LO "SCOPRITORE" DELLO STOCCAFISSO
LO “SCOPRITORE” DELLO STOCCAFISSO
dedicato al Comandante Nanni Andreatta, anche… Gran Maestro di Stoccafisso
Pietro Querini
Da < NON SOLO SPEZIE> lineadaqua Editore
Ricavo quanto scrive Michela Dal Borgo:
Il patrizio Pietro Querini, feudatario in Candia (Creta) di Castel di Termini e Dafnes, salpò dall’isola il 25 Aprile 1431, a bordo della cocca Querina con un ricco carico di ottocento barili di vino Malvasia (di sua produzione), spezie, cotone e altre mercanzie, diretto alle Fiandre. Ma il viaggio si rivelò travagliato e, appena superato Capo Finisterre, una tempesta li spinse al largo dell’Irlanda (sopra le isole Solinghe), lasciando la nave gravemente danneggiata in balia delle onde per settimane.
Relitto della cocca Querina
Il 17 dicembre fu deciso di lasciare il relitto, dividendo l’equipaggio, in origine composto di sessantotto individui, tra cui una scialuppa (schifo) e una lancia. Della prima non si ebbero più notizie mentre il Querini e i quarantasette marinai che aveva con sé, dopo essere fortunosamente scampati ad altri nubifragi e malgrado un severo razionamento di viveri con conseguente mortalità (letale l’abuso di vino misto ad acqua salmastra) furono spinti verso le rive dell’Isola di Sandoy, nell’arcipelago delle Lofoten ( Norvegia).
Targa commemorativa dell’arrivo dei naufraghi italiani
Isole LOFOTEN
Querini e i sedici marinai superstiti riuscirono a sopravvivere ben undici giorni prima che gli abitanti della vicina Isola di Røst li soccorressero, portandoli nelle loro case ( << Sono uomini purissimi e di bello aspetto, e così le donne sue, e tanta è la loro semplicità che non curano di chiuder alcuna sua roba, né ancor delle donne loro hanno riguardo [….] e questo chiaramente comprendemmo perché nelle camere medesime dove dormivano mariti e mogli e le loro figliuole alloggiavano anche noi >>). In quest’isola, ribattezzata dal Querini Rustene, i veneziani trascorsero ben quattro mesi, dividendo con i centoventi abitanti pane di segale, cervosa e i prodotti della pesca, in particolare passere (poste sotto sale) e merluzzi essiccati, quest’ultimi dai nativi chiamati stocfisi :
<< I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale, e perché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come legno>>. Querini e i suoi compagni ripartirono il 15 Maggio 1432, con i pescatori locali diretti verso Bergen per i loro commerci, portando anch’essi sessanta stoccafissi che rivendettero per avere il necessario per il ritorno in Patria. A Venezia giunsero, via terra, solo il 12 Ottobre 1432 e Pietro Querini fece subito una relazione al Senato veneziano, oggi conservata in originale alla Biblioteca Apostolica Vaticana, E con lui giunse anche sulle tavole della laguna lo stoccafisso - il pesce bastone- una delle quattro specie di pesce <<di Ponente>> (vedi nota) importate da Venezia nei secoli XVII e XVIII. << quando si vogliono mangiare li battono col rovescio della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butirro e specie per darli sapore>>… questa la ricetta tradizionale tramandata da Pietro Querini.
NOTA. Le altre 4 specie di pesce sono: Sarde in savor, Baccalà mantecato, Moleche o “mosche” fritte e le Seppie al nero o alla griglia.
E da notare che a Venezia sia il baccalà che lo stoccafisso, viene chiamato sempre Baccalà; quello mantecato altro non è che stoccafisso mantecato.
Una annotazione: non tutti sanno che lo stoccafisso e il baccalà sono lo stesso pesce. Al momento del pescato il capo pesca, esperto di questi animali, seleziona i migliori a che, appesi all’aria, diventino stoccafisso e i meno belli vengono messi sotto sale per poterli conservare.
Pensiero di Renzo Bagnasco
e del fotografo Carlo Gatti
Rapallo, 26.1.11017
CHIAVARI - RIONE SCOGLI: Album Fotografico
ALBUM FOTOGRAFICO
Oggi l’Antica Casa Gotuzzo, ha cambiato completamente l’abito e nel 2014 è stata completata una radicale sistemazione con un leggero innalzamento di circa 50 cm ed un completo rifacimento della decorazione.
Nel luglio del 2014 i decoratori Mirca Ceglie e Gabriele Pompeo danno gli ultimi ritocchi alla meridiana raffigurata sulla facciata a sud dell’Antica Casa Gotuzzo.
Nel 1944 i tedeschi, come anche accennato più sopra, erano fortemente intenzionati a demolire questa storica casa per sostituirla con un Bunker. Ci troviamo pertanto in Piazza Gagliardo, vulgo Piazzetta dei Pescatori ma che, per oltre un secolo, si è chiamata “CIASSA DI BARCHI”. Ne spiegheremo le ragioni in un prossimo "pannello" che è stato progettato per essere esposto nella piazza stessa.
Nella parte occidentale di Chiavari sono tuttora visibili numerose tracce del sistema difensivo costiero realizzato dai Tedeschi dopo l’8 settembre. Alcuni tratti dell’esteso muro antisbarco che proteggeva la spiaggia, sono ancora presenti a levante, sia presso la foce del fiume Entella, sia in prossimità della ex Colonia marina Fara a ponente, come le foto che seguono ci indicano nitidamente.
Dancing "La Capannuccia"
"Bellezze al bagno" degli anni '50. Da sinistra Gilda Agrizzi recentemente scomparsa per un banale incidente stradale compianta da tutto il rione Scogli, e in special modo dall'associazione "Amici del Mare e Degli Scogli". Poi "Gughi Maccianti" poi la Gianna Solari, sorella di Gino il famoso costruttore Navale ormai scomparso, e vedova di Franco Malavasi un compianto personaggio di Chiavari, quindi non identificata e a destra una bella ragazza del tempo anche lei ormai scomparsa.
(sopra) - Vedute della passeggiata a mare di Chiavari negli anni '50/60
Altre foto del lato mare di Chiavari. Proprio dove sorse poi il famoso Dancing la Capannuccia della famiglia Cambioni, sorgevano alcuni bunker come si vede ancora nell’immediato dopoguerra.
Un tobruk con postazione per mitragliatrice é riportata sul lato mare.
1944 – 2014. Sono passati 70 anni ...
Nelle tre foto sotto sono ancora visibili le tracce di muraglione antisbarco
Pezzi di muro antisbarco vicino alla Colonia Fara
La foto mostra il tipico nido di mitragliatrice antisbarco denominato Tobruk.
ERNANI ANDREATTA
Rapallo, 25 Agosto 2014
Webmaster Carlo GATTI
Naufragio m/n FIDUCIA
Naufragio della piccola nave
“FIDUCIA”
Storia di un brillante salvataggio e del suo amaro epilogo
Il 20 dicembre del 1962 alle ore 03.15, durante una notte di burrasca forte, al Comandante Giovanni Assereto della nave passeggeri Vulcania della Società Italia, fu comunicato che al largo della minuscola isola di Ustica c’era una nave in difficoltà. L’imbarcazione, con otto persone d’equipaggio e dal nome falsamente ottimista, Fiducia, aveva lanciato ripetuti e concitati segnali di soccorso: “mayday! - mayday!” che giungevano flebili, a causa di un’avaria alla trasmittente, o forse per il vento burrascoso che fischiando a raffiche, copriva le voci. Ci fu un immediato cambio di rotta. Le due navi si trovavano a circa 30 miglia di distanza tra loro. Sul Ponte di Comando della Vulcania si udirono le rincuoranti promesse d’assistenza. Dall’esperto Comandante partirono a raffica le prime istruzioni alla sala macchine per l’imminente manovra d’emergenza ed alla coperta per il recupero dei naufraghi.
Era il mio terzo imbarco da Allievo ufficiale di coperta e si trattava del primo salvataggio della mia carriera.
Come richiamati da un magico tam-tam, i passeggeri affluirono in massa ad occupare tutti i ponti liberi sul lato destro della nave per assistere ad un eccezionale evento marinaro. Il Comandante Assereto ed i suoi ufficiali, dopo aver localizzato la Fiducia sul radar, iniziarono a compiere la “curva di rito” che ci avrebbe portato, come una diga mobile di quasi 200 metri, sopravvento alla nave senza governo, per fornirle un provvidenziale ridosso.
La piccola M/n FIDUCIA è finalmente a ridosso della M/n Vulcania. Tutto è pronto per il recupero dei naufraghi.
Ancora oggi sono colpito dal ricordo di quella successione di manovre impartite dal Comandante e che furono compiute in modo silenzioso e millimetrico.
Innanzitutto ci fu il calibrato rallentamento della nostra nave - (slow down) - che riuscì a portarsi ad un centinaio di metri dalla Fiducia. Da questa posizione, il Comandante Assereto diede ordine di accendere i pastorali, che erano lampioni navali, girabili lateralmente verso l’esterno della fiancata, mentre i potentissimi proiettori di bordo illuminarono improvvisamente dall’alto il tragico scenario, dentro il quale, la piccola nave, ridotta ormai allo stremo, spariva tra le bianche e sferzanti creste d’onde e poi riemergeva lentamente, ululando e vomitando tonnellate d’acqua e schiuma e aveva gli alberi inclinati come un naufrago in cerca d’aiuto.
Il comandante Assereto con il Cardinale da Costa Nunez.
