IL NAUFRAGIO DI S.PAOLO A MALTA
IL NAUFRAGIO di S. PAOLO A MALTA
Racconto di Luca - Atti degli Apostoli
Il naufragio a Malta fu un incidente accaduto, diremmo oggi, durante un viaggio di "traduzione giudiziaria". Tutto comincia a Gerusalemme dove la predicazione di Paolo aveva scatenato le ire degli Ebrei che lo volevano morto. L'amministrazione romana era, come è noto, tollerante e cinica. Lasciava volentieri che i sudditi delle province sottomesse risolvessero fra di loro le loro questioni. Non però in questo caso. Perché Paolo era cittadino romano e aveva diritto di appellarsi a Cesare. Nella patria del corpus iuris, nell'impero governato dalla legge, la procedura penale era una cosa seria. I governatori delle province avevano potestà istruttoria e giudicante fino alla sentenza capitale. Il processo a Gesù insegna. Non l'avevano però sui cittadini romani. Per questi ultimi lo ius gladii era prerogativa esclusiva di Cesare e cioè della magistratura romana. Queste cose Paolo le sapeva benissimo. Si dichiarò cittadino romano e si appellò all'imperatore garantendosi così una provvisoria impunità. In seguito, dopo essere stato trattenuto agli “arresti domiciliari” a Cesarea, venne trasferito via nave, con tanto di scorta armata, a Roma. Fu un viaggio disastroso, funestato da tempeste e da venti contrari fino al naufragio di Malta. A questo punto lasciamo parlare gli Atti degli Apostoli. "Una volta in salvo venimmo a sapere che l'isola si chiamava Malta. Gli abitanti ci trattarono con rara umanità; ci accolsero tutti intorno a un fuoco, che avevano acceso perché era sopraggiunta la pioggia e faceva freddo. Mentre Paolo raccoglieva un fascio di rami secchi e lo gettava sul fuoco, una vipera saltò fuori a causa del calore e lo morse a una mano. Al vedere la serpe pendergli dalla mano, gli abitanti dicevano fra di loro: "certamente costui è un assassino perché, sebbene scampato dal mare, la dea della giustizia non lo ha lasciato vivere". Ma egli scosse la serpe nel fuoco e non patì alcun male. Quelli si aspettavano di vederlo gonfiare o cadere morto sul colpo ma, dopo aver molto atteso e vedendo che non gli succedeva nulla di straordinario, cambiarono parere e dicevano che egli era un dio".
Nel Cuore della Tempesta
Ecco il più favoloso racconto del Nuovo Testamento. Da Cesarea a Roma, “la navigazione è pericolosa” - dopo la festa delle Espiazioni – che introduce l’autunno. In effetti, la nave andrà alla deriva per quindici giorni da Creta a Malta, non potendosi orientare “né con le stelle, né col sole”. Il prigioniero Paolo si rivela più libero dei suoi 276 membri dell’equipaggio, capitano, pilota, centurione e marinai: egli è abituato al mare e all’esperienza di tre naufragi e, soprattutto, ha una sicurezza che gli viene da Dio: “Nessuno di voi lascerà la vita, solo la nave sarà persa”, afferma ai suoi compagni, quando tutto sembra perduto, “Un angelo di Dio al quale appartengo e che servo mi è apparso per dirmi: Non avere paura, Paolo… ecco che Dio ti accorda la vita di tutti coloro che navigano con te”.
Il viaggio di San Paolo verso Roma
LUCA-ATTI DEGLI APOSTOLI
Quando fu deciso che ci imbarcassimo per l’Italia, consegnarono Paolo, insieme con alcuni altri prigionieri, a un centurione di nome Giulio della coorte “Augusta”. E saliti su una nave di Adramitto, che doveva recarsi dalle parti dell’Asia, salpammo, avendo con noi Aristarco, macedone di Tessalonica. Il giorno seguente approdammo a Sidone; e Giulio, facendo un gesto di benevolenza verso Paolo, gli permise di recarsi dagli amici e di riceverne le cure. Salpati di là, navigammo al riparo di Cipro a motivo dei venti contrari e, attraversato il mare della Cilicia e della Panfilia, giungemmo a Mira di Licia. Qui, avendo trovato una nave di Alessandria che navigava per l’Italia, il centurione ci fece salire a bordo di quella. Navigammo lentamente parecchi giorni, giungendo a fatica all’altezza di Cnido, dalle parti di Salmone, e nel costeggiarla faticosamente giungemmo in una località detta Bei Porti, vicino alla quale era la città di Lasea. Trascorso alquanto tempo, ed essendo ormai pericoloso il navigare per essere già passato il grande digiuno, Paolo li esortava ripetutamente, dicendo: “Io vedo, o uomini che la navigazione comporterà pericolo e grave danno non solo al carico e alla nave, ma anche alle nostre vite”. Ma il centurione si lasciava persuadere dal Pilota e dal Capitano della nave più che non dai detti di Paolo. Ed essendo quel porto disadatto a trascorrervi l’inverno, i più furono del parere di salpare di là per giungere a svernare a Fenice, porto di Creta che guarda a libeccio e maestrale.
LA TEMPESTA E IL NAUFRAGIO
Poiché aveva cominciato a spirare un vento di Noto (Noto - l’umido vento del sud, porta le piogge e rende difficoltosa la navigazione in certi periodi dell’anno), convinti di aver ormai realizzato il progetto, levarono le ancore; e costeggiavano più da vicini Creta. Ma dopo non molto tempo si scatenò su di essa un vento d’uragano, detto Euraquilone (Grecale-Vento da Nord-Est): La nave fu travolta nel turbine, e non potendo più resistere al vento, si abbandonarono, e furono portati alla deriva. E mentre filavano sotto un isolotto chiamato Cauda, a stento riuscirono a padroneggiare la scialuppa; tiratala su, adoperavano gli attrezzi per fasciare la nave; poi per timore di finire incagliati nelle Sirti, calarono l’àncora galleggiante, e andarono così alla deriva. Venendo sbattuti violentemente dalla tempesta, il giorno seguente cominciarono a gettare il carico a mare; e il terzo giorno con le proprie mani buttarono a mare le attrezzature della nave. Da vari giorni non comparivano né sole né astri, e continuava a infuriare una grossa burrasca, onde cominciava a dileguare ogni speranza di potersi salvare.
Da molto tempo non mangiavano, quando Paolo mettendosi in mezzo a loro, prese a dire: “Conveniva, o uomini, darmi ascolto, e non salpare da Creta; si sarebbe evitato questo pericolo e questo danno. Tuttavia vi esorto ora a essere di buon animo, perché non ci sarà alcuna perdita di vite in mezzo a voi, ma solo della nave. Mi si é presentato infatti questa notte un angelo del Dio al quale appartengo e a cui servo. Dicendomi: “Non temere più, o Paolo; é necessario che tu sia presentato a Cesare, ed ecco che Dio ti ha concesso tutti i tuoi compagni di navigazione”. Perciò state di buon animo, o uomini: ho fiducia in Dio che avverrà come mi é stato annunziato. Dobbiamo andare a finire su qualche isola”.
E quando fu la quattordicesima notte che andavano alla deriva nell’Adriatico, verso mezzanotte, i marinai ebbero l’impressione che una qualche terra venisse loro incontro. E scandagliando trovarono venti braccia: e dopo un breve tratto, scandagliando di nuovo, trovarono quindici braccia. Allora per timore di finire contro luoghi scogliosi, gettarono da poppa quattro ancore, augurandosi che spuntasse il giorno. Ma i marinai, nell’intento di fuggire dalla nave, avevano già cominciato a calare la scialuppa in mare, col pretesto di gettare le ancore da prora, quando Paolo disse al centurione e ai soldati: “Se costoro non continuano a restare sulla nave, voi non potrete mettervi in salvo”. Allora i soldati recisero le gomene della scialuppa, e la lasciarono cadere giù.
