CONSIDERAZIONI SU DRAGUT

CONSIDERAZIONI su DRAGUT


Nella rilettura del libro che Emilio Carta ha scritto sul “pirata” Dragut, ancora una volta ci si è soffermati sugli aspetti militari e non si è evidenziato quello religioso delle varie fedi in quel periodo storico.

Le tre Religioni Monoteiste, l’Islam, il Giudaismo e il Cristianesimo, nate tutte sulle parole e sull’operato dei profeti e messaggeri di Dio, sono basate sulla tolleranza e il rispetto delle religioni altrui.

Gli uomini poi nei vari secoli, l’attuale compreso, le hanno “piegate” al loro tornaconto personale e al potere che poteva derivarne se opportunamente manipolate, fuorviandone le finalità. Ne è prova che tutte siano di origine divine, il fatto che gli uomini passano ma loro no.


All’epoca del Dragut l’Islam era tollerante tanto che se i rapiti dai pirati e poi non riscattati nei luoghi esibiti nella vicinanze dei loro paesi, venivano portati e venduti come schiavi in Nord Africa, se cattolici restavano in stato di schiavitù dal punto di vista fisico ma liberi di professare le rispettive religioni. Lo dimostra il fatto che i sacerdoti o i monaci, pur essi rapiti nelle varie razzie, una volta a Tunisi o ad Algeri o altrove potevano, la Domenica, celebrare Messa a conforto dei cristiani cola’ prigionieri: era sufficiente devolvessero ai loro “padroni”, parte delle offerte raccolte.

Di contro la Chiesa Cattolica, che vedeva che molti suoi fedeli, durante la prigionia, abbracciavano la fede islamica, cercava di contrastare queste improvvise vocazioni. Per certo un ruolo importante lo giocava il fatto che, una volta abiurata la vecchia fede per abbracciare la nuova, il “convertito” poteva godere di tutti i diritti degli Islamici. Cessava la schiavitù e poteva esercitare qualsiasi attività alla pari degli Arabi sino, se erano in gamba, ad inserirsi e risalire nella gerarchia locale. Alcuni, lo abbiamo visto, divennero Capi  in quei paesi.

A fronte di questa tolleranza Islamica, la Chiesa Cattolica, seguiva la linea del Diritto che si era imposta, dimenticandosi del comportamento di Cristo e di quanto predica il Vangelo. Se un cristiano, una volta fuggito e liberatosi dalla schiavitù tornava alla sua fede originale, Essa stessa anziché ricordarsi del buon Pastore che lascia le 99 pecore per cercare quella smarrita o far festa per il ritorno del figliol prodigo, sottoponeva il “ritornato “ ai soliti suoi processi, basati su leggi che essa stessa e non il Cristo, si era data per mantenere il suo potere temporale e le cose spesso si volgevano al peggio per il malcapitato che aveva a fatica ripreso la propria liberta’.


Quando il Profeta Maometto dovette abbandonare la Mecca a seguito di difficolta’ e opposizioni sempre crescenti ed emigrò a Medina, trovò in quella citta’, oltre ai suoi fedeli, anche moltissimi ebrei che non cercò di convertire anzi, stipulò con loro accordi di pace  e non li chiamò “infedeli” ma <ahlul kitab> cioè ‘Gente del libro’. Nonostante le torture che i suoi seguaci subirono, il Profeta trattò  sempre con tolleranza i miscredenti di Mecca. A tale proposito ci resta un pezzo della sua cultura alla tolleranza in un breve capitolo della <rivelazione>. Quando scrisse ai vari Paesi confinanti, non li minacciò di aggressione militare nell’ipotesi non avessero accettato il messaggio dell’Islam. La lettera al Re cristiano di Abissinia ne è testimonianza, diceva <Io ho trasmesso il messaggio ed ora spetta a voi accettarlo. Una volta ancora, pace su colui che segue la vera guida>.

Certo oggi, come capitò a noi cristiani quando nel medio evo, assetati di potere, cercammo di piegare la religione a nostro vantaggio (Dio lo vuole !) i suoi seguaci, per fortuna non tutti, abusano pur di sfogare il loro odio contro chi gli sottrae seguaci e dimostra alla storia che l’oscurantismo becero che loro professano, non fa fare progressi.  Cancellano così una loro cultura importante, per tornare in dietro di secoli.

L’altro aspetto che mi premeva sottolineare è l’idea che i Pirati, assetati solo di schiavi da vendere e meno alle povere merci che arredavano le case del popolino in quei tempi, assalissero le Chiese per odio religioso: niente di più fuorviante.

Per antica consuetudine, sempre rispettata da tutti gli eserciti, le chiese erano territori inviolabili. Anche qui và precisato che questa norma non scritta era voluta dai vari capi  perché era loro convenienza non inimicarsi il Papa che, all’epoca, fungeva da Tribunale Supremo a cui tutti i  Regnanti si rivolgevano a che mediasse fra le loro liti.


La basilica nel XVIII secolo in un disegno-stampa di Gio Bono Ferrari

Forti di questa consolidata esperienza le donne, le più ricercate dai rapitori, fuggivano nelle Chiese locali, (a proposito: la Basilica di Rapallo all’epoca era limitata all’attuale abside) portando con se quelle poche gioie di casa mentre gli uomini o fuggivano o erano a tentare di sottrarre più che difendere, disarmati come erano, la Citta’ e con essa le loro case. Le donne in quel luogo Sacro si ritenevano al sicuro. Ben presto i Pirati capirono questo meccanismo e così, assalendo le chiese, prendevano in un sol colpo donne e preziosi. Non rispettando la, per loro sconosciuta, inviolabilità le assalivano. I loro Capi, i vari Sultani, non si servivano del Papa per derimere le loro controversie, che risolvevano ogni volta con bagni di sangue.


Bartolomeo Maggiocco, effigiato in un dipinto che decora l'aula consiliare, verrà sempre ricordato per questo gesto e meriterà anche l'intitolazione d'una strada.

Un’ultima constatazione. Come la storia cambia a seconda di chi la “rilegge”. Il Magiocco, l’eroe locale, quando il Dragut assalì la citta’ non corse sulla spiaggia o fra i vicoli a combattere gli invasori, ma  si precipitò a prendere la sua ragazza per fuggire in altura, zona che ai pirati non interessava. Con questo non edificante episodio, abbiamo trasformato in eroe difensore della Patria, un giovane innamorato e veloce di gamba.

E’ per questo che i più accorti evitano di fare atti eroici e pensano invece a salvare la pelle. La storia insegna che, dopo,  se sei vivo conti ma se muori, al di la’ della medaglia, non resta altro.

Oggi la strada che, costeggiando il San Francesco, porta in altura, è intestata appunto a lui: decisione subliminale ??

Renzo BAGNASCO

Rapallo, 20 luglio 2016


 


ONDA ANOMALA

 

ONDA ANOMALA


 

Una Chevron dell’epoca

 

Il 20 febbraio 1969, mi imbarcai con il grado di 3° Uff.le Coperta sulla t/n “A.N. Kemp”, petroliera di 32 mila tonnellate di stazza lorda della Società “Chevron”.


St. John

Raggiunsi la nave in Canada, nel porto di St.John. Appena arrivato a bordo, prima di fare il passo definitivo per raggiungere il ponte principale, ebbi un attimo di esitazione : l’equipaggio era composto da 32 persone, tutti italiani, ma estremamente trasandati, con la barba incolta e la maglietta o camicia annodata intorno alla vita. Dopo che li ebbi conosciuti mi resi conto che era tutta brava gente e, in poco tempo, mi adattai e diventai come loro.

Porto di Augusta

Dopo alcuni viaggi tra il Nord e Sud America, arrivò l’ordine di dirigere verso il Mediterraneo e precisamente in Sicilia, nel porto di Augusta. Per l’avvicendamento dell’equipaggio, fui promosso dopo appena un mese di imbarco e con mia soddisfazione 2° Uff.le. di coperta.  La notizia dell’avvicinamento a casa ci riempì il cuore di gioia. Nella prima decade di aprile si fece rotta per Gibilterra.

Mare di prora

Nave nella burrasca

Mare in coperta

Attraversando l’Oceano Atlantico incontrammo a metà del percorso una bassa pressione che si approfondiva sempre più e per diversi giorni fummo bloccati dalla tempesta al centro della nave, dove c’era il ponte di comando, impossibilitati a raggiungere la poppa, dove si trovava la saletta ufficiali. Il comandante dovette fare un’ampia accostata e creare le condizioni di ridosso per far correre uno di noi con una lunga cima verso poppa e stabilire un contatto con la cucina. Ci mandavano, di tanto in tanto, con un sistema di “va e vieni”, panini imbottiti, pollo e frutta. Le onde intanto si facevano sempre più alte e frangevano contro la prora. La nave teneva molto bene il mare e solo di tanto in tanto c’era qualche brusco movimento. Ricordo che una notte, esattamente alle 04:10, mentre stavo smontando di guardia e avevo già passato le consegne al primo ufficiale vidi di prora un ostacolo molto alto.

Misi bene a fuoco la vista e mi accorsi che era un’onda anomala che sicuramente era alta almeno 15 metri. Feci cenno al primo ufficiale che subito si mise in contatto con la sala macchine per ridurre al  minimo l’andatura.

Una vera Onda anomala

L’onda si infranse contro la prora, la nave ebbe una forte sollecitazione che, per fortuna, non causò danni allo scafo; il ponte di comando venne investito con violenza, praticamente sembrava di essere sott’acqua. Si ruppe un finestrino laterale, la sala si inondò e la strumentazione nautica si salvò per  miracolo. Seguì una seconda onda di circa 10 metri, il cui impatto fu più dolce, in quanto la nave aveva ormai perso velocità e avanzava a non più di tre nodi. Passato il pericolo, il comandante, che venne subito sul ponte, si complimentò con noi per aver avuto la prontezza di ridurre i motori avvisando il personale della sala macchina di ciò che stava succedendo. Mantenemmo per un po’ l’andatura minima, ci accertammo che l’onda non avesse creato qualche danno alle tubazioni in coperta, o qualche lacerazione o deformazione alle lamiere e, dopo qualche ora, aumentammo la velocità intorno ai 12 nodi per affrontare e superare la bassa pressione che si stava dirigendo velocemente  spostandosi verso Nord. In mattinata, verso mezzogiorno, uscimmo dalla tempesta. Il vento e il mare incominciavano a calmarsi. Nel pomeriggio il tempo migliorò ulteriormente, i venti si orientarono da Nord Ovest, il cielo tornò sereno. Finalmente la sera riuscimmo a percorrere la passerella per recarci a poppa e mangiare tranquillamente seduti in saletta ufficiali. Il cuoco per l’occasione preparò un buon pranzo e ricordo che, come primo piatto, ci propose una nuova ricetta “Le penne all’onda anomala”. Non so quali fossero gli ingredienti, ma la pasta aveva un gradevolissimo gusto di mare. Venni a sapere che con l’onda anomala avevamo imbarcato, oltre all’acqua salata, anche una notevole quantità di pesci rondine. Il cuoco li aveva usati per il sugo delle penne e li aveva cucinati al forno con le patate. Sarà stata la fame arretrata, ma li trovammo veramente squisiti.

Mario Terenzio PALOMBO

 

 

Rapallo, 23 Maggio 2014

 



C'era una volta... il NOSTROMO di banchina

C’era una volta....

il Nostromo di banchina

Cosa sta succedendo nel porto di Genova da un po’ di tempo a questa parte? Sono in molti a chiederselo. Ovviamente ci si riferisce ai ripetuti incidenti mortali che stanno colpendo turisti, croceristi ai terminal passeggeri, ma anche lavoratori portuali nelle calate dei containers negli ultimi anni.

London Valour

Monica Russotti

Haven-Epilogo

Ho trascorso in porto  metà della mia esistenza, prima come comandante di rimorchiatori, in seguito come pilota portuale e, a mio modestissimo avviso, posso testimoniare d’aver visto e vissuto molte tragedie navali. Tuttavia, occorre precisare che si trattò di naufragi (London Valour), incendi (Anna C.- Angelina Lauro - Achille Lauro), esplosioni (Hakuyo Maru-Haven) nonché numerosi altri incidenti mortali causati da trombe d’aria, fulmini, mareggiate da libeccio ecc... Lo scenario oggi é cambiato ed entra in gioco la sicurezza all’interno del porto e non si parla più di cause naturali. Oggi é necessario affrontare il discorso sulle responsabilità umane, ma a questo punto il discorso si fa molto  arduo perché nel nostro Paese, purtroppo, le responsabilità sono sempre frazionate, a volte frantumate e, alla fine, dopo decine di anni spesi in accertamenti e cause, tutto cade nell’oblio totale.... Da oltre dieci anni a questa parte, a mio modo di vedere, nel porto di Genova si muore troppo facilmente e per altri motivi che volutamente non approfondisco, per non interferire sulle decine di cause ancora in corso. Tutto cominciò intorno al 2000, forse per motivi di bilancio, ma sicuramente a causa della privatizzazione delle banchine. Improvvisamente fu “licenziato” dalle banchine il Nostromo di banchina, un sottufficiale di Capitaneria, che rappresentava l’Autorità Marittima e Portuale nei punti nevralgici del porto, dove erano in corso manovre di navi e operazioni in banchina. Questi militari di grandissimo “mestiere”, avevano il controllo totale di tutto ciò che  si muoveva in porto: arrivi, partenze, movimenti, carico e scarico delle merci. Il Nostromo di banchina era il maggiore collaboratore dei servizi portuali perchè dava il via alle manovre soltanto quando erano cessati i pericoli in calata (gru fuori posto, presenza di chiatte, cavi in mare o messi male, auto od altro posteggiate in zone pericolose ecc...). Il Nostromo controllava i pescaggi, gli sbandamenti delle navi e la sua presenza in banchina era paragonabile a quella del “poliziotto di quartiere” che segnalava agli interessati qualsiasi anomalia e provvedeva a risolverla in tempi quasi sempre brevissimi. Ogni nostromo aveva la sua zona e tutti facevano riferimento alla sua persona, H-24. Per chi ha lavorato con loro ed ha vissuto il passaggio successivo, non ha ancora capito il mistero della loro improvvisa eliminazione che ha creato un vuoto nell’organizzazione portuale che perdura tuttora. Chi ha deciso quello stravagante provvedimento non aveva sicuramente la minima idea della loro professionalità, attendibilità, serietà, dedizione, senso del dovere, capacità organizzative, grandissima esperienza. Con la loro uscita di scena, le banchine sono scivolate, da un giorno all’altro, nell’anarchia e nella deregulation, lasciando lo spazio al disordine più o meno calcolato. Senza di loro, il pressing e lo stress sono diventati i veri protagonisti della produttività a scapito della sicurezza.

Probabilmente i Nostromi di Banchina erano ritenuti responsabili di “frenare” la scorrevolezza del traffico e la movimentazione delle merci  con la loro diligente azione sul campo, e mai nessuno aveva calcolato, al contrario, quanti incidenti avevano evitato dal dopoguerra in poi.

Con la loro scomparsa, il numero degli operai schiacciati dai mezzi di carico e  scarico è cresciuto vertiginosamente, specialmente nel settore containers. Inoltre, con la massiccia espansione del gigantismo navale (passeggeri e traghetti), ha fatto capolino una nuova tipologia d’incidenti: auto cadute in mare ai terminal traghetti, per mancanza di segnalazioni, barriere e  controlli nelle corsie d’avvio agli imbarchi/sbarchi.

Rientra in questo tragico quadro anche l’incidente avvenuto all’inizio dell’estate a bordo di una grossa nave passeggeri (MSC), che ha visto precipitare in mare (dallo scalandrone) due passeggeri mentre la nave era in movimento. Un tempo, nessuno,  avrebbe potuto filare, virare o spostare  i cavi di una nave, o mettere in moto le eliche di manovra senza il permesso del Nostromo di Banchina.

Non conosciamo a fondo la dinamica dei fatti e ci asteniamo pertanto di tranciare giudizi tecnici, tuttavia, dagli articoli apparsi sui quotidiani, ci sembra di capire che anche nell’incidente di ieri, avvenuto sul Traghetto Moby Otta ci sia  stata una carenza di sicurezza. In altri tempi, il Nostromo di Banchina avrebbe fatto completare l’ormeggio, poi avrebbe fatto abbassare la rampa della nave e avrebbe cadenzato lo sbarco delle auto. La vettura precipitata in mare con due giovani tedeschi, a quanto pare, é avvenuta quando i motori e le eliche  della nave erano ancora in movimento.

Non è neppure escluso che tra le possibili cause ci possa essere la solita micidiale  avaria di fine stagione, che colpisce, ogni anno, una buona parte di traghetti giunti al limite dell’efficienza. Anche i motori, come gli umani, esigono controlli e manutenzione dopo un infinito numero di corse, di doppie corse, compiute con il fiato sul collo della concorrenza, degli orari da rispettare, a cominciare dal mese di giugno. Le problematiche su cui riflettere sarebbero numerose, proprio come gli interessi in gioco. Ma qui mi fermo! E ripenso a quella frase così densa di verità ed ironia:

“Tutti parlano di sicurezza, ma nessuno la vuole pagare”.

Carlo GATTI

Rapallo, 19.04.11


Rapallo: LO SCIOGLIMENTO DEL VOTO....

08 Luglio 2018

Rapallo: lo scioglimento del voto chiude le ‘Feste di Luglio’

COSA E' LO SCIOGLIMENTO DEL VOTO?

Un rito secolare che risale al 29 agosto 1657. Rapallo scampò alla peste e i suoi abitanti, in segno di riconoscenza alla Madonna, fecero VOTO SOLENNE di recarsi in processione al Santuario "in un dì dell'ottava del 2 luglio" (giorno dell'Apparizione della Madonna al contadino Giovanno Chichizola nel 1557), di celebrarvi una MESSA e di offrire un OBOLO in segno di gratitudine alla Vergine. Da allora il rito si ripete ogni anno.

Nel nostro servizio fotografico, emerge la grande partecipazione dei rapallesi, delle Autorità, di molte Associazioni cittadine e dei MASSARI che sono il vero cuore  e motore di questi giorni di LUGLIO.

La comunità rapallese si è radunata al Santuario di N.S. di Montallegro per la cerimonia dello Scioglimento del Voto, ultimo atto dei Festeggiamenti in onore della Patrona di Rapallo e del suo Capitaneato.