Il nostro Comandante manovrò le due macchine riuscendo a farsi scarrocciare dal vento, molto lentamente, verso la Fiducia che sbandata a sinistra sussultava riemergendo a fatica. In quella notte di tregenda il quadro si fece ancora più drammatico, quando si distinsero chiaramente sette sagome umane, che sparse sul ponte di coperta, si tenevano aggrappate alle attrezzature di bordo. Presto ci fu il contatto tra le due navi; il caso volle che la testa d’albero prodiero della Fiducia sfondasse l’oblò di una cabina e rimanesse incastrato alla nostra nave per qualche minuto. Paradossalmente fu quello il momento ideale che permise il recupero dell’equipaggio il quale, simile ad una ciurma di pirati si lanciò all’arrembaggio e si arrampicò agilmente sulle “giapponesi” (ampie reti usate per imbracare i colli di stiva) che erano state gettate fuori bordo dal nostromo e dai marinai, forse nel ricordo di una prassi molto usata durante la seconda guerra mondiale.
I naufraghi raggiungono la salvezza.
Il Comandante Assereto manovrò ancora le macchine con molta abilità, riuscendo a sfilarsi dal Fiducia senza il minimo danno. La piccola nave apparve ormai come un relitto sbandato, semisommerso e alla deriva. L’equipaggio fu totalmente recuperato, ogni naufrago fu asciugato, avvolto in una coperta calda e fu assistito dal personale medico di bordo.
Ci fu, purtroppo, una vittima di cui non abbiamo ancora fatto cenno. Su quella coperta inclinata e flagellata dai marosi, scivolava da paratia a paratia, abbaiava e piangeva un lupo bianco giapponese, che nessuno poteva più aiutare.
L’equipaggio stremato ed ancora impaurito, ma ormai al sicuro sul ponte passeggiata del grande transatlantico, volle seguire con lo sguardo il drammatico epilogo della sua nave. I naufraghi si schierarono l’uno accanto all’altro, s’appoggiarono tristemente al parabordo del ponte e fissarono a lungo, con gli occhi sbarrati, l’ultimo comandante di bordo che, abbandonato per sempre dagli uomini, s’allontanava incredulo nel buio più profondo. Lo salutarono sbracciando i loro baschi fradici tra le lacrime e gettando nell’angoscia, non solo i passeggeri, ma anche il collaudato equipaggio dell’anziana Vulcania. A bordo, tutto si fermò per un attimo, il nostro Comandante, stagliato come una sfinge sull’aletta della plancia, salutò con tre fischi lunghi e mesti la coraggiosa Fiducia che si apprestava a compiere la sua ultima traversata verso gli abissi, con il suo indomito nocchiero bianco.
La nave poco dopo sparì, trascinando con sé il suo ultimo compagno di viaggio, il più fedele. Se ben ricordo, il suo nome era Dock e come un vecchio lupo di mare d’altri tempi, decise di seguire la sua nave….
Carlo GATTI
Rapallo, 10.02.12
PORTOFINO COM’ERA… ma come sarà???
PORTOFINO COM’ERA…
ma come sarà???
Agli inizi dell’800 Portofino, con i suoi 1300 abitanti-sudditi della Repubblica di Genova, si trovava al centro di aspre contese tra i Fieschi e i Doria. Il Congresso di Vienna (1815) sistemò un po’ di cose… e, come tutta la Liguria, anche il piccolo Borgo rientrò tra i possedimenti del regno Sardo Piemontese.
Si tratta di una data molto importante per buona parte dei portofinesi che decide di ritornare alla sua vocazione originale: il MARE! Che é duro da masticare…” Il pane dalle sette croste”, ma forse é meno duro da digerire che le tasse agricole imposte dai Savoia!
I PORTOFINESI VOLGONO LO SGUARDO VERSO L’OLTREMARE…
Alcuni residenti diventano armatori di legni sempre più importanti perché sono anche astuti ed esperti commercianti che sanno comprare e vendere in tutto il mondo.
Sono ottimi “marinai” fin da ragazzini, oppure lo diventano andando a navigare per periodi di due o tre anni senza fare ritorno a casa. I loro sacrifici vengono investiti in case e terreni che ancora oggi appartengono ai loro discendenti.
Una parte di loro, forse i più anziani, si dedicano alle barche da diporto chiamate LORD, come i loro padroni inglesi che avviano questa nuova forma di turismo marinaro.
Sulle guide turistiche d’epoca si legge: Sul finire del XIX secolo, così com'era accaduto per altri centri rivieraschi, anche Portofino cessa di essere un borgo isolato raggiungibile solo via mare: infatti tra il 1880 e 1890 viene costruita la strada che lo collega a Santa Margherita Ligure, favorendo così l'affluenza di un numero ancor maggiore di visitatori che da questo momento possono raggiungere la località usufruendo del calesse, e successivamente delle carrozze trainate da cavalli con vetturini, per effettuare il giro panoramico, andandosi cosi ad affiancare ai barcaioli, che durante la stagione estiva prestavano anch'essi lo stesso servizio con l'impiego d'imbarcazioni a remi e a vela.
Nel 1889 il celebre scrittore francese Guy De Maupassant approdò a Portofino a bordo del suo veliero Bel Ami: colpito dalla bellezza del borgo, nel suo diario di viaggio La Vie Errante osserva: "Un'insenatura nascosta, dove entra il mare, quasi introvabile, fitta d'abeti, ulivi e di castagni. Un piccolo villaggio, Portofino, si allarga come un arco di luna attorno a questo calmo bacino. Mai ho forse sentito una impressione eguagliabile a quella che ho provato nell'entrare in quell'insenatura verde, e un eguale senso di riposo, di appagamento...".
Tra le due “carrette” gemelle dello stesso armatore, in un romantico quadretto centrale, appare un leudo, tra una Scuna (brigantino goletta) a sinistra ed una Goletta a destra.
Grazie a questa foto del compianto Claudio Molfino, oggi possiamo conoscere un altro importante dettaglio di Portofino “com’era nel 1914”. Ve l’aspettavate di vedere due navi da carico ormeggiate all’interno del suo borgo? Io no! Questa é la testimonianza della vocazione marinara di una stirpe di marinai che non dovrebbe temere l’isolamento causato dalle recenti disastrose conseguenze del recente passaggio dell’uragano.
Tuttavia, la conversione al turismo é stata irreversibile e direttamente proporzionale alle stesse bellezze del borgo! Infatti, con l’apertura del casello autostradale di Rapallo il 15 dicembre 1965, le coste liguri e Portofino vengono raggiunte in tempi rapidi e con estrema facilità.
Se fino agli anni Cinquanta Portofino aveva goduto quasi esclusivamente di fama internazionale, negli anni successivi, grazie a Raffaele Calzini e Salvator Gotta, acquisirà anche fama nazionale, in quanto questi due scrittori e giornalisti, attraverso le pagine del Corriere della Sera, incominciano ad esaltare le incantevoli bellezze del borgo. In particolare Salvator Gotta dichiarava spesso in varie interviste che "Portofino ed il suo golfo devono la loro fortuna al giornalismo che ne mise in rilievo le bellezze panoramiche, il silenzio e l'austerità del suo piccolo mondo marinaro, la pace del suo mare raccolto, la grandiosità del suo monte selvoso”.
Portofino oggi
Il traghetto sardo ICHNUSA ha completato l’ormeggio di punta al molo maxi-yacht.
Grazie all’intervento del traghetto cargo-passeggeri e porta macchine, Portofino é ritornata quasi subito alla normalità.
La comunità di Portofino é ancora isolata via terra a causa dei danni provocati dall’uragano che si è abbattuto sulla costa ligure provocando il crollo della statale che la collega a Santa Margherita Ligure. La nave passeggeri/cargo ICHNUSA, normalmente impiegata nel collegamento fra Sardegna e Corsica, sulla linea marittima fra i porti di Santa Teresa di Gallura e Bonifacio, ha effettuato alcuni viaggi per portare camion cisterna contenenti gas per il riscaldamento delle abitazioni di Portofino, oltre a riportare nei Comuni limitrofi le auto ed altri i mezzi che erano rimasti imprigionati nel borgo.
Lunedì 29 ottobre 2018 - L’uragano ha distrutto completamente la strada statale sotto lo sguardo ineffabile del Pino di Aleppo… (foto sotto)
Il mare non cambia mai e il suo operare, per quanto ne parlino gli uomini, è avvolto nel mistero. (Joseph Conrad)
Il detto di Conrad é sempre di attualità specialmente quando l’uomo, con una buona dose di stupidità, lo sfida sul terreno preferito di Nettuno …
Agli amici di Portofino “allungo” qualche amichevole pensiero personale
Non temete l’isolamento! Voi residenti di Paraggi, Portofino e San Fruttuoso ritornate a pensare all’antica, da isolani. Chi viene da voi é un pellegrino alla ricerca di Santuari Naturali dove trovare la pace, i colori ed i profumi più rari del mondo. Amate il vostro isolamento e condividetelo con i turisti che vi raggiungeranno via mare e dai sentieri montani perché sarete ancora più RARI ed AMBITI nel panorama mondiale della mediocrità divorata dal traffico, dagli schiamazzi, dalla pazzia, dalla velocità e dal consumismo.
Tenetevi stretto quel traghetto che non é un intruso… ma una necessità oggettiva che vi rende estranei e LIBERI da un mondo impazzito!
Nelle innumerevoli isole del globo terracqueo, così come nelle terre che confinano col mare e sono divise dai fiumi: si vive, si commercia, si lavora, ci si sposta regolarmente sui traghetti dove spesso in inverno ci sono nebbie, neve e tempeste. Ci sono nazioni che esistono GRAZIE all’operosità multipurpose dei traghetti. Le baie delle più grandi città del mondo pullulano di questi mezzi che sono sempre più raffinati, pratici, comodi e rapidi. Pensate soltanto alle 10.000 isole che orlano la Scandinavia e che sono abitate soltanto grazie al servizio continuo dei traghetti.
In una decina di minuti di viaggio infinitamente bello e panoramico, siete raggiungibili da Santa Margherita e dalle altre località del Tigullio in un tratto di mare che é famoso per le sue bonacce!