E finché non spuntò il giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo dicendo: “Oggi é il quattordicesimo giorno che passate digiuni nell’attesa, senza prender nulla. Per questo vi esorto a prender cibo; é necessario per la vostra salute. A nessuno di voi perirà anche un solo capello del capo”. Ciò detto, prese del pane, rese grazie a Dio davanti a tutti e, spezzatolo, prese a mangiare. Tutti si sentirono rianimati, e anch’essi presero cibo. Erano complessivamente sulla nave duecentosessantasei persone. Dopo essersi rinfrancati con cibo, presero ad alleggerire la nave, gettando il frumento nel mare.
Fattosi giorno, non riuscivano a conoscere quella terra; ma ravvisarono un’insenatura con spiaggia, e verso di essa deliberarono di spingere, se fosse possibile, la nave. Levarono d’intorno le ancore, che lasciarono andare nel mare; al tempo stesso allentarono i legami dei timoni e levarono al vento l’artimone, movendo così verso la spiaggia.
Artimóne s. m. [dal lat. artĕmon -ōnis, gr. ἀρτέμων -ωνος], ant. – Nell’antichità classica nome di una vela di cui non si sono potute accertare le dimensioni e l’esatta posizione sulla nave. Nel medioevo sembra indicasse una vela trapezoidale o anche triangolare del secondo ordine subito al disopra della maestra, ossia la gabbia (cfr. Dante, Inf. XXI, 15: Chi terzeruolo e artimon rintoppa). Il termine non è più in uso nella marina italiana; in francese la voce artimon, tuttora in uso, indica l’albero e la vela di mezzana.
Ma lanciati contro una punta con il mare ai due lati, vi incagliarono la nave; e mentre la prora impigliata rimaneva lontana dai flutti, la poppa minacciava di sfasciarsi sotto la violenza dell’onda. I soldati decisero allora di uccidere i prigionieri, perché nessuno sfuggisse gettandosi a nuoto: ma il centurione, volendo salvare Paolo, impedì loro di attuare questo disegno; e diede ordine che si gettassero per primi quelli che sapevano nuotare, per raggiungere la terra, e poi gli altri, chi su tavole, chi su altri arnesi della nave. E così avvenne che tutti poterono mettersi in salvo a terra.
Salvi che fummo, venimmo a sapere che l’isola si chiamava Malta. Gli indigeni ci manifestarono una benevolenza non comune; ci accolsero tutti attorno ad un gran fuoco, che avevano acceso a motivo della sopravvenuta, e del freddo.
MALTA - Tutti raggiunsero l’isola, chi a nuoto, chi, grazie ad una tavola o ad un asse. Questa tappa semplice ed idilliaca: “gli indigeni ci trattarono con rara umanità, intorno ad un gran fuoco”, simboleggia l’accoglienza che il mondo pagano farà al Vangelo. Dopo il pericolo ed il naufragio, lo scalo meraviglioso a Malta ebbe, per Luca, il gusto dell’alba di una resurrezione. Una vipera morse la mano di Paolo mentre attizzava il fuoco, egli la gettò nel braciere senza alcun dolore… e la gente lo prese per un Dio. Ancora, Paolo guarì il padre del suo ospite imponendogli le mani, così come la folla di malati che accorsero. Finalmente: “lo ricoprirono di onori e, al momento della partenza, gli venne fornito tutto il necessario”.
Pozzuoli - La Puteoli Romana
Dopo tre mesi, salparono su una nave di Alessandria che aveva svernato nell’isola, recante l’insegna dei Dioscuri. Attraccarono a Siracusa, dove rimasero tre giorni, e di qui, costeggiando, giunsero a Reggio. Il dì seguente si levò il vento di Noto onde il giorno dopo arrivarono a Pozzuoli. E qui trovarono dei fratelli i quali li pregarono di restare con loro sette giorni. E così partirono alla volta di Roma. Ma i fratelli di là, avendo saputo di loro, gli andaronio incontro fino al Foro d’Appio e alle Tre Taverne. E Paolo, al vederli, rese grazie a Dio, e prese coraggio.
Pozzuoli – Tempio di Serapide
Il viaggio di Paolo terminò a Pozzuoli. Questo porto aveva moli importanti e traffici intensi. Pozzuoli fu fondata dai greci nel VI sec. a.C. – passata ai Romani, fu largamente favorita da provvedimenti doganali che ne fecero il porto più animato dell’impero e la base dell’irradiazione economica e politica romana in Oriente. Da Pozzuoli l’Apostolo e i suoi compagni presero la famosa Via Appia (nella pagina accanto a destra), il cui primo tratto, che va da Roma a Capua, fu costruito nel IV sec. a.C.. Questa “Regina delle strade romane” serviva anche da cimitero per i cittadini romani: i due lati della via erano infatti fiancheggiati da monumenti funerari, molti dei quali esistono ancora. Lo “stratopedarca” (stratopedarca, nell’esercito bizantino, il capo dell’accampamento equivalente al maresciallo di alloggio negli eserciti del 18° secolo) al quale furono affidati i prigionieri, apparteneva probabilmente alle Guardie Pretoriane, quella casta politicamente molto importante alla quale Augusto aveva affidato la protezione della città e della persona dell’imperatore.
La Via Appia
Paolo ha la gioia di essere accolto da dei fratelli – hanno percorso 50 Km a piedi - poiché l’Apostolo non è uno sconosciuto: essi hanno ricevuto da lui, tre anni prima, la sua grande Lettera ai Romani. A Roma, egli trova anche una comunità di Cristiani, dei quali si ignora l’origine e della quale Luca dice essere numerosa e celebre per la sua fede e le sue opere. Il cristianesimo è stato senz’altro portato molto presto da mercanti ebrei ed è rimasto accantonato vicino a delle sinagoghe. Alla morte di Claudio, Roma contava circa 50.000 ebrei, venuti da regioni molto diverse, dispersi attraverso la vasta agglomerazione in diverse sinagoghe.
Paolo giunse dunque a Roma nel 61 per esservi giudicato. Dopo due anni di residenza vigilata, nel cuore della città, vicino al Tevere (l’attuale quartiere ebreo), che egli impiegò a evangelizzare ed a scrivere, il processo sfumò per mancanza di accusatori. Ma, dopo l’incendio del 64, Nerone accusò i cristiani di essere gli autori dell’incendio. Paolo venne così arrestato, incatenato nel carcere Mamertino e condannato alla decapitazione, che ebbe luogo fuori dalle Mura Aureliane, sulla via Ostiense, più probabilmente tra il 65 e il 67.
Carlo GATTI
Rapallo, 11 Maggio 2014
SANTUARIO DI N.S. DI MONTALLEGRO LA NOVENA DELL’ALBA
SANTUARIO DI N.S. DI MONTALLEGRO
LA NOVENA DELL’ALBA
Nel sestiere di Borzoli, a circa seicento metri s.l.m., sulle balze del monte Ponzema spicca nel verde delle colline il Santuario di N. S. di Montallegro, testimonianza imperitura della Sua Apparizione in questo luogo.
Era il 2 luglio 1557, quando nelle prime ore del pomeriggio, ad un contadino di San Giacomo di Canevale, Giovanni Chighizola, che tornava dal mercato e sul monte s’era posto a riposare, apparve la Madonna, la quale – così si narra – incaricò Giovanni di avvertire i Rapallesi che ivi voleva essere venerata e come segno tangibile lasciò quel quadretto (una tavola bizantina) rappresentante la dormitio Mariae, mentre dalla vicina roccia sgorgava una limpida sorgente di acqua.
I primi ad accorrere sul luogo furono alcuni contadini della zona e il parroco di S. Ambrogio, Rocco Lucchetti, il quale fu vivamente impressionato dall’avvenimento. La voce del miracolo si diffuse rapidamente e da Rapallo accorsero altri; il Lucchetti, fatta una questua, diede a Nicolosino Bisanino (forse il bargello?) e al magnifico Gio Battista della Torre, una piccola somma, perché provvedessero, a far sorvegliare e custodire il quadretto durante la notte.