Un rito secolare, quello celebrato questa mattina in una bella giornata di sole e con una grande e sentita partecipazione. Per la civica amministrazione erano presenti il sindaco Carlo Bagnasco, il vicesindaco Pier Giorgio Brigati, il presidente del consiglio comunale Mentore Campodonico, l’onorevole Roberto Bagnasco, il consigliere metropolitano Agostino Bozzo, gli assessori Arduino Maini, Elisabetta Lai e Umberto Amoretti, i consiglieri comunali Filippo Lasinio, Alessandro Mazzarello, Walter Cardinali, Elisabetta Ricci, Giorgio Costa, Mauro Mele, la dirigente Anna Maria Drovandi. Nutrita anche la presenza dei massari dei Sestieri rapallesi, il “motore” delle Feste di Luglio in onore della Vergine di Montallegro, dei rappresentanti delle forze dell’ordine e delle realtà associazionistiche cittadine: tra queste, il Gruppo Storico che ha preso parte alla cerimonia con i figuranti in costume d’epoca.

La cerimonia dello Scioglimento del Voto (vedi foto sotto) della Comunità Rapallese riporta al lontano 29 agosto 1657: quando la Magnifica Comunità di Rapallo, dopo aver manifestato riconoscenza alla Vergine di Montallegro per aver preservato la città dalla terribile pestilenza che in quel periodo aveva falcidiato l’intera Liguria, fece voto solenne di recarsi processionalmente al Santuario in un dì dell’ottava del 2 luglio (giorno in cui la Madonna apparve al contadino Giovanni Chichizola nel 1557), di celebrarvi una Messa e di offrire un obolo in segno di gratitudine alla Vergine.

Il vescovo di Chiavari Mons. Alberto Tanasini ed il Sindaco di Rapallo Carlo Bagnasco


 


 

Il Sestiere di San Michele ha organizzato, da calendario, il PANEGIRICO 2018

Da allora il voto venne ininterrottamente e regolarmente adempiuto tutti gli anni. Questa mattina, per l’appunto, la Comunità ha rinnovato il rituale, recandosi ufficialmente al Santuario di Nostra Signora di Montallegro. La Santa Messa è stata officiata dal vescovo di Chiavari, Mons. Alberto Tanasini. Al termine della funzione religiosa e dopo la consueta firma degli atti a testimonianza dell’offerta dell’obolo, il Sacro Quadretto donato dalla Madonna di Montallegro è stato condotto processionalmente sul piazzale del Santuario dal rettore don Gianluca Trovato, accompagnato dal vescovo diocesano e dal parroco don Stefano Curotto: qui, l’Icona è stata rivolta verso il Golfo per la Benedizione della Città.

 

ALBUM FOTOGRAFICO

La bandiera di Montallegro garrisce al vento

Sentiero dedicato a Giovanni Chichizola

Ostensione del Quadretto miracoloso

OSTENSIONE ALL'INTERNO DEL SANTUARIO

OSTENSIONE E BENEDIZIONE ALLA CITTA'


Al termine della funzione religiosa e dopo la consueta firma degli atti a testimonianza dell’offerta dell’obolo, il Sacro Quadretto donato dalla Madonna di Montallegro è stato condotto processionalmente sul piazzale del Santuario dal rettore don Gianluca Trovato, accompagnato dal vescovo diocesano, dal parroco don Stefano Curotto, dal sindaco Carlo Bagnasco e  dal presidente del consiglio comunale Mentore Campodonico. l’Icona è stata poi rivolta verso il Golfo  per la commovente Benedizione della Città di Rapallo.


Ha accompagnato la funzione il coro della basilica dei SS Gervasio e Protasio

Sestiere San Michele


Sestiere Cerisola

I rappresentanti di Cerisola e Costaguta

Qualcuno scrisse:

"Una rivalità non é necessariamente una ostilità"

Sestiere Seglio


Sestiere Cappelletta


Sestiere Costaguta

Gruppo Storico di Rapallo


Il Vescovo di Chiavari Alberto Tanasini

Catino absidale del Santuario

La telecamera inquadra la Sacra Icona



Il racconto della giornata con le immagini di Marino Scarnati – Carlo Gatti – Ettore Pelosin

 

CARLO GATTI

Rapallo, domenica 8 luglio 2018


LOCH KISHORN – CHEVRON NINIAN CENTRAL

LOCH KISHORN – CHEVRON  NINIAN  CENTRAL

Storia del Porto e del Bacino di Kishorn

Progetto Ninian Central

Il progetto originale del cantiere di Kishorn in Scozia era stato sviluppato come un cantiere di costruzione per le piattaforme nel 1970. Il cantiere fu gestito dalla Società Howard Doris Ltd ed operò dal 1975 al 1987.  Nel 1975 il lavoro iniziò nel lato a nord del Loch Kishorn per acquisire e sviluppare un’area sufficiente per costruire la Piattaforma di Ninian Central. Questo era molto diverso dal piano originale di costruire un dry dock di 150 metri di diametro per alloggiare la costruzione della struttura di cemento del primo anello della base di Ninian Central.

Nelle foto seguenti si vedono le fasi di costruzione del  bacino di Loch Kishorn:

Dal 1977 c’erano più di 3000 persone che lavoravano nel cantiere. Per la pianificazione di tutto il personale impegnato il cantiere fu considerato come un’isola e tutti  i materiali e le persone venivano  movimentate  per mare e per cielo. Due navi passeggeri in disarmo (Ragantira e Odysseus) furono ormeggiate nel Loch ed adibite a hotel galleggianti per ospitare tutto il personale.

Per continuare il progetto di Ninian la base galleggiante da 150.000 tonnellate fu rimorchiata fuori dal dock ed ormeggiata nel Loch Kishorn. Il bacino nel Lock Kishorn ha una profondità  utile  per costruzioni di 80 metri. Dopo il completamento le 600.000 tonnellate della piattaforma di cemento furono rimorchiate da 7 rimorchiatori nel campo petrolifero del Mare del Nord. A quel tempo questa  piattaforma era stata  il più grande oggetto mobile mai costruito dall’uomo.

Nella sequenza di foto che segue si vedono le varie fasi della costruzione della piattaforma:

Base  piattaforma  in  costruzione  dentro  al  bacino

Base  piattaforma  galleggiante  mentre  viene  rimorchiata  fuori  dal  bacino.

 

Nelle  foto  che  seguono  si vedono  le varie  fasi  durante  la  costruzione a ptf  galleggiante e ormeggiata davanti a Loch Kishorn:

Rimorchio  per cambio  ormeggio

Rimorchio per la destinazione finale

Nelle  foto  a  seguire  si vede la c.v. Pearl Marine  della  Micoperi  durante  le  fasi di  sollevamento dei moduli:

Ninian  Central

La piattaforma  di Ninian Central  ha un singolo piede di supporto in cemento  piuttosto  che molte gambe. Il  piede di supporto alla base ha un diametro di 140 metri  restringendosi  salendo  verso  l’alto.

Installazione  di  Ninian  Central

Alle 05.00 del  mattino  del  12 di agosto 1977  le  220.000  tonnellate della piattaforma  a  gravità e galleggiante erano  pronte  per  essere  posizionate.  E’  stata  rimorchiata da una flotta  di 6 rimorchiatori  oceanici  da Loch Kishorn  fino al  alla destinazione  finale  in mezzo  al  Mare del Nord (settore  inglese).  La base della piattaforma è  grande  quanto  Trafalgar  Square .  La posizione finale  della  piattaforma  alla fine è risultata  di 3 metri  migliore che nel  progetto.


Piattaforma  di  Ninian  Central  terminata  e  in  produzione

Prove  di  produzione  dei  pozzi

D.M. PINO SORIO

Carlo GATTI

Rapallo, 7 Maggio 2017

 

 


IL MUSEO DELLA "DISCOVERY"- DUNDEE (SCOZIA)

IL MUSEO DELLA "DISCOVERY!

(DUNDEE - SCOZIA)

Robert Falcon Scott in alta uniforme. Questa é la foto ufficiale che appare sul frontespizio: Scott's The Voyage of the Discovery (London 1905).

Nasce a Plymouth (Devon) Inghilterra il 6 giugno 1868. Muore a 43 anni il 29 marzo a Ross Ice Shelf in Antartico. Fu Naval Cadet sulla HMS Britannia. Fu Ufficiale della Marina Britannica ed Esploratore del Mar Antartico.


La “Discovery" è conosciuta come la nave del Capitano R.F. Scott.

La RRS Discovery fu utilizzata in diverse spedizioni nelle regioni antartiche, come cargo durante la prima guerra mondiale e come nave d’addestramento per boy-scout. Attualmente si trova in un museo nella città scozzese di Dundee dove la nave fu costruita.

Il 6 agosto 1901, cinque mesi dopo il varo, la nave  salpa dall’isola di Wight in direzione Antartide che raggiunge nel gennaio del 1902.

La prima missione fu complicatissima: dopo aver impiegato il primo mese per cartografare la costa, in preparazione dell’inverno, la nave gettò l’ancora nel canale McMurdo. Contrariamente al piano che prevedeva di trascorrervi l’inverno e poi salpare per una nuova zona, la nave rimase bloccata dal ghiaccio per i successivi due anni.

Nonostante la sosta forzata, la spedizione fu in grado di localizzare il Polo Sud Magnetico. L’equipaggio stabilì anche un record raggiungendo 82° 18′ Sud. Dopo molte peripezie la RRS Discovery riuscì a salpare verso l’Inghilterra e far ritorno a Spithead il 10 settembre 1904.

Dopo la Prima guerra mondiale ed una serie di aggiornamenti, venne utilizzata nei mari antartici per studiare la migrazione delle balene come parte del programma Discovery Investigations.

E fu allora che salì a bordo il nostro Mr. Howard, per lavorare all’operazione Banzare.

La spedizione BANZARE (British Australian (and) New Zealand Antarctic Research Expedition) si svolse tra gli anni 1929 e 1931 ed ebbe come scopo l’esplorazione geografica.

Durante la spedizione vennero effettuati anche brevi voli a bordo di un piccolo aeroplano. In particolare vennero mappate le regioni costiere delle terre di Mac Robertson e della principessa Elisabetta.


Dopo anni d’abbandono, nel 1979 la nave fu salvata dal Maritime Trust che la fece ormeggiare ad una banchina sul Tamigi e fu aperta al pubblico. Nel 1985 il Trust spese 500.000 £ per i restauri, dopo di ché la nave fu consegnata al Dundee Heritage Trust.

Il 28 marzo 1986 la Discovery lasciò Londra a bordo della nave mercantile Happy Mariner per compiere il suo ultimo viaggio verso la città che l’aveva costruita. Il 3 aprile 1986 la “preziosa reliquia” arrivò a Dundee (Scozia) sul fiume Tay.  L’imbarcazione ricevette una calorosa accoglienza dalla popolazione. Nel 1992 la DISCOVERY terminò le sue peregrinazioni presso un attracco sicuro, appositamente costruito per lei, per accogliere milioni di visitatori ai quali poter raccontare la sua affascinante storia. La nave è oggi l’attrazione principale del Discovery Point di Dundee.


Ecco come si presentava la RRS DISCOVERY nel 2005

La città ha anche scelto come soprannome The City of Discovery in onore della nave e della ricerca pionieristica fatta dalla locale università nel campo della medicina.

W.F.Howard era imbarcato (la foto è del 28 dicembre del 1930) sulla nave RRS Discovery

IL MUSEO

La maggior parte degli schermi del Discovery Point mostrano materiale della nave e della documentazione originale del National Antarctic Expedition Britannica imbarcata sulla Discovery nelle operazioni che hanno avuto luogo tra il 1901 e il 1904. 

La Spedizione fu organizzata sotto l'egida delle RGS e la Royal Society con l’obiettivo di ottenere risultati inediti nella ricerca scientifica e nell’esplorazione geografica dell’Oceano Antartico allora sconosciuto. L’impresa é stata certamente una pietra miliare nella storia del British Antartic esploration. La spedizione è stata salutata come un grande successo, nonostante sia stato necessario organizzare una missione di soccorso per liberare la Discovery dai pericolosi ghiacciai. L'età eroica delle Esplorazioni Polari iniziò proprio da quel periodo che, in molti casi, produssero massicci sforzi finanziari,  che non furono sempre positivi,  ma che tuttavia portarono l’Inghilterra e l’Europa a primeggiare nel campo scientifico. Il Museo raccolto a giri concentrici sotto
una vistosa cupola,
 è eccellente. I percorsi sono individuati a partire dalla costruzione della nave in legno, che é oltremodo dettagliata con i disegni e i piani della Discovery, alla sua realizzazione figurata per opera dei Maestri d’Ascia, Carpentieri e Calafati; la composizione in scala del motore con tutte le sue componenti meccaniche; numerosa la strumentazione di bordo e quella degli scienziati impegnati nella ricerca; pregevolissima la ricostruzione dell’ambiente polare, gli animali presenti, la vivibilità tra i ghiacci perenni ecc.. Molti schermi TV documentano e raccontano le varie fasi dell’impresa con le voci narranti dei protagonisti; 
viene narrata la storia della scoperta di una vasta base, la caccia alle balene e la realtà della vita quotidiana a bordo mostrando e descrivendo: cibo, alloggio, vestiario ed armi.

Una sala con schermo gigante presenta a ciclo continuo i membri dellop Stato Maggiore che illustrano la programmazione della spedizione con molti dettagli tecnico-scentifici.

I vari percorsi circolari sotto la cupola terminano in un ampio e frequentatissimo negozio di souvenir. Ottimo il centro di ristoro, ampio e ben fornito.

La documentazione fotografica del Museo la trovate nell’Album Fotografico a seguire.


Ernest Shackleton, Scott, e Edward Wilson prima della loro marcia verso il Polo Sud durante la Discovery Expedition del 2 novembre 1902

Il rifugio del Discovery presso HUT POINT

 

La mappa sotto rappresentata mostra le rotte intraprese da Scott (verde) e da Amundsen (rossa) nel 1911 - 1912



Capitan Scott mentre scrive il suo giornale nel rifugio di Cape Evan nell’inverno del 1911


Il gruppo di Scott fece questo autoscatto il 17 gennaio 1912, il giorno seguente in cui seppero che Amundsen aveva raggiunto il Polo Sud.


Roald Amudsen


La foto ritrae la croce eretta nel 1913 presso Observation Hill a ricordo del Comandante SCOTT e della sua spedizione.


La statua dedicata a R.F. SCOTT fu realizzata dalla vedova scultrice Kathleen Scott nel 1915

 

ALBUM FOTOGRAFICO DEL MUSEO

La DISCOVERY sulle taccate del Bacino di carenaggio

Prora e Bompresso

Vista completa dell'alberatura del DISCOVERY

Alberatura

Proravia

Scalandroni sezione centro nave

Sezione Poppiera

Murata di babbordo

Ruota del Timone principale con doppia Bussola magnetica

Sartie e Bigotte

La Ciminiera

Cime, Caviglie, Manica a vento e oblò

Ruota del Timone e Bussola Magnetica

Telegrafo di Macchina

Due turisti italiani...

Albero Maestro, particolari dell'attrezzatura

Sala Nautica

Sala Comando

Cabina di un Ufficiale

Pinguino del Polo Sud imbalsamato

Strumenti per la navigazione

Balena catturata

Cala del nostromo

Utensili del calafato

Utensili del carpentiere e del calafato

Carpentiere

 

Carlo GATTI

Rapallo, 18 luglio 2016

 

 

 

 

 

 

 


NASCITA DI UNA BIMBA A BORDO

 

NASCITA DI UNA BIMBA A BORDO

 

 

M/n Carla Costa

 

Al comando della M/n Carla Costa, verso la metà di gennaio 1991, mi capitò un’esperienza  che non credo sia stata vissuta da altri capitani. Avevo affrontato tempeste in porto e in mare, decessi di passeggeri a bordo, sbarchi di emergenza con elicottero o con lancia, ma questa che sto per raccontarvi credo sia unica.

 

 

Eravamo partiti da St. Thomas (Haiti) diretti a San Juan (Puerto Rico). Era l’ultima serata della crociera. La nave era in festa per la serata della “toga”, che si svolgeva sulle navi “Costa” nei Caraibi e che aveva riscontrato un notevole successo. In pratica i passeggeri indossavano, durante l’ultima serata, una toga. Veniva consegnato loro un lenzuolo, il direttore di crociera spiegava come doveva essere indossato e, chi lo desiderava,  poteva trascorrere l’intera serata con questo indumento. Ciò consentiva anche ai passeggeri di sistemare anticipatamente i vestiti dell’ultima sera in valigia. Gli ospiti che avevano già effettuato crociere “Costa” imbarcavano addirittura portandosi da casa una bella toga tutta ricamata per l’occasione. La festa si svolgeva per la maggior parte sui ponti esterni, con musiche e balli latini. Quella sera, come da nostro programma per risparmio energetico, dirigemmo verso Portorico per fermarci oltre le 12 miglia dalla costa.

 

 

 

San Juan di Portorico

 

Verso le 23.00 eravamo al largo di  San Juan dove ci fermavamo alla deriva. Quella notte che ricordo benissimo, con cielo stellato e mare calmo, mi chiamarono per un’emergenza medica. Il direttore sanitario mi comunicò che c’era a bordo una signora messicana che stava partorendo: era stata imprudente perché aveva dichiarato all’imbarco  di essere al settimo mese, invece era incinta da 7 mesi e 25 giorni. Molto probabilmente lo stress del viaggio le aveva anticipato il parto. Era per lei il secondo, ma bisognava chiedere assistenza. Feci subito mettere in moto i motori e, a tutta forza, ci dirigemmo verso il porto. Era già passata la mezzanotte e, in poco più di un’ora avremmo potuto attraccare alla nostra banchina. Chiamammo la guardia costiera, informandola che avevamo a bordo una partoriente con doglie ogni quattro minuti. Allertammo la nostra agenzia “Costa”, il cui responsabile Edoardo Schivo era sempre pronto in questi casi. Egli predispose un’ambulanza al nostro arrivo e le autorità del porto ci concessero il permesso di entrare con precedenza sul traffico. Poco dopo, la Guardia Costiera ci informò che, a causa delle doglie così frequenti, era impossibile uno sbarco della signora con l’elicottero, ma che sarebbero stati pronti, sorvolando intorno alla nave, a prendere, se fosse stato necessario, il neonato, e a dargli assistenza immediata. Era stato allertato anche il pronto soccorso ed era stata preparata, per ogni evenienza, l’incubatrice.

