LA GEOGRAFIA DEI MARINAI LIGURI NELL'ETA' DELLA GALEA
La geografia dei marinai liguri nell’età della galea
di Marcella Rossi Patrone
Genova Nervi, 26 agosto 2016.
Franz Hogenberg, acquaforte (in Civitates Orbis Terrarum di Georg Braun,1572)
I) La Geografia …
Nata in età greco-romana con l’obiettivo di rappresentare la Terra, la geografia è cresciuta descrivendo luoghi, producendo carte, esaminando il rapporto tra l’uomo e l’ambiente, dividendosi infine nelle due grandi, articolate branche della geografia fisica e della geografia umana. Quest’ultima, che notoriamente si occupa degli aspetti economici, politici e culturali, è strettamente collegata alla storia, non solo studia come gli uomini si adattano e interagiscono in un ambiente, ma anche di come interpretano e vivono gli ambienti in cui si trovano ad operare.
Lo studio delle antiche rotte è quindi un affascinante filone di ricerca storico geografica, che garbatamente inoltra nelle fonti archeologiche, letterarie, iconografiche e archivistiche. Avvicinandosi al rapporto fra gli uomini e lo spazio marittimo, si aprono paesaggi, spuntano vicende e si muovono personaggi. Allora lo spazio marittimo diventa uno spazio umano fatto di prospettive, direzioni e distanze. Allora lo spazio marittimo diventa un’area di contatti e relazioni.
Gli studiosi hanno oramai dimostrato che nell’antichità le coste furono descritte seguendo le rotte marittime e le testimonianze dei naviganti, secondo lo spazio da loro percepito ed i percorsi da loro scelti.
Da sempre l’uomo ha desiderato conoscere il mondo, misurarlo e rappresentarlo nella sua totalità, esplorarlo e raccontarlo nei suoi particolari. Ben presto si capì che per produrre, commerciare, viaggiare e comunicare era necessaria la conoscenza geografica; questa divenne poi uno strumento al servizio della politica e della crescita economica. Nel considerare il rapporto tra potere e geografia basterà pensare come la denominazione mare nostrum si associò all’espansione romana nel mar Mediterraneo.
In età romana Ostia è centro commerciale e portuale
Comunque la geografia si intrecciò con la storia dell’uomo, anzi possiamo dire che l’uomo plasmò la geografia.
La necessità di riferimenti precisi, immediatamente riconoscibili, spinse poi a nominare i singoli luoghi con differenti inequivocabili appellativi. I primi luoghi ad essere nominati furono i monti elevati, i grandi corsi d'acqua, gli astri ed i tratti costieri capaci di imporsi alla vista. Costituirono quei toponimi che oggi tanto attirano l’attenzione e la fantasia dei geografi, perché evocano culture passate, manifestando non solo antiche reti di rapporti sociali e ambientali, ma anche gli atteggiamenti mentali che caratterizzarono questi rapporti. Nel caso nostro terremo conto quindi di documenti descrittivi e linguistici.
Kylix attica raffigurante nave commerciale e nave da guerra, VI secolo a.C. (Museo del Louvre).
La geografia mosse i primi passi col raccontare il mondo. Nell’Iliade e nell'Odissea Omero raccontò la geografia con precisi riferimenti e particolari illuminanti. Nei Canti Ciprii, il poema omerico sugli antefatti dell’Iliade, si narrò persino del madornale errore geografico dei guerrieri greci, che, partiti per saccheggiare Troia, sbagliarono rotta verso oriente sbarcando in Misia, dove combatterono ferocemente ma inutilmente.
Sicuramente nel secondo millennio a.C. i popoli affacciati sul Mediterraneo possedevano una rudimentale conoscenza geografica: la geografia come scienza nacque nell’ambito della Grecia classica. Gli studi geografici e cartografici dell’antichità classica, compresa l’intuizione della sfericità terrestre, furono riscoperti solo nel XV secolo, mentre in epoca alto medievale conoscenze, credenze e religiosità si mescolarono, per fornire comode nozioni d’orientamento a mercanti, pellegrini e viaggiatori.
Col disgregarsi del mondo classico la geografia aveva subito una sorta di arresto, era diventata un sapere fluido, capace di adattarsi a qualunque contenitore: da un lato si adattò alla cultura storica, letteraria e biblica, dall’altro si adattò alla tradizione degli spostamenti. Con l’espansione islamica, la rinascita carolingia e la ripresa economica dell’anno Mille le conoscenze geografiche rinnovarono un interesse, preparando la svolta delle grandi scoperte geografiche.
Riguardo a questo processo due considerazioni sono opportune: innanzi tutto il ruolo da protagonista del mar Mediterraneo, poi il contributo dei pellegrinaggi religiosi, delle repubbliche
Marinare e delle crociate.
A seconda dei punti di vista gli antichi popoli lo avevano chiamato il mare superiore, il mare grande, il nostro mare, per gli arabi fu il mare bianco, finché ci si accorse che era circondato da terre e divenne per tutti il mare interno.
Iniziò così ad essere chiamato mediterraneus, parola romana usata in verità per indicare un territorio senza sbocco al mere, esattamente l’opposto della parola maritimus. Già dal nome comprendiamo allora quanto il mare Mediterraneo sia stato il crocevia tra l’Europa, l’Asia e l’Africa e perché Fernand Braudel lo abbia definito un continente liquido, senza offendere alcun geografo.
A favorire la comunicazione, lo scambio di conoscenze geografiche el’affermarsi di rotte commerciali concorsero poii pellegrinaggi, la nascita delle repubbliche marinare e le crociate.
Madaba - Giordania,chiesa di S. Giorgio, particolare del mosaico pavimentale Mappa di Terrasanta (VI sec.)
La devozione e la penitenza permearono l’Europa medievale, che fu vitalizzata dalle vie terrestri, fluviali e marittime in direzione dei santuari cristiani di Gerusalemme, Roma e Santiago. Il movimento dei pellegrini favorì quello dei mercanti, che preferivano viaggiare con merci preziose e poco pesanti come le spezie e le sete.
Attorno all’anno Mille la popolazione europea cominciò a crescere rapidamente: da circa venticinque milioni, nel 1300 oltrepassò i settanta milioni. Aumentarono gli scambi, la varietà delle merci, la circolazione monetaria; crebbero i centri urbani e molti di essi si liberarono dai vincoli feudali trasformandosi in Comuni autonomi. In particolare, le città portuali di Amalfi, Gaeta, Venezia, Ragusa di Dalmazia, Ancona, Pisa, Genova e Noli arrivarono ad affermare la propria supremazia navale,a controllare i traffici nel Mediterraneo, a creare fondachi in Oriente. Fu proprio la posizione geografica ad agevolarle: difese da monti o da lagune, lontane dalle vie militari, si inserirono silenziosamente nei traffici mediterranei, tra bizantini e islamici. Le città stato di Amalfi, Genova, Pisa e Venezia riuscirono anche a creare un'espansione territoriale oltremare.
Con lo sviluppo delle rotte commerciali le città marinare iniziarono così la propria storia economica e politica, organizzando delle flotte capaci di difendersi dagli attacchi pirateschi. Le rotte orientali furono definitivamente confermate dalla partecipazione alle Crociate, combattute in Terra Santa tra l'XI e il XIII secolo dagli eserciti cristiani europei contro gli eserciti islamici. Le crociate fecero seguito all’espansione dell’Islam, iniziata nel VII secolo con la conquista del Nord Africa, del Medio Oriente, dell’Asia Minore e di buona parte della Spagna, proseguita con la sottomissione della Sicilia, lo sbarco in Provenza, le incursioni in Liguria e in Piemonte. Nell’XI secolo l’Islam divenne una costante minaccia alle coste tirreniche, liguri e adriatiche.
L’espansione islamica
Come sappiamo, Amalfi fu la prima città marinara ad affermarsi, spingendosi a commerciare nei paesi africani e arabi, con basi d’appoggio fino in India. Venezia, rivolta all'Europa centrale ed all'Oriente, ottenne dall'Impero bizantino considerevoli privilegi nel Mediterraneo.
Pisa e Genova dapprima diressero i loro interessi nel Mediterraneo occidentale, sottraendo la Sardegna ai Saraceni, poi nel Mediterraneo orientale, fornendo un rilevante contributo alla prima crociata.
La prima crociata - 1096-1099
Sebbene la maggior parte dei crociati provenisse dalla Renania e dalla Normandia, la spedizione fu resa possibile dalle ricche città marinare italiane in grado di armare flotte attrezzate, che conoscevano bene le rotte e che finirono col reinventare la geografia del Mediterraneo.
Amalfi e Pisa decaddero di fronte alla potenza di Venezia e di Genova.
II) … dei marinai liguri …
A proposito di geografia ligure, Tiziano Mannoni scrisse:
La Liguria storica è una costa montagnosa di trecento chilometri circa, inserita fra due lunghi tratti di coste pianeggianti con foci di grandi fiumi … la sua parte centrale costituisce il tratto del Mediterraneo occidentale più vicino all’Europa continentale … si capisce perché lungo la costa ligure passasse la più importante rotta del Mediterraneo occidentale, quella che univa i porti tirrenici, e le rotte che per lo stretto di Messina proseguivano nel Mediterraneo orientale, a quelli della Francia e della Spagna, fino alla stretto di Gibilterra, dove incontrava l’altra rotta che seguiva invece le coste del Medio Oriente e del Nord Africa.
Da epoche antichissime nei territori liguri confluirono vie di comunicazione dirette ovunque e la realtà geografia fece i Liguri marinai.
Tra il Neolitico (9.000 - 4.500 a.C.) e l’Età del Ferro (1200- 750 a.C.) l’etnia ligure era presente nell’area continentale compresa tra l’Arno, l’Ebro e le Alpi, nelle isole tirreniche, in Sicilia e nel Lazio; tale diffusione mutò e si ridusse nel tempo, rendendo difficile la definizione di una Liguria preromana. Per i Romani i Liguri furono un insieme sfuggente di tribù montane e marine, capaci di destreggiarsi in ogni ambiente.
Verso la metà del I secolo a.C. lo storico Diodoro Siculo tramandò: Sono coraggiosi e nobili non solo in guerra, ma anche in quelle circostanze della vita che comportano terribili difficoltà. Commerciando, infatti, navigano per il mare Sardo e per quello Libico affrontando prontamente pericoli dai quali non esiste difesa. Una cinquantina d’anni dopo il geografo greco Strabone scrisse: … occupano le terre vicine al mare e specialmente i monti. Hanno qui ricche foreste che forniscono legname per la costruzione delle navi.
Nel 14 d.C.Augusto sottomise definitivamente i Liguri, creando la IX regio Italiae: la Liguria. Allora le navi romane furono le protagoniste della storia. Allora lentamente e gradualmente crebbe la marineria ligure e crebbe la città portuale di Genova, prima all’ombra della dominazione romana, poi di quella bizantina, longobarda, carolingia, alla frontiera tra il mar Mediterraneo e l’Europa occidentale, dove si intrecciarono spostamenti religiosi, commerciali e bellici. Evidenziamo alcune tappe esemplari.
Ostia Antica, Foro delle Corporazioni, mosaico con navi e faro (tardo II sec d.C.).
Secondo l’editto sui prezzi di Diocleziano,nel 301Genova fu uno dei principali scali di mercato, con altri quali Roma, Aquileia, Alessandria d’Egitto, Efeso, Tessalonica, Bisanzio, Nicomedia, Trebisonda. L’articolato calmiere del tardo impero ha per noi un grande valore geografico, perché involontariamente delinea le rotte commerciali e fa comparire l’importanza di Genova.
Decaduto l’Impero romano, la Liguria marittima sopravvisse ai Goti e trasse notevoli vantaggi mercantili sotto i Bizantini, diventando Provincia Maritima Italorum. Neppure la violenta conquista del re longobardo Rotari(643) riuscì a sottrarla al mare. Nel 680il re dei Sassoni Cledoal navigò da Genova a Ostia per ricevere il Battesimo a Roma,un esempio presto seguito da re, nobili, chierici e popolani anglosassoni. Nel 711, quando il condottiero islamico Tāriq oltrepassò lo stretto di Gibilterra, da Tarragona il vescovo Prospero fuggì con le reliquie di San Fruttuoso per mare, sbarcando prima a Cagliari poi a Portofino.
Nel 725il re cattolico longobardo Liutprando riscattò dagli arabi insediati in Sardegna i resti di sant’Agostino, che navigarono da Cagliari a Genova per essere portati a Pavia.
All’epoca la navigazione ligure si svolgeva nel Mediterraneo occidentale, tra le coste ispano-francesi, le isole, l’Africa, e tale restò in epoca carolingia, quando fu introdotto il feudalesimo.
Nella geografia carolingia il territorio ligure venne denominato Litora maris ed ebbe un’amministrazione comitale, cui fu affidata la protezione delle coste e delle isole. Sappiamo che nell’806 un comes civitatis ianuensis di nome Ademaro morì in Corsica combattendo i Saraceni.
Carlo Magno aveva ereditato un territorio esposto alla pirateria, che alla fine del secolo si fece minacciosa per il covo di Frassinetum, nella baia di Saint-Tropez.In questo periodo le reliquie di San Romolo furono trasferite da Villa Matutiana, oggi Sanremo, a Genova.
Genova, che pure risultava una città murata e sicura, nel 934 subì l’assalto ed il saccheggio di una flotta araba;quest’unica aggressione suscitò l’immediata reazione degli abitanti ed una spedizione navale annientò il nemico. Quindi si decise di passare al contrattacco, in difesa della libertà civile e religiosa.
Ora possiamo con chiarezza individuare un decisivo momento di passaggio all’età comunale:il ruolo delle città costiere cresceva e si affermava l’economia mercantile, che grazie alla navigazione assunse ben presto portata internazionale.
Navigando dalle coste iberiche al mar Nero, passando per le coste africane e la Sicilia, nell’XI secolo i Liguri iniziarono a creare monopoli di grano, zucchero, pesce essiccato, corallo, allume, mastice, ad aprire fondachi, a fondare colonie commerciali. Incredibilmente, ma non troppo, le crociate, le azioni militari, le operazioni diplomatiche, le relazioni internazionali tessute con bizantini e islamici concorsero tutte insieme ad una politica estera che assicurasse rotte commerciali. Di conseguenza si rafforzò e si esportò il modello politico, economico e sociale cittadino, creando una geografia tutta ligure, in Liguria e fuori Liguria.
Il paesaggio ligure si divideva tra la coltura promiscua, il pascolo montano ed il bosco, fondamentale per la costruzione navale. Per la scarsità di proprie risorse lo sviluppo delle città costiere fu legato tanto ai collegamenti degli approdi con l’entroterra padano ed il Nord Europa, quanto all’attività di abili commercianti che navigassero per procurarsi merci da rivendere. Naturalmente maggiori erano la rarità della merce, la lunghezza del viaggio e la difficoltà del trasporto, maggiore era l’utile. Quando si sviluppò la società mercantile si prese la via del mare. Da levante a ponente, Lerici, La Spezia, Portovenere, Levanto, Sestri, Lavagna, Chiavari, Rapallo, Portofino, Recco ,Varazze, Celle, Savona, Vado, Noli, Finale, Loano, Albenga, Laigueglia, Cervo, Diano, Oneglia, Porto Maurizio, Sanremo e Ventimiglia furono le comunità rivierasche che prosperarono con Genova fin dalla prima crociata. La sovranità di Genova lungo il golfo si affermò nei secoli attraverso alterne e complicate vicende, favorita da concessioni di autonomia e sgravi fiscali, sfavorita dal monopolio per la vendita del sale e dall’imposizione dei caratti, ovvero i tributi sul commercio marittimo.
I liguri si sparsero poi nel mar Mediterranea e nel mar Nero. A ricchezza, emancipazione politica, espansione territoriale nel 1138 si era aggiunto il privilegio di batter moneta. Nel corso dei secoli XIII e XIV gli insediamenti mercantili di Genova divennero sorprendenti.
Proprio di fronte a Costantinopoli c’era Pera, in greco Galata, dove il numero delle contrattazioni era pari a quello di Genova; Caffa, in Crimea, era popolata da centomila commercianti di differenti etnie ed attorno ad essa gravitavano gli altri borghi con partecipazione genovese; Trebisonda era una preziosa base navale della costa turca affacciata sul mar Nero; floridi possedimenti erano a San Giovanni d’Acri in Palestina, a Focea in Asia Minore, a Famagosta di Cipro, sulle isole di Lesbo, di Chio, di Tabarca.
Chio in un dipinto anonimo del XVI secolo(Museo Navale di Pegli).
Le colonie agivano da tramite tra economie lontane e complementari, oppure valorizzavano le risorse locali. Dalle sponde della Crimea partivano per l’Occidente sete, spezie e schiavi, da Focea l’allume, dall’isola di Chio il mastice, dall’isola di Tabarca il corallo.
Senza sottomettere la popolazione, si prendevano accordi economici con le élite locali per avere una banchina riservata nel porto prescelto e poter popolare un quartiere cittadino dotandolo di botteghe e fondachi.
Istambul: la torre sulla sommità dell’antica cittadella genovese di Pera, o Galata.
Col complicarsi dei traffici navali e dei rapporti economici tra popoli diversi,assunsero un ruolo fondamentale i notai. Non era strano che si imbarcassero nelle spedizioni militari e commerciali per relazionarne lo svolgimento e redigere eventuali atti giuridici di efficacia esecutiva. La ricca documentazione del notariato genovese offre quindi un prezioso contributo nell’identificazione dei luoghi di scambio e delle imbarcazioni utilizzate, tratteggiando l’intenso movimento di risorse umane e commerciali che si legò alle navi genovesi.
La navigazione medievale necessitava di scali intermedi e lungo tutte le rotte commerciali sviluppò una serie di approdi ben conosciuti, un patrimonio di comuni punti di riferimento che costituì la geografia dei marinai liguri. I portolani, veri e propri manuali di navigazione, e le carte nautiche ne furono l’espressione multiforme.
Un grande geografo francese ha scritto che la nave scivola sull’acqua, i flutti divisi riprendono la propria forma ed il solco si cancella; la terra è più fedele e conserva la traccia dei cammini che per tempo gli uomini hanno calcato (Vidal de la Blache 1922); ma nel Medioevo, quando dominava la visione teologica del mondo, le descrizioni dei portolani e i disegni delle carte nautiche furono la prima razionalizzazione della superficie terrestre.
Le rotte mediterranee erano determinate dai venti e dall’uso della bussola. Grazie alla bussola ed all’esperienza dei marinai si produssero carte di una precisione incredibile, perché il mondo veniva rappresentato dal punto di vista del navigante ed i contorni terrestri venivano disegnati dai mari.
La documentazione presente oggi nei musei è di alto livello, perché alcune preziose carte portolaniche non furono mai usate in navigazione, ma conservate come un bene pregiato.
Osserviamo che i cartografi medievali non utilizzavano determinazioni astronomiche, gradi di latitudine o longitudine, meridiani e paralleli, ma nei loro disegni compariva un fitto reticolato di rette multicolori che si intersecavano: erano il prolungamento dei raggi della rosa dei venti, posta generalmente al centro di una porzione di mare. Su questa rete il cartografo ordinava sistematicamente direzioni e distanze sui dati della propria esperienza; con l’aiuto della bussola disegnava il contorno delle coste e posizionava i luoghi, senza tener molto conto della loro reale distanza.
Pietro Vesconte, cartografo genovese. Autoritratto (Atlas 1313,Bibliothèque Nationale de France a Parigi) e particolare della costa georgiana del Mar Nero (Carta nautica 1321, Zentralbibliothek di Zurigo).
La carta più antica che possediamo è la Carta Pisana, tracciata da un anonimo genovese nella seconda metà del XIII secolo, rinvenuta nei dintorni di Pisa ed oggi conservata al Départment descartes et plans della Biblioteca Nazionale di Parigi. Si tratta di una carta portolanica, che dettaglia le coste ed i porti del mar Mediterraneo, del mar Nero e dell’Europa Atlantica.
La Carta Pisana
Foto della Tabula del Mediterraneo
Al 1333 risale la Tabula del Mediterraneo firmata dal monaco genovese Giovanni di Mauro da Carignano, a lungo conservata nell’Archivio di Stato di Firenze e andata distrutta in un bombardamento del 1943. Alla prima metà del XIV secolo risalirebbe anche il cosiddetto atlante Tammar Luxoro, dal nome della famiglia genovese cui appartenne, composto da otto piccole tavole (Genova, Biblioteca Berio).
Atlante Tammar Luxoro
Sono solo alcune citazioni, ma esemplari come questi richiedono trattazioni specialistiche, sostenute da conoscenze cartografiche, nautiche, storiche, sociologiche e artistiche.
