IL RELITTO DEL MAR NERO
Dedico questo articolo alla memoria del fraterno amico
Emilio Carta
il quale profuse buona parte delle sue ricerche verso il mondo dei relitti navali.
IL RELITTO DEL MAR NERO
La nave più antica del mondo trovata intatta al largo di Burgas
nel Mar Nero
"Ha 2400 anni"
Per noi umili appassionati di navi di tutte le epoche, la scoperta di un relitto così antico e ben conservato, ci emoziona particolarmente in quanto ci consente di aggiungere tasselli di conoscenza tecnica delle costruzioni navali e della gestione della nave sia per quanto riguarda il carico che la manovra.
È stata elaborata un'immagine 3D della nave grazie a dei dispositivi subacquei
“La nave dell'antica Grecia è rimasta integra perché a due chilometri di profondità manca l'ossigeno”. Afferma il professore Jon Adams responsabile del gruppo scientifico che ha individuato la nave: "Una scoperta straordinaria che rivoluziona le nostre conoscenze sul mondo antico".
The Science Team
Professor Jon Adams is a Professor in Maritime Archaeology and Founding Director of the University of Southampton’s Centre for Maritime Archaeology.
Professor Lyudmil Vagalinski has been Head of the National Archaeological Institute & Museum (NAIM), part of the Bulgarian Academy of Sciences (BAS) since 2010.
Hristina Angelova (in memorian) has been instrumental in the Black Sea MAP since planning began in 2014 working as the lead Bulgarian maritime archaeologist on the expedition.
Dr. Kalin Dimitrov graduated in Archaeology at the St. Kliment Ohridski University, Sofia in 1992. In the same year he was appointed as Maritime Archaeologist in the Centre for Underwater Archaeology in Sozopol.
Gli altri membri del Team:
Dr Veselin Draganov – Dr Justin Dix - Prof Joahn Rönnby – Dr Kroun Batchvarov – Dr Dragomir Garbov – Dr Helen Farr – Dr Joakim Holmlund – Dr Rodrigo Pacheco-Ruiz – Dr Dimitris Sakellariou – M.S.C. Kiril Velovsky –
The Educational Team: Catherine Aldridge – Ruth Mackay – Roger Baker – Dani Newman – Dave John - Dr Angela Hall – Elizabeth Terry –
Documentary Team: David Belton – Andy Byatt.
Trovarla e restituirla alla storia, è stata un’impresa del celebre MAP, acronimo di Maritime Archaeology Project. L’equipe é guidata dal britannico Jon Adams, responsabile di una troupe internazionale di archeologi e scienziati che fa riferimento all’Università di Southampton e che dal 2015 sta setacciando le coste della Bulgaria dove un tempo approdavano le navi provenienti dalla Grecia e, in generale, dai porti mediterranei. La troupe dispone di moderni droni abilitati per la ricerca di relitti giacenti alle profondità abissali che sono anche attrezzati per raccogliere immagini a tre dimensioni.
La notizia è stata data dal Guardian. A breve sarà proiettato al British Museum di Londra un documentario girato durante le ricerche. Oltre a questa imbarcazione i ricercatori hanno individuato un vero e proprio cimitero di navi.
I NUMERI
Il Mar Nero, con i suoi alti fondali, si é rivelato, ancora una volta, il grande guardiano dell’archeologia marina subacquea che ci porta a rivisitare quei pezzi di storia che sembravano già dimenticati.
Il relitto risale a 2400 anni fa ed è praticamente intatto. La nave ritrovata nel mese di ottobre 2018 è la più antica al mondo mai rinvenuta dall’uomo. Si trova a circa 80 km dalla città di BURGAS (Bulgaria), a 2mila metri di profondità.
Si tratta di una nave mercantile lunga circa 23-25 metri, di costruzione greca, in ottimo stato di conservazione risalente a 2.400 anni fa. E’ già stata ribattezzata la “nave di Ulisse“. Secondo gli archeologi, infatti, è molto simile alla nave del mitico eroe greco Ulisse raffigurata su un antico vaso, da qui il nome (vedi foto sotto).
Tipologia di nave
Secondo le ricostruzioni degli esperti, quel tipo di nave veniva usata per trasportare merci varie dalla Grecia alle colonie elleniche sulla costa del Mar Nero.
Ci sono degli indizi che fanno pensare ad anfore ma anche ad opere artistiche. Sono tuttora visibili l’albero di maestra, il timone e le panche per i rematori. Per il momento il relitto é destinato a rimanere nell’antica culla che lo ospita da oltre due millenni sul luogo del naufragio.
Il suo eccezionale stato di conservazione è dovuto alla mancanza d’ossigeno a quella profondità, oltre che al particolare habitat di un bacino chiuso e preistorico come il Mar Nero.
Città portuale di BURGAS - Bulgaria (Mar Nero)
Burgas è il secondo porto bulgaro sul Mar Nero ed ha il più grande aeroporto nei Balcani. È noto come centro industriale e turistico. Si pensava fosse una città di recente fondazione, ma recenti scavi archeologici nei dintorni hanno riportato alla luce numerosi reperti, che oggi si possono vedere nel museo archeologico. Si suppone che nel sito dell’attuale Burgas ci fosse, nel II - IV sec. A.C., un agglomerato traco-macedone. Fino al XVIII° sec. sono esistiti solo dei villaggi di pescatori. Il gioiello della città è il parco lungo il mare, piacevole posto per passeggiate sia d’estate che d’inverno. D’interesse per i visitatori della città sono il museo archeologico, il museo etnografico, la sinagoga - dono al comune dalla comunità ebraica - che ospita una mostra di icone e la chiesa armena.
IBERNAZIONE
Il relitto è stato trovato grazie a due robot subacquei telecomandati (ROV) che hanno permesso un’esplorazione estremamente accurata, ma a causa della profondità delle sue acque che assicurano una sorta di ibernazione, per ora sembra impossibile riportarlo alla luce sulla terraferma. Infatti, la totale mancanza di luce e ossigeno a quella profondità ha permesso al relitto di rimanere intatto grazie a circostanze ambientali assai peculiari. In altre parole, in quella regione, l’acqua marina è particolarmente povera di ossigeno, il che ha impedito la proliferazione di batteri che l’avrebbero corrosa e deteriorata.
E’ perfettamente visibile il timone e il contenuto della stiva, come se il tempo si fosse fermato per consegnarcelo intatto e non fosse ancora stanca di navigare nell’azzurro del mare.
L’esame di alcuni campioni di legno prelevati dal relitto ha dimostrato che lo scafo risale al 400 a.C. Ci si trova, senza dubbio alcuno, dinanzi al più antico relitto navale che sia mai stato scoperto nel mondo.
“Ci è sembrato di vivere in un film di avventura” ha dichiarato al New York Times il responsabile del progetto, il professor Jon Adam– non pensavo fosse possibile trovare. una nave come questa, ancora intatta, a tali profondità. Abbiamo osservato il timone perfettamente conservato ed in posizione di navigazione. Il suo studio senz’altro cambierà la nostra comprensione della costruzione navale e della navigazione nel mondo antico. La storia di questo antico relitto è ancora tutta da scrivere. Probabilmente, stando ad alcune rilevazioni di reperti esaminati, trasportava, oltre alle solite anfore che erano i contenitori principali in tutta l’antichità, anche ceramiche. Le sue stive, ancora semi sepolte nella sabbia, potrebbero nascondere un vero tesoro artistico, oltre che archeologico”.
Il professor J.A. ha inoltre precisato: “per il momento, il recupero della nave è pressoché impossibile perché il legno, rimasto in uno stato anossico per 24 secoli, si dissolverebbe al primo contatto con l’aria”.
Nel frattempo gli archeologici hanno trovato molte somiglianze con le navi raffigurate nei vasi greci dell’epoca, custoditi nei musei di diverse nazioni.
Dr Helen Farr is a maritime archaeologist with a focus on prehistoric submerged landscapes and early seafaring.
“È una scoperta unica nel suo genere”, ha raccontato alla Bbc Helen Farr, una delle partecipanti alla spedizione. È come aprire una finestra su un altro mondo: quando abbiamo esaminato il video e abbiamo visto apparire la nave, così perfettamente conservata, ci siamo sentiti come se avessimo fatto un viaggio indietro nel tempo”.
LE PARTI MEGLIO CONSERVATE
Sono pressoché intatti: l’albero di maestra, i timoni, le panche utilizzate dai rematori e addirittura, sembra, anche parte del contenuto della stiva – che però è ancora sconosciuto; gli archeologi sostengono che servirà una nuova spedizione per scoprirlo, anche se con ogni probabilità si tratta di anfore e vasi.
Il Vaso della sirena, che è conservato al British Museum di Londra
È nel XII canto dell’Odissea di Omero che, per la prima volta, le sirene fanno la loro apparizione in un’opera letteraria. Intorno a queste figure leggendarie si sono sviluppati miti che, fin dall’antichità, hanno alimentato l’immaginazione dell’uomo, al punto da condurlo a renderle degli esseri quasi reali. A loro si attribuiscono doti ammaliatrici; ascoltando il loro canto nessun essere umano riuscirebbe a resistere, cadendo, inevitabilmente, nella loro trappola. Seguendo il loro canto sensuale, il malcapitato andrebbe incontro solo alla morte. Pochi sono gli uomini sopravvissuti al loro richiamo. Oltre ai leggendari Argonauti, l’episodio più famoso è quello di Ulisse (rappresentato nel vaso) che, seguendo il consiglio della maga Circe, riempì di cera le orecchie dei suoi compagni e facendosi legare all’albero della nave, riuscì a superare la tentazione di buttarsi in mare per seguirle.
La nave a doppia propulsione - vela e remi - è stata individuata in un noto cimitero di relitti, dove sono già state localizzate oltre 60 imbarcazioni. Lo shape dell'imbarcazione ricorda il vascello raffigurato nel Vaso della sirena, che è conservato al British Museum di Londra e risale al 480 a.C.
Rispetto alla moltitudine di reperti, quel particolare vaso è citato da alcuni studiosi che ritengono possa rivelare qualcosa sulla storia dei viaggi di Ulisse, forse persino di quel passo dell'Odissea dove si racconta che: il re di Itaca si fece legare a un albero della nave per ascoltare senza rischi il canto mortifero e tentatore delle sirene - esattamente la "scena" descritta dalle decorazioni del vaso sopra riportato.
L'AMBIENTE PERFETTO
“Questo cambierà la nostra comprensione delle costruzioni navali e della navigazione in quel tempo“. È stato comunque prelevato un piccolo frammento di legno del relitto ed è stato portato all'Università del Southampton per ulteriori analisi.
La datazione della nave è stata condotta col metodo del carbonio-14 - Il risultato la fa risalire al 400 avanti Cristo.
IL PARADISO DEGLI ARCHEOLOGI. L’opinione di Jon Adams: “la nave potrebbe essere affondata durante una tempesta di fronte alla quale l'equipaggio, che poteva essere composto tra i 15 e i 25 uomini, non riuscì a fare nulla, e non sarebbe da escludere la possibilità che vi siano i loro corpi conservati nei sedimenti circostanti la nave. Al momento non c'è un progetto per riportare il relitto in superficie, in parte per i costi di una tale operazione e in parte perché sarebbe necessario suddividerlo in pezzi”.
I ricercatori impegnati nel progetto Black Sea Map hanno rinvenuto reperti anche più antichi della nave greca, ma di questi sono stati trovati solo frammenti. Il luogo dove giace la nave greca è in realtà costellato di relitti: “Nella stessa area ci sono, per esempio, alcune parti di una nave mercantile medievale, con le sue torri di prua e di poppa ancora praticamente intatte, con il sartiame e tutte le sue decorazioni”. Conclude Adams.
Seguirò per Mare Nostrum i successivi lavori del TEAM e vi aggiornerò sui risultati.
Carlo GATTI
Rapallo, 24 dicembre 2018
L'importanza delle catene per le ancore (modellismo)
L’Importanza delle CATENE per le ANCORE
Premessa
Tutti i natanti possiedono almeno un’ancora. Dalle più piccole imbarcazioni alle più grandi navi. L’ancora è stata inventata in pratica insieme alla barca.
Quelle più grandi ne possiedono più di una; i vascelli antichi ne avevano a disposizione un numero impressionante, considerate con gli standard moderni.
Le navi di una certa dimensione ne posseggono un paio, a prua, ma generalmente ne hanno una terza di scorta (o di “rispetto”).
Ancoraggio
Ovviamente l’ancora serve ad “ancorare” la nave, in altre parole a mantenerla ferma in una data posizione.
Generalmente una nave all’ancora è mantenuta in posizione da una sola ancora.
L’ancora è “filata” in mare in un punto parecchio distante dalla nave stessa e l’arco sottomarino che la catena forma, unendo nave ed ancora è molto ampio. Una nave all’ancora nasconde pertanto un ostacolo sommerso nella parte anteriore, nonché rappresenta un ostacolo fisso per la navigazione degli altri natanti presenti in zona.
Per questo motivo ogniqualvolta un natante è ormeggiato all’ancora, esso deve obbligatoriamente issare a riva il “palloncino” – segnale sferico (nero) – che indica chiaramente, anche da lontano, tale sua condizione di potenziale pericolo.
Di notte il “palloncino” è sostituito da uno o due fari bianchi omnidirezionali, (per natanti con lunghezza fino a 50mt)
L’ancora è usata quando la nave è ormeggiata in rada (spazio di mare libero), con fondo adatto per l’ormeggio stesso, mentre in porto, alla banchina, la nave è usualmente fissata con svariate gomene legate ai bittoni del molo, senza utilizzo dell’ancora.
Generalmente i punti adatti all’ancoraggio sono segnati sulle carte nautiche.
In mare esistono le correnti, grandi e piccole ed una nave ormeggiata al largo è soggetta ad esse, così come è soggetta alla azione del vento. Questo fa sì che in un intervallo significativo, comunque durante un giorno, lo scafo possa ruotare anche più di una volta intorno al punto in cui l’ancora giace sul fondo.
Per questo motivo si usa una sola ancora, se fossero due, le catene finirebbero con l’intrecciarsi con problemi facilmente intuibili.
Il sistema catena-ancora
Tralasciando di descrivere i vari tipi di ancora vorrei descrivere come il complesso catena-ancora lavora.
In primo luogo la nostra ancora non lavora da sola: per svolgere correttamente il suo compito essa deve essere accompagnata da un buon tratto di catena.
Le navi grandi sono unite all’ancora con una lunga catena, le piccole imbarcazioni hanno un sistema composito: una gomena, un tratto di catena, l’ancora.
L’ancora, infatti, funziona solo se è trascinata in senso orizzontale, in questo modo i suoi bracci (“marre”) si conficcano sul fondo e l’ancora stessa risulta saldamente bloccata.
