!

 

Passarono molti secoli prima che un “ILLUMINATO” personaggio entrasse sulla scena del mondo marittimo, l’uomo ideale dotato di coraggio e determinazione che facesse giustizia su questo millenario problema che dovette inspiegabilmente protrarsi fino alla seconda metà dell'800.

Quel grande amico della gente di mare si chiamava Samuel Plimsoll e fu un deputato del Parlamento britannico.

Questo grande politico si era fortemente indignato per la strage di marinai dovuta al cinismo di molti armatori che facevano navigare vecchie carrette stracariche, spesso con l'unico scopo di intascare il premio dell'assicurazione dopo il naufragio delle stesse…

“I marinai non avevano alcun diritto, addirittura venivano arrestati se, dopo aver verificato le pessime condizioni di navigabilità, rifiutavano l'imbarco. Nonostante gli ostacoli frapposti da parecchi membri della Camera (che era folta di armatori) e dallo stesso Disraeli*, riuscì, dopo parecchie lotte (13 accuse per diffamazione, perdita della casa, ecc.) ad imporre nel 1876 la presenza di tale marca.

Ma, inizialmente, la legge prevedeva una linea di carico a cura dell'armatore, che la posizionava dove gli pareva. Addirittura un capitano la mise (per scherno) sul fumaiolo…!

Ci vollero altri 14 anni per regolare definitivamente la faccenda, dopodiché Plimsoll si dedicò a regolamentare anche i carichi sul ponte (legname)”.

L'opinione pubblica era ovviamente schierata con lui!

*- Benjamin Disraeli, I° conte di Beaconsfield (Londra, 21 dicembre 1804 – Londra, 19 aprile 1881), è stato un politico e scrittore britannico. Ha fatto parte del Partito Conservatore ed è stato Primo Ministro del Regno due volte: dal 27 febbraio al 3 dicembre 1868, dal 20 febbraio 1874 al 23 aprile 1880.

UNA CURIOSITA’

Il celebre logo della Underground di Londra riproduce appunto la Plimsoll mark, quella che oggi é stampata su tutte le navi che circolano per i sevenseas.

Dal 1876, a bordo di ogni nave, deve essere presente ed in corso di validità il Certificato di Bordo Libero rilasciato per conto dello Stato del quale la nave batte bandiera da una società di classifica, in Italia dal REGISTRO NAVALE ITALIANO - RINA. Sul certificato sono riportate le posizioni geometriche della marca; la nave dovrà essere caricata in modo tale che la linea orizzontale dell'occhio di Plimsoll non venga mai immersa.

In questo modo si definisce un volume stagno che va dal piano di galleggiamento fino al ponte di bordo libero, e che costituisce la riserva di spinta dell'unità.


Oltre alla linea di fede principale che taglia il disco (riferita alla navigazione in acque marine in estate), l'occhio di Plimsoll ne può riportare altre poste leggermente sopra o sotto alla principale; queste linee supplementari si riferiscono alle navigazioni in acque dolci o acque dolci tropicali (linee poste sopra la principale) oppure navigazione invernale o invernale nord atlantico (per le linee poste sotto quella principale); le prime tengono in considerazione la salinità del mare che fa salire o scendere la linea di galleggiamento della nave, le seconde: le condimeteo più pericolose delle varie zone geografiche.

La posizione verticale della marca di bordo libero è stabilita da apposite tabelle ed è funzione della lunghezza e del tipo di nave.

Le lettere che compaiono sulla marca di bordo libero indicano da quale Società di Classifica è certificata la nave, pertanto:

RI indica una unità classificata dal Registro Italiano Navale

BV una del Bureau Veritas.

……..


LA SCALA DEI PESCAGGI

Oltre che a centro nave, come abbiamo visto finora, anche sulle estremità della prora e della poppa esiste una scala graduata, composta da cifre bianche aventi ordine pari (2,4,6,8,ecc.); tali cifre sono alte un decimetro e lo spazio tra un numero e l'altro è anch'esso di un decimetro. Lo scopo è quello di misurare l’immersione della nave, ossia il PESCAGGIO DELLA NAVE a prora, nel caso della fotografia, oppure quello similare a poppa.

La lettura dei Pescaggi di Prora, di Poppa, e del Centro (occhio di Plimsoll) permettono di capire in qualsiasi momento se la nave é appruata, appoppata, o in linea (heaven keel).


Memorial to Samuel Plimsoll on Victoria Embankment, London


UN’ALTRA CURIOSITA’


SCARPE DA GINNASTICA

“Indossate scarpe da ginnastica il 10 febbraio e pagate £ 1 per RNLI - Royal National Lifeboat Institution perché il 10 febbraio è il compleanno di Samuel Plimsoll.

Questa campagna, che si ripete il 10 febbraio 2019, è guidata da Nicolette Jones, autrice di: The Plimsoll Sensation

La grande campagna per salvare vite in mare (vincitore del Premio marittimo di Mountbatten).

Samuel Plimsoll, 'The Sailor's Friend', ha salvato e continua a salvare innumerevoli vite introducendo la linea di carico che porta il suo nome sul lato delle navi mercantili. S. Plimsoll fece una campagna instancabile per la sicurezza dei marinai, e fece quasi cadere il governo di Disraeli e divenne un eroe nazionale e un nome familiare per tutto lo SHIPPING internazionale. Nacque a Bristol il 10 febbraio 1824 e morì a Folkestone il 4 giugno 1898.

Il 10 febbraio è stato riconosciuto come "Plimsoll Day" nel calendario britannico per decenni dopo la sua morte.

Scarpe da ginnastica

“Siamo stati nominati in suo onore nel 1876 (quando la sua campagna di denuncia per un loadline lo aveva reso celebre) da un rappresentante della Liverpool Rubber Company, perché, essendo la tela sopra e la gomma sotto, le scarpe potevano essere tranquillamente immersi nell'acqua solo fino a un certo punto - come una nave mercantile”.

Per raccogliere fondi per le RNLI (scialuppe di salvataggio) il 10/11 febbraio viene chiesto di indossare scarpe da ginnastica a casa, a scuola e sul lavoro e donare £ 1 …...

 

Negli ultimi anni, gli studenti delle scuole di Folkestone, dove è sepolto Plimsoll, hanno indossato scarpe da ginnastica e raccolto questi fondi del Plimsoll Day per donarli alla Littlestone Lifeboat Station che li destina all’addestramento dei giovani al salvataggio in mare.


Il RNLI costa 385.000 sterline al giorno per essere gestito con donazioni pubbliche, anche se i suoi
lifeboatmen sono volontari. 22 vite vengono salvate ogni giorno.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 20 Marzo 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


PITTORI DI MARINA - LA DINASTIA MARSIGLIESE DEI ROUX

PITTORI DI MARINA

Eco del golfo Tigullio

 

LA QUADRERIA DEL MARE

La “dinastia” marsigliese dei

ROUX

La famiglia francese, a partire dalla metà del secolo XVIII, si specializzò nella realizzazione di testi e tavole a soggetto idrografico e cartografico soprattutto grazie all’attività del capostipite Joseph Roux, fornitore della Marina francese e della Royal Navy britannica.

Ange-Joseph Antoine Roux (1725-1793) – La fregata britannica Camilla, Norfolk, Mariners’ Museum.

Nell’ambito artistico della pittura, e di quella di marina in particolare, non si riscontrano molti casi di “dinastie” famigliari ove più artisti si tramandano - di padre in figlio - i segreti di un’arte e, soprattutto, la passione per soggetti peculiari e comunque “difficili” quali sono, per l’appunto, le opere pittoriche riferite alle navi, alla loro storia e alle loro caratteristiche tecniche.

Un’eccezione è costituita dai pittori olandesi Willem van de Velde padre e figlio che, per tutto il Seicento, seppero imprimere alla pittura di marina (fiamminga prima e britannica poi) una nuova vitalità che influenzò questo specifico settore artistico per tutto il secolo successivo.

L’esempio “dinastico” quantitativamente (ma in non pochi casi anche qualitativamente) più rilevante è costituito dalla famiglia marsigliese Roux che, dalla metà del Settecento sin verso la fine dell’Ottocento, costituì non soltanto una scuola pittorica di rilevanza europea ma che - grazie ad alcuni dei suoi più importanti esponenti - seppe anche indicare alla pittura di marina una nuova via verso la modernità e nuove forme didascaliche e artistiche.

La famiglia Roux di Marsiglia, a partire dalla metà del secolo XVIII, si specializzò nella realizzazione di testi e tavole a soggetto idrografico e cartografico soprattutto grazie all’attività del capostipite Joseph Roux (1725-1793), fornitore tanto della Marina francese quanto della Royal Navy britannica. Il figlio Ange-Joseph Antoine (1765-1823) si dedicò invece alla pittura di marina dando vita al nuovo genere dello ship portrait, ossia la raffigurazione dettagliata e precisa di una nave a vela, spesso richiesta dal comandante o dall’armatore in un’epoca in cui la fotografia non aveva fatto ancora la sua comparsa nell’ambito mediatico e documentale nell’importante ruolo che oggi tutti le riconoscono.

Mathieu (detto Antoine) Roux (1799-1872) - Il brigantino a palo italiano Mortola (circa 1865), Norfolk, Mariners’ Museum.


Mathieu (detto Antoine) Roux (1799-1872) - Il brigantino francese Dauphin (1825), Norfolk, Mariners’ Museum.

Il figlio di Ange-Joseph Antoine (Mathieu, 1799-1872, che spesso firmava le sue opere “Antoine Roux” creando talvolta anche ai giorni nostri, taluni problemi nell’attribuzione della “paternità” di alcune specifiche tele), indirizzo anch’egli la sua attività artistica verso gli ship portraits. Parimenti, il fratello François Joseph Frédéric (1805-1870) già da adolescente si era evidenziato per il suo talento nel campo della pittura di marina, aprendo nel 1835 uno studio nella citta portuale di Le Havre dove diede vita a un fiorente commercio di opere a stampa a soggetto idrografico e di quadri di marina tanto di ambito militare quanto mercantile.

Un altro figlio di Ange-Joseph Antoine (François Geoffroi, 1811-1882) seppe infine infondere nuova linfa all’arte dello ship portrait realizzando non soltanto viste laterali dei soggetti ritratti (quale in effetti è la principale caratteristica di questo specifico genere), ma anche vedute prospettiche di navi a vela che si evidenziano per l’ottima resa artistica e, nel contempo per i dettagli - precisi e realistici - della velatura, delle manovre fisse e correnti, dello scafo e di numerosi altri elementi dell’allestimento. Non a caso, di François Geoffroi Roux fu detto che era “… un profondo conoscitore delle navi a vela del suo tempo, tanto dal punto di vista progettuale e costruttivo quanto da quello di un esperto marinaio”.

François Geoffroi Roux (1811-1882) - il brigantino a palo francese Parnasse (1841), Salem, Peabody Museum. Un nuovo modo di intendere lo ship portrait, con una vista prospettica e dinamica dell’unità raffigurata.

Non ultimo, va ricordato che l’arte dello ship portrait (sviluppata dai principali membri della famiglia Roux, suoi più autentici precursori) influenzò in misura considerevole due importanti pittori italiani particolarmente dediti all’attenta e precisa raffigurazione artistica di navi a vela ed anche ”vapori”, attivi attorno alla seconda metà dell’Ottocento: Domenico Gavarrone e Angelo Arpe dei quali non mancheremo, in qualche prossima puntata di questa serie, di descrivere alcune delle opere più note e artisticamente rilevanti.

Maurizio BRESCIA

Direttore del Mensile

Rivista fondata nel 1992 da Erminio Bagnasco

Rapallo, 10 gennaio 2019


SAN FRUTTUOSO DI CAMOGLI: terra di eroine

SAN FRUTTUOSO DI CAMOGLI: terra d’eroine

 


 

Almeno una volta, ogni inverno, amo tornare a S. Fruttuoso di Camogli; lo faccio ormai da tanti anni.

Scelgo, per evitare il domenicale frastuono, una luminosa mattinata di giorno feriale; frequentemente, in quella stagione, il sole, pur alto, non riesce a scaldare l’aria resa tersa dalla tramontana. M’imbarco a Camogli assieme alle derrate e alla posta per San Fruttuoso, spesse volte unico passeggero e, ogni qualvolta il battello, doppiata Punta Torretta, mi rivela quel paesaggio, m’emoziono come fossi un turista che, per la prima volta, lo scopre.

Non posso fare a meno di pensare a cosa ha scritto, di questo posto, il poeta genovese Nicolò Bacigalupo:

 

Comme un datao de mâ ti pai serroù

Nell’enorme muagion de Portofin

Che zu a picco o pâ stato scopellòu

Dai Ciclopi in scë un mâ sempre turchin.

Libera traduzione: Come un dattero di mare sembri chiuso nell’enorme muraglione di Portofino che giù a picco sembra scalpellato dai Ciclopi su di un mare sempre turchino.

 

Imbottito come un baleniere mi piace sostare, allungandomi sulla sassosa, piccola spiaggia che separa gli archi dell’antica Abbazia dal mare; supino, su quel morbido pendio, avverto pienamente di appartenere a questa terra, lambito dal mare e immerso nei pini come sono. Alle spalle mi protegge la solida costruzione in pietra mentre, dalle finestrelle del “Giovanni”, già trapela la fragranza della cucina che sta preparando il pesce, che a mezzogiorno gusterò.

Ecco, so già che quest'immersione nella ligusticità mi appagherà poi per mesi e mesi; l’annuale ritorno in quest’utero verde, perché questo ho scoperto essere per me questa baia, m’infonde pace e serenità.

Tutt’attorno, un luminoso silenzio; non c’è anima viva. Hanno già ripulito dagli affronti abbandonati durante l’invasione dell’ultima domenica, così da levare ogni traccia di questa settimanale profanazione.

 

 

In direzione dell’orizzonte, dopo l’insenatura del Cristo, scorgo ogni tanto riaffiorare neri luccichii; sono i sub che silenziosamente si esercitano e, dolcemente, la mente si apre alla fantasia.

Questa zona, oggi Parco del Promontorio di Portofino, così come la vicina Cala dell’Oro e l’altra, quella della Chiappa, si vuole che ai primordi fosse popolata da mostri antropofagi; a me invece piace pensarli quando, in epoca successiva, erano luoghi di caccia con il falco da parte d’insigni cavalieri, rampolli delle famiglie patrizie locali, accompagnati da orgogliose dame.

 


 

Nel 1104 i Consoli del Comune di Genova stabilirono che i rapaci, colà magistralmente addestrati, appartenessero all’Abate reggente quel Monastero e non potessero essere diversamente utilizzati, se non per l’uso per il quale erano stati ammaestrati.

La mitologia, spesso frammista a qualche verità storica, ci ha lasciato detto che Ercole, figlio di Giove e di Alcinea, quando tornò dalla Spagna, una volta trionfalmente attraversata la Francia, fondò Montecarlo ma, quando arrivò qui, venne fermato dai Liguri; dopo di lui, negli anni, vi giunsero i Fenici e poi gli Etruschi, i Greci, i Cartaginesi e gli onnipresenti Romani.

Il primitivo monastero sorse, per opera di Prospero, vescovo di Taragona, nel 711, ma fu poi distrutto dai saraceni.

Carlo Magno, prima, (801) e Papa Leone III dopo (812), edificarono in zona una “statio” per segnalare, con fumi di giorno o fuochi di notte, alle altre due stazioni, quella di levante posta su Capo Manara e quella di ponente, sistemata sul Capo di Faro, lo stesso sul quale in seguito edificheranno la Lanterna di Genova, eventuali avvistamenti di predatori.

Proprio al traverso di San Fruttuoso, in mare aperto, nel 1431 si combattè una battaglia fra la flotta veneta e quella genovese, secondo l’uso dell’epoca di affrontare a viso aperto il concorrente commerciale e non, come oggi, a colpi di dossier occulti.

