BULGAKOV NELLA BURRASCA
BULGAKOV NELLA BURRASCA
“Guarda che nero sul mare, e poi il vento, senti come fischia e come fa sbattere le drizze, si ha la sensazione che la pioggia sia imminente, cosa vuoi andare da Pegli a Santa Margherita solo per partecipare a una regata che oltre tutto si terrà tra due giorni? Lasciamo perdere!”
Ma il mio discorso di estremo buon senso non sortisce alcun effetto, Rinaldo è determinato a partire, fa finta di non sentirmi, anzi, comincia a preparare la barca per mollare gli ormeggi.
Mi do per vinta e mi rassegno; partiamo, e come imbocchiamo l’uscita del nostro Marina, ci viene incontro un'onda che promette una navigazione tormentata: “Nessuna meraviglia per il mare mosso, le onde le avevo già adocchiate prima dalla strada! E che freddo che fa!”
Rinaldo però non demorde: “È vero, fa un po’ freddo, ma tu stai dentro nella dinette, così sarai riparata dal vento. Sto io al timone, tanto c'è poco da fare... il vento spira esattamente contro di noi, perciò non possiamo nemmeno issare la randa, sbatterebbe. Saremo costretti a farcela tutta a motore.”
Di bene in meglio! Quattro ore di sofferenza tra le onde per noi e per la barca, e per di più una navigazione a secco di vele. Ma non me la prendo granché, ormai siamo in ballo e ci tocca per davvero di ballare, questa volta. Mi rintanerò di sotto e mi metterò a leggere il romanzo che mi sono portata. Stando fuori rischierei di ammalarmi, anche se è il 2 di maggio e la stagione potrebbe essere davvero un po' più clemente.
“Che libro avevi in mano poco fa?”
“Il Maestro e Margherita di Bulgakov” il romanzo scelto per questo mese dal nostro circolo degli Amici del libro.
In realtà l’ho già letto e io preferirei sempre qualcosa di nuovo, ma è la maggioranza che decide, e per questa volta la scelta non mi dispiace, ricordo bene quanto avessi apprezzato quel romanzo in gioventù.
La barca sale e scende dalle onde senza sosta e ogni tanto si sente un botto secco perché batte su un’onda più alta delle altre, ma io sono fortunata perché non soffro il mare, posso procedere imperterrita nella lettura.
Ogni tanto mi affaccio dal tambucio: “Hei, tutto bene là fuori? Non è che stai prendendo troppo freddo?”
Rinaldo, imbacuccato nella sua cerata, mi sorride dal timone. È di ottimo umore. Come può essere contento di navigare con un tempo simile? Merita una foto che lo immortali col cielo nero e con il sorriso stampato in faccia. Gliela scatto subito.
“Tranquilla, continua pure a leggere, dove sei arrivata?”
“Annuska ha già comprato l’olio di girasole…”
“Cioè? Guarda che l’ho letto tanti anni fa, non me lo ricordo per niente.”
“Cioè il diavolo è già al lavoro sotto l’ombra dei tigli nei pressi degli stagni dei Patriarchi.”
“E l’olio cosa c’entra?”
“Berlioz, uno sventurato personaggio, scivolerà su quell’olio lasciandoci le penne… In compenso Gesù, anzi Jeshua è già stato giustiziato! Ma non ti dico altro, visto che vuoi rileggerlo anche tu.”
Vizcaya, la nostra barca, picchia forte su un’onda.
“Perbacco, ti sto distraendo, occhio al mare!”
“Per forza mi distrai, prima il diavolo a Mosca, poi Gesù sulla Croce! Già c’è un tempo infame, non puoi raccontarmi qualcosa di più rasserenante? E come ci stanno poi insieme il sommo bene e il sommo male? Proprio non me lo ricordo.”
“Gesù è presente in un romanzo che ogni tanto compare nel romanzo, scritto dal Maestro. Il Maestro, il grande amore di Margherita.”
Un potente mirabile affresco degli eventi, dei luoghi, dei personaggi della Palestina di quell’epoca. Pilato, il più suggestivo dei personaggi.
“A volte mi domando come fai a leggere con queste condizioni di mare. Sotto, nella dinette, per di più! Sei una mosca rara.”
“Dimentichi il mio piede marino ereditato da zii, nonni, bisnonni…”
Provo a stare seduta nel pozzetto per fare un po’ di compagnia a Rinaldo ma per il freddo non resisto più di cinque minuti. Torno alla mia lettura meravigliandomi del fatto che ricordo quasi tutto; man mano che leggo niente mi appare come una novità. È l’unico libro che ho letto in passato del quale io ricordi i dettagli con tanta precisione. Oltre tutto, a ben pensarci, sono passati… meglio non pensare quanti anni! Perbacco, se vola, il tempo! Il romanzo allora mi aveva turbato più di adesso, però anche ora questo diavolo che si vendica della corruzione dilagante in Mosca, aiutato da sinistri collaboratori, non mi rilassa particolarmente. Non mi sento del tutto a mio agio, nonostante l’umorismo di fondo grottesco, che apprezzo molto. Sarà anche il tempo grigio e la navigazione tormentata che contribuiscono a creare un’atmosfera inquietante. Il racconto, comunque, mi avvince, mi intriga, le pagine scorrono rapide con la voglia di proseguire e di non fermarmi. E quando mai ho tanto tempo di leggere come ora? Ben vengano le quattro o forse anche cinque ore che ho a disposizione (abbiamo anche una forte corrente contro!).
Rinaldo penserà che io sia arrabbiata con lui, perché mi coinvolge in queste spedizioni un po’ insensate, invece sono qui che mi crogiolo nella lettura. Una goduria, alla fin fine.
Il mare però sta davvero esagerando, esco di nuovo allo scoperto: “Potevi anche chiamarmi, stiamo passando da San Fruttuoso!”
“Cosa vuoi che ti chiami, ha iniziato a piovere!”
“Perbacco, meriti un’altra foto così intabarrato per difenderti non solo dal freddo ma anche dall’acqua. Coi guantoni, poi, ti ho visto ben di rado! Voglio riprendere anche il panorama, con lo sfondo così fumoso…”
“Vorrai dire nebbioso.”
“No, fumoso si addice meglio alle vicende del romanzo. Ti ricordi il grande ballo di Satana? Ricordo che era epico, drammaticamente epico. Non vedo l’ora di arrivarci.”
“Qui si balla alla grande anche senza il tuo Voland. Invece io non vedo l’ora di arrivare a Santa Margherita.”
“E come ti è venuto in mente come si chiamava Satana?”
“Sa il cielo… che peraltro spero sia più clemente al ritorno e ci risparmi almeno la pioggia.”
“Ti lascio al tuo tempaccio, torno da Bulgakov.”
Mentre scendo i tre gradini che portano nella dinette, penso ai milioni di persone che hanno letto questo romanzo, ma nessuno l’avrà letto, immagino, come me, nel bel mezzo di una burrasca. In fin dei conti, però, è proprio una burrasca, quella che Satana, con la sua azione vendicatrice, scatena a Mosca.
Il clou delle onde ci investe sotto il faro del promontorio di Portofino. Contemporaneamente il Maestro è investito dall’amore per Margherita.
E finalmente ci infiliamo nel porto di Santa Margherita. Le acque si placano e io sono costretta, mio malgrado, a chiudere il libro e ad abbandonare, per il momento, le malefatte di Satana. La Santa locale non ha calmato solo le acque ma anche la pioggia: la luce intensa del cielo forse non promette nuovi futuri rovesci ma qualche raggio di sole.
A più tardi, Bulgakof, il tuo ballo del plenilunio, con Margherita che ne è la regina, me lo gusterò in serata. Streghe comprese. Sempre che Santa Margherita lo consenta.
Posso immaginare come sono contenti gli ormeggiatori di venirci incontro sul pontile in una giornata come questa… Penseranno che avremmo potuto starcene tranquilli nel nostro porto, con questo tempo. Ma sono gentilissimi, come sempre. “Tempaccio del diavolo, quest’oggi - commenta uno dei due.”
Ecco, siamo in tema!
Meno male, però – penso io - il diavolo, nel corso del tragitto sino a qui, non ci ha messo lo zampino!
E allora, grazie Santa Margherita. O forse grazie Jeshua?
MARINELLA GAGLIARDI SANTI
Rapallo, 4 Giugno 2019
PITTORI DI MARINA - J.W.M. Turner, “The Fighting Temeraire”
PITTORI DI MARINA
Eco del golfo Tigullio
LA QUADRERIA DE “IL MARE”
J.W.M. Turner, “The Fighting Temeraire”
Il Temeraire, un vascello a tre ponti della Royal Navy, venne varato nel 1798 all’arsenale di Chatham e faceva parte di una classe di quattro unità; fu presente alla battaglia di Trafalgar del 21 ottobre 1805.
Ci troviamo di fronte ad uno dei più celebri dipinti di marina anche se, in questo partico- lare caso, parlare di uno specifico ambito “di genere” è quanto meno riduttivo in ragione – come vedremo brevemente – dei numerosi significati e della valenza artistica del- l’opera, che va vista e studiata in considerazione della rilevanza dell’autore nel più vasto campo dell’arte pittorica britannica a cavallo tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento. Joseph Mallord William Turner (1775-1881), generalmente noto come J.W.M. Turner, è stato un pittore britannico preminente e significativo che, più di tanti artisti coevi, ha saputo coniugare le tematiche della pittura di marina con le istanze innovative e introspettive che hanno caratterizzato tutta l’arte europea (e, quindi, non soltanto il settore figurativo) nel pieno del periodo del romanticismo.
Le sue opere, quasi tutte olii su tela, vennero riconosciute come originate da un indiscusso talento già nei primi anni della sua attività artistica, e la fama di Turner – da allora – è sempre stata continua e riconosciuta non soltanto in Gran Bretagna ma anche all’estero: oggi numerose sue opere sono esposte nei principali musei e gallerie britannici ed eu- ropei, con la National Gallery di Londra e il National Maritime Museum di Greenwich fortunati possessori di molti suoi quadri, parecchi dei quali riconducibili al settore navale e a quello storico più in generale.
L’opera che oggi presentiamo raffigura un momento sempre triste per una nave: il rimorchio verso il cantiere di demolizione, al termine di una carriera spesso importante e ricca di avvenimenti ma inevitabilmente destinata, come la stessa vita umana, ad
un’ineluttabile conclusione: il titolo completo del quadro è, difatti, The Fighting Temeraire tugged to her last berth to be broken up, 1838, titolo che richiama, per l’appunto, gli ultimi momenti di vita di questa gloriosa unità.