Per voi del promontorio, trasferirvi via mare, deve essere il vostro modo di vivere che riflette i vostri caratteri, il vostro DNA. Liberatevi di quelle centinaia di camion, corriere e furgoni che impestano l’aria, creano ingorghi e deturpano il vostro paradiso terrestre.
Mettete la parola FINE a quell’assalto quotidiano della cosiddetta civiltà dei consumi.
Ritornate all’antico, a ragionare come i vostri avi! Reagite alla “triste” sconfitta subita dall’uragano del 29 ottobre 2018 rimettendo in ordine la vostra vita quotidiana!
Amate e difendete i doni ed i privilegi che avete avuti dal Padreterno.
So di navigare controcorrente, di urlare nel deserto… ma il silenzio é complice … e sappiamo tutti di chi … !!!
UN PARERE AL SINDACO DI RAPALLO
MOTOBARCA PRIMERO VII
Lungh. f.t. mt. 27,60 - Largh. max mt.6,68;
Portata max passeggeri: 348;
Questo molo di 30-35 metri di lunghezza prospiciente Villa Porticciolo potrebbe essere, viste le conseguenze del cambiamento del clima con le sue improvvise tempeste e le costanti variazione dei fondali, la soluzione d’emergenza per togliere Rapallo dall’isolamento dei collegamenti marittimi locali.
In Capitaneria dispongono dei fondali dello specchio acqueo di cui ci occupiamo. Dal ricordo delle mie nuotate compiute in quei dintorni, ritengo che ci sia un fondale sufficiente per operare con un Primero del tipo scelto sopra come modello.
Ritengo inoltre che la risacca sia nulla o quasi, e che la zona in questione si trovi al riparo dell’interramento provocato dal lontano Boate e dalle mareggiate che passano oltre.
Non sono evidenti danni causati dal passaggio dell’uragano. Questo molo potrebbe essere sfruttato anche per l’attracco dei Tender delle navi passeggeri ancorate in rada a Rapallo-Santa M. da marzo a ottobre.
Notare l’ampiezza dello specchio di evoluzione, anche dalla prospettiva della foto sotto.
I Capitani dei traghetti del Tigullio, abituati ad ormeggiare con la risacca (tra gli scogli) a San Fruttuoso, sarebbero ben felici di godere della “normalità” di una così ampia calata a Villa Porticciolo. La parte rettilinea del molo é lunga 30 metri ed é facilmente allungabile con qualche modifica. La zona del parco é collegata al centro città dai mezzi del Comune.
Da questa immagine si nota il progresso compiuto per liberare la passeggiata a mare di Rapallo
Molto resta ancora da fare…
Carlo GATTI
Rapallo, 14 Dicembre 2018
CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE DI UN RIMORCHIATORE ROMPIGHIACCIO
CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE DI UN
RIMORCHIATORE ROMPIGHIACCIO
Una rompighiaccio o nave rompighiaccio è una nave appositamente studiata per navigare in mari, laghi o fiumi la cui superficie sia coperta di ghiaccio, come nel caso della banchisa.
Perché una nave sia in grado di fare questo, deve avere tre caratteristiche:
- uno scafo in grado di resistere al ghiaccio;
- una forma dello scafo in grado di aprire lo strato di ghiaccio;
- una potenza di propulsione sufficiente per spingere la nave vincendo la resistenza del ghiaccio all'avanzamento.
In realtà un rompighiaccio non frantuma le lastre di ghiaccio direttamente con la prua, bensì più vantaggiosamente sfrutta la sua inerzia e la spinta propulsiva per sollevare la prua al di sopra del ghiaccio con il peso della nave che provoca la rottura del ghiaccio sottostante il quale aprendosi lascia tornare la prua in mare. I frammenti di ghiaccio vengono spinti lateralmente oppure fatti passare al di sotto dello scafo. In generale una nave rompighiaccio avanza più velocemente su una superficie interamente ghiacciata rispetto ad un mare coperto da frammenti di ghiaccio. La parte più esposta a danni in una nave di questo tipo rimane il sistema di propulsione.
I moderni rompighiaccio hanno eliche protette sia a prua che a poppa, ed anche propulsori laterali per manovrare meglio. Dell'acqua con funzione di zavorra è pompata tra cisterne poste ai due lati della nave (casse flume) per stabilizzare e ridurre il rollio durante la navigazione in mare libero dai ghiacci o per aumentare le oscillazioni dello scafo quando in mare ghiacciato.
Alcuni moderni rompighiaccio hanno due o tre eliche azimutali a passo fisso (con funzione di timone) a poppa e una o due a prua. In molti rompighiaccio, comunque, l’elica prodiera che sporge in fuori è stata sostituita con altre dette pump jet (incassate nello scafo) o da un sistema a bolle d’aria. Ugelli situati lungo lo scafo sotto la linea di galleggiamento immettono grandi quantità di aria compressa nell’acqua sottostante il ghiaccio, producendo un forte gorgogliamento dell’acqua, che riduce l’attrito.
Laser per rompere i ghiacci: e’ la nuova frontiera tecnologica a cui sta lavorando TsNII Kurs, una societa’ russa che progetta equipaggiamenti marittimi che spaziano dalle armi per la guerra elettronica a kit corazzati anfibi, dai radar agli strumenti di navigazione satellitare.
”L’idea che sta dietro al progetto e’ di avere un potente laser che taglia il ghiaccio davanti alla nave, consentendo di romperlo facilmente”.
Carlo GATTI
ALBUM FOTOGRAFICO
rompighiaccio MANGYSTAU
ALBUM FOTOGRAFICO ROMPIGHIACCIO
NEL MONDO
Giuseppe SORIO
Rapallo, 21 Ottobre 2017
UNA MOTOSILURANTE DELLA X MAS IN ADRIATICO
COMANDANTE GIOVANNI SANTAGATA
AZIONE DEL MS 75 E DEL SUO
Per gentile concessione dell'Autore: SERGIO NESI
Si consiglia di usare i tasti: VISTA-INGRANDISCI o (mela +) per ottimizzare la lettura del saggio.
S.T.V. Giovanni santagata
Giovanni Santagata nacque a Genova il 24 maggio 1921. Aspirante guardiamarina di complemento nell'aprile del 1941 e guardiamarina nell'agosto dello stesso anno, fu poi promosso sottotenente di vascello nel luglio 1943. Da civile fu Pilota del porto di Genova dal 1951 al 1986. Rivette la medaglia di bronzo per i salvataggi effettuti in occasione del naufragio della LONDON VALOUR sulla diga Duca di Galliera. Chi scrive ha avuto l'onore di avere per 11 anni Giovanni Santagata come impareggiabile maestro e carissimo collega.
La Marina Nazionale Repubblicana (dal 21 febbraio 1945 è Sottosegretario, il quarto e sempre con sede a Montecchio Maggiore, Bruno Gemelli) cessa di esistere a Venezia il 3 maggio 1945 quando alla presenza di Genieri britannici della 56.Divisione di Fanteria (John Yeldham Whitfield, dal 26 luglio 1944) e di 600 tra Marinai, Marò, Sommozzatori e Personale di Porto e di Amministrazione viene ammainata la Bandiera di Combattimento della RSI. I Militari repubblicani il 30 aprile avevano rese inutilizzabili le armi, mentre i tedeschi autoaffondavano in Laguna le loro motozzattere. La Bandiera della RSI, l'ultima in Italia e già issata sul piazzale del Collegio Navale ONB nell'isola di S.Elena, viene tagliata in minuti pezzi consegnati alla custodia e nostalgia dei Combattenti dell'Onore. Tra i protagonisti dell'amara cerimonia il Capitano di Fregata Ferdinando Corsi (doc.E) che sarà internato nel 370 PW Camp a Chiaravalle e Torrette di Ancona, poi a Rimini, e che comandava la Base di Venezia. Presenti anche il Comandante Sottotenente di Vascello Giovanni Santagata della MS 75 con i suoi Marinai (doc.F) e gli equipaggi di due Sommergibili allontanatisi da Pola, il CM 1 da 114 t. (doc.G) e il CB 19 da 45 t. (il CB 21 affonda a Pola il 29 aprile, il CB 20 è catturato dai titini a Pola, il CB 22 dai britannici a Trieste).
A cura di Carlo GATTI
Consulente Storico dott. MAURIZIO BRESCIA-Direttore della Rivista:
STORIA MILITARE
Rapallo, 25 Gennaio 2017
CHIAVARI - RIONE SCOGLI in Guerra
IL CANNONE DELLE GRAZIE
(vedi Storia Navale di questo sito) si arricchisce dei ricordi del Comandante Ernani Andreatta e del pittore Amedeo Devoto. Nel 1935 i due personaggi nascono nel Rione Scogli di Chiavari, dove il primo vi risiede ancora in Piazza Gagliardo, mentre il secondo, purtroppo, é mancato di recente. A cavallo della Seconda guerra mondiale, i due amici d’infanzia trascorrono la loro gioventù tra postazioni e nidi di mitragliatrici della Wehrmacht, proprio nella zona da noi presa in esame: dal Santuario delle Grazie all’attuale Piazza Gagliardo.
Come abbiamo già avuto modo di vedere, i tedeschi non trascurarono neppure l’ipotesi di uno sbarco Alleato sulle spiagge di Chiavari, Lavagna, Cavi di Lavagna e Sestri Levante, i cui alti fondali ben si prestavano ad una rapida conquista della Via Aurelia e della Ferrovia che transitano, tuttora, a pochi metri dal bagnasciuga.
Le numerose “tracce” delle difese costiere in cemento armato lasciate dalla TODT nella Riviera di Levante per contrastare l’eventuale sbarco degli Alleati, sono visibili ancora oggi lungo tutto il litorale, come vedremo.
Ricordi di Ernani Andreatta del 25 Aprile 1945.