Pietro Loredano, il comandante veneziano, impose ai genovesi una tale cocente sconfitta da lasciare, nei perdenti, un doloroso duraturo ricordo; l’unica consolazione, per lenirne le ferite, fu che lo stesso vincitore riconobbe l’eroismo dei vinti, tanto che Francesco Spinola d'Ottobone, nell’occasione duce dei genovesi ma caduto anch’esso prigioniero dei veneziani, fu, alla fine, affrancato senza che gli fosse imposta l’onta di toglierli la spada e i suoi marinai furono sciolti dalle catene alle quali erano già stati vincolati, e tutto senza chiedere il pagamento d'alcun riscatto. Quest’ultimo gesto, se ben conosco i miei conterranei, fu certamente il più apprezzato.

 

Nel 1550 Papa Giulio III, con proprio “breve”, cocesse in <jus patronato > l’Abbazia di Capodimonte, questo era il vecchio toponimo del luogo, al Principe Andrea Doria, che la scelse come sacrario delle tombe della propria famiglia.

Questa preziosa scheggia di Liguria diede alla marineria uomini e soprattutto donne coraggiose e intrepide; per tutte valga l’episodio, che costì è ricordato con una lapide e con un ingrandimento di una litografia, appesa davanti al banco del bar attraverso il quale si deve passare, perché è contemporaneamente mescita ma anche strada pubblica, se si vuol raggiungere la Chiesa oggi restaurata e l’attuale Museo, entrambi gestiti dal Fondo Italiano per l’Ambiente.

 


 

E’ l’alba del 24 Aprile 1855. La pirofregata inglese <Croesus>, nave a propulsione a vapore, al comando del Signor Hall, salpa dal porto di Genova per portare in Crimea, dove si sta combattendo, 400 uomini freschi dell’Armata Sarda e 25 muli completamente equipaggiati, nonché le relative vettovaglie ed attrezzature; al traino, secondo la moda del tempo, ha la nave appoggio <Pedestrian >, carica di munizioni e ulteriori provviste a sostegno di chi, laggiù, combatte. Dopo due ore di navigazione il piccolo convoglio si trova proprio al traverso del promontorio di Portofino; in quello stesso istante si sente il lancinante segnale di <fuoco a bordo >. Il Comandante, resosi conto che è proprio la sala macchine a bruciare e, giudicando ormai impossibile spegnerla, ordina di tagliare immediatamente il cavo del traino per evitare che le munizioni al seguito possano scoppiare e, mentre dà ordine di approntare le scialuppe, cerca di individuare un arenile sul quale potervi indirizzare la prua così che, spiaggiando la nave anche se in fiamme, ne avrebbe potuto evitare l’affondamento.

Chi conosce la zona sa che non ce né e, le uniche due eventualmente adatte allo scopo, seppur nascoste alla vista perché al fondo di cale strettissime e schermate dai capi, sono quella dell’Oro, ormai lasciata a poppa del battello e, lì vicino, quella di San Fruttuoso. Per fortuna il comandante Hall vede spuntare, dietro Punta Torretta, la grigia cupola a spicchi dell’Abbazia e, facendo d’ogni necessità virtù, ordina di mettere al massimo le caldaie e, urlando nel megafono, <avanti tutta >, avventa la nave in quella direzione a lui sconosciuta ma che ritiene, viste le costruzioni, possa essere abitata e quindi dotata di un qualche approdo; non c’era altra scelta.

L’improvvisa messa in pressione delle caldaie, se dà un forte abbrivio alla pirofregata, mai nome raggruppò in sé due infausti segnali così apertamente premonitori, di contro n’accelera la paventata fine; uno scoppio, la cui ridondante eco rimbalza risalendo lugubre fra i valloni e i dirupi del Promontorio, sconquassa la nave. La ciminiera scoppia ripiovendo in mille frammenti incandescenti; la coperta, con le parti di legno ormai in fiamme, si squarcia aprendosi come una rossa gola di drago fiammeggiante e tutto il cielo si riempie di particelle incandescenti impazzite che, frammiste all’acre e irrespirabile fumo d'olio e pittura che bruciano, paiono lapilli di un’eruzione.

E’ facile immaginare cosa successe a bordo dove, pochi marinai di mestiere, avrebbero dovuto infondere calma ed ordine ad una quantità di giovani fanti, equipaggiati ancora con le pesanti divise di panno invernale che, non essendo marittimi, in un primo tempo si saranno sicuramente paralizzati dalla paura trasformatasi poi in panico all’udire il grido <al fuoco, al fuoco >.

Non c’è nulla di peggio, in un’emergenza in mare, che il farsi prendere dal panico; purtroppo invece è ciò che quasi sempre succede, causa prima delle tragedie che leggiamo sui quotidiani. Le urla di terrore e d’implorazione, frammiste a quelle dei primi ustionati e dei feriti, si sovrapposero agli ordini di servizio, alimentando il caos. La vista della vicina costa e il mare non agitato, anziché rincuorare i sopravvissuti, suscitò l’ingannevole stimolo a tentare di raggiungerla a tutti i costi; iniziano ad accalcarsi, schiacciandosi gli uni sugli altri, premuti anche da quelli più dietro che, ancora su per le scalette d’uscita dai boccaporti, non vogliono restare ultimi ad abbandonare la nave. S’ignorano e si calpestano pure i feriti e gli ustionati; tutto avviene sotto una pioggia di fuoco e in ambiente reso invivibile dalle strutture ormai surriscaldate e con le zone di calpestio, incandescenti.

Allertati da questa scena apocalittica, i pochi abitanti presenti in San Fruttuoso, gli uomini validi erano ancora a pesca, si attivano alla meglio; come capita spesso, sono le donne le prime ad intuire d’istinto il da farsi, così come s’allarmano le leonesse se ai loro piccoli si avvicina un qualche vecchio leone.

Le uniche due donne valide, le sorelle Maria e Caterina Avegno, la prima intenta ad allattare l’ultimo nato e l’altra a confezionare il <frugale pasto >, si precipitano alla spiaggetta, capiscono subito la situazione e varano la loro barchetta per raggiungere quell’inferno. Da esperte rematrici, così come la dura vita del borgo imponeva, corrono a portare soccorso.

Mentre armeggiava, Maria avrà certamente pensato a suo figlio Paolo, appena scampato ad un naufragio in terra di Spagna, e da quel ricordo avrà trovato nuova motivazione leonina mentre, davanti a loro, imponente e dominante appare l’alta prua squarciata e in fiamme della fregata, quasi sanguinolenta fauce d’orca fiocinata a morte sulla spiaggia. Tutte le braccia di quegli sventurati, troppo giovani per morire così ingloriosamente, si tendono verso la fragile barchetta governata dalle due ardimentose; molti ne salvano ma, più il tempo passa e più il panico strizza il cervello a quelli che ancora attendono soccorso. Non appena vedono alla loro portata quel fuscello, ritenendolo l’unica salvezza, tutti assieme irresponsabilmente, vi si aggrappano, appesantiti pure dalle spesse divise ormai pregne d’acqua, lottando e sgomitandosi sino a far capovolgere violentemente quel guscio.

Caterina, più fortunata, è notata da un bravo marinaio che, sapendo nuotare, la trae in salvo ma di Maria e del suo corpo trascinato sul fondo da quegli esagitati, non se ne saprà più nulla, almeno per quel giorno. Particolare toccante: tutta la rapida sequenza è seguita dal marito Giovanni Oneto che, sebbene avanti negli anni, anch’egli con un’altra barca, si sta prodigando. Soltanto la mattina del 29 Aprile, cinque giorni dopo, il mare, fedele al suo mesto ed immutabile rituale, restituirà il corpo della sfortunata che, inizialmente, pareva voler trattenere tutto per se. Il bilancio della tragedia si chiuse con 24 marinai morti.

 


 

San Fruttuoso (Camogli). Abbazia. Tomba di Maria Avegno e Militi Italici Ignoti

 

Le sarà accordato l’onore, per concessione dei Principi Doria, di essere tumulata fra loro nell’Abbazia, così come un’apposita lapide, oggi traslata nell’atrio del Museo Marinaro di Camogli, ricorda e, vicino le sarà posto uno dei pochi pezzi recuperati dal rogo. Il Comandante Hall, come vuole un’antica tradizione marinara, scenderà per ultimo dai resti di quello che sino a poco prima era stato il suo vascello; finalmente, solo quando sopraggiunge la notte, tutti i sopravvissuti sono in salvo.

Passeranno però altre notti con la baia sempre sinistramente arrossata dai tizzoni che ancora ardono qua e là, sulle ultime parti vive dello scafo; questo lento consumarsi, sembra voler perdurare per rischiarare il più a lungo possibile il mare, così da facilitare l’improbabile “ritorno” di Maria.

 


La Regina Vittoria conferì alla memoria di Maria la Victoria Cross, la più alta onorificenza militare britannica. Il Console inglese Brown consegnò 10 sterline alla superstite Caterina e 50 sterline alla famiglia di Maria Avegno.

Dobbiamo riportare, per completezza di cronaca che, alla famiglia dell’eroina, il Governo di Sua Maestà Britannica elargì una bella somma cui si aggiunse una pensione annuale, assegnatale dal Ministero dell’Interno Italiano mentre, Sua Maestà il Re conferiva, ad entrambe le sorelle, la medaglia d’oro; anche la Francia, alleata, fece pervenire al vedovo un discreto aiuto.

Oggi, di quel gesto, resta la testimonianza ufficiale anche a Genova, nell’atrio del Palazzo Comunale, immortalato in una lapide e pure il Comune di Camogli, competente per territorio, ha apposto l’epitaffio cui si è accennato, concedendo pure alle due eroine un <Distintivo d’onore in oro >.


 

Sono ancora coricato sulla spiaggia a guardare quel mare calmo e lucido, e m'é difficile immaginare una così violenta tragedia in un luogo che, invece, sembra creato apposta per fantasticare dolci sogni, avvolti come si è, nell’armonia dei suoi colori contrastanti.

Quel tragico rogo purpureo ritorna inconsciamente nella tavolozza d’Ubaldo Merello, il pittore che più di tutti ha intriso d’amore le sue vedute degli scorci di questi luoghi “reconditi e di divina bellezza”

Per dire delle mie sensazioni, basta la poesia d’Adriano Sansa, genovese per scelta, là dove nella sua <Un mattino di sole a Dicembre > scrive:

…Se quando sarà sera sentiremo

la voce che ci chiede spiegazione

di questa breve sosta consumata

contemplandoci vivi,non sapremo

dire se non che il sole qualche volta

martella duramente, ma quest’oggi

è stato dolce senza una ragione.

 

 

Renzo BAGNASCO

 

Rapallo 14 giugno 2016

 


PRINCIPESSA JOLANDA. Un errore di Percorso...

IL VARO DELLA PRINCIPESSA IOLANDA

 

Un errore di percorso...

Nell’arco del 1800, quasi ogni paese della Riviera di levante ha ospitato un cantiere navale di piccole o grandi dimensioni, in un angolo del proprio litorale. Molti furono, quindi, i velieri, i pinchi, le tartane, i leudi e i gozzi che nacquero sotto gli occhi dei nostri nonni per opera dei “mastri geppetto” che, da queste parti, si chiamano maestri (mastri) d’ascia. Il loro ricordo, per fortuna, si perpetua ancora attraverso qualche raro figlio o nipote che professa questa arte, quasi di nascosto, con la stessa maestria di un tempo.

Foto Archio Pietro Berti

F.1 In questa rara fotografia  si può notare la bellezza e lo slancio del brigantino a palo ISIDE, un’autentica opera d’arte.

 

Nel suo libro ‘Capitani di Mare e Bastimenti di Liguria’, lo storico camogliese Giò Bono Ferrari ci racconta del Cantiere di Rapallo che fu attivo dal 1868 fino allo scoppio della Prima guerra mondiale.

“... proprio ove ora s’erge, fra una gloria di palme, di pinastri e di fiori, il bronzeo monumento ai Caduti, sorgeva allora il sonante cantiere navale, dal quale scesero in mare maestosi bastimenti da 1000 e più tonn. La strada delle Saline, quella dalla tipica porta secentesca, pullulava a quei tempi di calafati e maestri d’ascia. E v’erano i “ciavari” con le massacubbie ed i ramaioli, nonché i fabbri da chiavarde per commettere i “cruammi” (corbame). E gli stoppieri, i remieri e il burbero Padron Solaro, socio del camogliese De Gregori, che aveva fondachi di velerie, d’incerate e di bosselli. I costruttori che s’alternarono sull’arenile di Rapallo furono dei più valenti in Liguria: G.Merello, il Craviotto e l’Agostino Briasco. E i clienti più affezionati di quel Cantiere furono i camogliesi”.

 

Tralasciando i nominativi delle imbarcazioni minori destinate al cabotaggio: Tartane, Golette, Scune, Leudi, elenchiamo i seguenti bastimenti di oltre 1000 tonn. che erano destinati alla navigazione oltre i Capi (Horn, Buona Speranza, Leewin) da sempre considerati i “CAPI” dei continenti che guardano verso Sud.

 

ISIDE –           nave, costruttore G.Merello, Armatore Cap. Rocco Schiaffino

 

ESPRESSO – nave, costruttore Craviotto, Armatore F. Ferrario

 

GENEROSO C. nave, costruttore A.Briasco, Armatore Cap. A. Chiesa di Ruta. Questo veliero affondò nella Sonda di Montevideo, l’anno 1874. La figlia dell’armatore signora Luisa Chiesa, sposa del capitano del barco Filippo Ogno, si salvò con parte dell’equipaggio, dopo di tre giorni di lotta con il mare in tempesta.

 

FERDINANDO – nave, costruttore G.Merello, Armatore F. Schiaffino di Camogli

 

NICOLETTA - nave, costruttore G.Merello, Armatore A. Felugo di Camogli

 

SIFFREDI -   nave, coStruttore G.Merello, Armatore A. Siffredi

 

GIUSEPPE EMANUELE – nave, Armatore cap. Filippo Denegri di Camogli

 

CACCIN – il maestoso e ammirato alcione di ben 1.500 tonn. marca “Stella”. Che il Briasco ideò e costruì per l’armatore G.B. Cichero di Recco.

 

Oggi si stenta ad immaginare che la zona descritta da G.B. Ferrari, sia stata il cuore pulsante dell'industria e del commercio di Rapallo, quando anche la lingua, intrisa di termini marinareschi e mestieri ormai scomparsi, odorava di pece, catrame e rimbombava di echi medievali, ultimi sibili di un'era legata al prezioso legname da costruzione navale.

 

Il Congresso di Vienna (1815) diede il primo “colpo di timone” al pianeta- mare, e dai riformatori, intellettuali e docenti vennero regole moderne ed una forte spinta a creare una ‘Nuova Marina Mercantile’, che doveva unificare tutte le tradizioni marinare del Paese e trasformarle secondo una formula tanto breve quanto efficace: “L'arte del navigare va accompagnata da una scienza del navigare stesso”.

A metà ‘800 si passa, quindi, dal romanticismo dei “Capitani Coraggiosi” ad una classe di professionisti. Cantieri e Scuole Navali sorgono dirimpettai, perché legati ai “bisogni” della nuova industria marittima che sente avvicinarsi il rombo del motore della Rivoluzione Industriale e quindi la necessità di essere pronti al passaggio epocale dalla marineria velica a quella moderna.

 

La transizione dal legno al ferro

 

Nella seconda parte del XIX secolo, la marineria mondiale si trovò ad un giro di boa e, per adeguarsi ai nuovi venti di rinnovamento, dovette affrontare una duplice trasformazione, sia in campo militare che in quello mercantile: la transizione dal legno al ferro e dalla vela al motore.