Le carte potevano avere diverse funzioni perché potevano essere degli strumenti d’orientamento, o di riconoscimento, o di sicurezza, o di pianificazione militare; inoltre nella redazione e nella lettura presupponevano saperi diversi, da quello dell’ammiraglio a quello del comandante, o del pilota, o del nostromo, o del nocchiero. Il marinaio analfabeta ricorreva invece alla cultura orale ed alle cosiddette carte mentali, come la litania della Bonna Parolla, il cosiddetto portolano sacro. Era una preghiera recitata in latino ed in genovese prima dell’imbarco ed in caso di pericolo, per chiedere il soccorso di Dio, della Madonna e dei santi patroni di alcuni luoghi, che si susseguivano formando un itinerario geografico del mondo medievale. Tra le funzioni, la Bonna Parolla univa la funzione religiosa di pregare per la salvezza della nave, degli uomini e delle merci, a quella geografica di memorizzare la successione dei luoghi. L’itinerario sacro iniziava in Egitto e toccava la Palestina, il Libano, la Siria, le isole di Cipro e di Rodi, la Crimea, la Turchia, il golfo di Tessalonica, le isole di Lesbo, di Chio e di Creta, il Peloponneso, le terre affacciate sul mar Adriatico, l’isola di Sicilia, le terre affacciate sul mar Tirreno, l’isola di Corsica, la Liguria, la Francia, la penisola Iberica, l’Inghilterra e le Fiandre. Nella parte medio orientale e adriatica l’itinerario ligure si concentrava sulle colonie genovesi e chiaramente prestava grandissima attenzione alla Liguria ed ai luoghi ad essa limitrofi.
Cartina da: Valentina Ruzzin, La Bonna Parolla. Il portolano sacro genovese, 2013
Lo scorso autunno, il percorso documentario Tutti i Genovesi del Mondo, ovvero una mostra creata con le carte conservate nell'Archivio di Stato di Genova,ha testimoniato la presenza e l’attività dei Genovesi nei mercati di tutto il bacino del Mediterraneo, dell’Estremo Oriente, dell’Inghilterra, delle Fiandre e del Mar Nero.
Particolare della locandina
I Genovesi impararono presto a disegnare i loro mari. Secondo la cronaca dell’ottava crociata, redatta nel 1270dal monaco francese Guglielmo de Nangis, ad un certo punto della navigazione i genovesi srotolarono una carta nautica davanti allo sbigottito re francese Luigi IX, per convincerlo senza troppi discorsi che erano vicini a Cagliari.
Alla fin fine, la memoria, il portolano e la carta nautica fissavano le stesse rotte ed insieme andavano a costituire quella che chiamiamo la geografia dei marinai liguri. Ma chi erano in realtà questi marinai liguri? Sarebbe forse meglio parlare di uomini di mare, perché la terminologia attuale non è in grado di esporre i numerosi ruoli svolti da ciascun navigante. Prendiamo ad esempio Benedetto Zaccaria, che nel XIII secolo percorse tutte le coste del Mediterraneo: fu ammiraglio, pirata, commerciante, imprenditore, finanziere, diplomatico, politico, spia, signore di Focea e di Chio. Per noi fu sicuramente un esperto conoscitore della geografia marittima. Vero è che nel XIV secolo la marineria ligure era capace di percorrere grandi distanze ed era rappresentata da una solida, pragmatica e consapevole classe dirigente.
Vi si aggiunsero gli esploratori. Se nel 1291 i fratelli Vivaldi scomparvero nel tentativo di circumnavigare l’Africa, anni dopo Lanzarotto Malocello e Nicoloso da Recco trovarono le Isole Canarie, mentre Luca Tarigo raggiunse il mar Caspio partendo da Caffa sul mar Nero, attraverso il Mar d'Azov , risalendo il Don e discendendo il Volga. I Liguri frequentarono il mondo conosciuto e si spinsero oltre, usando due mezzi differenti e complementari quali la diplomazia e la galea. Quest’ultima issò il vessillo di San Giorgio dappertutto.
In progressione serrata dal Medioevo fino a tutto il XVII secolo,la galea fu l’icona dello spregiudicato sistema commerciale mediterraneo, dove si combatteva per conquistare una posizione privilegiata sul mare. Possiamo quindi pensare ad un’età della galea? Certo, poiché questa imbarcazione caratterizzò la storia marinara di un lungo periodo, prima di uscire lentamente dalla scena.
III) …nell’età della galea.
Cristoforo Grassi (Genova, Museo Galata)
Nell’Alto Medioevo dominarono le flotte orientali, prima quella bizantina e poi quella islamica, finché dopo il Mille comparve all’orizzonte la marineria ligure e crebbe in fretta. I commerci e le guerre non potevano rinunciare all'efficienza ed alla velocità della comunicazione marittima. Nel XII secolo, gli Annali del Caffaro e gli atti del notaio Giovanni Scriba citano la galea, la sottile imbarcazione a remi, e la navis, il veliero tondo da carico, insieme a navi di piccole dimensioni come il bucious e il golabis. La sostanziale differenza stava già tra la galea e la navis. Entrambe si evolsero nel tempo mantenendo queste caratteristiche: la prima era agile, veloce e indipendente dal vento, che poteva comunque sfruttare grazie alla presenza di alberi e vele; la seconda aveva maggior capacità di carico e maggiore opera viva, ma dipendeva dal vento ed era più lenta.
L’espansione mercantile innescò competizioni,conflitti navali, azioni di contrabbando e di pirateria, guerre di corsa senza esclusione di colpi. In questo scenario le galee vennero utilizzate sia a scopo militare che mercantile e ben presto si trasformarono in uno strumento di dominio navale tale da disegnare la geografia europea fino all’epoca delle grandi scoperte oceaniche. Si navigava a remi con disinvoltura, avendo ben chiaro dove ricoverarsi, nascondersi, riposare, fare rifornimento d’acqua, identificando parimenti i porti maggiori e gli scali minori.
Nel 1602, dopo che le grandi scoperte geografiche avevano sconvolto il mondo, Iacopo Vesconte Maggiolo, magister cartarum pro navigando della Repubblica di Genova, diede alle stampe una mirabile carta portolanica. Nel 2010 la Utet - De Agostini ha riedito quest’opera in tiratura limitata, per favorirne la conoscenza. Fu questa una grande carta nautica del Mediterraneo e del Nord Europa destinata a principi e potenti, una vera opera d’arte decorata in oro, dove a grandi caratteri svettava Genova, la capitale dei traffici e della finanza,città simbolo dell’epoca. La carta, posta su una pergamena poteva essere ruotata e letta da tutti i lati, poiché i toponimi erano scritti perpendicolari alla costa. In quei disegni, testimoni di vasta conoscenza geografica, si poteva e si può ancora leggere la grandiosa storia della Repubblica.
Iacopo Vesconte Maggiolo, carta portolanica del 1602
Iacopo Vesconte Maggiolo discendeva dalla famiglia di cartografi più importante d’Italia, una famiglia che aveva le sue origini in Rapallo, ai piedi della collina di Sant’Ambrogio.
Gli atti notarili provano che da un ramo Maggiolo di Rapallo nacque a Genova il Vesconte Maggiolo capostipite dei cartografi. Nella Storia letteraria della Liguria (1826) Giovanni Battista Spotorno a pag. 282 scrisse: Alle glorie di Ottaviano Fregoso, doge celebratissimo, non doveva mancare quella di promuovere i buoni studi e le arti migliori. E di fatto, giunto egli alla suprema dignità della sua patria nel 1513, chiamò in Genova alcuni eccellenti ingegni...Tal fu Vesconte Maggiolo, rinomato per la sua perizia nel delineare carte geografiche e mappe nautiche. Effettivamente il doge Ottaviano Fregoso aveva chiesto a Vesconte Maggiolo, che allora lavorava a Napoli, di ricoprire l'incarico di magister cartarum pro navigando con l'obbligo di risiedere nello Stato genovese. Nel 1529 il Senato gli aveva inoltre riconosciuto la facoltà di trasmettere il suo privilegio ai figli. Vesconte Maggiolo compose atlanti, planisferi e carte nautiche del Mediterraneo con due finalità: fornire strumenti di navigazione mediterranea alla marineria genovese ed aggiornare sui progressi delle conoscenze geografiche. Fu il primo ad inserire nelle carte nautiche una miniatura dell'orbe conosciuto.
Il figlio minore Iacopo ereditò in fine l’attività paterna, concentrandosi sulle carte nautiche del mar Mediterraneo, nelle quali apportò continui aggiornamenti, con abbondanza di illustrazioni.
Osservando la carta di Iacopo Vesconte Maggiolo sorge spontanea la nostra conclusione. Mentre i toponimi infittivano i portolani e le carte nautiche, i marinai liguri continuarono a navigare con sapienza e perizia nel Mediterraneo, spesso stabilendo e modificando le rotte per opportunità o necessità, magari allungando il percorso ed i tempi di sosta. Rimane indubbio che l’esistenza di Genova come Stato marittimo sarebbe impensabile senza la particolare geografia dei marinai liguri nell’età della galea.
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webmaster: Carlo Gatti
Rapallo, 29 Agosto 2016
FATA MORGANA, un'illusione ottica
FATA MORGANA
Una illusione Ottica
Nei primi anni ’60 fui testimone di un fenomeno abbastanza raro da osservare, persino dai naviganti d’altomare. Imbarcato sulla petroliera NAESS COMPANION, ero al mio sesto viaggio: Golfo Persico - Giappone. Era il periodo del monsone “buono” di Nord Est e si navigava in piena bonaccia nell’Oceano Indiano. Nonostante l’opprimente caldo umido dei tropici, (si conosceva l’aria condizionata soltanto dai depliant di alcune navi passeggeri), non percepivo alcun sintomo di noia: tra una retta d’altezza di sole ed altri calcoli astronomici, seguivo i numerosi capodogli che navigavano verso i mari freddi del sud e mi divertivo un mondo a guardare i delfini che in quella zona di mare “volavano” scompostamente in aria e poi si tuffavano spanciando rumorosamente in cerca di plancton. A metà guardia, verso le 10, vidi nitidamente qualcosa di strano apparire a mezza altezza sopra l’orizzonte. Poco a sinistra di prora si stagliava una specie di castello, una torre immobile che galleggiava sopra l’orizzonte gelatinoso. Poco dopo vidi una seconda torre, leggermente più bassa e più scura, ancora più a sinistra. Mi venne in mente quello strano capitolo di Meteorologia che s’interessava di fate, più precisamente della FATA MORGANA, chiamato anche fenomeno delle torri. Dal ponte di comando, destai l’attenzione dell’equipaggio che lavorava in coperta e mi accorsi che nessuno di loro aveva mai visto quella “strana faccenda”. Radio-cucina diffuse subito la notizia e in un baleno l’intero equipaggio si radunò in coperta, a bocca spalancata come fossero al circo. La proiezione durò qualche minuto, il tempo necessario a tre navi in contro-corsa di passarsi al traverso. Nel frattempo anche il Comandante era salito sul ponte facendosi scappare una tipica frase in genovese: “se a terra raccontassimo certi fatti ci prenderebbero per dei belinoni...”- I commenti in siciliano della bassa forza erano invece intrisi di stregoneria e superstizione. La disputa sembrò degenerare tra chi vedeva nell’ ”apparizione” il corpo di un santo e chi invece prevedeva il peggio che potesse capitare ad una nave in navigazione...
Ancora oggi, ogni tanto, quella magica visione affiora tra i ricordi personali più lontani ed il pensiero va soprattutto all’idea di quel cielo ingannevole che ci aveva aspettati al varco, come la “Maga Circe” per incantarci, per fortuna, senza molti risultati...
In ottica la Fata Morgana è una forma complessa e insolita di miraggio che si può scorgere all'interno di una stretta fascia al di sopra dell'orizzonte.
A questo punto immagino la perplessità del lettore e non mi rimane che rifugiarmi dietro un banco di scuola per rileggervi quel capitolo....
“Il fenomeno ottico conosciuto come FATA MORGANA, é noto, (ma non troppo n.d.r), ai naviganti, ma anche agli abitanti e turisti di quei luoghi in cui questo fenomeno ottico viene osservato quando i raggi di luce sono fortemente incurvati dal passaggio attraverso strati d'aria a temperature diverse. Infatti, in condizioni di tempo sereno, può capitare che uno strato d'aria molto più calda sovrasti uno strato di aria più fredda: in questo caso, la differenza tra gli indici di rifrazione può dar luogo alla formazione di un condotto atmosferico che agisce come una lente di rifrazione che produce una serie di immagini sia dritte che invertite. L’eccezionalità del fenomeno ottico dipende quindi dalla temperatura degli strati atmosferici, ma anche dalla simultanea formazione di un condotto atmosferico, un proiettore d’immagini. Per certi versi, detto fenomeno é analogo al più noto miraggio, dove però le immagini sono molto mutevoli e deformate, difficilmente riconoscibili. Affinché il fenomeno avvenga, l'inversione termica dev'essere abbastanza forte da far in modo che la curvatura dei raggi di luce all'interno dello strato di inversione sia più forte della curvatura della Terra . In queste condizioni i raggi creano degli archi. L'osservatore deve trovarsi all'interno o al di sotto del condotto atmosferico per poter vedere la Fata Morgana”.
Talvolta, le navi sono viste anche molto al di sopra dell’orizzonte e schiacciate sino a diventare torri o castelli. Per spiegare tale fenomeno è sufficiente immaginare che la luce proveniente da un punto sia distribuita in verticale, gli oggetti in lontananza assumono le sembianze di torri, pinnacoli, obelischi.
La Fata Morgana, conosciuta anche come Morgane, Morgaine, Morgan e altre varianti, è una popolare strega della mitologia celtica e delle leggende. L'epiteto femminino “la fata” - (tradotto dall'originale inglese the fay, a sua volta adattato dal francese la fée) - indica la figura di Morgana come una creatura sovrannaturale. È una dei principali antagonisti di Re Artù – Ginevra - e soprattutto di Merlino, nelle leggende arturiane. Secondo altre leggende celtiche induceva nei marinai visioni di fantastici castelli in aria o in terra per attirarli e quindi condurli a morte.
Per i tanti amanti del Cielo e per lo sparuto gruppetto che sicuramente crede agli UFO, il disegno n. 3 può spiegare, spero chiaramente, come un innocente faro sulla costa possa essere scambiato per un UFO (Oggetti Volante non identificato). L’Osservatore è in O e sta osservando stelle e galassie. Improvvisamente, si accende un faro al di là della montagna dalla cima innevata. L’aria fredda che circonda la vetta del monte causa un miraggio superiore e il faro risplende alto nel cielo, aumentando e diminuendo la sua luminosità.
Il fenomeno ottico della fata morgana rientra nella categoria dei miraggi, termine con il quale si descrivono alcuni fenomeni dovuti all’incurvamento dei raggi luminosi nell’attraversare strati d’aria non omogenei. Il tipo più comune di miraggio si osserva spesso d'estate sulle vaste distese di sabbia riscaldate dal Sole o, forse più frequentemente, sulle strade rettilinee asfaltate o sulle autostrade. Sarà capitato a tutti, durante un viaggio in macchina in autostrada, di notare delle pozzanghere sull’orizzonte, come se la strada fosse bagnata.
Aggiungo alcune foto di Milly Mascaretti:
Carlo GATTI
Rapallo, 16 Giugno 2014
GENOVA-LIBECCIO, Vento di Eroi e di Morte...
LONDON VALOUR
GENOVA-LIBECCIO, VENTO DI EROI E DI MORTE ...
Foto n.1 Il traghetto “ Fantastic” in difficoltà sull’imboccatura del porto di Genova
Una mareggiata da libeccio, tra le più violente degli ultimi trenta anni, ha colpito la settimana scorsa le coste tirreniche e nel porto di Genova si è sfiorata la tragedia: un traghetto della “Grandi Navi Veloci” con 439 passeggeri e 75 membri d’equipaggio, ha rischiato di finire sulla diga foranea mentre, investito da raffiche di oltre 60 nodi, stava entrando in porto. Una manovra rocambolesca e fortunosa ha consentito di evitare la catastrofe, tuttavia 37 persone sono rimaste ferite o contuse. L’avventura a lieto fine del traghetto Fantastic, se così si può definire, ci ha riportato indietro con la memoria di quasi quaranta anni.
Era il 9 aprile 1970.
Sul porto di Genova si era abbattuto un fortunale da libeccio che aveva alzato onde eccezionalmente alte e violente. Il mercantile britannico London Valour era ancorato da un paio di giorni a circa 1300 metri a sud della diga foranea Duca di Galliera. Verso le 14.30 cominciò a scarrocciare sottovento verso l’argine portuale, l'ancora non mordeva più il fondale e in pochissimi minuti la poppa della nave si schiantò contro la scogliera frangiflutti a ridosso della diga.
Foto n.2 La London Valour in agonia sugli scogli della diga. La parte poppiera é già affondata.
Sul posto arrivarono i piloti portuali, rimorchiatori e motovedette della Capitaneria, dei Carabinieri, della Finanza e della Polizia, Alle 14.45 i Vigili del Fuoco misero in funzione un va e vieni, vale a dire una doppia cima di nylon tesa tra la diga e il ponte di comando, sulla quale scorreva una carrucola munita di cintura a braga per consentire il salvataggio di un naufrago per volta.
La nave si spaccò in due tronconi e i membri dell'equipaggio si trovarono divisi in due gruppi, tutti muniti di giubbotto salvagente. Dorothy, la moglie del comandante Edward Muir, fu sbalzata dall’imbragatura e precipitò tra gli scogli spazzati dalle onde, sotto gli occhi del marito, nonostante i tentativi di salvataggio di un Vigile del Fuoco che si tuffò invano più volte. I depositi di nafta cedettero e il combustibile, nero e denso come catrame, si sparse in mare e avviluppò i naufraghi caduti in acqua. Tra questi, il comandante del mercantile, che rifiutò l'aiuto di un soccorritore, si slacciò il giubbotto e si lasciò andare.
“Volteggiava sulla scena del disastro, sfidando la bufera, il leggendario elicottero dell'ardimentoso capitano Enrico, eroe dei Vigili del Fuoco, che poco tempo dopo non sarebbe rientrato da un'ennesima operazione di salvataggio”.
Nonostante la mobilitazione dei soccorsi in mare e a terra, le vittime furono venti e la nave andò perduta. Dopo un anno d’inutili studi e progetti andati in fumo, il relitto fu rimorchiato al largo da due rimorchiatori d’altomare al comando dello scrivente.
La London Valour non raggiunse la Fossa delle Baleari, ma affondò per la seconda volta, sotto i colpi di una violenta burrasca a 90 miglia a sud di Genova, su un fondale di 2640 metri.
Il ruota del timone fu donata all'Ospedale San Martino che aveva assistito i superstiti.
La campana è oggi conservata presso la Chiesa Anglicana di Genova.
La bandiera è stata consegnata alla Capitaneria di Porto.
Fu una tragedia inverosimile, a poche bracciate dalla costa, sotto gli occhi attoniti della città impotente.
UN MITO
Il Cap. RINALDO ENRICO
Foto n.3 Il capitano Rinaldo Enrico durante una simpatica cerimonia
7.1.1971 - “Personaggio dell’anno”
L’investitura di “personaggio dell’anno” il capitano Rinaldo Enrico l’ha ricevuta al Grand Hotel Bristol di Rapallo. A festeggiare il coraggioso e popolare Ufficiale elicotterista dei VVFF c’erano le più importanti Autorità della Regione. Il direttore del Secolo XIX, Piero Ottone ha poi spiegato perché i lettori hanno scelto R.Enrico tra tanti uomini noti come “Personaggio dell’Anno”. “Vi sono stati nella storia recente tanti uomini coraggiosi o temerari come Lindberg, Chichester, Hillary, ma a differenza di loro, Enrico opera non per battere primati, ma per salvare vite altrui”. Alla fine ha preso la parola il personaggio premiato: “E’ un’impresa ardua dover rispondere. E’ l’impresa più ardua di tutto per me e per i miei uomini qui presenti. Mi sento commosso, sono frastornato, mi sembra di volare sopra un banco di nubi, come in paradiso”.
8.5.1973
UN’ALTRA INDELEBILE TRAGEDIA
Precipita in mare l’elicottero del magg. Enrico tradito dalla nebbia.
Foto n.4 Questo é l’elicottero che il Maggiore Rinaldo Enrico aveva sognato per i suoi salvataggi e con il quale ha trovato la morte.
Il mare non ha ancora restituito i corpi del maggiore Rinaldo Enrico, del secondo pilota Ugo Vignolo, del motorista Elio Mignanego e del pilota civile Ugo Roda, i quattro occupanti dell’elicottero Agusta Bell (vedi foto) precipitato in mare a circa cinque miglia a sud di Arenzano, nel tardo pomeriggio di domenica mentre tutta la zona era avvolta da una fitta nebbia; un fenomeno che, se non può essere indicato come la causa principale della tragedia, certo n’è stato un componente. Tra le ultime parole trasmesse dell’elicottero dei Vigili del Fuoco, vi sono infatti le segnalazioni sulla visibilità ridottissima che ostacolavano il rientro dei quattro uomini da un volo d’addestramento compiuto su Albenga. Nelle mani degli uomini, che dalle 19.20 di domenica hanno iniziato una battuta di ricerca senza precedenti, per ora ci sono soltanto vari rottami del velivolo.
Foto n.5 - Questa foto è stata scattata dal Marconista Gino Pernice quando l’autore, al comando del rimorchiatore d’altura “Torregrande”, scortava il peschereccio con i piani di coda recuperati dell’elicottero Agusta Bell del Maggiore Rinaldo Enrico.