Nessuna ancora (che non sia rimasta incastrata, per esempio in qualche roccia) è in grado di resistere ad una trazione verticale, tanto è vero che l’operazione di salpaggio dell’ancora si svolge in questo modo: mentre i marinai a prua iniziano a recuperare catena, la nave si sposta lentamente fino a portarsi sopra al punto in cui l’ancora è affondata ed allora l’argano la solleva, senza particolari difficoltà se non quelle legate al suo peso. Un fenomeno da tenere presente è che (lontano da riva) l’acqua si muove, magari di parecchio, in su ed in giù e pochissimo in senso longitudinale, nonostante le apparenze ci suggeriscano il contrario.
Anche in presenza di onde molto forti, una determinata particella d’acqua si muove quasi solo in senso verticale.
Le onde rappresentano una perturbazione della superficie dovuta all’azione del vento, ma proprio in quanto “onde” trasmettono il moto alla superficie che si alza e si abbassa, ma l’acqua si muove in senso orizzontale solo in modo trascurabile.
Le particelle liquide più vicine alla superficie (in presenza di vento) si muovono in modo significativo, ma appena al di sotto di essa la situazione è quella descritta prima. E’ un fenomeno facile da verificare: provate a lanciare un sasso sulla superficie speculare di uno stagno. Sapete perfettamente che dal punto di entrata in acqua del sasso, si formano eleganti cerchi concentrici che si “allontanano” verso l’esterno. Sembra che l’acqua si muova in tutte le direzioni.
Ma se per caso una leggerissima foglia secca che galleggia nei pressi è investita da tali onde, invece di muoversi con esse (come ci si aspetterebbe visto il moto apparente dell’acqua) altro non fa che salire e scendere (leggermente) ma si sposta di poco.
Una nave al largo fa lo stesso: va su e giù. Il fatto che, con mare forte, rolli e beccheggi deriva dalla differenza dimensionale tra la frequenza (dimensione) delle onde, la loro direzione e le dimensioni fisiche della nave stessa.
Per intenderci: se un dato treno di onde avesse una frequenza tale da coincidere con la lunghezza della nave e la direzione fosse longitudinale alla nave, vedremmo la nave salire e scendere senza rollio o beccheggio; oppure: se la frequenza delle onde fosse esattamente la metà della lunghezza della nave, vedremmo tale natante effettuare un balletto in cui la prua e la poppa si alzano e si abbassano in moto alternato e che, apparentemente il centro nave non sale e non scende.
Ora: tutti questi movimenti della nave, in particolare della prua, devono essere ammortizzati dall’ancora ed ecco che entra in gioco la lunghezza dell’elemento di unione (che per semplicità definirò “catena”).
Ciò che tiene la nave al suo posto è il peso della catena, l’ancora è solo l’elemento finale che fissa il punto-perno.
La catena semplicemente appoggiata sul fondo non è in grado di rimanere ferma al suo posto, se tirata con sufficiente forza, finirebbe con lo strisciare.
L’elemento finale, l’ancora, assolve al fondamentale compito di tenere la catena mantenga salda al suo posto.
Infatti, il primo tratto di catena dopo l’ancora è a sua volta adagiato sul fondo e la parte più vicina alla nave si solleva e ricade ritmicamente in base al movimento della prua.
La faccenda per la verità è un po’ più complicata e tira in ballo la fisica delle funi, ma per semplicità diremo che nel momento in cui la prua si solleva, essa tende a sollevare una certa parte di catena originariamente appoggiata al fondo: il peso della catena spostata trattiene la nave al suo posto in modo morbido, accompagnando ordinatamente il moto della nave.
Cessato l’effetto del sollevamento della cresta dell’onda se segue quello di abbassamento dovuto al conseguente cavo d’onda: in questo caso la prua si abbassa e altro non fa se non cedere catena che si appoggia sul fondo – tutto qui.
Pertanto la posizione della nave è mantenuta non tanto dall’ancora, quanto dal tratto di catena sospeso tra la nave ed il fondo.
Tra parentesi, quando una nave ruota per effetto del vento o delle correnti, ad un certo punto fa sì che l’ancora “ari” il fondo causando dei leggeri spostamenti di posizione, ma sono effetti che, nella pratica, il più delle volte sono trascurabili.
Per quanto grande sia la nave essa si “appoggia” sull’acqua ed è trattenuta solo da essa. Se consideriamo che in mare c’è sempre vento e che esso è via via più forte con il crescere del moto ondoso (in effetti è il contrario, visto che le onde sono frutto del vento, ma non necessariamente del vento localmente presente) dobbiamo ricordarci che l’effetto del vento su una fiancata di nave è significativo e pertanto tutti i discorsi sul moto ondoso etc. andrebbero ripetuti per il vento, ma il funzionamento del sistema catena-ancora rimane lo stesso.
E’ sufficiente una forza relativamente piccola per muoverla o, viceversa, trattenerla. Altrimenti non si capirebbe come possano dei piccoli rimorchiatori manovrare con apparente facilità anche le più grandi portaerei o le superpetroliere.
D’altro canto se il vento, anche modesto, riesce a muovere (lentamente) una petroliera, ciò è a riprova di quanto detto.
La maglia della catena d’ancora
Lo sforzo di trazione che agisce sulla catena, anche in condizioni di mare particolarmente grosso, non è estremamente elevato per cui la normale credenza per cui la maglia della catena d’ancora è dotata di traversino a motivo di sforzi meccanici non è corretta.
Come abbiamo visto la catena lavora per peso ed il traversino altro non fa che aumentare di circa il 20% il peso unitario della catena stessa; ma la ragione principale è che, dato che una catena per ancora è pesante, essa non è manovrata a mano, ma generalmente tramite mezzi meccanici.
Essa a bordo è conservata nel pozzo-catene – uno spazio ricavato nella parte bassa della prua.
Rivestito con spesse assi di legno duro e dove all’interno esiste un robusto maniglione a cui è fissata la testa della catena (affinché non vada persa in mare in caso di errata manovra di alaggio).
Ebbene, nel pozzo-catene (un locale piuttosto angusto e puzzolente, fornito di drenaggio per smaltire l’acqua tirata a bordo dalla catena salpata, più l’acqua dolce spruzzata per lavare via il salino) la catena stessa è messa alla rinfusa, così come cade al suo interno, gettata dall’argano del castello di prua. Tutte le catene “normali” se mantenute ammucchiate, possono “incattivirsi”, cioè formare nodi e groppi. Se avete delle catenelle da modellismo sapete bene a cosa mi riferisco. Provate ad immaginarvi cosa succederebbe se si incattivisse una catena d’ancora dentro il pozzo: chi ci va a sbrogliare la matassa?.
Il traversino è la risposta: esso impedisce proprio l’incattivimento delle maglie. Se avete un tratto di catena “alla marinara” (magari una collana della moglie) fate la prova: strapazzatela quanto volete, quando la tirerete per un capo essa si svolgerà senza problemi.
Costruzione della catena
E come si fa a costruire le catene?
Esse sono fornite in “lunghezze” di circa 25 mt. Essi poi sono collegati gli uni agli altri tramite particolari elementi scomponibili. In determinati punti della catena esistono altri elementi che permettono la rotazione assiale della catena per evitarne l’arricciamento ed in ultima analisi la rottura.
Sia che abbiano maglie grandi o piccole, queste lunghezze sono costituite da parti senza tagli o saldature, eppure sono elementi tutti liberi da vincoli gli uni dagli altri, tranne che per il fatto che sono collegate occhiello con occhiello.
Sembra un trucco da mago, ma ovviamente anche se non ci sono maghi (per lo meno nel caso delle catene) c’è il trucco. Le maglie sono fuse in forme di terra, usando modelli in legno scomponibili, con particolari accorgimenti tali per cui esse, una volta solidificato il metallo colato, risultano già collegate le une alle altre.
Siccome non esistono forme per colata lunghe 25mt., esiste la possibilità di eseguire colate successive inserendo da un lato una maglia già pronta in modo che la colata seguente si “infili” nell’ultimo anello già fatto.
In questo modo si può colare anche un anello alla volta, ma in questo caso la faccenda diventa piuttosto lunga. Il numero di anelli per colata dipende: dalla dimensione della maglia, dalla capacità del forno di colata, dagli spazi operativi di fonderia ed infine, ma non ultimo dal costo dei modelli di formatura.
Benedetto Albino
E’ MANCATO IL COM.TE PILOTA ALDO BAFFO
IL 28 MAGGIO 2021
E’ MANCATO IL COMANDANTE
ALDO BAFFO
Fu un attento “guardiano” del Porto di Genova
Queste furono le sue Torre Piloti per 32 anni
Lo scrittore e uomo di mare J.Conrad, definì il pilota: “trustworthiness personified”, ovvero l’attendibilità in persona. Questo è stato il comandante Aldo Baffo, l’ideale di Pilota per ogni Comandante di nave in arrivo ed in partenza dal porto di Genova.
Da sinistra Ottavio LANZOLA, Aldo BAFFO, Giuseppe LONGO, Aldo CAVALLINI, Adriano MACCARIO. Cinque Capi Pilota che dai primi Anni ’70 guidarono il Corpo Piloti di Genova fino alla soglia del nuovo millennio. I successivi C.P. furono: Oreste BOZZO, Giovanni LETTICH, John GATTI. L’attuale é Danilo Irace FABBRICATORE.
Aldo BAFFO era uomo affidabile, di poche parole e sempre pronto a ormeggiare navi di ogni tipo e grandezza con qualsiasi tempo. Un uomo che viveva il suo essere “marinaio genovese di vecchio stampo” anche dalla sua abitazione di via Amendola sopra l’imboccatura del Porto.
Aldo non staccava mai … era sempre pronto ad intervenire in caso di necessità. Il porto era per lui la proiezione di quel mondo che ogni giorno cambia volto e dà assistenza alle navi di qualsiasi bandiera in quella nota atmosfera “familiare e comune alla gente di mare” che vede nel porto un piacevole stacco, una pausa dopo gli affanni della traversata.
A volte quello stesso porto cambia umore e personalità, per cui diventa imprevedibile sotto i colpi del furioso libeccio e le paurose mareggiate, quando il lavoro del Pilota diventa pericoloso nel salire e scendere dalle biscagline, quando le navi prendono fuoco in porto e occorre allontanarle dalle altre navi, e ancora quando nell’anfiteatro portuale vanno in scena tragiche operazioni di salvataggio e il coraggio individuale diventa necessità, abnegazione e da quel momento il Pilota sa che tocca a lui agire sotto lo sguardo dell’intera città.
A questo punto, il nostro pensiero corre a quella terribile giornata che vide i Piloti del Porto di Genova coinvolti nel crudele destino della nave inglese LONDON VALOUR che andò a sfracellarsi con il suo equipaggio contro la diga Duca di Galliera in quel famigerato il 9 Aprile 1970.
La London Valour in agonia sugli scogli della diga. La parte poppiera é già affondata. In questa drammatica istantanea si notano alcuni membri dell’equipaggio assiepati sulla “normale” della nave in cerca di salvezza. L’imbarcazione dei piloti Teti, a sinistra, affronta il mare in posizione quasi verticale sulla cresta dell’onda.
Sulla pilotina TETI condotta da Momo Fanciulli c’era anche Aldo Baffo che lottò per ben 6 ore contro onde alte 10 metri per recuperare i corpi di quei poveri marinai indiani che si lanciavano in mare per non morire tra gli scogli della diga.
Scrissi a suo tempo:
Sul posto arrivarono i piloti portuali, rimorchiatori e motovedette della Capitaneria, dei Carabinieri, della Finanza e della Polizia, Alle 14.45 i Vigili del Fuoco misero in funzione un va e vieni, vale a dire una doppia cima di nylon tesa tra la diga e il ponte di comando, sulla quale scorreva una carrucola munita di cintura a braga per consentire il salvataggio di un naufrago per volta.
La nave si spaccò in due tronconi e i membri dell'equipaggio si trovarono divisi in due gruppi, tutti muniti di giubbotto salvagente. Dorothy, la moglie del comandante Edward Muir, fu sbalzata dall’imbragatura e precipitò tra gli scogli spazzati dalle onde, sotto gli occhi del marito, nonostante i tentativi di salvataggio di un Vigile del Fuoco che si tuffò invano più volte. I depositi di nafta cedettero e il combustibile, nero e denso come catrame, si sparse in mare e avviluppò i naufraghi caduti in acqua. Tra questi, il comandante del mercantile, che rifiutò l'aiuto di un soccorritore, si slacciò il giubbotto e si lasciò andare.
Volteggiava sulla scena del disastro, sfidando la bufera, il leggendario elicottero dell'ardimentoso capitano Enrico, eroe dei Vigili del Fuoco, che poco tempo dopo non sarebbe rientrato da un'ennesima operazione di salvataggio.
Tra i protagonisti di quella terribile giornata ci furono 3 PILOTI del Porto
A seguito di questi fatti furono concesse:
LE MEDAGLIE DI “BENEMERENZA MARINARA”
al pilota Giovanni Santagata (Corpo Piloti-Porto): Argento
al pilota Aldo Baffo (Corpo Piloti): Argento
al pilota Giuseppe Fioretti (Corpo Piloti-Porto): Bronzo
Nel disastro perirono 22 persone. Furono salvati 38 membri dell’equipaggio: i più coraggiosi, coloro che si tuffarono in mare e furono spinti dalle onde tra le braccia dei soccorritori che si erano appostati un po’ ovunque, in quelle acque vorticose, schiumose ed impazzite.
Nonostante la mobilitazione dei soccorsi in mare e a terra, le vittime furono 22 e la nave andò perduta. Dopo un anno d’inutili studi e progetti andati in fumo, il relitto fu rimorchiato al largo da due rimorchiatori d’altomare al comando dello scrivente.
La London Valour non raggiunse la Fossa delle Baleari, ma affondò per la seconda volta, sotto i colpi di una violenta burrasca a 90 miglia a sud di Genova, su un fondale di 2640 metri.
La ruota del timone fu donata all'Ospedale San Martino che aveva assistito i superstiti.
La campana è oggi conservata presso la Chiesa Anglicana di Genova.
La bandiera è stata consegnata alla Capitaneria di Porto.
Fu una tragedia inverosimile, a poche bracciate dalla costa, sotto gli occhi attoniti della città impotente.
Nei giorni successivi, gli stessi media Inglesi definirono eroico il comportamento dei soccorritori genovesi che intervennero in quelle drammatiche operazioni di salvataggio.
Aldo diceva: il nostro è un lavoro che s’impara solo in minima parte sui libri. La scuola di pilotaggio, per ogni porto, getta le sue fondamenta nella notte dei tempi. Ogni pilota è figlio della generazione precedente di manovratori. Un’arte che si evolve, cresce e cambia adattandosi all’evoluzione tecnologica delle navi, ma i segreti di come affrontare i venti, le correnti, ogni tipo di nave e la psicologia dei Comandanti in manovra, s’imparano dai vecchi piloti che ti “formano”, giorno dopo giorno, consigliandoti per i primi quattro anni di carriera costruita con tante “sudate fredde”….