Il Temeraire, un vascello a tre ponti della Royal Navy, venne varato nel 1798 all’arsenale di Chatham e faceva parte di una classe di quattro unità (con Neptune, Ocean e Dreadnought); fu presente alla battaglia di Trafalgar del 21 ottobre 1805 come seconda unità della linea di fila al comando dell’ammiraglio Horatio Nelson (sulla HMS Victory), e si distinse coadiuvando quest’ultima nel combattimento con il “tre ponti” francese Redoutable e catturando il similare Fouguex.
Come per tutte le navi, giunse però anche per il Temeraire il tempo della radiazione (1838), e il quadro di Turner raffigura proprio questo momento, con un rimorchiatore a vapore che traina l’ormai obsoleto vascello verso il cantiere di demolizione.
Le caratteristiche pittoriche dell’opera, con gli “sfumati” e i particolari appena accennati tipici di Turner, conferiscono all’insieme un melanconico sapore romantico, permeato dalla triste consapevolezza del trascorrere del tempo, con il passato sostituito dalla modernità che – spesso – non è in grado di ripeterne l’appeal emotivo, l’intimismo e la propensione per la cultura e la bellezza.
Infatti, il vascello Temeraire si trova in secondo piano delicatamente illuminato dalla luce del tramonto, mentre il rimorchiatore in primo piano è scuro (quasi nero!) e i maggior dettagli che lo contraddistinguono stanno quasi a rappresentare l’oggi che soppianta i giorni passati, dei quali a breve resterà soltanto il ricordo.
Il Fighting Temeraire è stato al centro, nel 1995, di una mostra ad esso dedicata proprio dalla National Gallery di Londra, che ha visto esposte numerose altre opere di Turner riferite alla storia navale britannica (e alla battaglia di Trafalgar in particolare), modelli, strumenti nautici e numerosi documenti originali dell’epoca. Chi scrive queste note ha avuto la fortuna di visitare, all’epoca, quell’eccezionale evento artistico (arricchito, tra l’altro, da uno splendido catalogo dovuto alla storica dell’arte Judy Edgerton): è quindi con grande piacere che presentiamo oggi ai lettori de “Il Mare” The Fighting Temeraire nella consapevolezza di trovarci di fronte ad uno dei “quadri di marina” destinati a fama imperitura e ad un’ampia conoscenza tra studiosi, critici e semplici appassionati di ogni tempo e paese.
Maurizio BRESCIA
Direttore del mensile
Rivista fondata nel 1993 da Erminio Bagnasco
Rapallo,10 Dicembre 2018
IL MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA IN VISITA ALLA CITTADELLA DI ALESSANDRIA AL MUSEO DEL MARE DI TORTONA
IL MUSEO MARINARO TOMMASINO-ANDREATTA IN VISITA
ALLA CITTADELLA DI ALESSANDRIA
AL MUSEO DEL MARE DI TORTONA
Il Comandante Carlo GATTI dell'Associazione Mare Nostrum Rapallo INTERVISTA il Comandante Ernani ANDREATTA, Fondatore e Curatore del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari.
Comandante Ernani Andreatta, quale Fondatore e Curatore di uno dei più importanti Musei Marinari d’Italia, quello di Chiavari, sito presso la Scuola delle Telecomunicazioni delle Forze Armate non pensava di trovare nel basso Piemonte tanta marineria, nascosta anch’essa tra le mura di una Cittadella militare?
E’ vero! Io ed i miei collaboratori siamo rimasti favorevolmente impressionati sia dal sito che dai suoi contenuti marinareschi di eccelso valore.
Estesa per circa 60 ettari, la Cittadella (nella foto) si trova a nord-ovest della città, sulla sponda sinistra del Tanaro, e occupa l’area su cui sorgeva l’antico quartiere di Bergoglio. Voluta dai Savoia e progettata da Ignazio Bertola nel 1732 con una pianta a stella unica nel suo genere, è la sola fortezza europea ancora oggi inserita nel suo contesto ambientale originario. Il complesso militare immenso ospitava 3.000 militari.
Utilizzata con funzione difensiva durante l’intero arco della sua esistenza, nel 2007 è ufficialmente dismessa dal Ministero della Difesa, passando di proprietà all’Agenzia del Demanio. Attualmente l’intero complesso versa in condizioni a dir poco disastrose: la mancanza di una manutenzione costante ha permesso la diffusione di una pianta invasiva di origine orientale chiamata “ailanto” che poco alla volta sta sbriciolando i fabbricati. Le sue radici, infatti, insinuandosi in profondità tra i coppi e nella malta tra i mattoni, hanno prodotto seri danni alle strutture.
Il 14 marzo 2016 Riccardo Levi scriveva: “… fa ben sperare la recente consegna (l’8 febbraio scorso) in uso governativo da parte del Demanio alla Soprintendenza, dopo la richiesta del Segretariato generale del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo. Si spera così che possa presto prendere il via il pieno recupero di un luogo che rappresenta un elemento di eccellenza nel patrimonio culturale piemontese e nazionale”.
Oggi alla Cittadella di Alessandria si può visitare:
Da Marconi al Futuro: Museo sulla storia della Comunicazione Radio-TV della telecomunicazione.
Radioricevitore usato da Guglielmo Marconi nella PRIMA TRASMISSIONE fatta a Bologna nella villa GRIFFONE
Il Museo é stato Costituito per il Fai da Claudio Gilardenghi
Esiste un padiglione-simbolo del Museo che l’ha più colpito?
Il Museo contiene circa 800 apparati e racconta tutta la storia della Comunicazione dall'inizio ai giorni nostri. Rilievo particolare viene dato a Marconi, tutti i suoi strumenti sono presenti e funzionanti in un percorso didattico ed emozionale incredibilmente importante e preciso, un approfondimento particolare ha la comunicazione militare sia terrestre che navale. All’interno del museo è presente una copia della cabina del Titanic progettata da Marconi in grado di far rivivere attraverso un manichino animato e un lavoro d'ingegneria straordinario tutte le attività di comunicazione intraprese prima e dopo l’impatto con l’iceberg. La cabina, unica al mondo, è stata più volte richiesta dalle università italiane a scopo didattico. Sono anche presenti parte degli strumenti di Tesla e Van Der Graaf. Un settore importante è dedicato alla radio Imca, vera eccellenza alessandrina e mondiale.
Voglio precisare che il nostro gruppo formato: dal sottoscritto, da mia moglie Simonetta, dal Comandante Nino Casaretto con la moglie signora Raffaella, dai miei principali collaboratori del Museo Giancarlo e Paola Boaretto, era accompagnato da uno specialista che ci ha fatto da guida, si tratta di un socio AIRE (Associazione Italiana Radio d’Epoca) Bruno Lusuriello esperto nel mondo della Radio Comunicazione accompagnato dalla moglie e dalla figlia minore.
Avete così potuto apprezzare alcune particolari applicazioni RADIO di Guglielmo Marconi?
Abbiamo visto cose straordinarie come il rifacimento - funzionante - della Stazione Radio del TITANIC con il surreale affondamento per l’urto nel famoso iceberg. Abbiamo visto funzionare tutte le basilari apparecchiature che Marconi aveva poi applicato ai suoi studi riuscendo così a inviare i suoi famosi messaggi oltre Atlantico. Al signor Claudio Girardenghi che ha ricostruito tutte queste primordiali apparecchiature dovrebbero dargli il NOBEL PER LA FISICA o per non so che cosa …..
Ma la giornata in Piemonte é continuata con la visita di un altro MUSEO molto speciale per il vostro gruppo di esperti:
Ecco alcune foto del Museo della Cittadella di Alessandria
Donazione del CREST del Museo Marinaro di Chiavari da parte del Comandante Ernani Andreatta al Direttore del Museo della Comunicazione Andrea Ferrero Capogruppo AIRE. A sinistra Claudio Girardenghi Curatore e costruttore di quasi tutte le apparecchiature esposte. Era presente altresì, come guida al Museo della Comunicazione, Claudio Girivetto socio AIRE e già Curatore del Museo RAI di Torino.
Per ascoltare storie di mare e di marinai non serve arrivare sulla costa, ma basta fermarsi molto prima, nella città di Tortona, che nel suo centro storico ospita il Museo del Mare. Ma cosa ci fanno dei marinai a Tortona?
Ma cosa ci fanno dei marinai a Tortona? Lo spiegano, all’inizio di questo affascinante viaggio, il Presidente del Museo Francesco Montobbio e il Comandante Franco Pernigotti. All’epoca della Seconda guerra mondiale, nel tortonese, le fiorenti aziende metalmeccaniche (come la Orsi, la Cmt e la Graziano) fornivano la marina militare di giovani operai esperti (siluristi, motoristi, ecc.) e così molti tortonesi fecero la “leva di mare”, prima a La Spezia o a Taranto, poi nelle acque del Mediterraneo. Di ritorno dalla leva, questi ragazzi, che nel frattempo si erano ulteriormente specializzati “sul campo”, impiegavano le proprie conoscenze anche nel lavoro civile.
Da questo legame fra Tortona e il mare nel 2004 è nata l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia (A.n.m.i.) “Lorenzo Bezzi” - Gruppo di Tortona che in questa città ha realizzato nel 2006 il Monumento ai Caduti del Mare e nel giugno 2010 il Museo del Mare. A questo luogo, ricavato dai locali messi a disposizione dal Comune di Tortona, i marinai sono molto affezionati, perché raccoglie ricordi e reperti donati da generazioni di tortonesi
All’ingresso del museo campeggia una parete colma di crest, i tappi di volata dei cannoni, diventati poi stemmi delle navi. Quello del Gruppo Bezzi contiene il simbolo della città di Tortona, quello della Marina e delle Repubbliche Marinare ed è dominato al centro dalla figura del delfino, simbolo dei sommergibilisti come lo era il capitano Bezzi che hanno combattuto per la libertà della patria, alcuni di loro pagandola con la vita.
Ci parli della vera peculiarità, del CUORE STORICO di questo Museo.