Carlo GATTI
13.05.11
27.7.2018-ECLISSI DI LUNA-A RAPALLO CON IL SESTANTE
ASSOCIAZIONE CULTURALE IL SESTANTE
Presidente: STV Enzo GAGGERO
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Occhi puntati al cielo: il 27 luglio un’insolita eclissi lunare
Sarà più lunga del solito, il buio totale durerà 1 ora e 43 minuti
ECLISSI TOTALE. LA TERRA SARA’ AL BUIO PER OLTRE 103 MINUTI, SI CHIAMA: “LUNA DI SANGUE” – SARA’ L’ECLISSI PiU’ LUNGA DEL SECOLO.
Dal Secolo XIX riportiamo:
Genova - La notte del 27 luglio si verifica una eclissi di luna. Che si presenterà rossa. Uno spettacolo straordinario perchè contestualmente ci sarà una performance anche di Marte. Dunque occhi rivolti al cielo, dai terrazzi, dalle spianate, dalle spiagge ma anche dai due osservatori astronomici di Genova che si trovano sul Righi e sulle alture di Sestri Ponente.
Dove gruppi di volontari, per lo piu ingegneri ma non solo, affiancheranno coloro che vorranno meglio cogliere, mediante telescopi all’avanguardia, lo spettacolo di Luna e Marte danzanti l’uno “vicino” all’altro. Volontari che sono a disposizione degli appassionati per tutto l’anno con attività anche di divulgazione, per grandi e piccini. L’eclissi di lun sarà lunghissima, quasi due ore. C’è solo da sperare che Giove Pluvio abbia altro da fare.
ECLISSI DI LUNA ROSSA TUTTA PER NOI
testo di Donata Bonometti
Lo sapete già vero? Quella del 27 luglio sarà una nottata che si fissa nella mente e non la lascia più Nuvole permettendo. Si verificherà una eclissi totale di Luna di lunghissima durata, un'ora e 43 minuti. La Luna sorgerà già rossa perchè parzialmente in eclissi, e "nei pressi" della Luna sorgerà Marte. Due fenomeni astronomici straordinari casualmente nella stessa nottata: l'eclissi totale di Luna e contestualmente Marte nel periodo di migliore osservabilità degli ultimi 15 anni, la cosiddetta opposizione di Marte perché sorge dalla parte opposta al Sole rispetto alla Terra. Un cielo che riserverà emozioni a non finire. In questi giorni i media dispenseranno spiegazioni certo più dettagliate delle mie. Io intendevo puntare il "mio" telescopio, approfittando di questa...congiunzione astrale, su chi ci aiuta da sempre a prendere confidenza con gli spettacoli del cielo.
A Genova ci sono due squadre di volontari pronti a mettersi a disposizione con i loro strumenti e il loro sapere fino a notte fonda per tutti coloro (e si immagina che sarà un bel numero) che vorranno osservare, e stupirsi, e percepirsi al centro del cielo e della vita stessa mentre Marte e Luna ballano lassù. E del resto non era forse Platone a sostenere che l'astronomia ci trasporta da questo mondo ad un altro? Vi sembrerà quasi di toccarlo quel mondo grazie a strumentazioni all'avanguardia come, fra gli altri, il telescopio Nexstar 11 pollici che i volontari sanno gestire come veri scienziati.
Walter Riva, geografo e giornalista scientifico, è il responsabile dell'Osservatorio Astronomico del Righi, un gruppo di venti volontari, tranne la responsabile della didattica che di professione é planetarista. Metà circa sono donne, tre i pensionati, gli altri volontari giovani o di mezza età, una passione sconfinata ad unirli e a trasformarli in diligenti turnisti per affiancare chi vuole immergersi nello spettacolo notturno. E sono più di seimila all'anno i visitatori...
Tra i volontari c'è un pensionato, ex bancario, che è il piu ferrato sulla luna di cui conosce cratere per cratere, e numerosi sono gli ingegneri elettrici, elettronici, informatici la cui competenza è essenziale, e insieme ci sono degli artisti che disegnano le storie che animano i racconti nel planetario. Insomma un ensemble di grande raffinatezza che anche gli astri apprezzerano. "L'abbiamo tutti la passione per le stelle, riflette Walter Riva, se uno é indifferente al mondo dell'astronomia é perché ha dentro di sè il rifiuto o la paura delle grandi dimensioni. Perché l'astronomia ti fa sentire naturalmente piccolo, inadeguato, l'astronomia che è fatta di micro dimensioni, le particelle, o di macro dimensioni, i corpi celesti. Se ci pensa è l'uomo che si trova nel mezzo e ciò gli comunica, davanti al cielo stellato, un naturale senso di straniamento ..." L'Osservatorio del Righi, aperto negli anni Trenta, dopo aver vissuto anni di abbandono, è rinato grazie ad una associazione di cacciatori nel 2001, affidandolo quindi all'odierno gruppo di volontari. La didattica e la divulgazione sono attività e passioni prevalenti, ma si fa anche ricerca. Soprattutto sui meteoriti.
Spostiamoci a ponente di Genova sulle alture di Sestri. Spostiamoci anche indietro nel tempo sbarcando nel 1961 quando, dopo una eclissi di sole indimenticabile (per chi c'era, io c'ero e ancorchè piccola avverto ancora sulla pelle la sensazione impressionante di freddo e di buio) l'Università Popolare Sestrese ( dal 1907 a disposizione di chi vuole arricchire il proprio tempo libero e le proprie conoscenze) decise di fondare l'Osservatorio Astronomico di Genova. Oggi è una onlus con una cinquantina di iscritti: si occupano delle aperture mensili, il primo sabato del mese, e degli eventi come quello del 27 luglio che vedrà una organizzazione con vari punti di avvistamento con strumenti raffinatissimi. Si occupano di ricerca e didattica per adulti e bambini. Non solo trattando tematiche confinate alla ”volta celeste”, ma tutto ciò che riconduce alla materia astronomica; come la sensibilizzazione dei ragazzi al problema sempre più incombente dell’inquinamento luminoso nelle città, oppure il rapporto delle antiche civiltà con l’astronomia, di cui resta traccia per esempio nelle costellazioni celesti dai nomi mitologici.
Commenta il direttore Enrico Giordano, ingegnere "L'astronomia chiede divulgazione, perchè è materia spesso travisata, vittima di un certo pressapochismo...l'astronomia che potrebbe essere un modo di vivere se solo si imparasse a rivolgere gli occhi al cielo più spesso. Una abitudine che rivoluzionerebbe il modo di vedere il nostro stesso mondo. Cosi piccolo davvero...."
L'Osservatorio Astronomico del Righi è in via Mura delle Chiappe 44 rosso, email: osservatoriorighi@gmail.com.
Cell divulgazione 3475859662
L'Osservatorio Astronomico di Genova è in via Superiore al Gazzo, telefono 0106123090, sito web www.oagenova.it
Rapallo, 26 Luglio 2018
A cura di Carlo Gatti (webmaster)
NAVIGANDO CON L'HURTIGRUTEN...
NAVIGANDO CON L’HURTIGRUTEN...
Navigando nel Trollfjord
Abbiamo riportato la mappa del tratto integrale del viaggio sul quale si può osservare la rotta dei postali dell'Hurtigruten (linea rossa) da Bergen a Kirkenes. Non occorre essere esperti capitani di lungo corso per capire quanta perizia sia necessaria per trasformare le oggettive difficoltà nautiche in semplice routine giornaliera.
Intorno al 1970 il mondo dei trasporti voltò pagina. Gli aerei sostituirono le navi di Linea e queste si convertirono in navi da crociera. La norvegese Hurtigruten fu l’unica Società che sopravvisse a quel passaggio epocale e continuò la sua Linea conservando a tutt’oggi le iniziali caratteristiche di trasporto merci e passeggeri. Oggi le sue 13 navi sono in grado di sostenere, con gran successo, la concorrenza delle blasonate navi da crociera che a flotte visitano le bellezze naturali della Norvegia.
- Collegamenti marittimi per tutti i mesi dell’anno tra le città della Norvegia, molte delle quali sarebbero completamente isolate.
- Collegamenti commerciali con transiti di merci lungo tutto il territorio Nord-Sud.
- Ottimi investimenti nelle costruzioni di navi eleganti e funzionali anche per il settore crocieristico nella bella stagione.
Il pieno successo di questa Società è quindi dovuto alla ormai collaudata capacità manageriale di adattare le proprie navi, il proprio personale e le strutture di terra a questa triplice domanda di SERVIZI.
Questa foto ripresa dalla M/n Richard With (larghezza 20 metri) rende una parziale idea dello stretto di Stokksund (poco a nord di Trondheim) che è largo appena 70 metri. La rotta di ritorno prevede il passaggio notturno di questo stretto.
Dobbiamo subito dire che i comandanti norvegesi, disponendo del PEC (patente di pilotaggio), portano i turisti a sfiorare i punti più attraenti della rotta costiera che oggi è considerata, non a torto, la più spettacolare del mondo. Per chi non ha problemi di denaro e di tempo, il viaggio Bergen-Kirkenes e ritorno, dura due settimane e scala ben 36 porti, ma in pratica il turista può salire e scendere dove meglio crede, programmando le soste e le escursioni dei suoi sogni: a partire proprio dal Sognefjord (Bergen), per continuare nel ramificato Geirangerfjord (Ålesund) dentro il quale rimarrà senza parole dinanzi alle cascate che precipitano in mare da centinaia di metri d’altezza.
La natura mozzafiato s’intreccia con le baie dove si avvistano balene, orche e aquile di mare durante le loro abbuffate stagionali.
Navi moderne, equipaggi efficientissimi, ottima cucina internazionale, natura splendida, sono questi gli ingredienti di una vacanza che i norvegesi hanno affinato e perfezionato nel tempo per lasciare nel turista un ricordo indelebile.
Le sette sorelle nel fiordo di Geiranger
Ma c’è un aspetto del viaggio che merita di essere rilevato, ed è il contatto giornaliero con gli abitanti dei porti scalati, che ci permette di scoprire ad esempio, che gli aristocratici abitanti di Bergen hanno un tratto in comune con i nostri Leghisti forse perchè ricordano, con nostalgia, d’essere stati un importante baluardo commerciale della Lega Hanseatica.
Si scopre inoltre che quasi tutte le città toccate, grandi e piccole, hanno allestito per i turisti, interessanti e documentati “War Museum” della 2° Guerra Mondiale dei quali, dopo 65 anni dalla fine della guerra, non c’è traccia nel nostro Paese.
C’è persino una Camogli del Nord, si chiama Ålesund e vanta il più antico Istituto Nautico nazionale dal quale escono buona parte di capitani dell’immensa flotta mercantile che, pensate, è piazzata ai primissimi posti nella classifica mondiale, pur avendo soltanto 3,5 milioni d’abitanti.
La facciata ovest, iniziata nel 1248, è la parte più caratteristica della cattedrale di Nidaros (antico nome della città di Trondheim). La chiesa ospita anche celebrazioni liturgiche di fedi diverse: cattoliche, greco-ortodosse, copte e anglicane. La musica ha un ruolo importante nella vita religiosa della cattedrale, e ci sono ben 5 cori con un totale di 300 cantori.
Proseguendo verso nord, si scala Trondheim che incorona i suoi Reali nella più antica cattedrale della Norvegia, chiamata Nidaros che fu un caposaldo del cattolicesimo scandinavo prima di M. Lutero.
L’ultimo porto che si tocca prima d’entrare nel Vestfjord, è Bodø, capitale delle aringhe. La città fu ricostruita interamente dopo i bombardamenti dei tedeschi nel maggio del 1940. D’obbligo è la visita del Museo dell’Aviazione che è tra i più importanti al mondo.
Hamnøy-Lofoten
Il viaggio prosegue per Stamsund e Svolvær (isole Lofoten). La patria del merluzzo (stoccafisso e baccalà) accoglie il turista con una cintura di picchi alti, neri e lunari e ci si trova al centro di curiosi villaggi di pescatori che vivono in casette di legno colorato, poggiate su palafitte che assorbono le variazioni della marea (circa tre metri) e oggi sono diventate, solo in parte, confortevoli e ospitali Bed & Breakfast con possibilità d’alloggio completamente arredato. Qui, la sosta riveste un significato particolare per noi italiani, sia per lo stoccafisso di cui siamo i maggiori consumatori (ne abbiamo già scritto sul MARE) sia per la storia dell’ammiraglio veneziano Quirini che naufragò da queste parti e lasciò, insieme al suo equipaggio, indiscutibili segnali nella toponomastica locale, ma anche negli occhi e nei capelli scuri della popolazione. Avevano fatto naufragio nella piccola isola di Røst durante la stagione della pesca al merluzzo e i pescatori si trovavano al largo in ben altre cose affaccendati...
Si tratta, in buona sostanza, di un turismo particolare, nel quale si respira l’atmosfera di un mondo discreto, riservato e lontanissimo dagli schiamazzi sud-europei. Qui la gente è semplice, genuina e riesce ancora a meravigliarsi delle albe boreali, del sole che non tramonta mai d’estate e dell’oscurità invernale che è mitigata soltanto dal tenue riflesso della neve sui pendii.
Una bella immagine della RICHARD WITH
La Richard With nel porto di Ålesund. La nave costruita nel 1993, ha una stazza di 11.200 tons, una lunghezza di 122 metri, può trasportare 691 passeggeri, 45 auto ed ha una capacità di stiva di 1005 mq. A destra la passeggera Gun Oskarsson in escursione con il marito, autore di questo servizio.
La Norvegia con i Postali dei Fiordi
La Storia dell’Hurtigruten
La linea postale dei fiordi Bergen-Kirkenes e ritorno, scala ben 36 porti e porticcioli; le tredici navi che compongono la flotta sono le eredi di ben 70 navi che le hanno precedute dalla sua fondazione.
La storia di questa società di navigazione è nota con il nome di HURTIGRUTEN e merita un brevissimo racconto.
La conformazione geografica della Norvegia è caratterizzata da innumerevoli isole rocciose (il cosiddetto skjargård, o giardino degli scogli), che fronteggiano le coste per tutta la sua lunghezza: si tratta per lo più delle aguzze sommità emerse di un'esigua piattaforma costiera frantumata dalle erosioni marine e glaciali.
Questa foto con i gabbiani in controluce, ci racconta la Norvegia più di tante parole.
Come abbiamo già detto all’inizio, a causa di questa sua tipicità, la Norvegia ha sviluppato più linee di navigazione che strade, autostrade e ferrovie. Il collegamento tra le piccole e grandi città della costa è sempre stato più rapido via mare, sia per la temperatura della Corrente del Golfo che non permette la formazione di ghiaccio lungo la frastagliata linea costiera, sia perchè intorno all’industria del pescato, è sempre gravitata la maggiore economia del Paese: l’industria ittica.
L’antico problema dei collegamenti tra il lontano Nord e il meridione del Paese, fu sempre all’ordine del giorno dei Governi fin dall’inizio della Rivoluzione Industriale, ma subì un notevole ritardo a causa degli irrisolti problemi nautici dovuti al buio invernale e alle tempeste da ovest; le navi erano piccole, di legno e non esisteva il radar...
La svolta arrivò nel 1891. Inizialmente l’idea governativa di costituire una linea celere che avrebbe collegato via mare Trondheim (centro-Norvegia) con Hammerfest (nord-Norvegia), fu declinata dalle due maggiori compagnie marittime del tempo, perchè ritenuta troppo pericolosa, se non impossibile. A quel tempo esistevano soltanto due carte nautiche idrografiche e 28 fari a nord di Trondheim.
La sfida fu tuttavia accolta dal capitano Richard Whit che aveva raccolto, nel frattempo, dati idrografici d’estrema importanza e attendibilità sulla navigazione costiera del percorso indicato.
Contro ogni previsione, la sua disponibilità ad intraprendere il viaggio fu accettata con grande interesse dallo Stato. Il 2 luglio 1893 la m/n Vesterålen, al comando del coraggioso R. With, salpò da Hammerfest ed inaugurò la linea. L’impresa ebbe grande risonanza e diede il via ad una vera rivoluzione nei trasporti navali norvegesi.
Nacque in questo modo la Linea dell’Espresso Postale, una vera istituzione nazionale, che prese il nome di HURTIGRUTEN il cui significato è riferito alle parole norvegesi “Hurtig” (rapido) e “Ruten” (strada).
Il pionieristico viaggio della Vesterålen favorì tante opportunità, sia per la popolazione che per l’economia costiera e nazionale. Un esempio rilevante è indicato dalla velocità del servizio postale: in passato erano necessarie tre settimane d’estate e cinque d’inverno per consegnare a Hammerfest una lettera spedita da Trondheim, con l’Hurtigruten, il tempo si riduceva a qualche giorno.
Tra i meridiani e i paralleli di questo segnale, passa il Circolo Polare Artico (lat. 66° 33’ Nord).
Con un colpo di magia, cessò il millenario isolamento dei più sperduti villaggi a nord del Circolo Polare Artico. Con l’impiego di navi sempre più moderne, aumentarono anche i porti che erano scalati regolarmente di giorno, di notte e durante tutto l’anno sulle due direttrici: nord-sud. Insieme alla merce cominciarono a viaggiare anche i norvegesi che non avevano altro mezzo per muoversi in un paesaggio tanto affascinante quanto difficile e per certi versi ostile.
Navigazione “molto” costiera tra gli scogli dell’arcipelago norvegese.
Un aspetto interessante di questa storia è che la linea Hurtigruten diventò, da quel maiden voyage, una fucina d’esperti comandanti e ufficiali che in qualsiasi condizione meteo portano a compimento i loro viaggi navigando a poche decine di metri dagli scogli, con la stessa perizia di un pilota portuale abituato a sfiorare letteralmente le dighe e le banchine portuali. Questa specializzazione, una volta acquisita, va ad integrare la loro professionalità di comandanti d’altomare, che in precedenza era limitata alla gestione della navigazione in spazi aperti, quando il loro occhio non era sufficientemente esercitato a districarsi in passaggi ristretti d’indubbia pericolosità.
Dinanzi a tanto coraggio e abilità di manovra occorre fare chapeau alla tradizione marinara norvegese che, occorre precisarlo, non è certo figlia dell’improvvisazione. Per ogni marinaio di queste parti, cimentarsi sulla rotta dell’Hurtigruten, rappresenta il rito d’iniziazione ad una vita difficile che presuppone la perfetta conoscenza di migliaia d’isole, nonché la miriade di scogli che affiorano con la bassa marea e spariscono sotto il pelo dell’acqua con l’alta marea.
Arte marinaresca e tradizione sono scritte sul biglietto da visita di questi comandanti nordici che fin dall’infanzia sono abituati a sfidare le tempeste, il freddo e il ghiaccio per sopravvivere. Non si passa vicino agli scogli soltanto per poterli ammirare...o per esibizionismo, la vera ragione è che la nave deve seguire il percorso più sicuro, ma anche il più breve, perchè da sempre:
TIME IS MONEY
Hurtigruten, il Postale dei Fiordi – crociera da Kirkenes a Bergen (rotta sud).
Viaggio: 6 giorni/5 notti, partenze giornaliere
Le 11 navi della flotta Hurtigruten tutti i giorni dell’anno solcano le acque atlantiche della Norvegia collegando tra loro Bergen, la “Capitale dei Fiordi”, e Kirkenes, nell’estremo nord, a ridosso del confine russo.
Tra di loro altri 32 scali: importanti città come Trondheim e Tromsø; insediamenti dalla storia millenaria; piccoli villaggi di pescatori; le pittoresche isole Lofoten, con le montagne a strapiombo sul mare; il massiccio di Capo Nord, punto più settentrionale del continente europeo e tappa mitica per i viaggiatori di ogni epoca. E soprattutto la linea del Circolo Polare Artico, superata la quale si entra nell’area caratterizzata dagli straordinari fenomeni del sole di mezzanotte in estate e dell’aurora boreale nella stagione invernale.
Durante la navigazione lungo la costa norvegese, l’Hurtigruten attracca in 34 porti: in alcuni di questi il tempo di sosta è limitato, in altri la sosta è più lunga, con tempo a disposizione per una visita individuale o per partecipare alle escursioni a terra organizzate dal commissario di bordo.
La flotta dei Postali dei Fiordi
12 navi che navigano lungo la costa norvegese variano per dimensioni ed età.
MS SPITSBERGEN
La nave più recente, la MS Spitsbergen, prende il nome dall’isola di Spitsbergen nell’arcipelago delle Svalbard, la corona Artica della Norvegia. Gli interni di questa nave moderna ed eco-sostenibile sono stati disegnati dalla svedese Tillberg, il più importante studio di architettura e interni nautici al mondo.
MS FINNMARKEN
A bordo della MS Finnmarken si trova una combinazione tra l’atmosfera rilassata di Hurtigruten e un tocco di lusso. La nave è arredata e decorata splendidamente nello stile Art Deco, con colori vividi, forme geometriche ardite e decorazioni sfarzose. È l’unica nave della flotta ad essere dotata sia di una piscina che di vasche idromassaggio sul ponte.