Aldo BAFFO, come tanti di noi, suoi Allievi e Amici, visse i vari passaggi del gigantismo navale che possiamo fissare con alcune immagini:
Turbonavi Michelangelo e Raffaello a Genova primi Anni ‘70
Due navi di COSTA CROCIERE (05.06.2009)
Anni ‘80
ORMEGGIO DI UNA SUPERPETROLIERA ALL’ISOLA DI MULTEDO
A Genova arrivavano anche famose navi passeggeri di oltre 330 metri di Lunghezza: QUEEN ELIZABETH 2 - NORGE
Anni ‘90
Anni ’80-‘90
Non so dove sia lo spirito di Aldo Baffo in questo momento, ma saprei dove incontrarlo: sull’imboccatura del porto accanto alle vittime delle London Valour, ai gabbiani che li ricordano in spirito, lo vedrei sulla scia di tutti i marittimi che con le loro navi continuano ad entrare e ad uscire dal suo amato porto di Genova, da oggi e per tutta l’eternità.
ALCUNE FOTO
Il Pilota Aldo Baffo mentre scende dalla biscaglina di una nave militare.
1993 - La lista dei Piloti in servizio nel Porto di Genova. Aldo BAFFO risulta essere Sotto Capo Pilota, ma nello stesso anno fu nominato Capo Pilota.
La vecchia Torre-Piloti crollò sotto i bombardamenti per ben due volte. Fu ricostruita nel 1947 ed è tuttora al suo posto. In questa foto la si vede ancora accanto alla nuova Torre di Controllo del traffico del Porto di Genova. Un passaggio di consegne, com’è tristemente noto a tutti, finì in tragedia il 7 Maggio 2013.
Fu proprio Aldo BAFFO ad INAUGURARE la Nuova Torre di controllo del Porto.
04.00 del 26 luglio del 1997 - Partenza Superbacino da Genova. Quattro piloti: Aldo Baffo, Giuseppe Fioretti, Carlo Gatti e Ottavio Lanzola presero posizione su ogni lato del Superbacino.
In quello stesso anno Aldo BAFFO Andrà in pensione con 32 anni di servizio.
1994 -Il Capo Pilota Aldo BAFFO saluta i Piloti pensionati
Il C.P. Aldo BAFFO (a sinistra) consegna una targa ricordo all’impiegato del Corpo Pilota Giampiero ARNAUD, neo pensionato.
Aldo ha lasciato un vuoto enorme intorno alla sua adorata Dina, i figli Umberto e Stefano, le loro famiglie e gli amici di sempre. Commovente la dichiarazione rilasciata al SECOLO XIX dal nipote Giorgio:
“Ha lasciato un segno indelebile nella mia vita indicandomi a ogni passo la rotta per diventare un uomo. Ogni mia vittoria è, e sarà, figlia degli insegnamenti che mi ha tramandato fin da quando ero piccolo”.
Ciao carissimo Aldo!
Sit tibi “MARE levis!
(che il mare ti sia lieve!)
Carlo GATTI
Rapallo, Martedì 1 Giugno 2021
RICORDO DI ANTONIO PIGAFETTA
RICORDO DI ANTONIO PIGAFETTA
Va subito detto che del navigatore-scrittore vicentino non si sa molto e quel poco va inquadrato nel suo tempo e soprattutto nella testimonianza di assoluto valore che ci ha lasciato:
RELAZIONE DEL PRIMO VIAGGIO INTORNO AL MONDO
Notizie del Mondo nuovo con le figure dei paesi scoperti
descritti da ANTONIO PIGAFETTA, vicentino, cavaliere di Rodi
ANTONIO PIGAFETTA PATRIZIO VICENTINO E CAVALIER DE RODI A L'ILLUSTRISSIMO ED ECCELLENTISSIMO SIGNOR FILIPPO DE VILLERS LISLEADAM, INCLITO GRAN MAISTRO DI RODI, SIGNOR SUO OSSERVANDISSIMO
Il DIARIO è scritto in uno strano linguaggio italo-veneto frammisto a parole tecniche spagnole, per cui si ritiene che si tratti del documento più importante fra tutti quelli che ci sono giunti della storica impresa dalla partenza al ritorno. Tuttavia, il suo interesse è dato soprattutto dalle ampie e precise descrizioni dei luoghi – soprattutto di quelli, come la Patagonia e le Filippine, dove Pigafetta sostò a lungo, ma per poi giungere alla leggendaria isola delle spezie: Le Molucche era necessario attraversare El Paso, STRETTO inesistente nella cartografia dell'epoca, ma forse sognato o avuto in visione da Magellano.
Antonio Pigafetta si dimostra un acuto osservatore della flora e della fauna. Degli abitanti invece offre descrizioni complete: soffermandosi sui caratteri fisici, sui loro costumi, e sulle loro credenze religiose; per quelli del Brasile, della Patagonia, delle isole malesi, dà anche un elenco dei vocaboli d'uso comune.
Pigafetta, non essendo un marinaio, non fu altrettanto accurato nel riferire i particolari tecnici della navigazione, ben poco, ad esempio, si può trarre dalla sua relazione per essere informati sulle varie fasi della traversata del Pacifico, dell’Oceano Indiano e dell’Atlantico, e più precisamente sullo scopo del viaggio e sulle vicende che influirono su di esso.
Ricostruzione della Victoria nel Museo Nao VICTORIA a Punta Arenas-Cile
UN PO’ DI STORIA
L’IMPRESA DI FERDINANDO MAGELLANO
Nato a Ponte de Barca 1480 – morto a Mactan (Filippine) iL 27 aprile 1521.
In latino: Ferdinandus Magellanus;
In portoghese: Fernão de Magalhães;
In spagnolo: Fernando de Magallanes;
Magellano, dopo aver trovato una mappa che indicava una possibile tratta nell’Oceano Pacifico nei pressi del Rio de la Plata (che permetteva di raggiungere l’Asia senza girare intorno all’Africa), decise di cimentarsi in questa impresa. Dopo che il Re portoghese rifiutò il finanziamento della spedizione, Magellano andò in Spagna e si rivolse a Carlo V che accettò di finanziare l’impresa, con la speranza che questa scoperta potesse recare danno ai portoghesi, dal momento che per raggiungere le Isole delle Spezie in Indonesia, gli spagnoli erano costretti a transitare in porti portoghesi.
(vedi link: IL TRATTATO DI TORDESLLAS - in fondo all’articolo).
Era il 20 settembre 1519 quando Magellano salpò da Sanlucar de Barrameda-(Andalusia) in Spagna, con una flotta di 5 navi e 237 uomini.
Dopo aver costeggiato le coste africane, la flotta proseguì verso l’oceano Atlantico, fino a raggiungere Rio de Janeiro (Santa Lucia Bay) e poi Rio de la Plata. Da qui, la flotta continuò verso sud: a marzo raggiunse Puerto San Julian e a ottobre Cabo Virgenes, in Argentina.
Nel novembre del 1520, con tre delle cinque navi rimaste, penetrò nel mare cileno e attraversò lo Stretto, battezzato inizialmente con il nome di All Saints Strait, e solo successivamente Stretto di Magellano.
Da qui, si avventurarono in un mare nuovo: le acque erano talmente calme che Magellano gli diede il nome di Oceano Pacifico. Nel gennaio del 1521 la flotta raggiunse le Shark’s Islands (Puka-Puka), un mese dopo San Pablo Island e a marzo le isole Marianne e poi le Filippine.
La flotta di Magellano compì un’impresa davvero estrema: 3 anni di navigazione in acque allora sconosciute e territori inesplorati.
Magellano non riuscì a tornare in Spagna: a seguito di una rivolta, morì nelle Filippine, ucciso dagli indigeni. Solo 18 membri dell’equipaggio tornarono a Siviglia, terminando la circumnavigazione del globo il 6 settembre 1522. Tornarono con una sola nave, la VICTORIA.
Il viaggio si concluse con gravi perdite. Ritornarono in solitario solo tre navi delle cinque che facevano parte della spedizione:
la San Antonio abbandonò il convoglio prima di raggiungere l’Oceano Pacifico e rientrò nel 1520;
la VICTORIA fu l’unica a completare la circumnavigazione, nel 1522;
la Trinidad seguì una rotta diversa senza riuscire a circumnavigare il globo. Rientrò soltanto nel 1525.
Dei 234 tra soldati e marinai che formavano l'equipaggio iniziale soltanto 35 completarono la circumnavigazione: 18 sulla Victoria ed altri 17 che arrivarono in Europa su navi portoghesi, 12 originariamente imbarcati sulla Vittoria ma catturati durante una sosta nelle Isole Capo Verde, e 5 superstiti della Trinidad. La storia del viaggio è nota grazie agli appunti dell'uomo di fiducia (criado) di Magellano, il vicentino:
ANTONIO PIGAFETTA
Biografia
Imbarcatosi sulla nave ammiraglia TRINIDAD, si disse che inizialmente non fu bene accetto dal navigatore portoghese Ferdinando Magellano, ma che seppe tuttavia conquistarne gradualmente la stima, tanto da diventare il suo “criado” (attendente), ovvero il marinaio addetto al servizio del comandante, aiutandolo nello svolgimento delle sue funzioni all'interno della nave.
Come abbiamo accennato, si conosce molto poco della vita di Antonio Pigafetta. Di lui si sa che nacque a Vicenza intorno al 1485 e che morì a Malta nel 1536, combattendo contro i turchi.
Di nobile famiglia che si fregiava di uno stemma gentilizio con tre rose ed il motto scolpito in antico francese: "Il n'est rose sans espine", Antonio Pigafetta, dopo un duro tirocinio sulle navi dei Cavalieri di Rodi, nel 1519 si trovò a Barcellona al seguito di un'ambasceria pontificia con Chiericati per le cui raccomandazioni ottenne da Carlo V il permesso di prendere parte al viaggio di circumnavigazione che Magellano stava preparando e che salpò il 20 settembre 1519.
Durante l'esplorazione delle Filippine, il 27 aprile 1521, Magellano venne ucciso dagli indigeni dell'isola di Cebu. Negli scontri anche Pigafetta rimase ferito, ma ebbe più fortuna del suo Comandante e, alla sua morte, assunse ruoli di maggiore responsabilità nell'equipaggio, in particolare gestendo le relazioni con le popolazioni nelle quali si imbatterono. Tornato in patria, con gli altri diciassette superstiti della spedizione, dopo tre anni di navigazione, scrisse la:
"Relazione del primo viaggio intorno al mondo"
L'opera, oggi considerata uno dei più preziosi documenti sulle grandi scoperte geografiche del XVI secolo, incontrò molte difficoltà prima di essere pubblicata.
Nel suo diario Antonio Pigafetta dà il nome a numerose specie di piante, tra cui la palma "Pigafetta" (vedi foto) che ancora oggi ha il suo nome. Nel 1524 il navigatore entrò a far parte dei Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, prendendo i voti e, nel 1530, si recò a Malta, per allontanarsi dalla fama che il suo diario, terminato nel 1525 e diventato famoso per l'accuratezza dei dati riportati, gli aveva dato presso le corti di tutta l'Europa. Sembra che Antonio Pigafetta sia morto a Malta nel 1534 combattendo contro i Turchi.
LINK
http://www.isisalighieri.go.it/duca/biblioteca/pigafetta_viaggio.pdf
Un breve quanto utile “quadro storico”
Nel XVI secolo Venezia rappresentava il principale centro europeo per la raccolta e la diffusione a stampa delle notizie riguardanti la navigazione e i nuovi territori che si stavano scoprendo. Il Nuovo Mondo entrava nella coscienza degli europei e specialmente dei veneziani.
Tra questi si distinse il gruppo formato da Pietro Bembo, Gasparo Contarini,Gian Battista Ramusio, Nicolò Zen, Girolamo
Fracastoro e Giacomo Gastaldi. La Serenissima Repubblica di Venezia ha avuto nei secoli numerosi esploratori e navigatori, alcuni dei quali fecero scoperte fondamentali nella storia della geografia.
Gli esploratori e i navigatori veneti arrivarono in tutto il mondo, anche in Cile. Il più famoso, come abbiamo già visto, fu il nobile vicentino Antonio Pigafetta a giungervi per primo, al seguito di Ferdinando Magellano nel viaggio di circumnavigazione del globo terrestre (20 settembre 1519 – 6 settembre 1522).
In che modo Antonio Pigafetta trovò l’imbarco che lo rese celebre?
Nel 1519 Pigafetta era a Barcellona al seguito di Monsignor Chiericati, nominato ambasciatore della Santa Sede alla corte di Carlo I (futuro Imperatore del Sacro Romano Impero con il nome di Carlo V). Nella città spagnola chiese ed ottenne il permesso di partecipare alla spedizione di Magellano come membro dell’equipaggio.
Due carte giocarono a suo favore: la raccomandazione di Monsignor Chiericati – di cui Pigafetta seppe conquistare la fiducia divenendo il suo “criado sobre saliente”, uomo di fiducia, appunto, e il beneplacito del Re.
L’incontro fisico tra il Cile e la spedizione del portoghese Magellano, così come l’incontro intellettuale tra il Cile e Antonio Pigafetta, avvenne nel mese di novembre del 1520.
“Credo non sia al mondo el più bello e miglior stretto come è questo. In questo mar Oceano se vede una molto dilettevole caccia de pesci. Questo stretto è longo cento e dieci leghe, che sono 440 miglia, e largo più o manco de mezza lega, che va a riferire in un altro mare, chiamato Mar Pacifico, circondato da montagne altissime caricate de neve”.
ALBUN FOTOGRAFICO
Mappa antica dello stretto di Magellano - Artemare Club
Questo passaggio di mare ha permesso per la prima volta di circumnavigare la terra, evento importantissimo non solo per il mondo della navigazione ma anche per la storia dell’umanità e che segna per alcuni studiosi il vero inizio della globalizzazione. Lo stretto, è all'estremità dell'America Meridionale e divide questa dalla Terra del Fuoco e dalle isole Dawson, Clarence, Santa Inés e Desolación. Lungo circa 500 km. è assai tortuoso, probabilmente l'ultimo residuo di più numerosi ed estesi bracci di mare che in epoche geologiche passate congiungevano i due oceani.
Dello stretto taluno ha sostenuto, ma con poco fondamento, che si conoscesse l'esistenza anche prima del viaggio di Magellano che lo percorse dal 21 ottobre al 27 novembre 1520, si hanno solo documentazioni di un'altra quindicina di traversate nel sec. XVI, celebre quella di Francis Drake e qualche secolo dopo quella di Charles Darwin. Sulle coste, pochissimo abitate gli approdi sono scarsi, il maggiore è Punta Arenas e sulla costa sudamericana e quasi dirimpetto sulla Terra del Fuoco è Porvenir. Lo Stretto, su entrambe le coste, appartiene al Cile. Oggi la navigazione vi ha importanza solo per il traffico col Cile; ma per esso passa appena il 3% del tonnellaggio che fa capo ai porti cileni.