La notizia della miracolosa apparizione e fece accorrere folla da ogni luogo e, l’anno seguente, il vicario generale della diocesi di Genova, mons. Egidio Falceta, vescovo di Caorle, ebbe l’incarico di condurre un’indagine accurata sull’ accaduto….
Osservando lo stemma araldico della Città di Rapallo, si nota l’azzurro della sigla Mariana accostata da due grifoni controrampanti sostenenti, con le zampe anteriori, una corona, il tutto d'oro.
Il simbolo indica ovviamente la regalità di Maria e l'eterna riconoscenza che gli abitanti del comune intendono esprimere alla loro celeste Patrona che, da 461 anni, non cessa di ricoprirli di grazie e protezione.
L'inserimento infatti dell'iniziale mariana nel gonfalone cittadino rappresenta un impegno pubblico di devozione e sottomissione. Pochi probabilmente oggi se ne rendono conto ma chi compì tale gesto significativo, il 28 novembre 1948, certo non aveva gli scrupoli per la "laicità" dello Stato manifestati invece anche purtroppo da molti ecclesiastici di oggi.
Al di là infatti delle vicende che dettero inizio al santuario, i rapallesi, nella semplice saggezza di chi sa davvero leggere, negli avvenimenti storici, i segni del soprannaturale, attribuirono sempre alla protezione di Maria la salvezza del paese rispetto a pestilenze, epidemie di colera e finanche dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale.
I followers del sito di Mare Nostrum Rapallo conoscono i nostri numerosi scritti sulle celebrazioni delle FESTE DI LUGLIO in onore della SS. Vergine. In questi giorni Montallegro diventa una piccola Lourdes, a Rapallo e dintorni si respira aria di fede e devozione: tanti giovani e non più giovani rinnovano ogni anno:
il rito della Novena dell’alba
un antico pellegrinaggio notturno che si snoda sugli impervi sentieri che dalla funivia raggiungono il Santuario (620 mt) cantando e pregando al lume di candele, torce ed oggi di faretti e smartphone.
Gesù disse ai suoi Apostoli:
Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20)-
Questo sembra essere, ormai da molti secoli, il collante che unisce i rapallesi al loro Santuario.
Immagini che rimangono chiuse nello scrigno dei nostri più cari ricordi di gioventù, di amicizia vera e di gioia per essere nati qui…ai piedi di questo sacro Santuario.
I pellegrini di Rapallo sono persone semplici, rimaste ancorate a quei valori ereditati dai loro vecchi e che sicuramente tramanderanno ai loro discendenti, futuri tedofori della stessa FEDE.
Di loro si parla poco, anzi quasi mai! I proiettori dei media sono sempre puntati altrove, dove il male impera e fa notizia…!
NOVENA – DEFINIZIONE STORICA
Pratica di devozione in preparazione di una festa o per l'ottenimento di una grazia, consistente in particolari preghiere e meditazioni per nove giorni consecutivi; di origine medievale, è ispirata al periodo di nove giorni passati in preghiera nel Cenacolo dalla Madonna e dagli Apostoli dopo l'Ascensione in attesa della discesa dello Spirito Santo.
Cos’è una NOVENA oggi? La novena è una speciale preghiera che il fedele rivolge a Dio durante nove giorni consecutivi chiedendo l’intercessione particolare della Vergine Maria, di un santo patrono, degli arcangeli o degli angeli custodi. Si è anche soliti pregare le novene in preparazione alle grandi feste liturgiche come il Natale, la Pasqua, la Pentecoste, l’Immacolata o in prossimità di altre solennità importanti.
Una novena molto diffusa è quella in suffragio dei defunti e in favore delle anime del purgatorio secondo una usanza che troviamo nell’Antico Testamento quando Giuda Maccabeo offrì con i suoi uomini un “sacrificio espiatorio” in riparazione dei peccati dei soldati caduti in battaglia.
· La Preghiera a Maria che scioglie i nodi :
Vergine Maria, Madre del bell'Amore, Madre che non ha mai abbandonato un figliolo che grida aiuto, Madre le cui mani lavorano senza sosta per i suoi figlioli tanto amati, perchè sono spinte dall'amore divino e dall'infinita misericordia che esce dal Tuo cuore volgi verso di me il tuo sguardo pieno di compassione. Guarda il cumulo di "nodi" della mia vita.
Tu conosci la mia disperazione e il mio dolore. Sai quanto mi paralizzano questi nodi Maria, Madre incaricata da Dio di sciogliere i "nodi" della vita dei tuoi figlioli, ripongo il nastro della mia vita nelle tue mani. Nelle tue mani non c'è un "nodo" che non sia sciolto.
Madre Onnipotente, con la grazia e il tuo potere d'intercessione presso tuo Figlio Gesù, mio Salvatore, ricevi oggi questo "nodo" (dire il "nodo" che ci opprime). Per la gloria di Dio ti chiedo di scioglierlo e di scioglierlo per sempre. Spero in Te.
Sei l'unica consolatrice che Dio mi ha dato. Sei la fortezza delle mie forze precarie, la ricchezza delle mie miserie, la liberazione di tutto ciò che mi impedisce di essere con Cristo. Accogli il mio richiamo. Preservami, guidami proteggimi, sii il mio rifugio.
"Maria che scioglie i nodi" prega per me.
Novena dell’Alba a Montallegro
PUBBLICATO 19 GIUGNO 2018 · AGGIORNATO 19 GIUGNO 2018
RAPALLO – Inizia sabato prossimo, al Santuario di Montallegro, la novena in preparazione alla festa patronale. Ogni mattina, alle 3.30, il Santuario aprirà le sue porte ai pellegrini, per la preghiera e per celebrare il sacramento della Riconciliazione. Alle 4.20 la recita del Santo Rosario e alle 5.00 la Messa con omelia e la supplica. La novena dell’alba sarà caratterizzata, quest’anno, dalla presenza di sacerdoti e gruppi parrocchiali provenienti da diverse parti della Diocesi. Ad iniziare il cammino di preparazione sarà don Marco Gattorna con i giovani della Val Fontanabuona. Seguirà Don Massimiliano Pendola, con le comunità di Moneglia; Don Andrea Buffoli e i giovani della Val Graveglia; don Alberto Gastaldi e i ragazzi di Chiavari; Don Federico Tavella e i giovani di Lavagna; don Cristiano Princiotta Cariddi e i volontari del santuario; don Paolo Gaglioti e i giovani di Carasco; Don Stefano Mazzini con la comunità del seminario, e per finire, Don Stefano Curotto con i giovani di Rapallo, che concluderanno il cammino domenica 1° luglio. In Basilica, a Rapallo, la Messa di novena sarà celebrata ogni mattina alle 7.00 e alle 10.30 nei giorni feriali, alle 7.30 e alle 10.00 nei giorni festivi; e al pomeriggio alle ore 18.00. La predicazione sarà affidata a Padre James Walsh, del santuario di N. S. della Guardia a Velva, e Padre Attilio Fabris, abate dell’abbazia di Borzone.
ALBUM FOTOGRAFICO
Sull'altare maggiore, è custodita l'immagine miracolosa lasciata dalla Madonna sul luogo dell'apparizione come pegno d'amore alla comunità di Rapallo, insieme allo sgorgare prodigioso di una fonte, le cui acque sono state incanalate in una fontanella che si trova ancora nella cappella laterale del Santuario.