Nel 1945 avevo 10 anni essendo nato nel 1935 appunto. Ricordo molti episodi di quella guerra che ho vissuto a contatto della gente per una ragione molto semplice. L'ingresso alla galleria come rifugio antiaereo aveva l'ingresso al N. 31 di corso Buenos Aires proprio nel mio giardino. Villa Andreatta era stata costruita da mio padre Ernani (mio omonimo di nome e di professione) con i sacrifici di 35 anni di navigazione effettiva di cui parte passati sui sommergibili dal 1915 al 1918 e parte internato in Tailandia per ben sei anni dal 1940 al 1946, dato che tornò da quella specie di prigionia passata nella giungla per ben tre anni dopo l'auto affondamento della propria nave, la M/n Sumatra del Lloyd Triestino, ovviamente per non cadere in mano degli Inglesi, dato che si era rifugiato nella rada di Pucket in Thailandia. Mia madre era religiosissima e la sua gran fede la sostenne per tutto il periodo della guerra dove tra l'altro, oltre al marito lontano, nel 1943, aveva anche il figlio più grande Giuseppe detto Beppino o Ron, Ufficiale della marina militare al di là del fronte in quel di Brindisi. Giuseppe diventò poi un apprezzato Ingegnere Navale Senior Surveyor nell'American Bureau of Shipping. Morì nel 1979 per un incidente sulla nave del Lloyd Triestino "Nipponica".
Casa mia, essendo a pochi passi dall'ingresso della galleria rifugio, era diventata nei suoi fondi o cantine un vero e proprio dormitorio di persone che volevano appunto essere il più possibile vicino a questo rifugio. Ricordo il Signor Cipriani (Cinema Astor), il signor Marcucci (cinema Mignon), tanto per fare qualche nome. Ed anche noi ragazzi, ricordo che i miei genitori ebbero 5 figli, dormivamo in letti o brandine insieme a tutti questi ospiti.
Quando suonava la sirena dei bombardamenti imminenti tutti correvamo in galleria ma, alla sera, con l'oscuramento dovuto alle incursioni del famoso Pippo, dormivamo sempre nei fondi di casa mia al n. 31 di Corso Buenos Aires appunto. Soltanto la notte del 24 Aprile 1945, il giorno dopo sarebbe finita la guerra, mia madre non volle sentire ragioni e impose a tutti, noi ragazzi per primi, di dormire in galleria, insieme naturalmente a tutti quelli del vicinato. Ricordo benissimo che alcuni degli ospiti dissero a mia madre, che la guerra sarebbe finita il giorno dopo, ma lei determinata sbarrò la strada dei fondi di casa e disse con fermezza che quella notte dovevamo dormire tutti in galleria, senza peraltro darne una ragione plausibile; in tutta la guerra nessuno di noi ci aveva mai dormito e quell'ordine perentorio ci parse molto strano e incomprensibile. Ma quando ci alzammo al mattino e uscimmo dalla galleria per entrare in casa, forse solo in quel momento ne capimmo la ragione. Una granata perforante sparata da un carro armato Tank-Sherman americano era entrata ad un metro d'altezza dal terreno nello spesso muro di casa (circa un metro), andando a esplodere nel pavimento proprio in mezzo alle decine e decine di letti che erano tutti intorno. Nel mezzo del pavimento trovammo un buco non molto profondo dato che la deflagrazione era avvenuta proprio in quel punto e miriadi di schegge si erano sparse conficcandosi in tutti i letti attorno. Ricordo benissimo che con mio fratello Luigi detto "Ciuilli" e le mie sorella Palma e Isa facevamo a gara a trovare le schegge nei cuscini e nei materassi di lana. I più vicini al punto dove la granata era scoppiata ne avevano certamente più degli altri. I fondi erano anche allagati e senza luce elettrica che a quel tempo era normalissimo !
Il n. 76 di corso Buenos Aires era la villa costruita da Luigi Gotuzzo e venduta a Protti nel 1924. Ancora adesso dopo quasi 70 anni mi chiedo che cosa ha spinto mia madre a non farci dormire nei fondi di casa, ripeto, solo quella notte. La fede incrollabile o il destino spesso imperscrutabile, sicuramente ebbe un effetto straordinario in quella decisione che salvò la vita a tutti, dato che, se avessimo dormito in casa saremmo stati tutti massacrati da quella orribile granata. E' un fatto personale che racconto, ma la guerra mi è passata molto vicina a quel tempo ed è ancora viva e profondamente scolpita nella mia memoria. C’é ancora un fatto che mi preme raccontare. Ogni tanto in corso Buenos Aires, cioè davanti a casa mia, si accampavano truppe che a volte erano Italiane e a volte tedesche. Ebbene le truppe tedesche erano ordinate ed educate e chiedevano sempre a mia madre se potevano entrare anche in giardino per accamparsi. Al che mia madre, naturalmente, dava il consenso a tale richiesta. Anzi, per noi bambini era una festa, dato che i soldati tedeschi ci regalavano le loro appetitose pagnotte nere di segala, o qualche scatoletta di carne. Ammiravamo quei possenti mezzi meccanici e i loro altrettanto robustissimi cavalli con le criniere nelle gambe oltre che nel collo. Ricordo al contrario con rammarico quando arrivavano ad accamparsi le truppe italiane che non chiedevano il permesso a nessuno: entravano in giardino, e nell'orto rubavano tutto quello che c'era. Poi usavano le piane del retro casa come latrine e per settimane nessuno poteva più andarci per non rimanere "impantanati", diciamo. E' una realtà che ho vissuto di persona e che ho voluto raccontare anche se le atrocità commesse da certi tedeschi sono ancora vive nella memoria di tutti.
Villa Andreatta in Corso Buenos Aires negli anni '70.
Il n. 31 di Corso Buenos Aires contrassegnava Villa Andreatta che negli anni 90 circa fu venduta da Maria Luisa Andreatta. La targa del n. 31 è ancora gelosamente conservata come ricordo da Ernani Andreatta nell'Antica Casa Gotuzzo.
La fine della guerra era imminente e il 25 Aprile del 1945, se non era per l'intuizione della loro madre Adele Gotuzzo, i cinque fratelli Andreatta avrebbero potuto morire tutti proprio in quell'ultimo giorno di guerra, come descritto sopra.
LA CASA NATIA DI AMEDEO DEVOTO
La prima signora a destra è la mamma di Amedeo Pina Verdi
In queste inedite foto si vede la casa natia di Amedeo Devoto prima che nel 1944 fosse evacuata e distrutta dall'esercito tedesco per costruirvi un bunker che vediamo nella foto sotto.
Questa è l'esatta ubicazione della casa natia di Amedeo Devoto (nella foto) rispetto alla colonia Piaggio. Era la casa più a ponente di Chiavari ben oltre la colonia marina dei Piaggio. Il padre di Amedeo, Eugenio detto "Genin" ne era il custode e viveva in questa "dependance" dove nel piano fondi, come ricordava sempre Amedeo, veniva costruito per le feste di Natale uno straordinario presepe tutto animato con le meravigliose statuette in legno del Maragliano.
Questo é quanto resta del bunker costruito proprio sopra la casa natia di Devoto demolita dai tedeschi.
Alcune interessanti planimetrie del 1944
Per g.c. del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari
In questa planimetria del Rione Scogli, le macchie gialle si riferiscono alle cave esistenti nel 1940/45.
Nelle planimetrie sopra riportate viene rappresentato, sia in panoramica che nel particolare, l'ubicazione esatta del cannone delle Grazie che si trovava proprio sotto la casa privata che è sotto la chiesa. Il disegno è stato estratto da una delle tre planimentrie conservate al Museo Marinaro di Chiavari disegnate e ricostruite da Amedeo Devoto per gli anni rispettivamente del 1888, 1906 e 1940/45 che riguardano tutta la zona del Rione Scogli.
La Planimetria n.1 riporta (in alto) la GALLERIA DELLE GRAZIE (S.S.Aurelia), (al centro) il Santuario N.S. DELLE GRAZIE e (sotto) il tratteggio della batteria con la scritta: “BUNKER CON CANNONE DELLA MARINA BINATO”.
La Planimetria n.2 mostra le opere difensive antisbarco. A sinistra sono leggibili le scritte: Galleria Vecchia – Deposito munizioni e cannone. Al centro: Muro antisbarco. A destra: Fico – Uliveto – Rudere – Bunker – Arenile.
La planimetria n.3 mostra le seguenti strutture costruite dalla Todt: a sinistra, il massiccio “muro antisbarco” quasi toccato dal “RELITTO DI UNA NAVE TEDESCA” arenata sulla spiaggia. Il muraglione antisbarco prosegue verso il centro del disegno mostrando un bunker e più sotto (nel punto più vicino alla spiaggia) una postazione per mitragliatrice. A destra, a protezione della costruzione n.3 é disegnato un tobruk per contraerea.
La planimetria n.4 mostra il “cuore marinaro” di Chiavari: Il Rione Scogli, con Piazza Gagliardo, ex Ciassa di Barchi, sede e scalo del Cantiere navale Gotuzzo che costruì 125 velieri a cavallo del ‘900. L'antica casa Gotuzzo (n.27) fu costruita nel 1652 e tuttora appartiene alla famiglia Andreatta-Gotuzzo. L’antica costruzione è intessuta della storia del cantiere che il proprietario, comandante Ernani Andreatta, coltiva con attaccamento e competenza.
Nella foto é segnalata l’esatta posizione della casa di Amedeo vista da ponente. In lontananza si vede la Colonia Fara
L'ingresso della ex galleria del treno è ora sbarrato da una robusta rete metallica.
Da un dipinto di Amedo Devoto vediamo sulla sinistra l'ingresso col portico del Santuario delle Grazie e sulla destra una casa rossa dove proprio al di sotto era ubicato il cannone binato tedesco.