Lo stretto di Magellano continua ad alimentare lo spirito di avventura dei viaggiatori ed evoca un’epopea in uno dei luoghi più inesplorati dall’uomo e dalla scienza, ancora oggi, infatti, non si conosce molto della flora e della fauna sottomarina di questo territorio.
CASA PIGAFETTA – Vicenza
Questo splendido palazzo in stile gotico fiorito è famoso per essere stata la casa del vicentino Antonio Pigafetta (1492-1531), navigatore che accompagnò Ferdinando Magellano nel famoso viaggio in cui si compì per la prima volta la circumnavigazione della Terra.
Il palazzo fu costruito da Stefano da Ravenna attorno al 1440; alla fine del secolo, Matteo Pigafetta fece aggiungere il portale ligneo rinascimentale.
La bellezza dell'edificio è data dalla ricca decorazione a torciglioni e ad arabeschi attorno alle finestre trilobate; buona parte delle decorazioni sono realizzate in pietra di Nanto (o pietra di Vicenza). Sulla parte inferiore della facciata è scolpito il motto "il n’est rose sans espine", cioè "non c’è rosa senza spine".
Foto di Simonetta Pettazzi
Antonio Pigafetta
magnifico cavaliere del mare
intrepido compagno di Magellano
nel viaggio
di circumnavigazione del mondo
con gli scritti tramandava
alle remote età
memoria della più ardita impresa
che vela avesse fatto
fino al MDXXII
_______________
nel IV centenario
della meravigliosa audacia
comune e provincia
incidono questo ricordo
Statua di Antonio Pigafetta a Vicenza
Ricostruzione della Caracca VICTORIA
COS’ERA LA CARACCA?
La caracca (o nao, o nave) era un grande veliero con tre o quattro alberi verticali e albero di bompresso inclinato che venne sviluppato nel Mediterraneo durante il XV secolo. Molto probabilmente la caracca è stata ideata e progettata nei suoi tratti essenziali dai genovesi, che avevano sempre preferito usare, per i loro commerci, delle grosse navi a vela d'alto mare, a differenza dei veneziani che prediligevano le galee. Nei documenti genovesi la caracca è indicata col termine "nave" ("navis" in latino), mai col termine caracca. Il termine caracca deriva dall'italianizzazione dell'inglese "carrack" che era il termine con cui questi "giganti del mare" erano chiamati in nord Europa (le navi genovesi frequentavano infatti abitualmente i porti fiamminghi e dell'Inghilterra meridionale, destando - come sottolinea Heers in "Genova nel '400" - meraviglia per le loro grandi dimensioni).
Avevano perciò sempre usato imbarcazioni quali la navis romana prima, e poi la cocca o la nave tonda. A rafforzare questa teoria sta il secondo nome della caracca stessa, "nao", che in genovese significa, propriamente, "nave". La nao aveva una poppa alta e rotonda con castello di poppa (o cassero), castello di prua e bompresso a prora. Era fornita di un albero di trinchetto e di un albero di maestra a vele quadre e di un albero di mezzana a vele latine (dette anche triangolari) e talvolta un quarto albero detto di bonaventura, ma soprattutto mostrava una innovazione che anticipa (anche se molto lentamente e non dappertutto) la forma e la struttura del futuro galeone: la poppa piana e non rotonda cosa che invece caratterizza la cocca che era sempre tale anche quando armata con quattro alberi.
Le caracche furono le prime navi adatte alla navigazione oceanica in Europa, larghe a sufficienza per affrontare il mare grosso e abbastanza spaziose per portare provvigioni per lunghi viaggi. Erano le navi con le quali gli spagnoli e i portoghesi durante il XV secolo e XVI secolo esploravano il mondo. Questo tipo di veliero in spagnolo era chiamato carraca, mentre in portoghese nau (entrambi i termini significavano semplicemente "nave"). Nelle caracche da guerra il castello a prora era molto alto per sovrastare il ponte di coperta nemico e colpire o arrembare.
IL MUSEO NAO VICTORIA
Il Museo Nao Victoria si trova lungo le rive dello Stretto di Magellano, ed è una riproduzione a grandezza naturale della Victoria, una delle 5 navi della flotta di Magellano e la prima che circumnavigò il globo. La replica, ripropone la struttura originaria di una delle navi più famose della storia.
Si torna indietro nel tempo: è possibile salire sulla nave e provare ad immaginare le difficili condizioni in cui dovevano vivere i marinai. Dal ponte, si vede lo Stretto e si ha la sensazione di navigarlo. Si sente il vento forte, si vedono le nuvole cariche di temporali all’orizzonte e si percepisce il senso di desolazione che 500 anni fa provarono Magellano e i suoi uomini.
Museo della Patagonia – Riproduzione della nao (nave) VICTORIA
La nao Victoria, con le sue 85 tonnellate di stazza (85 toneladas spagnole da 1340 kg, cioè circa 113-115tonnellate metriche) era la quarta per dimensione della flotta di cinque partita da Sanlucar il 10 agosto 1519. Era comandata da Juan Sebastian de Elcano ed aveva 42 uomini di equipaggio. Le altre quattro navi erano la caravella Trinidad e le caracche San Antonio, la Concepción e la Santiago.
Riassumendo, la flottiglia era così composta:
· Trinidad, 130 tonnellate, 55 uomini, comandante: Ferdinando Magellano
· San Antonio, 130 tonnellate, 60 uomini, comandante: Juan de Cartagena
· Concepción, 90 tonnellate, 45 uomini, comandante: Gaspar de Quesada
· VICTORIA, 90 tonnellate, 42 uomini, comandante: Luis de Mendoza
· Santiago, 60 tonnellate, 32 uomini, comandante: Giovanni Serrano
Tra i 234 uomini della spedizione figurarono 170 spagnoli, 40 portoghesi, 20 italiani e quattro interpreti africani ed asiatici. Le provviste erano formate da 7240 kg di pane biscottato, 194 kg di carne essiccata, 163 kg di olio, 381 kg di formaggio, 200 barili di sarde salate e 2.856 pesci essiccati.
19/01/2021
Il busto di Antonio Pigafetta esposto alla scuola navale di Valparaiso in Cile
Il busto di Antonio Pigafetta, donato al Cile dal Comune di Vicenza e dall'associazione Pigafetta 500, con la collaborazione del Consolato onorario del Cile e dell'associazione Veneti nel mondo, è esposto da qualche giorno alla scuola navale Arturo Prat di Valparaiso. L'arrivo del busto nella prestigiosa sede è stata l'occasione per una breve cerimonia nel corso della quale sono stati sottolineati il fondamentale ruolo del navigatore vicentino nella spedizione di Magellano e il legame stretto con Vicenza grazie alle celebrazioni per i 500 anni dalla storica impresa. Il busto resterà a Valparaiso fino a quando l'evoluzione della pandemia non consentirà di collocarlo nella sua destinazione definitiva: la piazza di Punta Arenas che già ospita la statua di Magellano. Fedele riproduzione di quello in bronzo inserito nel monumento di Campo Marzo, il busto era partito da Vicenza alla volta di Roma il 22 settembre scorso, a bordo di una FIAT 500 brandizzata, offerta dal concessionario De Bona Motors. L'aveva accompagnato una delegazione vicentina composta dal consigliere comunale delegato alle celebrazioni Valter Casarotto, dal console del Cile a Vicenza, Aldo Rozzi Marin, e dal presidente dell'associazione Pigafetta 500, Stefano Soprana. Dopo la cerimonia all'Ambasciata del Cile a Roma, il busto era stato trasferito in Cile da dove, in occasione di una videoconferenza con il sindaco Francesco Rucco, il sindaco di Punta Arenas Claudio Radonich, l'ambasciatore del Cile in Italia Sergio Romero, il contrammiraglio della Marina militare del Cile Victor Zanelli, avevano ringraziato la città iberica per il dono ricevuto che resterà a memoria dello storico anniversario. In occasione della cerimonia per la collocazione del busto alla scuola navale "Arturo Prat" di Valparaiso, è stato letto un messaggio di amicizia del presidente dell'associazione Pigafetta 500, Stefano Soprana. L'importanza del navigatore e scrittore vicentino per il Cile è stata quindi ricordata dal comandante in capo della Marina militare cilena, ammiraglio Julio Leiva, e dal contrammiraglio Victor Zanelli, alla presenza dell'ambasciatore d'Italia in Cile, Mauro Batocchi, del presidente della Corporazione marittima cilena, ammiraglio Rodolfo Codina, del capo di stato maggiore della Marina militare, vice ammiraglio Juan Andrés De la Maza, e del segretario generale della Marina militare, contrammiraglio Raúl Zamorano.
Fonte: articoli giornali, Com.te Erani Andreatta
Nel secondo Articolo (Fabio Pozzo) - Nella 5a e 6a colonna sono riportati tutti i nomi dei nostri connazionali: 28 distribuiti sulle 5 navi della Spedizione.
FONTI DELL'AUTORE:
IL TRATTATO DI TORDESILLAS di Carlo GATTI
STRETTO DI MAGELLANO di Carlo GATTI
COCCA, CARAVELLA E CARACCA di Carlo GATTI
Carlo GATTI
Rapallo, 12 Maggio 2021
LUNA ROSSA - UN SOGNO INFRANTO
LUNA ROSSA
UN SOGNO INFRANTO
I VUOTI DI VENTO
HANNO CONDIZIONATO LA COMPETIZIONE?
Questa “novità” ha sbalordito tutti i competenti e non, appassionati e naturalmente anche i VELISTI PER CASO come noi che non avevano fatto i conti con il dispettoso EOLO che ha voluto far capire agli uomini di mare, ancora una volta, se ce n’era bisogno, che l’orchestra la dirige solo lui... e premia specialmente i locali che lo sanno “corteggiare” meglio dei foresti!
Pertanto credo che dall’alto sia arrivato un non troppo velato monito contro gli uomini scientifici dei due Team che avevano alzato troppo la cresta e andavano ridimensionati!
Naturalmente tra non molto sarà inventato anche lo strumento in grado di INDIVIDUARE ED EVITARE i VUOTI DI VENTO ….e vedremo quale sarà la risposta di EOLO…
Per il momento si è visto che le due barche finaliste, nei buchi di vento, con lo scafo senza carena che hanno sotto i piedi, non sono navigabili! E questo é un fatto poco marinaro da qualsiasi punto di vista lo si voglia guardare e, personalmente, da uomo di mare ho provato una specie di “delusione” che mi ha fatto rimpiangere gli scafi marini di AZZURRA, IL MORO DI VENEZIA, ORACLE ecc...
Da uomo di mare, non da velista, mi è rimasto un dubbio da sciogliere.
Ho sentito e letto che il TEAM azzurro - PRADA, nel suo rivoluzionario modo di costruire LUNA ROSSA insieme al brain trust del Cantiere Persico (Bergamo) che sta spopolando nel mondo velico, avrebbe anche INVENTATO la formula del doppio TIMONIERE/skipper/comandante, uno per lato in regata. Formula che non é stata, per esempio, applicata da New Zealand.
A quelle velocità “pazzesche” le decisioni devono essere rapidissime e debbono essere prese, quasi istintivamente, da uno solo - il MIGLIORE!
Evidentemente non ho alcun titolo per dare giudizi di merito, ma ho la sottile sensazione che proprio quello sia stato il punctum dolens per l’avventura neozelandese della nostra spedizione australe.
Da nessuna parte mi è giunto alcunché di negativo su detta formula… ma io credo nella mia esperienza di 35 anni di manovre di navi nel vento ed anche, perché no, nella saggezza dei vecchi proverbi marinari …
- Bandiera vecchia onore di Capitano (non di due…)-
Bandëa vegia onô do Capitànio
- Barca carica regge il vento.
Barco carrigòu o reze ô vento.
- Chi impugna la barra, governa il timone.
Chi manezza a manoela, manezza o timon.
E soprattutto:
- Due a comandare, barca sugli scogli.
Duì Capitanni, barco in tu schêuggi.
Per non cadere in altri eventuali errori di valutazione tecnica, mi astengo dal proseguire … e mi limito a riportare alcuni interessanti commenti dei principali personaggi che abbiamo imparato a conoscere in questo emozionante periodo.
La vigila dell’ultima gara in programma:
Lo skipper Max Sirena ha analizzato la situazione ai microfoni della Rai:
“È stata una regata bella, forse una delle più belle degli ultimi 15-20 anni, contro un team fortissimo. Alla fine nello sport conta vincere e quindi ci lascia un po’ di amaro in bocca, perché per l’ennesima volta i ragazzi sono stati bravissimi, sono partiti bene, hanno controllato la regata, poi purtroppo… A me non piace parlare di sfortuna, però non prendiamo mai l’ultimo salto di vento. Purtroppo noi, l’80%-90% delle volte facciamo delle decisioni giuste, sbagliamo pochissime volte, mentre i Kiwi possono permettersi di sbagliare la maggior parte delle volte. Il problema è che hanno una barca che permette di compensare gli errori che fanno. Partono sempre dietro e riescono ad arrivare davanti. Come ha detto Checco (Bruni, ndr) è come cercare di affogare un pesce in acqua, è tosta. Sono contento, abbiamo dato spettacolo contro uno dei team di New Zealand più forti di sempre. Il morale è alto, abbiamo regatato bene, siamo ancora stravivi e nello sport può succedere di tutto, noi ci crediamo ancora: domani andremo in mare per batterli, lo abbiamo già fatto e possiamo farlo ancora“.