 

 

Elicottero di Salvataggio

 

Feci diffondere un annuncio per informare i passeggeri che stavano festeggiando e danzando in piscina su quanto stava accadendo e per chiedere se tra di loro ci fosse un medico ginecologo che poteva darci assistenza. Scesi in ospedale per vedere la partoriente e trovai il nostro medico che aveva preparato tutto. Gli dissi che avevamo l’elicottero in caso di emergenza. La signora, una bella messicana di 28 anni, era sul lettino e stava dando alla luce la creatura che aveva in grembo. Fu un parto molto rapido. Diedi assistenza al medico e in quello stesso istante arrivò pure in ospedale il ginecologo che avevamo cercato il quale, con mano esperta, tagliò il cordone ombelicale.

 

 

Un momento particolare....

 

Era una bella bimba e pesava 1,950 chilogrammi. Fu veramente emozionante veder dare alla luce una creatura. Ebbi solo il tempo di congratularmi con la signora ed con il marito, poi mi recai subito sul ponte perché la nave era all’entrata del porto.

Avvisammo l’elicottero della guardia costiera che non era più necessaria l’assistenza. Nel momento in cui la nave entrava in porto, ci fu un saluto con la sirena di tutte le altre navi passeggeri che avevano ascoltato via radio la notizia della nascita. Fu emozionante: un’ entrata così non l’avevo mai fatta. I colleghi che  mi conoscevano mi chiamarono  per farmi gli auguri definendomi scherzosamente “papà Mario”. Il caro amico Edoardo Schivo era già pronto in banchina e c’era pure la stampa alla quale rilasciai un’intervista. Poco dopo, l’ambulanza trasportava la giovane  madre  e la neonata in ospedale per gli accertamenti clinici. In mattinata chiamai il console italiano Angelo Pio Sanfilippo (siamo divenuti buoni amici e ancor oggi siamo in contatto), in quanto si doveva regolarizzare la nascita avvenuta a bordo.

 

 

 

Atto di nascita

 

Per la prima ed unica volta nella mia carriera  redassi un atto di nascita. Fu fatta anche una traduzione in lingua spagnola in modo che i genitori, una volta in Messico, potessero presentarla alle autorità. I genitori decisero di chiamare la loro bimba Karla, come la nave, e in mio onore, Maria. Fui commosso da questa scelta. Firmai l’atto di nascita insieme al console che lo convalidò con i timbri consolari e lo consegnai ai genitori insieme ad una cartina nautica da me firmata e timbrata che indicava il punto esatto della nave al momento della nascita della loro figlioletta.

 

 

 

M/N Costa Victoria

 

Durante la crociera del 25 marzo 2001, a bordo della M/n Costa Victoria, ebbi una bellissima sorpresa. La sera dedicata agli sposi che desideravano rinnovare i loro voti matrimoniali,  prima di cominciare  la cerimonia con circa 200 partecipanti, notai in prima fila, una coppia di sposi con la figlia, che mi guardavano sorridendo. La bambina si avvicinò, mi abbracciò e mi disse: «Capitan, io sono Karla Maria».

 

Capii subito che si trattava  della bimba nata a bordo 10 anni prima sulla “Carla Costa”. Il  vederla già così grande e bella, mi  procurò una forte emozione, mi commossi e l’abbracciai. Anche lei, Karla Maria, mi strinse forte con affetto. Ringraziai i genitori per la gradita sorpresa e durante la cerimonia volli rendere pubblica la bella notizia, accolta da un applauso scrosciante dei presenti. Feci in modo di far trascorrere alla famiglia di Karla Maria, una settimana indimenticabile. La sera di gala dell’arrivederci la invitai al tavolo comando e a fine cena i camerieri portarono una grossa torta con la dedica: «A  Karla Maria, affettuosamente da papà Mario».

 

 

Mario Terenzio PALOMBO

 

Rapallo, 23 Maggio 2014

 


 

 


RAPALLO, LA DEVOZIONE, I SESTIERI, I FUOCHI DI LUGLIO

RAPALLO

LA DEVOZIONE

I SESTIERI

I FUOCHI DI LUGLIO

 

LO SPIRITO DEI FUOCHI

La settimana scorsa abbiamo parlato del rito della NOVENA che tanti rapallini dedicano alla Madonna di Montallegro salendo al Santuario ogni anno, in questi giorni, con ogni mezzo.

Oggi é il primo di luglio e i SESTIERI DI RAPALLO si schierano presso le loro postazioni “geografiche” assegnate, si presentano, si salutano a distanza e si raccontano, ancora oggi, dopo 461 anni, il GRANDE AVVENIMENTO DELL’APPARIZIONE DELLA MADONNA ad uno dei nostri concittadini, forse il più umile, un certo Giovanni Chichizola, popolano di S. Giacomo di Canevale, situato alle spalle di Rapallo: una scelta evangelica!?!

Già! Un grande MIRACOLO avvenuto in tempi difficili di pestilenze, di miseria, di assalti saraceni, di tanta paura…! Oltre alla confusione religiosa creata dal protestantesimo che s’insidiava e nidificava con le sue navi nordiche nel porto di Genova.

Sono passati cinque secoli da quel tempo in cui non esistevano sistemi di comunicazione che non fossero le campane, le torri di vedetta, i castelli e  postazioni militari da cui salivano segnali di fumo e di fuoco per avvertire la popolazione su quanto stava per accadere: era una chiamata alle armi, alla difesa delle famiglie e del proprio territorio.

Ma in quel fatidico 2 luglio 1557 si materializzò un segnale di speranza: un dono che era sceso direttamente dal cielo.

Rapallo era entrata nelle GRAZIE di Gesù che aveva incaricato la Sua Madre Celeste di consegnare un SIGILLO D’AMORE alla nostra città: una Icona da viaggio.

Siamo nel 2018 e quel DONO miracoloso incastonato nel blu di quel cielo che scende fino a confondersi con il nostro mare, é tuttora presente, intatto, nelle anime dei rapallini che, dopo 461 anni desiderano ancora comunicare tra loro quella “novità”, con lo stesso stupore e con quella devozione che é rimasta inalterata nel tempo.

l’Apparizione Mariana di Montallegro é sentita dai rapallini come un dono esclusivo per loro, per la loro vallata racchiusa tra i lecci e gli ulivi, come una conchiglia tra le alghe e gli scogli e lo percepiscono come un “PRIVILEGIO” da difendere anima e corpo contro qualsiasi forma d’intrusione, sia essa politica, laica, religiosa infarcita di tanti termini antichi e moderni come il secolarismo, l’anticlericalismo, l’integralismo e il sincretismo.

Già! Cielo e mare! Ed é proprio in questo scenario che il dialogo tra i SESTIERI si attua ai piedi del Santuario di N.S. di Montallegro che osserva amorevolmente da lassù i suoi figli operosi e affaccendati che la invocano e la festeggiano “a loro modo” come lo fecero già i loro avi a partire da quel lontano luglio 1557, quando erano ancora psicologicamente impreparati ad accettare quel DONO DIVINO che continua a vivere oggi, anche in modo “profano” nella sua esteriorità, per chi non sa o non vuol entrare nella spiritualità sociale che tiene unita una cittadinanza marchiata con il Monogramma di Maria.

QUALCHE ORA DA MASSARO …

“Navigare necesse est”Per questo inderogabile motivo professionale, pur essendo “rapallino” del Sestiere di Cerisola, ho presenziato a meno della metà dei miei anni alle Feste di Luglio. I miei ricordi sono pertanto “sparpagliati” ma sempre vivi e appassionati.


L’invito della cara amica Maura Arata, (al centro nella foto tra il sindaco ed il vicesindaco), ad intrufolarmi tra i massari del nostro Sestiere, é giunto graditissimo e fornitissimo di dati tecnici, storici, romantici e devozionali che ignoravo da sempre e, un po’ (tanto), me ne vergogno…!

RINGRAZIO di cuore Maura, (siamo entrambi di S. Agostino), per avermi regalato questa opportunità che ha colmato un gap nel mio cuore e nel mio sentirmi “rapallino” dalla testa ai piedi.

Ringrazio anche mio genero Ettore Pelosin che con la sua carica di entusiasmo e dedizione alla tradizione di MASSARO di Cerisola mi ha trascinato in questa bellissima avventura che, con tutti i miei limiti…

cercherò di raccontare in queste pagine a tutti coloro che ne sanno meno di me: in particolare i furesti che ci seguono ormai da tanti anni su questo sito enciclopedico dedicato alla città di Rapallo!

In questi giorni la stampa ritorna molto spesso sulla Tradizione dei Fuochi di luglio:

«Le Feste di Luglio si confermano tra i massimi eventi pirotecnico-turistici in Italia, sicuramente è il primo nel Nord Italia per numero di spettacoli – sottolinea ancora l'assessore Lasinio – Le feste sono in ognuno di noi, ciascuno le vive e le sente a modo suo. E continueranno ad esistere finché questo accadrà e finché i rapallesi apriranno la porta ai massari durante la questua».

Della figura del massaro ha parlato Maura Arata, presidente del Comitato Sestieri Rapallesi, che ha ringraziato tutte le persone che sostengono i Sestieri per portare avanti la secolare tradizione e ha dato appuntamento a Montallegro, all’alba di ieri, per l’inizio della Novena. Durante il Triduo, dal 29 al 1 luglio, sarà in funzione anche la funivia con corse dalle 4.30 del mattino.

Intervista a Maura Arata

I massari e la tradizione del fuoco: un'antica regola non permetteva alle donne di farne parte, oggi la solita burocrazia rischia di farli sparire per sempre.

Ne abbiamo da pochi giorni ammirato il lavoro con l'evento che per tre giorni a Rapallo ricorda l'apparizione della Madonna di Montallegro al contadino Giovanni Chichizola (2 luglio 1557): parliamo dei “massari” dei Sestieri rapallesi, San Michele, Seglio, Borzoli, Cerisola, Cappelletta e Costaguta, che con le loro casacche colorate e l'impegno profuso per tutto l'anno contribuiscono a portare avanti la tradizione secolare. Tra loro c'è Maura Arata, una dei veterani del Sestiere Cerisola, che ci spiega il significato dell'essere massaro, basandosi sulla propria e quanto mai particolare esperienza.
‘Tu no! perché sei una femmina’, e invece Maura diventa la prima massara.
«Diciamo che io sono nata massara. Ma ho deciso di diventarlo dopo un episodio particolare. Un giorno mio padre disse ai miei due fratelli di prepararsi per andare “a turno”, ovvero, a bussare alle porte delle case per la questua:
“Tu no, perché sei una bambina”, mi disse. In quel momento scattò qualcosa e decisi che sarei dovuta diventarlo anch'io, anche se allora era un ruolo riservato esclusivamente ai maschi. Così, un giorno, mi presentai ad una riunione del Sestiere. Il massaro più anziano, quando mi vide, chiese a che titolo una donna fosse lì. Poi, però, mi prese sotto la sua ala protettiva. Diciamo che sono stata una “pioniera”».


Ora è più semplice entrare a farne parte?
«Sì. I problemi però sono due. Il primo: tanti ragazzi, per esigenze lavorative, sono andati a vivere fuori Rapallo. La seconda è la più ostica e ha a che fare con il conseguimento del “patentino da fuochino”, che autorizza al contatto con la polvere da sparo. Vista la concentrazione di “patentini” tra Tigullio e Golfo Paradiso, le autorità competenti non ne rilasciano più».


Quindi si rischia di perdere la tradizione per questioni burocratiche?
«Sì, perché non ci saranno più giovani abilitati a portare avanti la tradizione che va avanti da secoli. Ben inteso: maneggiare la polvere da sparo è pericoloso. Ma ci è stato insegnato fin da piccoli a fare molta attenzione:
“Quando a püe a parla, l'è tardi” (quando la polvere da sparo parla, è tardi), ci dicevano i vecchi per avvertirci. E poi il conseguimento del patentino, in teoria, è stato previsto per chi vuol diventare fuochino di professione, cosa che a noi non interessa. Magari bisognerebbe istituire un albo apposito per situazioni come la nostra, che siamo “fuochini” ma solo per tre giorni all'anno, per portare avanti una tradizione. Ma per questo servirebbe un appoggio dalla politica, dalle istituzioni. Forse ora, con il discorso delle “Città dei fuochi”, potrebbe sbloccarsi qualcosa a livello regionale. Siamo una specie in estinzione, speriamo che qualcuno ci tuteli (ride)».


Ci sono figure “storiche” a cui si collega il suo percorso di massara?
«Tra i “mitici”, di sicuro “Michelin” (Michele Campodonico) di Costaguta, e poi Püe (Alfredo Solari): sono cresciuta sotto la sua ombra. Ma anche Vitto “U ferrâ”, con le sue bombe improponibili».
E la storia del “baggio”?
«Tutto è nato tanto tempo fa, proprio per via della rivalità tra Cerisola e Cappelletta:
“Mangiâ u baggiu” (ingoiare il rospo) era l'espressione riferita a chi, dei due Sestieri, sparava peggio durante le Feste. Lo sfottò andava avanti fino a tarda notte sotto le finestre di casa degli sconfitti: non a caso, generalmente la sfida finiva a cazzotti [ride]. Ricordo due “grandi vecchi” che giocavano assieme a carte per tutto l'anno, ma nei giorni delle Feste non si rivolgevano il saluto: appartenevano uno a Cerisola, l'altro a Cappelletta. Da qualche anno, al Sestiere che per gli addetti ai lavori si classifica ultimo per qualità di sparate e fuochi d'artificio viene consegnato un rospo in pietra, di quelli che si adoperano come ornamento per i giardini. Prima, però, viene colorato con le insegne del Sestiere che se lo è aggiudicato...».

 

Essere massari in tempo di crisi...
«Non è semplice. Ad esempio dal 23 maggio al 1° luglio siamo impegnati nella questua, e non sempre la gente ci accoglie a braccia aperte. Vista la situazione economica, poi, quest'anno le persone hanno dato quello che hanno potuto. Poi, nei tre giorni di festa la fatica diventa disumana. Ma ben inteso: non ci mettiamo in tasca niente come è giusto che sia. E a ripagarci è l'emozione di fare qualcosa di bello per la città, di non deludere i nostri padri e quello che ci hanno insegnato. Mio zio, fuochino storico, abita sulla collina di Sant'Agostino, non scende in centro da 30 anni e guarda i fuochi da casa sua. Eppure, ancora oggi è il nostro metro di giudizio: a fine spettacoli andiamo a chiedere a lui se abbiamo sparato bene oppure no».


È vero che ai più anziani, durante il rito dell'Alzabandiera la mattina del 1°luglio, scende sempre qualche lacrima?
«Non solo ai più anziani. Succede anche a me: quando Cerisola spara il primo mortaletto dalla spiaggia dei bagni Lido, l'emozione è sempre fortissima. Anche se assisto al rito da 30 anni».

 

Mentre racconta l'ultimo aneddoto, a Maura si inumidiscono gli occhi. L’amore per le tradizioni è anche questo.

 

I mortaletti

Cenni-storici
Protagonista ludico – popolare delle Feste di Luglio, il
mortaletto, estinto nella gran parte del mondo, resiste (almeno, per quanto ad oggi sappiamo) nella sola zona di Rapallo, Recco e comuni limitrofi. Si presenta come un piccolo cannone antico, a canna cortissima, costruito e dimensionato per il solo utilizzo a salve. Antica è anche la sua carica: polvere nera, il primo esplosivo prodotto dall’uomo. Lo stesso che, più di quattrocento anni fa, armava le galee genovesi ed i temibili vascelli del pirata Dragut, flagello delle popolazioni costiere. Per caricare il mortaletto ligure, si versa semplice polvere nera nella canna, quindi la s’intasa con materiale leggero ed inerte (ad esempio segatura) in modo da ottenere, all’accensione, un colpo a salve, “impreziosito” da spettacolari quanto innocue vampe e fumo denso, di sapore antico. Una volta caricati i mortaletti si aguginano: s’innescano cioè versando nel foro d’accensione (agugino) polvere nera finissima. Disposti a terra, sono poi collegati da strisce, ancora della medesima polvere, che bruciano più o meno lentamente a seconda della direzione della brezza di mare… Ecco quindi l’abilità del massaro il quale, per intuito ed esperienza, sa quando, come e dove posizionare i mortaletti, grossi o piccoli, in modo da salutare con giusto ritmo la Santa Patrona. Come in tutte le arti, solo pochi posseggono il dono di saper disporre al meglio la sparata, che per riuscir veramente gradita deve attagliarsi, secondo tradizione, ad ogni singola tipologia d’evento celebrativo. Col mortaletto si cresce, ascoltando i colpi rituali dell’1,2,3 luglio o delle Feste Frazionali; si celebra il matrimonio di amici e parenti, preparando brevi ed allegre sparate; si saluta questo o quell’altro evento, sacro o profano; si dà l’estremo saluto ad un caro estinto disponendo un’austera sparata di 21 colpi, lenti e cadenzati: gli stessi ventuno che, con diverso spirito, ogni mattina di Novena accompagnano con sacralità l’Elevazione del Santissimo al Santuario di Montallegro.

 

RECIAMMI - I festeggiamenti iniziano alle otto di mattina del primo luglio, quando la statua d'oro e d'argento della Madonna viene “messa in cassa”, cioè collocata sull'arca argentea in chiesa. Sul lungomare, l'evento è salutato da colpi fragorosi (reciammi - richiami) prodotti dai mortaretti (mascoli) sparati dai rappresentanti di due dei sei sestieri cittadini e da una sparata di fuochi artificiali “a giorno”, mentre gli altri quattro sestieri rispondono con ventun colpi di mascoli.

Maura Arata ci spiega che il saluto “esplosivo” con 21 colpi di  mascoli é sicuramente quello che ci proviene dalla tradizione dei vascelli da guerra del 1600, ma per noi é soprattutto il SALUTO, l’omaggio ed il ricordo che in quel momento rivolgiamo  a tutti i MASSARI di tutti i SESTIERI che ci hanno preceduto in questi cinque secoli.