Chiavari 1937 – Rione Scogli -
2010 – olio su tavola – 70x50 dell’artista chiavarese
Amedeo Devoto
La didascalia riporta il seguente fatto storico:
"La casa dove sono nato e dove ho passato i primi dieci anni della mia infanzia. Posta a ponente dell’attuale Colonia Piaggio venne demolita durante l’occupazione tedesca verso la fine del 1943 per edificarvi un bunker. Sulla destra si nota la galleria della vecchia ferrovia deviata più a monte nel 1908 e il pontone di “Penco” che costruisce la prima diga."
ANTICA CASA GOTUZZO SENZA TETTO! CHE TEMPI!
La guerra, non risparmiò nemmeno l'Antica Casa Gotuzzo che vediamo nel 1945 senza tetto e senza finestre nella sua parte verso il mare.
Il Museo Marinaro Tommasino-Andreatta era situato nella stessa casa padronale, ma da qualche anno, avendo acquisito un notevolissimo numero di reperti, si é trasferito nella Caserma delle Scuola Telecomunicazioni FF AA di Caperana-Chiavari. E' ormai in corso di definizione l'accettazione di questo Museo Marinaro da parte dello stato Maggiore della Marina Militare che è stato integrato con la Sala Storica della Scuola Telecomunicazioni.
Nel 1943, Adele Gotuzzo in Andreatta ricevette l'ordine dai tedeschi di svuotare la casa paterna, cioè l'antica Casa Gotuzzo situata in Piazza Gagliardo perchè al suo posto dovevano costruirvi un bunker. La casa fu immediatamente svuotata di tutto ciò che fosse usabile come anche le persiane e le finestre di legno che furono tutte bruciate per fare il sale nelle famose lamiere come si usava in tempo di guerra. Il bunker fu costruito poi in realtà sulla Piazza e non al posto della casa. Dopo la guerra, Adele Gotuzzo precisamente nel 1948, volle assolutamente ricostruire e rimettere in ordine la casa paterna dei Gotuzzo contrariamente all'opinione di altri parenti che avevano una quota nella casa stessa. Questi parenti non parteciparono in nessun modo alla ricostruzione adducendo il fatto che avrebbe "buttato i soldi in mare". In realtà, come si vede in questa foto del 1955 il mare stava avanzando sempre più e la casa era in serio pericolo. Ma poi si salvò, dopo importanti difese del litorale chiavarese operate negli anni 1955/60, e attraverso inenarrabili vicissitudini con i parenti che non volevano fosse ricostruita, Ernani Andreatta ne diventò unico proprietario negli anni settanta. Il merito di tale "sofferta operazione" è da attribuire sopratutto alla moglie Marisa Bacigalupo recentemente scomparsa il 12 Aprile di quest'anno e a suo fratello Luigi Andreatta detto "Ciuilli" scomparso a soli 49 anni nel 1976 in seguito ad un tumore alla testa. Era un valente avvocato di fama internazionale accreditato anche ai tribunali di New York e San Francisco per la sua perfetta conoscenza dell'Inglese.
Soltanto negli anni '60 si pensò ad una difesa seria e imponente del fronte mare Chiavarese e i pericoli di distruzione non solo di questa, ma anche di altre case fu finalmente scongiurato. Ricordiamo che dal 1821 sino al 1950 circa ben 43 palazzi furono abbattuti dalle mareggiate su tutto il lungomare di Chiavari.
Ernani ANDREATTA
Rapallo, 25 Agosto 2014
webmaster Carlo GATTI
BIANCA Costa prende fuoco e affonda nei Caraibi
23.10.61
INCENDIO ED AFFONDAMENTO
Del transatlantico genovese
“BIANCA C.”
Nave |
Compagnia |
Stazza |
Trasform. |
Passegg. |
Equip. |
Bianca C. |
Costa L. |
18.247 |
1958 |
362 |
311 |
ex Arosa S. |
Arosa L. |
17321 |
- |
- |
- |
ex La Marseillaise |
MessagerieMaritime |
17321 |
- |
- |
- |
Ex Marechal Petain |
- |
- |
- |
- |
- |
Luogo dell’incendio: Dall’aprile del 1959, la bella unità era impegnata in viaggi di crociera nei Caraibi. La tremenda tragedia ebbe luogo nella rada di St. George di Grenada nelle Antille durante la manovra d’ancoraggio in rada.
Causa dell’incendio: Prese fuoco una cassa di fuel, nella sala macchine, per effetto di una violenta esplosione allo starter del motore di sinistra.
Le Vittime: Il 2° Macchinista Natale Rodizza di 33 anni ed il Fuochista cinquantenne Umberto Ferrari, spezzino.
Operazioni di Salvataggio: Quasi settecento persone si posero in salvo in meno di mezz’ora, con un’operazione di salvataggio da manuale diretta e condotta dal Comandante Francesco Crevato.
Affondamento: La Bianca C. fu presa a rimorchio dalla fregata militare Inglese H.M.S Londonderry. Purtroppo la nave, già sbandata ed in precarie condizioni di sicurezza, affondò il 25.10.61 tre miglia al largo di Grenada, dopo che tutte le persone rimaste a bordo,erano già state tratte in salvo.
Testimonianza: Benedetto Pellerano di Rapallo, vent’anni di servizio sulle navi della “Costa Armatori”, era l’operatore cinematografico all’epoca del naufragio della Bianca C.
“L’incendio partì dalla sala macchine ed in breve tempo, causa il vento, si propagò dappertutto. Io mi avviai, come da regolamento, nel locale Co2 dove erano installate le grosse bombole per la distribuzione del prodotto antincendio. Persi i sensi e mi risvegliai tra le braccia del marinaio Maddalena che sicuramente mi salvò la vita trascinandomi verso una lancia di salvataggio. Mentre ci allontanavamo dalla nave in fiamme e quindi dal pericolo, forse non mi crederà, ma non eravamo contenti, un pezzo della nostra vita era lì e se ne stava andando, mentre molti nostri compagni erano ancora in pericolo…. Rivissi quella scena come un incubo per molti anni e ancora adesso, durante qualche notte insonne, mi ritrovo ancora là, ai Carabi, mentre mi allontano dalla Bianca C. Giunti a terra, ci fu una gara di solidarietà tra la gente del posto che quasi litigava per prelevarci e portarci al sicuro verso le loro case. Il nostro gruppetto, formato da sei persone, fu subito prelevato ed allontanato su un piccolo furgone ed avviato verso una strana altura. La nostra meraviglia fu completa quando ci trovammo davanti ad una prigione coloniale che stavano evacuando per sistemarci alla buona. Fummo tranquillizzati…e poco dopo provvedemmo a tirarci su Il morale a modo nostro, nel frattempo al gruppo si erano aggiunti i carcerieri e qualche malandrino…ci contammo e buttammo gli spaghetti a cuocere nei buglioli “penali”. Dopo circa una settimana, la M/n “Surriento” della “Lauro” ci riportò, come passeggeri, in Italia."
Il Territorio Nazionale di GRENADA (Mar dei Caraibi) è composto dalle isole: Grenada – Carriacou – Petite Martinique
La bandiera di Grenada fu introdotta nel 1974. Il verde sta per la vegetazione, il giallo per il sole e il rosso é simbolo di armonia e unità. Le 7 stelle sono le aree amministrative originarie. La noce moscata è il simbolo internazionale dell’ “Isola delle Spezie” e la rappresenta in tutto il mondo.
F.1 Isola di Gredana
St. George’s è la capitale dell’arcipelago ed è situata in cima ad un promontorio che domina il Carenage, l’area portuale disegnata a ferro di cavallo. Arrivando dal largo, svettano due forti (F. George e F. Frederick), e poco più sotto alcune chiese, ma l’occhio viene subito catturato da alcuni edifici coloniali e da un mercato molto colorato. Le strade sono strette e tortuose, le case in pietra e mattoni hanno i tetti rivestiti di tegole rosse.
Nel Carenage, oggi attraccano le navi da crociera. Questo è uno dei porti più sicuri dei Caraibi perchè si trova all’interno nel cratere di un vulcano spento; ma il pericolo è sempre in agguato! A ricordarcelo è una piccola statua, la copia minore del Cristo degli Abissi, che é posta in “secco” sulla banchina principale dell’emiciclo portuale. Questo simbolo della nostra marineria fu donato dalla Società genovese-rapallina “Costa” agli abitanti di Grenada per la coraggiosa opera di soccorso offerta ai naufraghi della nave passeggeri italiana Bianca C. Ed è proprio di questo tragico avvenimento che vi vogliamo parlare.
1960- La Bianca C. in uscita dal porto di Genova col “gran pavese” che incornicia la sua bella linea.
23 ottobre 1961
INCENDIO E AFFONDAMENTO
del transatlantico genovese
“BIANCA C.”
La nave proveniente da Napoli e diretta a La Guayra (Venezuela), aveva fatto scalo a Grenada e il 22 ottobre 1961 si trovava all’ancora nella baia tropicale di St. George’s.
La Bianca C. è in preda alle fiamme. Tutte le biscagline sono fuoribordo.
E’ in atto l’evacuazione ordinata dei passeggeri e dell’equipaggio.
Tutto accadde improvvisamente per effetto di una violenta esplosione allo starter del motore di sinistra, che provocò un incendio al quadro elettrico della Sala Macchine. In coperta si era appena concluso lo sbarco dei visitatori e l’imbarco degli escursionisti, la nave era in partenza. I passeggeri ammontavano a 362, mentre l’equipaggio era formato da 311 marittimi, in gran parte rivieraschi, il resto era campano. Le vittime furono due: il genovese Natale Rodizza, 2° macchinista di 33 anni e lo spezzino Umberto Ferrari, fuochista di 50 anni.