Il Museo del Mare di TORTONA (con un passato di grandi Marinai) è anche depositario di tutti i reperti della Spedizione al polo Nord del Duca degli Abruzzi nel 1899-1900 che partì con la nave Stella Polare da La Spezia (La Spezia? … qualcuno addrizzerà le orecchie). Non raggiunse il POLO ma la latitudine di 86° 33’ 49” Nord. Il Museo di Tortona ha moltissimi reperti di questa straordinaria spedizione compreso tutta la farmacia al completo.
Non pensa che i due Musei da voi visitati ed entusiasticamente descritti debbano essere maggiormente reclamizzati? Magari anche attraverso il nostro benemerito sito di MARE NOSTRUM RAPALLO?
Certamente! Lei ha perfettamente ragione! Io ritengo che poche persone, anche nel nostro CONTESTO MARINARO, siano a conoscenza di questi due eccellenti PATRIMONI nazionali. Per lo più la gente pensa a Tortona come una cittadina agricola del Nord – oppure alla patria del grande Tortonese nato a Castellaneta: FAUSTO COPPI, mentre la città ha una grande passato di marinai, e oggi sono riportati alla luce da un gruppo di appassionati (ex Marina Mercantile e Militare) che sta facendo conoscere al “mondo”.
Per concludere, cosa l’ha più impressionato di questi PIEMONTESI con le mani nella terra, ma con il cuore immerso nel nostro MARE?
Una cosa mi ha consolato. Entrambi questi musei si fondano soltanto sul lavoro dei soci e non hanno mai ricevuto nessun contributo da istituzioni varie. Niente da nessuno!!! Il riferimento al Museo Marinaro di Chiavari è puramente casuale!!?? ….. Però sono ospitati in sedi totalmente inutilizzate civili o militari.
La sala centrale contiene alcuni pezzi forti: la strumentazione per comunicare, tra cui un telegrafo di macchina russo; le cartoline delle “madrine di guerra”, giovani ragazze di buona famiglia che tenevano rapporti epistolari con i marinai impegnati al fronte; l’Enigma, macchina crittografica utilizzata dalla marina militare tedesca nel secondo conflitto mondiale; i dettagliatissimi diari di bordo del guardiamarina Fausto Remotti che presto diventeranno un libro; persino alcuni documenti firmati da D’Annunzio durante l’occupazione di Fiume.
Regia Nave ROMA
Sono tanti i modellini di navi celebri da ammirare, come quello della nave scuola “Amerigo Vespucci” e quello della “Regia Nave Roma”, (nella foto) ammiraglia della flotta italiana affondata dai bombardamenti nemici il 9 settembre 1943 (con 1393 morti) e di cui sono esposte le foto originali scattate quel giorno da un marinaio tortonese. Altre “chicche” sono due pezzi di ancore romane del I secolo d.C., in parte ricostruite, una cassaforte di bordo del 1500 della flotta del Granduca di Toscana e poi l’abbigliamento: divise originali per ogni occasione, una collezione di “nastrini”, cioè le strisce contenenti il nome della nave che si applicavano sui berretti dei marinai.
“MAIALE” – (modellino)
Nella sala degli incursori subacquei si possono ammirare tre colubrine del XVI secolo completamente restaurate e un siluro a lenta corsa detto “maiale”, strumento delle imprese (im)possibili dei sommozzatori. Sono esposti anche gli omaggi dei visitatori, come una polena a forma di testa di tritone donata dall’Istituto d’Arte “Ottolenghi” di Acqui Terme (opera del professor Manfrinetti) e il mosaico di una nave fatto dai ragazzi del centro A.n.f.f.a.s di Tortona.
I MARINAI TORTONESI
L’ultima sala del museo entra nel vivo della storia dei tortonesi, con le avventure di alcuni personaggi che hanno reso grande la marina italiana. Si parte da Vittorio Moccagatta, (alessandrino, capitano di fregata che nel 1939 comandava la flottiglia Mas di La Spezia e i mezzi speciali d’assalto e che morì a Malta durante una missione), per arrivare a Carlo Mirabello (tortonese, ammiraglio che dopo l’Unità d’Italia divenne Ministro della Marina), senza dimenticare Pietro Achille Cavalli Molinelli (nato a Sale, medico di bordo sulle navi da guerra e amico del Duca degli Abruzzi Luigi di Savoia che seguì nelle spedizioni al Polo Nord e in Africa. Di questi viaggi è visibile nel museo tutto l’equipaggiamento originale).
Il nostro viaggio si conclude con la vicenda di un eroe tortonese, il capitano di corvetta Lorenzo Bezzi, cui è dedicata l’associazione. Nel giugno del 1940, tra la costa africana e Creta, Bezzi era alla guida del sommergibile Liuzzi che, dopo un pesante attacco nemico, presentava gravi avarie e non riusciva più a rispondere al fuoco. Data la gravità della situazione, dopo aver messo in salvo l’equipaggio, Bezzi fece affondare il sommergibile e sparì con esso nelle acque del Mediterraneo. Per questo gesto eroico gli fu assegnata la medaglia d’oro alla memoria.
Il museo è il posto giusto per chi vuole “navigare” in questo importante pezzo di storia italiana ed è anche molto adatto alle scuole di ogni ordine e grado, per lezioni interattive.
Eccovi le “coordinate”: via P. Pernigotti 12, Tortona (AL), è aperto al sabato (orario 9-12 e 16-19) ma è possibile concordare visite guidate anche in altri giorni della settimana su appuntamento, telefonando ai numeri 348 1498791 e 335 6715822. Ingresso libero.
Il MUSEO DEL MARE DI TORTONA
La FARMACIA DI BORDO
A sinistra lo staff della STELLA POLARE, a destra la nave in partenza da Spezia
Carta geografica del naufragio del TITANIC
Rapallo, 27 Novembre 2018
LA VOCE DEL MARE
LA VOCE DEL MARE
Maria e Giovanni erano stati sordi alla vita.
Il loro percorso fu punteggiato da coincidenze, segnali, che avevano tenacemente ignorato, proseguendo nel buio come ciechi, nel silenzio dell'esperienza, annullata dal frastuono esterno, come sordi.
Maria si era sempre innamorata dell'uomo sbagliato, Era attirata, come una calamita, da uomini difficili con un passato tempestoso. Se questa tendenza corrispondeva forse ad un bisogno profondo di consolare, redimere, Maria sbagliava poi tutto sul piano della comunicazione. Il suo approccio era razionale, analitico. Elaborava ragionamenti e pensieri validissimi, ma del tutto inservibili per gli uomini che aveva scelto. Quando ci sarebbe voluto un bacio, un'alzata di spalle o anche una porta sbattuta, lei iniziava a ragionare, facendoli indispettire.
Giovanni era, tutto sommato, un semplice. Anima sensibile, quasi d'artista, per tutta la vita aveva inseguito il successo economico solidamente raggiunto dagli amici suoi coetanei. Per conto suo non sentiva un intimo bisogno dell'agiatezza economica, ma era fortemente influenzato dalla società. Aveva aderito a valori che non gli corrispondevano, quindi per lui era stato impossibile raggiungere gli obiettivi che si era prefisso.
Entrambi sui cinquant'anni, sia Maria che Giovanni avevano riflettuto sulla loro vita e ne avevano tratto un bilancio fallimentare.
Per caso si erano incontrati nuovamente, dopo anni, una domenica di febbraio, sulla spiaggetta di Prelo.
– Ma sei tu! Come va? E' un secolo che non ci vediamo. - esclamò Giovanni incontrandola.
– Oh Giovanni, che piacere! Sei stato via? Non ti ho più visto in giro.-
– No. Sempre qui. Preso dal lavoro. Problemi, sai...-
– Uh, non parlarmi di problemi, ci navigo dentro, sperando di non affondare. - sospirò Maria.
Si accorsero di non aver più voglia di parlare e, per un tacito accordo, si allontanarono un po' sedendosi sugli scogli vicino al mare.
La spiaggetta di Prelo (Rapallo)
Maria guardava l'onda andare e venire, come ipnotizzata e,a poco a poco si sentiva pervadere da una calma sconosciuta. Ad un tratto udì una voce. Si guardò intorno. Più in là Giovanni, silenzioso, in contemplazione del mare. Sembrava una statua, in giro nessuno.
- Maria, Maria, quanto hai amato?
Allora Maria capì e si stupì.
Nell'antichità Dio aveva parlato attraverso le nubi, il vento, il fuoco, ma non ricordava che avesse parlato con la voce del mare.. D'altronde era logico, si rivolgeva ad un popolo di pastori
- Tanto, Signore, tanto. - rispose
- Solo con la testa, Maria, solo con la testa. Non hai dato mai tutta te stessa. - rispose il mare.- Oh no, ho sofferto tanto, sono stata sfortunata, ho incontrato uomini egoisti, che non mi hanno capito. - E tu li hai capiti? - riprese il mare.
Maria ascoltava senza imbarazzo. Non coglieva il rimprovero, sentiva che era un'esortazione a capire.
- Che devo fare, Signore? - chiese.
- Ascolta te stessa, amati e poi ama -
Rispose l'onda con uno slancio più forte che la spruzzò.
Maria sorrise, quello spruzzo le sembrò un nuovo battesimo, una sorta di rinascita.
Si voltò verso Giovanni, anche lui la guardò.
- Giovanni, io vado, mi prende freddo. - gli disse.
- Ti accompagno – rispose lui alzandosi – Hai un'altra faccia – aggiunse – ti ha fatto bene stare sulla spiaggia. -
- Anche tu mi sembri diverso o forse ti guardo con altri occhi. -
- No, mi sento cambiato. Sai, stavo lì, guardavo il mare e mi sembrava di farne parte. Una sensazione di abbandono, di piacere, di appagamento come non provavo da anni.. Io ero il colore e la trasparenza, il movimento e la voce. Tutto come doveva essere al principio. Un'esperienza strana. Per tutta la vita ho rincorso feste e divertimenti e ne uscivo sempre insoddisfatto, come se avessi adempiuto a un dovere. Oggi , qui nel silenzio, davanti al mare mi sono sentito felice. Era come se tutte le impalcature ,che avevo costruito intorno a me, fossero cadute e ora mi sento più libero, più leggero, - concluse.
- Anch'io mi sono liberata, forse... E' come se avessi parlato con il mare. Certo mi ha insegnato qualcosa..-
- Allora abbiamo trovato un passatempo, che non costa niente e ci dà tanto. - disse Giovanni sorridendo.
- Io direi una scuola – rispose Maria – Ci voglio tornare. Ho tanto da imparare.