Il quadretto, un'icona bizantina di rara fattura, è protagonista di un altro aneddoto miracoloso: dopo essere stata sistemata nel Santuario, fu notata da alcuni ragusei che vi si erano recati in visita e fu da loro reclamata, sostenendo che provenisse dalla città di Dubrovnic, in Dalmazia. Fu deciso di inviare l'icona a quello che sembrava il suo luogo d'origine ma, durante il viaggio in nave verso la Dalmazia, l’icona sparì misteriosamente e fu ritrovata nel Santuario. I ragusei compresero il segno divino e lasciarono il quadretto miracoloso a Rapallo.
LE PUBBLICAZIONI DI MARE NOSTRUM RAPALLO
In occasione dei 450 anni dall’Apparizione della Madonna di Montallegro, Mare Nostrum Rapallo pubblicò:
2007 - MONTALLEGRO, UN FARO SU MARE NOSTRUM
- Quando apparve la Madonna – Quadro Storico -
di Carlo Gatti
- Ex voto marinari – La quadreria del Santuario di N.S. di Motallegro
di Emilio Carta
- Montallegro: ex voto e storia navale
di Maurizio Brescia
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Rapallo: SANTUARIO DI N.S.MONTALLEGRO
Navi, Marinai e la Devozione Mariana
***
La "carretta" BONITAS di Ravano naufraga davanti a Norfolk
***
Santuario di Montallegro. VELIERI nella Tempesta
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NARCISSUS - Il Veliero che non voleva morire
Carlo GATTI
Rapallo, 25 Giugno 2018
VENDÉE GLOBE RACE 2016-2017
VENDÉE Globe Race 2016-2017
…. La regata più pazza del mondo…..
Fu dondata nel 1989 – Per le Classi IMOCA 60
Partenza e Arrivo da LES SABLE-D’OLONNE (Francia)
Nel duello più lungo il bretone Armel Le Cléac’h vince il giro del mondo 2016-2017
Con il record del mondo abbassato di quattro giorni, Armel Le Cleac'h ha vinto la leggendaria Vendée Globe Challenge, il giro del mondo in solitario e senza scalo che era partito il 6 novembre da Les Sables d'Olonne, un'edizione rivoluzionata dagli scafi dotati di "baffi". Testa a testa con il britannico Alex Thomson durato oltre 25 mila miglia:
Capo di Buona Speranza (Sud Africa)
Al Capo di Buona Speranza fu dato il nome di «Capo Tempestoso» dall’esploratore portoghese Bartolomeu Diaz, il primo europeo a raggiungerlo via mare nel 1488. Nel XV secolo, le navi si trovavano spesso in difficoltà in questo tratto di mare.
Capo Leeuwin (Australia)
Capo Leeuwin è considerato erroneamente il punto più a sud dell’Australia e il punto d’incontro tra l’Oceano Indiano e l’Oceano Glaciale Antartico. Il nome gli fu assegnato nel 1801 dal navigatore e cartografo inglese Matthew Flinderscapo, in onore del vascello olandese “Leeuwin” che per primo lo doppiò, nel 1622.
Pur non essendo il punto più meridionale dell’Australia Capo Leeuwin fa parte delle “boe” naturali, utilizzate dalla maggior parte delle regate intorno al mondo (come la Vendée Globe)
Assieme agli altri due capi nominati fa parte della fascia di latitudine dei "QUARANTA RUGGENTI", così denominata proprio per indicare alcuni dei tratti di mare più pericolosi al mondo.
Se ti è piaciuto questo articolo condividilo con i tuoi amici! Oppure raccontaci quale di queste rotte ti piacerebbe intraprendere, da solo o in compagnia!
Capo Horn (Cile)
Capo Horn è il punto più a Sud delle Americhe, situato in realtà nell’omonima isola, appartenente all’arcipelago della Terra del Fuoco. Venne doppiato per la prima volta dalla spedizione Olandese di Willem Schouten e Jacob Le Marie, che lo battezzarono Kaap Horn in onore della città natale di Schouten.
Si può scegliere di passare in mare aperto, dal canale di Drake, oppure nello Stretto di Magellano, attraverso le isole della Terra del Fuoco, che però offrono un passaggio lento e ricco di insidie. In ogni caso Capo Horn va affrontato nella stagione estiva, quando le giornate durano circa 20 ore e le temperature sono un po meno proibitive.
Il motivo delle violenti tempeste che si infrangono su Capo Horn risiede nella costante presenza di vento da Ovest, che corre lungo l’Oceano australe, unita ad un repentino abbassamento della profondità del mare. Nello stretto di Drake il fondale passa improvvisamente da 4.000 m ad appena 100 me questo causa la formazione di onde estremamente violente. La normalità in estate sono 20-25 knt di vento e 2-3 m di onda ma la Marina cilena rileva spesso venti di 80- 100 knt e onde superiori a 20 m. Se poi consideriamo una temperatura dell’aria che va dai 12°C (in estate) ai -5°C (di inverno), con l’acqua sempre prossima agli 0°C, potrete facilmente capire il perché della fama di Capo Horn.
La mappa indica la rotta della regata VENDE’E GLOBE
http://www.vendeeglobe.org/en/
La 17a RACE
Iniziata il 6 novembre 2016
Terminata il 17 gennaio 2017
Per il vincitore: Armel Le Cléac'h è durata 74 giorni 03h 35' 46"
Sebastien Josse alla partenza del Vendée Globe su Gitana
la Francia s'inchina agli eroi della vela estrema.
I PARTECIPANTI ARRIVATI
Sailor |
Yacht |
Time |
Banque Populaire VIII § |
74d 03h 35' 46" (current record) |
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Hugo Boss § |
74d 19h 35' 15" |
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Maître CoQ § |
78d 06h 38' 40" |
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StMichel-Virbac § |
80d 01h 45' 45" |
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Quéguiner - Leucémie Espoir |
80d 03h 11' 09" |
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Finistère Mer Vent |
80d 04h 41' 54" |
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Bureau Vallée |
87d 19h 45' 49"
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Spirit Of Hungary |
93d 22h 52' 09" |
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Comme un Seul Homme |
99d 04h 56' 20" |
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La Mie Câline |
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100% Natural Energy |
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One Planet One Ocean |
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Newrest - Matmut |
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La Fabrique |
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No Way Back § |
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Great American IV |
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Famille Mary - Etamine Du Lys |
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TechnoFirst - FaceOcean |
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UN PO’ DI STORIA:
La Vendèe-Globe è una regata per barche a vela che consiste in una circumnavigazione completa in solitaria, senza possibilità di attracco o di assistenza esterna (pena l'esclusione). L'iniziativa è stata fondata da Philippe Jeantot nel 1989 , e a partire dal 1992 si è svolta ogni quattro anni. Per le sue evidenti restrizioni, la regata costituisce una dura prova di resistenza individuale, e viene da molti considerata come la più significativa delle competizioni in ambito velico, è soprannominata « L'Everest de la mer » o « L'Everest des mers », in ogni caso è l'unica regata al mondo in solitario, senza scali e senza assistenza che prevede la circumnavigazione completa del globo.
La Regata venne istituita nel 1989 dal velista Philippe Jeantot. Jeantot aveva già preso parte alla BOC CHALLENGE (oggi Velux 5 Oceans Race), nelle edizioni 1982-83 e 1986-87, vincendole entrambe: insoddisfatto della formula "a tappe", decise di allestire una nuova regata non-stop, che nelle sue intenzioni doveva rappresentare la sfida per eccellenza per i navigatori in solitaria.
La prima edizione della gara si tenne a cavallo fra il 1989 e il 1990, e fu vinta da Titouan Lamazou; Jeantot stesso vi prese parte, classificandosi al quarto posto . L'edizione successiva fu quella del 1992-93; da allora si è regolarmente svolta ogni quattro anni.
Le Barche
La gara è aperta a ogni imbarcazione a scafo singolo conforme ai parametri della classe OPEN 60 (prima del 2004, la competizione era estesa anche agli Open 50). Alcune peculiarità dell'imbarcazione sono lasciate alla discrezione del partecipante, ma un pacchetto di regole limita o impone parametri riguardanti lunghezza, pescaggio, stabilità e appendici, oltre a una serie di numerose norme legate alla sicurezza.