Rapallo - Feste di luglio 2018 – MURALES di ARTISTI DI STRADA a cura del Sestiere di San Michele.

Il Monogramma della Madonna tra le sei caravelle con i colori dei Sestieri di Rapallo.

La speranza è che bellezza e armonia, trasformando l’ambiente fisico, inducano chi ne usufruisce ad uno stato d’animo più positivo e gioioso. Un obiettivo alto, dunque. Graffiti e murales non solo per abbellire e RICORDARE, ma per educare alla bellezza, quasi “lezione vivente” di educazione religiosa, civica, di legalità e di tutela del bene comune e dei valori fondanti della nostra civiltà.


Il disegno del mortaletto con l’esplosione simbolica dei fuochi d’artificio in foglie di acanto.


Don Salvatore Orani:

il “vero” dono della Madonna è il Quadretto: unico Segno tangibile della Presenza che nel tempo si rivela come materna e continua mediazione.
Questa piccola
Icona da viaggio che sovrasta l’altare maggiore è, così, l’unica grande eredità lasciata dalla Madre di Gesù alla Rapallo di sempre. Ne consegue che, a ridare forte impulso alla devozione mariana - lungi da preoccupazioni devozionali mirate a chiedere favori e miracoli in tempo reale - dovrebbe essere la riscoperta del messaggio che il Quadretto continua a suggerire ai cercatori di Dio che si soffermano davanti all’Immagine in pura e contemplativa gratuità. Perché solo ai contemplativi può essere rivelata l’originalità del messaggio di un’Icona: forte invito a riconsiderare la vita; la pienezza di una vita che va oltre la morte.
L’Amore Trinitario che avvolge con tenerezza l’umanità ferita (la Madonna distesa sul letto funebre) ricorda al contemplativo che la vita prevale sempre; prevale già ora, nell’arco dell’esistenza che quotidianamente sperimenta le tragiche conseguenze della sofferenza e del dolore.

L’intero disegno ripreso dal monumento a Cristoforo Colombo


Sestiere Cerisola -Lido - L’attesa del rintocco della campana darà il via all’ALZA BANDIERA

Sono le 08.00 in punto – Il campanile della Basilica di San Gervasio e Protasio di Rapallo batte i rintocchi delle ore e dà il via al rito dell’alza bandiera e agli spari di rito.

Nelle foto a seguire: i SALUTI e i RECIAMMI

 




ENTRANO IN AZIONE LE CHIATTE ANCORATE NEL GOLFO





Due massari del sestiere di Cerisola alle polveri...


Carlo Gatti ed Ettore Pelosin



Tipico alloggiamento degli "STUCCI" sulla chiatta

Rapallo – Zona Lido - RAMADAM su un eccellente Murales di una edizione precedente

«…Il toponimo “Cerisola” compare per denominare due cappelle rurali site nel cuore dell’attuale Sestiere…

…Erano sicuramente zone destinate alla coltura dei ciliegi in un borgo dall’economia diversificata, ma basata essenzialmente sull’agricoltura.

Nel successivo evolversi della città, il nome “Cerisola” va a denominare uno dei Sestieri nati dalla divisione del più antico Quartiere Amandolesi (XII secolo N.D.R.)…» (tratto dal libro “In burgo Rapalli” di Antonella Ballardini da Maura Arata, massara del Sestiere Cerisola)

L’odierno Sestiere Cerisola comprende la parte centro occidentale del centro storico rapallese, con monumenti quali la Chiesa Parrocchiale dei Santi Gervasio e Protasio e gli Oratori detti Dei Bianchi e Dei Neri, quest’ultimo dominato dalla medioevale Torre Civica.

La zona rurale di Cerisola si sviluppa sulla ridente collina di San’Agostino, ove risiede l’omonima chiesetta, centro religioso del Sestiere; Sestiere che, tuttavia, ha come patrono tradizionale San Giuseppe.

Durante le Feste di Luglio Cerisola saluta la Vergine di Montallegro dalla Spiaggia dei Bagni Lido con i secenteschi mortaletti liguri.

Da questo sito, che sempre rimane nel cuore e… nella progettualità dei suoi massari, il Sestiere tradizionalmente lanciava anche i suoi fuochi colorati, oggi preparati su chiatta galleggiante.

I fuochisti che hanno sparato per Cerisola negli ultimi anni sono: Albano & Russo di Melito (NA), Ferreccio di Avegno (GE) e La Rosa di Bagheria (PA) ed in epoca meno recente Perfetto di Sant’Antimo (NA).

Il Panegirico del Sestiere Cerisola sfila per la passeggiata a mare e termina col tradizionale e fragoroso Ramadan ai piedi della Statua di Cristoforo Colombo, presso i Bagni Lido e quindi entro i confini del Sestiere.


Il gonfalone dei Sestieri

Rapallo - I Sestieri per chi non è di Rapallo sono semplicemente le sei zone in cui anticamente era divisa la città. In realtà sono qualcosa di più. I Sestieri sono amicizie, passioni, tradizioni, fede.

I Sestieri di Rapallo (Sestê de Rapallo nella parlata locale) sono le antiche divisioni territoriali del nucleo storico della cittadina rivierasca di Rapallo, nel Tigullio. I sei sestieri cittadini sono ufficialmente riconosciuti dallo statuto comunale del Comune di Rapallo.

L'origine e la creazione dei primi due quartieri storici risalgono al Medioevo quando, nel 1143, i territori tra Rapallo e Zoagli furono divisi in due blocchi distinti; nel XIII secolo vengono istituiti, in questa parte di territorio, i quartieri di Borculi (pron. Borsuli, Borzoli in lingua italiana) e Mandulexi (pron. Manduleji, Amandolesi in lingua italiana).

Fu con la creazione della podesteria e del successivo capitaneato di Rapallo (1608), inserito nei territori della Repubblica di Genova, che il territorio comunale subì un maggiore incremento della giurisdizione annettendo borghi, villaggi e località appartenenti al precedente capitaneato di Chiavari. Nei nuovi confini geografici-politici rientrò quasi interamente la media Val Fontanabuona e il Tigullio occidentale, dividendo il vasto territorio in sei principali sestieri:

  • Pescino (zona sud-ovest comprendente l'attuale Santa Margherita Ligure e frazioni, Portofino);
  • Olivastro (zona nord comprendente tutte le località dell'entroterra rapallese);
  • Borzoli (zona sud-est comprendente anche il borgo di Zoagli);
  • Oltremonte (zona est comprendente quasi interamente la media val Fontanabuona);
  • Borgo (il centro storico racchiuso dalle mura).

Allo scioglimento del capitaneato, a seguito della dominazione francese (1797) di Napoleone Buonaparte, che causò tra l'altro la caduta della repubblica genovese e l'annessione della costituita Repubblica Ligure al Primo Impero francese (1805), si ridisegnarono i confini cittadini suddividendoli in sei sestieri locali: Borzoli, Cappelletta, Cerisola, Costaguta, Seglio e San Michele, divisione storica tuttora in vigore.

Dal XVII secolo, secolo dove ufficialmente presero il via i festeggiamenti pirotecnici alla santa patrona di Nostra Signora di Montallegro, tutti i sestieri sono impegnati a turno nel celebrare la festa più importante per il comune rapallese.

BORZOLI

Il sestiere è uno dei più antichi e originariamente le sue terre erano affacciate sulla costa che si estendevano fino ai confini con Chiavari. Fu presente già dal XII secolo assieme all'antico quartiere di Amandolesi e maggiore importanza l'assunse nel 1608 quando la città divenne sede dell'omonimo capitaneato; compare infatti nella nuova divisione cittadina, necessaria dopo l'annessione di nuove terre, assieme ai sestieri comprensoriali di Pescino, Olivastro, Amandolesi, Oltremonte e Borgo.

Il sestiere, oggi ridimensionato, è riuscito inoltre a mantenere nei secoli l'antico toponimo a differenza delle altre divisioni storiche che, anch'esse ridimensionate, mutarono nelle attuali nomenclature.

I territori di Borzoli sono in gran parte ubicati lungo le colline che degradano verso la sponda sinistra del torrente San Francesco, detto anche Fossato di Monte, sboccando infine verso il mare nella piccola spiaggia antistante il cinquecentesco castello sul mare. I suoi possedimenti comprendono inoltre, oltre allo stesso castello, la passeggiata a mare (lungomare Vittorio Veneto) fino al molo dello scalo dei vaporetti adiacente il Chiosco della musica in piazza Martiri per la libertà.

L'intero territorio, confinante con i due sestieri di Cerisola e Seglio, appartiene oggi esclusivamente alla parrocchia dei santi Gervasio e Protasio. Il vessillo - di colore rosso – ritrae san Bartolomeo, santo patrono del sestiere, e la raffigurazione del quadretto bizantino Dormitio Mariae che secondo la leggenda locale fu donato dalla Vergine maria al contadino Giovanni Chichizola nell'apparizione mariana del 2 luglio del 1557. Il colore rosso è tipico anche delle divise dei "massari", coloro che sparano nello spettacolo pirotecnico, ricordanti le insegne scarlatte caratteristiche del santo Bartolomeo.

CAPPELLETTA

Così come Borzoli anche il sestiere Cappelletta è uno dei più antichi della città, originariamente inglobato nei territori dell'antico quartiere di Amandolesi sorto nel XII secolo. Nel XVI secolo appare con il toponimo de la Villa di Cappelletta, sempre inserito nel vasto sestiere cittadino. Dei sei sestieri è l'unico che non ha sbocchi diretti al mare in quanto precluso dal sestiere Cerisola.

La prima citazione ufficiale del sestiere Cappelletta appare verso la fine del XIX secolo quando venne menzionata come una delle sei cappelle che dividevano il paese. Oggi il suo territorio comprende approssimativamente la zona tra il rio Cereghetta, la zona meridionale del quartiere Laggiaro (la parte a nord è compresa nel sestiere Cerisola), il torrente Boate ed il suo affluente San Pietro. Nei confini rientra il popoloso quartiere di Sant’Anna, inglobando tra l'altro la zona del golf cittadino.

Non avendo di fatto una postazione idonea per poter sparare durante le feste patronali di luglio, a causa della massiccia urbanizzazione presente in tali quartieri, un accordo con il confinante Cerisola ha permesso al sestiere di poter usufruire della zona presso il Lido (spiaggia di Rapallo) compresa nei territori della prima.

CERISOLA

Il toponimo Cerisola deriverebbe molto probabilmente dalla denominazione di due cappelle rurali, ancora oggi situate nel cuore dell'attuale sestiere. La nascita del sestiere si deve alla successiva scorporazione dei confini territoriali a seguito dell'istituzione del capitaneato rapallese (1608); Cerisola nacque infatti dalla divisione dei due più antichi quartieri di Rapallo, Amandolesi.

Il suo territorio è ad oggi compreso interamente nella parrocchia dei santi Gervasio e Protasio, confinando ad ovest con Cappelletta, ad est con Borzoli e a sud con Costaguta. Il confine occidentale è delimitato da tutto il corso del rio Cereghetta; la punta di Serrato (623 m) costituisce il punto più elevato del territorio e lo separa da quello delle parrocchie di San Pietro di Novella e di San Quirico, frazioni di Rapallo.

l vessillo - di colore bianco – rappresenta sant’Agostino e San Giuseppe, entrambi compatroni del sestiere, oltre alla raffigurazione del quadretto bizantino. Un documento, ritrovato nel 1991, sancisce la fratellanza storica tra il sestiere e la locale Confraternita dei Bianchi nonché il culto per il dottore della chiesa Agostino.

COSTAGUTA

Anticamente denominato Costa Acuta è caratterizzato, specie nel territorio che va dalla parte destra del torrente cittadino Boate, da una vasta area di ulivi e castagni. Costaguta fu in passato compreso nell'antico sestiere detto Olivastro, creato nella nuova divisione dopo la costituzione del capitaneato rapallese.

Il sestiere confina con la frazione sammargheritese di San Lorenzo della Costa e con quella rapallese di San Massimo, arrivando allo sbocco verso il mare dove oggi sorge il porto turistico. La maggior parte del suo territorio ricade oggi nei confini della parrocchia dei Santi Gervasio e Protasio e, per un piccolo tratto, in quelli della parrocchia di sant’Anna con la località Ronco.

Anticamente nei suoi territori fu eretta nel 1737 una piccola chiesa, ma pochi anni dopo ridotta in rovina. Per la ricostruzione di un nuovo tempio religioso si dovette attendere il 5 agosto del 1934 quando, alla presenza delle autorità ecclesiastiche e civili, fu benedetta la nuova chiesetta dedicata ai santi Gervasio e Protasio. Secondo la leggenda locale i due santi passarono per il sestiere durante la loro opera apostolica.

L'edificio subì negli anni settanta un completo restauro, ma nel 2000 un incendio doloso danneggiò vistosamente la struttura e il dipinto posto sull'altare. Nel rogo fu rovinata inoltre l'antica e storica bandiera del sestiere datata al 1908. Oggi l'edificio si presenta completamente restaurato.

Il nuovo vessillo, di colore verde ed inaugurato nel 2005, e lo stemma rappresentano i due santi nonché la rappresentazione dell'apparizione mariana.

SEGLIO

Detto anche sestiere San Rocco dal nome del suo santo patrono, fa parte della parrocchia dei santi Gervasio e Protasio occupando il settore orientale di Rapallo e al confine amministrativo con Zoagli. Il toponimo deriverebbe dal dialetto genovese seggio (tradotto in lingua italiana nella parola sedile) ricordante la conformazione del territorio.

Anticamente il sestiere faceva parte dello storico sestiere di Borzoli e tale accorpamento durò ben oltre il 1930. Nel suo territorio è presente una cappella, dapprima intitolata a santa Maria del Poggio e solo in seguito dedicata a san Rocco, costruita nel 1497 su una piccola altura; fa inoltre parte del sestiere l'antico quartiere delle Nagge, uno dei più antichi della città.

Il nuovo vessillo - di colore giallo ed inaugurato il 25 aprile del 1999 - e lo stemma rappresentano il santo Rocco, patrono del sestiere. Il colore giallo deriverebbe a seguito della pestilenza che colpì la cittadina tra il 1656 e il 1657; adiacente la cappella era presente un ospitale dove venivano trattenuti in quarantena i viandanti transitanti per Rapallo e proprio la bandiera gialla segnalava lo stato di quarantena.

SAN MICHELE

Anticamente il sestiere faceva parte, come il confinante Costaguta, del sestiere Olivastro nella primitiva divisione cittadina. Il sestiere confina oggi ad ovest con il comune di Santa Margherita Ligure e ad est con Costaguta. I suoi confini rientrano nell'odierno abitato di San Michele di Pagana, unica frazione rapallese che si affaccia sul golfo del Tigullio.

Il sestiere è l'unico fra i sei che non appartiene alla parrocchia dei santi Gervasio e Protasio, bensì alla locale parrocchia di san Michele Arcangelo, santo patrono della frazione e del sestiere.

Il vessillo - di colore azzurro - e lo stemma rappresentano il santo Michele che trafigge il diavolo.

Quando le sparate si facevano qui in passeggiata a mare

Ramadam – zona lido


Quando il MASCOLO era usato per avvisare l’avvistamento dei leudi di ritorno dalla campagna delle acciughe dall’Isola della Gorgona.

Il giorno del rientro veniva stabilito da ciascun padrone in modo da poter essere a casa per la festa dell’Assunta, il 15 Agosto.

Nei giorni precedenti i ragazzi di San Nicolò, della Punta e di Camogli si ritrovavano all’estremità di Punta Chiappa e facevano a gara per avvistare per primi i leudi di ritorno dalla Gorgona. All’avvistamento, uno dei “massari” di San Nicolò sparava un mascolo (mortaretto) per avvisare la popolazione camogliese del rientro dei pescatori.

L’arrivo era una festa, non solo per i familiari, ma per tutta la Città; festa che continuava per molti giorni sino a concludersi ai primi di settembre con la ricorrenza di S. Prospero alla quale si univano anche i festeggiamenti per la Madonna del Boschetto, che erano stati celebrati il 2 luglio quando i leudi erano fuori, così la festa diventava doppia.

Un po’ di tecnica: Le Sparate oggi

La letteratura tecnica afferma che "I mortaretti (o masti) sono strumenti che si sparano a salve in occasione di festività varie. Essi sono in sostanza dei cilindri d'acciaio del diametro esterno di 5-10 cm con un foro interno di circa 3 cm di diametro; la lunghezza varia da 12 a 30 cm con un peso da uno a 10 chilogrammi; il cilindro è di solito un po' rastremato verso l'alto ed una base leggermente allargata; vicino alla base vi è un foro in cui inserire una piccola miccia o del polverino per innescare lo sparo. Essi, appoggiati a terra verticalmente o leggermente inclinati, vengono caricati fino a circa metà dell'altezza con polvere nera, che viene poi intasata con sabbia o altro materiale.
In molte zone sono in uso, in luogo dei mortaretti, dei corti tromboni, con un calcio di fucile che consente di imbracciarli o, quantomeno, di sostenerli con due mani (talvolta vengono chiamati trombini). Nel linguaggio dei pirotecnici il termine mortaretti, o mortaletti, indica degli sbruffi grandi (cioè dei tubi di cartone) che servono per lanciare in aria piccole granate o granatine, mentre che per il lancio di artifici più grossi si usano i mortai."
Alla prima definizione va sicuramente ascritto il mascolo rituale, nella forma che conosciamo tuttora.

Quello che segue è una breve panoramica sul moderno uso rituale del mascolo a Sori, nella sua vallata, nel golfo Paradiso e nei suoi dintorni (in ispecie Tigullio ed entroterra del Levante). Laddove prescritto, disposizioni di Pubblica Sicurezza e norme di buona condotta professionale da parte dei fochini possono determinare l'adozione di scelte progettuali, esecutive o stilistiche conformi agli standard richiesti nelle singole e precipue situazioni.