- Mi sa che in futuro ci vedremo spesso. - Disse Giovanni.
- Sì, finché c'è silenzio e solitudine io ci verrò. Vuoi dire che a cinquant'anni cominciamo a capire qualcosa della vita? - chiese Maria.
- Lo spero. - rispose Giovanni, mentre insieme andavano controvento verso un futuro migliore.
Ada BOTTINI
Rapallo, 27 Gennaio 2016
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La caduta della TORRE DI CONTROLLO DI GENOVA
LA CADUTA DELLA TORRE DI CONTROLLO DEL PORTO DI GENOVA
Una Tragedia annunciata?
La vecchia e la nuova Torre di Controllo del traffico del Porto di Genova. Un passaggio di consegne finito in tragedia.
PREMESSA: Le navi che approdano nel porto di Genova vanno “girate” all’arrivo oppure alla partenza. L’allungamento di molti Ponti ed il riempimento di zone portuali strategiche hanno drasticamente concentrato in avamporto questo tipo di manovra.
La cementificazione del Porto di Genova, ha cercato di dare risposte ‘moderne’ alle richieste dello shipping internazionale, ma il suo impianto é medievale, e questi limiti geografici e corografici sono, a nostro modesto avviso, tra le probabili cause della tragedia della Torre di Controllo del Traffico.
Il disegno schematico evidenzia (nella parte alta) l’allungamento dei pontili nel bacino ad anfiteatro del Porto Vecchio, da sinistra: tombamento del Passo Nuovo e Calata Sanità, modifica di Ponte Assereto e Ponte Colombo, Andrea Doria, Ponte dei Mille ed infine la trasformazione delle Calate interne fino al Molo Vecchio. Nel disegno é anche visibile (nella parte bassa a sinistra) il riempimento di Calata Bettolo. La freccia rossa indica la zona Bacini e la T.C. scomparsa.
Questa bella immagine delle Stazioni Marittime del Porto Vecchio è successiva ai lavori di allungamento di Ponte dei Mille
Premetto che, nel rispetto delle indagini in corso, non mi occuperò della manovra della Jolly Nero, ma piuttosto della situazione che si é venuta a creare in porto, dopo l’operazione di trasformazione e di allungamento di molte banchine per adattarle alle nuove esigenze del mercato navale.
Pochi si sono accorti che queste ‘gettate di cemento’ hanno costretto i piloti a cambiare le “tradizionali manovre”, a causa degli spazi sempre più ridotti, anche a scapito della sicurezza.
La cementificazione iniziata più o meno nel 2001-2002 é andata progressivamente aumentando fino all’anno in corso che, come tutti sappiamo, ha visto la distruzione della Torre di Controllo dei Piloti da parte di una nave in manovra di uscita e, con molto ritardo, questa immane tragedia ha reso un po’ tutti consapevoli dei passi “imprudenti” che sono stati compiuti in oltre dieci anni di affannosa rincorsa dei traffici in fuga dall’Italia.
Come sempre succede dopo un disastro, da più parti, ogni giorno, vengono sollevate obiezioni, supposizioni, accuse e dichiarazioni a dir poco STRANE. In effetti, si continua a trattare le persone come fossero bambini ritardati... ed anziché spiegare le verità nude e crude, si preferisce lasciare l’ultima parola al prete di turno, alla fatalità, alla pietra tombale e così via...
I lavori di ammodernamento del porto iniziati negli anni ’90, videro i primi ‘allungamenti importanti’ nel 2001-2002, e sono poi proseguiti come da note qui di seguito riportate:
Articolo del 2009 - AUTORITA’ PORTUALE
Stato di avanzamento piano delle opere.
- Presentato stamani a Palazzo San Giorgio lo stato di avanzamento del piano delle opere del porto di Genova, già cantierate o in via di cantierizzazione, avviate nel corso del 2009 e di prossimo avvio nel 2010 ...........
- L’intervento darà una risposta lungamente attesa al compendio dove proseguono peraltro i lavori per Calata Bettolo, a cui la seconda fase di dragaggio dovrebbe imprimere un’accelerazione, e dove partiranno a giorni i lavori per il riempimento Ronco-Canepa..........
- Per quanto riguarda invece l’area passeggeri è in fase di assegnazione la gara per la realizzazione grande banchina di Ponte dei Mille con un accosto di 340 metri destinato alla navi passeggeri di ultima generazione.
Articolo del 24/09/2011
Inaugurata la nuova banchina Ponte dei Mille.
Merlo: “Genova raggiungerà 1 milione di passeggeri”
Genova. Da oggi la più bella Stazione Marittima d’Europa ha una nuova banchina. Infatti, è stato inaugurato stamane, alla presenza delle autorità, l’ampliamento del lato di ponente della banchina di Ponte dei Mille.
Calata Bettolo per metà é ormai riempita.
Ampliamento del terminal container di Calata Bettolo.
L'intervento prevede la realizzazione di una nuova banchina a sud dell'esistente Calata Bettolo, a chiusura dello specchio d'acqua tra Ponte Rubattino e Calata Canzio (vedi foto n.4). Il piazzale ottenuto a seguito del tombamento dello specchio acqueo antistante Calata Bettolo costituirà il Nuovo Terminal Contenitori della capacità a regime di oltre 400.000 TEU/anno, in grado di operare su navi portacontainer della settima generazione, con lunghezze di oltre 380 metri e pescaggi di oltre 14.50 metri, grazie ad uno sviluppo di banchina di oltre 750 metri ed un tirante d'acqua di progetto di 17 metri.
E’ inoltre, prevista la costruzione di una unità funzionale, ad est di Calata Olii Minerali, denominata Darsena Tecnica, destinata ad attività di bunkeraggio navale e piattaforma ecologica (vedi foto n.2). La darsena tecnica è a levante e piccole cisterne lavoreranno nella nuova testata Calata Canzio (lungo canale).
Una veduta aerea del Porto di Genova dei primi anni ’90, con i suoi 22 km di lunghezza e le sue quattro imboccature. (Imbocc. di Levante-Fiera; Imbocc. Centrale–Italsider; Imbocc. Porto Petroli Multedo-Aeroporto; Imbocc. di Ponente-Porto Container di Voltri) – Nella foto si nota una nave in entrata davanti alla Fiera, tra poco sarà all’altezza del citato Superbacino ed entrerà in Avamporto. Poco avanti si vede un’altra nave in movimento davanti alla vecchia Torre di Controllo. Tra poco questa seconda nave entrerà nel bacino di evoluzione delle Grazie (tra Calata Gadda e i Bacini di Carenaggio). Sullo sfondo, il bacino ad anfiteatro del Porto Vecchio dove hanno girato il REX, la MICHELANGELO e le moderne navi da crociera prima dell’allungamento dei moli.
04.00 del 26 luglio del 1997 - Partenza Superbacino da Genova. Quattro piloti: Aldo Baffo, Giuseppe Fioretti, Carlo Gatti e Ottavio Lanzola presero posizione su ogni lato del Superbacino......
In questa immagine si vedono chiaramente le dimensioni del manufatto costruito in cemento armato, lungo 370 mt., largo 80 e alto una ventina di metri. Posizionato davanti all’imboccatura di levante del Porto, impediva ai Piloti la visuale del traffico navale. Questa megastruttura, nata e cresciuta in porto, era destinata al raddobbo delle superpetroliere di 350.000 tonnellate di portata, che furono costruite dopo il blocco del Canale di Suez alla fine della Guerra dei Sei Giorni (6.6.67). La sua forma, simile ad un enorme parallelepipedo vuoto e senza copertura, era il risultato dell’assemblaggio di otto elementi che era iniziato con il varo, tutt’altro che facile, del primo pezzo nel lontano 28 aprile 1975.
Questo “ostacolo” fu all’origine della costruzione della nuova Torre di Controllo abbattuta dalla Jolly Nero.
Un po’ di Storia: Verso la metà degli anni ’80, proposi ai miei colleghi piloti ed alle Autorità dell’epoca, la necessità di poter operare da una Torre di Controllo del traffico alta e moderna, che superasse in altezza il superbacino galleggiante che impediva la visuale delle navi in avvicinamento all’imboccatura di levante. Tutti erano consapevoli che all’epoca, in certi giorni della settimana e in certi orari particolari, si doveva gestire l’approaching di 10-15 navi contemporaneamente, oltre a quelle in uscita, in movimento e in attesa di istruzioni. La direzione del traffico era diventato il problema principale per la sicurezza del porto. Il superbacino era inattivo, ed era così alto che dalla vecchia Torre di Controllo, alta quattro piani, i piloti erano completamente ciechi. Il presidente del Porto di allora, Roberto D’Alessandro ci promise la realizzazione di un prototipo di T.C. da parte dell’Italimpianti. Purtroppo, i suoi scontri con il console Batini lo videro sconfitto. Ritornai alla carica nei primi anni ’90, con il Capo Pilota Adriano Macario, sensibile al problema e con alcuni Dirigenti dell’allora CAP, i quali capirono al volo che la realizzazione di una moderna T.C. sarebbe diventata il fiore all’occhiello di un Porto Integrato all’avanguardia, con le sue 4 imboccature (quattro piste d’atterraggio) ecc... Lo studio, la progettazione, la strumentazione, la funzionalità, la logistica ecc.... c’impegnarono per molti anni di duro lavoro. Tutto andò per il meglio, ma la sua “tranquillità operativa” durò solo pochi anni a causa, come si é visto, di una progressiva cementificazione che andò via via a restringere e a ridurre nel tempo il numero dei bacini d’evoluzione dislocati in tutte le zone portuali e che per anni avevano permesso ai piloti di girare le navi contemporaneamente.
Una annotazione importante
Fino ad una decina di anni fa, esisteva in porto la “Consuetudine” che obbligava tutte le navi in arrivo ad ormeggiare con la prora fuori, per essere pronte a sgomberare in caso di emergenza. Va da sé che tutte le navi in arrivo nel Porto di Genova DOVEVANO ESSERE GIRATE in determinati “slarghi”. Oggi le cose sono cambiate: il 40% delle navi in arrivo vengono ormeggiate con la “prora a terra” sia per ridurre i tempi di manovra, sia per la sparizione o diminuzione degli slarghi stessi.
Dove ‘giravano’ le navi prima della cementificazione selvaggia e dove ‘girano’ oggi?
Navi destinate al Porto Nuovo di Sampierdarena, (i cosiddetti pontili a pettine).