LA ROTTA DEI CLIPPERS
La Gara
La gara inizia e finisce a Les Sables-d'Olonne, nel dipartimento francese di Vendèe. Sia Les Sables d'Olonne che il Vendée Conseil Général sono sponsor ufficiali della competizione. Il tragitto è sostanzialmente una circumnavigazione lungo la clippers route: da Les Sables-d'Olonne, giù per l'Oceano Atlantico al Capo di Buona Speranza, dopo di che si procede in senso orario attorno all'Atartide, lasciando a sinistra Cape Leeuwin e Capo Horn, infine di nuovo verso Les Sables d'Olonne. La gara generalmente dura da Novembre a Febbraio: è studiata in modo che i partecipanti possano affrontare i Mari Antartici durante l'estate australe.
Ulteriori punti di navigazione obbligatori possono essere imposti in aggiunta al regolamento per una particolare edizione, al fine di garantire la sicurezza dei partecipanti in merito per esempio alle mutevoli condizioni dei ghiacci. Nell'edizione 2004, ai partecipanti fu chiesto di tenersi a nord dei seguenti punti di riferimento:
· un passaggio situato a sud del Sudafrica , a 44 ° Sud, tra 005 ° e 014 ° Est
· un passaggio a sud ovest dell'Australia, a 47° Sud, tra 103° Est e 113° Est
· un passaggio a sud est dell'Australia, fra 52° Sud, tra 136° Est e 147° Est
· un passaggio nell'Oceano Pacifico, a 55° Sud, tra 160° Ovest e 149° Ovest
· un passaggio nell'Oceano Pacifico, a 55° Sud, tra 126° Ovest e 115° Ovest
Ai concorrenti è concesso star fermi all'ancora, ma non accostarsi a una banchina o un'altra imbarcazione; essi non possono ricevere assistenza esterna, comprese previsioni meteo personalizzate o informazioni sulla rotta. L'unica eccezione è che un concorrente che ha un problema iniziale può tornare alla partenza per le riparazioni, purché sia in grado di riprendere la gara entro 10 giorni dalla data in cui la competizione ha avuto ufficialmente inizio. La gara si caratterizza come una serie di sfide di rilievo, in particolar modo per le impegnative condizioni di vento e onda nei Mari Antartici, la notevole durata di una corsa senza assistenza, e il fatto che la rotta spinga spesso i concorrenti lontano dalla portata di qualsiasi normale risposta in caso di emergenza. Di norma, una significativa percentuale di iscritti è costretta al ritiro, e nell'edizione 1996-97 il velista canadese Gerry Roufs è scomparso in mare. Per contenere i rischi, ai concorrenti è richiesta l'idoneità a corsi di sopravvivenza e pronto soccorso. Devono altresì fornire prove attendibili di una solida esperienza acquisita in materia di navigazione, e queste consistono in due possibilità: o la partecipazione a una precedente competizione transoceanica in solitaria, oppure, naturalmente, aver preso parte a una passata edizione dello stesso Vendée Globe e averla portata a termine per intero. Per regolamento, il passaggio di qualificazione deve essere stato effettuato con la stessa imbarcazione che gareggerà; in alternativa il concorrente dovrà sottoporsi, con la barca che gareggerà, a un ulteriore passaggio transoceanico di osservazione, non inferiore alle 2.500 miglia e da percorrersi a una velocità media di almeno sette nodi (circa 13 km/h). Dal momento che le gare transoceaniche in genere sottostanno a rigidi criteri di idoneità, si ritiene che ogni iscritto al Vendèe abbia accumulato una sufficiente competenza in merito.
I VINCITORI delle varie edizioni:
1989-1990 - Titouan Lamazou – Francia – 109 gg 08 h 48’
1992-1993 - Alain Gautier - Francia – 110 gg 02 h 22’
1996-1997 – Christophe Auguin - Francia - 105 gg 20 h 31’
2000-2001 - Michel Desjoyeaux Francia - 93 gg 3 h 57’
2004-2005 - Vincent Riou - Francia - 87 gg 10 h 48’
2008-2009 - Michel Desjoyeaux – Francia - 84 gg 3 h 9’
2012-2013 - François Gabart - Francia - 78 gg 2 h 16’
Il fascino della vela
Vittorio Malingri è l'unico italiano ad aver fatto e quasi completato il Vendée Globe, giro del mondo in solitario, con una barca progettata e costruita da solo. Vittorio “Ugo” Malingri, skipper, figlio di Franco, navigatore e progettista, e nipote di Doi, apripista della vela oceanica in Italia. Vittorio (19 maggio, 1961), naviga da quando ha cinque anni. A diciassette anni ha fatto il giro del mondo con la famiglia e, come ama ripetere, da allora “non è mai più tornato”. Ha vissuto sempre a bordo delle sue barche a Cuba, Bahamas, Francia, Panama, Grecia. Non ha mai tenuto il conto delle miglia percorse, anche se si dice che siano attorno alle 400mila. Pragmatico e insieme sognatore, anticonformista, ama la natura selvaggia in tutte le sue forme, non solo quella marina, ed è sempre alla ricerca di una nuova sfida o di una nuova impresa da compiere.
Vero e proprio “maestro di mare”, tra un’avventura nautica e una terrestre, Vittorio ha sempre tenuto su tutte le sue barche - Huck Finn, Moana 60’, Elmo’s Fire, Time of Wonder e sull’ultima Huck Finn II - corsi di scuola di vela d’altura “Ocean Experience”, ai quali hanno preso parte negli anni oltre un migliaio di allievi. Ha una grande famiglia allargata di cui va molto fiero e che forma da sola un gran bell’equipaggio. Ma la sua crew preferita è quella composta dai figli: Manuele (26), Nico (24), Nina (12) e Mila (6).
CARLO GATTI
Rapallo, 15 Febbraio 2017
RICORDO DI ANGELO BELLONI
RICORDO DI ANGELO BELLONI
'Uomini d'acciaio'
Rivierasco d’adozione, scelse Lavagna come dimora e “pensatoio”....
La Spezia - Prosegue, nell’ambito della mostra “Uomini d’Acciaio 1900-1920. La Spezia tra sogno e divenire”, il ciclo di conferenze tematiche dedicate ai personaggi illustri selezionati per l’esposizione.
Dopo Augusto Magli e Raffaele Rossetti, è la volta dunque di Angelo Belloni, poliedrica e geniale figura del nostro Novecento. A presentare il personaggio è la Fondazione Fincantieri, che ha raccolto parte dell’eredità lasciata da Belloni grazie all’attività di recupero e salvaguardia del patrimonio archivistico condotta dall’Archivio Storico del Muggiano.
La conferenza dal titolo “Angelo Belloni spirito del ferro e dell’acciaio” si terrà il 22 gennaio 2016 alle 17 presso l’auditorium del Camec (P.zza C. Battisti, 1 La Spezia) e sarà introdotta dai saluti di Roberto Alinghieri, presidente dell’Istituzione per i Servizi Culturali, e di Mauro Martinenzi, direttore della Fondazione Fincantieri.
Faranno seguito due interventi scientifici, il primo dedicato alla situazione sociale e politica del territorio nazionale alla vigilia dell’entrata in guerra, contributo dell’Avvocato Giovanni Pardi, dal titolo “L’Italia all’avvio della Grande Guerra”; il secondo di Gianpaolo Trucco, Capo Nucleo Pubblica Informazione di Comsubin dal titolo “Angelo Belloni: una vita per il mare” che esplorerà gli aspetti più creativi e avventurosi del genio Belloni.
In conclusione la testimonianza dei nipoti di Belloni, Niccolò e Angelo, che attraverso alcuni ricordi intimi e familiari, racconteranno le vita e le gesta del nonno.