Con un’operazione di salvataggio da manuale, diretta e condotta dal comandante genovese Francesco Crevato, furono immediatamente calate in mare le scialuppe di salvataggio da ciascun lato della nave che, per effetto dell’acqua imbarcata in funzione antincendio, cominciò ad inclinarsi da un lato.
Il comandante F.Crevato lambito dalle fiamme dirige stoicamente le operazioni di salvataggio.
I passeggeri riuscirono a raggiungere la spiaggia anche e soprattutto per il tempestivo intervento di numerose imbarcazioni locali, che non temettero certo di avvicinarsi alla nave in fiamme. Fu proprio per il coraggio di questi grenadini che fu possibile salvare quasi settecento persone in meno di un’ora. In seguito, per la loro sistemazione, si attivò soprattutto la Croce Rossa Internazionale installando tende e brande nel campo sportivo di Grenada, dove i naufraghi furono alloggiati per tre giorni. Notevole ed instancabile fu la partecipazione di tutti gli isolani alla complessa operazione di soccorso che aveva coinvolto a suono di tam-tam l’intera popolazione dell’isola e la loro opera d’accoglienza fu apprezzata anche e soprattutto dal punto di vista umano e psicologico, come il tranquillizzare gli atterriti scampati... ancora sotto shock. I naviganti lo sanno molto bene:
"nulla è più terrificante di un incendio a bordo di una nave"
Una preziosa testimonianza di quella disavventura caraibica ci viene proprio da un noto commerciante rapallese, Benedetto Pellerano, che all’epoca era l’operatore cinematografico di bordo e che, nonostante il grave incidente di percorso.....rimase fedele alla Costa Armatori per circa vent’anni.
“L’incendio partì dalla sala macchine ed in breve tempo si propagò dappertutto. Io mi avviai, come da regolamento, nel locale CO2 dove erano installate le grosse bombole per la distribuzione del prodotto antincendio. Persi i sensi e mi svegliai tra le braccia del marinaio Maddalena che sicuramente mi salvò la vita trascinandomi verso una lancia di salvataggio. Mentre ci allontanavamo dalla nave in fiamme e quindi dal pericolo, forse non mi crederà, ma non eravamo contenti, un pezzo della nostra vita era lì e se ne stava andando, mentre i nostri compagni erano ancora in pericolo...Rivissi quella scena come un incubo per molti anni e ancora adesso, durante qualche notte insonne, mi ritrovo ancora là, ai Caraibi, mentre mi allontano dalla Bianca C.
Giunti a terra, ci fu una gara di solidarietà tra la gente del posto che quasi litigava per prelevarci e portarci al sicuro verso le loro case. Il nostro gruppetto, formato da sei persone, fu subito prelevato ed allontanato su un piccolo furgone ed avviato verso una strana altura. La nostra meraviglia fu completa quando ci trovammo davanti alla prigione coloniale che stavano evacuando per sistemarci alla buona. Fummo tranquillizzati... e poco dopo provvedemmo a tirarci su il morale a modo nostro, nel frattempo al gruppo si erano aggiunti i carcerieri e qualche malandrino.. ci contammo e buttammo gli spaghetti a cuocere nei buglioli “penali”. Dopo tre giorni la M/n Surriento” della Linea Lauro ci riportò in Italia dalle nostre famiglie.
Anche l’agonia della Bianca C. durò tre giorni, il tempo necessario alla fregata militare inglese H.M.S Londonderry di giungere da Portorico, agganciare la nave e rimorchiarla verso Point Salines. Purtroppo i cavi si spezzarono, l’impresa di trainarla in precarie condizioni di sicurezza non riuscì e la Bianca C., abbandonata a sé stessa, colò a picco il 25.10.61 a tre miglia al largo di Grenada. A distanza di 47 anni, il suo relitto giace su un fondale di 50 mt. ed è oggi fra le mete subacquee più conosciute del Mar dei Caraibi.
L’elegante Bianca C. (18.000 t.s.l.) fu la prima nave da “crociera di lusso” della Costa Line. Il suo debutto avvenne alla fine degli anni ’50 e si distinse subito per una notevole innovazione: l’offerta di suites con veranda privata per i VIP, curiosamente ricavate nello scafo, secondo un modello che sarebbe riemerso soltanto negli anni ’90, con la classe Fantasy della Carnival L. e definitivamente consacrato dalla celebre Queen Mary 2.
M/n Bianca C.
Armatori ed Equipaggio dedicano il quadretto ex voto alla
N.S. di Montallegro nel ventesimo anno del naufragio.
Carlo GATTI
Rapallo, 27.01.12
TEMPESTA SHOCK SUL MARE NOSTRUM - RAPALLO…
TEMPESTA SHOCK SUL MARE NOSTRUM - RAPALLO
Lunedì 29 ottobre 2018
La Liguria é stata devastata da una mareggiata storica: venti a 180 km/h - onde alte più di 10 metri (ARPAL). Nella scala Beaufort corrispondono al numero 12 (fondo scala), il cui termine descrittivo corrisponde a URAGANO. Nella nostra città sono naufragate 221 imbarcazioni (TG Regionale data odierna).
Approfittando del sole beffardo, ieri mattina sono andato a fare un po’ di foto al CIMITERO delle imbarcazioni ammucchiate nel golfo ed in passeggiata. Uno spettacolo surreale simile ad un bombardamento aeronavale… tanti fantasmi bianchi ammucchiati … tante facce in giro senza espressione… senza speranze… volti che ogni tanto alzavano lo sguardo verso il Santuario di Montallegro e mormoravano qualcosa… odore di gasolio e di rumenta salata… a montagne… tante braccia di volontari che mulinavano giubbotti, sacchi di plastica, pezzi di scafo, di legna, parabordi… decine di ruspe che ricordavano nei loro movimenti cadenzati i paesi terremotati di questi ultimi anni.
221 sono i relitti visibili ed invisibili, una strage di ricchezza e di lavoro, di spensieratezza e di vacanze…(odore di buono… diceva DE ANDRE’) - pare sia morto tutto! eccetto l’uomo che é rimasto miracolosamente vivo, in piedi, risparmiato proprio da quella Madonna che da lassù vede tutto e forse ha voluto aiutare solo i poveri, i disoccupati… perché ora ci sarà molto lavoro per tutti!!!
Di tutto questo occorre prendere atto e smetterla di sognare… per ricominciare a ricostruire il litorale, i porti, gli esercizi e le case a prova di URAGANO, perché questi fenomeni sono ripetibili!
Nei giorni seguenti il crollo del Ponte Morandi scrissi per Mare Nostrum che occorreva pensare “alla marinara”: sfruttare il mare per spostarci tra le città del Golfo Tigullio. Oggi questi paesi sono isolati, per il crollo delle strade sul litorale; come dire che la NATURA ha voluto ribadire quel concetto e ci ha costretto a pensare “alla marinara”.
Un mare così violento si ricorda a Rapallo nel 2000, quando creò uno squarcio nella diga del porto Carlo Riva e distrusse numerosi panfili.
Sono passati 18 anni, all’epoca nessuno parlò di URAGANO, le previsioni e le osservazioni dei fenomeni meteo in corso erano basate su strumenti tradizionali, oggi esistono sensori dappertutto che misurano la forza effettiva del vento e del mare nell’impatto con la terraferma.
LA LUNGA ESTATE CALDA
DEL TIGULLIO
Lunedì, il giorno del disastro, la Pressione Atmosferica era MOLTO BASSA, non so di preciso, ma ricordo che i due barometri di casa misuravano un valore intorno ai 960-970 mm.
Pressione atmosferica Bassa significa meno peso dell’aria sul mare che infatti si alza, si gonfia; nel caso specifico pare si sia alzato, in certe zone controllate al largo, di quasi tre metri sul livello medio. Questo primo dato spiega come si siano verificate ONDE ALTE 10 METRI, (un valore normalmente di pertinenza Atlantica) la cui caduta, da una altezza appunto superiore al normale, ha aumentato il potere di sfondamento… contro le dighe, i porti, i pontili e le imbarcazioni.
La lunga estate calda a cui mi sono riferito, concerne il fatto che il giorno del disastro, la temperatura del mare era intorno ai 25°, valore molto elevato per la media del periodo che, naturalmente ha condizionato l’aria soprastante spingendola verso l’alto.
Nel frattempo, come da previsione meteo, é arrivata una forte depressione atlantica composta di aria fredda che, incontrando la massa di aria calda del nostro mare, che ormai si può definire TROPICALE, ha provocato un vortice CICLONICO, cioè un avvitamento delle due masse d’aria a temperature molto diverse che si é dimostrato devastante per la sua forza e velocità!
NESSUNA VITTIMA
Non so quanti saranno gli ex voto che saliranno al Santuario di Montallegro!
Ma non possiamo pensare che la Madonna continui a metterci una pezza… Era già successo a Santa Margherita nel 1996 e a Rapallo nel 2000. Per non parlare del 2008 a Genova quando fu distrutta dal libeccio l’Isola artificiale al largo di Multedo, mentre a Genova il traghetto FANTASTIC sfiorò la tragedia sull’imboccatura del porto.
Qualche pillola di meteorologia applicata al nostro golfo Tigullio, forse ci aiuta a capire, in qualche misura, l’eccezionale fenomeno meteo del 29 ottobre: il lunedì nero!
Prendiamo a riferimento il passaggio di una BURRASCA “da rottura dei tempi” che, pur essendo di livello ben inferiore all’URAGANO registrato, é molto simile nella sua dinamica.
La cartina mostra la circolazione “antioraria” del vento intorno ad una BASSA PRESSIONE.
Inizialmente il vento soffia da SE (scirocco-frecce rosse) poi gira a SUD, prosegue la sua corsa a SW (Libeccio) rinforzando, infine sfonda a NORD OVEST con il vento di Maestrale (frecce bianche). Quando il vento passa a NORD (Tramontana), la depressione é passata e dirige verso Levante.