Il mascolo rituale (o "antico mortaretto ligure", o ancora meglio "antico mortaletto ligure") utilizzato nel Levante ed espressamente realizzato per le sparate è nella sua forma più ricorrente un cilindro metallico svasato alla base, anche se a volte ha forma troncoconica. Pesa circa 1,5-2 Kg, è alto circa 12-15 cm, ha un diametro esterno di circa 6-7 cm al fusto e 8-9 cm alla base. Il calibro è ordinariamente compreso fra 1,5 e 2 cm. A circa 1,5 cm dalla base e parallelamente ad essa è praticato il focone ("l'agguggino") dal diametro di qualche mm, usualmente con l'imboccatura conica di base 3-4 mm e profonda circa 2-3 mm. Il mascolo moderno è prodotto in acciaio in quanto la regolamentazione vigente proibisce i mascoli che non siano di buon acciaio tenace (generalmente acciaio balistico, ma anche gli acciai da carpenteria metallica ordinaria hanno una buona resistenza alla frattura in termini di energia G di Griffith).  Gli acciai poco tenaci (usualmente sono acciai incruditi e/o temprati), le ghise e gli ottoni hanno una scarsa resistenza ai fenomeni di frattura e possono finanche causare l'esplosione dei mascoli con proiezione di frammenti. I mascoli di ghisa subiscono inoltre fenomeni di corrosione importanti (le "camôe") che ne pregiudicano rapidamente la soglia di collasso. E' notorio nella meccanica dei solidi come i fenomeni di frattura siano notevolmente agevolati dalla presenza di irregolarità geometriche, in cui i fattori di intensificazione degli sforzi Kic possono superare la soglia critica di attivazione delle fratture (motivo per cui in qualunque membratura cimentata a trazione è sconsigliata, laddove non espressamente proibita, la realizzazione di spigoli vivi o poco arrotondati). Il moderno mascolo in acciaio tenace può essere prodotto per tornitura o per fusione. Fino a qualche anno addietro l'utilizzo di mascoli di ghisa o di ottone era frequente, questi ultimi più raramente a causa del costo del materiale. Tali erano formati per fusione, avevano dimensioni esterne maggiori di quelli  in acciaio, e peso compreso fra i 2 e i 3 Kg, pur contenendo lo stesso quantitativo di polvere. Notevoli per estetica sono i mascoli di ghisa realizzati fino alla prima metà del Novecento, ottenuti da stampi le cui forme elaborate presentavano spesso il nome o l'emblema del comitato di appartenenza riportato in rilievo sulla canna.


Parata di moderni mascoli in acciaio pronti al caricamento, soffiati e disostruiti; in secondo piano sacchi e "cuffe" di segatura per i tappi.

Due cannoni in acciaio inossidabile nuovi di fabbrica e pronti per il battesimo del fuoco; si noti il carrello per movimentare il più grande, che pesa circa 100 chilogrammi e subito dietro il ciosun di legno di dimensioni adeguate. E' uso che i cannoni nuovi vengano "sbruffati" al loro battesimo. In occasione della prima sparata a cui prendono parte non vengono caricati ordinariamente, ma solo con una manciata di polvere e senza tappo, tali cioè da produrre all'accensione, anziché il colpo tonante, la sola colonna di fumo rovente (lo sbruffo, per l'appunto). Lo scopo dello sbruffo è quello di eliminare dalla canna vergine qualunque sfrido metallico della tornitura. A Sori è uso sbruffare i cannoni nuovi durante la sparata del 14 agosto, per averli a completa disposizione la sera successiva.

Più grande del mascolo è il cannone (in alcune località di Levante chiamato bomba), oggetto funzionalmente identico, la cui taglia può andare dal cannoncino (alcuni chilogrammi, per una lunghezza di 20 cm ed un calibro di 2-3 cm) al grande cannone (anche più di 100 kg per 40-50 mm di calibro, ma non mancano esempi di cannoni da 200 e passa chilogrammi, realizzati in genere in onore di importanti avvenimenti o illustri personaggi). I cannoni più grandi potrebbero contenere fino ad alcuni chilogrammi di polvere nera, ma la regolamentazione vigente vi pone severissime limitazioni per motivi di sicurezza; nella pratica attuale l'uso dei cannoni ha scopo prettamente ornamentale, in quanto caricati con quantità irrisorie di polvere rispetto alla mole dei pezzi. Per tale motivo alcuni dei più grossi cannoni sono stati addirittura messi in "disarmo" ed utilizzati per ornamento degli stand gastronomici.


Alcuni dei cannoni utilizzati durante la sparata del 2005. A sinistra un assortimento di tutte le taglie, i pezzi piccoli addirittura realizzati in acciaio inossidabile; a destra tre pezzi grossi. Purtroppo per lo spettacolo oggi i cannoni, conformemente alla regolamentazione vigente, vengono caricati con quantità di polvere che potremmo definire "simboliche". Si notino le diverse proporzioni e forme di finitura, dalla più semplice (il cilindro grezzo dello storico cannone sorese detto "Muria") a quelle più elaborate.

I cannoni in acciaio sono prodotti quasi sempre per tornitura a partire da grossi cilindri; hanno forma usualmente troncoconica e sono decorati da elaborate cerchiature. Riportano in genere, incisa sulla canna o sulla bocca, una dedica col nome del proprietario o del comitato a cui appartengono, o con la data di un evento gioioso quali battesimi, matrimoni ed anniversari. I cannoni di ghisa, oggi desueti, erano ancora più eleganti, provenendo da stampi e quindi potendo assumere forme non legate alle simmetrie cilindriche della tornitura. 

La polvere utilizzata per le sparate è di due tipi, detti la "lucida" e la "scura". La polvere cosiddetta lucida è venduta allo stato granulare e per essere utilizzata necessita di setacciatura con maglia di circa 2-3 mm. La parte grossolana viene impiegata per il caricamento dei mascoli, la parte fine per la realizzazione della riga. La polvere cosiddetta scura è commercializzata allo stato pulverulento e viene impiegata come "reffino" ovverosia polvere per innesco. Il reffino può essere prodotto anche per macinazione, con le dovute cautele, della polvere lucida.

Il caricamento avviene secondo la seguente sequenza. Per prima cosa il fochino soffia all'interno dell'agguggino per due scopi: per verificare che il mascolo non sia ostruito e per liberare l'interno dalla sporcizia accumulatasi col tempo. Se riscontra che l'agguggino "soffi" poco, potrà pulirlo con un piccolo pezzo di filo di rame (non di ferro in quanto i materiali che producono scintille sono banditi). A questo punto il mascolo viene caricato di polvere nera, a mano o mediante l'utilizzo di un dosatore (tipicamente il bussolotto dei rullini fotografici). Il mascolo moderno contiene circa 15 grammi di polvere granulare (la "lucida"). La canna viene in seguito riempita fino alla bocca con segatura, su cui si impongono, con una mazzetta, i primi due colpi di pestello ("ciosun", noto altrove anche come "stia"). A tale proposito è doveroso ricordare che, per l'incolumità dei fochini, ciosun e mazzetta debbano essere in materiale antiscintilla, secondo la vigente regolamentazione ed il comune buon senso. La parte di canna liberata dal rientro della polvere e della prima segatura compattate viene nuovamente riempita con segatura, terra o una miscela delle due, e battuta energicamente ma non troppo per formare il tappo definitivo. Si noti che in passato per formare il tappo si usava finanche il calcinaccio ("zetto") setacciato. Oggi la vigente regolamentazione prescrive l'uso della sola segatura, al fine di creare un tappo sicuramente frantumabile e proiettabile dalla deflagrazione; questo per prevenire due possibili malfunzionamenti: lo sfiato dall'aggugino (si dice che l'agguggino "sciuscia", soffia) che crea un dardo di fiamma in grado di investire le gambe del fochino, ed addirittura il cedimento violento per frattura del mascolo nel caso questo presenti difetti interni notevoli, generabili da un'eccessiva ed incontrollata corrosione, e scarsa tenacità del materiale base (problema tipico di ghise ed ottoni). L'operazione di caricamento è soggetta a precise disposizioni di sicurezza, così come il trasporto dal sito di caricamento all'area di sparo. E' doveroso rammentare infine che è buona norma controllare in principio la qualità della segatura onde scartare quella che presenti inclusioni di materiali estranei, particole metalliche o sassolini, che potrebbero durante la percussione generare rischio di scintille. A tal uopo si utilizza segatura vagliata di segheria.

La tecnica di caricamento dei mascoli, con mazzetta, ciosun e segatura fina, avviene generalmente poggiandosi su un ceppo di legno (nella foto un tronco di traversina ferroviaria) e prevede il riempimento della canna con la polvere nera fino a circa 3/4 dell'altezza (in un ordinario mascolo moderno questa misura corrisponde a circa 15 grammi di polvere granulare); la canna viene poi intasata con la prima "passata" di segatura, che viene percossa con due colpi. Il rigetto viene nuovamente riempito di segatura e battuto con 2-3 colpi fino ad ottenere un tappo consistente. Mazzetta e ciosun sono in legno, plastica, ottone, alluminio o altre leghe che non producono scintille per sfregamento. I materiali ferrosi sono ovviamente banditi.

Il mascolo carico è inoffensivo fintantoché non venga innescato ("aggugginato"). Ciò si ottiene intasando di reffino l'agguggino. Questa operazione si esegue sui mascoli prima di posizionarli nella sparata. Alcuni preferiscono posizionare i mascoli prima di aggugginarli, nel qual caso i mascoli non ancora aggugginati vengono posati con la canna orizzontale e l'agguggino rivolto verso l'alto pronto a ricevere un pizzico di reffino.

Un piccolo ramadam triangolare a dieci mascoli con cannone, disteso sulla passeggiata a mare di Rapallo(da www.festediluglio.it). Qui, stante il fondo asfaltato ed asciutto, la stesura non necessita di segatura.

Il ramadam è una disposizione circolare di mascoli, in cui questi possono essere distribuiti sulla corona esterna, uniformemente sulla superficie, o secondo geometrie varie. Il tipo a distribuzione uniforme è adatto a piccoli ramadam (da qualche unità a due decine), in cui i mascoli vengono collegati spandendo la polvere in maniera distribuita. Il ramadam a mascoli disposti e collegati sulla corona è utilizzato laddove il circolo debba ospitare una composizione artistica al suo interno, spesso un'effige del santo patrono o l'emblema dell'associazione che realizza la sparata. Infine vi sono i ramadam in cui i mascoli sono disposti e collegati sia all'interno del circolo che sulla corona, secondo geometrie prestabilite a formare composizioni geometriche ed artistiche; usualmente adottato a Sori è il riondino a fiore a sei petali, che viene disteso su un letto di segatura colorata.


A sinistra: un'immagine dell'anteguerra a Rapallo: un massaro (termine rapallino che indica il fochino addetto ai mascoli, e più in generale il membro del comitato del sestiere) porta il bettone (da www.festediluglio.it) mostrandone l'impugnatura; si noti l'altro massaro con il corno (in vero corno!) per distendere la riga di polvere.

L'accompagnamento della sparata col bettone comporta che il fochino debba camminare in prossimità della riga in fiamme e dei mascoli che scoppiano. Per tale motivo portare il bettone in sicurezza richiede l'osservanza di alcuni principi elementari del buon senso, al fine di non ritrovarsi "strinati".  L'abbigliamento del fochino responsabile comprende abiti pesanti, occhiali di protezione, elmetto e scarponi antinfortunistici. E' posta particolare attenzione alla protezione dei polpacci e caviglie da eventuali "soffi" di aguggini erroneamente direzionati. Inoltre, nonostante possa sembrare a prima vista strano, è preferibile mantenersi quanto più vicino possibile al fuoco, poiché le traiettorie degli eventuali frammenti proiettati dal rinculo dei mascoli partono con un alzo non superiore ai 30°, ricadendo a circa 4-5 metri di distanza. Per tale motivo le sparate distese nel greto dei torrenti arginati sono più sicure di quelle a livello della via, nei confronti della proiezione di frammenti. Il problema non si pone dove le sparate hanno la possibilità di percorrere terreni asfaltati, o comunque rivestiti di una pavimentazione resistente al rinculo. Generalmente nelle sparate di lunghezza media e grande il compito di portare il bettone è affidato a più fochini, ognuno con un bettone appena estratto dal fuoco (la sfera di ghisa fa relativamente presto a perdere il calore rosso superficiale e diventare inefficace), che si danno il cambio in una staffetta. Inutile dire che portare il bettone è considerato un grande onore e segno distintivo di virilità.


Spettacolari immagini notturne di due fochini col bettone che si danno il cambio durante la sparata del 2005: a sinistra l'arrivo al punto di cambio, a destra la partenza della staffetta.

Il brandä noto anche come riondino, ramadan, panegirico...) costituisce il finale della sparata. Nella sua forma classica è una disposizione di mascoli realizzata a triangolo isoscele allungato, in cui le due righe esterne, i lati del triangolo, vengono progressivamente affiancate da nuove righe all'interno man mano che si procede verso la base ed il triangolo si allarga. Il brandä attacca al vertice e brucia generando un fragoroso crescendo, che si conclude con il gratïn, la base del triangolo in cui i mascoli sono disposti a file serrate. Chiude lo spettacolo lo scoppio di tre o più cannoni di grandi dimensioni disposti in riga a seguire o, se questo non fosse possibile, allineati in posizione decentrata (nel qual caso vengono accesi da un fochino col bettone non appena il gratïn termina). 

Il brandä può assumere le più svariate dimensioni, da duecento ad oltre cinquemila mascoli, e con la sua mole rappresenta l'orgoglio e la potenza economica del comitato che lo allestisce. Sono rinomatissimi per mole (svariate migliaia di mascoli e decine di cannoni di tutte le taglie) ed accuratezza quelli di Recco, in occasione della festa di N.S. del Suffragio, ed il Panegirico di Rapallo, che conclude la sparata di mezzogiorno del 2 luglio, ed è allestito a turno annuale dai Sestieri della città. A Sori, il Gruppo Festeggiamenti ha, nel corso degli anni, realizzato brandæ (per i foresti: notare il plurale genovese!) da mille a duemilacinquecento mascoli, a seconda delle condizioni metereologiche e delle regolamentazioni di volta in volta vigenti, con pregevole risultato a fronte delle risorse disponibili.


A sinistra: il bellissimo e maestoso brandä (ramadam a Rapallo) decorato posto a conclusione del Panegirico 2004 a Rapallo, allestito dal Sestiere della Cappelletta (da www.festediluglio.it). Si noti la forma classica triangolare (ritenuta la migliore per effetto sonoro e visivo), culminante con un mastodontico gratïn, abbinata al magnifico decoro dipinto sulla pavimentazione stradale della passeggiata a mare. Una tale opera contiene diverse migliaia di mascoli e, a seconda della direzione ed intensità del vento, dura fra i venti secondi ed il minuto.

In talune occasioni il brandä assume forme elaborate ed ornamentali molto decorative; è questo il caso fra l'altro dei finali di sparata realizzati a Rapallo in occasione delle festività di luglio in onore di N.S. di Montallegro. Avendo i rapallini la possibilità di allestire il brandä (nell'uso della vallata di Rapallo nominato "ramadan") sull'asfalto della passeggiata a mare, colgono l'occasione per impreziosirlo con pregiati disegni.


Qui sopra il brandä ("ramadan") del Panegirico 2006 a Rapallo, allestito dal Sestiere di San Michele (da www.festediluglio.it). La citazione di quest'opera è doverosa per la sua forma originale. L'attacco è classico triangolare, ed il rombo in crescendo che se ne genera è in seguito mantenuto pressoché costante da un corpo centrale trapezoidale in cui le righe vengono raddoppiate una sola volta a metà percorso. Il culmine è in guisa di un doppio arco che inquadra il nome del sestiere. Il gratïn ha l'inconsueta forma della croce di malta. L'effetto sonoro complessivo è molto articolato, con un crescendo veloce che rallenta, si smorza quando il fuoco passa per gli archi e termina con una successione di ruggiti in corrispondenza della consumazione non contemporanea delle braccia del gratïn. il tutto è condito dai colpi dei cannoni disposti lungo il ramadan.

2 luglio 2018 – Festa di Ns. di Montallegro: al Santuario la Messa del cerimoniere del Papa Mons. Guido Marini (a sinistra). “Salire al monte - ha detto - per pregare e per chiedere a Maria di essere sempre più vicini a suo figlio Gesù”.


Messa al Santuario di N.S. di Montallegro

Mons. Guido Marini (al centro della foto)

GIORNO DELL’APPARIZIONE DELLA MADONNA

A Rapallo oggi il Panegirico, i fuochi e domani processione

Rapallo sta festeggiando da ieri Nostra Signora di Montallegro. Oggi a mezzogiorno è avvenuta la sparata del Panegirico seguita dallo spettacolo a giorno a cura del Sestiere San Michele. Alle 22.45 il saluto dei Sestieri alla Madonna con l’accensione degli antichi mortaletti liguri. Alle 23 il Palio dei Sestieri con spettacoli pirotecnici a notte, a cura dei Sestieri Cerisola e Cappelletta.

Domani 3 luglio invece tra i momenti più attesi la solenne processione  presieduta dall’arciprete don Stefano Curotto che alle ore 21 accompagnerà per le vie cittadine l’arca argentea, con la compartecipazione delle confraternite e dei crocefissi processionali tra cui – in via eccezionale – il celebre Cristo bianco del Maragliano, invitato a Rapallo dai Massari di San Michele. Il percorso della processione, a fronte della presenza del cantiere sul torrente San Francesco, non transiterà sul lungomare. Una volta giunta all’incrocio tra via della Libertà e corso Matteotti, svolterà a sinistra, in direzione della Basilica e raggiungerà via Milite Ignoto per assistere alla “Sparata dei Ragazzi”, allo spettacolo pirotecnico “a notte” e al sempre suggestivo “Incendio del Castello”. Protagonisti saranno il Sestiere Borzoli, Seglio e San Michele. Il 1° invece è toccato ai Sestieri Costaguta e Borzoli.

UN PO’ DI STORIA….

Nella Riviera di Levante, le salve di saluto, i colpi per i festeggiamenti nelle feste patronali hanno una tradizione antichissima e sono i sostituti civili delle salve di cannone militari e il loro utilizzo si fa risalire almeno al XVII secolo.

Salve di cannone o il saluto con le braccia rendono l'onore militare o navale. L'usanza ha origine nella tradizione navale, dove una nave da guerra avrebbe sparato i suoi cannoni, senza pericolo, in mare, fino a che tutte le munizioni fossero state spese, per mostrare che era disarmata, a significare la mancanza di intento ostile.