Angelo Belloni é stato definito: Ufficiale di marina, sommergibilista, progettista e sperimentatore d’innovative apparecchiature navali. Angelo Belloni può essere considerato uno dei padri dei mezzi subacquei e del loro impiego in accoppiata con gli incursori della Marina. Tra i tanti personaggi ospitati nel Tigullio, A. Belloni fu il più poliedrico, eclettico e geniale. Da sommozzatore, inventò la tuta da palombaro, fu esploratore ed inventore ai limiti del fantascientifico, fu militare spavaldo ed infine dedicò molte energie come precursore dell’energia pulita e delle odierne forme di turismo...
ANGELO BELLONI tuttavia, compare raramente nella storiografia ufficiale italiana eppure, come vedremo, meriterebbe per il suo valore di essere conosciuto almeno dalla gente della “sua” Riviera, dove questo affascinante personaggio visse, progettò, sperimentò gran parte delle sue importanti invenzioni. Nacque a Pavia nel 1882, ma scelse la Liguria come regione d’adozione. Trascorse gli ultimi 11 anni della sua vita a Lavagna, dove visse nel Castello Frugone. Morì in un incidente stradale a Genova nel 1957.
Angelo Belloni fu amico e ammiratore di Gabriele D’Annunzio dal quale trasse sicuramente ispirazione per le sue imprese esemplari per amor patrio e grande coraggio. Tuttavia, il nostro eroe rivierasco, al contrario del Vate che fu il precursore della pubblicità in grande stile, fu un uomo che scelse fin dall’inizio della sua carriera la difficile missione delle “operazioni segrete”, i cosiddetti “colpi di mano”, applicandosi anima e corpo allo studio di armi innovative in previsione di renderle efficaci nelle fasi di pericolo per la Patria.
La VASCA BELLONI
Dopo aver concepito nei primi anni del '900 la “Vasca Belloni”, il "Cappuccio Belloni", gli autorespiratori e le tute da salvataggio, l'inventiva di Belloni si scatenò una volta giunto a nella riviera ligure. Quel che salta subito agli occhi scorrendo l'elenco delle sue invenzioni è l'incredibile anticipo con cui si dedicò alla ricerca di un'energia pulita, pura e teoricamente inesauribile. Fu così che propose al primo cittadino di Lavagna - anche con una certa insistenza, ammette con un sorriso il figlio Emanuele - un meccanismo chiamato “ondopompa”, studiato per catturare l'energia sprigionata dalle onde e tramutarla in corrente elettrica. Progettò poi un impianto per la produzione di energia elettrica attraverso il calore solare (in pratica un'anticipazione dei moderni pannelli solari) e ancora un distillatore solare la cui alimentazione avveniva anche grazie all'acqua stessa che veniva distillata. La ricerca del moto perpetuo, era questo che lo muoveva e che lo portò a brevettare molte delle sue invenzioni, tanto che la Pirelli, con i proventi forniti per l'utilizzo dei suoi progetti, gli garantì una vita tranquilla sulla spiaggia lavagnese. Del progetto di un ostello della gioventù galleggiante con tanto di box per le Vespa. Aprirsi al mondo! È questo che fece la famiglia Belloni una volta arrivata nel Castello Frugone di Cavi di Lavagna quando nel 1946 decise di aprirvi uno dei pochi Alberghi Italiani della Gioventù. Un'idea che mise in contatto la numerosa famiglia di Belloni, in particolare i suoi sette figli, con il resto del mondo. Belloni provò a tramutare questa iniziativa in un'incredibile invenzione, progettando la prima darsena galleggiante, un ostello galleggiante completamente autosufficiente dal punto di vista energetico e fornito addirittura di un box per Vespa. Un'idea che rimarrà tale perché nel '57 la sorte giocò un brutto scherzo ad Angelo Belloni. Un personaggio unico, che nella propria vita aveva affrontato avventure pericolose, era sopravvissuto ad incidenti terribili durante le sue sperimentazioni e alle due guerre mondiali, ma che morì travolto da un tram a Genova, proprio mentre si recava ad un convegno di sommozzatori”.
Acceso interventista durante la fase della neutralità italiana, il 4 ottobre 1914 compie un vero e proprio “atto di pirateria” impossessandosi – assieme ad una quindicina di marinai convinti di partecipare ad una missione segreta – di un sommergibile costiero costruito nei cantieri navali del Muggiano e destinato alla Marina russa (l’unità era contraddistinta solo dalla sigla di costruzione, F-43, se fosse stata consegnata avrebbe avuto il nome di Svyatoi Georgjy; sarebbe poi stato requisito dalla Regia Marina e iscritto al quadro del naviglio militare con il nome di ARGONAUTA).
Una rara immagine dell’ARGONAUTA in navigazione
LA CATTURA DEL SOTTOMARINO RUSSO FU UN VERO E PROPRIO ATTO DI PIRATERIA!
L’idea di Angelo Belloni era quella di attaccare unità della Marina austro-ungarica costringendo così l’Italia ad entrare in guerra. Il tentativo fallì, anche perché Belloni si recò prima in Corsica per rifornirsi di siluri e cercare l’appoggio della Marina francese, che, sentite le autorità italiane, bloccò il battello ad Ajaccio. Messo agli arresti, Belloni fu processato con l’accusa di “furto di sommergibile” e altre dodici imputazioni. In tempi normali sarebbe stato condannato, ma l’entrata in guerra dell’Italia e le sue indubbie capacità convinsero i giudici del tribunale militare ad assolverlo con formula piena. All’entrata in guerra dell’Italia, gli alti gradi della Marina dimenticarono i suoi difetti d’udito e lo richiamarono in servizio con il grado di sottotenente di vascello. Convinto dell’importanza del “sommergibile” e delle potenzialità militari insite nelle attrezzature subacquee, divenne ben presto sostenitore dell’arma sottomarina, tanto da essere destinato alla nuova specialità.
Il giornalista Simone Parma rievoca così l’impresa più famosa di Angelo Belloni, di quando rubò un sottomarino...
“Essere interventista fu sicuramente una di quelle cose rimaste cucite addosso a Belloni. Amico di D'Annunzio e dipendente della Fiat San Giorgio al cantiere del Muggiano di La Spezia, decise che era il momento di agire. Così ai primi di Ottobre del 1914, dovendosi occupare della consegna di un nuovo sommergibile alla Russia pensò bene di dirottarlo segretamente verso i porti austriaci dell'Adriatico con l'intento di affondare la flotta dell'impero e innescare la guerra con grande vantaggio italiano. Un'idea di cui erano all'oscuro persino i membri dell'equipaggio! Nessuno però, né i russi, né i francesi ne appoggiò l'avventura e il “comandante-pirata” dovette far rotta su Nizza dove si rifugiò in attesa di tempi migliori per ritornare in patria. Fu processato due mesi dopo con il singolare (e probabilmente unico) capo di imputazione di “furto di sommergibile”, ma venne assolto anche grazie al cambio di posizione dei giudici del Regno D'Italia, che nel frattempo era entrato in guerra. Se la cavò così con una semplice sgridata del patron della FIAT Giovanni Agnelli senior che lo ammonì così: «Ti sei comportato da cattivo impiegato!». Il sommergibile commerciale, la pesca delle perle e il telegramma dal Mar Rosso Dopo la Prima Guerra Mondiale Belloni non rimase con le mani in mano e acquistò il sommergibile “Ferraris”, ormai disarmato, per gettarsi in una nuova avventura: andare a pesca di perle nel Mar Rosso. Nel frattempo però lo stravagante inventore aveva incontrato l'amore della sua vita, Gabriella, la figlia del Senatore Vinassa de Regny, della quale chiese la mano con un telegramma inviato proprio dal suo sommergibile nel Mar Rosso! Il senatore non poté che apprezzare l'iniziativa e avallò le nozze dei due.”