Max Sirena lucido. “New Zealand è più veloce e può sbagliare, noi no”
Ogni minimo nostro errore equivale a dieci dei loro
Perché:
- Loro sono POCO più veloci di noi ed hanno sbagliato di meno
- Eravamo più forti nelle virate alle boe ma loro sono stati bravi a capire il rimedio necessario affondando meno il foil…
- Il resto lo ha deciso EOLO che nel golfo di Hauracki ha deciso da ormai 30 anni per chi tenere…
- La fortuna non è stata dalla nostra parte
: "Sbagliamo poco, ma alla fine vince New Zealand"
Max Sirena: "Sbagliamo poco, ma alla fine vince New Zealand"
Lo skipper di Luna Rossa: "Sfida spettacolare, ma loro hanno una barca che compensa gli errori"
DA 30 ANNI Emirates Team New Zealand E’ SULLA CRESTA DELL’ONDA nella vela mondiale
America's Cup, niente da fare per Luna Rossa: il trofeo rimane in Nuova Zelanda - Luna Rossa non ce l’ha fatta, la Coppa America resta in Nuova Zelanda. 7 a 3 il punteggio finale che consente ai Kiwi di festeggiare la difesa della 36 esima America’s Cup. –
E’ stata una bellissima avventura. Abbiamo tifato, ci siamo illusi e poi amareggiati, ma alla fine nello sport c’è sempre un vincitore e in questo Trofeo antico di 170 anni, com’è noto, non c’è neppure un secondo classificato. Luna Rossa ha fatto tutto quello che poteva davanti a un avversario che aveva una marcia in più. Non nell’organizzazione e neppure nella qualità dell’equipaggio, che anzi ha dato prova di grandi capacità, forse persino superiore ai maghi neozelandesi, ma nella velocità della barca. In Coppa America, alla fine, vince sempre quella più veloce e Team New Zealand lo è. Per dimostrarlo, però, ha dovuto soffrire e lottare anche lei, perché nonostante questo Luna Rossa l’ha spesso messa alle corde, approfittando di una qualità di conduzione e di un rodaggio di regate che il Defender non aveva e che ha poi compiuto strada facendo e velocemente, fino alla vittoria. Del resto è al Defender che spetta dettare le regole di progettazione e realizzazione delle barche ed è evidente che nel momento in cui lo fa ha già studiato il progetto e le sue possibili evoluzioni. Ha dunque un vantaggio sancito dai regolamenti, che gli altri devono solo far proprio. E qui i neozelandesi hanno probabilmente messo le basi della loro difesa, realizzando delle ali più piccole e per questo meno frenanti sull’acqua rispetto agli sfidanti, e persino regolabili a seconda delle necessità. Come se in Formula 1 un’auto potesse variare la geometria degli alettoni in base alla velocità e alle curve. Ciononostante Luna Rossa l’ha tenuta spesso dietro e ora possiamo dirlo, con un po’ di fortuna in più - che ai kiwi non è mancata - e anche un maggiore cinismo, avrebbe potuto davvero cambiare le sorti della partita e adesso parleremmo d’altro. Resta da vedere cosa sarà ora di Luna Rossa, se questo bagaglio di esperienza, qualità e capacità, continuerà a essere sviluppato e messo a frutto con una nuova campagna tra quattro anni o meno. Per ora il Patron Prada, Patrizio Bertelli, con le sue 6 sfide lanciate è il miglior perdente di sempre
. Ma la ruggine si sa, non muore mai e come ha già confessato per lui la Coppa finisce solo quando l’hai conquistata.
GIORNALE DELLA VELA
La Coppa America resta nella bacheca del New Zealand Yacht Squadron,
vince 7-3 su
La barca italiana ne esce a testa alta, dopo avere portato avanti una sfida che l'ha vista arrivare dove nessun team tricolore si era spinto.
Ma questa è la vittoria della generazione di giovani fenomeni kiwi: Peter Burling (classe 1991), Blair Tuke (1990), Josh Junior (1990), Andy Maloney (1991), la giovane ingegnere delle performance Elise Beavis (1994). Un gruppo di ragazzi che bissano la vittoria della Coppa del 2017. Onore a loro.
Emirates Team New Zealand è il vincitore della edizione numero 36 della America’s Cup presented by PRADA. In una giornata di grande spettacolo ha battuto per la settima volta Luna Rossa Prada Pirelli, che ha combattuto fino alla fine per non arrendersi. “E’ stata una fantastica esperienza, voglio congratularmi con Team New Zealand, hanno fatto un lavoro fantastico. Congratulazioni anche a Luna Rossa, un team fantastico: abbiamo provato al mondo che potevamo farcela"....
America’s Cup, James Spithill: “I Kiwi erano troppo forti. Spero di esserci ancora con Luna Rossa”
Luna Rossa non è riuscita nell’impresa di conquistare la America’s Cup. L’equipaggio italiano ha tenuto botta contro Team New Zealand fino al 3-3, poi alcuni errori e la proverbiale velocità di Te Rehutai hanno indirizzato la contesa andata in scena nella baia di Auckland. Team Prada Pirelli torna a casa sconfitta per 7-3 e i Kiwi difendono il trofeo sportivo più antico del mondo. Peter Burling e compagni mettono le mani sulla Vecchia Brocca per la quarta volta nella storia del sodalizio neozelandese (i sigilli precedenti arrivarono nel 1995, 2000, 2017), mente l’equipaggio italiano torna purtroppo a casa a mani vuote.
James Spithill, co-timoniere di Luna Rossa insieme a Francesco Bruni, non riesce nella clamorosa rimonta da 3-6 e non ha potuto replicare quanto fatto nel 2013, quando recuperò da 1-8 al timone di Oracle proprio contro i Kiwi. L’australiano ha rilasciato alcune dichiarazioni attraverso i canali ufficiali della formazione tricolore: “Ovviamente non è il risultato che volevamo, oggi siamo andati lì per provare a vincere una gara e per tornare in competizione, ma alla fine della giornata Emirates Team New Zealand era semplicemente troppo forte. A volte sembrava davvero di andare in uno scontro a fuoco armati solo di coltello, abbiamo combattuto più che potevamo ogni giorno. Sono molto orgoglioso del team, sono molto grato a tutti i fan, ai nostri sostenitori, ai nostri familiari, a tutte le persone in Italia”.
Carlo GATTI
Rapallo, 18 Marzo 2021
IL NAUFRAGIO DELLA NAVE FLUVIALE “AMERICA” (24/12/1871)
IL NAUFRAGIO DELLA NAVE FLUVIALE “AMERICA”
(24/12/1871)
121 FURONO LE VITTIME
Una Storia con molti cognomi genovesi
Tra cui un vero eroe da ricordare
Questo tragico racconto del Naufragio dell’AMERICA, é scarso di dettagli e di cronache, sono passati 150 anni da quella tragica notte, ed anche una ricostruzione parziale ed ipotetica dell’avvenimento diventa impossibile. Purtroppo, in mancanza di testimonianze e prove evidenti, non rimane altro che “ricordare per non dimenticare” il tristissimo EVENTO di quelle povere vittime che perirono nel terrore di una notte buia, all’improvviso, nelle difficoltà che possiamo solo immaginare del loro eventuale recupero e salvataggio che ci fu, ma solo in forma molto limitata.
Le cause di questi tragici incidenti sono quasi sempre attribuite ad errori umani, avarie alle macchine, scarsa manutenzione e, all’epoca anche alla mancanza di norme di sicurezza tipo: lo scarso numero di lance di salvataggio. Ed infine, fu complice anche la brevità del percorso: 115 miglia nautiche che, ad una stimabile velocità di 10/11 nodi, poteva essere coperta in una decina di ore di navigazione fluviale tra due sponde non lontane tra loro: una crociera si direbbe oggi, un’evasione romantica in vista della Chistmas Eve (Vigilia di Natale).
Le cronache dell’epoca riportano dichiarazioni confuse e sotto shock dei superstiti, dei “sentito dire” e forse più pettegolezzi dei giornalisti, che prove reali non sono mai, tra cui l’ipotesi che vi fosse in corso una scommessa tra i comandanti della AMERICA e della VILLA DEL SALTO su chi sarebbe arrivato per PRIMO all’ormeggio. Pare che fossero partiti nello stesso momento da Buenos Aires per Montevideo.
Non si sa come siano andate veramente le cose, ma sulla AMERICA partì probabilmente l’ordine di forzare l’andatura delle macchine con evidenti salti di pressione delle caldaie con conseguente esplosione di tubi che avrebbero provocato e diffuso l’incendio a bordo in pochissimo tempo.
Come sanno tutti i naviganti, e come sappiamo anche dalla storia di molti naufragi navali, nulla è più pericoloso dell’incendio a bordo, a causa della sua velocità di propagazione, delle alte temperature che esso può raggiungere, in particolare sulle navi d’epoca completamente arredate con materiale infiammabile. A bordo, tutte queste reazioni a catena provocano panico e comportamenti irrazionali da parte dei passeggeri, ma anche dell’equipaggio che non riesce a gestire l’emergenza.
C’è inoltre da aggiungere che se l’incendio e la conseguente esplosione si verificano su un fiume e di notte, la libertà di manovra del Comandante è anche ridotta per la presenza di altre imbarcazioni in navigazione in spazi ristretti, non solo, ma la gestione della manovra nel dover posizionare la nave nel modo corretto rispetto al vento può essere problematico oltre che drammatico.
Dalle foto, dai disegni e dalle impressioni pittoriche pubblicate all’epoca del disastro, si hanno immagini contrastanti con la nave che prende il vento al traverso, in altre sarebbe invece investita dal fuoco alimentato dal vento per tutta la sua lunghezza.
A questo punto non mi rimane che riportare integralmente l’unica testimonianza scritta, breve ma molto intensa, che mi sono permesso di tradurre e rivedere secondo il nostro linguaggio marinaro! Me ne scuso, ovviamente!
In questa commovente storia, emerge la figura di un eroe italiano:
Luis Viale, il cui gesto é assolutamente da ricordare e da tramandare ai posteri!
Rio de la Plata - La notte del 24 dicembre 1871, sulla rotta tra Buenos Aires e Montevideo, si verificò una tragedia che costò la vita a 121 persone lasciando sulla propria scia anche una morte eroica, quella del cittadino italiano LUIS VIALE, che decise di sacrificare la propria vita per salvare la vita di una giovane donna incinta. Quella notte, alle 2 del mattino, il piroscafo "America" era in navigazione tra i porti di Buenos Aires e Montevideo.
L' "America", costruita a Boston, era un piroscafo a pale, dalle linee moderne ed aggraziate, molto simile a quelle più note nella pubblicità navale che viaggiano lungo il Mississippi in Nord America; quella notte era accompagnata dalla nave similare Villa del Salto, noleggiata per l'occasione, a causa della grande richiesta di passeggeri che quel viaggio aveva avuto.
Entrambe le navi erano partite dal porto di Buenos Aires la notte del 23 dicembre e la America aveva a bordo poco meno di 200 persone, tra equipaggio e passeggeri. Alcuni di questi ultimi si erano imbarcati con l'intenzione di trascorrere le festività di fine anno a Montevideo, ma la maggioranza apparteneva a famiglie "benestanti" in fuga dalla terribile epidemia di febbre gialla che quell'estate aveva colpito Buenos Aires e, tra loro, c'erano gli sposi Augusto Marco Del Pont e sua moglie Carmen, incinta, che viaggiavano insieme ad un amico della coppia, un ricco mercante italiano di nome Luis Viale, uno dei fondatori della Banca d'Italia e dell'Ospedale Italiano di Buenos Aires.
Il capitano della America era una garanzia per la sicurezza della nave e dei passeggeri. Si chiamava Bartolomeo Bossi un genovese di cinquantadue anni, che si era stabilito a Buenos Aires sin da giovanissimo. Aveva un cantiere navale a La Boca e nel 1859 comandò il piroscafo Pampero, che fece anche la "linea" tra Buenos Aires e Montevideo. Esplorò il Paraná, l'Uruguay, nel 1860 il Mato Grosso e dopo il 1873 i canali Fuegian e la costa cilena, pubblicando diversi libri sull'argomento.
Quella sera a bordo si ballava, e quando tutti si ritirarono per andare a riposare, il capitano BOSSI decise di raggiungere la Villa del Salto per vincere una scommessa su chi sarebbe arrivato per primo a Montevideo. Ordinò di dare la massima pressione alle caldaie, ma queste non riuscirono a sopportare lo sforzo, esplose provocando un feroce incendio che si diffuse rapidamente su tutta la nave.
In mezzo a scene di panico, il vapore iniziò ad affondare e mentre l'equipaggio e i passeggeri lottavano per un posto in una delle uniche due barche che c'erano, molti si gettarono in acqua con i giubbotti di salvataggio. LUIS VIALE, che già indossava il suo, si tuffò in acqua ritrovandosi in mezzo alle onde con gli amici Marco del Pont e la moglie Carmen. Senza esitazione, le offerse il suo salvagente, dicendole: "Sei giovane e hai un'altra vita da salvare". Pochi minuti dopo, il marito di Carmen e il suo soccorritore scomparvero tra le onde.
E sebbene la nave "Villa del Salto" abbia fatto marcia indietro e sia riuscita a salvare 70 sopravvissuti, tra cui Carmen Marco del Pont, 121 persone, tra passeggeri ed equipaggio, perirono annegando tra le fiamme..
Questa tragedia causò grande costernazione a Buenos Aires, molti vittime erano residenti della città. Nel 1928, un gruppo di residenti italiani raccolse fondi per erigere una statua di Luís Viale, simbolo di eroismo e solidarietà, e oggi la si può vedere sulla Costanera Sur, mentre guarda il mare che lo porta via”.