Come si è evoluta in ambito navale, 21 colpi sono venuti ad essere usate per i capi di Stato, con la diminuzione del numero con il grado del beneficiario dell'onore. Mentre 21 salve sono le più comunemente riconosciute, il numero di giri sparati in ogni saluto dato varia a seconda delle condizioni. Le condizioni per effettuare queste variazioni includono la particolare occasione e, nel caso di militari e funerali di stato, il ramo di servizio, e del rango (o ufficio) della persona alla quale sono stati resi gli onori.

Furono proprio gli inglesi a codificarne l'uso.
La prima regolamentazione è datata 1688: si stabiliva che per compleanni e incoronazioni dei Reali si desse voce ai cannoni da ogni nave della flotta.

Il numero 21 compare però nel 1730 (nel British Naval
Regulations) come limite massimo per ogni imbarcazione.
Ma le salve non venivano usate solo per i regnanti.
Il numero era sempre dispari e cresceva di due, secondo il rango del
festeggiato. I numeri pari venivano usati solo in caso di lutto.
Il 21 divenne codice internazionale come rituale diplomatico.
Un vascello da guerra, entrando in un porto straniero, salutava la bandiera della nazione ospite, e da entrambe le parti si sparavano i famosi 21colpi,
come segno di non belligeranza (guai a spararne uno in più o in meno).
Comunque, sul perché sia stato scelto proprio questo numero, si può ipotizzare una componente mistico-religiosa: 3 e 7, che moltiplicati tra loro danno appunto 21, sono cifre dalla forte valenza simbolica.

A Recco questa tradizione risale fino agli inizi del 1400 ed è legata al culto della "SUFFRAGINA", la Madonna del Suffragio, patrona e protettrice della città.

Nella chiesa di Megli è conservata una tavoletta ex voto risalente al 1700 dove si vede un uomo con il cappello a tricorno che segue una sparata di "mascoli".

Inoltre il Sac. Giacomo Olcese nel suo libro del 1896 "Storia di Recco" riporta a proposito dei "mascoli": "…il giorno 8 settembre d'ogni anno è straordinario il numero di forestieri che viene a Recco e per assistere alle solenni religiose funzioni, alle splendide illuminazioni, alle lunghe e tradizionali sparate di migliaia e migliaia di mortaretti, come pure alla solenne e imponente processione, e ai fuochi a mare e di terra…"

E ancora il grande narratore francese Henry Stendhal che visitò Recco nel 1818 nei giorni 8 e 9 settembre scriveva: "C'è stata la festa della Madonna di Recco. Vi sono andato con le nipotine dell'antico Doge S. che furono educate nelle Fiandre in un monastero di cui mia zia fu badessa. Eravamo in dieci montati sopra asini… Qui sento il rumore dei fucili e dei mortaretti sparati in onore della Madonna da questa gente avara e ladra che appena interrompe la solitudine di questi monti… Sono le dieci e lo spettacolo diventa più sublime ad ogni istante…"


Sparate di mascoli a Recco e a Rapallo – Nuove normative

Le salve di saluto in occasione di feste e manifestazioni non potevano essere affidate ai cannoni custoditi nelle fortezze della Repubblica di Genova, spesso mal ridotti e poi nei centri minori non esistevano cannoni.

Si inventarono allora dei congegni metallici di piccole dimensioni definiti nel linguaggio popolare "mascoli", facilmente caricabili con minime quantità di polvere da sparo, trasportabili e sistemabili laddove era necessario collocarli per comporre anche dei disegni che scoppiavano in grande stile: i cosiddetti "ramadam".

L'uso di questi congegni è generalizzato nei giorni di festa in tutti i centri liguri.

Il "mascolo" è un cilindro di ferro con una base piatta che si adatta al suolo, con un'altezza compresa tra 8 e 15 cm, con uno spessore adeguato all'altezza (camicia) di almeno 1 cm e con un foro all'estremità inferiore sul lato verticale detto "aboggino" per il collegamento della striscia di polvere nera che unisce i vari "mascoli" di una sparata che rumoreggiano in rapida successione.

Il peso di un "mascolo" è di circa 2 kg, lo spessore della camicia è garanzia contro l'esplosione del "mascolo" e la quantità di polvere da sparo collocata in ogni elemento è di circa 15 grammi che viene pressata e ricoperta con segatura.

Ogni quartiere possiede e conserva gelosamente migliaia di "mascoli", tramandati di generazione in generazione.

Una "sparata" è composta da circa 1000-2500 "mascoli" di cui la metà viene usata per la "riga" e il resto per il "riondino" .

La "riga" consiste in un susseguirsi di "mascoli" posti su un sentiero di sabbia a distanza regolare di circa 40/50 centimetri l'uno dall'altro, collegati dalla riga di polvere nera adagiata su un letto di segatura.

Il culmine della sparata è il "riondino", un insieme di "mascoli" disposti a triangolo isoscele rovesciato, posti a distanza che varia da circa 50 centimetri iniziali fino a circa 10 centimetri e che esplodono sempre più velocemente, in un crescendo di botti.

Al termine del "riondino" vengono collocati una decina di "mascoli" di maggiori dimensioni detti "fulminin" che producono un botto fragoroso e contengono una quantità maggiore di polvere pirica.

La sparata viene accesa con il "bettone", un attrezzo apposito che ha alla sua estremità una palla di ferro che viene arroventata per poter incendiare la polvere e i "mascoli" sono innescati grazie alla riga che una volta incendiata, porta il fuoco all'interno degli stessi tramite l'"abboggino".

La sparata viene "seguita" dai volontari dei Quartieri che, come da antiche tradizioni votive verso la Celeste Patrona, controllano che non si spenga la striscia, passandosi di tratto in tratto il "bettone" stesso, per integrare la polvere che brucia con una maggiore sicurezza.

I "mascoli "sono innocui perché non c'è lancio in aria o lateralmente di materiale infuocato o esplosivo in quanto la forte deflagrazione avviene all'interno del "mascolo" stesso grazie alla forte compressione della polvere nera che viene espulsa provocando rumore.

Non si ricordano nel tempo incidenti di sorta né per lesioni da scoppio né per abrasioni da scottature né tanto meno per danneggiamento di cose.

Non sussiste nessun pericolo di esplosione accidentale o per "simpatia" non essendoci inneschi detonanti ed essendo ogni elemento tenuto a distanza dagli altri.

Oggi le sparate avvengono sul greto del torrente Recco e in zone periferiche su terreni appositamente preparati e puliti adeguatamente dove vengono effettuati i percorsi con l'eliminazione di sassi e pietrisco e con la stesura di un letto adeguato di sabbia fine dove poi vengono posizionati tutti i "mascoli".

La quantità maggiore di polvere nera viene utilizzata per "rigare" la sparata cioè per collegare in serie ogni singolo "mascolo" dando il via con il "bettone" alla suggestiva "lingua di fuoco".

Nel 2001 alla luce delle nuove normative in materia e al termine di una lunga ed epica battaglia conclusasi con successo per il riconoscimento presso il Ministero degli Interni di questa antica tradizione, circa 150 volontari dei 7 Quartieri cittadini capitanati dal sindaco e dal parroco hanno conseguito in seguito ad un esame presso la prefettura, il "patentino" ovvero l'abilitazione tecnica ora necessaria per poter caricare e sparare i "mascoli".

Questo non ha costituito un ostacolo anzi è stata l'occasione per far nascere l'"Università dei Fuochi" di Recco che tutti gli anni prepara i giovani per il conseguimento del "patentino" necessario per proseguire la grande tradizione degli "antichi mortaletti liguri".

L’antiga tradiçion di mortaletti, tòcchi de Liguria che vive ancon.

di Andrea Acquarone

Genova - “Unna vòtta ô fàvan pe avvizâ de l’arrivo di corsæ”, o dixe o Gioanin Rosasco, o zoeno ch’o l’è o massâ de San Bertomê de Sòi, “oua a resta a tradiçion”. Parlemmo di mortaletti, che a Levante î ciàmman ascì màscoi, e che son a còsa ciù importante quande gh’è de feste inte valle de Sòi, de Recco, de Rapallo, do Tigullio e da Fontanabonn-a. “Ma se ti væ solo che a Zena, no san manco còse son”, o continua o Rosasco, “a l’è na còsa che femmo solo niatri”. E i Fùrgari de frevâ a Taggia? “Quella a l’è n’atra còsa”. Saià!

A tutte e mainee pe inandiâ i mortaletti “s’è delongo uzou méttise in çercio”, o ne spiega o Luca Figari, massâ de Rapallo, comme se sente da-a còccina, “donca i s’asséttan in çinque, ciaschedun in sce un çeppo: o primmo çeppo o nettezza o mortaletto, o segondo, co-o pugno da man, o ghe caccia drento a poe, o terso o â sciacca co-a stia (ciöson a S. Bertomê, caregatô Recco, ndr). O quarto çeppo o creuve a poe con da serreuia ò do papê, l’ùrtimo o creuve tutto de tæra”. E coscì pe træ, çinque, dexemìa vòtte, dëxenn-e de personn-e scompartìe in squaddre.

O giorno da sparata – ògni paize o l’à o seu: da-i primmi de luggio a Rapallo, fin a l’iniçio d’otobre a-o Favâ de Mävoæ – i mortaletti végnan portæ in sciô pòsto, s’agogginn-an co’un còrno de bùffao pertuzou, e se ghe dà feugo. Dòppo o scròscio, trei corpi de cannon særan a festa.

De vòtte se fa fadiga a capî o senso de ste còse, che incangio éan tanto sentìe da-i nòstri antighi. Scibben che de feughisti ghe ne segge ancon ciù de mille, i ciù tanti en òmmi in etæ, levou o fæto che no tutti appréxan ciù e sparate. “E pòi gh’è un muggio de burocraçìa”, o dixe o Aurelio Rosasco, poæ do Gioanin, “mi ascì, che l’ò fæto delongo, m’è toccou piggiâ un patentin, ma a m’è anæta ben, perché i zoeni dévan studdiâ pròpio da feughisti. Finisce che a-e gente ghe scappa a coæ. Capiscio o fæto da seguessa, ma coscì meue e tradiçioin”. Son stòie piccinn-e, se se veu, ma a riflescion in sciâ nòstra identitæ a passa da chì ascì.

Glossaio
Agoginn-an (se)
– si innescano con la polvere tramite un buco, detto “agoggin”
Caregatô – vedi “stia”
Ciöson – vedi “stia”
Fùrgari (fùrgai) – mortaretti tipici di Taggia
Màscoi – mortaretti liguri
Massâ – massaro (colui che va a raccogliere i fondi per la sparata)
Mortaletti – mortaretti liguri
Poe (povie) – polvere sa sparo
Scròscio – ultima raffica di esplosioni
Stia – arnese per pressare la polvere da sparo

 

PROGRAMMA

FESTE DI LUGLIO 2018

FESTEGGIAMENTI IN ONORE DI N.S. DI MONTALLEGRO

dal 01-07-2018 al 03-07-2018 - Centro cittadino PATRONA DI RAPALLO E DEL SUO ANTICO CAPITANEATO nel 461° anniversario dell'Apparizione - 251° Incoronazione Sacro Quadretto. Cerimonie religiose, fiera e grandiosi spettacoli pirotecnici nelle tre serate di festa. Treni Straordinari

dal 23 GIUGNO al 1 LUGLIO

SANTUARIO DI MONTALLEGRO ore 05.00 Novena dell’alba predicazione di vari sacerdoti della Diocesi

BASILICA DEI SS. GERVASIO E PROTASIO Sante Messe della Novena

ore 07.00 e 10.30 feriale

ore 07.30 e 10.00 festivo

ore 18.00 Novena – Predicazione di Padre James Walsh del Santuario N.S. della Guardia di Velva e di Padre Attilio Fabris dell'Abbazia di Borzone

23 GIUGNO ore 09.00 Pellegrinaggio dei bambini al Santuario (partenza dalla Chiesa di S. Francesco)

24 GIUGNO ore 15.30 Santa Messa con unzione degli infermi - Basilica dei SS. Gervasio e Protasio

1 LUGLIO

ore 03.00 Pellegrinaggio dei giovani al Santuario (partenza fiaccolata dalla Chiesa di S. Francesco)

ore 7,00-10,00-11.00-12.00-18,00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio – Sante Messe della Novena

ore 08.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio Esposizione dell’Arca argentea della Madonna alla presenza di S.E. Mons. Alberto Tanasini, Vescovo di Chiavari

Innalzamento dei vessilli dei Sestieri

“Saluto dei Sestieri alla Madonna” con l’accensione degli antichi mortaletti

Spettacoli pirotecnici a cura dei Sestieri BORZOLI e COSTAGUTA (specchio acqueo antistante Lungomare Vittorio Veneto)

ore 08.15 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio – Santa Messa celebrata da S.E. Mons. Alberto Tanasini - Vescovo di Chiavari

Sante Messe a seguire ore 10 – 11 – 12;

ore 16.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio - Omaggio floreale dei fanciulli alla Madonna

ore 18.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio - S. Messa celebrata da Mons. Pino De Bernardis nel 60° anniversario di ordinazione sacerdotale

ore 21.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio - Canto dei primi Vespri

ore 21.30 Concerto della Banda Musicale “Città di Rapallo” - Direttore Daniele Casazza (Chiosco della Musica – Lungomare Vittorio Veneto)

ore 22.15 “Saluto dei Sestieri alla Madonna” con l’accensione degli antichi mortaletti

ore 22.30 “Palio dei Sestieri” – Spettacoli pirotecnici a cura dei Sestieri BORZOLI e COSTAGUTA (specchio acqueo antistante Lungomare Vittorio Veneto)

2 LUGLIO

ore 7,00-08.30-18,00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio – Sante Messe

ore 10.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio - Solenne Pontificale officiato da S.E. Mons. Alberto Tanasini, Vescovo di Chiavari

ore 10.30 Santuario di Montallegro: Santa Messa Solenne celebrata da Mons. Guido Marini Maestro delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice

ore 12.00 “Sparata del Panegirico” a cura del Sestiere SAN MICHELE (Lungomare Vittorio Veneto e specchio acqueo antistante)

ore 18.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio - Santa Messa solenne celebrata da Don Gianluca Trovato – Rettore del Santuario di Montallegro

ore 21.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio - Canto dei secondi Vespri

ore 21.30 Concerto della Banda Musicale “Città di Rapallo” - Direttore Daniele Casazza (Chiosco della Musica – Lungomare Vittorio Veneto)

ore 22.45 “Saluto dei Sestieri alla Madonna” con l’accensione degli antichi mortaletti

ore 23.00 “Palio dei Sestieri” - Spettacoli pirotecnici a cura dei Sestieri CERISOLA e CAPPELLETTA (specchio acqueo antistante Lungomare Vittorio Veneto)

3 LUGLIO

ore 7,00-08.30-18,00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio – Sante Messe

ore 10.30 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio – Solenne Pontificale officiato da S.Em. Cardinale Angelo Bagnasco – Arcivescovo Metropolita di Genova e concelebrata dai Sacerdoti di Rapallo

ore 18.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio - Santa Messa celebrata da Mons. Lelio Roveta, Arciprete Emerito

ore 21.00 Basilica dei SS. Gervasio e Protasio - Solenne Processione dell’“Arca argentea della Madonna” presieduta dall'Arciprete Don Stefano Curotto e con la partecipazione delle Confraternite, dei Crocifissi processionali e dei Massari dei Sestieri

ore 22.00 “Saluto dei Sestieri alla Madonna” con l’accensione degli antichi mortaletti in concomitanza con il passaggio dell’”Arca argentea”

ore 22.15 “Sparata dei ragazzi” e “Incendio del Castello” a cura del Sestiere BORZOLI

ore 23.15 “Saluto dei Sestieri alla Madonna” con l’accensione degli antichi mortaletti

ore 23.30 “Palio dei Sestieri” Spettacoli pirotecnici a cura dei Sestieri SAN MICHELE E SEGLIO (specchio acqueo antistante Lungomare Vittorio Veneto)

Nella giornata di martedì 3 luglio e nella notte tra il 3 e 4 luglio 2018, in occasione della Festa
Patronale di Rapallo N. S. di MONTALLEGRO, con il contributo della Regione Liguria l’offerta
orario sarà ampliata come indicato nell'allegato

8 LUGLIO (vedi)

SANTUARIO DI MONTALLEGRO

ore 10.30 “Adempimento del Voto della Comunità Rapallese” – Anno Domini 1657 – Santa Messa all’Altare della Madonna celebrata da S.E. Mons. Alberto Tanasini

“Benedizione della Città” al termine della solenne processione con il “Sacro Quadretto”

Spettacoli pirotecnici dei Sestieri realizzati con il concorso delle rinomate Ditte:

-FIREWORKS LIETO – Visciano (NA) - Sestiere SAN MICHELE

-APULIA EVENTS – San Severo (FG) - Sestiere SEGLIO

-DITTA CATAPANO GIUSEPPE – Ottaviano (NA) – Sestiere BORZOLI

-PIROTECNICA MORSANI – Belmonte in Sabina (RI) – Sestiere CERISOLA

-SCUDO GERARDO – Ercolano (NA) - Sestiere CAPPELLETTA

-SETTI FIREWORKS – Genova – Sestiere COSTAGUTA

BASILICA DEI SS. GERVASIO E PROTASIO – Coro della Basilica diretto da Simona Gardella - organista M° Fabio Macera

GOLFO DI RAPALLO Posa in mare dei Lumetti “Rapallini” a cura del Circolo Pescatori Dilettanti Rapallesi

www.comune.rapallo.ge.it www.sestederapallo.it

Per maggiori informazioni

https://www.comune.rapallo.ge.it/pagina631_festeggiamenti-patronali-1-2-3-luglio.html

http://www.festediluglio.it

http://www.sestederapallo.it

http://www.turismoinliguria.it

“LA CHIESA NON SI RIDUCA A MANIFESTAZIONI ESTERIORI”

Il monito del vescovo Tanasini sembra ritornare sulla polemica per i fuochi e la presenza di troppi Cristi lignei in processione.