 

La costruzione in ferro richiedeva la radicale conversione della manodopera ed una nuova organizzazione dei cantieri.
 In campo militare, invece, il passaggio dalle navi a vela in legno, alle navi a motore in ferro fu più rapido a causa del nazionalismo che premeva sugli Stati europei accelerandone la spinta tecnologica: occorrevano navi sempre più armate, potenti e veloci.

 

Per rimanere nel nostro ambito regionale, in questo periodo rientrò il progetto e la costruzione, in soli otto anni, dell’Arsenale Militare di La Spezia (1862-1869) e la fondazione della Regia Scuola Superiore Navale di Genova (1871).

Le altre cause che accelerarono lo smantellamento dei cantieri navali minori, furono il progressivo insabbiamento di buona parte del litorale marittimo e, in gran parte, l’incalzante processo industriale che convertì o sostituì progressivamente le aziende a conduzione familiari configurandosi come uno stabilimento di lavoro fra i più complessi.

 

Più in generale, con l'avvento della propulsione meccanica, le tecniche costruttive dovettero  adeguarsi alle nuove esigenze commerciali. Costruire navi non era più esercizio da maestro d'ascia, carpentiere e nostromo, ma diventò una professione tagliata su misura per l’Ingegnere navale. Maturò così a fine secolo il passaggio di consegna dei segreti costruttivi dal Capo Cantiere all’Ingegnere laureato presso le facoltà Universitarie. Il suo bagaglio scientifico era quasi sempre arricchito da esperienze acquisite su scali “furesti”: francesi, inglesi o tedeschi durante le costruzioni di famosi transatlantici di cui riportiamo i nomi più celebri, la Compagnia di navigazione, la data del varo e la stazza lorda.

 

- GREEK (CHIGNECTO) (Union Castle) 1893, 4.747 G.T – ST. LOUIS (American Line) 1895, 11.269 G.T. – ST. PAUL ( American Line) 1895, 11.629 G.T. - KAISER WILHELM DER GROSSE (Norddeuscher Lloyd) 1897, 14.349 G.T. - BRAEMER CASTLE (Castle Line) 1898, 6.266 G.T. – CARISBROOK CASTLE (Castle Line) 1898, 7.626 G.T. – OCEANIC (White Star) 1899, 17.274 G.T. - FURST BISMARCK (Hapag) 1899, 8.430 G.T. - GLENART CASTLE (Union Castle) 1900, 6.575 G.T. – KRONPRINZ WIHELM (Norddeutsceh Lloyd) 1901, 14.908 G.T.  – REPUBBLIC (Hapag Lloyd) 1903, 18.072 G.T. - KAISERIN AUGUSTE VICTORIA (Hapag Lloyd) 1905, 24.581 G.T. – LUSITANIA (Cunard) 1906, 31.550 G.T.  – MAURETANIA (Cunard) 1906, 31.938 G.T. – TITANIC OLYMPIC (White Star) 1911 G.T.46,329-45.328

Dal brigantino “disegnato segretamente sulla sabbia dal mago del vecchio cantiere”, ormai in crisi d’identità, si passò alla sala a tracciare: una vastissima proiezione di linee matematiche e analitiche prefiguravano il progetto della nuova costruzione in grandezza naturale.

 

La ‘sala a tracciare’ era una struttura coperta sul cui pavimento costole, bagli, madieri, venivano disegnati (appunto: tracciati) per poi essere riprodotti in simulacri di legno chiamati seste, da inviare all'officina carpentieri in ferro. Qui, le strutture prendevano forma, tagliando, piegando, forando lamiere e profilati che poi venivano trasferiti sullo scalo, sistemati al loro posto e collegati al resto dello scafo. Lo scafo cresceva così, con un elemento strutturale alla volta.

 

 

La “sala a tracciare” era quindi la cella del nuovo tempio, ed il ‘sacerdote’ che officiava il nuovo rito costruttivo era l’Ingegnere navale. La sua professionalità diventò garanzia e marchio di qualità dei nuovi prodotti navali sul mercato internazionale. La concorrenza tra gli stati europei di grande tradizione storico-navale fu molto aspra e, inizialmente, vide primeggiare gli Stati che ben prima di noi avevano investito sulla rivoluzione industriale.

 

Agli inizi del ‘900 il mercato delle ‘navi di linea’ per il trasporto degli emigranti era in forte espansione e, su pochi ma efficienti cantieri, si concentrò la risposta all’insistente domanda del mercato. Le nostre maestranze costruirono navi di grande qualità ed  eccellenza, in particolare, le navi passeggeri crebbero di numero, di stazza e di dimensioni. In questa accanita competizione, l’Italia riuscì a ritagliarsi un posto di assoluto prestigio che, ancora oggi - nel terzo millennio - costituisce l’asse portante della nostra economia.

 

Ritornando in Riviera...

 

Rapallo, città turistica già nota all’estero per le sue bellezze naturali e climatiche, fu una delle prime città a scegliersi un destino diverso: il turismo di élite, dotato di strutture alberghiere di altissimo livello. La sua rinuncia alla cantieristica navale fu quindi obbligata dall’impossibile convivenza tra il rumoroso scalo posto sul bagnasciuga e la tranquillità cercata dal turista proveniente dal nord, già pesantemente industrializzato e inquinato dai ‘fumi carboniferi’.

 

Il tramonto dei velieri rapallesi coincise, quindi, con le crescenti e svariate opportunità che il nuovo secolo andava dispensando. Spesso, i nuovi investitori sul turismo erano emigranti italiani di ritorno dalle Americhe che puntarono sulle località rivierasche, già pubblicizzate nelle Americhe per il clima da sogno, i bagni di mare, le escursioni culturali di arte profana e religiosa, l’arte eno-gastronomica, ma anche per quelle ludiche, con il celebri impianti dei campi da golf, tennis ecc...

 

Con il primo dopoguerra ripresero, inoltre, a cadenza settimanale, le manifestazioni sportive automobilistiche, nautiche (veliche e motonautiche), ciclistiche natatorie nel Tigullio che proseguirono per tutti gli anni ’60 e giù di lì.

Buona parte della tradizione cantieristica rivierasca si sposta, con caratteristiche del tutto moderne, nella vicina Riva Trigoso.

 

 

 

Riva Trigoso nacque da una favola.....

Una leggenda molto conosciuta in paese narra delle vicende di due giovani rivani, appunto Riva e Trigoso, ai tempi in cui Riva veniva sovente attaccata dai pirati Saraceni.

 

Si dice che quando Riva Trigoso era un piccolissimo paese di pescatori, vi abitava un giovane molto bello e forte di nome Trigoso, il quale amava la bella e brava Riva, dalle trecce color dell'oro. I due decisero di sposarsi, ma, il giorno delle nozze, durante i festeggiamenti, il borgo fu invaso dai pirati Saraceni, che saccheggiarono il villaggio e rapirono le donne più belle; nel tentativo di difendere la sua amata rapita, Trigoso perse i sensi a causa di uno scontro con i pirati, mentre Riva veniva caricata sulla più grossa delle navi nemiche.

 

Quando Trigoso riprese i sensi le navi saracene stavano iniziando a prendere il largo e, realizzato quanto era successo, corse in riva al mare dove iniziò a chiamare a gran voce il nome di Riva, ma, non appena i pirati lo sentirono, gli scoccarono contro una scarica di frecce che lo colpirono in pieno petto e lo fecero cadere al suolo morente. Riva assistette alla scena dalla nave e quando vide il suo sposo morire si scagliò contro il capitano della nave, che la uccise con diverse pugnalate al ventre; subito dopo che spirò, alcuni pirati la presero e la buttarono di peso in mare.

Non appena l'acqua si tinse del rosso del sangue, comparve una grossa onda che colpì la nave e da cui fece cadere diversi forzieri e bauli contenenti una gran quantità d'oro. I pirati non riuscirono però a localizzare il punto esatto e, dopo giorni di ricerche, decisero di salpare. La notte stessa degli Angeli   discesero dal cielo e collocarono, nel punto in cui Riva era morta, un grande scoglio (l'attuale scoglio dell'Asseu), per ricordare ai posteri la giovane fanciulla. Nello stesso momento, nel punto dove morì Trigoso i ciottoli iniziarono un canto d'amore.

 

Passarono molti giorni e anche diversi anni, i pirati non tornarono più e intanto il paese si iniziava ad ingrandire e, mentre i ciottoli continuavano imperterriti a cantare la loro canzone d'amore, la baia dove i pirati persero il loro tesoro (presumibilmente al largo dell'attuale spiaggia di Renà) venne chiamata la Baia d'Oro e i pescatori decisero di dare al loro paese un nome per ricordare i due giovani e la loro grande storia d'amore: il nome, appunto, di Riva Trigoso.

 

A volte le favole si avverano ...

 

Riva Trigoso ritrovò il suo Tesoro, ma non era quello dei pirati, bensì  un grande Cantiere Navale

 

Per quasi tutto l’800, RIVA TRIGOSO era un modesto borgo di uomini di mare divisi tra coloro che imbarcavano per il lungo corso su velieri mercantili, quelli che sceglievano la pesca a corto e medio raggio, ed infine il terzo gruppo, dedito alla costruzione di leudi, rivani e gozzi, tipiche imbarcazioni locali usate per commercio e trasporto di materiali da costruzione e derrate alimentari come vino e formaggi.

 

F.2 Leudi sulla spiaggia di Riva Trigoso

Chi ha un po’ di salmastro nelle vene, sa che un rivano qualunque ha dato molto all’Italia sul mare, e dinnanzi al suo patrimonio genetico occorre riflettere e fare chapeau.

 

Il Cantiere navale di Riva Trigoso, grazie alla sua perfetta location, assorbì sia le maestranze locali citate, sia quelle dei cantieri rivieraschi in via d’estinzione. Questo ‘passaggio di consegne’ garantì, in ogni caso, la sopravvivenza di quel patrimonio di dati tecnici maturato da molte generazioni di costruttori navali. Grazie a questo intelligente connubio, Riva Trigoso  diventò in breve tempo uno dei maggiori Cantieri Navali Italiani.

 

F.3  Il C.L.C. Erasmo Piaggio, Senatore del Regno d’Italia

L’uomo che vide lungo, l’artefice del ‘magic moment’ rivano, fu Erasmo Piaggio  (Genova 1845-1932), l’imprenditore-armatore che il 1°agosto del1897 fondò il Cantiere dallaSocietà Esercizi Bacini, costituita dallo stesso senatore per la gestione dei Bacini di Carenaggio dii Genova. Erasmo Piaggio era ancheAmministratore delegato della società Navigazione Generale Italiana  (N.G.I), nata nel 1881  dalla fusione delle flotte  Rubattino e Florio e rinforzatasi con le flotte Raggio e Piaggio. Sotto la sua direzione questa compagnia si andava imponendo sui traffici internazionali con oltre ottanta unità. Il Piaggio ne curava l'ammodernamento con costruzioni studiate in base alle richieste sempre più esigenti della clientela.

 

Il progetto del cantiere, nato per assorbire la maggior parte delle commesse della grande compagnia di navigazione, era quello di un grande complesso in cui concentrare ed assolvere le funzioni di costruzione, esercizio e manutenzione. Il progetto non fu, probabilmente, capito dagli altri membri della compagnia che si opposero in nome di interessi diversi. Di Erasmo Piaggio si racconta che alla fine andò per la sua strada, fondando qualche anno dopo una propria compagnia, il Lloyd Italiano che, legandosi al cantiere di Riva Trigoso, avrebbe costruito le sue navi sotto la regìa dello stesso Piaggio.

L’imprenditore-armatore ne affidò la realizzazione alla Società Esercizio Bacini. I lavori iniziarono il 15 giugno 1898  e dopo quattro mesi si approntarono le prime lamiere. Nel febbraio seguente funzionavano otto scali attrezzati con officine e servizi tecnici ed amministrativi su un'area di 30.460metri quadrati.  Nel settembre successivo si approntò unafonderia di ghisa,  cui seguì quella di bronzo.

Già dal primo anno dalla fondazione, il cantiere diede lavoro a circa 400 persone, delle quali 300 erano di Riva e dintorni. Sullo scalo numero 1 fu impostato un bacino galleggiante in ferro per il porto di Genova, mentre, contemporaneamente furono impostati sugli scali 2 e 3 i piroscafi Flavio Gioia e Amerigo Vespucci della Navigazione Generale Italiana. Sugli scali 4, 5 e 6, sempre per la Navig. Generale, furono impostati l’Isola di Procida, il Sicilia e il Sardegna, mentre lo Zelina e l’Ester occuperanno gli scali 7 e 8.

Elenco cronologico parziale di navi varate a Riva Trigoso dalla sua fondazione fino al drammatico varo della Principessa Jolanda.

 

. Bacino galleggiante 1899.

•   Barca a vapore "ZELINA" 1899.

•   Barca a vapore "FLORA" 1899.

•   Piroscafo postale "FLAVIO GIOIA" maggio 1900.

•   Piroscafo postale "AMERIGO VESPUCCI" giugno 1900.

•   Piroscafo postale "SICILIA" 4 maggio 1901.

•   Piroscafo postale "SARDEGNA" 15 giugno 1901.

•   Rimorchiatore "PROVENCAL I" 1901.

•   Rimorchiatore "PROVENCAL II" 1901.

•   Nave veliero "IOLANDA" 24 giugno 1902.

•   Nave a palo "ERASMO" 18 febbraio 1903.

•   Nave a palo "REGINA ELENA" giugno 1903.

•   Brigantino goletta "EMILIA" 1904.

•   Piroscafo "FLORIDA" 23 giugno 1905.

•   Piroscafo "INDIANA" 10 ottobre 1905.

•   Rimorchiatore "ALLIANCE" 1905.

•   Piroscafo fluviale "DOMINGO" 1905.

•   Piroscafo "LUISIANA" 18 marzo 1906.

•   Piroscafo "VIRGINIA" 10 settembre 1906.

•   Piroscafo fluviale "NATALE" 1906.

•   Nave passeggeri "PRINCIPESSA IOLANDA" 22 settembre 1907 (affondata)

Dall'inizio fino al 1915 si costruirono 65 unità mercantili per la N.G.I, per il Lloyd Italiano, per la Transatlantica Italiana, per laSocietà dei Servizi Marittimi,  e anche per altri armatori. Si costruirono anche le navi  per emigranti del Lloyd e fra queste le due Principesse, figlie dell’allora Re, il Principessa Mafalda, ritenuto il migliorpiroscafo da passeggeri dell'epoca, gemella della Principessa Mafalda, affondata durante ilvaro nel 1907.

F.4 La Principessa Jolanda é sullo scalo. Ultimi istanti di festa e di attesa trepidante prima del VARO.

Il disastroso varo della Principessa Jolanda

 

Un incidente di percorso!

Comandante Ernani Andreatta, lei ed il suo Museo Marinaro di Chiavari, siete gli eredi, i testimoni e i conservatori dell’attività, ormai scomparsa, dei Cantieri Navali Gotuzzo - Rione Scogli di Chiavari che costruì velieri e imbarcazioni di ogni tipo. Francesco Tappani, responsabile del varo della Principessa Jolanda, era suo cugino, il quale “si era fatto le ossa” imparando il mestiere dal padre Matteo Tappani proprio nel Cantiere Gotuzzo. Nessuno meglio di lei può raccontare per Mare Nostrum come si svolsero i fatti, magari aggiungendo, se possibile, qualche inedito storico.