MS MIDNATSOL
La MS Midnatsol (Sole di Mezzanotte) è dedicata all’estate norvegese. Le luminose decorazioni interne sono ispirate al caldo clima estivo, un tema che si riflette anche nei numerosi esempi di arte norvegese moderna esposti a bordo. Il salone panoramico a due piani della MS Midnatsol permette alla luce naturale di riversarvisi all’interno e garantendo viste panoramiche straordinarie.
MS TROLLFJORD
Questa nave prende il suo nome dal famoso fiordo Trollfjord nel nord della Norvegia. Gli interni sono confortevoli con un ampio impiego di legno e pietra norvegese. Lo spazioso salone panoramico a due piani sopra la prua e le ampie vetrate permettono alla luce naturale di illuminare la nave garantendo al tempo stesso viste straordinarie per i nostri ospiti.
MS NORDNORGE
“Nord-Norge” si traduce: Norvegia del Nord, una regione situata a nord del circolo polare artico. I nuovi interni, eleganti e con un moderno tocco nordico, riflettono il paesaggio ruvido e mozzafiato della Norvegia artica. Dopo giornate passate a sperimentare l’ampia selezione di escursioni e attività, la sera ci si può rilassare nell’elegante atmosfera marinara di bordo.
MS NORDKAPP
La MS Nordkapp prende il nome da Capo Nord, uno dei pezzi forti del viaggio a bordo di Hurtigruten che, ad una latitudine di 71° N, è il punto più a nord dell’Europa continentale. La nave è completamente equipaggiata con il suo team di esplorazione. Gli interni in stile scandinavo sono eleganti ma non pretenziosi, creando il contesto ideale per un’esplorazione dinamica della costa norvegese.
MS KONG HARALD
Pur dovendo il suo nome a re Harald di Norvegia, questa nave rinnovata offre interni moderni ed eleganti con un’atmosfera molto rilassante. Molti dei materiali utilizzati a bordo sono naturali, come il legno, l’ardesia e il cuoio. La paletta dei colori riflette i diversi paesaggi costieri che i turisti incontreranno durante il viaggio.
MS NORDLYS
La nave MS Nordlys prende il nome dallo spettacolare fenomeno dell’Aurora Boreale. Le opere d’arte, le decorazioni e i colori a bordo della nave si ispirano alla magia di questo spettacolo di luci.
MS RICHARD WITH
Bodø: incontro tra una riproduzione di una barca vikinga e un Postale Hurtifìgruten
La nave MS Richard With prende il nome dal fondatore di Hurtigruten. A bordo si apprezzano le decorazioni della celebre famiglia Harr. I saloni panoramici viziano l'esigente turista con viste indimenticabili sul panorama circostante.
MS POLARLYS
La nave Polarlys-Hurtigruten nel Geirangerfiord
MS «Polarlys» sotto il ponte Sortlandsbrua.
Polarlys una parola norvegese che indica il fenomeno dell’aurora boreale. I nuovi interni della nave richiamano lo stupefacente panorama costiero della Norvegia, con la gamma di colori che va dal marrone e l’arancione del terreno alle sfumature verdi e blu del mare e dei fiordi.
MS VESTERÅLEN
La MS Vesterålen prende il nome dalla prima nave della flotta Hurtigruten a navigare lungo la costa nel lontano 1893. La nave è caratterizzata da luminosi saloni e vivaci aree comuni. Grazie alla bassa capacità di posti a bordo e la possibilità di toccare con mano la storia di Hurtigruten, un viaggio sulla MS Vesterålen è senza dubbio un’esperienza unica.
MS NORDNORGE
MS FRAM
Una nuova nave, la Fram, chiamata così in onore della nave Fram della spedizione di Fridtjof Nansen è stata costruita alla fine del 2007 per sostituire le veterane Lofoten e Nordstjernen.
ALBUM FOTOGRAFICO
Vesteraalen fu la prima nave HURTIGRUTEN
Il percorso dell'Hurtigruten è nato nel 1893 da un progetto governativo per incrementare le comunicazioni lungo la costa della Norvegia. Originariamente solo una compagnia di navigazione, la Vesteraalens Dampskibsselsskab (VDS), era disposta a intraprendere il lungo e pericoloso viaggio, in particolare durante il lungo e buio inverno. Hurtigruten, che si può tradurre come il viaggio espresso, ha rappresentato un'innovazione notevole per le comunità lungo il percorso, se prima la posta per arrivare dalla Norvegia centrale ad Hammerfest impiegava 3 settimane in estate e 5 mesi in inverno, ora avrebbe potuto impiegarci solo 7 giorni.
Nel 1894, dato il successo dell´impresa, altre due compagnie norvegesi richiesero allo stato la concessione di operare sotto le insegne Hurtigruten, e già nel 1898 la rotta venne estesa a Sud fino a Bergen, porto di partenza delle navi e poco più tardi anche a Nord fino a Kirkenes, al confine con la Russia. Del 1894 è anche il primo catalogo riservato alla Francia e alla Gran Bretagna, non solo per le merci ma anche per i passeggeri, nasceva già da allora il turismo crocieristico dell´area. Incoraggiate dal successo iniziale della Vesteraalen, molte altre compagnie ottennero la concessione statale per poter effettuare il viaggio; espandendo così il servizio dell'Hurtigruten fino al livello attuale. Nel 1912 viene introdotta la prima Finnmaker, nome che segnerà la storia dell´azienda, la seconda Finnmaker del 1956, è oggi, un museo su terra che ci illustra l'evoluzione dell´azienda nei secoli. Nel 1925, inoltre, il britannico Yacht Alexandra viene ceduto all´azienda. Esso, sotto il nome Prins Olav, con i suoi 20 nodi rappresentava la nave più veloce operante nei mari norvegesi.
L´arrivo del nuovo millennio, e il “boom” crocieristico segna anche una fase di notevole espansione per Hurtigruten, nel 2002 si dà avvio al piano di costruzione delle nuove moderne navi da crociera e nel 2003, per la prima volta nella storia dell´azienda, una nave del gruppo viene inaugurata al di fuori dei confini statali, ad Amburgo, in Germania.
L'antica nave FINNMARKEN, (precedente all'attuale Finnmarken) costruita nel 1956, è stata convertita in museo su terra ed è usata per mostrare come l'Hurtigruten si è evoluto nel corso degli anni. Ci sono ancora due navi, tuttora funzionanti, risalenti agli stessi anni della vecchia Finnmarken, la Nordstjernen (costruita nel 1956) e la Lofoten (1964), anche se vengono utilizzate solo in sostituzione delle ben più lussuose navi che effettuano le crociere antartiche durante lo stesso periodo. Tutte le altre navi sono costruite tra il 1982 e il 2003, la maggior parte tra la fine degli anni novanta e l'inizio del 2000.
SIRIUS - Fu la seconda nave costruita nel 1809 per il traffico Hurtigruten
M/s ERLING JARL consegnata nel 1949
M/s NORDSTJERNEN
M/s LOFOTEN
(Scipione D'Este in viaggio di nozze con Hanna Karen Gatti)
Tre foto del Torghatten, il monte con il buco.... (Archivio dott. S.D'Este)
Torghatten is a granite mountain on Torget island in Brønnøy municipality in Nordland county, Norway. It is known for its characteristic hole, or natural tunnel, through its center. It is possible to walk up to the tunnel on a well-prepared path, and through it on a natural path.
Incontro con una nave sociale RICHARD WHIT Hurtigruten
Varata ad Oslo nel 1964, la MS Lofoten offre un viaggio nei ricordi tra atmosfere intime ed informali. La nave prende il nome dalle isole Lofoten, poco a nord del Circolo Polare Artico. La storia di Hurtigruten è al centro della navigazione sulla MS Lofoten. Godetevi saloni unici e ponti panoramici perché questa “vecchia signora” è unica.
LA FLOTTA HURTIGRUTEN DAL 1893
Nome Varo - Arma. - In servizio
DS VESTERÅLEN: ..........1891 ---- VDS --- 1893-1941
DS SIRIUS: ...................1885 ---- BDS --- 1894-1895
DS OLAF KYRRE:............ 1885 --- NFDS --- 1895, 1899-1903
DS ERLING JARL: ..........1895 --- NFDS --- 1895-96, 1897-41,42-43
DS JUPITER:.................. 1856 --- BDS --- 1896-97, 1904, 1907-10
DS ORION: .....................1874 ------ BDS --- 1898-1903
DS KONG HALFDAN: .......1874 --- NFDS ---1898-1907
DS CAPELLA: .................1885 --- BDS ---1898-1905, 1910-'12
DS RØST:....................... 1898 --- VDS --- 1899-1919
DS ASTRAEA:................. 1900 --- BDS --- 1900-1910
DS HAAKON ADALSTEIN: 1873 --- NFDS ---1902, 1905-'30
DS LYRA:........................ 1905 --- BDS ---1905-1913
DS SIGURD JARL: ...........1894 --- NFDS --- -1907-1940
DS RICHARD WITH: ....... 1909 --- VDS -----1909-1941
DS MIDNATSOL: ............. 1910 --- BDS ---- 1910-1950
DS POLARLYS: .................1912 --- BDS ---- 1912-1951
DS FINMARKEN:.............. 1912 --- VDS --- - 1912-1956
DS HERA:........................ 1889 --- BDS --- 1913-1931
DS HAAKON JARL: ...........1879 --- NFDS --- 1914-1924
DS OLAF TRYGVESØN: .....1876 --- NFDS --- 1919-1921
DS KONG HAAKON:......... 1904 --- DSD --- -- 1919-27
1941-44, 1946-50
DS KONG HARALD: --------1890 --- NFDS --- 1919-1950
DS NEPTUN: ....................1890 --- BDS --- 1919.1921
DS HAAKON VII : ............1907 --- NFDS --- 1923-1929
DS DRONNING MAUD:..... 1925 --- NFDS --- 1925-1940
DS SANCT SVITHUN: .......1927 --- DSD --- 1927-1943
DS MIRA: ........................1891 --- BDS --- 1927-1937, 1941
DS KONG GUDRØD: .........1910 --- NFDS --- 1930-1935
DS IRMA:........................ 1905 --- BDS --- 1931-1944
DS PRINSESSE RAGNHILD: 1931 -- NFDS -- 1931-1940
DS LOFOTEN:.................... 1932 ......... VDS ---- 1932-1964
DS NORDNORGE……….........1924 …........ODS …… 1936-1940
DS PRINS OLAV ………..........1907…….....NFDS…….1937-1940
DS NORDSTJERNEN…..........1937……......BDS……..1937-1954
DS ARADNE……………...........1930……......BDS……. 1939-1940
DS BARØY ………………..........1929……......ODS…….1940-1941
DS RYFYLKE……………...........1917……......DSD……..1940-1941
MS HADSEL……………….........1940……......VDS……..1941-1950
MS RAGNVALD………….........1930……......NFDS…….1942-1956
DS SIGURD JARL……...........1942……......NFDS…….1942-1960
DS CHRISTIANIA……..........1895........DSD-NFDS....’44,’47,’48
DS SKJERSTAD………...........1925.............NDS……..1945-1958
DS LYRA………………….........1012............BDS……....1945-1950
DS TORDENSKJOLD…..........1906…........NFDS……..1946-1950
DS OSLO………………….........1929..........DS.NFDS……....1948
DS OTTAR JARL………..........1929……....NFDS…….1947-1948
DS SALTDAL……………........1884…........NDS………1946-1950
DS DRONNINGEN……..........1894….........VDS……1941-1946
DS LYNGEN……………….......1931…..........TFDS…..1948-1949
MS ERLING JARL……...........1949…........NFDS…….1949-1980
MS MIDNATSOL……….........1949…..BDS,TFDS...... 1949-1983
MS VESTEÅLEN………...........1950…......VDS……….1950-1983
MS SANCT SVITHUM...........1950….......DSD………1950-1962
DS KRONPRINSESSE MÄRTA .1929…..DSD……..1950-1962
MS ALTA……………………......1950….........FFR…1950.52.53.58
MS SORØY...........................1950..............FFR.......1950-1965
MS NORDLYS.....................1951.......BDS,TFDS......1951.1983
MS HÅKON JARL.................1952.....NFDS,ODS.....1952-1982
MS POLARLYS…………........1952......BDS,TFDS.....1952-1993
MS BARØY……………….......1952……....ODS…….. 1953-1964
MS SALTEN………………......1953…..SDS…1953-59,1962-64
DS JUPITER........................1916.....BDS............1954-1955
MS METEOR.......................1965....BDS............1955-1958
MS NORDTJERNEN............1956..BDS-TFDS.....1956-1994
MS FINNMARKEN...............1956...VDS-OVDS...1956-1994
RAGNVALD JARL..............1956…NFDS-TFDS..1956-1995
MS HARALD JARL.............1960..NFDS-TFDS..1960-2001
LOFOTEN………………….....1964.VDS-FFR.OVDS-HRG-’64
MS KONG OLAV……….......1964.DSD-VDS-OVDS, 1964-’97
MS NORDNORGE...............1964..ODS-OVDS..1964-1996
MS MIDNATSOL................1982..TFDS-HRG....1983-2001
MS NARVIK.......................1982..ODS-OVDS...1982-2007
MS VESTERÅLEN...............1983..VDS-OVDS-HRG....1983
KONG HERALD..................1993....TFDS-HRG..........1993
MS RICHARD WITH...........1993....OVDS-HRG.........1993
MS NORDKAP…………........1996…..OVDS-HRG……..1996
MS POLARLYS…………..... 1996…..TFDS-HRG……….1996
MS NORDNORGE…….......1997…..OVDS-HRG………1997
MS FINNMARKEN……......2002….OVDS-HRG……….2002
MS TROLLFJORD.............2002….TFDS-HRG………..2002
MS MIDNATSOL……….... 2003….TFDS-HRG………..2003
MS FRAM…………………....2007…HURT.ASA-HRG….2007
CARLO GATTI
13 Giugno 2017
MARINERIA NELLA ANTICA ROMA
MARINERIA NELLA ANTICA ROMA
Uno dei tanti misteri irrisolti riguardante Roma Imperiale è il capire come i romani riuscissero a costruire delle flotte di notevole consistenza in tempi incredibilmente celeri.
TRIREME
Replica di un CORVUS in primo piano
La più sorprendente flotta fu approntata nel 260 a.C. in 60 giorni dal taglio degli alberi: comprendeva 100 quinqueremi e 20 trireme che, mancando di esperienza, le copiarono dai Cartaginesi. Poi, nel 254 a.C. misero in acqua in soli tre mesi, 220 quinqueremi e durante la prima guerra Punica, costruirono ben 900 quinqueremi. Inesperti marinai, i romani specialisti sulla terra ferma, inventarono il “corvo”, passerella rostrata che agganciava il battello nemico trasformando l’arrembaggio in una battaglia “in piano”, famigliare ai legionari.
Nella seconda guerra contro Cartagine, iniziarono con 220 per passare, sotto l’impulso che diede Scipione, a 30 nuove poliremi utilizzate come scorta delle prime che erano destinate a portare tutto l’occorrente per sbarcare in Africa e distruggere Cartagine. Queste 30 le approntarono in 44 giorni dall’arrivo del legname in cantiere e, siamo nel 205 a.C.
Da lì in poi il Mediterraneo fu veramente < Mare nostrum>. Iniziando da Pompeo e sino ad Ottaviano Augusto (30-23 a.C.), Roma raggiunse e mantenne la completa egemonia sul mare.
Questa sorprendente potenzialità, và anche detto che molte navi erano realizzate con legname ancora fresco rivelandosi quindi di difficile governo, si pensa dipendesse dalle tecniche di assemblaggio di elementi prefabbricati ma questo non basta a spiegarne la rapidità di allestimento. Tutto fa pensare che contemporaneamente lavorassero più cantieri disseminati lungo il Tevere visto che tutte le flotte, nel III secolo, partivano o da Roma o da Ostia.
Modellino statico di una BIREME
Una bireme è un tipo di imbarcazione a vela e a remi, diffusa principalmente nell'età classica: si trattava di un'imbarcazione, prevalentemente destinata a usi militari, con la particolarità di avere una doppia fila di remi su ogni fiancata, da cui deriva il nome.
Le navi da guerra più usate furono: le BIREME, lunghe 23 metri e larghe 3, disponevano di due file di rematori seduti nella stessa panca;
Classica rappresentazione pittorica della TRIREME
la TRIREME, lunga 40 metri e larga 5,5 era la più comune, pesava 250 tonnellate e contava su 156 rematori più l’equipaggio e i militi; cosiddetta perché disponeva di tre serie di rematori.
QUADRIREMI. Cosiddetta perché disponeva di quattro ordini di rematori
QUINQUIREMI. Cosiddetta perché disponeva di cinque ordini di rematori.
la QUADRIREME, 48 metri per 8,10 con 240 rematori e infine la QUINQUIREMI, nave veloce che, per essere tale, venne costruita utilizzando una struttura più leggera del solito per cui il mare ne disfece i resti affondati senza lasciarcene reperti, e quindi non si possono sapere con precisione le proporzioni. Plinio dice che avevano 470 uomini a bordo di cui 300 rematori, 120 armati e 50 membri dell’equipaggio. Per essere veloci pescavano attorno al metro. Và anche detto che i rematori, all’epoca, non erano schiavi ma stipendiati, reclutati nelle classi più povere, la quinta e non incatenati e, solo eventualmente se carenti, rinforzati con galeotti o schiavi.
Ma torniamo all’importanza e alla costruzione delle navi.P er il commercio e l’approvvigionamento alimentare dell’Impero, si utilizzavano, oltre alle navi dei fornitori stranieri, anche e soprattutto le proprie navi ‘onerarie’. Tondeggianti, pescavano circa 3 metri ed erano di varie dimensioni, oggi ben documentate negli interessanti Musei archeologici in cui sono custoditi tutti i reperti rinvenuti, frutto di campagne di ricerche subacquee.
In genere erano galere a propulsione mista, cioè remi e vele quadre che venivano issate su di un albero, o due o tre a seconda della capacità di trasporto delle navi stesse. Una apposita flottiglia era dedicata esclusivamente ad approvvigionare il grano proveniente dalle varie regioni mediterranee.
Chi faceva giungere derrate dalle 70 tonnellate in su, godeva di vantaggi concessi da Roma sui canoni di noleggio, pur di essere approvvigionata. E’ ragionevole stimare che la stessa fosse abitata, mediamente, da circa 800.000 persone e che tutti i giorni venissero distribuiti quasi gratis a pressoché 650.000 persone, sia il frumento che la carne di maiale. Sotto i vari Imperatori, i “beneficiari” e le “quantità”variavano a seconda del consenso che il Governante di turno desiderava ricavarne. Facile quindi immaginare la quantità di derrate che dovevano arrivare a Roma tutti i giorni perché non tutte erano immagazzinabili; ci si nutriva con legumi, cereali, grano e farro; ortaggi, frutta, vino e olio che giungeva da tutto il Mediterraneo; basti pensare che la collina dell’attuale Parco del Testaccio, al Porto di Ripa Grande ( Emporium), è sorta a furia di accumularvi i cocci di 25 milioni di anfore utilizzate per trasportare grano, olio e semiliquidi da Ostia a Roma, risalendo il Tevere con barconi trainati da bufali. Molto presente la carne suina, caprina e ovina in genere allevata in zona (agro pontino) oltre alla selvaggina quali il ghiro o l’asino selvatico, passando per i cinghiali e le lepri; molto presenti le costose spezie orientali già allora provenienti dalla Persia o dall’India. La carne bovina, da prima ritenuta di animale sacro e poi da lavoro, era poco utilizzata. C’era un grande consumo di oche, polli, uova e piccoli volatili; non mancava il consumo di latte di capra ma molto meno quello di vacca. Il dolcificante era il miele; il pesce lo si gustava sia che fosse d’acqua dolce che di mare. Con un tale consumo di derrate alimentari, l’efficienza della flotta aveva un’importanza vitale perché molte merci, specie le più “sofisticate”, arrivavano alle banchine di carico dalle più svariate parti del mondo conosciuto, magari attraversando deserti a dorso di cammello, passando persino da quelle zone sconosciute ai Romani e che loro indicavano con <hic sunt leones>.
La mancanza degli attuali mezzi di conservazione obbligava a consumare presto certe derrate che dovevano quindi arrivare subito all’Urbe.
MADRAGUE DE GIENS 75 - 60 a. C. - Scoperto nel 1967 in Francia. A circa 20 metri di profondità, a largo della Penisola di Giens, in Francia. Ha una lunghezza di 40 metri e larga 9 metri per un’altezza di 4,5 metri. Lo scavo, durato dieci anni iniziato nel 1972, è stato portato avanti con estrema precisione e rigore scientifico, da Patrice Pomey e Andrè Tchernia. La nave poteva contenere 7000-8000 anfore, come grandezza fino ad ora è seconda solo alla nave di Albenga. È accertato che la nave fu visitata in antico probabilmente ...