Fin dalla sua costruzione (tra le due guerre mondiali), le navi hanno sempre “girato” secondo queste modalità:
- lunghezza 50-100 mt. girano sul posto.
- lunghezza 100-220 mt. girano con la prua a ponente in canale, perché la distanza tra le testate dei pontili e la diga foranea é di 210 metri.
- lunghezza superiore a 220 metri (Jolly Nero), sia in entrata che in uscita (se necessario) evoluivano a CALATA BETTOLO, ormai tombata definitivamente. Questa manovra é stata fatta per circa 90 anni. Oggi queste navi girano in AVAMPORTO
Bacini di evoluzione PORTO ANTICO
AVAMPORTO, lo slargo che s’incontra entrando in porto, ha sempre avuto lo specifico scopo (direi storico), proprio per le sue dimensioni, di ‘agevolare’ gli incontri tra le navi in uscita e quelle in entrata, evitando i passaggi ravvicinati in canale e in altre zone più strette (accesso ai bacini di carenaggio, calata Sanità x grandi n. container, traghetti in transito ecc...).
Questa foto, ripresa sulla T.C. da una delle vittime, vale più di tante parole..............
Con la cementificazione in atto, l’AVAMPORTO é diventato l’unica ZONA DI EVOLUZIONE SICURA, ma di DI MASSIMO PERICOLO PER LA T.C. (vedi foto 7)
Aggiungo, inoltre, che detta pericolosità é stata anche accentuata da altre strutture e banchinamenti costruiti agli Olii Minerali - la zona diametralmente opposta a ponente, della T.C. - già descritta all’inizio.
BACINO PORTO VECCHIO, abbiamo visto che ormai é destinato a ZONA DI EVOLUZIONI SOLTANTO PER I TRAGHETTI e navi similari per l’avanzamento del cemento e la riduzione drastica dell’acqua di manovra.
BACINO CALATA GRAZIE, (vedi foto n.5). Si tratta di un’area di evoluzione che é stata dragata tra i Bacini di Carenaggio e Calata Gadda. Viene tuttora usata quando soffia forte la tramontana, ma presenta altri problemi su cui é inutile soffermarci. Durante i lavori di dragaggio a Calata Gadda, le GRANDI NAVI PASSEGGERI SONO STATE GIRATE PREFERIBILMENTE IN AVAMPORTO. Si preferisce girare queste navi in AVAMPORTO anche durante forti sciroccate e libecciate.
ZONA DI EVOLUZIONE DAVANTI A CALATA SANITA’. Si usa questa zona di evoluzione quando vi é concomitanza di manovre di navi passeggeri destinate alle Stazioni Marittime. (Vedi margine inferiore foto.n.5)
Così si presentava il Bacino Porto Vecchio prima degli allungamenti dei pontili. In rosso i terminal passeggeri di un tempo.
Davanti a Ponte dei Mille e Ponte Andrea Doria evoluì il REX (250 mt.), il CONTE DI SAVOIA e, in seguito, noi girammo la MICHELANGELO-RAFFAELLO (275 mt.) - EUGENIO C. e le grandi navi moderne (eccetto le ultime, ovviamente).
CONCLUSIONE:
All’epoca della progettazione e costruzione della T.C. crollata, nessuno tra gli addetti ai lavori, aveva conoscenza dei progetti che avrebbero fronteggiato il gigantismo navale. Nel frattempo centinaia di Operatori Portuali di tutti i continenti vennero a Genova per studiarne l’ubicazione, l’operatività e quant’altro. Nessuno mosse mai critiche o avanzato progetti per migliorarne la sicurezza.
Tuttavia, oggi sarebbe importante sapere come mai, una volta avviati i lavori di ammodernamento, non siano state prese in considerazione le denunce di pericolose oscillazioni della T.C. a causa del vento e della vicinanza delle navi in evoluzione.
La Torre di Controllo nacque per dare SICUREZZA ALLE NAVI, non per essere essa stessa vittima della mancanza di sicurezza. Non averla protetta dai cambiamenti delle dinamiche navali in atto nell’ultimo decennio é stata una fatale omissione. Si spera che le indagini in corso rivelino le vere cause e individuino le responsabilità di chicchessia affinché i nove giovani operatori della T.C. non siano morti invano.
Dalle dichiarazioni udite in TV subito dopo la tragedia, uno dei massimi dirigenti del porto si é così espresso:
“Quella nave non doveva girare lì, non si é mai visto una cosa del genere!”
Che tristezza! No comment!
Carlo GATTI
Rapallo, 18.5.2013
Riportiamo il commento di un nostro socio ing. A.B. sul crollo della Torre di Controllo dei Piloti di Genova:
"Grazie alle foto scattate durante la costruzione della Torre dei Piloti, la struttura di base é ben visibile.
Si trattava di una costruzione che gravava su semplici colonnine senza rinforzi che rimaneva in piedi grazie alla forza di gravità.
Con un carico di punta senza contrasti laterali é logico che sia crollata come un domino. Le solite "architettate" senza cervello.
Ribadisco: osservando il danno (o per meglio dire il NON danno) sulla nave, ne deduco senza troppo sforzo che al momento dell'urto la nave era già praticamente ferma e si è semplicemente appoggiata.
Le tracce di cemento si estendono al massimo per un paio di metri lungo lo scafo.
L'edificio era così mal concepito da andare giù praticamente con un soffio...
Dico di più, se invece della nave fosse giunto uno scossone di terremoto avrebbe fatto con tutta probabilità la stessa fine.
Continueranno a prendersela con la parte "marinara" della questione cercando errori di manovra, probabilmente per mascherare ben altro...
SEM BENELLI E IL SUO CASTELLO DI ZOAGLI
SEM BENELLI E IL SUO CASTELLO DI ZOAGLI
SEM BENELLI Filettole (Prato) 1877 - Zoagli 1949
SCHEDA:
Sem Benelli - Scrittore simbolista, amico di Marinetti, divenne celebre come drammaturgo (La cena delle beffe, 1909) scrivendo diverse tragedie e commedie di ambientazione storica.
Partecipò alla Prima guerra mondiale e fu per due volte ferito e decorato di medaglia d'argento. Nella notte del 31 ottobre 1918 fece parte dell'equipaggio che trasportò davanti al porto di Pola: Raffaele Paolucci e Raffaele Rossetti che all'alba affonderanno l'ammiraglia austriaca Viribus Unitis e fu il primo soldato italiano che recò ai cittadini di Pola l'annuncio della liberazione.
Interventista alla vigilia della Grande Guerra, fu attratto dal Fascismo fino al delitto Matteotti, quando diventò critico nei confronti del regime; questo gli attirò frequenti tagli della censura.
Lo scrittore è sepolto nel chiostro di S.Domenico (Prato).
Sem Benelli, caduto oggi in un ingiusto oblio, fu un poeta e drammaturgo italiano che conobbe uno straordinario successo nei primi cinquant’anni del Novecento. La sua vita, svoltasi sempre ai massimi livelli, ebbe inizio a Prato, in Toscana, nel 1877 e si concluse a Zoagli (Liguria) nel 1949. L’autore della famosa Cena delle beffe visse da protagonista i momenti cruciali della storia nazionale. Non solo, ma attraverso Sem Benelli è stato possibile indagare il rapporto, spesso ambiguo, che si instaurò tra il fascismo e il mondo della cultura che ebbe il suo snodo nel Ministero della cultura popolare e nelle creazioni volute dal regime: l’Accademia d’Italia, Cinecittà, la Direzione generale del teatro, le riviste, citandone qualcuna che con Benelli ebbe a che fare.
«Chi non beve con me, peste lo colga!»
(Sem Benelli, La cena delle beffe, 1908)
Il Castello di Sem Benelli al tramonto. Si erge in posizione dominante sull’intero golfo, ubicato su uno sperone di roccia a strapiombo sul mare. Il sito è contrassegnato dal toponimo “Castellaro”. L’edificio, di mole notevole, è visibile dal percorso della via Aurelia che lo affianca a nord.
Percorrendo la strada sul litorale che da Zoagli porta a Chiavari si rimane colpiti dall’improvvisa visione di un castello dallo stile molto originale, forse unico nel suo genere, il castello cosiddetto di Sem Benelli che il poeta drammaturgo volle erigere dopo il suo insediamento a Zoagli nel 1911, dove morì il 18 dicembre 1949.
La villa-Castello fu eretta su uno sperone roccioso a strapiombo sul mare, in località Monteprato. Fu fatta costruire dallo stesso nel 1914 su progetto del suo scenografo teatrale Giuseppe Mancini.
Durante i lavori di costruzione del castello, Sem Benelli abitò in affitto a San Pietro di Rovereto, nella villa Capitanio-Soracco.
L’edificio, nonostante sia di costruzione recente, si presenta in un aspetto eterogeneo di stile medievale e gotico, con l’utilizzo di pietra a vista, maioliche e marmi colorati. Il corpo centrale è contornato da una serie di altri moduli in un sistema complesso seppur compatto e maestoso. L’ingresso della villa è inquadrato da un monumentale arco che ricorda un fondale scenico, originale componente con cui Mancini ha voluto valorizzare la struttura.
Da una informativa del Comune di Zoagli riportiamo:
“La costruzione fu voluta dallo scrittore toscano Sem Benelli (1877-1949), che acquistò il terreno da un certo Giovannino delle Gallerie con i ricavati dei diritti d’autore della sua opera e della sua Compagnia Stabile denominata “benelliana”.
La costruzione cade un anno dopo la cosiddetta Torre Merello di Gino Coppedè, ideale pendant del Castello di Sem Benelli sul territorio zoagliese. Nel 1933 Raffaele Calzini indica il Castello di Sem Benelli come costruzione emblematica dell’anno 1914, assieme ad altri due edifici milanesi (palazzo Viviani-Cova di Adolfo Coppedè, e casa Berri-Menegalli di G. Arata).
Rispetto alla tipologia delle "ville-castello" dei Coppedè (a Genova, per esempio, il Castello Mackenzie del 1897-1902, la Villa Coppedé del 1902, il Castello Turcke del 1903, a Lido di Camaiore la Villa Rolandi-Ricci del 1909, a Lugano la Villa Cattaneo del 1913), il Castello di Sem Benelli, a pianta articolata, sembra caratterizzato da una maggiore compattezza di volumi, che si raggruppano in modo complesso attorno a un alto corpo centrale elevato sugli altri a mò di torre.