FRANCESCO TAPPANI, capo del progetto delle due “Principesse Iolanda e Mafalda” nel cantiere dei Piaggio, era mio cugino. Suo padre, Matteo Tappani aveva sposato la sorella GIULIA di mio Nonno LUIGI GOTUZZO. Mia madre era infatti Adele GOTUZZO degli omonimi cantiere navali di Chiavari che vararono, in tre generazioni oltre 120 velieri destinati per la maggior parte a viaggiare su rotte oceaniche. Sul suo titolo di studio si é equivocato parecchio, specialmente da parte di chi, non avendo navigato, non sa che con la parola Ingegnere, s’intende il tecnico di bordo, il macchinista navale. In inglese: engineer, in tedesco: ingenieur, nelle lingue scandinave: ingenjör, in francese: ingeniéur.

 

Essendo il Cantiere Navale un territorio internazionale per eccellenza, é probabile ed intuibile che il titolo d’Ingegnere gli sia stato attribuito sul campo,  senza la sua complicità.

 

Una leggenda metropolitana, che stranamente sopravvive ancora oggi, tramanda che dopo questo varo il direttore Tappani si uccise.

 

Si, ne sono perfettamente al corrente, ma ciò è completamente falso. Francesco Tappani, che in seguito divenne emerito Podestà di Chiavari, dal 1932 al 1942, fu un uomo di grande ingegno e di grande perizia tecnica, purtroppo non aveva un solido fondamento teorico. La sua arte era esclusivamente basata sul “genio” e sull’esperienza pratica che aderiva perfettamente alla tendenza dei costruttori navali liguri dell’epoca – e forse non soltanto dei liguri – che rifuggiva da ogni teorica cultura tecnica: “Matteo Tappani, padre di Francesco, era analfabeta”, così afferma un libro inedito del quale sono in possesso, pur essendo valente costruttore, avendo costruito agli “Scogli” di Chiavari velieri in legno che furono considerati di “genio” e giudicati fra i più belli ed efficienti. Il "presunto" analfabetismo di Matteo Tappani, da tutti chiamato "U SCIU MATTE'" non era raro a quei tempi anche se in genere qualcuna di queste persone aveva il genio della matematica. Cioè nel far di conto e di calcolo, Tappani era senza dubbio un genio.

Prova ne sia che firmò i progetti di straordinari velieri come il LUIGIA RAFFO, Il SATURNINA FANNY, L'AUSTRALIA e poi ancora, a Riva Trigoso le navi a palo ERASMO e REGINA ELENA, navi  a quattro alberi con  scafo in ferro. Queste ultime due furono poi cedute dall'armatore RAFFO di Chiavari e acquistate dall'armatore tedesco Laeiz che,   nella vela mondiale,  fu uno dei più importanti. Non solo, nel libro del RINA (a quel tempo si chiamava "VERITAS ITALIANO") del 1883 e seguenti, per quanto riguarda la "Nave" MARIA RAFFO, gemello del LUIGIA, vengono riportati i dettagliati piani di costruzione dei legni  di questa nave portandola ad esempio come "archetipo" costruttivo al quale bisogna attenersi per ottenere i certificati RINA di navigabilità. Chiaramente c'è scritto " COSTRUTTORE MATTEO TAPPANI". (Chiavari Marinara Pag. 48 e seguenti).

Quindi affermare "tout court" che  Matteo Tappani era analfabeta, mi sembra troppo forte e forse assolutamente NON VERO.  Però in quel libro (del quale esistono solo due copie al mondo e una è in mio possesso) scritto a macchina e mai stampato che si intitola "APPUNTI DISORDINATI , QUANTO A DATE, IMPRECISI" sulla storia dei CANTIERI NAVALI DI RIVA TRIGOSO, c'è scritto così. In poche parole, non ho il coraggio di pensare che un uomo ritenuto da tutti come "IL GENIO DELLA COSTRUZIONE NAVALE A VELA" fosse analfabeta. Questo è il mio pensiero.  Inoltre lo stesso libro parla anche di "DISEGNI COSTRUTTIVI CHE SI FACEVANO SULLA SABBIA",  di Matteo TAPPANI restano dettagliati e straordinari piani di costruzione di tutti i generi ancora adesso oggetto di grande ammirazione da parte degli addetti ai lavori. Forse qualcuno disegnava per lui? O forse essendo solo "righe e curve" li tracciava lui stesso? Insomma "il romanzo dell'epoca eroica della vela" nel caso di MATTEO TAPPANI si immerge ancora di più in:  "MISTERO ED EMOZIONE" !

 

 

Ci fu una punizione per il responsabile del disastroso varo?

No! Francesco Tappani non fu materialmente punito e, non solo conservò il suo posto, ma gli anziani Piaggio lo mandarono a “distrarsi” in un lungo viaggio di studio. Pare accertato che andò in Germania presso un cantiere navale per apprendere eventuali esperienze dall'estero.

 

Il Cantiere Navale di Riva Trigoso non era certo al primo esperimento...

Il Cantiere di Riva Trigoso, sorto nel 1889, aveva già costruito transatlantici tipo “Florida” nel 1905, dopo di ché si accinse a costruire i tipi “Principessa”, navi lussuose progettate da Rocco Piaggio che avrebbe dovuto costituire la “Coppia Grande Ammiraglia” sulla linea Genova-Buenos Aires.

 

Che ruolo giocò l’Assicurazione in questa vicenda?

Il disgraziato varo della “Principessa Jolanda” fu dal lato tecnico una grave sciagura, ma lo fu anche dal lato finanziario, in quanto la Società Assicuratrice, basandosi sul fatto che il Direttore del Cantiere, Francesco Tappani, non fosse Ingegnere, invocò la clausola contrattuale del “Fault of skill” (deficienza di capacità) che la dispensava dai suoi obblighi di risarcimento del danno derivante dalla perdita della nave, cosicché l’onere relativo dovette essere sopportato quasi totalmente dalla Società Armatrice. Seguì per i Piaggio un periodo sconfortante. Circa la responsabilità tecnica, i campi erano divisi: i più Anziani della Famiglia Piaggio erano propensi ad ammettere qualche attenuante alle responsabilità di Tappani; Rocco Piaggio, invece, attribuiva a Tappani  ogni responsabilità dando rilievo alla clausola invocata dagli assicuratori.

 

Era tempo di cambiare qualcosa nell’organizzazione del Cantiere?

Rocco Piaggio, sempre fermo sulla dannata clausola assicurativa, insisteva sulla necessità di dare un nuovo e più elevato indirizzo alla direzione del Cantiere. “Bisogna” – diceva – “abbandonare il sistema di fare i disegni sulla sabbia”.  (A quei tempi esisteva a Riva Trigoso una splendida e lunga spiaggia di sabbia finissima che si prestava a tracciare sulla stessa scarabocchi da parte di ragazzi). “Il varo” – diceva ancora Rocco Piaggio – “E’ una operazione di funambolismo”.

Sta di fatto che, con la mentalità di allora, non era facile dare istruzioni in lingua italiana piuttosto che in dialetto genovese, mostrando disegni a provetti marinai quali “Sanpee” (San Pietro) e “Gambalesta”, il primo abilissimo attrezzatore velico, l’altro capace pontista acrobata. Entrambi sembravano voler dire – come del resto anche gli altri Capi (capitecnici) – “Siamo nati su questa spiaggia, abbiamo costruito navi, abbiamo sempre fatto così, volete ora insegnarci con i  “papée” (disegni)? “

Si trattava dunque di cambiare strategia e dare il giusto valore agli Ingegneri?

 

E’ qui da osservare che anche all’epoca delle Principesse prestavano la loro opera in cantiere valenti ingegneri – quale ad esempio Quartieri – che però non erano efficacemente utilizzati, anzi erano regolarmente by-passati dal Tappani.

 

Rocco Piaggio, dopo la drammatica esperienza della P.Jolanda, attenendosi ad un giusto criterio, forse ancora oggi seguito, si faceva segnalare dalla scuola i giovani che dimostravano le giuste  attitudini.

Una  Storia amara

La Principessa Jolanda venne commissionata dal Lloyd Italiano ai cantieri navali di Riva Trigoso insieme alla Principessa Mafalda, sua nave gemella, in onore delle figlie del re Vittorio Emanuele III. Per le due navi, che avevano ciascuna:

 

Stazza Lorda: 9.210 tonnellate – lunghezza: di 141 metri, larghezza: 17 metri

 

due alberi, due fumaioli, due eliche, un apparato motore da 12.000 cavalli e velocità: 18 nodi, erano previsti 100 posti in classe lusso, 80 in prima classe, 150 in seconda e 1.200 posti per gli emigranti.

 

 

La Principessa Iolanda e La Principessa Mafalda, costruite per vincere la concorrenza in campo internazionale, erano già state abbondantemente reclamizzate; in particolare la Jolanda, su illustrazioni che la mostravano già navigante prima del varo e vantando inoltre per le due gemelle una trasformazione epocale per quanto riguardava il trattamento e i servizi per gli emigranti. Sarebbe stato quindi un danno d’immagine sul teatro internazionale, recuperarla e rimetterla in funzione come se niente fosse.

 

Le intenzioni del Lloyd Italiano erano di destinare le due veloci e lussuose navi al servizio di linea per il Sud America, in concorrenza con le società di navigazione straniere di grande prestigio come la Cunard o la White Star Line, la Royal Mail, la Amburghese Sud Americana, il Lloyd Reale Olandese ecc.

 

 

La Principessa Jolanda, primo vero transatlantico italiano di lusso, costò sei milioni di lire e venne dotata - fra i primi - di illuminazione elettrica, telegrafo senza fili e telefono in ogni cabina. Rispetto alla Principessa Mafalda, la Principessa Jolanda venne ultimata per prima, e, allo scopo di entrare in servizio il prima possibile, era già stata completamente allestita con attrezzature, motori, arredamenti e suppellettili. Si preferì distruggerla sul posto recuperando tutto quello che si poteva e ricominciare da capo con la Principessa Mafalda che scendeva in acqua l’anno dopo ed era la copia perfetta della Principessa Iolanda.

Il significato del Varo Tradizionale

 

“Il varo di una nave ha sempre rivestito un fascino particolare, soprattutto nei tempi antichi, quando la navigazione in mare aperto comportava dei rischi e delle difficoltà oggi difficilmente immaginabili.

 

I marinai, letteralmente, affidavano la propria vita alla nave ed il significato più profondo della cerimonia del varo risiedeva nel legame di assoluta fiducia che gli uomini le assegnavano.

 

Proprio per questo motivo durante il varo si celebrava la benedizione, per sottolineare la solennità del rito che conferiva alla nave un prestigio senza eguali in altri mezzi di trasporto.”

 

Fasi del varo:

 

Prima fase – Dall’inizio del movimento all’inizio dell’immersione in mare.

 

Seconda fase – Dall’inizio dell’immersione a quando la parte dello scafo comincia a sollevarsi e a galleggiare con una rotazione intorno all’asse trasversale dell’estremità posteriore dell’invasatura.

 

Terza fase - Quando tutto il sistema liberamente galleggia e si allontana dall’avanscalo.

L’ultimo periodo della seconda fase del varo è fra tutti il più critico, in quanto che la pressione sempre che vada continuamente diminuendo, pur tuttavia si manifesta su una limitata zona di appoggio dello scalo, ciò che può produrre effetti dannosi alla nave ed al piano di scorrimento, il quale può perfino cedere sotto l’eccesso di peso. Per tale

 

motivo, questa fase va accuratamente studiata, allo scopo di prevenire codesti dannosi effetti.

22.9.1907

 

 

Il Varo della “PRINCIPESSA  JOLANDA”

Alla presenza di numerose Autorità, la Principessa Jolanda fu varata alle 12,25 del 22 settembre 1907 a Riva Trigoso. Madrina della cerimonia fu Ester Piaggio, moglie del senatore Erasmo Piaggio, presidente del Lloyd Italiano.

F.5 Questa foto coglie l’attimo dell’inizio del drammatico varo della

 

Principessa Jolanda.

Il consueto urlo di gioia che si levò dagli operai del Cantiere al momento del varo, fu strozzato da un angoscioso silenzio e dalla paura per la vita del personale imbarcato, da quel momento drammaticamente in pericolo.

 

 

F.6 Improvvisamente accadde l’imprevisto ...

La grande nave, madrina la signora Ester Piaggio, scende in mare con le bandiere al vento, contornata da decine di barche e tra le acclamazioni della folla. Subito dopo aver perso l'abbrivio a poco più di cento metri dalla riva il piroscafo comincia a sbandare sul lato sinistro. Il fumo bianco che si vede sotto la prua è dato dall'attrito dei vasi (sostegni di legno sotto lo scafo) che scorrono sullo scalo. Il sistema è stato convenientemente lubrificato il giorno prima del varo.

Appena terminata la corsa sullo scivolo del varo e toccata l'acqua, la nave si piegò su un fianco, iniziando ad imbarcare acqua dagli oblò non ancora montati. Concluse la sua corsa mare ed impiegò circa venti minuti per abbattersi definitivamente sul fianco. Nel frattempo le maestranze diedero inutilmente fondo l’ancora di dritta per controbilanciare lo sbandamento. I rimorchiatori cercarono di trascinarla verso il fondale sabbioso del basso arenile.

 

La Principessa Jolanda imbarcò acqua e si arrese per sempre ai molteplici tentativi di recupero, messi in opera successivamente, sotto la direzione dell’Ing. Tappani.

Operazioni di Salvataggio

F.7 Nelle due immagini, sopra e sotto, La Principessa Jolanda ha dato fondo l’ancora per contrastare lo sbandamento. Si noti il personale assiepato sullo scalandrone nell’attesa che il rimorchiatore li porti in salvo.

 

F.8 Un  po’ di Buona Sorte

 

La lentezza con cui la nave si piegò sul fianco, permise il completo salvataggio delle maestranze del Cantiere ad opera delle numerose imbarcazioni che affiancarono la sfortunata principessa.

F.9 Vista sul fianco sinistro, ormai abbattuta di 80°, la Principessa Jolanda imbarca acqua anche dai ponti superiori. Il drammatico sbandamento della nave, ripreso dal lato opposto, contrasta con la festosa esposizione del Gran Pavese

 

I Danni

F.10   Lo scafo della Principessa Iolanda fu abbandonato ai danni del Cantiere costruttore. La nave fu in seguito demolita sul posto. I motori furono recuperati ed installati su due navi da carico già in costruzione.

Nelle settimane seguenti al naufragio furono molte le visite e le ispezioni al relitto. I tecnici del cantiere navale salirono sulla fiancata della nave, che spuntava dall'acqua, per valutarne la situazione e la possibilità di recupero. Tuttavia, ciò non fu ritenuto possibile. Venne perciò prelevato quanto si poté salvare, mentre il resto della nave fu recuperato, smaltito e venduto ai demolitori.

F.11

Cause dell'affondamento

Il cedimento dell’avanscalo

 

-  Il mancato zavorramento dei doppi fondi della nave

 

-  In via preventiva, non furono chiusi gli oblò dei ponti inferiori della nave.

 

- A rendere totale la perdita contribuì, con tutta probabilità, un R - A negativo.

 

 

Dalle varie fotografie esistenti si nota che il pescaggio della Principessa Jolanda era veramente esiguo e che il baricentro era esageratamente alto. Poiché il carbone non era ancora stato caricato ed era privo di zavorra, bastò pochissimo per dare alla nave lo sbandamento iniziale, che si aggravò di lì a poco. Inoltre, durante la discesa sullo scivolo del varo, mentre la poppa, con una rotazione sull'asse trasversale della nave, aveva toccato l'acqua e aveva iniziato a sollevarsi, la prua premette contro lo scivolo stesso, forse causando una falla sulla chiglia che contribuì all'affondamento.

Alla fine venne stabilito che l'intera responsabilità della perdita del piroscafo era da attribuirsi al cantiere navale, colpevole di errori di calcolo

Molte polemiche sorsero al varo del Principessa Jolanda per il suo rovesciamento avvenuto non appena aveva toccato l’acqua.