Si ha testimonianza nel Museo di Madrague de Giens, Francia, del recupero di una imbarcazione lunga 40 metri da 400 tonnellate contenente 10.000 anfore per il trasporto dell’olio, del vino o del rinomato sugo di pesce (Garum) provenienti dalla Spagna, per un carico pari a 500 tonnellate; per altro oneraria del tutto simile alla nave “A” romana di Albenga; oggi diremmo <della stessa “classe”>. La propulsione era esclusivamente a vela. Va tenuto presente che le speciali anfore utilizzate, a che non si frantumassero con i marosi, venivano appilate e infilate con il “piede”, la parte terminale, fra i colli e le anse di quelle poste al di sotto e poi il tutto stabilizzato con sabbia: immaginarsi quindi il peso complessivo e la difficile manovrabilità di quelle “super” panciute navi. Siccome la navigazione era preferibilmente a vista lungo le coste, in presenza di improvvise tempeste o ventolate, e la rotta proprio quella zona piena di capi percorreva, era facile essere sbattuti dal libeccio o dal maestrale contro gli scogli; da lì i tanti reperti subacquei disseminati lungo quella rotta.
Si ha descrizione di navi ancora più grandi, tanto da non potere navigare lungo il Tevere e addirittura presentavano difficoltà a ormeggiarsi persino nei due porti che Roma si costruì ad Ostia: quello di Claudio prima ed il successivo di Traiano, un vero gioiello esagonale (vedere: Storia Navale- Articoli Storia n° 101). Si sa che è esistita una nave attrezzata per portare l’obelisco di Caligola (1.500 ton.) e altre grandi, costruite per specifici trasporti speciali. Le imbarcazioni erano realizzate, lo abbiamo visto, con legnami a volte non ancora stagionati, ma tutte terribilmente “massicce” per resistere ai marosi. Così costruite non potevano che avere limitate velocità; infatti viaggiavano sui 4/5 nodi che consentivano di raggiungere Alessandria in 6 giorni e l‘Africa, da Ostia, in 2 giorni.
Ma torniamo alla cantieristica. E’ evidente che, data la difficoltà dei trasporti via terra, di solito trainati da lenti buoi e per facilitarne i vari, i cantieri venissero approntati lungo i fiumi e nel nostro caso il Tevere o il Nera suo affluente mentre il legname per gli scafi veniva ricavato dai vicini boschi; l’Italia all’epoca era tutta un bosco. Unica eccezione i remi e gli alberi delle navi. Di solito i primi venivano fatti altrove per la facilità di trovare colà il legno idoneo e gli alberi perché dovevano essere alti e diritti, tipico delle piante che crescono nei folti boschi di montagna dove si “allungano” per raggiungere il sole.
La struttura del Cantiere Navale di Stifone di Narni
Cantiere Navale Romano (di Stifone di Narni)
In tempi recenti gli archeologi hanno individuato spazi per cantieri in un sito lungo il Nera e poco discosto da Narni, l’antica colonia romana chiamata Narnia, a conferma e testimonianza che molti erano i cantieri che costruivano le navi tutto lungo il Tevere.
Questa simultaneità di costruzione mi fa venire in mente la realizzazione delle mitiche Liberty nell’ultima guerra e che poi fecero la fortuna di tanti nostri armatori; gli Americani riuscirono a produrne tante perché incaricarono più cantieri di costruirle.
Anche Giulio Cesare quando, nel 49 a.C., dovendo sottomettere Marsiglia che era proprio sulla strada per la Spagna e che godeva o, meglio, abusava di precedenti accordi con Roma e della amicizia con Pompeo Magno, suo grande nemico, decise di dare vita ad un cantiere navale per assediarla anche via mare, visto che nel precedente tentativo essa si salvò proprio grazie al mare non ostacolato. Ne costruì uno sul Rodano per realizzarvi la flotta necessaria. Poi, sconfitta Marsiglia, verso la quale si dimostrò generoso, era pur sempre sulla strada per la Spagna, andò a Roma per sistemare una volta per tutte le cose: e ci riuscì oltrepassando il famoso Rubicone, dal Senato considerato confine invalicabile se armati, perché questo gesto sarebbe stato considerato un imperdonabile affronto da Roma.
Recenti studi e ricerche d’archivio tendono invece a indicare la piana di Voltri-Pra come sito che lui individuò al posto di quello sul fiume francese. Il sito alle spalle è collinoso e, a quel tempo, ricoperto di boschi che potevano garantire legna per le costruzioni e da Masone si vuole giungessero le alte piante da utilizzare per fare gli alberi. Si narra che costruì navi atte a trainare dei barconi/chiatte che riempì di cavalli e attrezzature e partì per Marsiglia. Questa volta, capito il punto di forza di quella Città, fu proprio neutralizzando quello che la conquistò.
Cosa ci sia di vero in questa affascinante ipotesi, non saprei; certo l’idea è esaltante specie per me che sono “prain”, (di Prà), ma purtroppo contrasta con la confermata abitudine di far sorgere cantieri lungo i fiumi e non con davanti il mare aperto senza il riparo di un porto. Oltretutto per arrivare poi ad assediare la Città avrebbe dovuto doppiare tutto l’Esterel e i successivi Capi, spesso battuti da improvvisi e indomabili “Mistralate”; il Rodano sfocia invece proprio in faccia a Marsiglia. Stiamo parlando del temuto, ancor oggi, Golfo del Leone.
Certo che più si studiano i romani e maggiore è l’ammirazione per la loro genialità e capacità organizzativa.
Renzo BAGNASCO
Fratello della Costa "Bareno".
Disegni e foto di Carlo GATTI
Rapallo, 19 agosto 2016
Il RELITTO della SANTA MARIA. Vero o falso?
RELITTO DELLA SANTA MARIA
Vero o falso ?
Nelle acque al largo di Haiti é stato scoperto un relitto incredibile, potrebbe trattarsi della Santa Maria di Cristoforo Colombo
Haiti
La “caracca” Santa Maria, lunga 21 metri, un ponte e tre alberi, era l’ammiraglia della piccola flotta che giunse per prima sul suolo americano al comando del navigatore genovese Cristoforo Colombo. Le altre due imbarcazioni erano due caravelle leggermente più corte: la Pinta e la Niña. La flottiglia di Colombo partì da Palos (Andalusia) il 3 agosto del 1492, sbarcò sul suolo americano, e il 25 dicembre dello stesso anno s'incagliò su una barriera corallina al largo di Haiti. E’ stato l’archeologo marino Barry Clifford ad imbattersi nei resti di quella che potrebbe essere la caracca spagnola. La notizia deve ancora essere ufficialmente confermata ma se così fosse si tratterebbe di una delle scoperte più importanti degli ultimi anni: Clifford ha spiegato di avere scoperto il relitto della caravella nel punto esatto nel quale l’ammiraglio genovese disse che si incagliò, oltre 500 anni fa. I resti della nave si troverebbero incastrati in una barriera corallina sulla costa settentrionale di Haiti, a circa 3-5 metri sotto il livello del mare. Secondo l’esploratore statunitense, la prova definitiva che il relitto sia proprio quello della Santa Maria di Colombo sarebbe il cannone del XV secolo rinvenuto su un fianco della nave.
Usando magnetometri marini, dispositivi di radar, sonar e esplorazioni di sommozzatori, Clifford ha studiato le anomalie della piattaforma marittima, comparato i risultati con informazioni tratte dai diari di navigazione di Colombo e da materiale cartografico dell’epoca e misurato l’impatto delle correnti per stabilire i movimenti del relitto dopo il naufragio.
La missione é in parte finanziata da ‘History Channel’, suscita però sin d’ora diversi dubbi, soprattutto da parte di studiosi spagnoli ma anche italiani come P.E.Taviani. Nei suoi diari Colombo racconta infatti dell’impossibilità di smuovere l’imbarcazione, e che questa venne smantellata per costruire un fortino.
Dopo oltre 500 anni, il mito della Santa Maria riaffiora per l’ennesima volta. Le numerose ricerche del relitto, per dirla in parole povere, si sono risolte con un buco nell'acqua, oppure con bufale clamorose. La più significativa, quella del 1962 quando un ricercatore inglese con un gruppo di sommozzatori individuò un relitto e sicuro fosse quello della Santa Maria presentò la sua scoperta al mondo intero. Per dieci anni le ricerche si bloccarono. Solo nel 1972 fu scoperta la verità: si trattava dei reperti di una caravella del secolo successivo.
Lo stesso archeologo subacqueo Barry Clifford ha ammesso che cinque secoli di correnti oceaniche hanno sicuramente modificato sia i fondali che la costa. Pertanto, la volontà di proseguire le ricerche, a nostro modesto avviso, ha il sapore di una sfida più personale che scientifica.
Lo straordinario racconto della grande scoperta giunge ora a uno dei fatti più importanti: la fondazione della colonia della Navidad, primo insediamento europeo in America a cui si riferisce l’incisione del FORTINO (foto sopra) tratta dal libro di Washington Irving Vida y viajes de Cristobal Colon.
Le ricerche dell’equipe americana prendono le mosse proprio dall’individuazione, nel 2003, di questa costruzione. Ma secondo gli scienziati spagnoli il punto in cui dovrebbero trovarsi i resti della nave si trova oggi sulla terra ferma e non sott’acqua.
Fin qui la cronaca .... dopo di ché, la curiosità di saperne di più, ci ha spinti a risalire alle fonti e ci siamo rivolti ai testi sacri di Paolo Emilio Taviani il famoso storico colombiano che ha visitato di persona (nel corso di oltre cinquant’anni) tutti i luoghi toccati da Colombo prima e durante i suoi viaggi di scoperta. Questi preziosi sopralluoghi hanno consentito di risolvere molte questioni che erano rimaste aperte nella pur vastissima precedente storiografia.
PAOLO EMILIO TAVIANI
I VIAGGI DI COLOMBO-LA GRANDE SCOPERTA – VOLUME 1° - pag 68
IL NAUFRAGIO E IL PRIMO INSEDIAMENTO EUROPEO IN AMERICA
..... Il 20 dicembre 1492, la Santa Maria e la Niña, continuando a navigare verso levante lungo la costa settentrionale di Haiti, eran giunte dinanzi alla Baia de l’Acul......
..... Uno degli scogli, o cayo, come li chiamano nei Caraibi, arricchitosi di bianca arena, si é popolato di alberi; é la isleta che Colombo battezzò Amiga: un autentico gioiello che stava e sta ancor là a presidiare l’entrata nell’incantevole Baia de l’Acul. Oggi si chiama Ile Rat.
.... Il 24 dicembre, riuscì a salpare. Navigò di bolina, perché l’aliseo spingeva da levante in senso contrario. Alle 11 della sera, la Santa Maria aveva avanzato lentamente, e si trovava al largo del promontorio che Colombo battezzò Punta Santa, con riferimento all’imminente solennità natalizia. A quanto Colombo scrive nel Giornale, si trovava a nord o a nord-est del capo di una lega, cioé 4 miglia. Era la notte di Natale. Nessun fatto esterno giustifica il disastro. Mare tranquillo. Distanza da terra normale. Le scogliere coralline numerose e insidiose, ma non più novità, ormai. Ce n’erano altrettante sulle molte coste fino ad allora bordeggiate. Le undici. Il mozzo capovolge la clessidra. Cambia il turno del timoniere. L’Ammiraglio si ritira in cabina, recita le preghiere e s’addormenta: “eran due giorni e una notte che non aveva dormito”. Non appena il capo scompare, gli uomini di guardia sul ponte – vedette e mozzi – scendono a dormire. Juan de la Cosa, comandante della guardia, indica la rotta al timoniere, una rotta facile: seguire la Niña che procede con le vele gonfiate dal vento, illuminate dalla pallida luce della luna bassa sull’orizzonte. Il mare, l’abbiamo già accennato, era “in calma morta, come l’acqua d’una scodella tranquilla”. Juan de la Cosa dice al timoniere di chiamarlo qualora mutasse il tempo o il vento, o se comunque si verificasse qualcosa d’anormale, e scende anche lui sotto coperta. Il timoniere casca dal sonno, scuote il mozzo che ha il solo compito di vegliare sulla clessidra, gli affida – in contrasto con gli ordini di Colombo – la barra del timone e si stende a dormire. Così il destino dell’ammiraglia resta nelle mani d’un mozzo, l’unico desto di tutta la nave. La luna era troppo bassa per rivelare alla vista la spuma bianca, che si forma là dove l’onda lunga si frange sulla scogliera corallina. In ogni caso, il ragazzo, che stava a poppa, tutto teso a reggere la pesante barra, non avrebbe potuto vederla. Una corrente marina stava portando la nave sopra una di quelle secche, che ‘ruggivano’ tanto da essere sentite a distanza. Invece la nave si trovò sopra la scogliera così sommessamente che il mozzo non se n’accorse neppure. Solo quando avvertì che il timone arava, e ne udì il rumore, si mise a urlare. Colombo fu il primo ad accorrere sul cassero: poi giunsero Juan de la Cosa e tutti gli altri.
La situazione fu subito chiara. La Santa Maria s’era incagliata di prua su una scogliera corallina. Siccome la poppa pescava più della prua, il modo per rimettere a galla la nave era gettar l’ancora al di là della barriera e condurne la gomena al grande molinello di prua, quindi retrocedere, tonneggiando, con la poppa.
Questi furono gli ordini di Colombo a Juan de la Cosa: tirar la lancia che si trovava a rimorchio in mare fin sotto il bordo della nave, collocarvi l’ancora e il cavo e spostarsi con la lancia stessa di là della barriera per dar fondo all’ancora.
Sceso nella lancia, Juan de la Cosa si diresse invece a tutta forza verso la Niña. Se si tien conto che la Santa Maria era di sua proprietà. É gioco forza pensare che egli sia stato preso da una crisi di nervi. Vincente Yañez Pinzòn si comportò degnamente: rifiutò di accogliere a bordo i transfughi e inviò le sue lance con parecchi marinai a soccorrere l’Ammiraglio.
Ma ormai era tardi. La poppa s’era girata, e la nave venne a trovarsi di traverso, sicché ogni ondata la sollevava e la lasciava ricadere di peso sulla barriera corallina che, peggio di qualsiasi altro scoglio, perfora il legno della carena.
Per alleggerire il peso della nave, l’Ammiraglio fece tagliare l’albero di maestra. Ma neppure ciò fu sufficiente. La marea stava scemando e la nave “non poté respirare: piegatasi alquanto, s’aprì nelle connessure e s’empì tutta d’acqua dal di sotto”.
Il naufragio avvenne nei pressi dell’odierna Cap-Haitien.
Se oggi un turista chiede di andare sul luogo del naufragio della Santa Maria di Cristoforo Colombo, incontra molti barcaioli disposti a portarvelo. Le tempeste non sono frequenti, la baia é riparata dal promontorio a ponente e dall’immensa palude di mangrovie della penisola di Caracol a levante. – Non é pericoloso e non é lontano – vi diranno i pescatori, e i barcaioli vi porteranno ad un miglio dalla costa, su d’un frangente corallino, che sporge addirittura dall’acqua tanto da potervi salire quando la marea é bassa, mentre, quando é alta. L’onda si rompe rumorosa e si moltiplica in scintillii di spuma bianca visibili dalla spiaggia.
I VIAGGI DI COLOMBO LA GRANDE SCOPERTA - VOLUME 2° - Scheda del Capitolo XII – Pag.98/99
Nella cartina, a sinistra, si nota la scritta in rosso: Mare di San Tomaso, Baia de l’Acul. Nel centro-in alto il simbolo della Santa Maria con la Latitudine 19°49’ e poco più a destra é indicata in rosso la scritta Zona di Naufragio. Sotto le due scritte é visibile Punta Santa (scritta in rosso) da cui si accede alla Baie Cap-Haïtien.
La baia di Cap-Haïtien nelle cui acque la Santa Maria naufragò, la notte di Natale del 1492. Il naufragio deve in ogni caso essere su un banco corallino all’esterno verso il mare aperto rispetto al groviglio di banchi che insidiano le acque interne della baia di Cap-Haïtien. (Foto: G.Dagli Orti)
Prosegue:
...... La giornata del 25 dicembre venne dedicata al recupero del carico della Santa Maria e al trasferimento dell’Ammiraglio sulla Niña. .......
Rimasero in 39........................ A Diego de Arana diede il comando in capo.
........ Vi erano anche un cannoniere – perché Colombo vi aveva lasciato alcune bombarde e ordinato di costruire una torre, un forte e un fossato - E un nostromo, perché venne lasciata una lancia al fine di esplorare la costa, trovare la miniera dell’oro e fondare una nuova colonia in una località più idonea di quella che era stata provvisoriamente prescelta. L’esatta località della Navidad non é stata identificata. Si può solo indicare un rettangolo il cui lato di 7 chilometri é sulla linea della spiaggia, e quello di tre é in profondità. Entro questo rettangolo (bordato in nero nella cartina sopra) sta oggi un piccolo villaggio, Bord-de-Mer de Limonade, una chiesa, molte capanne, alcune piccole barche di pescatori haitiani: una distesa a fondo sabbioso, che giunge al mare con una fascia di paludi coperte di mangrovie.
VOLUME PRIMO – TRAGEDIA ALLA NAVIDAD – Pag.116
Il canale tra Puerto Rico e la Hispaniola é breve. Colombo ritrova il punto donde é partito, dieci mesi e 6 giorni innanzi, per la traversata di ritorno. Riconosce la costa allora bordeggiata, e ancor più lo attanaglia l’ansia di incontrare i compagni lasciati al forte della Navidad..........
Avanza rapido lungo le coste settentrionali dell’Hispaniola, le vele sospinte dall’aliseo, nell’attesa di ritrovare finalmente i suoi uomini, di sapere che cosa abbiano scoperto e quanto oro accumulato, che cosa sia accaduto durante il lungo periodo trascorso......
L’Ammiraglio manda a terra una barca con alcuni marinai. Trovano due cadaveri: “uno, che pareva giovane e l’altro vecchio, che aveva una fune al collo e distese le braccia e legate le mani a un legno, in forma di croce”........
Fin dalla Spagna Colombo non aveva mai cessato di pensare ai coloni dell’Hispaniola. Ora é finalmente giunto, ma non trova nessuno. E poco o nulla riuscirà a sapere, perché tutti sono morti.
Carlo GATTI
Rapallo, 1 giugno 2014
LONDON VALOUR - La nave che affondò due volte
“LONDON VALOUR”
LA NAVE CHE AFFONDO’ DUE VOLTE
Prima Parte
Risacca eccezionale, presagio di tempesta!
Nel gergo dei bordi il termine mare lungo fa drizzare le antenne! Si tratta di quel sintomo ancestrale che localizza, in una zona non troppo lontana, un vento tempestoso che avanza inesorabilmente e con il quale, presto, si dovranno fare i conti…
1969 - La T/n Michelangelo in uscita dal porto di Genova scortata dal M/r Torregrande. In primo piano cinque rimorchiatori di guardia sulla caletta dei Piloti.