I naviganti di un tempo si appostavano sull’aletta di plancia e rilevavano la direzione del vento per seguirne l’evoluzione. Anche l’osservazione costante del barometro é utilissima perché segna il valore della pressione dall’inizio del fenomeno a Scirocco, fino alla sua conclusione a Tramontana quando la Pressione Barometrica rientra nella normalità.
Come abbiamo già detto, nel 2000 si era verificata una situazione meteo tragicamente simile a quella di lunedì, anche per quanto riguarda la sua rotta assassina.
Come tutti sanno Rapallo, situato al centro del Golfo Marconi, ha nel monte di Portofino un potente scudo naturale che lo protegge dal famigerato Libeccio (SO); tuttavia, nei casi citati, il Vento Ciclonico non ha proseguito la sua corsa oltre il Monte di Portofino, ma si é fermato nel quadrante meridionale il tempo necessario per entrare nel Tigullio e devastarci.
Gli scienziati hanno spiegato che una concomitante Bassa Pressione sul Veneto e sulla Liguria, ha creato un corridoio nefasto tra le due regioni che ha moltiplicato gli effetti distruttivi. Pare che la nostra città si sia trovata su questo asse.
E’ successo due volte in 18 anni, quindi il fenomeno, pur essendo raro, é ripetibile! Di questo é difficile incolpare oggi soltanto il destino avverso!
Quell’evento ormai lontano, evidentemente é stato sottostimato e registrato come evento eccezionale, quindi fuori statistica! Quindi non ci ha insegnato nulla… e le riparazioni della diga del porto Carlo Riva di Rapallo sono così risultate vane, costose ed inutili in rapporto allo scopo che dovevano raggiungere!
A proposito poi di fenomeni ripetibili, gli Album Fotografici della storia di Rapallo editi dal Comune di Rapallo riportano numerosi racconti illustrati di Tempeste e Burrasche che hanno stretto Rapallo in una morsa di allagamenti e mareggiate che l’hanno messa in ginocchio più volte. Certo, nel Molo Langano di quell’epoca non c’erano le maxi-imbarcazioni di oggi e chi aveva un gozzo se lo metteva per tempo in secco, al riparo dalle inclemenze invernali.
Le mareggiate ci sono sempre state, oggi sono più pericolose, a causa del surriscaldamento del clima che ormai é riconosciuto da tutti!
Forse é proprio per questa “spada di Damocle” che ci vuole meno RED CARPET e più prevenzione a partire dalle colline che franano, ai torrenti che esondano ai litorali che sprofondano, ai porti che sono diventati trappole per le imbarcazioni.
Con questo discorso mi riferisco all’intero comprensorio nel quale, gli Amministratori di Rapallo si sono sempre dimostrarti i più sensibili verso il fattore SICUREZZA!
DUE OSSERVAZIONI
- Durante la “tempesta perfetta” di lunedì 29 ottobre, non é affondata alcuna nave nel Mar Ligure, né grande né piccola!
- L’impianto di Itticoltura di Lavagna del rapallese Roberto Co’, il più esposto al mare aperto, a quasi due chilometri dalla costa non ha subito danni pensando, da buon marinaio, fin dal suo esordio, di ancorare l’impianto al fondale con enormi catene.
CONCLUSIONE
Il mondo del mare e delle navi sembra essere più preparato ad affrontare le sfide del cambiamento del Clima. I porti e la viabilità, dovranno dare risposte adeguate in tempi rapidi e non mi riferisco soltanto ai porti turistici… pena uscire dall’Europa per “manifesta inferiorità”!
ALBUM FOTOGRAFICO
Questa é l'immagine del Yacht del famoso imprenditore Televisivo
In altri tempi, I Lloyd's di Londra avrebbero suonato la CAMPANA della LUTINE per informare gli interessati del disastro di Rapallo...
Commento del Comandante Nunzio Catena
Vedi LINK:
LA CAMPANA DELLA FREGATA H.M.S.LUTINE
EX FREGATA FRANCESE LA LUTINE
"I LLOYD'S di LONDRA
COMMENTO SULLA SITUAZIONE DI RAPALLO
FINE NOVEMBRE 2018
Siamo giunti ormai alla fine di novembre e la visione “spettrale” della passeggiata a mare di Rapallo é desolante…
Siamo stati tutti colpiti, l’elenco é molto lungo, ma noi “rapallini doc” ci sentiamo anche traditi e violentati dentro, come se fossimo stati presi per il collo e sbattuti sugli scogli come impertinenti fuscelli alla deriva …
Finora sono state tolte un centinaio di piccole imbarcazioni ormai sfondate e da buttare, ma rimangono quelle più grandi che sono incastrate come cozze sugli scogli.
A causa della pioggia, non si vedono grandi movimenti in azione lungo il litorale, e mi vien fatto di pensare che soltanto la piovra burocratica sia all’opera sul nostro golfo paralizzando con i suoi tentacoli ogni tentativo di ripulire il salotto buono che tanta fama si era guadagnato nel tempo.
Le inchieste in corso sono numerose e chissà quante perizie dovranno essere svolte dai vari Enti interessati per dipanare le responsabilità dei proprietari dei mezzi nautici e del porto Riva, in un groviglio di pratiche in cui emergono le bandiere ombra aventi legislazioni diverse e non sempre coincidenti con la nostra.
Una montagna di problemi in cui saranno protagonisti centinaia di avvocati, ingegneri e periti di ogni tipo che ruberanno la scena e, speriamo di no, anche la stagione estiva 2019…
L’Amministrazione del Comune di Rapallo dovrà prendere importanti decisioni sulla ricostruzione di nuove infrastrutture a difesa della città: moli, dighe, attracchi per i traghetti, bonifica dei fondali e, quasi certamente una diversa organizzazione portuale che tenga conto che Rapallo e dintorni non possono più essere considerati SICURI come prima dell’incursione di questo immane uragano.
Ciò che abbiamo sotto gli occhi guardando verso il mare non é un brutto sogno, un nightmare che si allontana col risveglio improvviso; ciò che oggi scrutiamo basiti é la realtà con la quale avremo a che fare nel prossimo futuro, un futuro che é già arrivato senza chiederci il permesso cogliendoci impreparati.
Sarebbe demenziale continuare a pensare all’antica:
Rapallo “la perla del Tigullio”… la più riparata località della Riviera …
Rapallo esposta solo allo scirocco che non porta onde altissime perché arriva frenato dalla piattaforma continentale che si estende lungo la costa italiana.
Rapallo difesa dalle colline…
Rapallo riparata per millenni dal libeccio e dal maestrale che s’infrangono sullo scudo del monte di Portofino…
Purtroppo si é giunti al “si salvi chi può” - altro che vecchi slogan turistici conditi da discorsi rassicuranti…
Occorre lasciarci di poppa tutti i progetti “sognati” e fatti in assenza di vento e con il sole negli occhi …
CHE FARE?
Alla luce di questo disastro ambientale che ha colpito tutti i settori economici della città, dovranno essere prese in esame, con rapidità, iniziative e normative che siano in linea con i nuovi eventi catastrofici e riguardino soprattutto: dighe, moli, bitte, catene, cavi da ormeggio, ancore, personale marinaro di pronto intervento nell’ambito portuale, previsioni meteo rapide e attendibili.
Qualcuno ha detto: BELIN, non esageriamo, Rapallo non é mica Capo Horn! Qualcuno che aveva letto male i nostri articoli e non ha capito che nei secoli passati un veliero su 3 affondava nel doppiare “l’inferno dei marinai”.
Di quella pagina di storia occorre soprattutto cogliere una sottile differenza che assume dimensioni enormi in questo momento:
Allora c’era più capacità marinara che sicurezza sui quei vecchi bordi di legno.
Oggi c’é più tecnologia, quindi più sicurezza, ma meno scienza e coscienza marinara.
Dobbiamo essere consapevoli che tutto ciò che s’intende progettare e costruire lungo i nostri litorali DEVE essere realizzato con nuovi parametri in grado di contrastare la forza degli uragani, delle trombe marine, delle bombe d’acqua e dei tornado: questo é il conto da pagare che ci presenta, ormai da anni, il cambiamento del clima di cui si parla in tutto il mondo!
-Ma chi conosce gli uragani?
-Chi ha esperienza di questi fenomeni naturali?
-Come si può contrastare un fenomeno che sulle nostre coste non si conosce?
-Come si possono prevedere?
-Con quanto anticipo si può organizzare una difesa per allertare il mondo nautico, ma anche le città nelle loro parti più esposte?
Per dare risposte a questi interrogativi necessitano gli “specialisti”! Le nostre città di mare sono il REGNO dei Professionisti del mare, ma nessuno li cerca, li stana e vengono ignorati dalla burocrazia “chiacchierona” che si occupa d’altro …
Per AMORE verso la mia città avanzo qualche “punto di vista” non richiesto:
- A similitudine di quanto accaduto per il Ponte Morandi di Genova, AUGURO al nostro Sindaco di assumere la carica di COMMISSARIO con ampio potere decisionale sulle pratiche di sgombero degli scafi spiaggiati.
- Con questa “carica istituzionale” penso che il Primo cittadino possa by-passare i freni burocratici di qualsiasi tipo. Salvare l’economia della città (compito prioritario della sua Amministrazione).
- La passeggiata a mare può essere sgomberata totalmente con gru di terra che certamente non mancano.
- E necessario trovare i capannoni e/o Cantieri Navali dove sistemare gli scafi da affidare ai periti di tutti gli enti statali e privati affinché possano svolgere i compiti a cui sono preposti.
- Non vedo un senso logico per cui la CITTA’ debba essere paralizzata dallo svolgimento di pratiche burocratiche che possono essere attuate in un tranquillo capannone di S. Pietro dove le imbarcazioni sarebbero messe in sicurezza ed ispezionate con maggiore facilità.