Non tutto il male viene per nuocere

 

E, come si suol dire, “dopo aver toccato il fondo” in quella tristissima occasione, il Cantiere di Riva Trigoso in seguito non sbagliò mai più un colpo.

Il suo prestigio é arrivato a toccare livelli d’eccellenza tecnologica che non ha pari in Europa, specialmente nel campo delle costruzioni militari. Il numero di navi costruito dal Cantiere di Riva Trigoso a noi risulta essere di 185 navi dal 1899 al 2013, ma potremmo sbagliarci per difetto.... Questi dati, più o meno ufficiali, onorano la nostra terra di Liguria, il nostro Paese e le nostre maestranze alle quali AUGURIAMO di superare al più presto l’attuale momento di crisi dell’occupazione.

 

STABILITA’ STATICA TRASVERSALE

 

  • E’ accertato che gli oblò non erano stati montati; se quindi a nave sbandata, la fila più bassa si é immersa sott’acqua, la nave ha cominciato a imbarcare acqua aggravando ulteriormente la situazione.
  • Il cedimento accertato dell’avanscalo, potrebbe aver causato una falla sotto lo scafo, dando inizio alla tragica sequenza.
  • La stabilità può essere “stabile”, “instabile”, “indifferente”. Questo dipende dalla posizione reciproca fra il centro di gravità e il centro di carena o di spinta e il metacentro. Il metacentro è il punto d‘intersezione del piano diametrale con la direzione della spinta applicata al nuovo centro di carena a nave sbandata. Man mano che la nave in acqua calma, si inclina, M comincia, sul piano diametrale a scendere verso G. Finché è al disopra di G la nave è in equilibrio stabile, quando coincide con G è in equilibrio indifferente, quando M passa al di sotto di G, l’equilibrio è instabile e la nave si capovolge.

Si consideri una nave liberamente galleggiante in acqua calma e con ponti orizzontali. In queste condizioni il G (baricentro) e il peso P coincidono (spinta verso il basso) e  C (centro di carena o di spinta S verso l’alto) risultano allineati nel diametrale. Fig. a sn.

 

Quando una causa esterna, vento o mare, fa sbandare una nave, mentre G rimane fermo, il C si sposta verso il lato più immerso e la spinta diventa parallela al P formando con essa una coppia di forze raddrizzanti, il cui momento misura, in T per m la stabilità statica trasversale.

F.12  Sagome, pescaggi, dimensioni, angolo di sbandamento, posizione degli oblò sono state ricavate dalle fotografie;

 

La posizione del centro di spinta (C/S) si ritiene essere abbastanza precisa;

 

La posizione del centro di gravità (G/P) è approssimata. Apprezzata e desunta in funzione del pescaggio. Comunque anche se G/P fosse stata più in basso la situazione generale non sarebbe cambiata di molto.

 

Dalle sagome prese in esame risulta che per uno sbandamento di 12°/18° la prima fila di oblò sarebbe già stata sotto il livello del mare.

F.13

Rappresentazione grafica di una nave sbandata sulla dritta. Il metacentro m è basso sotto il baricentro G, la nave ha altezza metacentrica negativa. Questa nave non rimane né in verticale né inclinata.
 Probabilmente si è capovolta al varo.

Equilibrio delle forze durante lo scorrimento

B

 

Bilancio delle forze al momento della rotazione

C

 

Bilancio delle forze al momento del saluto

Per schematizzare quello che può succedere durante il varo, possiamo immaginare di "congelare" i momenti più importanti: A) - il distacco, quando inizia lo scivolamento dell'invaso sullo scalo; B) - la rotazione, quando la nave comincia lo strapiombamento, quando la prua si solleva dallo scalo con tutto l'invaso; C) - il saluto, quando la prua affonda in acqua prima di lasciare lo scalo.

 

Cominciamo a descrivere la fase del distacco. La preparazione dev'essere accurata, dato che il varo è un'operazione che in caso di problemi non può essere interrotta o rallentata.

 

Bisogna trasferire il carico della massa della nave dalle taccate e dai puntelli che l'hanno sostenuta durante la costruzione, all'invaso, una struttura di sostegno costituita da due grandi pattini di legno che dovranno far scivolare, con l'aiuto di un lubrificante, la nave sullo scalo.

 

Prima di lasciar andare la nave, le taccate di appoggio sullo scalo vanno gradualmente smontate. Le taccate di poppa, che sono le più pericolose poiché sopportano un carico enorme, vanno demolite per ultime, subito prima del varo. Per questa ragione l'operazione di rimozione delle taccate di poppa è sempre stata in passato particolarmente pericolosa e non era facile reclutare personale disposto a compiere l'operazione.

 

Non sempre l'inclinazione dello scalo è sufficiente a vincere l'attrito iniziale: può essere necessario il ricorso a martinetti idraulici o ad altri mezzi ausiliari per dare l'abbrivio iniziale all'invaso. Una volta che la nave ha iniziato a scivolare verso l'acqua, il calore che si sprigiona dall'attrito fra lo scalo e l'invaso è enorme, addirittura da incendiare il lubrificante sotto i pattini.

 

Dal punto di vista delle forze agenti sulla nave, dopo il distacco e durante lo scivolamento, sulla stessa agiscono la forza di gravità e la reazione dello scalo. Le due forze non sono in equilibrio, dato che il piano dello scalo è inclinato, e la risultante è proprio la forza che accelera costantemente la nave verso l'acqua (figura A).

 

A questo punto, tutto dipende dalla lunghezza dello scalo. Se lo scalo fosse di lunghezza infinita non ci sarebbero problemi particolari, infatti la poppa man mano che si immerge riceve una spinta idrostatica sempre maggiore, fino al momento in cui riesce a sollevarsi dall'invaso mentre questo prosegue la sua corsa: questo è il momento della rotazione.

 

In questo caso (figura B), mentre la forza di gravità rimane invariata, la spinta idrostatica aumenta con l'immersione della poppa, fino al punto in cui:

 

S x (a+b) > P x a

cioè il momento dovuto al galleggiamento supera quello dovuto al peso e la poppa comincia a sollevarsi dall'acqua.

 

Quando invece, lo scalo non è lungo abbastanza da immergere la poppa e consentire la rotazione, si verifica il fenomeno opposto: la poppa cade verso il basso con tutto l'invaso (non essendoci più lo scalo a sostenerli) e la prora si solleva nel momento dello strapiombamento.

 

Se lo strapiombamento è di breve durata non ci sono problemi, altrimenti la stabilità trasversale può risultare compromessa. Il calcolo della lunghezza minima di scalo necessaria ad evitare lo strapiombamento è una delle verifiche più importanti da eseguire prima del varo. Nei casi più critici, si costruisce un prolungamento dello scalo per eliminare o ridurre questo fenomeno.

 

Schematizzando anche questo fenomeno in termini di forze (figura C) si può dire che si ha lo strapiombamento quando il baricentro si trova sulla verticale della fine dello scalo:

P x a > S x (a+b)

cioè il momento dovuto al peso supera quello dovuto al galleggiamento e la poppa tende a precipitare verso il fondo.

 

Il momento conclusivo del varo è il sollevamento completo della nave e dell'invaso. Anche in questo caso, se lo scalo risulta corto, l'invaso a prua si trova improvvisamente privo di sostegno e la prua effettua un tuffo verso il basso che si chiama saluto.

 

Il diagramma delle forze (figura C) ci aiuta a comprendere il saluto se consideriamo quello che accade nell'istante in cui l'invaso lascia lo scalo. Se, quando l'invaso si trova sulla verticale dello scalo, la nave non è già in equilibrio fra peso e spinta idrostatica, cioè: R > 0

 

allora appena viene a mancare la reazione dello scalo, la prora si immerge in acqua con un tuffo fino a ristabilire il naturale assetto di galleggiamento.

 

Come nel caso precedente, anche il saluto, se l'altezza del tuffo è piccola, non crea alcun problema al varo, ma tale altezza va accuratamente verificata nei calcoli.

 

Se  (r - a) era   Inizialmente minima o addirittura negativa, ciò avrà influito in modo determinante...al rovesciamento della nave.

 

Se lo strapiombamento è di breve durata non ci sono problemi, altrimenti la stabilità trasversale può risultare compromessa. Il calcolo della lunghezza minima di scalo necessaria ad evitare lo strapiombamento è una delle verifiche più importanti da eseguire prima del varo. Nei casi più critici, si costruisce un prolungamento dello scalo per eliminare o ridurre questo fenomeno.

RINGRAZIO

IL COMANDANTE ERNANI ANDREATTA per l’intervista concessa a MARE NOSTRUM

 

Il COMANDANTE NUNZIO CATENA per la Revisione scientifica del Varo

 

L’AIDMEN per lo studio sulla STABILITA’ STATICA TRASVERSALE

Carlo GATTI

Rapallo, 3 Gennaio 2014

 


EMILIO ED IO… Le opere di Emilio CARTA

EMILIO ED IO…

LE OPERE DI EMILIO CARTA


Da sinistra: Gianni Arena, Carlo Gatti, Marinella Gagliardi Santi, Emilio Carta, Rinaldo Santi. L’Evento si riferisce alla presentazione del libro di M. Gagliardi Santi:

NON COMPRATE QUELLA BARCA.

Conobbi Emilio Carta 30 anni fa, all’epoca era responsabile dell’Ufficio Stampa, Turismo e Cultura del Comune di Rapallo.

Era appena terminata una delle prime Mostre di Mare Nostrum al Castello di Rapallo, di cui Emilio era ANIMATORE ED ORGANIZZATORE per conto dei Modellisti Rapallesi.

Lo cercai in Comune, gli raccontai del mio lavoro, della mia collezione di fotografie di navi che, in quello stesso giorno, gli mostrai a casa mia.

Si dimostrò subito un incontro SPECIALE …

Scoprimmo con un certo stupore che usavamo lo stesso LINGUAGGIO MARINARO. Emilio aveva navigato su vecchi LIBERTY e in seguito, per seguire un altro tipo di talento, riuscì a farsi assumere dal Comune di Rapallo.

Ognuno ha la sua storia! Anch’io, dopo 14 anni di mare, ero riuscito a vincere il concorso da Pilota del porto di Genova.

Alla fine, per i giochi fatui del destinoavevamo lasciato provvisoriamente la navigazione, ma il MARE ci era rimasto dentro e sprizzava fuori con nostalgia ogni volta che entravamo in argomento, specialmente nelle nostre lunghe conversazioni mattutine sul lungomare di Rapallo.

Ma Emilio aveva una marcia in più, nella sua posizione di ADDETTO STAMPA e di giornalista del Secolo XIX era un profondo conoscitore della burocrazia cittadina, delle persone più influenti, delle Autorità ed era stimatissimo nel suo lavoro di organizzatore di EVENTI.

Emilio, persona intelligentissima, capì al volo che unendo le nostre rispettive PROFESSIONALITA’ con “il comune cuore rapallino”, avremmo potuto dare molto alla nostra città.

Non solo, ma ben presto scoprimmo anche di “ragionare” con un comune cervello! Mai alcun contrasto, mai una divergenza tra noi in tanti anni di continue scelte di persone e di obiettivi. Le nostre sinergie e competenze erano del tutto COMPLEMENTARI.

Da quel momento io lo trascinai per gli oceani con le mie storie di mare e lui me le fece scrivere fin da subito sulle riviste che dirigeva: (IL MARE, IL NUOVO LEVANTE, PENISOLA).

Anno dopo anno MARE NOSTRUM RAPALLO diventava una specie di Università del mare nella quale si fondevano ricerche storiche e testimonianze di grandi personaggi della cultura marinara italiana ed internazionale. La collaborazione con altre Associazioni nazionali e i grandi Musei del Mare ci hanno permesso di entrare nel giro del grande “sapere marinaro” che ci ha permesso di redigere circa 600 importanti saggi, vere piattaforme di lancio per le nostre Mostre infarcite di numerosi eventi di qualità.


Un’espressione gioiosa di Emilio Carta mentre riesce a sciogliere un “gruppo” proposto dal “Mago dei nodi” Andrea Maggiori durante l’Evento La storia dei nodi marinari e le loro funzioni” (2015).

Carlo Gatti accanto a Nicola Costa durante l’evento:

COSTA, un pianeta che parla Rapallino. (2012)

Insieme abbiamo dato vita a circa 30 mostre, 200 eventi legati al mare, e circa 300 incontri culturali dedicati a fatti storici navali, convegni, presentazioni dei nostri libri, delle numerose pubblicazioni di Mare Nostrum, dibattiti e numerose richieste di collaborazione da parte di Associazioni che ci invitavano da tutta la Liguria, da Spezia a Savona, eravamo degli abituè di Palazzo Ducale a Genova e di molte altre importanti sedi culturali del capoluogo e della Regione. Ogni sabato o domenica eravamo ospiti da qualche parte…per portare la storia di Rapallo, sia in estate che in inverno e le ferie le facevano nello stesso mese di settembre, lui in Sardegna ed io in Svezia.

Le nostre rispettive mogli: Marziana e Guny ci hanno sempre assecondato e l’ascesa di M.N. fu merito loro, della loro infinita pazienza e dell’amore per la nostra città!!!

La vita di Emilio possiamo raccontarla anche così:

EMILIO - IL CARATTERE

Ormai pensionati, accadeva spesso che facessimo delle “vasche” in “caruggio drito”, e che poi c’infilassimo in qualche ufficio del Comune per le pratiche di M.N. dove Emilio aveva lavorato per tanti anni, ed ogni volta mi rendevo conto di quanto la gente semplice della città ed i suoi ex colleghi lo amassero per quel suo carattere semplice, gioviale, sincero e scanzonato! Il suo indirizzo elettronico BATTUBELIN… rispecchiava fedelmente il suo “essere LIBERO, senza vincoli e soggezioni”; quel suo AMARE LE PERSONE SEMPLICI che mai gli avrebbero dato ORDINI o imposto qualcosa; quell’affetto aveva un ritorno di SAGGEZZA popolare che lui usava per “colorare” i suoi scritti …

In Emilio il senso dell’umorismo era innato, ricorderete gli scherzi che s’inventava ogni Primo di Aprile: le Pepite d’oro nel Boate… il Cannone del galeone ed altri…

EMILIO - RADIOTELEGRAFISTA navigante

Il Marconista di bordo é un personaggio anomalo e “misterioso” perché é sempre a conoscenza dei segreti tra l’Armatore ed il Comandante, tra il marittimo imbarcato e la sua famiglia; l’RT é il testimone operativo della trasmissione radio perché la regola e la migliora. Ovviamente é tenuto al segreto professionale. Ha il grado di Secondo Ufficiale, ma il lavoro che lui svolge col tasto Morse e le cuffie lo conosce solo lui. Nessuno sarebbe in grado di sostituirlo.

La notte della LOCARNO incagliata sulla passeggiata di Rapallo, era il gennaio 1961, intervenne un radio telegrafista di Rapallo che si mise in comunicazione con la nave, in pieno blackout, tramite il clacson della propria auto parcheggiata a ridosso della nave. Un fatto eccezionale!

Emilio aveva 15 anni ed era presente al “Naufragio in salotto”. Tante volte in seguito mi sono chiesto quanto la prima scelta professionale di Emilio sia stata condizionata da quel piccolo ma significativo “intervento provvidenziale e molto marinaresco!” - Chi scrive era appena sbarcato dal suo secondo imbarco  da Allievo Ufficiale di coperta ed era presente anche lui in quella notte di tregenda. Scrivere con Emilio quella pubblicazione tanto gradita ai rapallini, oggi é per me uno dei ricordi più belli della nostra Storia di Amicizia.

EMILIO - GIORNALISTA e ADDETTO STAMPA del Comune

A bordo dei Liberty Emilio capì che la sua futura professione di terra doveva avere le stesse caratteristiche del “radiotelegrafista” di bordo: essere sempre in ascolto con il massimo fiuto e comunicare liberamente senza troppi vincoli esterni.