Era ancora notte fonda quando Charly, arrivando dalla placida Riviera di Levante, percepì, camminando, una strana sensazione d’inquietudine: il Torregrande era attraccato in fondo al molo Ovest del Porto Petroli di Multedo, ma i colpi dei bottazzi contro i parabordi di legno della banchina si sentivano da lontano ed erano secchi, regolari e si sommavano a quelli più tenui degli altri mastini: Messico, Canada, Nuraghe e Casteldoria, che completavano la squadra di guardia quel 9 Aprile 1970. I fanali di via di tutti i rimorchiatori portuali, perfettamente allineati in banchina, erano accesi e i loro alberi disegnavano nervosi balletti aerei. I tozzi scafi, pur essendo legati, spiattellavano e roteavano all’esterno con un lasco uguale all’imbando dei cavi. Quando le cime e gli stroppi di catena venivano in forza, ringhiavano minacciosi in un coro squinternato e lamentoso. Il nostromo Zeppin, si sa, aveva fiuto e già da qualche ora aveva rinforzato gli ormeggi e quando vide Charly affrettarsi in fondo al molo, attese l’attimo giusto e balzò in banchina come un felino, gli si fece incontro mostrando una cima spezzata e disse nel suo strambo dialetto carlofortino: -“Cumandante questa a l’è a segunda…sa continua sta risacca duvemmu scappà cumme levri”- Trad. “Comandante, questa è la seconda cima che si spezza…se continua questa risacca dobbiamo lasciare l’ormeggio come lepri!” Nella notte, La Direzione del Porto Petroli aveva allertato i servizi portuali e le maestranze di guardia, quindi, verso le tre, ordinò ai Comandanti delle petroliere d’interrompere la discarica, di staccare le manichette dai manifolds (mar.attacchi) di bordo e raddoppiare i cavi d’ormeggio. Charly salì sul Ponte di Comando, diede una ditata al barometro e lo mise a confronto con il barografo. Si trattava di un antico rituale imparato nelle traversate invernali del Nord Atlantico, quando la nave si trovava all’interno di una vastissima area ciclonica ed il Comandante cercava d’individuarne il centro per poterlo evitare. La depressione in avvicinamento sul golfo ligure era profonda e, per l’occasione, si faceva annunciare da un mare lungo molto atipico e da una sconcertante lettura barometrica: 749 m/m; valore piuttosto basso e che, fatto ancor più grave, tendeva a diminuire. L’equipaggio si radunò in Stazione Radio, mentre Gino inforcava le cuffie per ricevere i bollettini meteo di Roma radio in grafia, e quello di Grasse radio in fonia. La situazione era preoccupante. Le previsioni annunciavano una forte libecciata sul golfo di Genova. L’alba spazzò il buio con decise folate di tramontana che diedero soltanto una tenue speranza di contrasto a quel mare gonfio che, in modo così ineffabile e silenzioso montava la diga, si riversava sull’aeroporto e rimaneva lì, sospeso come un lenzuolo cupo, pietoso, immobile. La pista, così come la diga, non affioravano più. Tutto rimaneva coperto e poi ricoperto dal rimbalzo del mare che dalle calate del porto ritornava verso il largo. Tutto si svolgeva in assenza di vento, in modo meccanico, silenzioso e pur tuttavia dava un senso di soffocamento, provocato da una forza incontenibile che attanagliava e bloccava qualsiasi movimento teso a liberarsi da quella morsa anomala e spettacolare. Verso le dieci il cielo di ponente era pulito, mentre a levante montavano nuvole strane che, oscurando il sole, proiettavano in mare ampi coni di luce giallastra. Il vento improvvisamente prese forza e definì la sua direzione: veniva da scirocco. “Lo scirocco non ha mai fatto danni qui a Genova. Se rimanesse così… Disse con poca convinzione Bobby, il 1° ufficiale. -“Si, è vero, lo scirocco entra in porto, ma dalla porta di servizio, crea correnti strane, rovina le manovre, ma poi se n’esce dalla finestra senza sfondare”- sostenne Gian, il direttore di macchina. “A volte i bollettini sbagliano tutto. Lo ammetto! ma oggi la depressione è troppo forte e avanza rapidamente” - Ribatté Gino con scarso ottimismo - Zeppin, stranamente silenzioso, se ne stava appoggiato al vetro centrale, teneva le gambe e i gomiti divaricati, in quella tipica postura che i naviganti assumono quando il mare è burrascoso. Zeppin, aveva lo sguardo fisso verso sud, alla ricerca di quel bandolo che gli sfuggiva; intuiva il pericolo, lo inseguiva e forse lo sfidava con il magnetismo dei suoi occhi neri che tante tempeste avevano visto. Poi, un sobbalzo dello scafo lo scrollò da quell’idea fissa, e lo fece venire improvvisamente allo scoperto: “Stu sciocu u nu me incanta pe un bellu belin! U ventu u ghe ripreuva, fascendu u giu du follo, poi u pigia a rincursa, pe vegnine in tu cu… Trad. : “Questo scirocco non m’incanta per niente! Il vento poi ci riprova facendo il giro del Fullo, (noto circuito stradale genovese) poi prende la rincorsa, cioè si rinforza per venirci nel c…” Zeppin, a suo modo, aveva disegnato perfettamente il quadro meteorologico. Verso le 11.00, infatti, il vento girò nuovamente a libeccio, rinforzando d’intensità. Fu a quel punto che dalla prima petroliera in porto giunse la chiamata d’assistenza. Alcuni cavi si erano spezzati, ed urgeva la spinta di un robusto rimorchiatore per tenere affiancata la nave al pontile per ricomporre l’ormeggio. Nel giro di mezz’ora, i cinque rimorchiatori di guardia si posizionarono a spingere le pance semi-scariche di quegli enormi cetacei che pendolavano lungo la banchina, ed erano a stento trattenuti dai doppi springs. (mar. cavi a batticulo) Al Torregrande, che era il più potente rimorchiatore in servizio nel porto di Genova quel giorno, giunse l’ordine di andare a mettere la prua, provvista di un enorme paglietto (parabordo) al centro della Esso Liguria. Si trattava della prima gasiera italiana di grandi dimensioni, che era in allestimento lungo la banchina nord-sud della Fincantieri di Sestri Ponente. La nave era vuota e quindi completamente esposta al vento, non solo, ma la sua larghezza sommata alla lunghezza del Torregrande lasciava a quest’ultimo soltanto un metro di spazio dall’altro molo. Quest’ultimo particolare ebbe la sua importanza ogni qual volta la gasiera, sotto la spinta della risacca, rimbalzava di qualche metro ed il Torregrande, spingendo con i suoi 2500 cavalli, doveva accostare di almeno 20° per non danneggiare la poppa contro la già citata banchina contigua e parallela. E’ inutile dire che questa strana manovra avveniva ad ogni flusso e riflusso del moto ondoso. La situazione peggiorò quando, verso mezzogiorno, il vento aumentò ancora ed un paio di maone, (vecchie imbarcazioni portuali di legno) adibite alla pitturazione esterna delle carene e provviste di alti e luridi ponteggi, ruppero a loro volta gli ormeggi e scarrocciarono addosso al Torregrande che rimase imbottigliato in quel cul de sac fino a tarda sera, quando finalmente si liberò il Nuraghe e venne a sbrogliare quel fatale groviglio di tubi, legni e cavi. Già, forse quell’impensabile ingorgo portuale fu davvero fatale, perché impedì al Torregrande d’intervenire nel salvataggio dei naufraghi della London Valour.
La London Valour in uscita da un porto nordico.
La tragedia della London Valour
Quanto riportato finora è la fedele ricostruzione della grave ed anomala situazione meteorologica, che era già in atto nella nottata di quel fatidico 9 Aprile, a ponente della Lanterna. Come si è visto, in mattinata si verificò un ulteriore peggioramento del tempo e la gente del porto, e non solo quella, come vedremo, ne seguì l’evoluzione con grande trepidazione e partecipazione.
1° Testimonianza
Com’era la situazione a levante della Lanterna? Per rispondere a questa domanda lasciamo la parola ad un testimone d’eccezione: Il signor Pietro Pacino, ex marittimo e funzionario del Registro Navale di Genova, all’epoca del disastro della London Valour fu il primo genovese a rendere testimonianza davanti alla Commissione d’Inchiesta del Tribunale Marittimo di Londra nel 1972. Tra le tante deposizioni rese alle svariate Autorità italiane e straniere, incaricate di svolgere le indagini sull’accaduto, abbiamo scelto quella del signor Pacino perché ci è sembrata, senza il minimo dubbio, la più attendibile poiché precisa, competente e quindi la più aderente alla realtà pur nella sua inevitabile drammaticità. Alle sue tempestive segnalazioni si deve, tra l’altro, la rapida messa in moto del coordinamento dei soccorsi.
Mr. Phillips (Giudice della Commissione, N.d.A): Si ricorda il giorno in cui la London Valour scarrocciò contro la diga? - Pacino: Si. Mi ricordo era il 9 Aprile. - Vide lei stesso l’evento? -Si. Lo vidi io stesso. - Dove si trovava alle 13.00 del 9 aprile - Stavo arrivando a casa. - Vedeva il mare dal suo appartamento? - Si. - Vedeva anche la diga Duca di Galliera? - Si. Sig. Pacino ora leggerò il suo rapporto dall’inizio. “Evento London Valour, 9 Aprile 1970. Ricostruzione dell’osservazione fatta da Piazza Rossetti (Foce), dalle 13.00 alle 15.30. La ricostruzione è il risultato di una consultazione fatta tra tutti i componenti la mia famiglia. Aggiungo che gli orari sono stati scrupolosamente ricostruiti, ma che ovviamente debbono essere considerati approssimati. Alle 13.00 arrivo a casa e noto lo stato del mare. Maltempo da sud e vento forte. Molte navi sono all’ancora, fuori della diga esterna. La prima di queste è una bulk-carrier, (London Valour, N.d.A) molto carica con la prora al vento. Ho la sensazione che sia troppo vicina e che addirittura possa ostacolare l’entrata in porto alle altre navi…………… Alle 13.30 mi accorgo che il tempo tende a peggiorare. Il vento sta aumentando e tende a girare da SSW a SW. Valuto la forza del mare 5/6. La nave precedentemente segnalata sembra aver messo la prora a SW; è in questa posizione che la sua poppa si trova a circa mezzo miglio dal fanale rosso della diga; ha l’ancora di sinistra in mare. Una seconda nave, in rada, ha salpato l’ancora e si allontana.”
Mr. Phillips: Ciò avvenne prima o dopo l’impatto della London Valour sulla diga?
Pacino: Questa nave lasciò l’ancoraggio alle 13.00. Alle 13.45 guardo il barometro: segna 748 mm. E tende a scendere. Devo specificare che il mio barometro non è professionale, ma domestico. Il vento sta ancora aumentando d’intensità, anche il mare è peggiorato; ora il mare lungo e alto arriva sulla spiaggia (ridossata dalla diga, N.d.A.). Stimo che la sua forza sia intorno a 6/7. La nave è sempre ferma nella stessa posizione, ma sembra leggermente più vicina alla costa; sul momento ho l’impressione che abbia allascato un po’ di catena, ma con i binocoli mi rendo conto che a prora non c’è nessuno. Alle 13.55-14.00, mare forza 7, in aumento, con onde alte e bianche che si rompono sulla diga della Foce. Osservo la nave e ne leggo il nome sulla poppa: London Valour, perché la nave ha girato a ponente a causa della forte corrente che in queste circostanze, sotto costa, spinge in quella direzione.
Mr. Phillips: Lei conosce le correnti di quella zona?
Pacino: Si, quando navigavo, con il libeccio forte, mi sono trovato in grande difficoltà nell’imboccare l’entrata del porto. Facevamo sbandate notevoli…….( il libeccio soffia di traverso all’imboccatura, N.d.A.) La sua distanza in diminuzione dalla diga, mi fa pensare che la nave abbia dragato l’ancora e che tuttavia mi sorprende che non sia stata usata anche l’ancora di dritta, che è tuttora al suo posto in cubia. La distanza della nave dalla diga sembra ora essere 300/350 metri. Valuto che questa posizione sia molto pericolosa. Guardo con il binocolo: nessuno è in coperta, né a prora, né sul ponte e neanche a poppa. La nave sembra abbandonata. Il barometro è ancora sceso ulteriormente 745. Il vento è ancora più forte. Alle 14.00/14.10 abbiamo la netta sensazione che a bordo non si stiano rendendo conto del pericolo in cui si trovano. Prendo il telefono e chiamo la Torre dei Rimorchiatori (ubicata al Molo Giano, vicina all’imboccatura, N.d.A.) al numero 282766 ed informo della situazione il capo servizio. Chiamo il 683068, Ponte Parodi (Sede dei Rimorchiatori, N.d.A.) e ripeto la precedente comunicazione di pericolo. Chiamo il 67451 e contatto l’ufficiale di guardia della Capitaneria, sig. Telmon. Chiamo nuovamente il 67451 e chiedo del secondo ufficiale di guardia; purtroppo non ottengo risposta. Allora chiamo il generale Carfì e gli spiego brevemente la situazione, che penso sia molto urgente. Alle 14.10 l’ancora di dritta è sempre in cubia. A bordo non si vede nessuno. La nave si trova a circa 250 metri dalla diga e quasi parallela ad essa. Il vento è molto forte…e ci meravigliamo, con grande ansia, che non mettano in moto la macchina ..! Alle 14.15/14.20 finalmente si vede qualcuno a bordo, sia a poppa che sul ponte di comando. Sembra che siano stati avvertiti da qualcuno dell’imminente pericolo. Alle 1420/14.25 la nave, spinta dal vento, si sta avvicinando ancora di più alla diga. Alle 14.25 udiamo un debole e prolungato fischio accompagnato da alcune nuvolette di vapore. Immagino che la pressione della caldaia non era giunta al punto giusto.” Mr. Phillips: Perché immagina questo? Pacino: Perché il fischio si sarebbe sentito più forte. “Subito dopo, per almeno dieci secondi, vediamo una densa nuvola di fumo nero levarsi dalla ciminiera; poi più nulla. Noi non vediamo più muoversi la nave. Capisco che si tratta di una turbina, e che il motore non sufficientemente riscaldato, non è pronto. Tutto ciò è veramente strano per una nave all’ancora e con quel mare…La nave sembra ora trovarsi a 50 metri dalla diga e sembra scarrocciare verso est, nella nostra direzione. La tragedia appare inevitabile, se non è gia avvenuta! Anzi, alcune particolari rollate ci fanno pensare che la nave sia ormai incagliata. Si vedono ora alcune persone muoversi in diverse parti al centro ed a poppa, ma veramente poche. Il mare, sotto la spinta del vento è aumentato a forza 7/8; la Foce e il piazzale della Fiera sono spazzate dalle onde. Sulla diga cadono onde violentissime. Il barometro sembra fermo su 744 mm. Mare lungo da SW. Alle 14.25/14.30 ….riconosco il rimorchiatore India e mi chiedo come possa affrontare un mare forza 8 con i suoi rotori Voith-Schneiders sotto lo scafo. (Che fuoriescono dall’acqua, N.d.A.) Alle 14.35 l’India ha accostato a sinistra e torna indietro. Poco dopo un rimorchiatore più grande esce dal porto, è il Forte, credo, sembra che ce la faccia e lentamente guadagna posizioni in una lotta coraggiosa contro i marosi. Poco dopo ci prova un altro rimorchiatore l’Iberia, poi ci riprova l’India. Alle 14.40 nel frattempo notiamo una piccola imbarcazione portuale che si è messa a ridosso della diga in corrispondenza della nave. L’imbarcazione riesce a sbarcare numerose persone, che si possono vedere molto bene, sulla diga spazzata dai colpi di mare….Ci chiediamo come questi uomini possano fare qualcosa in quelle condizioni.
9.4.1970, la London Valour flaggellata dai marosi
Alle 14.40/14.45 osserviamo l’arrivo di numerose imbarcazioni che si fermano all’interno della diga; la ben nota imbarcazione dei Piloti, la Teti sta operando in mare aperto, all’altezza della poppa della nave…mentre cinque imbarcazioni hanno lasciato il porto per portare aiuto alla nave. Ma come? Cosa possono fare? Tutte rimangono con la prora al vento ed al mare in un raggio di 200/300 metri. Vediamo chiaramente che esse non possono avvicinarsi e non possono fronteggiare gli elementi a causa della loro scarsa potenza di macchina. Ci appare chiaro che la gente a bordo di queste imbarcazioni stanno facendo il possibile, quanto meno per salvare tutti coloro che si tufferanno in mare.
In queste due immagine non troppo chiare, il leggendario Cap. Rinaldo Enrico volteggia con la sua ciambella sulla London Valour nel tentativo di salvare i superstiti del naufragio.
Alle 14.50 l’elicottero dei pompieri arriva sul posto e rimane in hovering sulla nave. Ma due cose appaiono subito chiare:
(1) che la nave ha troppi ostacoli alti: alberi, colonne, bighi, radar e segnali sugli alberi, ecc.. per permettere all’elicottero di avvicinarsi e prendere gli uomini;
(2) il vento molto forte rende troppo pericolose le manovre di avvicinamento sopra la nave con ciambelle e scale di corda che possono agganciarsi facilmente a qualche struttura della nave.
Nello stesso momento in cui appare l’elicottero, molti altri veicoli di soccorso e ambulanze arrivano rapidamente in Piazzale Kennedy….. Alle 15.00 il tempo è ancora in peggioramento. Il barometro segna 742. Vento fortissimo. Mare forza 8. Onde lunghe arrivano come frustate dal mare aperto. La nave appare ormai ferma, stabile e affondata con la poppa ricoperta dal mare; la prora è ancora visibile, così come parte del cassero e del ponte di comando. Si possono vedere gli uomini dell’equipaggio sparsi qua e là. I soccorritori sulla testata della diga si affannano… Alle 15.00/15.30 assistiamo con grande ansia agli svariati tentativi di raccogliere i naufraghi che hanno avuto il coraggio di gettarsi in mare e ci rendiamo conto di quanto sia estremamente difficile rimanere in mare in quelle condizioni, così come non possiamo che ammirare lo spirito di abnegazione che spinge i soccorritori genovesi che, lottando contro la furia del mare e del vento, rischiano la loro vita per salvare quella di altri marittimi in un momento di supremo bisogno………………”
2° Testimonianza
Relazione del pilota del porto Giovanni Santagata
Verso le 13.35 del 9 Aprile c.a. mi trovavo nella Sala Operativa della Stazione Piloti con il collega Aldo Baffo. Improvvisamente notammo la nave inglese London Valour molto vicina (200-300 metri) alla diga foranea. Percepii la situazione di pericolo con vento e mare in un improvviso crescendo. Chiamai immediatamente l’Ufficio Marittimo del CAP (Consorzio Autonomo del Porto, N.d.A.) comunicando che a mio giudizio la nave in oggetto era in grave difficoltà, che provvedesse per l’allarme e che io sarei uscito immediatamente con la pilotina. Diedi pure l’allarme alla Stazione Rimorchiatori che immediatamente ordinò al Rm. Forte e ad altri di uscire. Alle 13.40 i piloti Giovanni Santagata e Aldo Baffo s’imbarcano sulla pilotina Teti condotta dal timoniere Barone e dal motorista Fanciulli e dirigono all’imboccatura. Alle 13.45 la pilotina esce in mare aperto tentando di mettersi in contatto con la London Valour senza esito. La forza del vento e del mare ha assunto le caratteristiche della tempesta da libeccio. Vediamo la nave ancora ad un centinaio di metri dagli scogli della diga. L’equipaggio ha già indossato le cinture di salvataggio. Vediamo la nave quando impatta la scogliera. Alle 14.00 il comandante Lai, Ufficiale Tecnico della Capitaneria, mi chiede la mia posizione. Mi ordina di passare con il VHF sul canale 16 e di assumere la direzione ed il coordinamento delle operazioni di soccorso. Mi ordina di tenerlo costantemente informato; cosa che ho fatto per tutto il tempo che sono rimasto a bordo della Teti. Con la pilotina a lento moto, data la violenza del vento e del mare, pendoliamo tra la poppa della London Valour ed il suo ponte di comando, a sud della nave. Vediamo l’equipaggio diviso in due gruppi, uno a poppa ed uno sul cassero centrale che con le mani ci fanno ampi gesti. La minima distanza, cui ci siamo riusciti ad avvicinare, è stata una cinquantina di metri. Sentiamo per VHF quanto si sta facendo a terra per organizzare i soccorsi. Vediamo uscire la C.P.233 (La vedetta della Capitaneria di Porto del Cap. Telmon, N.d.A.)
Foto n.6 Un’altra piccola imbarcazione tenta l’uscita in mare aperto. Si tratta della m/vedetta della Capitaneria al comando del Cap. Telmon.
Dirigo di nuovo in mare aperto. La situazione sulla London Valour sta precipitando. La nave sta affondando flagellata dai colpi di mare, i doppi fondi adibiti alla nafta si sono sfondati. A poppa della nave gettano a mare un battello pneumatico autogonfiante su cui saltano purtroppo soltanto tre naufraghi. Detto canotto munito di tenda fortunosamente si scosta dalla nave e scarroccia verso gli scogli della Fiera del Mare. Con la Teti mi porto sottovento al mezzo che, essendo molto leggero, mi scarroccia addosso facilitandomi l’aggancio. A lento moto per non perderlo, mi porto a ridosso della diga foranea. Prendo a bordo i tre naufraghi, indi ne trasbordo due sulla m/barca del CAP. Uno di loro, un giovane ufficiale ritengo, chiede di restare con noi ad aiutarci. Essendo in ottime condizioni, dico di sì. Alle 16.15 usciamo di nuovo fuori del porto e avvistiamo quasi subito un altro naufrago letteralmente coperto di nafta ed allo stremo delle forze. L’Ufficiale inglese credo riconosca in lui un amico e generosamente si tuffa in suo soccorso. Gettiamo un salvagente a ciambella cui si avvinghiano entrambi. Il recupero in mare aperto risulta impossibile causa i bruschi e violenti movimenti della pilotina. Li rimorchiamo in una zona di relativa calma a ridosso della diga. Tento con il motorista di issarli a bordo, ma essendo completamente ricoperti di nafta ci scivolano via. Mi viene in aiuto il Rm. India al comando del cap. Ragone cui passo la cima, li recuperano e li portano a terra. Alle 16.40 dirigiamo con la Teti di nuovo in mare aperto. Avvistiamo un altro naufrago in buone condizioni di forze. Ci portiamo sopravvento e ci lasciamo scarrocciare a ridosso del molo. Agguanta il salvagente che gli gettiamo e lo rimorchiamo a ridosso del molo. Ci viene in aiuto il Rm. Alghero al comando del cap. Fanciulli che lo recupera e lo porta a terra. Ci avviamo di nuovo fuori, alla ricerca di altri naufraghi. Incontriamo due cadaveri. Uno per volta, con il mezzo marinaio, li rimorchiamo a ridosso del molo. Non so dire da chi sono stati recuperati e avviati a terra. Alle 16.45 la pilotina Preve mi viene incontro ed il com.te Tanlongo mi fa cenno di rientrare a ridosso della diga. Ci affianchiamo ed avviene il cambio dell’equipaggio e del sottoscritto. Imbarcano sulla Teti i piloti Ragazzi e Fioretti, il timoniere Grillo ed il motorista Mortola; si dirigono fuori a continuare le ricerche. Di quanto sopra descritto ho tenuto costantemente informati, tramite VHF, sia il comandante Lai sia il mio capo pilota Giovanni Raimondi. Alle 18.15, incombendo la sera, il sottoscritto pilota Santagata con il pilota Baffo ed il conduttore Fanciulli c’imbarcavamo sulla pilotina Preve e dirigevamo fuori per ulteriori ricerche di naufraghi. Giunti presso il fanale rosso della diga foranea il s.capo Tanlongo, dalla pilotina Teti, mi comunica dell’avvistamento di tre naufraghi lungo la scogliera della Fiera, invitandomi ad andare a vedere. Costeggiando la suddetta scogliera per un centinaio di metri, arriviamo sino alla foce del Bisagno, purtroppo senza risultato. Si dirige per il rientro. Alle 19.30 attracchiamo alla Stazione Piloti.