IMPRESSIONI PITTORICHE DEL NAUFRAGIO
CARLO GATTI
Rapallo, Martedì 16 Febbraio 2021
NAVI E STELLE
NAVI E STELLE
Tipo di astro |
Costellazione |
Nome |
Tipo di nave |
Dal |
Al |
MOTTO, traduzione e note |
|
Costellazione |
ANDROMEDA |
Andromeda |
Torpediniera |
1936 |
1941 |
|
|
Costellazione |
ANDROMEDA |
Andromeda |
Avviso scorta |
1943 |
1971 |
Marina USA, come Caccia di scorta, dal 1943 al 1951 con il nome di Wesson |
|
Stella |
AQUILA |
Altair |
Torpediniera |
1936 |
1941 |
|
|
Stella |
AQUILA |
Altair |
Avviso scorta |
1943 |
1971 |
Appartenuta alla Marina USA dal 1943 al 1951, come Caccia di scorta, Gandy |
|
Costellazione |
AQUILA |
Aquila |
Avviso a ruote |
1840 |
1875 |
|
|
Costellazione |
AQUILA |
Aquila |
Torpediniere avviso |
1888 |
1912 |
|
|
Costellazione |
AQUILA |
Aquila |
Esploratore leggero |
1914 |
1939 |
ALARUM VERBERA NOSCE Paventa l'impeto delle mie ali |
|
Costellazione |
AQUILA |
Aquila |
Portaerei |
1941 |
1945 |
( Ex transatlantico Roma ) |
|
Costellazione |
AQUILA |
Aquila |
Corvetta |
1961 |
1991 |
ALARUM VERBERA NOSCE Paventa l'impeto delle mie ali |
|
Costellazione |
ARIES |
Ariete |
Torpediniera |
1943 |
1949 |
MAGIS TENACIA QUAM CORNIBUS EVERTO Distruggo di più con la tenacia che con l'impeto |
|
Stella |
CANIS MAJOR |
Sirio |
Torpediniera d’alto mare |
1905 |
1923 |
SIDUS VIGILANS Stella vigilante Sirio: occhio del Cane che veglia sopra il limitar di Dio! |
|
Stella |
CANIS MAJOR |
Sirio |
Pattugliatore d’altura |
2003 |
|
|
|
Stella |
CANIS MINOR |
Procione |
Torpediniera d'alto mare |
1906 |
1924 |
CAVE CANEM Attenti al cane |
|
Stella |
CANIS MINOR |
Procione |
Avviso scorta |
1936 |
1943 |
|
|
Personaggio |
CAPRICORNUS |
Ibis |
Corvetta cacciasommergibili |
1943 |
1971 |
IBIS, REDIBIS, NON MORIERIS IN BELLO Andrai, ritornerai, non morirai in guerra |
|
Stella |
CARINA |
Canopo |
Torpediniera d’alto mare |
1907 |
1923 |
|
|
Stella |
CARINA |
Canopo |
Torpediniera |
1937 |
1941 |
|
|
Stella |
CARINA |
Canopo |
Avviso scorta |
1952 |
1981 |
CON ARDIRE E CON TENACIA |
|
Costellazione |
CASSIOPEIA |
Cassiopea |
Corvetta |
1937 |
1959 |
|
|
Costellazione |
CASSIOPEIA |
Cassiopea |
Pattugliatore d’altura |
1989 |
2023 |
ADSUM Sono presente… ( sottinteso : Sono presente ovunque vi sia da combattere ) |
|
Costellazione |
CENTAURUS |
Centauro |
Torpediniera d’alto mare |
1907 |
1922 |
NON E' MAI TARDI PER ANDAR PIU' OLTRE tratto “La Nave” D'Annunzio |
|
Costellazione |
CENTAURUS |
Centauro |
Torpediniera |
1936 |
1943 |
|
|
Costellazione |
CENTAURUS |
Centauro |
Avviso scorta |
1952 |
1984 |
FERREA MOLE FERREO CUORE Motto Div. Centauro donato bandiera comb. |
|
Costellazione |
CENTAURUS |
Chirone |
Rimorchiatore d’alto mare |
1942 |
1987 |
Centauro Chirone : mitico personaggio, metà uomo e metà cavallo |
|
Costellazione |
CETUS |
Balena |
Rimorchiatore |
1911 |
1943 |
|
|
Costellazione |
COMA BERENICES |
Berenice |
Corvetta |
1942 |
1943 |
|
|
Stella |
CORONA BOREALIS |
Gemma |
Sommergibile |
1936 |
1940 |
|
|
Costellazione |
CYGNUS |
Cigno |
Torpediniera |
1937 |
1943 |
|
|
Costellazione |
CYGNUS |
Cigno |
Avviso scorta |
1957 |
1983 |
PRIMUS IN ACIE Primo nel combattimento |
|
Costellazione |
DELPHINUS |
Anfitrite |
Sommergibile |
1934 |
1941 |
Il Delfino, convinse Anfitrite a seguirlo nella dimora sottomarina di Poseidone |
|
Costellazione |
DELPHINUS |
Delfino |
Sommergibile |
1892 |
1919 |
|
|
Costellazione |
DELPHINUS |
Delfino |
Sommergibile |
1931 |
1943 |
SUBSUM SED SUPERIS OBSUM Sto sotto ma nuoccio a chi sta sopra |
|
Personaggio |
ERIDANUS |
Climene |
Torpediniera |
1936 |
1943 |
Fetonte ( significa Radioso) era il figlio mortale del Dio Sole e della oceanina Climene |
|
Costellazione |
ERIDANUS |
Eridano |
Nave idrografica |
1895 |
1907 |
|
|
Costellazione |
ERIDANUS |
Eridano |
Cisterna per acqua |
1910 |
1937 |
|
|
Stella |
GEMINI |
Castore |
Torpediniera |
1888 |
1925 |
|
|
Stella |
GEMINI |
Castore |
Torpediniera |
1937 |
1943 |
|
|
Stella |
GEMINI |
Castore |
Avviso scorta |
1955 |
1980 |
ARDISCO AD OGNI IMPRESA |
|
Stella |
GEMINI |
Polluce |
Torpediniera |
1888 |
1911 |
|
|
Stella |
GEMINI |
Polluce |
Torpediniera |
1937 |
1942 |
|
|
Costellazione |
GRU |
Gru |
Corvetta cacciasommergibili |
1942 |
1971 |
TIMEO SED TIMOREM Non temo che la paura |
|
Costellazione |
HERCULES |
Ercole |
Pirofregata II rango a ruote |
1841 |
1875 |
Dal 1841 al 1861, appartenente alla Marina del Regno delle Due Sicilie |
|
Costellazione |
HERCULES |
Ercole |
Rimorchiatore |
1944 |
1989 |
|
|
Costellazione |
HERCULES |
Ercole |
Rimorchiatore costiero |
2002 |
|
Acquisito dalla MMI nel 2014 |
|
Costellazione |
LEO |
Leone |
Esploratore leggero |
1921 |
1941 |
QUIA SUM LEO Perché sono il Leone |
|
Costellazione |
LIBRA |
Libra |
Torpediniera |
1938 |
1964 |
|
|
Costellazione |
LIBRA |
Libra |
Pattugliatore d’altura |
1989 |
2023 |
PATIENS VIGIL AUDAX Paziente, vigilante, audace |
|
Costellazione |
LINX |
Lince |
Esploratore leggero |
1921 |
1921 |
|
|
Costellazione |
LINX |
Lince |
Torpediniera |
1938 |
1943 |
|
|
Costellazione |
LUPUS |
Lupo |
Torpediniera |
1938 |
1942 |
FULMINEO SULLA PREDA |
|
Costellazione |
LUPUS |
Lupo |
Fregata |
1977 |
2003 |
FULMINEO SULLA PREDA |
|
Costellazione |
LYRA |
Lira |
Torpediniera |
1938 |
1944 |
Appartenente alla Kriegsmarine ( Marina Militare Tedesca ) dal 1943 al 1944 |
|
Stella |
LYRA |
Vega |
Torpediniera |
1936 |
1941 |
NON NISI IN OBSCURA SIDERA NOCTE MICANT Le stelle non brillano soltanto in una notte oscura |
|
Stella |
LYRA |
Vega |
Pattugliatore d’altura |
1990 |
2022 |
SEMPRE E OVUNQUE |
|
Costellazione |
MUSCA |
Mosca |
Torpediniera da costa |
1882 |
1898 |
|
|
Costellazione |
ORION |
Orione |
Torpediniera d’alto mare |
1907 |
1923 |
SPLENDORE IN CIELO GLORIA IN MARE |
|
Costellazione |
ORION |
Orione |
Avviso scorta |
1937 |
1964 |
SPLENDORE IN CIELO GLORIA IN MARE |
|
Costellazione |
PEGASUS |
Pegaso |
Torpediniera d’alto mare |
1905 |
1923 |
|
|
Costellazione |
PEGASUS |
Pegaso |
Avviso scorta |
1936 |
1965 |
|
|
Personaggio |
PERSEUS |
Medusa |
Sommergibile |
1911 |
1915 |
La celebre Gorgona Medusa era l’unica delle tre Gorgoni a non essere mmortale |
|
Personaggio |
PERSEUS |
Medusa |
Sommergibile |
1931 |
1942 |
|
|
Costellazione |
PERSEUS |
Perseo |
Torpediniera d'alto mare |
1906 |
1917 |
VINCERA' CHI VORRA' VINCERE |
|
Costellazione |
PERSEUS |
Perseo |
Torpediniera |
1936 |
1943 |
VINCERA' CHI VORRA' VINCERE |
|
Costellazione |
PERSEUS |
Perseo |
Fregata |
1980 |
2005 |
VINCERA' CHI VORRA' VINCERE |
|
Costellazione |
PHOENIX |
Fenice |
Corvetta cacciasommergibili |
1943 |
1965 |
RESURGIT Risorge |
|
Costellazione |
PHOENIX |
Fenice |
Corvetta |
1990 |
Serv |
RESURGIT Risorge |
|
Costellazione |
SAGITTA |
Freccia |
Cacciatorpediniere |
1899 |
1911 |
|
|
Costellazione |
SAGITTA |
Freccia |
Cacciatorpediniere |
1929 |
1943 |
DELIBERATA DI TOCCARE IL SEGNO |
|
Costellazione |
SAGITTA |
Freccia |
Motocannoniera |
1965 |
1985 |
|
|
Costellazione |
SAGITTA |
Saetta |
Motocannoniera |
1966 |
1986 |
|
|
Costellazione |
SAGITTARIUS |
Sagittario |
Torpediniera d'alto mare |
1905 |
1923 |
NON COHIBETUR SAGITTA La mia freccia non sia trattenuta |
|
Costellazione |
SAGITTARIUS |
Sagittario |
Fregata |
1978 |
2005 |
NON COHIBETUR SAGITTA La mia freccia non sia trattenuta |
|
Stella |
SCORPIUS |
Antares |
Torpediniera |
1936 |
1943 |
|
|
Costellazione |
SERPENS |
Serpente |
Torpediniera d'alto mare |
1906 |
1916 |
VAFER REPENTE LETIFER Astuto, rapido e letale |
|
Costellazione |
SERPENS |
Serpente |
Somm. piccola crociera |
1932 |
1943 |
INSIDIARUM EXPERIENS Intraprendente nelle insidie |
|
Personaggio |
SEXTANS |
Urania |
Incrociatore torpediniere |
1889 |
1921 |
|
|
Personaggio |
SEXTANS |
Urania |
Corvetta cacciasommergibili |
1942 |
1971 |
|
|
Stella |
TAURUS |
Alcione |
Torpediniera |
1938 |
1941 |
|
|
Stella |
TAURUS |
Alcione |
Corvetta antisom |
1953 |
1992 |
NIHIL ME DEFLECTIT Niente mi distoglie |
|
Stella |
TAURUS |
Aldebaran |
Torpediniera |
1936 |
1941 |
|
|
Stella |
TAURUS |
Aldebaran |
Avviso scorta |
1943 |
1975 |
Appartenuta alla Marina USA dal 1943 al 1951, Caccia di scorta, nome Thornill |
|
Stella |
TAURUS |
Atlante |
Rimorchiatore |
1927 |
1968 |
Atlante è una stella dell’Ammasso delle Pleiadi della costellazione TAURUS |
|
Stella |
TAURUS |
Atlante |
Rimorchiatore d’altura |
1978 |
|
Atlante è una stella dell’Ammasso delle Pleiadi della costellazione TAURUS |
|
Stella |
TAURUS |
Elettra |
Unità Polivalente di Supporto |
2003 |
Serv |
Anima i silenzi aerei |
|
Ammasso |
TAURUS |
Pleiadi |
Torpediniera |
1938 |
1941 |
|
|
Stella |
TAURUS |
Sterope |
Cisterna per nafta |
1939 |
1947 |
Sterope è una stella dell’Ammasso delle Pleiadi della costellazione TAURUS |
|
Stella |
TAURUS |
Sterope |
Nave logistica di squadra |
1944 |
1977 |
Appartenuta dal 1944 al 1959 alla Marina USA con il nome di FORBES ROAD ( dal 1944 al 1947 ) e di Enrico Insom ( dal 1947 al 1959 ) |
|
Costellazione |
URSA MAIOR |
Orsa |
Avviso scorta |
1936 |
1943 |
|
|
Costellazione |
URSA MAIOR |
Orsa |
Fregata |
1980 |
2003 |
FORTITUDINE FORTIOR Più forte della forza |
|
Costellazione |
URSA MAIOR |
Orsa Maggiore |
Yacht |
1994 |
Serv |
Ad maiora duco |
|
Personaggio |
URSA MINOR |
Aretusa |
Incrociatore torpediniere |
1889 |
1912 |
Nella mitologia greca, le sette stelle dell’Orsa MinoreAretusa, Estia, Espera, Esperusa ed Esperia erano le Esperidi: Egle, Eritea, |
|
Personaggio |
URSA MINOR |
Aretusa |
Torpediniera |
1938 |
1958 |
|
|
Personaggio |
URSA MINOR |
Aretusa |
Nave idro – oceanografica |
1999 |
Serv |
ARETHUSA UNDIS PROSPICIT Aretusa guarda avanti |
|
Stella |
URSA MINOR |
Stella Polare |
Nave da trasporto |
1883 |
1911 |
|
|
Stella |
URSA MINOR |
Stella Polare |
Yacht |
1965 |
Serv |
Cantieri Navali Sangermani di Lavagna Ex vento vis in viris fortitudo |
|
Stella |
VIRGO |
Spica |
Torpediniera d'alto mare |
1905 |
1923 |
GLORIA E LATOR Foriero di gloria |
|
Stella |
VIRGO |
Spica |
Pattugliatore d’altura |
1990 |
2022 |
VIGILE ATTENDO ( Motto già appartenuto al sommergibile F15 ) |
|
Asteroide |
Z - Asteroide |
Cerere |
Cisterna nafta |
1915 |
1943 |
Dal 1915 al 1924 della Kriegsmarine ( Marina Militare Tedesca ) nome di Baltrum |
|
Personaggio |
Z – Pianeta |
Galatea |
Sommergibile |
1934 |
1948 |
Satellite del pianeta Nettuno |
|
Personaggio |
Z – Pianeta |
Galatea |
Nave Idro - oceanografica |
2002 |
|
Felix Galatea vivas |
|
Pianeta |
Z - Pianeta |
Giove |
Nave cisterna |
1917 |
1946 |
|
|
Pianeta |
Z - Pianeta |
Marte |
Nave cisterna |
1892 |
1947 |
Marina Austriaca come Vesta, nel 1923, data Regia Marina in conto riparazione danni |
|
Pianeta |
Z - Pianeta |
Nettuno |
Nave cisterna |
1917 |
1954 |
|
|
Pianeta |
Z - Pianeta |
Saturno |
Rimorchiatore |
1905 |
1973 |
|
|
Pianeta |
Z - Pianeta |
Saturno |
Rimorchiatore d’altura |
1987 |
|
|
|
Personaggio |
Z - Pianeta |
Titano |
Rimorchiatore d’altura |
1988 |
|
Satellite del pianeta Saturno |
|
Pianeta |
Z - Pianeta |
Urano |
Nave cisterna |
1922 |
1954 |
|
|
* Serv : Unità navale in servizio e che risulta iscritta al ruolo del Naviglio Militare alla data del 31- Marzo - 2007.
ANDROMEDA
Nome scientifico: ANDROMEDA Costellazione dell’Emisfero Celeste Nord, ampia 722 gradi2 e presente nell’Almagesto di Tolomeo del 140. Mitologia greca: Andromeda, figlia di Cefeo e di Cassiopea, minacciata dalla Balena, venne salvata da Perseo e dalla loro unione nacquero Perses (progenitore dei Persiani) e Gorgofone (madre di 5 figli, tra cui Tindaro, Re di Sparta e marito di Leda). |
|
Almak deriva dall’arabo Al anak al ard = un piccolo animale del deserto (simile al tasso) Effemeridi nautiche Nr. 6 stella gigante gialla |
|
Alpheratz (oppure Sirah) deriva dall’arabo Al surrat al faras = Ombelico del cavallo Effemeridi nautiche Nr. 1 stella subgigante bianca-azzurra |
|
Torpediniera Andromeda Classe Spica – Serie Perseo |
|
|
|
Varata a Genova Sestri Ponente il 28 Giugno 1936
Dislocamento standard 630 t Lunghezza 81,9 m - Larghezza 8,2 m - Pescaggio 3 m Equipaggio: 116 (6 Ufficiali e 110 sottufficiali e marinai) Armamento: 3 cannoni 108/47 – 8 mitragliere – 4 tubi lanciasiluri – 2 lanciabombe di profondità Partecipazione alla guerra civile spagnola 1937 – 1938 Operazioni navali in Grecia e Albania 1940 – 1941 Affondata il 17 Marzo 1941, da aerosiluranti inglesi nella Baia di Valona in Albania
|
|
Corvetta Andromeda
Classe Aldebaran
Varata il 17 Ottobre 1943 a Newark (USA) con il nome di
Morgan Wesson
Dislocamento standard 1.796 t
Lunghezza 93 m - Larghezza 11,23 m - Pescaggio 3,56 m
Equipaggio 189
Armamento: 3 cannoni 75/60 – 6 cannoni 40/56
18 mitragliere – 1 porcospino – 8 lanciabombe e 1 scarica bombe
Partecipazione alla Guerra nel Pacifico 1943 – 1945, ceduta all’Italia il 10 Gennaio 1951 e denominata Andromeda
Radiata nel 1972
ATOLLO DI TRUK
ATOLLO DI TRUK
Al centro della carta: Chuuk (TRUK) Island
DOVE SI TROVA QUESTO ATOLLO?