Questa sua filosofia esistenziale lo portò a diventare ben presto GIORNALISTA professionista e addetto Stampa nel Comune della nostra città.

Da giornalista “vecchio stampo”, interpretò la sua nuova professione senza avere padroni, ma OPINIONI che esprimeva liberamente senza sudditanze politiche o di altro tipo. Per scrivere i suoi servizi, prima ascoltava, annusava ed usava il buon senso di cui era fortemente dotato!

Il suo modo di scrivere era lineare, diretto e coinciso; usava pochi avverbi e superlativi. La sua scuola era quella personificata da Indro Montanelli, il quale sosteneva che le Leggi, o qualsiasi Normativa, persino i bugiardini dei medicinali dovessero essere scritti dai giornalisti per ottenere la comprensione di tutti.

Oggi ci rimangono in eredità i suoi libri, vere testimonianze di quella scrittura chiara e lineare che, aimè, si sta modificando pesantemente… tra le fronde dei socials…

EMILIO SCRITTORE di mare e di romanzi storici a sfondo navale e giallistico che inizia, combacia e si conclude con la navigazione trentennale di Mare Nostrum in mare aperto!

Mare Nostrum Rapallo esiste sempre. La teniamo VIVA anche e soprattutto nel RICORDO dello spirito marinaro e libero di Emilio CARTA; la teniamo viva insieme a quei soci che scrivono sul sito con me ogni venerdì per accrescerne il suo patrimonio culturale. Tra i 600 articoli, poesie e saggi custoditi nel suo grande ARCHIVIO, ci sono articoli che portano la sua firma: il sigillo di EMILIO CARTA che vi invito a leggere.

Io sono dell’idea che sia impossibile indagare tra la PRODUZIONE LETTERARIA di Emilio CARTA senza fare riferimento a MARE NOSTRUM nel cui bacino culturale Emilio s’immerse totalmente nel pieno della sua maturità lasciandoci innumerevoli ricerche e testimonianze anche personali sull’antica e moderna storia di Rapallo.

EMILIO - UNO SPORTIVO

Di GRANDE FEDE SAMPDORIANA, Emilio era in grado di sfoderare, nelle giuste occasioni, un repertorio infinito di battute gustosissime… contro i GENOANI (io ero uno di quelli).

Come tutte le persone intelligenti, Emilio aveva la grande capacità di adattarsi al suo interlocutore.  Posso dire d’averlo conosciuto sia in versione intellettuale che in quella di pescatore, di storico, di velista, di tennista, di sub… e, da ognuno di questi “personaggi” incontrati, mai casualmente, riusciva a trarre argomenti che lui prima fiutava e, talvolta, percepiva come “realta” che potevano avere un seguito. Mi riferisco in particolare alla scoperta dell’UBOOT tedesco che giace sul fondale al largo di Portofino e venne alla luce proprio da una sua intuizione carpita ad un pescatore di Santa… un certo Pastorino.

EMILIO - UN ANCHORMAN DI TALENTO

Quando gli dicevo: “data la tua capacità di parlare senza intoppi, la presenza che piace in particolar modo al pubblico femminile, la tua cultura ecc… sei l’unico rapallino che potrebbe condurre una rete-TV con il minimo sforzo e con la massima audience”.

Mi guardava di sottecchi come se lo stessi prendendo per il c… lui era così: modesto e felice per ciò che aveva già avuto dalla vita: la LIBERTA’.

EMILIO UOMO MITE, ONESTO E GENIALE

In 30 anni di amicizia fraterna l’ho sempre visto evitare le polemiche sterili e le discussioni che non avrebbero approdato a nulla. A volte era taciturno, pensieroso, parlava molto meno di quanto pensasse e poi, senza preavviso, sfoderava il colpo di genio…

Emilio era un SIGNORE, da lui non ti saresti mai aspettato “il colpo basso”, era leale e affidabile in tutte le situazioni.

Per la verità Emilio mi disse molti NO…! Un NO per ogni anno, e sempre per lo stesso motivo.

“Emilio sono anni che ti scongiuro di darmi il cambio alla presidenza di Mare Nostrum…”

Ed ogni volta mi rispondeva:

“La formazione che vince non si tocca! Io nasco “battitore libero sampdoriano”, e un giorno ce ne andremo in ritiro insieme con questa squadra!”

Il risultato di questo nostro comune modo di pensare, cioé la mancanza totale di ambizione, fu che sulle locandine e sui programmi di M.N. ecc… non compariva mai il mio ruolo di presidente. Il nostro obiettivo comune era la divulgazione della cultura marinara, una vera fissazione! Tutto il resto per noi era vacuità…

Per molti anni avevamo continuato a ripeterci: Insieme lasceremo Mare Nostrum ma non sapevamo che il destino avesse già deciso per noi!

Emilio era piuttosto riservato, ma lo ero anch’io, i nostri caratteri coincidevano perfettamente e la nostra AMICIZIA durò tre decenni e s’interruppe con la fine del suo CALVARIO e con la morte di mio genero Scipione D’Este: un figlio ed un amico che lasciò questo mondo pochi giorni prima di Emilio, dopo due anni di malattia incurabile.

La loro perdita é stata una doppia tragedia che colpì entrambe le nostre famiglie. Ad Emilio tenni nascosta la malattia di mio genero fino all’ultimo per non aumentare le sue pene… erano molto amici essendo Scipione Tesoriere e commercialista di Mare Nostrum.

Emilio ha vissuto, anzi convissuto fin dal 2003 con i suoi problemi fisici fino all’ultimo giorno della sua esistenza, con uno stoicismo direi EROICO, sfidando il suo destino cadenzato da 33 interventi operatori con un coraggio ed una volontà di risorgere che, ogni volta, mi lasciavano senza parole. Fino all’ultimo non poteva e non voleva rinunciare a qualsiasi cosa avesse programmato.

Lo vidi pochi giorni prima di morire e mi disse: Carlo ogni giorno perdo un pezzo… sto crollando, però oggi voglio andare a suonare la batteria…  ci vediamo sabato per la presentazione del MANCINO

EMILIO UN MUSICISTA DILETTANTE

Da giovane navigò con il suo fedele SITAR, un antico strumento musicale a corde dell’India settentrionale. Emilio amava rifugiarsi nella musica e lo fece fino al compimento del suo destino andandosene da protagonista, come é apparso in questi giorni su Facebook durante uno dei suoi ultimi concerti in una piazza di Rapallo.

La musica era per lui ciò che per tanti é la preghiera: il linguaggio universale che ci innalza verso il CIELO.

Venne quel fatidico giorno… e mentre lo aspettavamo a Villa Queirolo per la presentazione del suo ultimo libro, lui partiva con l’ambulanza per il suo ultimo viaggio. La fine giunse improvvisa quando molti di noi s’illudevano che il suo ineffabile senso di sfida contro la morte avrebbe potuto vincere ancora una volta.

Io ero uno di quelli e, ancora oggi, lo voglio ricordare così… massacrato nel corpo ma con il sorriso beffardo dell’indomito eroe sulle labbra che sale verso il cielo ritmando un blues con le bacchette del batterista.

In 19 giorni se ne sono andati TRE amici fraterni: Eddo Pelosin (mio consuocero), Scipione D’Este (mio genero) ed Emilio (mio fraterno amico).

TRE rapallini doc, TRE esempi di forza interiore, di attaccamento alla vita, TRE gladiatori che hanno sfidato il loro destino col sorriso sulle labbra fino all’ultimo istante.

LE SUE OPERE


Emilio Carta ha collaborato con Pierluigi Benatti e la dott.ssa Bacigalupo alla stesura dei volumi RAPALLO SACRA MINORE

- Nel 1989 EX VOTO A MONTALLEGRO

Maria Angela Bacigalupo, Pierluigi Benatti e Emilio Carta

- Nel 1994 MONTALLEGRO E IL MARE

Maria Angela Bacigalupo, Emilio Carta, Umberto Ricci, Francesco Maria Ruffini

- Nel 1999 ha pubblicato “NAVI E RELITTI TRA IL PROMONTORIO DI PORTOFINO E PUNTA MESCO” – N.1

Scritto in collaborazione con il tecnico sonar Andrea Maggiori e il foto sub Adriano Penco.

- Nel 2000 NAVI E RELITTI TRA MONTECARLO E PORTOFINO N.2

scritto insieme ad Adriano Penco

- Nel 2007 IL SEGRETO DI CALA DELL’ORO

- Nel 2008 NAVI E RELITTI TRA SESTRI LEVANTE E SPEZIA N.3

Scritto in collaborazione con Adrea Maggiori e Adriano Penco

- Nel dicembre 2008 BANDIERA GIALLA, COLERA A BORDO

- Nel dicembre del 2010 I MISTERI DEL FREDOM

- Nel 2010 “U BOOT 455” - IL SOTTOMARINO DELLA LEGGENDA

scritto insieme al Sub: Lorenzo del Veneziano

Emilio Carta è al suo quarto romanzo, tutti accomunati dalla passione per il mare.

- Nel 2012 - IL COLLEZIONISTA D’ARMI

- Nel 2013 - LOCARNO – NAUFRAGIO IN SALOTTO

- Nel 2013 - RAPALLIN E FÖRESTI di Emilio Carta e Mauro Mancini

- Nel 2014 - RAPALLIN e FÖRESTI di Emilio Carta e Mauro Mancini

- Nel 2015 – RAPALLIN e FÖRESTI di Emilio Carta e Mauro Mancini

E Parolle dö Gatto, antiche ricette, proverbi e modi di dire...”

Le tre pubblicazioni sono tradotte anche in Italiano e in Inglese

Nel 2016 ASSASSINIO A MONTALLEGRO

- Nel 2015 DRAGUT – AMMIRAGLIO E CORSARO OTTOMANO

- Nel 2018 IL TESORO DI VALLE CRISTI

- Nel 2018 IL MANCINO – LE OSSESSIONI DI UN KILLER

LE PUBBLICAZIONI DI MARE NOSTRUM:

Autori: Emilio Carta, Maurizio Brescia, Carlo Gatti, Ernani Andreatta (2013-2016)

- 2002 IL TIGULLIO, UN GOLFO DI EROI

- 2003 - I LIBERTY

- 2004 - FUOCO A BORDO

- 2005 - DAL GOLFO LIGURE AL MAR DELLA CINA

- 2006 - MARE NOSTRUM COMPIE 25 ANNI

- 2007 - MONTALLEGRO UN FARO SU MARE NOSTRUM

- 2008 - POLENE, SOMMERGIBILI E TRANSATLANTICI

- 2009- IL TRATTATO DI RAPALLO-IDROVOLANTI, DIRIGIBILI E SOMMERGIBILI IN LIGURIA

- 2010 - COSTA, UN PIANETA CHE PARLA “RAPALLINO”

- 2011 - GARIBALDI, UN UOMO DI MARE

- 2012 - REX – ALLA CONQUISTA DEL NASTRO AZZURRO

- 2013 - RIVA TRIGOSO, MILLE VARI UN SOLO INCIDENTE…

- 2014 - TIGULLIO, UN MARE DI PAURA …

- 2015 - MARE NOSTRUM – NON SOLO MARE…

- 2016 - GENTE DA RIVEA, GENTE DA GALEA

 

Chiudo questo “ricordo” di Emilio Carta dedicando a sua moglie Marziana e alla loro figlia Valentina un profondo sentimento di affetto per quanto hanno fatto per il loro caro Emilio in tutti questi anni accompagnandolo in ogni istante con amore e dedizione dividendo con lui la stessa sofferenza, lo stesso dolore che ora é anche certezza che lo spirito di Emilio veleggi nel suo amato mare e le protegga da lassù con la serenità di chi ha amato ed é stato ricambiato con la stessa intensità.

Carlo GATTI

Rapallo, 24 Giugno 2019


MICOPERI 7000 - AGGIORNAMENTO - SAIPEM 7000

MICOPERI 7000

AGGIORNAMENTO

SAIPEM 7000

A questa gigantesca unità italiana, costruita presso i Cantieri Navali di Monfalcone, abbiamo già dedicato un articolo relativo alla sua costruzione e alla sua storia. Vi riproponiamo il LINK:

M-7000 - ORGOGLIO ITALIANO SUI MARI

https://www.marenostrumrapallo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=385;m7000&catid=53;marittimo&Itemid=160

Costruzione n° 5824 - MICOPERI 7000

La Micoperi 7000 è una nave officina semi-sommergibile munita di due gigantesche gru dalla portata di 7000 tonnellate ciascuna; nel suo genere è la più grande e potente unità di tutto il mondo. Fa ormai a buon diritto parte della storia del Cantiere lo sforzo delle maestranze che ha reso possibile il rispetto dell'impegno: esattamente due anni di intenso lavoro la 7000 ha potuto così lasciare le acque dell'Adriatico diretta in Brasile dove ha iniziato la sua attività

Nave gru semisommergibile costruita nel 1987 (Impostazione 19. 12. 1985, varo 15. 12. 1986, consegna 15. 12. 1987).

117812 tsl - 35343 tsn - 18370 tpl - 175,00 x 87,00 x 43,50 m - propulsione diesel/elettrica - potenza installata 75600 HP (50600 kw) - 8 eliche - 9,5 nodi - capacità di sollevamento 14000 Tonnellate - alloggi per 680 persone - Equip.: 120.

La complessità delle caratteristiche costruttive e funzionali sfugge invero ad una descrizione contenuta; pure sinteticamente si potrà illustrare la struttura generale della nave come formata da due scafi, lunghi 165 metri e larghi ciascuno 33, sormontati da tre colonne ciascuno ed una piattaforma, lunga 175 metri, cui vanno aggiunte le strutture per le imbarcazioni di salvataggio per una lunghezza massima fuori tutto di 190 metri, e una larghezza massima di 87 metri.

Il torrione alloggi, sistemato nella parte poppiera, è composto da cinque ponti sovrastati dalla tuga comando e dall'eliporto, e può ospitare 800 persone.

Le due mastodontiche gru, sistemate su due virole del diametro di 28 metri, nella parte prodiera della nave, raggiungono un'altezza dal ponte di oltre 75 metri, con un braccio di 140 metri attrezzato con 4 ganci. Il gigantismo sembra essere il modulo di misura generale della nave e delle sue dotazioni. Sedici ancore da 40 tonnellate ciascuna fissate a cavi da 96 mm di diametro e lunghi 3.550 metri garantiscono il posizionamento della nave a mezzo di verricelli di dimensioni inedite (dieci metri di lunghezza per sei di larghezza ed altrettanti di altezza); un impianto di zavorra basato su quattro elettropompe della portata di 6.000 metri cubi/ora ciascuna, con collettori da un metro di diametro collegati alle casse che regolano l'assetto e l'immersione della nave (di queste, quattordici sono destinate al zavorramento rapido con prese mare munite di valvole a farfalla del diametro di due metri ciascuna: il tutto comandato e regolato da un calcolatore attraverso un impianto di telecomando delle valvole e dei macchinari).

La propulsione, le gru e tutti gli impianti di bordo sono mossi da motori elettrici, alimentati da una centrale composta da otto diesel-alternatori da 5.500 KW, due da 2.800 KW e da un generatore d'emergenza da 1.100 KW, per un totale di 50.600 KW.

La nave è munita di tutti i comfort per le persone imbarcate, compresa una grande piscina coperta, una sauna, una sala di ginnastica, dei saloni di ricreazione, le mense e due cinema oltre, naturalmente, a cabine con servizi privati, all'impianto completo d'aria condizionata ed ampi locali di servizio e agli spogliatoi.

Durante i collaudi effettuati in Adriatico la MICOPERI 7000 ha superato tutte le prove ed è riuscita a sollevare, con le due gru in tandem, 14.600 tonnellate.