In fede
Pilota cap. Giovanni Santagata
A seguito di questi avvenimenti furono concesse:
LE MEDAGLIE DI “BENEMERENZA MARINARA”
al cap. Giuliano Telmon (Capitaneria di Porto) : Oro
al cap. Rinaldo Enrico (Vigili del Fuoco) : Oro
al pilota Giovanni Santagata (Corpo Piloti-Porto) : Argento
al pilota Aldo Baffo (Corpo Piloti : Argento
al pilota Giuseppe Fioretti (Corpo Piloti-Porto) : Bronzo
LONDON VALOUR
Nave |
Varo |
Ristr. |
Stazza L. |
Lungh. |
Largh. |
Eq. |
London Valour
|
1956 Havert U.K. |
1967 La Spezia |
15.875 |
174 mt |
21 mt
|
56 58 * |
* La cifra è riferita al momento del naufragio. Essa comprende la moglie del Comandante e quella del Marconista che erano ospiti a bordo e non facevano parte dell’equipaggio.
Luogo del Naufragio: L’estremità di levante della diga foranea del porto di Genova.
I Fatti: Il 2 Aprile 1970 la nave era partita da Novorossisk diretta a Genova con 23.606 tonnellate di cromo.
Il 7 Aprile la nave giunse a Genova e diede fondo l’ancora in rada, nell’attesa dell’ormeggio. Alle 12.00 del 9 Aprile la pressione barometrica era molto bassa 748 mm. Il mare, in assenza o quasi di vento, era gonfio e montava la diga. Nessun avviso di burrasca, secondo le testimonianze di bordo, era stato emesso via radio o segnalato nell’ambito portuale. Alle 13.00 il vento girò a SW ed andò via via aumentando d’intensità. Ci fu una riunione sul ponte di comando, ma il Comandante D. M. Muir non diede particolari disposizioni e si ritirò in cabina con sua moglie. Alle 13.30 l’ufficiale di guardia sul ponte avvisò il Comandante e l’Ufficiale di guardia in macchina che il tempo era in netto e rapido peggioramento, ma fu il 1° Ufficiale di coperta che, scorgendo dal suo oblò la diga estremamente vicina, diede l’Allarme Generale. Il C. Macchinista recepì l’emergenza e si prodigò per accelerare al massimo l’avviamento della turbina. Purtroppo la prontezza a manovrare la macchina fu data soltanto pochi minuti dopo l’impatto della nave contro la diga. Alle 13.50 il vento da libeccio era forza 8 ed il barometro segnava il valore più basso della giornata 742 mm.
L’Impatto
Alle 14.22 la London Valour, dopo un rapido scarroccio, fu spinta dalle onde contro gli scogli della diga Duca di Galliera.
Le operazioni di Salvataggio
Nella fase iniziale della tragedia, una parte dell’equipaggio si era concentrato presso il cassero centrale della nave. Questa era la zona più pericolosa perché battuta e schiacciata tra le onde e la diga.
Un razzo ed una cima furono comunque sparati sulla diga ed i Vigili del Fuoco riuscirono ad approntare il Va e Vieni, una sorta di sistema funicolare che poté salvare tre marinai indiani. L’apparato sembrava collaudato ed il Comandante convinse la moglie a mettersi in salvo, ma subito dopo s’inceppò.
Foto n.7 – La foto mostra il recupero di alcuni naufraghi ricoperti di nafta
Alla signora Muir mancarono le forze per resistere aggrappata alla teleferica e precipitò tra gli scogli dinanzi agli occhi atterriti dell’equipaggio e del marito che, incurante del pericolo, volle darle l’estremo saluto con la bandiera inglese (Union Jack, N.d.A.).
Poco dopo, un’onda gigantesca spazzò via il marconista Mr. Hill e sua moglie che sparirono insieme ed annegarono tra i flutti. Il 2° Macchinista Mr. Carey fu strappato dalla stessa onda e scaraventato in mare, ma fu miracolosamente salvato dalla ciambella dell’elicottero del Cap. Enrico. In quell’occasione il Comandante fu visto per l’ultima volta, era ferito gravemente ad una gamba.
In questa drammatica istantanea si notano alcuni membri dell’equipaggio assiepati sulla “normale” della nave in cerca di salvezza. L’imbarcazione dei piloti Teti, a sinistra, affronta il mare in posizione quasi verticale sulla cresta dell’onda.
La stessa incredibile onda aveva sollevato il 1° Ufficiale di coperta Mr. Kitchener, 31 anni, di due piani, sino alla Monkey Island (il ponte della “bussola normale”, ubicata sopra la timoneria, N.d.A.), dove già si trovavano il Cadetto Mr. Lewis ed altri marinai indiani. Questi ultimi, sebbene sollecitati dai loro superiori, rifiutarono il tuffo della speranza e perirono massacrati tra gli scogli.
Gli Ufficiali inglesi furono invece salvati dai Piloti del porto e dalla vedetta del capitano Telmon della Capitaneria di porto. Una parte del personale che si era concentrato a poppa si salvò per due fattori principali:
a)- per il coraggio e l’iniziativa dimostrata dal 2° Ufficiale inglese, Mr. Donald Allan McIsaac, 25 anni. (L’ufficiale che era di guardia sul ponte di comando nel momento del naufragio, N.d.A.)
b)- nell’impatto con il terminale della diga, la poppa della nave risultava libera e sporgente. Da quella posizione più esterna, i più coraggiosi tra l’equipaggio si gettarono in mare e subito dopo furono raccolti dai soccorritori.
Altri provvidenziali salvataggi avvennero tramite collegamento nave-diga con il già citato va e vieni, approntato con estremo coraggio dai Vigili del Fuoco e dai marinai della nave.
Tra i tanti atti di coraggio e di grande valore compiuti dai genovesi, desideriamo ricordare quello che si verificò alle 16.17 quando, sulla cresta di un’onda gigantesca, arrivo un naufrago, tutto nero, al di là della barriera di protezione del canale di calma. Italo Ferraro, un pallanuotista-sub di quasi due metri, pioniere della vita subacquea, (quello stesso che visse, proprio sul fondo del canale di calma, per una settimana, in una campana d’aria, N.d.A.), si tuffò con muta e pinne dal terrapieno della Fiera e, come un angelo calato dal cielo, sollevò il marinaio, lo mise in salvo e poi sparì.
Nell’impatto della nave contro gli scogli appoggiati alla diga, lo scafo subì notevoli spaccature, dalle quali straripò il fuel oil, con cui venivano accese le caldaie. Il prodotto combustibile si sparse in mare, la cui superficie divenne una lastra nera che imbrattò completamente i naufraghi tanto da renderli irriconoscibili, estremamente scivolosi e quindi difficilmente catturabili dai soccorritori.
Le vittime: Nel disastro perirono 22 persone. Si salvarono 38 membri dell’equipaggio: i più coraggiosi, coloro che si tuffarono in mare e furono spinti dalle onde tra le braccia dei soccorritori che si erano appostati un po’ ovunque, in quelle acque vorticose, schiumose ed impazzite.
Nei giorni successivi, gli stessi media Inglesi definirono eroico il comportamento dei soccorritori genovesi che intervennero in quelle drammatiche operazioni di salvataggio
Le Responsabilità La Corte Reale di Giustizia del Tribunale Marittimo di Londra, il 17 Maggio 1972 emise la seguente sentenza:
Il naufragio e la conseguente perdita della London Valour fu causata dall’errata condotta del comandante Cap. Donald Marchbank Muir, 57 anni….
Emerse pure che: il comandante dimenticò di avvertire i suoi Ufficiali di coperta che, alla Sezione Macchina della nave, (C.Macchinista, Mr. Samuel Harvey Mitchell, N.d.A.) necessitava un congruo preavviso prima di dare la tradizionale “prontezza”, a causa d’ordinari lavori di manutenzione ai motori ausiliari che erano, comunque terminati in mattinata.
Una delle Verità: Quando, dopo il naufragio, i sommozzatori s’immersero per ispezionare lo scafo, notarono che le sette lunghezze di catena (ogni lunghezza misura 25 metri, N.d.A.) erano distese ed intatte. L’ancora poggiava sul fondale melmoso di 25 metri, però le unghia delle marre erano rivolte verso l’alto e tra loro passava un cavo d’acciaio. Questa circostanza fu la fatale spiegazione del cedimento dell’ancora della nave e del suo rapido avvicinamento alla diga, nel momento di massima forza del mare e del vento. Le marre si capovolsero nell’impatto con l’insospettata presenza di un cavo d’acciaio e non poterono mordere il fondale, fare presa nel fango e porre quindi resistenza all’effetto di quella libecciata devastante.
Conclusione: Nonostante l’eroico comportamento di tutti i soccorritori intervenuti in mare, in terra ed in aria, a rischio della propria vita, il bilancio delle vittime fu grave:
il 9 Aprile 1970
perirono
22 persone
travolte dalle onde e schiacciati contro gli scogli posti a suo tempo a protezione della diga. Il naufragio, vissuto in diretta con la partecipazione di una folla incredibile di genovesi, fu e rimane, a distanza di 35 anni, una pagina di storia sconcertante per l’indifferenza e l’assenteismo dell’equipaggio di fronte ai ripetuti avvertimenti che segnalavano l’avvicinarsi della fortissima libecciata, della quale la nave fu vittima.
Fonte Bibliografica: Report of the: “OFFICIAL INQUIRY”
INTO THE LOSS BY STRANDING OF S.S. LONDON VALOUR
Terza Parte
LA LONDON VALOUR AFFONDA DURANTE L’ULTIMO VIAGGIO
Il relitto della London Valour, con le sue sovrastrutture emergenti, rimase per diciotto mesi come simbolo e monito di quanto il dio-mare, al di là d’ogni tecnologia, sia ancora l’invincibile peso massimo, posto al centro di un immenso ring e sempre pronto a decidere il destino di chi non lo tema a sufficienza o non lo rispetti secondo le sue regole. Appoggiata a pochi metri dal vecchio fanale rosso d’entrata, la ex-nave britannica non impedì la costruzione dell’ultimo pezzo di diga verso levante. Per la verità, fu lasciato un varco navigabile per il transito delle imbarcazioni addette alla risoluzione dei vari problemi creati dal relitto. La London Valour fu liberata del carico ed in parte fu demolita sul posto. Numerose le traversie e non facili furono le decisioni prese dalle Autorità Marittima e Portuale. Nessun Cantiere di demolizione, infatti, era in grado di ospitare un relitto con un simile pescaggio, né tanto meno era facile trovare un porto che rischiasse la paralisi del traffico a causa del suo affondamento, magari sull’imboccatura… Dopo qualche mese dal disastro, entrò in scena la ditta olandese Smit Tak International Bergingsbedriff, specialista a livello mondiale in operazioni di Recuperi Navali, che vantava un originale sistema per rendere galleggiante i resti della London Valour, tramite l’immissione di milioni di palline di polistirolo nelle sue capienti stive.
La Smit Tak non riuscì a riportarla interamente a galla, ma le garantì, tuttavia, una discreta galleggiabilità, che avrebbe dovuto assicurare il suo rimorchio in mare aperto e quindi l’affondamento, con l’uso di dinamite, nella zona delle Baleari, ad est di Minorca, su un fondale di circa 3500 metri, denominata “Fossa delle Baleari”. L’abisso marino, destinato ad accogliere le spoglie della London Valour, era stato accuratamente scelto dalle Autorità competenti, con il preciso intendimento di rendere sicura la navigazione in Mediterraneo, oltre che salvaguardare le attività marinare dei Paesi limitrofi, legate alla pesca, turismo ecc… da possibili problemi d’inquinamento.
Foto n.11 - Il 12 ottobre del 1971, ai primi chiarori dell’alba, il rimorchiatore oceanico Vortice disincagliò il relitto dalla diga e lo fece con molta accuratezza per non creare superflue lacerazioni sotto lo scafo, quindi lo consegnò ai rimorchiatori d’altomare Torregrande, capo convoglio, (in primo piano) e Genua (secondo piano) per il traino prestabilito.
Epilogo: Siamo così giunti all’epilogo di questa incredibile tragedia marinara e forse nessuno, meglio di Charly, il Comandante del Torregrande, può accompagnarci in questa specie di rito funebre a conclusione di una storia tristissima che, volenti o nolenti, ci appartiene completamente.
“Nonostante il tempo fosse buono, al momento della partenza da Genova, il bollettino meteo era pressoché indecifrabile, nel senso che lasciava spazio a quella parola “variabilità” che anche i più giovani lupi di mare imparano presto a detestare e a diffidare per la sua incapacità di prendere una posizione chiara e quindi di non prevedere proprio nulla…Ma il problema più serio, fin dall’inizio del viaggio, era del tutto psicologico: era infatti difficile controllare serenamente la navigazione di prora, avendo al traino un relitto che pescava 22 metri, come una superpetroliera dei giorni nostri, e del quale si potevano vedere soltanto le colonne dei bighi, che apparivano tra l’altro bianchi e fatui come fantasmi e, come tali, capaci di sparire in qualsiasi momento.
Torregrande e Genua avevano un tiro complessivo di 4.500 cavalli di razza, che furono subito totalmente sbrigliati, nell’illusione d’uscire al più presto da quell’incubo! Purtroppo la velocità era poco superiore ai tre nodi. Altri 10.000 cavalli di potenza, magra consolazione, non avrebbero aumentato di un decimo l’andatura, a causa dell’inesistente idrodinamicità della sua massa informe e sommersa. Tra i nostri equipaggi, cui non difettava certo l’esperienza, la parola d’ordine era: “occhi aperti ragazzi”, mentre avevo già preso tutte le misure d’emergenza, tra cui l’aver predisposto un marinaio, di guardia nel locale del verricello automatico (chiamato Troller, N.d.A.), pronto a tagliare il cavo di rimorchio con la fiamma ossidrica, in caso d’affondamento improvviso del relitto. Dopo il tramonto di quell’insolita giornata di navigazione, il tempo andò via via peggiorando e nella notte, forti piovaschi impedivano il pieno controllo visivo del rimorchio, che appariva protetto da una barriera bianca di pioggia e schiuma, sulla quale andavano ad infrangersi i potentissimi fasci bianchi di due proiettori da 1000 watt ciascuno. Lo Stato Maggiore Olandese, che aveva la regia dell’intera l’operazione, era ospite sul Torregrande. Il suo compito era di controllare il buon andamento della navigazione del convoglio sino al punto prestabilito, per poi procurare l’inabissamento del relitto con l’impiego di cariche di dinamite. Ci trovavamo, purtroppo, ad un terzo soltanto del percorso e tutto lasciava pensare ad un suo imminente affondamento. L’esperienza insegna che anche nei momenti difficili ci sia, quasi sempre, un momento di comicità! I nostri ospiti olandesi, celebri per le loro tradizioni marinare, non ressero ai primi colpi di mare e, quasi subito, sparirono sottocoperta, portandosi dietro la puzza sotto il naso e tutti quei strani strumenti, con il quali si erano imbarcati a Genova… Durante la serata cercai di stanarli ripetutamente per renderli edotti della situazione che, a nostro avviso, era ormai irreversibile, a causa del graduale abbassamento del relitto e della velocità quasi del tutto azzerata. Dopo l’ennesimo invito a salire sul Ponte, il nostromo Zeppin, di ritorno dai loro alloggi, mi disse con un tono che non ammetteva indulgenze: “Se o bon maina o se conosce a-o cattivo tempo… sti chi se treuvan a bordo pe sbaglio; se né battan u belin du periculu, du relittu e de Baleari, pensan sulu a racca cume bestie marotte…! Ma ghe lo ditu in sciu muru au capu: loda o ma e stanni a ca, besugu! Ma chi va imbarcou Zagallo? (Trad. Se il buon marinaio si vede nel cattivo tempo…questi qui si trovano a bordo per sbaglio; se ne fregano del pericolo, del relitto e delle Baleari, loro pensano solo a vomitare come animali ammalati! Ma gliel’ho detto a muso duro al capo: loda il mare, ma stattene a casa…Ma chi vi ha imbarcati, Zagallo? Zagallo; ne abbiamo già parlato altrove. Ricordate il comico folletto-clandestino imbarcato sui rimorchiatori d’altura? Il troll che naviga, parla, mangia, dorme, prende tutti per il sedere… perché lui è sempre lì, tutti lo intravedono , ma nessuno riesce mai ad agguantarlo…Zagallo non è a ruolo, quindi è senza paga. Gli Armatori sopportano la sua presenza a bordo perché porta fortuna…ed alleggerisce la tensione. Intorno all’una e trenta di notte, Giovanni Negro, il comandante del Genua, mi chiamò per radio e disse: “per noi i giochi sono fatti, e di giocare non n’abbiamo più voglia…” gli risposi che anche noi eravamo dello stesso parere e che poteva “staccare” quando voleva, e di continuare a scortarci con il proiettore sino al “finale dell’incompiuta”… Cercai ancora una volta, invano, d’aver l’O.K. degli olandesi e poi misi in atto, con calma, il piano di recupero dell’attrezzatura di rimorchio per evitare che andasse persa con i resti della London Valour. Verso le 02.30, dopo aver virato a bordo la prima parte del rimorchio (250 metri di cavo d’acciaio), iniziammo a recuperare anche i 220 metri di cavo di nylon collegati al relitto. Eravamo flagellati dall’ennesimo piovasco, ma ci avvicinammo fino a pochi metri da quella visione dantesca…poi, mi portai a poppa estrema e Zeppin mi passò la mannaia di bordo, che era stata affilata dal boia-motorista Spalla. Mi feci quindi appoggiare il cavo da 90 m/m sul piatto bordo poppiero e diedi un colpo deciso e preciso che ci liberò, brutalmente, da quella funesta angoscia che ci aveva attanagliato per molte ore il cuore e la mente… Il troncone della ex-nave britannica London Valour colò a picco alle 02.58 del 13 ottobre 1971, sbavando schiuma, eruttando migliaia e migliaia di palline di polistirolo e salutando il mondo con un fragoroso rigurgito. La sfortunata nave giace ora ad una profondità di 2640 metri, in latitudine 43°02’N e longitudine 08°06’E, ad una quarantina di miglia da Imperia e circa cinquanta ad Ovest di Capo Corso. Quel giorno qualcuno scrisse:
"La London Valour si è inabissata definitivamente, rifiutando ancora una volta di sottomettersi al volere dell’uomo e scegliendosi da sola il fondale che è divenuto la sua tomba, 2640 metri al disotto della superficie di quel mare che così selvaggiamente l’aveva ferita".
Carlo GATTI
Rapallo, 12.05.11
SUL CASTELLO DI RAPALLO SOPRAVVIVE UN SIMBOLO RELIGIOSO
SUL CASTELLO DI RAPALLO
SOPRAVVIVE UN SIMBOLO RELIGIOSO
Il Castello, simbolo per eccezione della città, sorge sullo specchio d'acqua del golfo di Rapallo, sul lungomare Vittorio Veneto. Il castello sul mare è una postazione difensiva di Rapallo, nella città metropolitana di Genova. È denominato anche come “castello medievale”, definizione errata visto che la costruzione è risalente alla seconda metà del XVI secolo.
I lavori per la sua costruzione, si conclusero sotto il Podestà Benedetto Fieschi Raggio nel 1551. All'interno è presente anche una piccola cappella dedicata a San Gaetano, costruita nel 1688, con la caratteristica cupoletta con campana ben visibile all'esterno. Nella sua storia il Castello è stato sede di importanti organi statali fino al secolo scorso, quando è stato dichiarato "Monumento Nazionale" e ceduto al Comune.
Una locale tradizione, inserita tra gli eventi più celebri durante le festività patronali in onore di Nostra Signora di Montallegro, nei primi tre giorni di luglio, vede il Castello cinquecentesco protagonista di un fantastico spettacolo pirotecnico.
In ambito territoriale è il simbolo per eccezione della cittadina rapallese e dichiarato monumento nazionale italiano dal Ministero dei Beni Culturali.
SAN GAETANO
in un dipinto di Giambattista Tiepolo
Vicenza, ottobre 1480 - Napoli, 7 agosto 1547
Fondatore dell’Ordine dei Chierici regolari teatini; nel 1671 è stato proclamato santo da papa Clemente X - E’ detto il Santo della Provvidenza.
All'interno del castello era presente, sino alla metà degli anni ’50, una piccola cappella dedicata a San Gaetano costruita nel 1688 con la caratteristica cupoletta con campana, ben visibile all'esterno del castello, ancora oggi, come mostra la freccia.