L’insieme è improntato a uno spiccato decorativismo ottenuto mediante il trattamento chiaroscurale delle superfici, la presenza in esterno di parti dipinte, soprattutto l’accostamento di materiali diversi (pietra, mattoni, marmi colorati).
Si tratta di caratteri tipici dell’architettura eclettica tra fine Ottocento e inizio Novecento, che tuttavia Mancini arricchisce, in quest’esempio, di componenti originali come l’effetto decisamente teatrale conferito all’ingresso della villa, strombato e inquadrato da un monumentale arcone a mò di fondale scenico, e il trattamento curvilineo delle superfici, realizzato soprattutto nella sommità della “torre” che assume una forma rastremata in alto, rinunciando alla larga copertura tipica dello stile Coppedè, come pure alle sue componenti neo-medievali e neo-gotiche e all’impostazione squadrata della pianta e degli alzati.
Mancini, piuttosto, potrebbe aver tratto ispirazione dalla tipologia del mausoleo novecentesco sviluppato verso l’alto, con forma a pinnacolo che ricorda certa architettura sacra orientale (gli stupa tibetani e indiani): si veda, per esempio, la Tomba Ernesto Puccio di Gino Coppedé al cimitero di Staglieno (Genova)”.
Tomba di Sem Benelli – Chiostro di San Domenico (Prato)
Tuttavia, dopo un anno, il corpo fu trasportato a Prato, presso la sua città natale; fu rispettata, invece, la volontà testamentaria che legò il suo archivio e la sua biblioteca alla Società Economica di Chiavari, oltre ad una infinita corrispondenza con personaggi del calibro di Pirandello, Emilio Treves, Mussolini, D'Annunzio ed altri.
Il lascito Sem Benelli è costituito da 3.080 volumi a stampa e 140 plichi di manoscritti. Va notato, tuttavia, che, come si rileva dalla sua opera Schiavitù, Sem Benelli aveva precedentemente venduto parte dei suoi libri; inoltre i tedeschi, perquisendo nel 1943 il suo alloggio, vi avevano manomesso molti plichi di lettere.
Riportiamo per gli appassionati un compendio delle sue opere:
Sem Benelli, come abbiamo visto, è stato un poeta, scrittore e drammaturgo italiano, autore di testi per il teatro e di sceneggiature per il cinema. Fu anche autore di libretti d'opera.
È stato spesso considerato dalla critica un D'Annunzio in minore, ma recentemente il suo talento letterario è stato rivalutato fino a considerarlo come una fra le maggiori espressioni della tragedia moderna.
Il drammaturgo pratese fu autore del testo teatrale La cena delle beffe, tragedia ambientata nella Firenze medicea di Lorenzo il Magnifico, che ebbe un successo clamoroso e tale comunque da consegnare il suo nome alla storia della letteratura. Da questa tragedia fu tratto nel 1941 dal regista Alessandro Blasetti l'omonimo celebre film con Amedeo Nazzari e Clara Calamai. In quel film abbiamo il primo sprazzo di nudo nella storia del cinema sonoro di Cinecittà: Clara Calamai che interpreta Ginevra alla quale viene strappata la camicia da notte lasciandone intravedere il seno.
Dalla riduzione del testo a libretto, venne ricavata da Umberto Giordano l'opera omonima andata in scena in prima rappresentazione al Teatro alla Scala di Milano il 20 dicembre 1924. La sola bibliografia teatrale di Benelli comprende una trentina di titoli, sviluppati nell'arco di una quarantina di anni e articolati tanto su drammi sociali quanto su commedie di ambientazione di tipo borghese.
Benelli ebbe il pregio di saper coltivare la sua vena artistica, senza adagiarsi sugli allori del successo ottenuto con la Cena; negli anni immediatamente successivi riuscì a scrivere altri importanti lavori teatrali di impronta storica che ebbero un particolare successo anche in virtù dei multiformi apparati scenografici con i quali venivano rappresentati in scena. Si segnalano qui, in particolare, le tragedie L’amore dei tre re (1910), servita anche da libretto per un melodramma di Italo Montemezzi andato in scena nel 1913; Il mantellaccio e Rosmunda (scritte nelm1911); La Gorgona (1913), da cui furono tratti due film omonimi nel 1915 e nel 1942; ed infine Le nozze dei centauri (lavoro pubblicato nel 1915). Nel 1913 compose un poema sinfonico in onore di Giuseppe Verdi, musicato da Francesco Cilea ed eseguito al Teatro Carlo Felice di Genova, città alla quale il cigno di Busseto era molto legato.
A detta dei critici l'arte letteraria di Benelli - specie per quanto riguarda la produzione principale che va dal 1908 al 1915 - è contraddistinta da una raffinata ricchezza di simbolismi, solo in parte intaccata da un cupo erotismo e da forti connotazioni di carattere psicologico. La successiva produzione poco aggiungerà al suo valore di scrittore dalle molte sfaccettature. Meritano di essere comunque segnalate le commedie: Adamo ed Eva (del 1933), Madre Regina ed Eroi (messe in scena nel 1934) e Caterina Sforza, ispirato all'omonimo personaggio storico (1938).
Benelli fu amico di Marinetti, che aveva avuto parole di lode per le sue opere sino a dopo la fine della Prima guerra mondiale, che Benelli aveva propugnato come convinto interventista. In seguito i rapporti tra i due mutarono radicalmente, arrivando al «disprezzo reciproco».
Allo stesso modo mutò in Benelli l'ammirazione per il regime fascista, che pure aveva condiviso con Gabriele D’Annunzio partecipando con lui all’Impresa Fiumana come legionario. Dopo l'omicidio di Giacomo Matteotti ad opera di fascisti nel 1924 nasce in Benelli, che fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti del maggio del 1925, un'accesa ostilità per il regime fino al punto di fondare un'organizzazione antifascista, la Lega Italica, che il governo chiuse quasi immediatamente.
La vera natura politica del drammaturgo è stata forse colta da Giuseppe Bottai nel suo Diario 1944-48 definendo non fascista ma mussoliniano Benelli che, insieme a altri come lui «davano ragione a Mussolini contro il fascismo». Un mussolinismo ideale il suo, pericoloso e dannoso per il reale regime fascista. Ma forse chi era veramente Sem Benelli lo si può cogliere in quanto egli scrisse di sé stesso:
«L'artista è l'eroe che i tiranni invidiano e che gli Stati vogliono assoggettare e deformare poiché egli vive per l'uomo ed è spesso contro lo Stato. Se mi direte anarchico, non importa: sono anarchico perché credo l'uomo più importante dello Stato.» |
Carlo GATTI
Rapallo, 29 Maggio 2019
PITTORI DI MARINA - “Al largo di Valparaiso” (“Off Valparaiso”)
PITTORI DI MARINA
Eco del golfo Tigullio
LA QUADRERIA DE “IL MARE”
“Al largo di Valparaiso” (“Off Valparaiso”)
La nave raffigurata dal pittore Thomas J. Somerscales è un tipico tre alberi con scafo in ferro, largamente impiegato dalle principali marinerie sul finire dell’Ottocento, le cui forme di scafo e la cui velatura sono mutuate da quelle dei famosi “clipper” del the e della lana in attività alcuni decenni prima.
La pittura di marina di scuola britannica è sicuramente la più vasta e di qualità in questo specifico genere, e sono numerosissimi gli artisti inglesi che, dal Settecento ai giorni nostri, hanno raggiunto nel settore vette artistiche e documentali di più che considerevole valenza.
In particolare, tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del secolo scorso, oltremanica si è assistito ad un’autentica fioritura artistica in questo ambito, con pittori quali William M. Willie, Charles Pears e Norman Wilkinson le cui opere rientrano di diritto tra la migliore produzione del periodo e raggiungono notevoli quotazioni nelle aste britanniche e statunitensi, oltre ad essere esposte nelle più quotate gallerie londinesi e del Regno Unito.
In questo panorama, la figura di Thomas J. Somerscales è abbastanza atipica e “indipendente”: figlio di un capitano di lungo corso, nacque a Kingston upon Hull nel 1847 e ben presto iniziò una carriera di insegnante tecnico con la Royal Navy. In quel periodo diede avvio, su basi del tutto autodidatti che, ad un’attività collaterale di pittore amatoriale: caratteristica di famiglia, dato che il padre e uno zio erano essi stessi grafici dilettanti, disegnatore il primo e pittore il secondo.
Nel 1864 Somerscales visitò Valparaiso, in Cile per la prima volta, e si stabilì in quella stessa città nel 1869, dopo aver contratto la malaria nel corso di un viaggio ai tropici nell’Oceano Pacifico. In Cile, Somerscales proseguì la sua attività artistica su basi professionali, partecipando a numerose mostre e esposizioni di pittura di marina e guadagnandosi una fama che, ben presto, lo rese noto anche in patria.
Rientrò nel 1915 in Gran Bretagna, stabilendosi nella città natale di Kingston upon Hull ove, sino alla sua morte (1927), proseguì l’attività di pittore di marina; il suo quadro più famoso è sicuramente “Off Valparaiso” (“Al largo di Valparaiso”), realizzato in Cile nel 1899, che qui presentiamo.
L’opera (olio su tela), è oggi esposta alla Tate Gallery di Londra, che la acquistò dopo che questa era stata esposta alla Royal Academy nei primi anni Venti, e presenta tutti gli aspetti che meglio evidenziano l’arte di Thomas J. Somerscales, ossia un’eccezionale fusione tra elementi naturali (il mare e il cielo), nautici (la corretta raffigurazione di scafi, alberature e manovre) e una “dinamicità” che coinvolge l’appassionato, l’osservatore e chi per mare ha navigato e conosce la realtà di questi elementi.
Una “nave attrezzata a nave” (cioè un veliero a tre alberi con vele quadre) naviga al gran lasco al largo di Valparaiso, e si prepara ad imbarcare il pilota, la cui imbarcazione (siamo in Sud America alla fine dell’Ottocento...) è una semplice lancia a remi che sfida le onde dell’Oceano Pacifico.
Va evidenziata la corretta disposizione della velatura, in riferimento alla situazione in cui il tre alberi è raffigurato. Come detto, il bastimento naviga al gran lasco ma deve mantenere rotta e stabilità, riducendo nel contempo la velocità. I due fiocchi portati “a farfalla” favoriscono quindi il mantenimento della rotta con un’andatura portante, ma le scotte delle vele superiori dei tre alberi sono state allascate per ridurre la velocità e lo sbandamento: velaccino e controvelaccino (al trinchetto), velaccio e controvelaccio (alla maestra), belvedere e controbelvedere (alla mezzana) sono quindi già sventati e il veliero, maestosamente, riduce l’abbrivo e si prepara a ricevere il pilota a bordo.