- La città deve essere ASSOLUTAMENTE LIBERATA al più presto. Il suo lungomare deve essere rifatto in tante parti che oggi risultano danneggiate e non agibili. Quanti giorni lavorativi ci sono rimasti prima di affrontare la stagione estiva?
- La città rischia lo svuotamento “antropico” ? Questa é la domanda che ognuno si pone nella sua coscienza.
PER NON DIMENTICARE ……. Con Mare Nostrum abbiamo scritto molto in questi 30 anni di lavoro appassionato per sensibilizzare la CULTURA MARINARA: studi, saggi, mostre, convegni e lavorando anche ad una collezione di articoli (circa 600) che oggi compongono una apprezzata ENCICLOPEDIA del Mare.Allego alcuni LINK - Per ricordare a chi ci legge che DI TEMPESTE ce ne sono state tante nel tempo, anche da noi e vicino a noi…
Finché avremo voce urleremo come gabbiani nel vento!
URAGANO "EMILY"
Comandante CSLC Mario Terenzio Palombo
Genova, 19.2.1955
UN INFERNALE CICLONE DA LIBECCIO
LONDON VALOUR
IL GIORNO DEL DIAVOLO
LA ROTTURA DEI TEMPI
LONDON VALOUR
GENOVA-LIBECCIO, VENTO DI EROI E DI MORTE
“LONDON VALOUR”
LA NAVE CHE AFFONDO’ DUE VOLTE
LE TROMBE D’ARIA
UN INCUBO PER L’ARCO LIGURE ED IL PORTO DI GENOVA
RAPALLINO NELLA TEMPESTA
QUELLI DEL m/r VORTICE
Carlo GATTI
Rapallo, Novembre 2018
LA NUOVA DIGA DEL PORTO DI GENOVA...E SE FOSSE L'UOVO DI COLOMBO?
La nuova diga del porto di Genova…
e se la soluzione fosse l’uovo di Colombo?
Da diverso tempo ormai, l’intervento radicale sulla diga del porto di Genova è tra i primi punti nella lista delle priorità.
A tal proposito mi è capitato di vedere diversi progetti molto differenti tra loro. Mi rendo conto che trovare la soluzione “perfetta” è tutt’altro che semplice, se non addirittura impossibile. E’ infatti necessario tenere conto di numerosi aspetti che debordano dalle competenze di singole persone/organizzazioni.
L’ammontare degli investimenti dipende dalle soluzioni proposte e si tratta, in ogni caso, di cifre alte e tempi lunghi per l’eventuale realizzazione.
La diga del porto di Genova si estende dall’imboccatura di Levante fino all’Italsider e protegge la zona della Fiera, l’Avamporto e il canale di Sampierdarena.
L’esigenza di un intervento su questa grande opera nasce principalmente dalla necessità di un adeguamento infrastrutturale alle crescenti dimensioni delle navi. A fronte di piroscafi che misuravano in media 150 metri all’epoca della sua realizzazione, siamo arrivati a valutare la possibilità di operare portacontainer di 400 metri. Non mi dilungherò sui motivi che rendono improrogabili tali lavori – materia ampiamente discussa in ogni contesto – quanto sulle considerazioni tecniche che devono aiutare nelle valutazioni di fattibilità.
Si tratta, ovviamente, di argomenti relativi al settore in cui opero, e per questo starò attento a non insinuarmi in discorsi di pertinenza ingegneristica o amministrativa.
Se non consideriamo l’inadeguatezza del porto alle dimensioni attuali delle navi, dobbiamo ammettere che il progetto originario potrebbe essere ancora valido:
- il vento dominante è la tramontana, tenuta sotto controllo prevedendo banchine disposte per Nord/Sud;
- c’erano (ora sono meno) ben cinque bacini di evoluzione: Avamporto, Gadda, Sanità, Porto Vecchio e Bettolo;
- la corrente generata dallo Scirocco era mitigata dal “dente” di cemento presente al taglio della Canzio (purtroppo non c’è più);
- la disposizione delle banchine nel canale di Sampierdarena “invita” all’uscita di levante, agevolando le manovre;
- l’imboccatura di ponente ha senso per servire il traffico diretto all’Italsider (ci tornerò in seguito).
A mio parere, se un porto nasce assecondando in maniera funzionale le regole imposte dalla natura, diventa un grande azzardo stravolgere il piano non tenendone conto.
Esaminiamo, ad esempio, l’opzione di concentrare gli investimenti per “potenziare” l’imboccatura di ponente:
- il primo punto dolente va collegato al fatto che le navi in entrata si troverebbero ad imboccare con una rotta parallela al frangiflutti esistente, e il mare, proveniente dai quadranti meridionali, impattando contro la diga, genererebbe una pericolosa onda di ritorno. Per contrastare questo fenomeno occorrerebbe aumentare proporzionalmente la velocità della nave in ingresso, con la conseguente difficoltà ad arrestarla in tempo utile per l’evoluzione. Consideriamo che, per proteggere gli ormeggi dalla risacca generata dallo Scirocco – molto frequente nel periodo invernale – l’imboccatura non potrebbe essere ampia a sufficienza e, probabilmente, dovrebbe prevedere particolari “denti” o curve che, pena la perdita del governo, non permetterebbero l’arresto della macchina neanche una volta preso il ridosso.
- Per creare un bacino di evoluzione compatibile con le restrizioni previste dal cono aereo dell’aeroporto e per allontanarsi dall’influenza del fiume Polcevera, sarebbe necessario demolire almeno 600 metri della attuale diga. Per esperienza mi viene spontaneo pensare alla conseguente esposizione alla risacca di tutto il ponte Canepa/Ronco, visto che attualmente la stessa si scarica pesantemente sugli ormeggi dell’Italsider.
- Abbiamo già detto che le banchine del canale di Sampierdarena sono sguardate verso l’imboccatura di levante. Se l’imboccatura di ponente diventasse la porta principale, le navi in partenza si troverebbero svantaggiate rispetto ad ora e questo comporterebbe un maggior uso di rimorchiatori, con conseguente aumento delle spese.
- Sempre per quanto riguarda l’uscita, le navi monoelica (per la maggior parte destrorse) si troverebbero a dover compiere un’accostata di 180 gradi al contrario della via dell’elica, in una zona dove la Tramontana picchia forte. Anche qui il rischio si alzerebbe e l’inevitabile uso di un numero maggiore di rimorchiatori contribuirebbe a rendere meno concorrenziale lo scalo nel nostro porto.
In definitiva, spostare la porta d’ingresso e di uscita delle navi da levante a ponente, per permettere alle navi da 400 metri di bloccare il canale di Sampierdarena ormeggiando alla Bettolo, lo vedo come un pericoloso “salto nel buio”: sai cosa lasci, ma soprattutto sai che quello che troverai farà alzare i costi e abbasserà il livello della sicurezza.
Nel corso degli anni diverse modifiche alle infrastrutture, più o meno giustificate dalle esigenze contingenti, hanno contribuito a penalizzare il porto sotto l’aspetto tecnico nautico. In modo particolare mi riferisco ai seguenti punti:
- l’allungamento e l’allargamento delle banchine presenti nel Porto Vecchio, ha eliminato la possibilità di evoluire in quell’area con le attuali navi passeggeri;
- la costruzione della darsenetta per l’ormeggio delle bettoline ha ristretto lo spazio evolutivo dell’Avamporto;
- il riempimento dello specchio acqueo compreso tra Canzio e Rubattino ha tolto un’altra importante alternativa nella scelta delle evoluzioni;
- l’allargamento del taglio della Canzio ha peggiorato l’effetto della corrente in canale.
Ma la spinta più importante alla ricerca di un adeguamento strutturale, nasce dalla necessità di integrare e rendere completamente fruibile la nuova banchina Bettolo. Mi verrebbe da dire, con il senno del poi, che – difficoltà oggettive e burocratiche a parte – aver previsto l’accosto delle grandi portacontainers nel senso Nord/Sud, tombando da testata Sanità alla nuova darsena per l’ormeggio delle bunkerine, avrebbe bypassato numerosi problemi… ma, tornando con i piedi per terra, troviamo l’evidenza di un eccessivo restringimento del canale, nell’eventualità dell’ormeggio di navi di lunghezza superiore ai 300 metri e larghezza superiore ai 40 metri (valori approssimativi ricavati da numerose prove sui simulatori di manovra). Avremmo quindi una sorta di tappo che costringerebbe buona parte del traffico a utilizzare l’imboccatura di Ponente. Soluzione che, come ho già scritto sopra, sconsiglierei.
Vediamo cos’altro potremmo prendere in considerazione.
I problemi da risolvere sono due:
- ormeggiare grandi navi alla Bettolo;
- allargare il bacino di evoluzione dell’Avamporto.
Beh, penso che a questo punto la soluzione meno impattante si suggerisca da sola:
Allargare la diga a partire dal secondo rosso fino all’altezza dell’idroscalo.
- Questo intervento, nella sostanza, non cambierebbe i principi seguiti nella realizzazione del progetto originario.
- Permetterebbe l’evoluzione in Avamporto di navi di dimensioni maggiori rispetto a quelle che attualmente scalano il porto di Genova.
- Offrirebbe lo spazio necessario al transito nel canale di Sampierdarena con una Bettolo finalmente “operativa”.
La domanda giusta da porsi non deve scaturire dalla disponibilità a un compromesso.
Non ci sono i soldi? Bene, se è questo il lavoro da fare, aspetteremo di avere da parte la somma necessaria.
Avrei da suggerire soluzioni alternative (probabilmente più invasive e dispendiose), ma sono convinto che anche altre persone, con un punto di vista differente dal mio, potrebbero sorprenderci positivamente.
JOHN GATTI
Rapallo, venerdì 20 Ottobre 2017