Il sommergibile GALILEO FERRARIS
Belloni è ricordato anche per aver dato vita al Corpo degli Incursori Subacquei. Il 27 novembre 1917, mentre stava tornando alla base dopo una missione, il sommergibile Galileo Ferraris si incagliò un paio di miglia a settentrione della foce del Po di Gnocca. Una volta trainato a La Spezia, valutati i danni, si decise di procedere al disarmo del mezzo. Belloni, tuttavia, riuscì a convincere i vertici della Marina a utilizzare il sommergibile come mezzo “avvicinatore” degli incursori. Così nel febbraio 1919 il Ferraris, al comando di Belloni, iniziò una serie di prove nelle acque comprese tra La Spezia e Palmaria. Esaurite le risorse economiche a disposizione, la Regia Marina radiò il sommergibile il 15 dicembre 1919. Nel 1920, primo e unico caso della Marina italiana, il Belloni acquistò per centomila lire (dell’epoca!) il Galileo Ferraris, che fu classificato “sommergibile da commercio”. Con il Ferraris, Belloni ottenne dalla Regia Marina in affitto, con facoltà di acquisto, anche due vedette, il Cerboli, da 280 tonnellate e il Fortunale da 340, immatricolate come piropescherecci. Entrambe queste unità avrebbero dovuto svolgere il ruolo di unità d’appoggio al sommergibile nella nuova attività che il Belloni intendeva intraprendere, quella della ricerca di banchi perliferi e di pesca delle perle nel Mar Rosso. La sua intenzione prevedeva che il Ferraris si appoggiasse sul fondo, consentendo ad alcuni membri dell’equipaggio, con indosso una sorta di guaina di tessuto gommato ed impermeabile, dotata di cappuccio con oculari (quella che fu poi chiamato “vestito Belloni”) di uscire dallo scafo tramite un compartimento stagno e, camminando sul fondo, identificare i banchi perliferi. Ma l’ostilità dei pescatori, la scarsità dei banchi e la cattiva qualità delle perle, convinsero Belloni ad abbandonare il progetto. Decise quindi di impiegare il Ferraris nel recupero dei relitti e a tale scopo ottenne in prestito dalla Regia Marina un pontone e due vedette. Ma anche questa iniziativa non sortì grande successo: alla metà del 1921 il sommergibile venne parzialmente demolito per far fronte alle spese.
Il sommergibile GONDAR con due SLC (siluri a lenta corsa) alloggiati sul ponte di coperta.
Nella Seconda guerra mondiale, con il perfezionamento tecnico dei mezzi, si giunse ad eclatanti successi come quello della Baia di Suda (25-26 marzo 1941, a cui partecipò un altro pavese Angelo Cabrini) e all’impresa di Alessandria d’Egitto del 19 dicembre 1941, che privò per un lungo periodo la Royal Navy delle sue navi da battaglia nel Mediterraneo. Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 la X Flottiglia Mas, sotto il comando di Junio Valerio Borghese (1906-1974), rimase in gran parte bloccata a La Spezia, dove si riorganizzò in corpo franco, poi entrato nella Marina Nazionale Repubblicana. Gli elementi rimasti al sud, assieme a numerosi prigionieri rilasciati dai campi di prigionia alleati, riorganizzarono l’unità con il nuovo nome di “Mariassalto”, di base a Taranto e comandata dal capitano di fregata Ernesto Forza (1900-1975). Questa unità partecipò ad azioni al fianco delle unità alleate, come quella effettuata nella notte del 21 giugno 1944 nel porto di La Spezia che portò all’affondamento dell’incrociatore pesante Bolzano, ultimo superstite della sua classe, e all’ulteriore danneggiamento dell’incrociatore Gorizia, già in riparazione per i danni subiti in un bombardamento. In questo gruppo era inquadrato anche il reparto NP (Nuotatori Paracadutisti) del reggimento San Marco, che effettuò numerose operazioni d’infiltrazione dietro le linee nemiche, sbarcando da MAS italiani o da sommergibili. I Nuotatori Paracadutisti furono il primo reparto alleato ad entrare in Venezia il 30 aprile 1945. Nel 1954 il gruppo fu ricostituito con il nome di Comsubin (Comando Subacqueo Incursori), con base al Varignano di La Spezia).
Un operatore Gamma della X^ MAS indossa l’autorespiratore ad ossigeno di cui Angelo Belloni fu co-progettista.
Esisteva, all'epoca, un autorespiratore ad ossigeno a ciclo chiuso, chiamato maschera "Davis", che veniva utilizzato per le fuoriuscite dell'equipaggio da sommergibili in avaria. Tale autorespiratore, che aveva causato diversi incidenti (incidenti che avevano scosso la fiducia nell'uso dell'apparecchio stesso da parte del personale sommergibilista), aveva una scarsa autonomia e un'ancora più scarsa affidabilità.
A questi problemi lavorava il comandante Angelo Belloni, in servizio nel 1940 alla Direzione dei corsi e alla consulenza tecnica di una "Scuola Sommozzatori" istituita a Livorno. Questi, con l'aiuto dell’eroe Teseo Tesei, portò l'autonomia dell'autorespiratore da venti minuti a qualche ora (lo stesso Tesei rimase per tre ore e un quarto in immersione per testarlo) e soprattutto lo rese più affidabile: nel luglio 1936 venne approvato l'autorespiratore a lunga autonomia 49/bis.
Teseo Tesei vide nell'autorespiratore a ciclo chiuso il congegno che avrebbe dato nuova importanza al tipo di operazione che, nella prima guerra mondiale, Rossetti e Paolucci avevano, con successo, condotto contro la Viribus Unitis nel corso dell'Impresa di Pola. Egli pensò che, ora che l'uomo poteva andare sott'acqua, sott'acqua doveva portare la "Mignatta".
Dal http://www.difesa.it/ Riportiamo:
Il Raggruppamento Subacquei ed Incursori "Teseo Tesei" (COMSUBIN)
Il Comando militare il cui acronimo è tra i più conosciti al mondo è COM.SUB.IN., il Raggruppamento Subacquei ed Incursori della Marina Militari. Costituito il 15 febbraio 1960 nella sua organizzazione attuale, per volontà dell'ammiraglio Gino Birindelli (Medaglia d'Oro al Valor Militare per l'operazione BG2 condotta con i Mezzi di Assalto della Marina durante la 2° guerra mondiale) è stato intitolato alla memoria Maggiore del Genio NavaleTeseo Tesei, anch'egli Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria.
Oggi Comsubin è retto da un Ufficiale Ammiraglio dal quale dipendono:
• il Gruppo Operativo Incursori (G.O.I.), che costituisce l'unico reparto di Forze Speciali della Marina Militare erede degli uomini dei Mezzi di Assalto della Marina;
• il Gruppo Operativo Subacquei (G.O.S.), il reparto alle cui dipendenze sono posti i Palombari, gli operatori subacquei con le capacità d'immersione più spinte frutto di una tradizione residente in Marina da oltre 160 anni;
• l'Ufficio Studi, il cuore pulsante dello sviluppo tecnologico dei materiali e mezzi utilizzati dagli uomini dei Gruppi Operativi
• il Gruppo Scuole, suddiviso nelle scuole Subacquei, Incursori e di Medicina Subacquea ed Iperbarica, che oltre a selezionare e formare i nuovi Palombari, Incursori, Medici ed Infermieri, ha il compito di addestrare gli operatori subacquei di tutte le Forze Armate e Corpi di Polizia dello Stato;
• il Gruppo Navale Speciale, alle cui dipendenze sono poste tre Unità Navali (Aneto, Pedretti e Marino) che sono state progettate per fornire il supporto subacqueo al personale dei Gruppi Operativi e delle Scuole di Comsubin;
• il Quartier Generale del Raggruppamento, che assicura i servizi ed il mantenimento dell'efficienza del Comando al fine di consentire ai Gruppi sopra indicati di assolvere alla loro missione.