La nave raffigurata è un tipico tre alberi con scafo in ferro, largamente impiegato dalle principali marinerie sul finire dell’Ottocento, le cui forme di scafo e la cui velatura sono mutuate da quelle dei famosi “clipper” del the e della lana in attività alcuni decenni prima.
Maurizio BRESCIA
Direttore del mensile
Rivista fondata nel 1993 da Erminio Bagnasco
Rapallo, 4 Dicembre 2018
RICORDO DEL PILOTA GIANCARLO ODDERA
RICORDO DEL PILOTA
GIANCARLO ODDERA
Ricorre quest’anno il ventennale della morte di Giancarlo ODDERA. E’ stato Pilota del porto di Genova ed anche Sindaco di Castel Vittorio (Imperia).
Mi scuso innanzitutto con gli amici lettori ed in particolar modo con i famigliari di Giancarlo per l’imprecisione di qualche data.
La vecchia Torre-Piloti ricostruita nel 1947 e la nuova Torre di Controllo del traffico del Porto di Genova. Un passaggio di consegne finito in tragedia.
Come ben sapete, il crollo della Torre piloti, avvenuta il 7 maggio 2013 alle 23.05, ha trascinato con sé sul fondale di Molo Giano 9 vittime, strappate in un attimo all’affetto dei loro cari e di tutti noi. Con loro é scomparso un mondo reale, ma anche l’archivio storico: la memoria di ogni Pilota del porto, come se un lungo pezzo della vita del porto fosse scomparso insieme a loro, insieme alle tante vicende che li videro protagonisti sia sulla Torre quella notte come “sentinelle” appostate sull’imboccatura, sia come protagonisti di migliaia e migliaia di eventi e manovre destinate ad accogliere le navi e portarle in banchina con qualsiasi tempo.
L’archivio perduto, risaliva al primo dopoguerra. In precedenza, dal 1940 al 1945, per due volte la Torre piloti cadde sotto i bombardamenti della Seconda guerra mondiale e fu ricostruita sempre nello stesso posto, a tempo di record in situazioni economiche e logistiche disastrose.
Il senso marinaresco della classe politica di allora poggiava su un altissimo piedistallo che si specchiava con la LANTERNA e sapeva guardare lontano!
L’archivio del Corpo Piloti della prima Torre bombardata, conteneva la documentazione storica dei vecchi piloti che risaliva alla lontana epoca medievale.
I piloti esistono, come istituzione, dai tempi del re Salomone.
La vita del pilota portuale non é semplice, e proprio Giancarlo Oddera né fu testimone con l’incidente che lo vide gravemente infortunato durante una manovra portuale, il cui esito influì non poco sulla sua successiva carriera. Abbiamo recuperato nel Museo Marinaro di Chiavari del Com.te Ernani Andreatta, suo amico e compagno di Accademia Militare a Livorno, l’articolo del giornale che descrive dettagliatamente la dinamica dell’incidente.
Si consiglia di ingrandire il testo con l'apposito tasto.
Giancarlo Oddera rientrò in servizio dopo aver superato la visita medica, erano passati quattro o cinque mesi durante i quali fu sottoposto a difficili interventi agli avambracci con l’innesto di barre di titanio e relativi chiodi.
Arrampicarsi sulle biscagline in quelle condizioni sembrava un azzardo, anche per i suoi collaudati colleghi in servizio, ma Giancarlo era un “marinaio” intrepido, un atleta forte, scattante e deciso nel carattere, nel pensiero e nell’azione.
In occasione del suo ritorno in Torretta, diede a tutti una lezione di attaccamento al Corpo Piloti che nessuno poté mai dimenticare. Il suo rientro in servizio fu un grande stimolo, specialmente per le giovani leve che videro in lui un mitico esempio di dedizione e coraggio.
Da sinistra: Giancarlo Oddera, Carlo Gatti, Fausto Bonomi
L’organico dei piloti portuali é diviso in squadre di tre o quattro membri ed é regolato dall’andamento sinusoidale del traffico navale del porto, dai pensionamenti, dalle malattie, dagli incidenti e da altri fattori tecnico-politici. La squadra di Giancarlo Oddera (nella foto sopra) é rimasta invariata per oltre 20 anni.
Giancarlo, dal tipico aspetto di un “marine” della USS Navy, coltivava nel suo intimo i grandi valori di un tempo: figlio di un maresciallo dei carabinieri aveva l’imprinting della divisa, dell’onore, del lavoro, dell’amicizia, ma soprattutto della famiglia.
Chi scrive, senza saperlo, fece gli stessi passi “marinari” di Giancarlo prima di vincere il concorso da pilota a Genova.
In tempi diversi imbarcarono sulle petroliere “FINA ITALIA” e “MARIO MARTINI”, in seguito diventarono Comandanti con la RIMORCHIATORI RIUNTI-Genova.
Ma ciò che caratterizzava Giancarlo Oddera agli occhi della comunità portuale, sia quella operativa tra le calate, sia quella che sta alle sue spalle ed é interscambiabile con la prima, era la SEMPLICITA’, L’UMILTA’, LA DISPONIBILITA’, ma soprattutto il senso d’AMICIZIA che per lui era la visione di sé con gli occhi dell’altro!
Portuali, barcaccianti (RR), ormeggiatori, agenti, armatori ecc… erano i personaggi che animavano il suo mondo marinaro, un mondo fatto di tante lingue, dialetti, modi dire, esperienze di terra e di mare. Giancarlo era un personaggio delle mitiche canzoni di FABER.
Detto questo, non é difficile immaginare che tra noi ci sia stato un feeling particolare!
Non é neppure difficile accettare l’ironia del destino che proprio a me fosse toccata l’ultima guardia con lui; quella notte “senza ritorno” che lui volle sfidare ancora una volta quando il suo fisico, in qualche modo, si era ormai inesorabilmente modificato e indebolito dopo l’incidente. Quella notte rimane tra i ricordi più sofferti della mia vita lavorativa.
Castel Vittorio (Imperia)
Da pensionato visse felicemente fino al 1998 con l’amata famiglia: sua moglie Anna, la figlia Cristina (medico) ed il figlio Gian Stefano, attuale sindaco di Castel Vittorio come lo fu suo padre.
Ciao Giancarlo! Quando leggerai queste righe starai “navigando” nei dintorni di Piazza Banchi e ti verranno in mente quelle pause tra un vapore e l’altro, quando parlavamo di navi, di caccia e di storia…
Un caro abbraccio ovunque tu sia!
Da sinistra: Giancarlo Oddera, GianCarlo Cerutti, Carlo Gatti in Sala Operativa
Ringrazio gli Amici Comandanti Ernani Andreatta ed il collega GianCarlo Cerutti (che voi tutti conoscete attraverso i miei scritti), per avermi suggerito la stesura di questo “ricordo” dedicato al compianto collega Giancarlo Oddera. Un OMAGGIO che estendo a tutti i Piloti del passato e del presente affinché non vada persa del tutto la “memoria” di tante Persone che hanno contribuito con la loro dedizione a far “grande” Genova ed il suo PORTO!
Seguono alcuni LINK di articoli presenti sul sito di Mare Nostrum Rapallo il cui unico scopo é quello di tenere una fiaccola accesa su un piccolo mondo, poco conosciuto e quasi dimenticato dal suo stesso impietoso destino!
CHI E’ IL PILOTA PORTUALE
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LA CADUTA DELLA TORRE DI CONTROLLO DEL PORTO DI GENOVA
Una Tragedia annunciata?
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TRENT'ANNI DI TECNOLOGIA PORTUALE
Tra le pieghe dei ricordi personali.
Dai fischi del pilota…alla Torre di Controllo del porto.
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PROGETTO TORRE PILOTI
PRESENTAZIONE
Palazzo San Giorgio - Genova
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TORRE PILOTI NEI PORTI DEL MONDO
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PERCHE’ È INDISPENSABILE UNA TORRE PILOTI
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UNA GIORNATA DA PILOTA
Il racconto della prima manovra della giornata
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GENOVA (Porto Petroli Multedo) 12.7.1981
INCENDIO – ESPLOSIONE della super-petroliera giapponese
“HAKUYOH MARU”
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Ricordando la HAVEN
vent’anni dopo...
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Da Mathausen a Rapallo
L'INCREDIBILE STORIA DI BENEDETTO BOZZO
PILOTA DEL PORTO DI GENOVA
Carlo GATTI
Rapallo, 24 Settembre 2018
UN MATTINO L'INCANTO...
UN MATTINO L’INCANTO…
La piccola spiaggia è racchiusa da scogli. I pochi bagnanti silenziosi leggono il giornale o parlottano sottovoce, come i due ragazzi vicini a Giulia. Hanno le voci ancora sopite dal sonno.
Si sente solo il suono del mare, che varia in crescendo come sinfonia al passare di motobarche al largo, poi s’attenua e racconta l’inizio e la fine di tutto a chi la sa ascoltare.
La scena è così perfetta, compiuta, con i ciottoli rotondi in tutte le tonalità del grigio, il mare così limpido e cristallino da perdere colore in controluce, che Giulia ha un lieve tremito: il piccolo terremoto emotivo che l’assale durante l’attesa di un evento temuto.
“Se l’avvenimento negativo, sarà proporzionale alla bellezza del momento, potrebbe essere una catastrofe.” Pensa Giulia.
Poi sorride della sua premonizione come di un vizio esecrabile, ma ormai accettato. Si alza, avanza nel mare e subito è ripresa dall’incanto: ad ogni passo il mare le risponde con uno sciacquio di accettazione. Si questo è il suo ambiente, il luogo privilegiato d’incontro con la natura e con l’azzurro della vita.
“Ciao Marisa, sei in ritardo oggi. Vieni ti ho tenuto il posto” .
Qualche voce si alza nel silenzio, ma non disturba, tutto è vita intorno. Le tensioni si sciolgono, lei avanza fiduciosa e appagata nell’acqua.
Giulia nuota regolare, senza fatica verso lo scoglio, ora deserto. Tra qualche ora ospiterà le gambe irrequiete, le voci squillanti dei giovani, che si tuffano dalla sua sommità nel profondo ai suoi piedi.