L'arcipelago delle Caroline Orientali é situato poco sopra l’equatore e non distante dall’antimeridiano che segna il cambio di data. E’ formato da un grande atollo, (132 chilometri quadrati di superficie), aperto da più passaggi da cui emergono numerosi picchi vulcanici.
Oggi, l’atollo di Truk è il paradiso degli amanti dei relitti. Non esiste infatti altro posto al mondo in cui ci sia una tale concentrazione di navi affondate su fondali compresi tra i 30 e i 50 metri. Relitti lasciati così dal momento del naufragio. L’intera zona dichiarata OFF-LIMITS dagli americani per 30 anni, é oggi a disposizione dei subacquei. Relitti con il loro carico di munizioni, aerei, carri armati, autoveicoli. All’interno di questa laguna corallina dove il mare è sempre calmo, le correnti ininfluenti e la temperatura dell’acqua sempre superiore ai 25°C.
UN PO’ DI STORIA
Truk piano piano divenne la più potente base navale nipponica, a partire dal 1937, epoca dell'entrata in guerra contro la Cina.
Quando il Giappone scatenò la campagna di conquista del Pacifico, l'atollo diventò una perfetta base aeronavale, situata al centro del perimetro di difesa del Sol Levante. Di fatto era una base operativa della flotta imperiale, tanto da essere chiamata la "Gibilterra del Pacifico".
Divenuto Torokku, nuovo nome attribuito dagli occupanti giapponesi, l’atollo era coperto dalla massima segretezza. Nessuna notizia era mai filtrata, nessuna persona estranea era mai entrata....
TRUK roccaforte inviolabile, era continuamente menzionata come luogo di partenza delle forze nipponiche lanciate alla conquista del Pacifico.
Quando il vento girò a favore degli Americani, il vice ammiraglio Hitosci Kabayasi, governatore di Truk, in seguito alle numerose sconfitte subite dalla marina e dall'aviazione nipponica, si aspettava un attacco all'isola che arrivò, in effetti, ma improvviso, come un forte vento monsonico, spazzando via tutto.
Dopo la conquista degli atolli dell'arcipelago delle Isole Marshall (gennaio 1944), la Quinta flotta americana ottenne tre corazzate veloci, tra cui la Jowa e la New Jersy da 45.000 tonnellate, tre portaerei veloci (due del tipo Essex e una leggera del tipo Langley) e due portaerei di scorta. La 58° Task Force della Quinta flotta aveva quindi a disposizione 12 portaerei, con un totale di 715 aerei tra caccia, bombardieri da picchiata e bombardieri siluranti. La 58° Task Force fu divisa in quattro gruppi, di cui il 3° gruppo, sotto il comando del contrammiraglio F.E. Sherman, comprendeva la portaerei della flotta, la Bunker Hill, con 89 aerei, e le portaerei leggere Monterrey con 34 aerei e Cowpens con 33 aerei. La 7° divisione, al comando del contrammiraglio O. V. Hustvedt, era invece composta dalle corazzate Jowa e New Jersy, dall'incrociatore pesante Wichita e dal 46° squadrone di cacciatorpediniere con nove cacciatorpediniere. Nell'eventualità di uno scontro navale, il contrammiraglio Sherman disponeva di 31 bombardieri da picchiata, 49 aerosiluranti, 18 cannoni da 406 mm delle sue corazzate (con proiettili da 1117 kg), 9 cannoni da 203 mm dell'incrociatore pesante, e 90 bocche da fuoco dei suoi cacciatorpediniere. Completavano la potenza di fuoco 87 caccia e 700 pezzi antiaerei calibro 20 mm, 40 mm, e 127 mm. Gli altri Task Groups erano fondamentalmente simili.
17 febbraio 1944
Le navi americane lasciarono l'ancoraggio di Majuro nelle isole Marshall per avvicinarsi all'obbiettivo e comparvero nei paraggi di Truk. La squadra navale americana comprendeva 9 portaerei, 6 corazzate, 10 incrociatori e 28 cacciatorpediniere. Nei due giorni successivi 72 caccia Hellcat decollarono dalle portaerei e puntarono sull'arcipelago, effettuando 1.250 sortite.
Gli americani prevedevano una rabbiosa reazione aerea da parte dei nipponici, ed i caccia avevano il compito di liberare il cielo dagli apparecchi nemici prima dell'arrivo dei bombardieri. Nei quarantacinque minuti necessari ai caccia americani per raggiungere l'obiettivo, la formazione statunitense fu avvistata, ma i giapponesi riuscirono a far decollare solo 45 caccia Zero, che diedero battaglia. Il cielo e il mare si riempirono di fumo, di scoppi, di luci e di morti.
Pochi minuti dopo 260 aerei nipponici erano distrutti al suolo e le istallazioni militari avevano subito ingenti danni. Affondarono 3 cacciatorpediniere, 7 navi ausiliarie, 6 petroliere, 17 cargo.
Incrociatore leggero AGANO
Incrociatore leggero KATORI
L'incrociatore leggero Agano (nella foto) fu affondato dal sommergibile Skate. Mentre le corazzate compivano il periplo dell'atollo affondarono a cannonate l'incrociatore leggero Katori e il cacciatorpediniere Maikaze. La seconda ondata fu lanciata la mattina successiva. Gli aerei americani abbatterono altri 32
La USS Intrepid, tra le più famose 'Essex', qui nel '44
apparecchi giapponesi e portarono a termine l'opera di distruzione di tutte le infrastrutture presenti sull'isola: caserme, depositi di carburanti, officine ecc. La reazione giapponese fu modesta: un aerosilurante riuscì a colpire a poppa la portaerei Intrepid, provocando diciassette feriti e danni riparabili in breve tempo.
1944 - Aerei pronti al decollo su una portaerei americana per l'Operazione Hailstone
Nacque così la famosa “Flotta Fantasma di Truck” con relitti di navi torpedinieri, bombardieri, navi di rifornimento, aerei, etc., affondati ad una profondità tra +1 mt (di alcuni relitti fuoriesce il pennone dall’acqua) e i 200 mt.
Si sono resi necessari ben 25 anni di bonifica e migliaia di immersioni per sminare completamente e rendere innocuo il pericoloso carico di queste navi da guerra.
La laguna è divenuta ora parco, dove per immergersi è obbligatoria la guida.
I relitti, dopo oltre 50 anni, si sono completante trasformati e da tetri ricordi di una sanguinosa battaglia sono ora una ricchissima colonia di pesci e coralli colorati di ogni specie.
L’OPERAZIONE TRUK, denominata HAILSTONE, che comportava la distruzione della base nemica e delle altre isole delle Caroline fu una vittoria sensazionale americana, per di più costata in termini umani e di mezzi, molto poco: 35 aerei e 29 vittime tra gli aviatori, 11 tra i marinai e il leggero danneggiamento alla sola INTREPID.
Le conseguenze strategiche, tattiche ma soprattutto psicologiche furono di grande importanza. La distruzione della base nipponica, considerata imprendibile, divenne per gli americani il simbolo della loro potenza, ed é proprio da questa convinzione che condussero e vinsero la guerra su tutti i fronti.
Radio Tokyo diffuse la notizia che l'importante base navale di Truk era stata attaccata dalla flotta statunitense. Tojo colse l'occasione per sostituire il capo di stato maggiore della marina, ammiraglio Osami Nagano, con l'ammiraglio Shimada.
Quanto a Nimitz, comandante americano delle forze in Pacifico, riservò a Truk lo stesso trattamento che aveva riservato a Jaluit e Wotje e ad altri atolli delle isole Marshall, li isolò per poi lasciarli al loro destino privi ormai di difesa, di munizioni e di rifornimenti. Il 22 marzo la Task Force 58, con tre gruppi di portaerei, 6 corazzate veloci, 13 incrociatori e 26 cacciatorpediniere, continuò una serie di devastanti incursioni contro le basi giapponesi delle isole Palau e di Yap.
Dopo oltre 60 anni da quel tragico evento, le carcasse delle navi affondate dal raid americano giacciono sul fondale o spuntano dall'acqua ferma della laguna, masse ferrose coperte dalla ruggine. Per i ragazzi nati dopo il secondo conflitto mondiale in questa remota isola delle Caroline, fanno ormai parte del paesaggio: quei relitti sono stati usati per i loro giochi, come trampolini per i loro primi tuffi. In tutti questi anni la vegetazione tropicale è cresciuta, riuscendo a nascondere le ferite di quella battaglia, i crateri delle bombe sono divenuti laghetti e le rovine delle fortificazioni ricoperte da erbe e fiori multicolori.
Una mezza dozzina di navi giace su di un fondale la cui profondità massima si aggira sui quarantacinque metri. Tra queste la Heian Maru, nave appoggio per sommergibili di 12.000 tonnellate, e la Rio de Janeiro Maru.
Giardini di corallo e sciami di colorati pesciolini racchiudono come drappi funebri viventi le navi morte; anche i cannoni sono coperti da leggiadri gioielli che oscillano dolcemente, all'ondeggiare delicato dell'acqua della laguna. Su tutte le navi si è adagiato un tappeto di corallo, ogni pezzo dell'attrezzatura di una nave affondata si è trasformata in un'esposizione di vita marina.
Nell'ancoraggio situato a nord-ovest della laguna, a circa cinquanta metri sul fondo, si trova un gruppo di navi contenente ancora il suo carico. Poco lontano un altro relitto, un bombardiere giapponese abbattuto nelle vicinanze del campo d'atterraggio, probabilmente uno dei pochi riusciti a decollare.
Nella melma giace un cappello da marinaio, da una fenditura in una chiglia spunta una scarpa, in un angolo una coperta e numerosi resti umani. La mancanza d'ossigeno disciolto in quell'acqua stagnante ha conservato per tanto tempo quei poveri resti. Un silenzioso ricordo accudisce questa lugubre tomba, posta sul fondo di un mare racchiuso da una splendida laguna tropicale.
Dopo l'attacco americano la guarnigione giapponese e gli abitanti di Truk hanno patito la fame mentre tonnellate di viveri in scatola giacevano irrecuperabili sul fondo del mare. Un fatto che colpisce il visitatore è la totale assenza di grossi animali marini, che di solito s'impadroniscono dei relitti per farne le loro abitazioni. Non si notano cernie, murene, aragoste. La risposta è molto semplice: non tutti i depositi di munizioni saltarono in aria nei giorni dell'attacco, così i superstiti giapponesi e gli abitanti dell'isola saccheggiarono i depositi di munizioni rimasti per pescare. E la pesca con la dinamite ha praticamente eliminato quelle grandi specie ittiche che impiegano decenni per crescere.
Dopo oltre 70 anni, i motivi per cui quella tremenda guerra è stata combattuta si perdono tra le pagine dei libri di storia. Le numerose ricerche sulle navi affondate nei diversi ancoraggi della laguna dimostrano che la base di Truk si trovò impreparata a fronteggiare un attacco aeronavale. La Gibilterra del Pacifico non era altro che un mito. Oggi, subacquei provenienti da ogni angolo del mondo s'immergono per visitare questa base navale sommersa dalle acque.
Ecco una breve descrizione di quelli più adatti all’esplorazione CHINKOKU MARU petroliera di 10120 tonnellate di stazza.
Lunghezza di 150 metri. Profondità da 12 a 40 metri. Rappresenta una delle migliori immersioni in assoluto. Al centro nave si visita il ponte di comando.
A poppa gli alloggi dell’equipaggio, con grandi quantitativi di riserve alimentari, vestiti, scarpe. Si vedono anche i bagni, la sala operatoria e si possono trovare anche resti umani.
L’esplosione di colori e coralli è assicurata visitando invece la Fujikawa Maru, una portaerei di 132 mt e 6938 tonnellate di stazza, anch’essa in assetto di navigazione e con l’albero che lambisce la superficie dell’acqua; sovraccarica di crinoidi, coralli duri e molli, anemoni che rendono sia la poppa che la prua particolarmente fotogeniche.
A parte ciò la grande attrattiva di questa nave è il suo carico : parti di tre aerei, compresa una fusoliera e una cabina di pilotaggio perfettamente conservata e un bombardiere Mitsubishi Zero intatto nel quale è addirittura possibile sedervisi dentro.
Anche la sala dei motori è di grandissimo interesse ma riservata ai sub più esperti, in quanto piuttosto angusta.
FUJIKAWA MARU cargo armato di 6938 tonnellate.
E’ una delle navi meglio conservate e più interessanti per il gran numero di reperti. Ha 6 stive stracariche di munizioni e materiali di ogni tipo. In una di queste stive si trovano carlinghe di caccia Zero Mitsubishi.
La Sankisan Maru, la nave da munizioni per eccellenza era una nave da carico di 112 mt di lunghezza e 4776 tonnellate di stazza ,giace su un fondale di circa 33 mt parzialmente in assetto di navigazione.
La poppa, pesantemente danneggiata dai bombardamenti, si è staccata infatti dalla prua e si trova a circa 200 mt di distanza, in posizione eretta.
All’interno centinaia di tonnellate di proiettili ancora nelle cartucciere e munizioni di vario genere, comprese bombe di profondità, ali di aerei, mitragliatrici , motori di aerei, eliche di navi , chassis di camion completi di pneumatici.
SANKIZAN MARU cargo da trasporto di 4770 tonnellate di stazza.
Lunghezza 110 metri. Profondità da 15 a 30 metri. Molti proiettili di tutti i calibri, mitragliatrici, detonatori e bombe d’aereo. Resti di autocarri, motori d’aereo e bottiglie.
Un’immersione impegnativa è quella sulla San Francisco Maru, vista la profondità del relitto il cui ponte si trova 50 mt di profondità, ma la nave è sorprendentemente intatta.
Si tratta di una nave da carico di 116 mt e 5864 ton di stazza ed è considerata un MUST per tutti i sub che visitano la laguna di Truck.
SAN FRANCISCO MARU :5831 tonnellate.