15. 12. 1987 MICOPERI 7000: Micoperi S. p. A. – Milano.

1992: Saipem S. p. A. - Affittuaria Ramo di Azienda di Micoperi S. p. A. - San Donato Milanese, reg. a Palermo

199.. SAIPEM 7000: Saipem Luxembourg S. A. – Nassau.

31. 12. 2003: in servizio.

(AMA)

· Scheda tecnica

Nome:

MICOPERI 7000

Tipo:

Nave-Gru semi-somm.

Committente:

Micoperi S.p.A. - Milano

N. costruzione:

5824

N. assemblaggio:

N. complet.:

Data d'impostazione:

19/12/1985

Data varo:

15/12/1986

Data consegna:

15/12/1987

TSL:

121500

TPL:

18370

TDS:

-

Lunghezza (m):

175.00

Altezza (m):

43.50

Larghezza (m):

87.00

Motore:

DE

Potenza (CV):

75600

Propulsione:

8E

Velocità (nodi):

9.5

ALBUM FOTOGRAFICO - Uno

MICOPERI 7000

SAIPEM 7000

 

Il servizio che segue contiene un ampio Album fotografico che illustra la sua operatività.

MICOPERI 7000 - Port Elizabeth (S.A.)

CARATTERISTICHE  AGGIORNATE

S7000

TIPO DI NAVE

 

Semi sommergibile autopropulsa con posizionamento dinamico

 

CARATTERISTICHE NAVE

Lunghezza fuori tutto 197.95 m

Piattaforma di coperta 175 m x 87 m x 8.5 m

Scafi inferiori 165 m x 33 m x 11.25/15.25 m

Altezza al ponte di coperta  43.5 m

Coperta  area 9,000  metri quadri

Massimo .carico in coperta 15,000 tons

Pescaggio operativo 27.5 m

Pescaggio di sopravvivenza 18.5 m

Pescaggio di navigazione  10.5 m

Velocità di navigazione 9.5 nodi

 

SISTEMA DI ORMEGGIO

14 x 1,350 kw verricelli a singolo tamburo, ciascuno con 3350 m x 3”3/4 cavi di ormeggio e ancore ad alta presa da 40 tons ciascuna 2 verricelli  salpancore 100%  ridondanti con sistema SDPM , ciascuno con  550 m x 5 1/8”di catena con ancora da 34.5 tons.

 

PROPULSIONE E THRUSTERS

Tutti a passo fisso e a giri variabili

4 propulsori  azimutali posteriori  da  4,500 kw

4 unità anteriori da 3,000 kw retrattili e  azimutali

2 unità anteriori da 5,500 kw retrattili e  azimutali

2 bow thrusters da 2,500 kw

 

SISTEMA  ZAVORRA

Sistema computerizzato con possibilità di simulazione  composto da:

4 elettro pompe a 10 KV di zavorra da 6,000 tons/h

40 casse di zavorra x un totale di  83,700 metri cubi

14 casse di zavorra rapida  x un totale di 26,000 metri cubi

 

GRU  PRINCIPALI

2 gru gemelle Amhoist Saipem 7000 modello rotazione completa installate a prora

Massimo sollevamento in tandem : 14,000 tons

Massimo sollevamento singolo: 7,000 tons

6,000 tons con rotazione a 45 m rad./50 m in tieback

Aux. 1 : 2,500 tons

Aux. 2 : 900 tons con possibilità di scendere fino a 450 m sotto il livello del mare

Candeletta da  120 tons

 

DISPONIBILITÀ  BATTIPALI

2 Menck MHU 3,000  battipali idraulici

2 Menck MHU 1,700       “            “

2 Menck MHU 1,000       “            “

2 Menck MHU 600          “            “

1 Menck MHU 220          “            “

1 Menck MHU 195          “            “

2 Gruppi di potenza  battipali subacquei/superficie

1 hydraulic hammer compensatore “Slim” e “Free” riding mode capability

Clampe idrauliche interne ed esterne per movimentazione pali con diametri  20” a 102” i./o. dia.

2 sistemi di livellamento con diametri da  66” - 72” - 900 t. di portata

2 sistemi di livellamento esterni da 1,000 tons

 

MACCHINARI MOVIMENTO COPERTA

1 x 70 tons gru cingolata Kobelco

1 x 35 tons gru idraulica gommata da coperta

2 x 5 tons  fork lifts

 

POTENZA  INSTALLATA

Potenza totale installata 70,000 kw, 10,000 Volt

12 generatori a nafta  pesante divisi in 6 separati locali macchina

antincendio

 

ALLOGGI  EQUIPAGGIO

388 cabine climatizzate  singole o doppie per 725 persone

Palestra, cinema, internal radio/TV, sala da pranzo principale x 400 posti  e sala ufficiali da 70 posti, sale di ricreazione, bar-caffetterie

 

ELIPORTO

Certificato per due  elicotteri BV234 LR Chinook  (uno  parcheggiato)

Sistema certificato rifornimento elicotteri

 

SISTEMA  VARO  IN J-LAY

Diametro tubi da 4” a  32”

Sistema di tensionamento laying  750 tons con tensionatori  fino a 2,000 tons con clampe

Torre Laying con  angolo da  90° - 110°

Sistema di abbandono/recupero con verricello a doppio argano con capacità di tiro  di 750 tons (fino a 2,000 tons con le  clampe)

1 stazione di saldatura

1 stazione NDT e riparazione

Tubi a quattro giunti

Capacità stoccaggio tubi fino  6,000 tons

The torre è autoinstallante e smontabile con l’ausilio delle proprie gru della Saipem 700



ATTUALMENTE  LA  S7000  SI  TROVA  A  ROTTERDAM  NEL CANTIERE  DAMEN  PER  LA  SOSTITUZIONE  DEL  SISTEMA  DI  POSIZIONAMENTO  DINAMICO -  VERRA’  INSTALLATO  IL NUOVO  DP3  E LA SOSTA  PREVISTA  SARA’  DI  3

ALBUM FOTOGRAFICO - DUE

Recupero dello Shottel

D.M. Pino SORIO

Rapallo, 12 Marzo 2019


PITTORI DI MARINA - JOHN EVERETT-"CONVOGLIO IN ATLANTICO,1918"

PITTORI DI MARINA

Eco del golfo Tigullio

LA QUADRERIA DE “IL MARE”

JOHN  EVERETT

“Convoglio in Atlantico, 1918


Nell’ambito della pittura di marina, l’artista britannico John Everett (1876-1949, familiarmente noto anche come Herbert John Everett) è considerato, forse a torto, una figura “minore”. Tuttavia, molti suoi quadri sono direttamente collegati a questo genere artistico e, recentemente, nel 2017 un inventario del Ministero della Cultura inglese ha anzi appurato che nei musei e nelle gallerie d’arte d’oltremanica le opere da lui realizzate sono numericamente superiori a quelle di qualsiasi altro artista, con una particolare prevalenza - per l’appunto - di quadri a soggetto marittimo e navale.

Nato a Dorchester, nel 1896 Everett si trasferì a Londra dopo la morte del padre, frequentando la “Slade School of Fine Art”; ben presto i suoi quadri a olio e ad acquerello iniziarono ad essere apprezzati e, insieme ad una visione moderna e innovativa del paesaggismo (influenzata dalle ultime correnti impressionistiche), Everett si accostò a correnti vicine alle avanguardie culturali e artistiche che permeavano gli anni a cavallo tra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del secolo XX. Di questa sua rinnovata vena artistica sono testimoni molte opere realizzate nel corso del primo conflitto mondiale, in buona parte raffiguranti navi inglesi e statunitensi mimetizzate con le prime tecniche di camouflage realizzate nel corso della Grande Guerra

Lo sviluppo delle prime mimetizzazioni navali è dovuto ad un altro pittore di marina britannico, Norman Wilkinson (1878-1971, la cui attività non mancheremo di approfondire in una delle prossime puntate), che, tra il 1916 e il 1918 collaborò con l’Ammiragliato della Royal Navy al fine di sviluppare una serie di schemi mimetici aventi la funzione di contribuire a rendere meno riconoscibili e individuabili unità militari o mercantili in navigazione. Nella fattispecie, Wilkinson realizzò un gran numero di schemi detti alterativi che - con l’uso di pannelli, bande e poligoni di vari colori - tendevano a “spezzare” le linee costruttive e la silhouette stessa di una nave, rendendone difficile l’apprezzamento delle dimensioni e degli elementi del moto soprattutto nei confronti degli operatori delle centrali di tiro telemetriche delle unità nemiche.

Everett, pur non partecipando direttamente a questi studi, contribuì a pubblicizzare e rendere noti i primi camouflage navali anche da un punto di vista propagandistico, realizzando durante la guerra numerosi quadri che presentano non comuni caratteristiche di “modernità” nei tratti e nella concezione, potendo essere verosimilmente avvicinati alle correnti pittoriche dadaiste e futuriste che permeavano la vita culturale dell’Europa nei primi due decenni di inizio secolo.


Un altro olio su tela di John Everett risalente al 1918, raffigurante unità militari e mercantili in navigazione sul Tamigi con, sullo sfondo a sinistra il “Royal Naval Hospital” di Greenwich (g.c. National Maritime Museum, Greenwich)

Ne è la prova l’olio su tela che qui presentiamo (conservato al National Maritime Museum di Greenwich), che raffigura un convoglio di navi statunitensi facenti parte di un convoglio di mercantili in navigazione in Atlantico nel 1918, ove sono evidenti la modernità e l’innovazione dello stile, ma per il quale non può sfuggire ad un osservatore attento anche la natura pratica degli schemi mimetici applicati alle navi. Immaginandoci difatti nei panni, ad esempio, del comandante di un sommergibile nemico impegnato ad osservare il convoglio al periscopio, appare evidente la difficoltà di poter effettuare con precisione e certezza il lancio di un siluro, grazie anche all’evidente difficoltà nel “visualizzare” i bersagli causata dall’applicazione di queste colorazioni che, tecnicamente, erano definite “dazzle” (ossia alterative).

Anche nel corso della seconda guerra mondiale fu ampio e diversificato lo studio e l’impiego di colorazioni mimetiche navali di vario tipo: in Gran Bretagna Norman Wilkinson fu nuovamente molto attivo in questo settore, mentre la Marina degli Stati Uniti si avvalse della collaborazione di un altro pittore di marina (Everett L. Warner, 1877-1963) che, in collaborazione con gli Enti tecnici dell’US Navy, affrontò il problema della mimetizzazioni delle unità militari con un approccio ancor più sistematico e scientifico.


Il lato diritto del “liner” britannico Mauretania sul finire del 1917: il transatlantico, all’epoca utilizzato come trasporto truppe, era stato mimetizzato con un impressionante schema a bande e rombi a toni di grigio, blu, bianco e azzurro (coll. M. Brescia).

Maurizio BRESCIA

Direttore del Mensile

Rivista fondata nel 1993 da Erminio Bagnasco

Rapallo, 3 gennaio 2019


QUANDO I FIESCHI FINIRONO A BAGNO...

QUANDO I FIESCHI FINIRONO A BAGNO....

Silvan e Charly sono due “retired uomini di mare" che s’incontrano in DARSENA ogni mattina per il solito café delle 10. Quando non parlano di politica sforano “abusivamente” nella storia, e in questo specchio d’acqua di storia n’é passata tanta...

I nostri amici hanno appena visitato per l’ennesima volta la REPLICA della Galea custodita nel Galata Museo. Questa mattina, chissà perché, le  parole: Darsena e Galea suscitano in loro un ricordo “curioso e poco noto” che intendono rievocare. L’inesorabile caduta politica ed economica della potente dinastia genovese dei FIESCHI. Già! Per ironia della sorte, fu proprio Gianluigi Fieschi (capo dei cospiratori), a cadere dallo scalandrone della GALEA che doveva assalire.

“Com’é possibile cadere dallo scalandrone di una galea ormeggiata qui davanti e mandare tutto a puttane?” – Si chiede Charly con lo sguardo rivolto verso Calata Cembalo.

“Facciamo un breve ripasso.

– suggerisce Silvan -

Andrea Doria fu chiamato a Genova quando era Ammiraglio della flotta Portghese; fu chiamato perché, pur  essendo Ligure, non era impelagato nelle beghe genovesi e lo chiamarono appunto per derimere le controversie. Accettò a condizione che lo nominassero Duce cioè dittatore, vivesse fuori Genova e restasse amico di Re Carlo di Spagna. Questa sua fedeltà al Sovrano la immortalò con la scritta lunga quanto il palazzo e che ancor oggi si legge nel marmo che divide il piano terreno dal primo piano della sua Villa a Fassolo. La vera svolta della sua carriera si realizzò quindi nel 1528 quando riuscì a firmare con Carlo V un’alleanza militare e finanziaria. Egli s’impegnava a mettere la flotta genovese al suo completo servizio; in cambio otteneva dall’imperatore e re di Spagna un ricchissimo compenso annuo per l’uso delle navi e piena libertà di commercio per Genova in tutti gli stati da lui dipendenti, a pari diritto con gli stessi spagnoli.

L’ascesa di Andrea Doria e di Genova – Andrea Doria, nato a Oneglia, in Liguria, il 30 novembre 1466, apparteneva a una delle quattro famiglie più eminenti di Genova: i Doria, gli Spìnola, i Fieschi e i Grimaldi, un ramo dei quali si era spostato a ovest e aveva fondato la dinastia dei principi di Monaco.
L’ascesa di Andrea Doria e di Genova cominciò parallelamente all’epoca dei “conquistadores” e si svolse mentre la Spagna entrava a far parte dell’Impero di Carlo V d’Asburgo.

Andrea Doria, ormai anziano e quasi in disarmo, sperava di concludere la sua esistenza in gloria e tranquillità, magari nel famedio dei grandi. Purtroppo, suo nipote ed erede Giannettino Doria era molto ricco, potente ed arrogante e gli procurò molti nemici. All'inizio del 1547, Doria dovette così affrontare la più grave minaccia al potere sulla città che teneva ormai da un ventennio.

La Congiura dei Fieschi

Stemmi della famiglia Fieschi

I Fieschi, guelfi come i Grimaldi, costituivano assieme ai Doria ghibellini come gli Spinola uno dei quattro gruppi famigliari genovesi della più antica e potente aristocrazia. Il complotto ebbe al centro un giovane membro della consorteria: Giovanni Luigi (Gianluigi) Fieschi.

Giovanni Luigi Fieschi

Chi spinse Gian Luigi Fieschi ad organizzare il tentato colpo di Stato?”

- Si domanda Charly che ha pochi dubbi in proposito -

“Con ogni probabilità, il Fiesco era sostenuto da molti ambienti della politica italiana ed europea di allora interessati, più che altro, alle conseguenze che una manovra del genere poteva produrre. I mandanti più o meno occulti del giovane nobile sono spesso indicati nella Corte francese e in quella del papa Paolo III Farnese, interessati entrambe ad eliminare uno dei membri più importanti del “partito imperiale” in Italia. Qui, però, c’é da aggiungere un’annotazione di rilievo: la famiglia Fieschi diede alla chiesa due Pontefici (Innocenzo IV e Adriano V) e numerosi Cardinali e vescovi.

La vera ricostruzione storica andrebbe per le lunghe... Silvan scalpita per arrivare al CLOU della drammatica vicenda e attacca:

“Appena ventiduenne, Gianluigi Fieschi cercò infatti di rovesciare la supremazia dei Doria. Tuttavia, la CONGIURA programmata per la notte tra il 2 e 3 gennaio 1547 ai danni di Andrea Doria non riuscì a causa di un “incidente marinaro” che nessuno dei congiurati aveva preventivato. La cospirazione scattò il 3 gennaio 1547. Nella prima fase il piano prevedeva la presa delle “porte della città” e poi la cattura delle galee dei Doria, ormeggiate in Darsena, per liberare e quindi provocare l’insurrezione degli schiavi musulmani.
 Sparato il colpo di cannone convenuto, iniziò il combattimento.