Il mare è verde alla base dello scoglio, verde smeraldo purissimo, senza opacità, senza macchie.
“Ecco, questo smeraldo introvabile adesso è tutto mio, anzi vi sono immersa, inclusa, come un moscerino nell’ambra”.
Pensa Giulia appagata. Il senso di appartenenza alla natura è perfetto. Ora nuota col sole alle spalle verso riva, l’acqua cambia colore: lo smeraldo si muta in acquamarina, altrettanto pura e trasparente.
Lei guarda il suo corpo nell’acqua: spariti i difetti, i segni del tempo, si sente soda, liscia, ben modellata. Sa che è un’illusione, ma se la gode. E’ troppo bello, la levità del peso, la fluidità delle forme. Ritorna al largo per un’altra nuotata, grata a Dio e all’universo per il dono del mare e della vita. Ora nuota a dorso per ritornare. Ampie bracciate, profondi respiri.
L'attacco
Un colpo, una strisciata rapida e violenta la sollevano dall’acqua. Un bruciore intenso, il panico. Com’è rapido il pensiero! La scrittura lo snatura. Per un attimo, solo per un attimo Giulia pensa di aver urtato uno scoglio. Immediatamente dopo intuisce la verità.
Lo squalo. L’incontro temuto, altamente improbabile, è avvenuto. Ripiomba in acqua terrorizzata. La bestia, il male, l’altra faccia della natura. La memoria antica le blocca il respiro, le scompone i movimenti, tutta l’energia si incanala in un urlo, senza parole, come all’inizio dei tempi. Il dolore alla schiena è forte, ma meno potente dello scompiglio che sente dentro di sé. Fuori un’abrasione, dentro uno squarcio.
"No, il sangue nel mare, no!“
Il pensiero lentamente si ricompone, i movimenti si finalizzano alla salvezza. Il silenzio è frantumato, Giulia sente la gente urlare sulla spiaggia, ordini, parole sconnesse, qualcuno l’afferra per le mani, la tira fuori dall’acqua.
Il pesce intanto disorientato prosegue la sua corsa, urta il pedalò, azzanna la boa dei bagni vicini, si inabissa, riemerge, la pinna enorme, veloce a fendere l’acqua, capovolge un windsurf e sparisce. Il mare si è richiuso sopra di lui a proteggerlo.
Tutto apparirebbe perfetto, idilliaco come prima, se non fosse per la gente. Ognuno parla, racconta aggiunge, piange, telefona, organizza.
L’urlo della sirena dell’ambulanza prontamente accorsa comunica a Giulia che il peggio è passato. Tra poco sarà soccorsa, curata, guarita. E’ tornata all’oggi, all’efficienza e alla complessità della nostra società. Le era piaciuto quell’inizio di mattina così semplice, quasi primitivo. Poi l’incontro e la deflagrazione della paura. Paura dello squalo, paura di sé. Un’esplosione di debolezza e di aggressività. Ah se avesse potuto avrebbe distrutto lo scoglio, lo smeraldo, lo squalo, quello che le piaceva e quello che detestava. Senza distinzioni.
“Ecco, attenti. Fate largo per favore. Ora signora la sistemiamo a pancia in giù. Un telo sterile per favore, per ricoprire la schiena. Che disastro! Perde sangue, Svelti. C’è un’abrasione ampia e un taglio profondo”.
Giulia vorrebbe piangere, ma non le viene, non ci riesce mai. Anzi le scappa un sorrisino amaro. La schiena, l’unica parte intatta del suo corpo. Anche quella ora sarà segnata, ferita dalla vita, dal destino, dalla sfortuna. Sfortuna, una parola che non esiste nel vocabolario dei vincenti. Un’altra categoria, non la sua. Lei ci ha provato: pensiero positivo, terapie alternative, gocce di Bach. Ha indossato la maschera dell’ottimismo, la bocca atteggiata al sorriso, gli occhi illuminati da speranze inconfessabili, ma ogni volta la vita, con un soffio di maestrale, fa volare il suo castello di carta, le lievi strutture che la sostengono e lei ricade pesantemente nella sua realtà. La salute è un sogno, il benessere un’utopia.
Sono già arrivati all’Ospedale. Il dottore del Pronto Soccorso ha un’aria sfatta, preoccupata. Deve aver affrontato qualche caso difficile. Giulia lo conosce da tanti anni. E’ contenta che ci sia lui: sa che farà del suo meglio.
“Signora, ancora lei. Cosa è successo, questa volta ?”
“Uno squalo!”
“Uno squalo?”
“Dottore, non mi dica anche lei che sono stata fortunata. Che poteva andarmi peggio. Che potevo lasciarci la pelle. Sono stufa, arcistufa di queste fortune. Le lascio volentieri ad altri. Sembra che il mio destino sia di incontrare il male, conoscerlo, soffrirlo anima e corpo e poi sfuggirgli. E’ così con le malattie, con gli incidenti. Ma fino a quando? Non ne posso più”.
Mentre Giulia si sfoga il dottore lenisce il dolore, disinfetta, medica.
“Direi di non cucire qui. Abbiamo un cerotto oggi che rimargina bene. Resterà un segno come di un graffio. Ora stia un attimo ferma e zitta, poi mi racconta tutto per filo e per segno!”
Qualcuno bussa alla porta dell’ambulatorio, l’infermiera socchiude, la porta si spalanca di colpo, un flash acceca il medico e fa sobbalzare Giulia, che incominciava a calmarsi sotto l’effetto del sedativo.
“Fuori, bastardo!”
Urla il dottore. Poi rivolto alle infermiere:
“Prendetegli quella macchina!” Mentre il fotografo si allontana di corsa.
“Non è proprio nel suo stile, uscire così fuori di sé”.
Pensa Giulia. Deve essere stata una giornata davvero difficile per lui.
La voglia di interessarsi degli altri, di condividere riafferra Giulia, che si stava abbandonando al torpore.
“Che cosa le è capitato dottore, oggi? Non è lei “.
“A me niente, signora, soltanto il mio lavoro. A lei piuttosto è successo qualcosa di poco piacevole ed io sono qui per proteggerla. Vorrei che si abbandonasse adesso all’effetto dei farmaci. E’ sotto choc. Ha bisogno di riposo. Mi fanno infuriare quelle sottospecie di cronisti. C’è sempre qualche iena fuori del Pronto Soccorso. Appena arriva un ferito lo assalgono. Se potessero gli toglierebbero anche i vestiti, le medicazioni. Se ti opponi sbraitano che violi il diritto di cronaca. Che perversione! Loro e i fruitori della loro spazzatura”.
La voce del dottore ha sempre avuto l’effetto di calmarla. Qualsiasi cosa dica: “Fosfatasi alcalina?” E lei, senza neppure conoscere il significato delle parole, si sente accolta, protetta. Deve essere una questione di tono e di accento. Anche stavolta lo squalo è lontano… il sonno vicino… Lasciati andare Giulia. Domani riprenderai a combattere.
Ada BOTTINI
Rapallo, 26 dicembre 2015
LEONARDO DA VINCI, da mito a relitto
3.7.1980
INCENDIO E PERDITA
della nave passeggeri italiana in disarmo
“LEONARDO DA VINCI “
Nave |
Bandiera |
Varo |
Stazza l. |
Passeggeri |
Velocità |
|
Leonardoda Vinci |
italiana |
1958 |
33.340 |
1326 |
25.5 |
|
Luogo dell’Incendio:
La nave era ancorata nella rada del porto di La Spezia.
Un po’ di Storia:
Il 5 aprile 1977, la turbonave Leonardo da Vinci fu messa in disarmo, a conclusione di numerosi viaggi di linea per il Nord America. Si chiudeva così un fulgido periodo di grandi tradizioni marinare per l’Italia e la Liguria, legato ad un servizio marittimo ormai compromesso dalla concorrenza dell’aviazione civile mondiale.
Folla di curiosi assiste alla partenza della Leonardo da Vinci da Ponte Andrea Doria.
La Leonardo da Vinci in uscita dal porto di Genova per il suo viaggio inaugurale il 30.V.1960
La magnifica linea della Leonardo da Vinci, tipico esempio di Italian Style, in arrivo negli Stati Uniti.
Ci fu quindi una cancellazione totale dei servizi di linea, ma si aprì il grosso problema dell’utilizzo delle unità disarmate e soprattutto del numeroso personale destinato altrimenti alla disoccupazione. La riapertura del Canale di Suez offrì in quel periodo nuove opportunità turistiche e fu decisa la costituzione di una Società a partecipazione mista:
Statale (FINMARE) e Privata (Costa-Magliveras-Elice) per la gestione di navi in attività crocieristiche. Venne così fondata la I.C.I (Italia Crociere Internazionali).
La prima decisione presa dalla nuova Società fu quella di rimettere in servizio La Leonardo che venne destinata ai Caraibi, con base a Port Everglades in Florida. Ma i concetti di costruzione e di servizio delle vecchie navi di linea, erano ormai tutti superati dal nuovo vento tecnologico e manageriale, imposto da una classe emergente di Armatori che aveva previsto in tempo la svolta epocale dei traffici navali. Così che, dopo appena un anno di crociere, la Leonardo rientrò a Genova il 18.9.1978 e la trasferirono dopo pochi giorni a La Spezia in disarmo.
La Leonardo da Vinci in disarmo alla Spezia é devastata da un
improvviso incendio.
Incendio a bordo:
L’incendio é finalmente estinto, ma la Leonardo da Vinci é ormai un relitto.
Fu durante questa sosta forzata che il 3.7.1980 la gloriosa e bella nave genovese andò perduta, a causa di un incendio scoppiato, forse per un cortocircuito e che non fu possibile domare tempestivamente per mancanza di personale, essendo la nave in disarmo e quindi sorvegliata da un numero esiguo di personale.
Per ragioni di sicurezza, la nave fu allontanata a rimorchio fuori dalla diga foraneadel porto, dove continuò a bruciare per tre giorni ed alla fine, a causa dell’acqua imbarcata in funzione antiincendio, sbandò, poi s’inclinò sempre di più sino a coricarsi su un fianco sul basso fondale della rada.
La Leonardo da Vinci fu in seguito recuperata ed avviata definitivamente alla demolizione.
La sezione prodiera della Leonardo da Vinci appoggiata su un fianco
Carlo GATTI
Rapallo, 3 aprile 2013