Lunghezza 115 metri. Profondità fra 48 e 54 metri. Bellissimo relitto riservato ai più esperti. In coperta sono visibili anche alcune mine e un carro armato.
HEIAN MARU 11620 tonnellate, lunghezza 153 metri. Profondità da 15 a 33 metri. Nave appoggio per sommergibili. E’ uno dei più grandi relitti di Truk. Periscopi, grandi bombe d’aereo, vasellame. Giace su di un fianco e sono visibili le eliche di dritta.
SOMMERGIBILE 1-69 1400 tonnellate. Lunghezza 100 metri. Profondità da 36 a 42 metri.
Resta intatta la parte posteriore. Era uno dei più grandi sommergibili giapponesi.
AIKOKU MARU in due diversi camuffamenti.
HAIKOKU MARU: “nave corsara”
Profondità da 51 a 72 metri. E' un relitto molto fondo ed è molto difficile farsi accompagnare dalle guide. E' inoltre frequentato da squali oceanici del genere longimanus, potenzialmente pericolosi per l'uomo. Bombardato da un aereo, l'esplosione ha fatto saltare la santabarbara, distruggendo tutta la prua e l'aereo che l'aveva bombardata. Nell'affondamento trovarono la morte 216 persone e non è difficile imbattersi in ossa e resti umani.
Caratteristiche generali:
Dislocamento 10.437
Lunghezza 150 m
Larghezza 20 m
Pescaggio 7,8 m
Propulsione 2 motori diesel Mistsui B&W, 2 assi elica, 13.000 CV
Velocità 21 nodi (38,8 km/h)
Armamento:
8 cannoni da 5,5" (140 mm)/50
2 cannoni da 76 mm
4 cannoni da 25 mm/60
4 tubi lanciasiluri da 533 mm binati
1 catapulta per 2 aerei
La Aikoku Maru è un’altra immersione per davvero esperti.
La nave fu convertita dai giapponesi e armata con enormi cannoni in poppa e prua e vicino alle stive 3 e 4 e mitragliatrici lungo tutta la sovrastruttura.
Responsabile di aver contribuito all’affondamento di tantissime navi nemiche, fu proprio uno dei primi bersagli dell’operazione Hailstone degli americani e colpita da un missile il primo giorno delle ostilità lanciato dallUSS Intrepid, esplodendo violentemente e affondando in soli 60 secondi.
Ora la nave riposa, con i resti di tutto il suo equipaggio, su un fondale di 70 mt (parte dei resti umani di 400 membri sono state ritrovate e traslate in Giappone).
Le parti visitabili sono quelle della poppa, dove è montato un enorme cannone da 160”, mentre tutta la parte prodiera è completamente distrutta.
Anche qui oltre 1000 libbre di bombe e munizioni di vario genere, comprese le mine antinave, tutte accatastate nelle stive .
Il radiotelegrafo è collassato sul ponte, proprio in prossimità della stiva, che è invece è pienissima carri armati e camion cisterna.
E’ un relitto molto profondo ed è molto difficile farsi accompagnare dalle guide.
E’ inoltre frequentato da squali oceanici del genere longimanus, potenzialmente pericolosi per l’uomo.
Bombardato da un aereo, l’esplosione ha fatto saltare la santabarbara, distruggendo tutta la prua e l’aereo che l’aveva bombardata. Nell’affondamento trovarono la morte 216 persone e non è difficile imbattersi in ossa e resti umani.
BOMBARDIERE BETTY G4M1 MITSUBISHI Profondità 20 metri. In ottime condizioni, abbattuto subito dopo il decollo. I motori sono usciti dalle loro sedi e giacciono a circa 60 metri ad est dell'aereo.
Una formazione di Yokosuka D4Y1 fotografata davanti al monte Fuji.
Parti di tre aerei, compresa una fusoliera e una cabina di pilotaggio perfettamente conservata e un bombardiere Mitsubishi Zero intatto nel quale è addirittura possibile sedervisi dentro.
Anche la sala dei motori è di grandissimo interesse ma riservata ai sub più esperti, in quanto piuttosto angusta.
I Mitsubishi G4M Betty della Marina Imperiale giapponese; questo tipo di aerei (bombardieri/aerosiluranti), insieme ai Mitsubishi G3M Nell, affondarono le navi da battaglia britanniche
Il Mitsubishi G4M Betty Bomber riposa su un fondale sabbioso di 15 mt..
Tali bombardieri, costruiti dai giapponesi a partire dal 1938, avevano un’apertura alare di circa 30 mt e raggiungevano una massima velocità di 430 km orari.
Tutti armati con mitragliatrici frontali da 7.7 mm e 20 mm potevano portare un carico di 4000 libbre di bombe.
E’possibile penetrare in tutta tranquillità nel relitto sia dalla parte frontale che posteriore e giungere sino alla cabina di pilotaggio. Tutt’intorno al relitto sono sparse qua e là le armi che erano a bordo, la radio e strumentazione varia, mentre al di sotto delle ali si è sviluppata una foltissima foresta di coralli molli multicolori.
BOMBARDIERE JUDY YOKISUKA profondità 3 metri. Bombardiere Judy D4Y1 Yokisuka: Profondità 3 metri. Ottimo per apneisti. Buone condizioni di conservazione. Visibile anche il motore a 12 cilindri staccato dalla fusoliera.
Idrovolante Emily H8K2 Kawanishi: Profondità 15 metri. Bombardato mentre era ormeggiato davanti all'isola di Dublon.
Carlo GATTI
Rapallo, 29. Agosto. 2016
Un Divisore fatto in Casa (modellismo)
Un DIVISORE fatto in casa
Capita spesso di dover praticare lavorazioni o applicare dettagli equidistanti su parti circolari.
Chi ha provato a costruirsi un timone mi capisce bene.
In meccanica, l’operazione di suddividere un cerchio in parti uguali si effettua con un apparecchio che si chiama, per l’appunto, “divisore”.
Con l’avvento dell’elettronica tale apparecchio tende a scomparire, sostituito da un “posizionatore a controllo numerico”, ma se il primo rappresenta una spesa cospicua, per il secondo la spesa è addirittura proibitiva.
Per noi modellisti un “divisore” serio è di troppo lusso, ci basta molto meno, anche perché quelli industriali sono concepiti per pezzi di dimensioni discrete e per un uso frequente e prolungato nel tempo.
Al modellista hobbista è sufficiente un “accrocco” da usarsi con cautela e in rare occasioni.
L’averne a disposizione uno è in ogni caso utile.
Io me ne sono costruito uno molto semplice usando un ingranaggio a vite senza fine, di quelli che sono rintracciabili nei negozi di modellismo.
L’idea è semplice: la vite senza fine ha la caratteristica che ad ogni giro completo della vite, la ruota si muove esattamente di un solo dente.
Avendo a disposizione una ruota a 100 denti sarà dunque possibile avere con facilità divisioni di 100 e sottomultipli di 100: 2, 4, 5, 10, 20, 25, 50. Usando un po’ più di attenzione, operando su porzioni di giro è possibile ottenere anche suddivisioni diverse, anche se meno precise.
L’attrezzo che ho costruito altro non è che un alberino supportato da cuscinetti a sfere (contenuti nella parte posteriore nera) e sul quale è calettata una ruota a 100 denti.
Il diametro della ruota è di circa 50 mm.
La ruota, come si vede chiaramente dalla foto, è vincolata ad una vite tenuta in posizione da un pezzo sagomato a “U” che, a sua volta, è incastrato nella base.
La base è costituita da due quadri di plastica da 5mm di spessore accoppiati con quattro viti angolari.
La dimensione della base è di 90 x 80 mm.
L’importante è che tra vite e ruota il collegamento sia stretto, in modo da evitare “giochi”: movendo l’asta, alla fine della quale è stata ricavata una manovella per semplice deformazione, sia in avanti, sia indietro, si ottiene un immediato movimento della ruota, senza “punti morti”.
L’asta di comando è piuttosto lunga (circa 130 mm) per due ragioni:
1) La prima è che i movimenti della mano sono ammortizzati dalla flessibilità dell’ottone pieno e non hanno retroazioni negative sul posizionamento del pezzo.
2) La seconda è che la mano può restare lontana dalla zona di lavorazione con evidenti vantaggi dal punto di vista della sicurezza.
Per trattenere il pezzo in lavorazione uso un mandrino da trapano (assente nelle foto) con innesto a “cono morse” femmina che si incastra a pressione sul “cono morse” maschio che altro non è che la parte terminale dell’albero di supporto.
Spero che, tra descrizione ed immagini, la spiegazione sia sufficientemente chiara.
Albino Benedetto
02.04.12
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PONTE DEI MILLE - PORTO DI GENOVA
PONTE DEI MILLE
PORTO DI GENOVA
UN PO’ DI STORIA:
GIUSEPPE GARIBALDI - UN UOMO DI MARE
Proprio qui, tra Capo D'Arena e la Villa del Principe, sorgeranno le strutture della Stazione Marittima inaugurata nel 1889 con il nome di Ponte Federico Guglielmo. (ora Ponte dei Mille).
Il nome di Ponte Federico Guglielmo è comunque confermato nel 1889 dopo la costruzione della nuova Sala Passeggeri.
da LA MIA GENTE omaggio del Secolo XIX – Genova 1884
1900 – La Stazione Marittima
Testata della Stazione Marittima con il monumento a memoria dell'Impresa dei Mille. Venne eretto nel 1910 nel luogo dove Nino Bixio "prelevò" il Lombardo ed il Piemonte iniziando così la spedizione che doveva portare all'Unità d'Italia.
Per il monumento venne usata una antica colonna portata a Genova dall'Oriente all'epoca delle Crociate.
Banchina di Levante. Nave passeggeri in partenza – 1913
La dicitura "Ponte Carlo Alberto del Belgio" lascia perplessi.... Federico Guglielmo durante la prima Guerra mondiale non era più un nome "popolare"? Non è così. Nel 1914 era stato costruito un nuovo "prolungamento" alla banchina con una nuova Stazione Marittima intitolata appunto al re del Belgio.
E per un certo periodo la due Stazioni Marittime mantennero i loro nomi, finchè, intorno agli anni 20 l'intera struttura non prese il nome di "Ponte dei Mille" che mantiene tutt'oggi.
Principessa Mafalda
Anni ‘20
Cartolina Ed. Calì - sped 1920
La stazione marittima, così come si presentava nelle immagini precedenti, non era più sufficiente a garantire l'operatività delle grandi navi passeggeri per cui nel 1924 si cominciò a costruire la nuova Stazione (l'attuale stazione marittima di Ponte dei Mille) che fu inaugurata nel 1930 e comprendeva gli Uffici delle Dogane e della Polizia di Frontiera oltre alla Capitaneria del Porto. Qui ne vediamo il Progetto A.Di Lorenzi.
Il nuovo edificio della Stazione Marittima e Capitaneria del Porto
Anni ’30 – compaiono le ciminiere del REX…
Navi militari classe ‘Cadorna’ ormeggiate di punta a calata Zingari. A destra il REX
REX (a sinistra) e CONTE DI SAVOIA (Primi Anni ’30)
Anni ’50-‘60 (Gulio Cesare oppure Augustus) all’ormeggio Ponte dei Mille Levante
Anni ’60-’70 (T/n Andrea Doria va all’ormeggio)
Ponte dei Mille e la "sopraelevata" intorno al 1970. C'é la "Sopraelevata".
T/n MICHELANGELO IN USCITA DAL PORTO - ANNI ‘70
PONTE DEI MILLE
GENOVA
Nuovo Millennio
Stazioni Marittime S.p.A. nasce nel 1989 con lo scopo di occuparsi della pianificazione, costruzione e gestione delle infrastrutture del Porto passeggeri di Genova e del suo traffico.
La Società gestisce cinque terminal passeggeri: Ponte dei Mille e Ponte Andrea Doria sono principalmente dedicati al traffico crocieristico, mentre i tre terminal di Calata Chiappella, Ponte Caracciolo e Ponte Colombo sono quasi esclusivamente dedicati al traffico traghetti. L’area ricopre in totale circa 290.000 metri quadrati di superficie e comprende 12 accosti per circa 3.000 metri di banchine.
A partire dai primi anni 90’ Stazioni Marittime S.p.A., con il contributo dell’Autorità Portuale di Genova, ha effettuato investimenti per oltre 122 milioni di euro, ridisegnando i profili delle banchine e la viabilità interna, ristrutturando ed ampliando gli edifici esistenti e costruendo nuove infrastrutture che hanno portato Genova al ruolo di principale hub portuale del traffico crociere e traghetti nel mediterraneo.
L’area passeggeri è situata nei pressi del centro città, a 200 metri dalla stazione ferroviaria e dista solo 5 km dall’Aeroporto Internazionale di Genova, oltre ad essere collegata direttamente al nodo autostradale. Tutti i terminal gestiti da Stazioni Marittime S.p.A. rispondono alle sempre più stringenti normative di safety e security fissate dall’IMO e dalle normative europee.
CROCIERE
Genova oggi è un importante realtà del mercato delle crociere ed un porto base tra i più utilizzati per itinerari di vacanza verso il Medio Oriente, il Nord Africa, il Mediterraneo, l’Atlantico, il Nord Europa e le Americhe.
Il Terminal Crociere di Ponte dei Mille copre una superficie totale di circa 16.000 mq (comprese le terrazze di imbarco) e si sviluppa su 3 piani collegati con scale mobili ed ascensori. Il Terminal può ospitare contemporaneamente due navi da crociera di ultima generazione con un movimento complessivo giornaliero fino a 10.000 passeggeri e presenta una banchina di circa 340 metri di lunghezza adeguata ad ospitare le grandi navi da crociera di ultima generazione. Ponte dei Mille è dotato anche di un accosto di circa 290 metri lungo la parte di levante dell’edificio.
La nave al centro (ponte dei Mille ponente): la MSC FANTASIA
ALCUNI INTERNI DELLA STAZIONE MARITTIMA
PONTE DEI MILLE
Dal 1930 la Stazione Marittima di Ponte dei Mille rappresenta l’ideale punto d’incontro tra Genova ed il suo porto. Teatro del periodo delle grandi migrazioni e dell’epoca d’oro dei grandi transatlantici, è forse la più bella Stazione Marittima del mondo, certamente la più ricca di storia e valenza simbolica. I saloni della Stazione Marittima di Ponte dei Mille sono considerati una delle “location” più esclusive ed affascinanti a livello nazionale. La galleria centrale, composta da due saloni separabili, ha una superficie complessiva di circa 2.500 mq e può ospitare cene ed eventi per oltre 1.500 persone. Di eccezionale suggestione sono le due grandi terrazze d’imbarco adiacenti la galleria sul lato di ponente e sul lato di levante, dalle quali si può ammirare un affascinante panorama del porto e della città.
Stazione Marittima – salone Nord
Stazione Marittima - Salone Prima Classe
STAZIONE MARITTIMA – prima class
STAZIONE MARITTIMA – Prima classe