L’AZIONE FINALE DELLA CONGIURA Fu proprio in questa seconda fase della congiura che Gian Luigi Fieschi, proiettato all’arrembaggio di una galea dei Doria, scivolò dalla passerella, cadde nello specchio di mare interno della Darsena e fu inesorabilmente trascinato sui fondali del porto dal peso dell’armatura.  Perso il Capo, i congiurati smarriti si dispersero velocemente ed il fallimento della sommossa fu inevitabile.

Il giorno seguente, Genova era di nuovo nel pieno controllo del suo Doge.

La punizione di Andrea Doria fu atroce e vendicativa per la morte dell’amato erede Giannettino, ucciso quella notte mentre usciva da palazzo di Fassolo.

I congiurati vennero messi a morte dopo un processo sommario. Il Doria bandì i Fieschi dalla città, fece radere al suolo il loro quartiere in Via Lata. Tutti i loro beni vennero espropriati: roccheforti, castelli, manieri e fortezze furono espugnati e in parte distrutti uno ad uno, con tutti i loro vasti possedimenti terrieri. Ebbe così fine il ruolo di questa famiglia nella vita politica genovese, l'unica delle quattro “grandi” a non avere grandi interessi nei commerci marittimi e nella finanza, ma che basava il suo potere sui numerosi feudi posseduti nell'entroterra.

Ecco la prima verità venire a galla: I Fieschi non erano mai stati “vicini al mare”, né fisicamente, né col portafoglio... La loro potenza si era espansa grazie alla influenze della politica e diplomazia del Vaticano in Europa.

Interrompe Charly: “possiamo dire che al Fiesco mancò il piede marino per tenersi dritto, magari sapeva cavalcare e combattere nelle campagne alle spalle di Genova, ma non sapeva nuotare, non conosceva i trabocchetti e le astuzie dei marinai delle Galee, né tanto meno possedeva u mestê do mainâ (esperienza del marinaio)”.

Infatti – aggiunge Silvan - Il ramo più importante dei Fieschi fu quello dell’entroterra genovese, detto "di Torriglia" e di Savignone".

“Cosa ne fu del cadavere del Fiesco?” – Chiede Charly -

“Ripescato dopo giorni – risponde Silvan con tono solenne - Andrea Doria ordinò che i resti di Gian Luigi Fieschi fossero esposti per due mesi sul molo, dopodichè lo fece gettare al largo senza alcuna cerimonia: “perché avesse la tomba che si era scelto”.

Charly fa una interessante obiezione - “Voglio spezzare una lancia in favore di Gianluigi Fieschi. Sono d’accordo che il Fiesco sbagliò ad indossare l’armatura, che non era sicuramente adatta per muoversi con agilità e rapidità tra una galea e l’altra. Quello non era il suo campo ideale di battaglia e questo l’abbiamo capito! Ma quale uniforme avrebbe dovuto indossare per guidare i congiurati  all’arrembaggio, di notte, in mezzo a nemici, schiavi islamici, tra uomini che non l’avevano mai visto? Come poteva dare ordini senza farsi riconoscere? Chi gli avrebbe riconosciuto il ruolo di DUX? Il ruolo è fondamentale perché costituisce il riferimento di base per tutte le azioni militari in corso. Forse il Fiesco, più campagnolo che marinaio, avrebbe avuto bisogno di un consigliere-ammiraglio. Purtroppo Andrea Doria era dall’altra parte...!

Plastico della Darsena medievale con numerose Galee. Galata Museo

In questo dipinto del 1545, (due anni prima della Congiura), si notano i due settori: mare e terra della Darsena.

Tela di Cristoforo Grassi al Galata Museo

La Darsena occupata da numerose Galee in un dipinto d’epoca

Particolare dalla Carta Topografica della Città di Genova ed. Grondona 1846

Ecco come si presentava la Darsena a fine 800. Il vapore al centro della foto é ormeggiato alla calata Cembalo, occupata oggi dal sottomarino NAZARIO SAURO al GALATA MUSEO. A destra la calata Ansaldo de Mari, detta dell’ OROLOGIO occupata da maone. In primo piano la calata SIMONE VIGNOSO (Calata Vigne). UN TEMPO c’erano camalli e operai, magazzini e carichi. Oggi turisti e studenti, caffè e tavolini. Si potrebbero accostare come due istantanee le immagini della Darsena di ieri e quella dei giorni nostri e giocare a trovare le differenze. L’idea di un Open Air Museum, realizzato anche grazie alla collaborazione con la Regione Liguria, il Comune di Genova, le soprintendenze e l’Autorità Portuale, arriva però da lontano: «Ci siamo ispirati ai musei del Nord Europa. A quanto accade a Stoccolma, ad esempio, dove i vecchi docks non più utilizzati vengono affidati ai privati, che li usano per accogliere imbarcazioni storiche» Aggiunge ancora Pierangelo Campodonico (il direttore del Museo del Mare) «in altri posti, come Dunkerque o in certi piccole città della Bretagna, sono state recuperate intere aree degli antichi porti e aperte ai turisti. Questa stessa volontà alberga in tutti noi: dare ai genovesi uno spaccato di quanto accadeva lungo quei moli, nei primi anni del secolo scorso, quando l’attività ferveva tra i magazzini che portavano il nome delle colonie genovesi, Galata, Tabarca, Cembalo, Metelino, Scio ecc... Occorre fare in modo che fra quel passato di lavoro e di vita marinara, e il nostro presente, non ci sia un fossato.

Foto: Autorità Portuale di Genova - Archivio Storico - Il Porto visto dai fotografi - a cura di Danilo Cabona e Maria Grazia Gallino - ed. Amilcare Pizzi

GUIDA PAGANO 1934

Fine '800 - La DARSENA. Notare sullo sfondo la costruzione con lo stemma di Genova alle spalle della Calata Ansaldo de Mari, chiamata anche Calata Orologio dal grande disco “orario” che sovrasta l’edificio stesso.

Foto: Autorità Portuale di Genova - Archivio Storico - Il Porto visto dai fotografi - a cura di Danilo Cabona e Maria Grazia Gallino - ed. Amilcare Pizzi

ALBUM FOTOGRAFICO

dedicato al Casato dei FIESCHI

La basilica dei Fieschi, presso il borgo fliscano di San Salvatore (Lavagna)

Il Rosone della basilica

Il Portale

La Navata centrale

Ruderi del Castello di Santo Stefano d’Aveto

Ruderi del Castello di Savignone

Castello di Savignone: Fosca dei Fieschi e il fantasma del serpente

Il palazzo nobiliare fliscano presso il borgo di San Salvatore di Cogorno


Palazzo dei Fieschi a Casella

Veduta di Senarega (Valbrevenna) con il Castello Fieschi

Bastione nel centro di Varese Ligure

Particolare della torre del Piccinino - Varese Ligure

Torta dei Fieschi

Lavagna - Panoramica aerea di piazza Vittorio Veneto durante la festa.

La Torta dei Fieschi negli anni Cinquanta.

Lavagna - Panoramica della piazza dal palcoscenico: la torta è ancora coperta dal telo.


Lavagna - Il corteo storico scende dalla scalinata della basilica di Santo Stefano, addobbata per l'occasione (edizione 2012)


Lavagna - "Torta" e palco (edizione 2014)

Lavagna - Giocolieri sul palco (edizione 2013)

La rappresentazione dei figuranti ha preso le mosse nel corteo di sbandieratori, armigeri, musici, danzatori, damine, giullari, tamburini, arcieri, cavalieri: tutti in variopinti costumi medievali, hanno attraversato la città fermandosi davanti al Comune per salutare il sindaco.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 30 maggio 2016

 

Questo saggio é dedicato alla memoria dell'amico SILVANO MASINI socio di MARE NOSTRUM RAPALLO, compagno di tanti viaggi sui rimorchiatori  genovesi d'altomare e portuali. Silvan giunse alla tesi di laurea in Storia, con il massimo dei voti, ma decise di fermarsi... lo fece per amore della storia. Lui era e si sentiva soltanto un vero un uomo di mare.

Silvan ci manchi tanto!

 


La Tragedia TEXACO CARRIBEAN

LA TRAGEDIA DELLA TEXACO CARRIBEAN

 

La petroliera Texaco Caribbean aveva equipaggio italiano, molti dei quali erano liguri. L’INCIDENTE ebbe luogo l’11.1.1971 nel Canale della Manica, a 13 km dallo Stretto di Dover.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La TEXACO CARIBBEAN aveva una bella linea ed era anche veloce per la sua epoca, ecco le sue Caratteristiche: Anno di costruzione: 1965 Cantiere: Kieler Howaldtswerke AG, Kiel Inc. - Stazza Lorda: 13.604 tonn. Dislocamento: 20875 tonn. lunghezza: 175 m - Larghezza: 23.8 m - Pescaggio: 12.5 m - Bandiera: Panama - Armatore: Texaco Panama. Inquinamento: bunker - fuel oil. Quantità: 600 tonn.

 

 

 

Le tragiche immagini della TEXACO CARIBBEAN in agonia subito dopo la collisione con la nave peruviana PARACAS l’11 gennaio 1971.

 

UNA TRAGICA CATENA DI NAUFRAGI

 

11 gennaio 1971 - Canale della Manica – Nebbia fittissima –

 

1a COLLISIONE

 

La petroliera di bandiera panamense con equipaggio italiano: TEXACO CARIBBEAN, partita da un porto olandese e diretta a Trinidad, navigava in zavorra sulla “regolare” corsia discendente del Canale della Manica quando, improvvisamente, fu colpita dal cargo peruviano PARACAS di 12.000 t. che, ignorando le recenti normative sulle ROTTE di SICUREZZA del Canale, navigava contromano sulla rotta più breve, lungo la costa inglese. (Secondo queste disposizioni le navi dirette verso il nord dovevano seguire rotte vicine alla costa francese, mentre quelle dirette al sud si dovevano tenere vicine a quelle britanniche).

La TEXACO CARIBBEAN esplose, fu tagliata in due ed affondò versando in mare 600 tonn. di bunker e acqua di zavorra. Nella collisione, otto marittimi persero la vita mentre ventidue furono salvati dai soccorritori. La PARACAS proveniva dal Perù ed era diretta ad Amburgo con un carico di pescato e olio di pesce. Nella collisione subì seri danni, non tali però da impedire l’aggancio del Rim.re di salvataggio HEROS che la trainò ad Amburgo, dove arrivò il 14 gennaio. La Coast Guard Britannica fece piazzare segnalamenti luminosi sul posto per allertare le navi in transito della presenza del relitto, ma a questo proposito, subito dopo la seconda collisione avvenuta poche ore dopo, si aprì una acerrima discussione tra i responsabili della navigazione nella Manica. Non pochi, infatti, sostennero che la collisione poteva essere evitata se il tratto di mare, dove era affondata la parte anteriore della Texaco Caribbean, fosse stato delimitato da numerosi e potenti segnali di pericolo. Tuttavia, nonostante le ricerche portate avanti fino a tarda notte e rese difficili da un fitto velo di nebbia, non fu possibile localizzare il relitto. Il caso volle che a trovarlo,  fosse stato proprio il mercantile tedesco. Per quanto riguarda i superstiti italiani della motocisterna, le speranze di ritrovarli in vita furono fin da subito perdute. Infatti, se gli otto marittimi italiani fossero sopravvissuti all'esplosione, non avrebbero potuto resistere più di trenta ore in un mare ghiacciato. Le ricerche comunque, continuarono, almeno per recuperare i corpi.

2a COLLISIONE

 

Si era ancora alla ricerca degli otto dispersi della motocisterna TEXACO CARIBBEAN, venuta a collisione con il cargo peruviano PARACAS e spezzatosi in due dopo una tremenda esplosione, quando, quasi nello stesso punto del canale della Manica, accadde l’impensabile: un mercantile tedesco di 2.700 tonnellate, il BRANDENBURG colò a picco urtando contro un troncone della petroliera.

 

Sette le vittime e 14 marinai dispersi

 

La tragedia ebbe un epilogo fulmineo - Con lo scafo squarciato da prua a poppa, il Brandenburg affondò in due minuti. Vani risultarono i disperati messaggi SOS del radiotelegrafista tedesco e, di lì a poco, furono avvistati molti corpi inanimati alla deriva, in balia della corrente nelle acque gelide della Manica - I Piloti del Canale denunciarono la scarsa sicurezza del traffico marittimo.

 

I soccorsi ritardarono di quel tanto che solo 11 naufraghi, su 32 membri dell’equipaggio, furono salvati dai pescherecci locali. Gli altri 14 superstiti furono raccolti dalla Viking Warrior, la stessa unita che aveva soccorso i marinai italiani della Texaco Caribbean. Nelle ore successive al disastro furono recuperati i corpi di sette marittimi mentre dei rimanenti quattordici non si trovò mai più alcuna traccia. Un battello fanale e 5 boe luminose furono aggiunte a quelle già posizionate. Un superstite che volò in mare senza rendersene conto,  riferì d’aver udito uno schianto tremendo mentre si trovava sotto coperta e d’aver capito subito che la nave aveva avuto una collisione. Il marconista del mercantile affondato ebbe appena il tempo di inviare un confuso messaggio di soccorso, messaggio che richiamò sul posto decine di imbarcazioni, in particolare pescherecci inglesi, che si trovavano nelle vicinanze.

 

 

 

3a COLLISIONE

 

Nonostante le tragiche collisioni avvenute nel mese di gennaio, il 27 febbraio la nave greca NIKKI proveniente da Dunkerque (Francia) e diretta ad Alessandria d’Egitto, ignorando anch’essa gli “avvisi di sicurezza” emessi dalla Coast Guard, entrò in collisione con il relitto sommerso ed affondò. L’equipaggio della petroliera HEBRIS, che si trovava in quella zona ormai diventata un girone infernale, vide la NIKKI affondare e diffuse immediatamente i segnali di soccorso via radio. La HEBRIS, intravedendo dei naufraghi in mare, si avvicinò al luogo dell’affondamento, ma quando giunse sul posto in mare non c’era più alcun superstite. La NIKKI s’inabissò con tutto il suo equipaggio. Da quel momento i tre relitti rappresentavano un pericolosissimo rischio per le navi in transito, ed un secondo battello fanale fu posizionato all’ancora con l’aggiunta di altre 10 boe luminose. Nonostante i provvedimenti attuati a scopo preventivo, nei due mesi successivi, la Coast Guard fece rapporto a ben 16 navi che avevano ignorato sia i battelli-fanale, che le boe. Per fortuna non ci furono ulteriori incidenti. Le operazioni di sgombero dei relitti della TEXACO CARIBBEAN, DEL BRANDENBURG e del NIKKI durarono ben 18 mesi.

Ciò che é successo nel nord-est dell’Europa, celebre per la sua millenaria storia marinara é a dir poco imbarazzante ...

 

Il sistema di separazione del traffico navale nel Canale della Manica (TSS, Traffic Separation Scheme) entrò in vigore alcuni anni prima di questa catena di incidenti ma, al momento delle collisioni, diversi Comandanti consideravano ancora “facoltativa” e non “obbligatoria” l’osservanza delle nuove ROTTE DI SICUREZZA.

 

ALBUM FOTOGRAFICO - TEXACO CARIBBEAN


 

(Nella foto) - Il C.l.C. Ernani Andreatta sbarcato dalla TEXACO CARIBBEAN con il grado di Comandante pochi mesi prima dall’affondamento della petroliera. A lui porgo un fervido ringraziamento per averci fornito il materiale (notizie e foto)

“per non dimenticare”

i nostri cari amici “marittimi” travolti da un tragico destino.

 

Carlo GATTI

Rapallo, 1 Gennaio 2014