Perché fu scelto San Gaetano?
Non siamo certo noi a poter dare questa risposta, tuttavia, spulciando qua e là… abbiamo ritenuto che fosse importante segnalarvi alcuni passaggi della sua vita che lo collocano molto in alto nelle gerarchie della chiesa per il valore delle sue imprese…
San Gaetano fu uno dei più significativi riformatori della Chiesa del Cinquecento.
. Papa Giulio II lo nominò protonotario apostolico e suo segretario particolare.
. Fondò la Compagnia del Divino Amore
. Fondò l’Ospedale Nuovo degli Incurabili
. Fu uno dei fondatori dell’Ordine dei Teatini
. Fondò l’Ordine dei Somaschi
. Ideò ed istituì il Monte di Pietà (l’odierno Banco di Napoli)
. Diede un impulso formidabile al presepe partenopeo
. Realizzò il primo presepe vivente
. San Gaetano anticipò e mise in pratica molte delle riforme che il Concilio di Trento avrebbe deciso in seguito.
Assieme a San Gennaro, è compatrono di Napoli, e patrono di Chieti.
Il Giubileo dei carcerati
«Attraversare la Porta santa è un gesto simbolico, carico di significato, vuol dire andare al di là della posizione in cui si era un attimo prima”.
San Gaetano dedicò la propria esistenza a lottare a favore degli orfani, degli incurabili, dei carcerati, dei poveri; preferì sempre la compagnia dei meno abbienti e dei derelitti. Questo amore infinito che provava per gli sfortunati trovò espressione anche in un gioco semplice poi battezzato "Il gioco di San Gaetano": un gioco che amava fare con chiunque e nel quale scommetteva preghiere o rosari che avrebbe compiuto un servizio per loro - ci riusciva sempre, ed essi dovevano sempre 'pagare' con preghiere.
San Gaetano fu uno dei più significativi riformatori della Chiesa del Cinquecento, Gaetano da Thiene, nasce a Vicenza nel 1480, da famiglia-nobile.
Da giovane dava tutto ciò che poteva ai bisognosi e spesso chiedeva a parenti e amici di donare anch'essi ai poveri. Era umile, obbediente e sottomesso; ma, al momento opportuno, sapeva anche essere fiero delle sue credenze e risoluto nell’affermarle.
Studiò diritto a Padova, dove non cedette alle molte tentazioni tipiche di una grande città. Tutte le mattine si recava a messa, poi frequentava le lezioni all’Università e si dedicava alle visite prolungate ai poveri nei tuguri, negli ospedali e nelle carceri.
A differenza di altri giovani della sua età, gli anni trascorsi a Padova gli rinforzarono il sentimento religioso e Gaetano decise che sarebbe diventato sacerdote. E tale sarebbe stata la sua dedizione pastorale che sarebbe diventato una roccia di fede alla quale molti si aggrapperanno saldamente. Eppure, celebrerà la sua prima Messa soltanto a trentasei anni e la sua umiltà era così grande che gli ci vorranno parecchi mesi di preparazione e di preghiera prima di riuscirci: considerava una "gran superbia" l'essere salito all'altare.
Terminò brillantemente gli studi con la doppia laurea in diritto canonico e civile e gli fu conferita la "corona d’alloro", sogno di tutti i laureandi del tempo. Poi, nel 1506, mentre cercava di vivere umilmente, tra i poveri a Roma, fu chiamato dal Papa Giulio II (di Albisola), il quale non tenne conto di vari aspiranti più anziani e lo nominò a protonotario apostolico e suo segretario particolare, posizione che terrà per 13 anni.
Fu allora che iniziò la sua riflessione sugli usi e costumi della Chiesa che sarebbe sfociata in propositi di riforma, e con il futuro Papa Paolo IV, Gian Pietro Carafa, si unì alla Compagnia del Divino Amore, un ristretto cenacolo di sacerdoti e di laici impegnati nella carità verso il prossimo.
Gaetano, pur essendo di famiglia ricchissima, vestiva con semplicità, e il suo alloggio era una semplice cameretta spoglia arredata da un tavolo e una sedia - il suo materasso un sacco di paglia.
Dopo un'apparizione della Vergine, la notte di Natale del 1517, decide di portare fino in fondo l'impegno assunto. Gaetano stava pregando nella Chiesa di Santa Maria Maggiore, nella cappella del Presepio davanti ad un'immagine di Maria col Figlio, quando, improvvisamente, la Vergine posò Gesù sulle sue braccia tese. La visione si ripeté altre due volte in altre circostanze.
Forte di questa esperienza sconvolgente, proseguì il suo peregrinare tra Vicenza, Verona e Venezia. A Venezia Gaetano rimarrà solo due anni, abbastanza però per dar vita a due istituzioni: quella del "Divino Amore" e l’altra, più grande, dell’Ospedale Nuovo degli Incurabili.
Verso la fine del 1523, Gaetano tornò a Roma, dove si riunì al vescovo Giampietro Carafa, a Bonifacio Colli e a Paolo Consiglieri. I quattro condividevano un ideale fondamentale: vivere da poveri per i poveri.
Di lì a poco, maturarono l'idea di fondare un nuovo ordine basato sulla povertà, sulla obbedienza e sulla castità. Fu così che i quattro fondarono l'"Ordo Regularium Theatinorum", la congregazione dei Teatini, la prima congregazione di chierici regolari. Presero il nome di 'Teatini' dal nome latino di Chieti (Teate), di cui Carafa era il vescovo. Era il 1524, e il nuovo ordine aveva come scopo preciso anche quello di riformare il clero, e sarebbe diventato un tassello fondamentale nel rinnovamento della Chiesa.
Comunemente si dice "Riforma" quella iniziata da Lutero e “Controriforma" quella operata in seno alla Chiesa, per tornare all’osservanza degli antichi principi. Sarebbe più giusto dire Scisma Protestante e Riforma della Chiesa.
In detta Riforma, Gaetano Thiene ha un suo posto: preciso, autorevole, nobilissimo. A differenza della riforma luterana, che partiva dall'alto, la riforma di Gaetano partiva dal basso, dalla strada, dai poveri.
Non predicò la riforma: preferì attuarla Carafa che fu il primo superiore generale dell'Ordine, sebbene l'idea della fondazione era di don Gaetano da Thiene, ma, umile com'era, quest'ultimo si tenne in disparte. I teatini volevano vivere da poveri, affidando la loro vita interamente alla Divina Provvidenza, senza mai chiedere aiuto a nessuno, vietandosi perfino di mendicare. Gaetano rinunciò a tutti i suoi beni per dedicarsi completamente ad una vita per gli altri.
Nel 1527, dopo aver subito inenarrabili soprusi e violenze durante il Sacco di Roma, i teatini fuggirono a Venezia. Qui il nobile Girolamo Emiliani li aiutò e, contemporaneamente, condividendo l'esperienza di Gaetano, scoprì la propria vocazione, il proprio grande amore per i disereditati. Più tardi diede origine all’Ordine Somasco che, per molti versi, rispecchiò gli ideali dei teatini. I Padri Somaschi si dedicheranno all’educazione degli orfani e dei ragazzi in genere.
E proprio a Napoli sta per nascere un Museo permanente del presepe, che avrà sede nella chiesa di San Paolo Maggiore, in piazza San Gaetano, nel cuore del centro storico. Luogo perfetto per una simile esposizione, sito al termine di via San Gregorio Armeno, la via dei presepi, e in quel complesso teatino dove si insediò San Gaetano da Thiene, il primo che a Napoli si impegnò nella realizzazione di un presepe vivente, e che sempre a Napoli per primo costruì, nell’oratorio di Santa Maria della Stalletta presso l’Ospedale Incurabili, un presepe con figure in legno abbigliate secondo la foggia del tempo.
Sempre a Napoli, Gaetano ebbe anche un'importanza fondamentale nello sviluppo del presepe partenopeo. Costruì, per primo, nell'oratorio di Santa Maria della Stelletta presso l'Ospedale degli Incurabili, un presepe con figure in legno abbigliate secondo la foggia del tempo. A questo fatto, considerato rivoluzionario, seguì poi l'ampliamento della rappresentazione mediante personaggi che appartenevano sia al mondo antico sia all'epoca contemporanea, senza alcun timore di eventuali anacronismi: in tal maniera il Santo dava vita a quella che sarebbe rimasta come una delle principali caratteristiche del presepe, cioè la sua atemporalità, che permette di far rivivere la nascita del Cristo in ogni epoca.
Inoltre, si impegnò nella realizzazione del primo presepe vivente di cui si ha testimonianza a Napoli.
Anche in questo Gaetano anticipò il Concilio di Trento (1545-1563), il quale avrebbe favorito la diffusione del presepe quale espressione della religiosità popolare. Per opera dei Gesuiti il presepe divenne strumento didattico per l’evangelizzazione dei popoli.
Nel 1540, Gaetano tornò a Venezia, aprì ospizi per i vecchi e fondò altri ospedali a Vicenza e Verona.
Infine tornò a Napoli dove c'era più da lavorare. Vi rimase fino alla morte, che sopraggiunse all'età di sessantasette anni. In punto di morte, in preda a forti sofferenze fisiche, vide di nuovo la Sacra Vergine che si rivolse a lui dicendo: "Gaetano, Mio Figlio ti chiama, andiamo in pace".
Prima di morire, Gaetano espresse il desiderio di essere sepolto in una fossa comune nella Chiesa di San Paolo. Era il 1647.
Otto anni dopo, Carafa fu eletto papa col nome di Paolo IV. Presto si sarebbe rivelato un vero riformatore.
Beato nel 1629 per volere di Papa Urbano VIII, Gaetano fu poi canonizzato da Clemente X nel 1671.
Nel 1980, Papa Giovanni Paolo II fece notare come il messaggio di San Gaetano fosse sempre attuale:
- Per il suo spirito altamente sacerdotale, inteso ad una permanente riforma dell'"uomo interiore";
- Per il suo ardore per la riforma della Chiesa del suo tempo, Chiesa "semper reformanda";
- Per il suo ritorno alle genuine fonti del Vangelo alla maniera di vivere degli Apostoli;
- Per lo zelo posto nel decoro della Casa di Dio e nel servizio liturgico;
- Per la sua instancabile dedizione al servizio degli infermi, dei poveri, degli emarginati;
- Per il suo fiducioso abbandono alla provvidente Bontà del Padre Celeste.
Per la Chiesa fu esempio vivente di come votare la propria vita all'essere servi di Dio, di come vivere secondo i valori predicati da Gesù. Si ritiene unanimemente che San Gaetano anticipò e mise in pratica molte delle riforme che Il Concilio di Trento avrebbe deciso in seguito.
Si mosse verso Dio con fiducia, sapendo che Dio lo stava aspettando e che lo avrebbe aiutato, convinto che fosse dovere del fedele cercare Dio, andargli incontro, convinto che fosse facile farlo - per tutta la vita cercò di convincere gli altri, quasi incredulo che si potesse ignorare Gesù e il suo amore: "Cristo aspetta ma niun si muove".
Per questa sua illimitata fiducia nell'Onnipotente, è venerato come il Santo della Provvidenza.
L'iconografia tradizionale mostra San Gaetano abbigliato da monaco con un cuore alato sul petto. A volte viene rappresentato con un libro, una penna, un giglio, un cuore ardente, oppure con Gesù in braccio. Assieme a San Gennaro, è compatrono di Napoli, e patrono di Chieti. E' il santo protettore dei disoccupati, di chi cerca lavoro, e dei donatori di sangue.
A questo punto, il lettore ha il diritto di chiedersi quale sia il motivo che ha spinto la nostra curiosità ad occuparci di questo santo protettore dei carcerati, ma evidentemente anche dei carcerieri…
Rispondiamo segnalando a seguire il LINK del racconto “drammatico” di quanto accadde nelle segrete del Castello cinquecentesco di Rapallo che fino ai primi anni ’50 erano adibite a carcere: sei celle in tutto.
Forse anche a voi verrà fatto di pensare all’intercessione di quel Santo della Provvidenza che intervenne evitando vittime ed un bagno di sangue innocente!
Sito di Mare Nostrum Rapallo
L’ULTIMO PRIGIONIERO DI RAPALLO
Rapallo, domenica 22 luglio 2018
A cura di CARLO GATTI
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ARCIDUCA MARKUS d'ASBURGO AL MUSEO MARINARO TOMMASINO ANDREATTA
Visita al Museo Marinaro Tommasino-Andreatta
dell'Arciduca d'Austria Markus d’Asburgo-Lorena, pronipote di Francesco Giuseppe e Elisabetta d’Austria
Comunicato Stampa
Sabato 20 c.m. alle ore 16.00, S.A. L’Arciduca d’Austria Markus d’Asburgo-Lorena, pronipote di Francesco Giuseppe e Elisabetta d’Austria e il Colonnello (Ris) delle FF AA Austriache Ing. Karl Skrivanek, Presidente della OMV(Österreichischer Marineverban–ÖMV- cioè l’Associazione Marinai Austriaci che ha il compito di conservare la memoria della Marina Austroungarica) accompagnati dal Cav. Stefano Foti, Chiavarese di adozione e attualmente residente in La Spezia, nonché amico personale dei due illustri Ospiti, visiteranno il Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari.
Da notare che i graditi e importanti ospiti, parlano bene l’Italiano e visiteranno il Museo Marinaro in “divisa sociale” della OMV. L’Arciduca, tra i numerosissimi titoli ha anche quello di Granduca di Toscana e quindi ha voluto imparare l’italiano. Pertanto eventuali spiegazioni dei Curatori del Museo Marinaro, o eventuali interviste non avranno problemi di sorta in fatto di idioma.
Alla figura di Elisabetta d'Austria fu ispirata una trilogia di film austriaci diretti negli anni cinquanta da Ernst Marischka e interpretati da Romy Schneider nel ruolo della duchessina (impropriamente chiamata "principessa") bavarese e poi imperatrice d'Austria, divenuta celebre con il soprannome di "Sissi".
Per il Benvenuto a Chiavari e al Museo Marinaro, gli ospiti saranno ricevuti nell'ufficio dal Capitano di Vascello Giuseppe Cannatà Comandante della Scuola Telecomunicazioni FF AA di Chiavari. Dopo i saluti di rito faranno da guida al Museo Marinaro il Comandante Ernani Andreatta e i suoi curatori Giancarlo Boaretto ed Enrico Paini.
Lo scorso anno il Cav. Stefano Foti è stato a Vienna in rappresentanza A.N.M.I. (Associazione Nazionale Marinai d'Italia) per una toccante cerimonia relativa alla commemorazione degli Equipaggi multietnici della K.u.K. Kriegsmarine (Marina Imperiale) composti da Italiani, Dalmati, Austriaci, Tedeschi e Ungheresi.
Un epilogo commovente di tante battaglie sul mare tra l'Italia e Impero Austro Ungarico durante la Prima Guerra Mondiale. Ma ora è tempo di unirci tutti per commemorare i tanti caduti sul mare di tutte le nazionalità. Quelle guerre sono finite, e suoi Caduti indistintamente sono tutti da onorare come Eroi, anche se purtroppo, di guerre, ai giorni nostri, ne sono cominciate altre ancora peggiori dove di eroico non c'è più nulla se non il fanatismo forsennato di pochi ....
Stefano Foti, è Tenente c. della riserva, insignito della Croce di Cavaliere della Repubblica e della Croce d’oro al Merito di Marina “Marine-Kreuz” austriaca, è soprattutto un grande appassionato di Storia Marinara, con una serie di ascendenti decorati anche al valor Militare come suo Zio Diogene Foti. Tra gli altri suo Padre, il Comandante Cesare Foti, già presidente del Rotary Club Rapallo Tigullio negli anni 90', può considerarsi Chiavarese avendo abitato per molti anni assieme alla compianta Signora Tina a Chiavari in Corso Genova. Molti dei preziosi cimeli legati alla vita del mare sia in pace che in guerra della famiglia Foti, fanno ora parte del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta anche nella sala dei decorati intitolata a Enrico Millo.
L'Arciduca Markus, vive a Bad Ischl, che è un comune austriaco di circa 14.000 abitanti nel distretto di Gmunden, in Alta Austria, con la consorte Hildegard a insieme ai loro tre figli nella residenza Kaiservilla, che viene spesso aperta al pubblico e nella quale si trova il museo che custodisce tutte le testimonianze storiche dell’impero austro-ungarico. Markus, undicesimo di tredici figli, è il nipote di Maria Valeria, la figlia prediletta dell’imperatore Francesco Giuseppe e di "Sissi", e di Francesco Salvatore, a sua volta discendente di Maria Immacolata di Borbone. Nel suo sangue c’è il legame indissolubile di due tra le più grandi dinastie di fine Ottocento, i Borbone di Napoli e gli Asburgo d’Austria.
Il Colonnello Skrivanek è Presidente della OMV (Österreichischer Marineverband-ÖMV) cioè l’Associazione Marinai Austriaci che ha il compito di conservare la memoria della Marina Austroungarica. Storico navale di fama, pluridecorato, è molto attivo in tutto ciò che concerne la storia della Marina Austroungarica e dei suoi Equipaggi, di cui ancor oggi tiene alto l’Onore, ed è noto nelle FF AA austriache per le sue attività di ingegnere inventore di sofisticati congegni, per i quali ha ricevuto riconoscimenti da molte parti del mondo. E’ coniugato con Maria Teresa, Italiana di nobili origini.
Ma un pò di storia, ogni tanto, è bene ricordarla, ....
Francesco Giuseppe I d'Austria, (in tedesco: Franz Joseph I von Österreich Vienna, 18 agosto 1830 - Vienna 21 novembre 1916), è stato Imperatore d'Austria 1848-1916 e Re d'Ungheria (1867-1916). Regnò sul neo riformato Impero Austro-ungarico dal 1867 e sul Regno Lombardo Veneto, fino al 1866 apparteneva alla casa d'Asburgo-Lorena.
Dopo i moti rivoluzionari del 1848 subentrò a suo zio, ritenuto troppo debole per continuare a governare. Il padre di Francesco Giuseppe rinunciò alla successione e il diciottenne Francesco Giuseppe venne incoronato imperatore d'Austria il 2 dicembre, 1848, su richiesta della sua famiglia.
Con un regno di quasi 68 anni ha superato ogni altro sovrano della sua dinastia, le scelte di governo in politica estera ed interna che compì durante questo lasso di tempo lo imposero come il responsabile del disgregamento e della dissoluzione dell'Impero Austro-Ungarico.
Abrogò nel 1851 le concessioni costituzionali e instaurò un regime assolutistacentralista. Le sconfitte militari nella seconda guerra d'indipendenza italiana (1859) e nella guerra austro-prussiana (1866) lo videro costretto a scendere a patti con i magiari e convertire l'Impero Austriaco in due nonarchie costituzionali: il compromesso del 1867 ha creato la doppia monarchia austro-ungarico come una vera e propria unione di due stati.
Sotto il suo regno crebbe l'opposizione alla Russia sui Balcani, mentre si avvicinò all'Impero tedesco (Duplice alleanza). Il rifiuto di avviare un processo di riforme nella Cisletania da parte di Francesco Giuseppe, nelle Terre della corona di Santo Stefano il non riconoscimento dell'élite Magiara, e il sempre più ampio conflitto tra le diverse nazionalità avviarono verso il collasso l'impero. Le tensioni in atto nei Balcani di dichiarare guerra alla Serbia, e di conseguenza a causa delle alleanze tra stati alla prima guerra mondiale e la forte sovrastima delle forze militari di Austria-Ungheria condussero Francesco Giuseppe nel 1914.
La morte di Francesco Giuseppe il 21 novembre, 1916 in concomitanza con la sconfitta militare della prima guerra mondiale ed i divergenti interessi nazionali dei popoli, portarono alla dissoluzione dell'Austria-Ungheria, nel 1918.
E una visita importante per il nostro Museo Marinaro e cercheremo di renderla interessante e piacevole con l'aiuto della Scuola Telecomunicazione FF AA e con i nostri collaboratori e curatori Giancarlo Boaretto e consorte Paola Ferraris, Enrico Paini e gli allievi curatori Francesco Ulivi e Francesco Materno, studenti di Ingegneria ma anche diplomati Nautici a Camogli che da qualche tempo collaborano attivamente, nei momenti liberi, con la nostra realtà museale. Ma soprattutto un grande grazie al Cav. Stefano Foti che porterà al Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari questi illustri ospiti.
Comandante Ernani Andreatta
A sinistra, l'Arciduca d'Austria Markus d’Asburgo-Lorena, pronipote di Francesco Giuseppe e Elisabetta d’Austria; al centro, la granduchessa Hildegarde e a destra, il Col. Karl Skrivanek.
L’Arciduca d’Austria Markus d’Asburgo-Lorena è il secondo da sinistra. il Cav. Stefano Foti è il primo a destra. Gli altri due sono rappresentanti della ex Marina Austro Ungarica.
A cura di Ernani ANDREATTA Direttore e Curatore del Museo Marinaro Tommasino-Andreatta di Chiavari.
CHIAVARI
10 Maggio 2017