Sul lungomare, la presidente del Comitato dei Sestieri Maura Arata non si stupisce delle parole del vescovo che, negli anni, non ha mai nascosto di apprezzare poco le sparate dei fuochi (ma anche tanti Cristi lignei in processione). E riflette:

Il vescovo é uomo intelligente e sa bene che le nostre contadine del passato, che certo seguivano Maria nell’umiltà, a mezzogiorno del 2 luglio, sentendo i mortaretti, fermavano il lavoro nei campi per farsi il segno della croce e pregare. Il Panegirico, i fuochi: siamo tutti uniti nelle nostre Feste, sta andando ogni cosa al meglio”.

Concludiamo questa panoramica "rapallina" lasciando la parola ai turisti e non… di Rapallo.

Durante la festa del paese che si svolge i primi tre giorni di luglio per l'anniversario dell'apparizione della Madonna di Montallegro ogni sera è possibile ammirare un grande spettacolo pirotecnico ma la serata più emozionante è quella conclusiva quando dopo lo spettacolo pirotecnico viene teatralizzato...

Matteo Z.

Nell'ambito delle feste di luglio a Rapallo una tre giorni di fuochi d'artificio con culmine nell'incendio del castello durante la processione con i tipici portatori di pesantissimi crocefissi splendidamente ornati e apparentemente traballanti ma in un equilibrio incredibile.

Farris Alessandro

Tre serate di fuochi indimenticabili! Uno spettacolo che si ripete tutti gli anni e che lascia sempre a bocca aperta. Non sono ancora riuscita a trovare fuochi più belli di quelli di Rapallo e non solo perchè hanno il sapore dell'infanzia!

Elena P.


Ogni estate, la sera del 3 luglio a Rapallo, in occasione delle celebrazioni di Nostra Signora di Montallegro (1-2 e 3 luglio) verso le ore 22:15 viene incendiato il castello. È il momento più emozionante della festa, l'Arca Argentata della Madonna viene portata in processione...

Marina F.

Alla fine della processione del "Quadretto di Maria" viene dato "fuoco" al vecchio castello sul mare. Bagliori rossi compaiono alle finestre e alle pareti una pioggia argentea di fuochi d'artificio e ...fumo fumo fumo. E' uno spettacolo suggestivo ed affascinante.

Giampaolo M.

Serata spettacolare del 3 di Luglio, sempre molto affollata ma da non perdere. La processione dei Crocefissi e della Madonna di Montallegro, l'incendio del castello con i fuochi d'artificio e il palio pirotecnico. Bancarelle in centro. Bellissimo

AlittaM.



Bellissima l'atmosfera che si respira sospesa tra religiosità, rievocazione e spettacolo con la processione. Spettacolari i fuochi d'artificio che sono fatti per tre sere di fila il 1", 2 e 3 luglio. La sera del 3 lo spettacolo nello spettacolo è l' incendio del castello.

Elisabetta464

la processione della Madonna di Montallegro e' una delle più belle attrazioni di Rapallo, incredibilmente ricca di emozioni. essendo nato a Rapallo me la ricordavo sin da quando ero piccolo, me e' sempre bello dopo tanti (troppi) anni rivederla con alla fine l'incendio del castello!!!...

William Gubert

L'incendio del Castello, unito ai fuochi d'artificio che iniziano già dal mattino con i botti dei vari quartieri raggiungono l'epilogo la sera in cui il Golfo di Rapallo s'incendia con il mare che trasmette il riverbero dei fuochi.

giavenomarco

Sacro e profano per una serata indimenticabile, i fuochi artificiali che incantano grandi e piccini e il caratteristico "incendio del castello".

Balacchino

Sempre uno spettacolo a metà tra il religioso e il pagano, con il popolo di Rapallo che adora la sua Protettrice. Da andare apposta a Rapallo a Luglio.

Francesco b

L'incendio del castello e la processione dei crocifissi si tengono entrambi nella serata conclusiva della festa patronale di NS Signora di Montallegro il 3 luglio, l'arca argentea della Madonna viene portata in processione nelle vie del centro, ad essa si accompagnano i portatori dei crocifissi...

MarcoA


Tutti gli anni, nel corso delle feste patronali in occasione della Festa della Madonna di Montallegro, si tiene il 3 luglio la processione dell'arca argentea della Madonna. L'arca è preceduta da alcuni Crocifissi processionali (detti "i Cristi"). Quest'ultima volta erano sette Crocifissi, delle diverse confraternite...

Stefano91

Rapallo. Prima una processione religiosa di Crocifissi, col Cristo Bianco e Cristo Nero, opere d'arte di fino a 400 kili. Straordinario! Poi, L'Incendio del Castello con Fuochi Artificiali che non finiscono mai. Splendido. Fantastico. Non ho parole per la belleza di Rapallo illuminatissimo!

Soncijo

Le foto a seguire sono state scattate da Aurelita Persi Donati






CARLO GATTI

Rapallo, 1 luglio 2018

 

 


SEQUENZA VARO JACKET PIATTAFORMA

 

SEQUENZA VARO JACKET PIATTAFORMA

Spieghiamo innanzitutto cosa sia un Campo Petrolifero prendendo come esempio IL CAMPO VEGA che è stata costruita dalla Pearl Marine della Società MICOPERI. All'epoca, l'autore di questi APPUNTI, il D.M. Pino SORIO, socio di Mare Nostrum Rapallo, era a bordo della piattaforma in qualità di Direttore di Macchina.

Scheda tecnica

  • Luogo:

Canale di Sicilia, 20 Km a sud di Pozzallo (RG)

  • Tipologia:

campo off-shore

  • Produzione giornaliera:

circa 2700 barili/giorno

  • Situazione erogativa:

attualmente in produzione

  • Numero piattaforme:

Vega A e una nave stoccaggio (FSO Leonis)

  • Numero di pozzi:

24 (di cui 17 in produzione)

  • Profondità acqua:

122 m

  • Operatore:

Edison (60%) – ENI (40%)

  • Inizio produzione:

1987

  • Trattamento e stoccaggio:

Vega A, stoccaggio su FSO Leonis


Vega è la più grande piattaforma petrolifera fissa realizzata nell’off-shore italiano. Il campo Vega, 60% Edison in qualità di operatore e 40% Eni, è ubicato a circa 12 miglia a sud della costa meridionale della Sicilia, al largo di Pozzallo. Comprende una piattaforma denominata Vega – A per lo sfruttamento del giacimento petrolifero e un deposito galleggiante da 110.000 tonnellate ricavato dalla trasformazione della ex-petroliera Leonis in FSO (Floating – Storage – Offloading). Il galleggiante è ormeggiato a una mono boa situata a circa 1,5 miglia dalla piattaforma e ad essa collegata tramite condotte sottomarine.

La piattaforma è stata appoggiata nel febbraio 1987, su un fondale di circa 122 metri di profondità d’acqua tramite un Jacket, struttura di acciaio tubolare a forma di traliccio con otto gambe ancorate al fondo marino per mezzo di 20 pali, su cui sono stati successivamente posati i restanti moduli di produzione e servizi.

La piattaforma adotta tecnologie d’avanguardia per la sicurezza del personale e dell’ambiente circostante. E’ stata, infatti, progettata per resistere a venti fino a 180 Km/h, onde marine di 18 metri e terremoti fino al nono grado della scala Mercalli. Vega A è munita, inoltre, di un sistema di sicurezza combinato di rivelazione gas/incendio e arresto di emergenza che garantiscono un alto livello di sicurezza

Il giacimento si trova ad una profondità sotto il livello del mare variabile da 2.400 a 2.800 metri, il quale si estende su una superficie di circa 28 chilometri quadrati. La produzione è stata avviata nell’agosto del 1987; attualmente dei 24 pozzi presenti in piattaforma 17 sono in produzione.

Dalla piattaforma il greggio viene trasferito tramite una condotta flessibile e coibentata, verso la FSO Leonis che riceve il greggio, lo distribuisce nelle diverse cisterne di carico e se necessario lo riscalda con vapore. La FSO funge inoltre da terminale per il caricamento delle navi cisterna che trasportano in raffineria il greggio prodotto dal Campo Vega.

La piattaforma Vega è permanentemente presidiata 24h su 24h e tutto il controllo degli impianti è monitorato in Sala Controllo. Il personale usufruisce dei turni di riposo secondo una turnazione che prevede 14 giorni a bordo e 14 giorni di riposo a terra.

Leonis

Nell’ottobre 2009 al fine di ottemperare alle nuove normative Europee in materia di doppio scafo, Edison ha sostituito l’ex galleggiante a singolo scafo Vega Oil con la nuova unità a doppio scafo e doppio fondo Leonis del tipo Aframax.

Una piattaforma petrolifera è un'imponente struttura utilizzata per l'esplorazione di aree marine in cui sono locati potenziali giacimenti di IDROCARBURI. Allo stesso tempo le piattaforme vengono utilizzate anche per la perforazione di pozzi petroliferi, nel caso sia stata provata l'esistenza del giacimento. Una volta terminato il pozzo, la piattaforma può essere usata per estrarre idrocarburi dallo stesso, oppure può essere spostata in un'altra località per eseguire una nuova perforazione.

SEQUENZA VARO  JACKET  PIATTAFORMA

Come si vede nella sequenza di foto il varo di un jacket viene eseguito con una procedura particolare. Le bettoline per il trasporto dal cantiere di costruzione sono fatte apposta per questo servizio. Il jacket posa su due  rotaie guida e viene spinto da due enormi pistoni idraulici. Con un piano di zavorrameto preparato in anticipo la bettolina viene appruata di qualche grado fino che il jacket incomincia a scivolare sulle due guide acquistando via via velocità fino alla caduta in mare. In questa sequenza di foto il jacket è del tipo auto verticalizzante, cioè con l’apertura e chiusura automatica di valvole si allagano delle tanke situate nella parte bassa: l’acqua che entra fa si che il jacket si verticalizzi restando però galleggiante. Dopo di che viene agganciato dalle gru della nave e posizionato nel punto esatto dove c’è il pozzo pilota. A questo punto si allagano completamente le tanke della zavorra e posato sul fondale.

Jacket auto  verticalizzato  e  galleggiante  pronto  per  essere  posizionato  e  posato  sul      pozzo pilota o sulla template già fissata sul  fondo del  mare.

 

D.M. Pino SORIO

Carlo GATTI

Rapallo, 28 Marzo 20167



IL RITROVAMENTO DEL PORTOLANO SACRO GENOVESE

IL RITROVAMENTO DEL PORTOLANO SACRO GENOVESE

Marcella Rossi Patrone

Nel 2013, a qualche hanno dal ritrovamento, la dottoressa Valentina Ruzzin ha pubblicato un incantevole saggio di storia medievale: La Bonna Parolla. Il portolano sacro genovese. Al convegno dal titolo Le Portulan sacré. La geographié religieuse de la navigation au Moyen Âge, tenutosi a Friburgo lo stesso anno, l’intervento genovese ha suscitato grande interesse per il valore scientifico della scoperta, presentata dalla stessa Ruzzin e contestualizzata dalla prof. Valeria Polonio. Abbiamo avuto il privilegio ed il piacere di incontrare entrambe; riteniamo valga la pena divulgare l’argomento.

L’autrice del saggio citato, che da oltre un decennio svolge ricerca storica sugli atti notarili liguri dei secoli XII-XV, ci spiega chiaramente cosa sia un portolano sacro, conosciuto tra gli esperti come Santa Parola: «Si tratta, volendola definire rapidamente nella sua sostanza, di una lunga preghiera in uso presso la marineria del medioevo, strutturata come un elenco di invocazioni volte ad impetrare il soccorso di Dio, di Maria, dei santi e dei beati patroni di alcuni particolari luoghi, il cui dettato è organizzato in prevalenza secondo un particolare itinerario geografico, che racchiude gran parte del mondo allora conosciuto». Fino al ritrovamento l’unico manoscritto tramandato risaliva ad un codice del tardo XV secolo, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Firenze. L’esemplare genovese, rinvenuto dalla dottoressa Ruzzin presso l’Archivio di Stato di Genova col titolo di Bonna Parolla, è l’unica altra testimonianza di questa devozione marittima.

Se l’origine e la diffusione della Santa Parola rimangono sconosciute, il manoscritto di Firenze ne ha descritto chiaramente l’uso:

«Incomincia la Santa Parole (sic). Si dice in galea o nave o altra fusta quando fussino stati alcuno giorno sanza vedere terra».

Tutti sanno del legame tra i santuari ed il mare, che si manifesta in modi e situazioni differenti. Alcuni santuari prendono spesso il nome dal mare o da santi protettori dei marinai, a loro volta i marinai ricordano bene i santuari costieri cui rivolgere le loro preghiere. Gli ex voto marinari rimangono poi la più semplice e visibile testimonianza di questo legame.

Dalla Palestina il cristianesimo si diffuse precocemente e rapidamente lungo le coste liguri, affacciate sul mar Mediterraneo. La sua radicata presenza affiancò per secoli le relazioni politiche e commerciali connesse alla navigazione, lungo le rotte mediterranee da e verso la terraferma. Dopo il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, sotto il dominio bizantino, longobardo e carolingio le vie del mare non persero importanza: la navigazione di cabotaggio fu praticata con perizia e continuità anche prima del X secolo, quando decollò l’attività marittima ligure. Lungo la costa passava infatti la rotta che univa i porti tirrenici a quelli del mediterraneo occidentale ed i liguri non dimenticarono mai l’esperienza acquisita con Etruschi, Romani e Bizantini. La documentazione rimane scarsa, comunque lo attestano alcuni particolari episodi che ci piace ricordare. Alla fine del VII secolo il mondo mediterraneo si trovò diviso in mondo romano germanico, mondo bizantino e mondo arabo, nuova espressione di uno stato teocratico in rapida espansione territoriale. Nei primi decenni dell’VIII secolo gli arabi invasero la Sardegna e si impadronirono di Cagliari, dov’erano custoditi i resti di Sant’Agostino. Il re cattolico longobardo Liutprando ordinò allora una spedizione navale per metterli in salvo e sbarcarli a Genova, da dove furono trasferiti a Pavia. Successivamente Carlo Magno assegnò ai territori liguri la protezione delle coste, isole comprese, e non esitò ad inviare in Liguria un proprio notaio perché allestisse una flotta adeguata al trasporto di un elefante, un ingombrante dono diplomatico del califfo di Bagdad; l’elefante fu sbarcato a Portovenere e raggiunse incolume la corte imperiale, dove visse per anni. Alla fine del IX secolo il vescovo Sabatino mandò alcune navi a Sanremo, per salvare e custodire a Genova le reliquie di San Romolo, in pericolo per le incursioni degli arabi stanziati a Frassineto, in Provenza. Nell’Alto Medioevo, quindi, la tradizione marinara ligure perdurò in difesa della dignità civile e della libertà religiosa. Nel 934 una flotta araba arrivò ad assaltare e saccheggiare Genova e la reazione fu immediata: una spedizione navale annientò il nemico, recuperando prigionieri e bottino. Quest’unica aggressione, ricordata con enfasi dagli annalisti di ambo le parti, confermò la forza della città, che nei decenni successivi passò definitivamente al contrattacco. Da questo momento Genova prese a costruire la propria affermazione sul mare con la supremazia navale, cui aggiunse la creazione di un geniale sistema mercantile e finanziario. Si cominciò a navigare studiando gli astri, i venti, le correnti e le coste, utilizzando lo scandaglio. Il cabotaggio permise di orientare la navigazione e di fare il punto nave riconoscendo il litorale, ma anche di localizzare le correnti e le secche, gli approdi e gli scogli. Quando gli strumenti di bordo erano scarsi, si tendeva a non perdere di vista la terraferma, appoggiandosi alla memoria geografica ed al portolano, che nel Medioevo si affermò come un vero e proprio genere letterario. I portolani indicavano qualsiasi irregolarità costiera utile e descrivevano le manovre necessarie per evitare i pericoli, avvalendosi di una tradizione ininterrotta di uso ed esperienza. Il Medioevo fu permeato di una religiosità che coinvolse la vita privata e le relazioni sociali, il pensiero e la parola. Il mare ebbe un’importante dimensione religiosa, connessa innanzi tutto ai pellegrinaggi nei luoghi santi della cristianità ed alle crociate, che rappresentarono anche un’esperienza marittima. Tra tempeste e bonacce, in mare si era in continuo pericolo e si recitavano le preghiere dei naviganti. Scrive l’Anonimo Genovese alla fine del XIII secolo:

«Noi chi semper naveghemo

E ‘n perigor semo

En questo perigoloso mar,

ni mai possamo repossar,

no devemo uncha cesar

lo pietoso De pregar

che ne scampe, con soi santi,

da li perigoli, chi son tanti,

…..

non compaiono né stelle, né sole, né luna;

scuro è il cielo di questa tempesta;

e non abbiamo nemmeno la speranza

di poter giunger al porto;

…..

En sì greve ruyna

no savemo aotra meixina

de qual alcun de noi spere

se no far a De preghere,

chi za mai no abandona

chi ge fa pregera bonna

e in gran tribulacion

sa tosto dar salvacion».

Mentre si faceva pregera bonna, con grande conforto si riconoscevano le chiese allineate luogo la costa, come i grani di un rosario. Molteplici usanze religiose si associarono così alla navigazione ed i santuari punteggiarono le coste, destinatari di preghiere e insieme puntuali riferimenti per le rotte.

Da oltre un secolo gli storici studiano la litania della Santa Parola recitata dai marinai medievali, ma la ritrovata versione genovese mostra oggi alcune differenze rilevanti. Rispetto a quella toscana, considerata mutila, la litania ligure ha la stessa struttura, ma aggiunge un’introduzione, un’orazione conclusiva e, come illustra Valentina Ruzzin, ha alcune particolarità. Premesso che le due versioni presentano la stessa la forma, che forniscono entrambe testimonianze religiose, storiche, geografiche, sociali ed economiche, soffermiamoci solo sul testo genovese.

La Bonna Parolla si divide in due parti: nella prima, secondo l’ordine gerarchico, ci si rivolge ai santi più importanti ed a quelli dei naviganti; nella seconda, che è la più lunga, ci si rivolge ai titolari di particolari luoghi sacri, presenti lungo le coste mediterranee e atlantiche. La litania segue una vera e propria rotta, che parte dal vicino Oriente e continua verso l’Europa senza alcuna rappresentazione grafica, come accade nel portolano. Per questo motivo si parla oggi di portolano sacro.

Resoconti di navigazione attestano che la marineria genovese ricorreva a questa preghiera in situazioni pericolose, particolarmente quando mancava la visibilità. Citiamo ad esempio il caso di Anselmo Adorno, nobile fiammingo di origine genovese, che nel 1470 salpò da Genova su una nave diretta in Terrasanta. L’Adorno descrisse come, per una fitta nebbia al largo della Sicilia, tutti gli imbarcati avessero intonato per diverse sere la Santa Parola.

La Bonna Parolla, prima solo immaginata, è ora leggibile. Lo scorso autunno, in occasione della mostra documentaria Tutti i Genovesi del Mondo, l’archivio di Stato di Genova ha esposto in una teca questo manoscritto anonimo, come primo documento. Appare scritta ordinatamente, sia pur con qualche correzione, in cinque colonne, su un bifoglio filigranato di secondo utilizzo. Recentemente la prof. Valeria Polonio ha anche tenuto la pubblica conferenza Andare per mare nel Medioevo: il portolano sacro dei liguri (Genova, 10 marzo 2016 Accademia Ligure di Scienze e Lettere – Palazzo Ducale).

La preghiera ligure si apre con l’esortazione illuminante

« Ostae su, varendomi, e diremo la Bonna Parolla da pardie, che Deo ne fassa salvi ».

tradotto

« Funi su, valentuomini, e diciamo la Buona Parola da partire, affinché Dio ci faccia salvi ». (Ruzzin)

Era quindi detta da pardie, ovvero per partire e benedire la partenza, non solo quando si navigava in difficoltà. Spiega Valentina Ruzzin: «Pensata dai genovesi per essere detta alla partenza, l’originaria litania potrebbe essersi propagata altrove, non diversamente da quel che è accaduto con altre realtà della nautica mediterranea… Dal momento che la partenza pare dunque essere il vero fulcro della Bonna Parolla genovese, si è proceduto ad indagare sommariamente alcune fonti documentarie in questa direzione». Cosicché si va a scoprire che questa pratica era comune già nella Genova del XIV secolo, tanto che un secolo dopo venne utilizzata come decorrenza ufficiale dei giorni di servizio pagati dal Comune agli imbarcati sulle galee.

Dee n’aie (Dio ci aiuti), ripetevano i marinai genovesi ad ogni invocazione, iniziando a raccomandarsi per tre volte alla basilica del Santo Sepolcro, a Maria ed alla croce del Monte Calvario in Terrasanta, il vertice della devozione. Continuavano poi invocando i santi, 41 in ordine d’importanza, qui in ordine trascritti:

Sam Pee e Sam Pero de Roma

Sam Zoane Baptisto e lo Evangelisto

lo angero Sam Michael

lo angero Sam Raffael

lo angero Sam Carbie,

lo angero cherubim

lo angero serafim

lo apostolo Santo Andrea

lo apostolo mese Sam Iacomo

lo apostolo mese Sam Feripo

lo apostoro mese Sam Berthome

lo apostoro m(ese) Sam Simon e Iuda

lo apostoro m(ese) Sam Mathee

lo apostoro m(ese) Sam Tadee

lo apostoro m(ese) Sam Bernabe

lo apostoro m(ese) Sam Pee

lo apostoro m(ese) Sam Mathia

lo apostoro m(ese) ***

lo avangelista mese Sam Luca

lo avangelista mese Sam Marcho

lo evangelista mese Sama Zoane

lo evangelista mese Samb Mathee

lo martoro m(ese) Sam Lorenso

lo martoro m(ese) Sam Vicentio

lo martoro m(ese) Sam Sibastiam

lo martoro m(ese) Sam Stevam

lo martoro m(ese) Sam Fabian

lo docto m(ese) Sam Grigorio

lo docto m(ese) Sam Avostim

lo docto m(ese) Sam Anbroxio

lo docto m(ese) Sam Ieronimo

lo confesao m(ese) Sam Francesco

lo pricao m(ese) Sam Domeneg

lo barom m(ese) Santo Antogno Corposamto

lo barom m(ese) Santo Cristofam

lo acorreo mesamc Sam Micherozo

lo acorreo m(ese) Sam Theramo

lo cavare m(ese) Sam Zorzo

lo cavare m(ese) Sam Martino.

Nel terzultimo, Sam Theramo riconosciamo il protettore dei marinai Sant'Erasmo detto anche Sant’Elmo.

Da Oriente inizia poi il sacro itinerario, differente da quello toscano a volte per l’ordine d’invocazione, a volte per le località menzionate, a volte per le chiese menzionate. In volgare sono invocati ben 129 riferimenti e nell’ ordine si riconoscono:

1) il monastero di Santa Caterina,

1) il monastero di Santa Caterina, Monte Sinai

2) il monastero di Ayios Sabas, Alessandria d’Egitto

3) San Salvatore ?, Lattakieh

4) il monastero di Santa Maria, Monte Carmelo

5) la chiesa di San Giorgio (moschea al-Kidr), Beirut

6) il monastero di Stavrovouni

7) la chiesa di Santa Maria della Cava, Famagosta

8) la chiesa di San Giovanni, Rodi

9) la chiesa di Sant’Antonio, Rodi

10) il convento di San Francesco, Feodosija

11) la chiesa di San Michele, Pera (Istanbul)

12) Santa Sofia, Istanbul

13) la chiesa di Ayios Dimitrios, Thessaloniki

14) la chiesa di San Giorgio, Metilene

15) la chiesa di Sant’Isidoro, Chios

16) la chiesa di San Pantaleone, Chios

17) la chiesa di Santa Maria, Chios

18) la chiesa di Ayia Paraskevi, Candia

19) il monastero di San Michele, Capo Maleas

20) San Leone (?), Methoni

21) la chiesa di Sveti Vlaho, Dubrovnik

22) la chiesa di San Marco, Zara

23) la chiesa di San Marco, Venezia

24) la chiesa di San Ciriaco, Ancona

25) la chiesa di San Nicola, Bari

26) la basilica di San Michele Arcangelo,Monte Sant’Angelo

27) la chiesa di Santa Maria del Casale, Brindisi

28) la chiesa di San Cataldo, Taranto

29) la chiesa di Santa Maria di Leuca

30) la chiesa di Santa Maria della Scala, Messina

31) la chiesa di Santa Lucia, Siracusa

32) la chiesa di Sant’Agata, Catania

33) la chiesa di Santa Caterina, Malta

34) la cappella di San Dimitri, Garb, Gozo

35) San Cristoforo (?), Agrigento

36) Sant’Oberto (?), Sciacca

37) la chiesa Maria Santissima Annunziata, Trapani

38) la chiesa di Sant’Oliva, Palermo

39) la chiesa di San Bartolomeo, Lipari

40) la chiesa di Sant’Andrea, Amalfi

41) la chiesa di San Matteo, Salerno

42) la chiesa di San Costanzo, Capri

43) la chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, Napoli

44) lachiesa di Santa Restituta, Ischia

45) la chiesa della Santissima Annunziata, Gaeta

46) la chiesa della Santissima Trinità, Gaeta

47) Sette pomi (?), Roma

48) Santa Fermina di Civitavecchia

49) la chiesa di Santa Manza, Bonifacio

50) il convento di San Francesco, Calvi

51) la cappella di Sant’Antonino, Ersa

52) San Nicola (?), Piombino

53) San Ranieri di Pisa (santo patrono)

54) la chiesa di Santa Maria della Spina, Pisa

55) il santuario di Santa Liberata, Cerreto Guidi, Firenze

56) Volto Santo, Lucca

57) Santa Zita, Lucca

58) San Francesco di Assisi, La Spezia (?)

59) monastero di San Venerio del Tino, La Spezia

60) l’ eremo di Sant’Antonio di Punta Mesco, La Spezia

61) la chiesa di San Francesco, Chiavari

62) la chiesa di San Michele, San Michele di Pagana, Genova

63) Santa Margherita Ligure, Genova

64) l’abazia di San Fruttuoso, Capodimonte, Genova

65) la chiesa di San Nicolò, Capodimonte, Genova

66) la chiesa di San Gerolamo, Quarto, Genova

67) la chiesa di San Giuliano, Albaro, Genova

68) la chiesa di San Siro e Lorenzo, Genova

69) la chiesa di Nostra Signora del Carmine, Genova

70) la chiesa di Santa Maria del Garbo in Polcevera, Genova

71) la chiesa di Santa Maria, Coronata, Genova

72) la chiesa di Sant’Andrea, Sestri, Genova

73) la chiesa di Sant’Ambrogio,

74) la chiesa di San Pietro, Vesima, Genova

75) la chiesa di San Nazario e Celso, Arenzano, Genova

76) il convento di San Domenico, Varazze, Savona

77) la chiesa di Santa Maria, Savona

78) la chiesa di San Paragorio, Noli, Savona

79) l’abazia di Santa Maria di Finalpia, Savona

80) la chiesa di Santa Margherita, Noli, Savona

81) la chiesa di San Martino, Albenga, Savona

82) la chiesa di Sant’Elmo, Diano Marina, Imperia

83) la chiesa di San Maurizio, Porto Maurizio, Imperia

84) la cappella di Saint-Hospice, Cap Ferrat

85) Île Saint-Honorat (località)

86) Île Sainte-Marguerite (località)

87) abazia di Saint-Victor, Marseille

88) Sant’Antonio abate (reliquie), Vienne

89) chiesa di Saint-Paul, Narbonne

90) la chiesa di Saint-Pierre, Villeneuve-lès-Maguelone

91) la chiesa de Santa Eulalia, Barcelona

92) il monastero di Santa María de Montserrat, Barcelona

93) la chiesa di Santa María (detta La Ceu), Palma de Mallorca

94) la chiesa di Sant Nicolau, Palma de Mallorca

95) la chiesa di Santa María, Minorca

96) la chiesa di Santa María la Mayor, Ibiza

97) la chiesa de la Asunción de Nuestra Señora, Valencia

98) il monasterio de San Ginés de la Jara, Cartagena

99) la chiesa di Santa Cruz, Cádiz

100) El Puerto de Santa María, Cádiz

101) la chiesa di Santa María de la Sede, Sevilla

102) la chiesa di Santa Ana, Triana, Sevilla

103) Real Monasterio de Nuestra Señora de Guadalupe, Cáceres

104) Sanlúcar de Barrameda

105) il santuario de Nuestra Señora de Regla, Chipiona

106) Cabo de São Vicente

107) San Giuliano (?), Lisbona

108) Sant’Eustachio (?), Isole Berlengas

109) monastero di San Estevo (?), Isla de Faro

110) eremo di San Guillermo, Finisterre

111) la chiesa di Nuestra Señora de la Blanca, Muxía

112) Santiago de Compostela

113) La Coruña

114) monastero di Saint-Mathieu, Pointe Saint-Mathieu

115) cappella di St Clare, Dartmouth

116) il convento di St Francis, Plymouth

117) il priorato di Belvoir, Belvoir, Leicestershire

118) l’abazia di Netley, Netley, Hampshire

119) la chiesa di St Paul, Londra

120) la chiesa di St Thomas, Canterbury

121) la chiesa di Holy Cross, Goodnestone, Kent

122) San Luigi di Francia

123) la chiesa di Saint-Denis, Parigi

124) Sinte-Katherine, Ostende

125) San Giovanni (?), Sluis

126) San Cristoforo (?), Sluis

127) la basilica du Saint-Sang, Bruges

128) Unserer Lieben Frauen St. Marien, Altenburg

129) Reichsabtei Weingarten, Weingarten.

Riusciamo a ricordare qualche chiesa o qualche località?

Per calarci nell’itinerario, su gentile concessione della dottoressa Valentina Ruzzin, replichiamo una delle quattro tavole geografiche della pubblicazione.

Scopriamo qualche punto?

 

 

Commentiamo brevemente. Nella parte medio orientale e adriatica l’itinerario ligure si concentra sulle colonie genovesi e sulle tradizionali mete commerciali, circumnaviga la Sicilia, tocca la Campania, il Lazio, la Corsica, la Toscana e chiaramente presta grandissima attenzione alla Liguria ed ai luoghi ad essa limitrofi. Prosegue lungo le coste francesi, iberiche, inglesi e torna sul continente menzionando i porti fiamminghi. Dopo l’itinerario, la litania continua con l’invocazione a nove sante: la bea Madarenna, madona Santa Catarina, m(adona) Santa Agneize, m(adona) Santa Lucia, m(adona) Santa Seseiria, m(adona) Santa Elizabeta, m(adona) Santa Apolonia, m(adona) Santa Orsora, madona Santa Ihaira, Santa Ihera. Santa Chiara è invocata per ultima e per due volte. Il testo genovese non si esaurisce con la duplice invocazione a santa Chiara, ma mostra il suo senso chiudendo con una preghiera che pare una liturgia: « …il capitano, come pare dai registri galearum, o persino un prete, se a terra? – si rivolge agli uomini di prua, prima in volgare e poi in latino, esortandoli a rispondere secondo un canone precostituito. L’equipaggio è prima di tutto oggetto di un invito a recitare tre Avemaria e tre Padre Nostro, per pregare Dio, la Vergine e messe San Giuliano, che hanno fatto uscire la nave da un buon porto, affinché la riconducano, con gli imbarcati e la mercanzia, ad uno ancora migliore; successivamente è partecipe di quella che pare una sorta di invocazione Commentiamo brevemente. Nella parte medio orientale e adriatica l’itinerario ligure si concentra sulle colonie genovesi e sulle tradizionali mete commerciali, circumnaviga la Sicilia, tocca la Campania, il Lazio, la Corsica, la Toscana e chiaramente presta grandissima attenzione alla Liguria ed ai luoghi ad essa limitrofi. Prosegue lungo le coste francesi, iberiche, inglesi e torna sul continente menzionando i porti fiamminghi. Dopo l’itinerario, la litania continua con l’invocazione a nove sante: la bea Madarenna, madona Santa Catarina, m(adona) Santa Agneize, m(adona) Santa Lucia, m(adona) Santa Seseiria, m(adona) Santa Elizabeta, m(adona) Santa Apolonia, m(adona) Santa Orsora, madona Santa Ihaira, Santa Ihera. Santa Chiara è invocata per ultima e per due volte. Il testo genovese non si esaurisce con la duplice invocazione a santa Chiara, ma mostra il suo senso chiudendo con una preghiera che pare una liturgia: « …il capitano, come pare dai registri galearum, o persino un prete, se a terra? – si rivolge agli uomini di prua, prima in volgare e poi in latino, esortandoli a rispondere secondo un canone precostituito. L’equipaggio è prima di tutto oggetto di un invito a recitare tre Avemaria e tre Padre Nostro, per pregare Dio, la Vergine e messe San Giuliano, che hanno fatto uscire la nave da un buon porto, affinché la riconducano, con gli imbarcati e la mercanzia, ad uno ancora migliore; successivamente è partecipe di quella che pare una sorta di invocazione scaramantica, forse, di non semplice interpretazione. Si richiamano oggetti reali – il ghindazzo, la sentina, il timone – posti in condizione di pericolo o una serie di eventualità cui scampare. Tutto è comunque volto a richiedere a Dio una bonna nocte per tutti… Con le ultime parole della litania si chiede a Dio una notte quieta, un mare tranquillo, un vento sicuro. Sono probabilmente originali, le sole esclusive di questa preghiera; sono semplici e dirette. In fondo, ad una buona navigazione non si può aggiungere altro». (Ruzzin)

Concludendo, il ritrovamento della Bonna Parolla testimonia come a Genova la litania marinara fosse già recitata nel XIV secolo ed apre a nuove ricerche. Evidentemente una caratteristica del portolano sacro fu quella di modificarsi nel tempo ad opera dei marinai, secondo le particolari devozioni, le trasformazioni delle chiese, le diverse rotte. Siamo di fronte ad una pagina fondamentale della storia marinara italiana in Europa: una geografia sacra, dove la funzione religiosa si sposa a quella geografico-orientativa, dove i simboli diventano anche segnali. Accade ancor oggi nel mondo della navigazione. E non dimentichiamo che i pescatori, di generazione in generazione, hanno tramandato le posizioni di pesca ricorrendo a precisi punti d’orientamento a terra, tra cui le chiese ed i campanili che orlano le coste europee.

Ringraziamo allora i giovani studiosi genovesi, impegnati in progetti esemplari di ricerca e didattica, che oggi affrontano la ricchezza della storia medievale, ne trasmettono la vivacità ed offrono indispensabili strumenti per la comprensione del mondo attuale. Ringraziamo chi li sostiene.

Genova Nervi, 16 maggio 2016

Bibliografia:

Anonimo Genovese, Le poesie storiche, testo e versione italiana a cura di Jean Nicolas, Editore Casabianca (per conto dell’associazione “A Compagna” di Genova), Sanremo, 1983.

Bacci Michele, Rohde Martin (Edité par), Le Portulan sacré. La geographié religieuse de la navigation au Moyen Âge, Colloque Fribourgeois 2013, De Gruyter, Germany, 2014.

Bacci Michele, Portolano sacro. Santuari e immagini sacre lungo le rotte di navigazione del Mediterraneo tra tardo Medioevo e prima età moderna, in: E. Thunø and G. Wolf (eds.), The Miraculous Image in the Middle Ages and Renaissance, L’Erma di Bretschneider, Rome, 2004, pp. 223- 248.

Bellomo Elena, Sapere nautico e geografi a sacra alle radici dei portolani medievali (secoli XII-XIII) [a stampa in Dio, il mare e gli uomini, Quaderni di storia religiosa”, 15 (2008), pp. 215-241

Mannoni Tiziano, Quando il mare diventa una grande via di comunicazione, in Storia della cultura ligure, a cura di Dino Puncuh, 2, Genova 2004 (Atti della Società Ligure di Storia Patria, n.s. 118)Ruzzin Valentina, La Bonna Parolla. Il portolano sacro genovese, Atti della Società Ligure di Storia Patria, Brigati, Genova, 2013.

Ruzzin Valentina, Alcune osservazioni in merito al ritrovamento della Bonna Parolla genovese, in Le Portulan sacré…(cit.), pag. 221.

Polonio Valeria, La Liguria e la sua originalità: una variante del Portolano sacro, in Le Portulan sacré…(cit.), pag. 227.

 

Rapallo, 20 maggio 2016