Il Comsubin ha sede nell'antica fortezza del Varignano la cui realizzazione si deve al Magistrato di Sanità della Repubblica Genovese che nel 1656 deliberò la costruzione di un grande Lazzaretto da erigersi sul tale promontorio. Successivamente con l'avvento di Napoleone, il Golfo della Spezia veniva dichiarato Porto Militare ed il Lazzaretto passò al servizio della Marina da Guerra francese (11 maggio 1808). Lì vi si installò la sede del Comando Militare del golfo e della guarnigione ed iniziarono gli studi per edificarvi un grandioso arsenale marittimo. Al termine dell'epoca napoleonica il Varignano passò prima sotto il Regno di Sardegna e, successivamente, sotto quello d'Italia divenendo celebre per aver ospitato nel 1862 il Generale Giuseppe Garibaldi. Nel 1888 terminava la funzione sanitaria delle strutture del Lazzaretto per assumere quella di Comando della Difesa Marittima locale e, successivamente, di Scuola del Corpo Reali Equipaggi di Marina per le categoria Torpedinieri e Radiotelegrafisti. Il Varignano è diventata la sede dei Palombari dal 1910, quando la Scuola Palombari sorta a Genova il 24 luglio 1849 vi venne trasferita, e degli Incursori dal 1952, quando venne costituita tale categoria dall'esperienza acquisita dai Mezzi di Assalto della Marina durante il secondo conflitto mondiale. Propulsore di quella che sarà l'epopea dei Mezzi d'Assalto italiani sarà il Maggiore del Genio Navale Teseo Tesei. Grazie alla considerevole esperienza nel settore subacqueo che la Marina possedeva già da oltre 80 anni, il Maggiore Tesei, unitamente al Maggiore Elios Toschi, idearono il "Siluro a Lenta Corsa" (S.L.C.) che fu immediatamente ribattezzato col termine "maiale" dallo spirito toscano di Tesei. Si trattava di un mezzo subacqueo che trasportava una carica esplosiva da oltre 200 Kg, in grado di muoversi sottacqua su brevi distanze, portando due operatori subacquei fin sotto le navi nemiche.
Nel 1938 presso il I° Gruppo Sommergibili si costituì così il Comando dei Mezzi d'Assalto, assumendo il nominativo di copertura I^ Flottiglia MAS, che venne cambiato in X^ Flottiglia MAS nel 1940.
Nel settembre di quell'anno venne istituita la prima Scuola Sommozzatori presso il porticciolo di San Leopoldo dell'Accademia Navale di Livorno che fu realizzata ed avviata da Angelo Belloni. In questa scuola vennero accentrati ufficiali e sottufficiali provenienti da tutte le categorie per essere addestrati all'uso dei primi autorespiratori ad ossigeno, inventati dal Belloni stesso. Lì venivano individuate le peculiarità dei singoli subacquei che determinavano la loro assegnazione al gruppo degli uomini Gamma oppure a quello dei Siluri a Lenta Corsa.
In particolare, coloro che avrebbero dovuto specializzarsi all'uso degli SLC venivano inviati nella base di Bocca di Serchio, sita in un luogo isolato di proprietà della famiglia Salviati, dove in gran segreto si addestravano per poter condurre le eroiche imprese che fecero scalpore in tutto il mondo.
Complessivamente, nel corso della seconda guerra mondiale (dal 10 giugno 1940 all'8 settembre 1943), gli uomini dei Mezzi d'Assalto della Regia Marina affondarono o danneggiarono gravemente naviglio da guerra per 72.190 tonnellate e naviglio mercantile per un totale di 130.572 tonnellate. Le prede più significative furono le corazzate Valiant e Quenn Elisabeth, colpite nella rada di Alessandria nella notte tra il 18 ed il 19 Dicembre 1941.
In riconoscimento del valore dimostrato dagli "Uomini dei mezzi d'assalto" della Marina Militare sono state assegnate:
la Medaglia d'Oro al Valor Militare allo stendardo della X^ Flottiglia MAS e successivamente alla bandiera del Raggruppamento Subacquei ed Incursori della Marina Militare;
33 Medaglie d'Oro, 104 Medaglie d'Argento, 33 Medaglie di Bronzo al Valore Militare al personale dei "Mezzi d'Assalto" della Marina Militare (alla memoria o ai viventi).
Gli incursori della Marina oggi.
Seppur con notevole ritardo, le idee di Belloni propagandate fin dal 1914 in convegni e scritti, si fecero largo. Numerose le sue invenzioni, poi brevettate: come la “vasca” per le uscite di salvataggio dai sommergibili, il salvagente a cappuccio, il cappuccio a respiratore subacqueo, migliorie ai boccaporti di accesso ai sommergibili, la segnalazione ottica a distanza tra le navi. La sua fama di abile tecnico era così nota che nel 1940, nonostante avesse ormai 58 anni, la Regia Marina lo richiamò in servizio affidandogli la direzione della scuola per l’addestramento degli operatori subacquei del VARIGNANO. Insieme al maggiore del genio navale Teseo Tesei (1909-1941), gettò le basi della X Flottiglia Mas. Senza Belloni, le sue invenzioni e la sua insistenza nell’allestire la scuola sommozzatori, le coraggiose imprese compiute dagli operatori della X Mas, non sarebbero state possibili. L’idea originale di Belloni di impiegare dei guastatori subacquei che, fuoriuscendo da un sommergibile, potessero camminare sul fondo trasportando sulle spalle una carica esplosiva da collocare poi sotto le carene delle navi nemiche era stata, infatti, modificata, prevedendo di utilizzare nuotatori subacquei che, sempre uscendo da un sommergibile immerso o da appositi vani ricavati nella carena di una nave riuscissero ad avvicinarsi agli obiettivi e ad agganciare dei bauletti esplosivi alle alette antirollio delle navi nemiche. L’attacco alle navi inglesi prevedeva l’utilizzo dei siluri SLC (conosciuti come “maiali”) che venivano modificati per utilizzarli come moto subacquee. Il Varignano fu Scuola e Arena di grandi operatori subacquei, incursori ed eroi che riuscirono ad affondare e a danneggiare, grazie al loro coraggio, 72.000 tonnellate di naviglio da guerra e 130.000 di naviglio mercantile. Per questo pugno di uomini il nemico nutrì sempre la più grande ammirazione e non poca “invidia”, come più volte ammise lo stesso Churchill.
Preghiera dell'Assaltatore
“Prego bensì che l’una e l’altra cosa,
la vittoria e il ritorno, Tu conceda,
ma se una cosa sola, o Dio, darai, la vittoria concedi sola”
La dedizione di Angelo Belloni alla M.M. fu totale e questo spiega come tuttora il suo nome sia un mito, proprio al Varignano ed in pochi altri ambienti molto “riservati” della Marina ma che, incredibilmente, il suo nome sia quasi sconosciuto altrove.
Al termine della guerra Belloni collaborò con gli alleati allo sminamento di alcuni porti italiani, fino al momento in cui fu congedato dalla Marina con il grado di capitano di corvetta. Continuò quindi la collaborazione con la Pirelli, che aveva rilevato i suoi principali brevetti, e grazie ai diritti d’invenzione poté vivere dignitosamente e rivolgere le sue attenzioni, con oltre mezzo secolo d’anticipo, alle fonti di energia legate al mare e al sole, progettando una centrale ondo-idroelettrica, una centrale turboelettrica sottomarina e un distillatore d’acqua marina azionato dal sole. Trascorse gli ultimi undici anni della sua vita nel castello Frugone di Cavi di Lavagna. Morì il 9 marzo 1957, a Genova, travolto da un tram mentre si dirigeva a un convegno di sommozzatori.
Qui sotto riportiamo un interessante passaggio Tratto da CORFOLE! del 3/2015.
“Il dimenticatoio politico: il militare davanti all'inventore. Anche se non fu impegnato direttamente in azioni belliche, il passato da militare fascista non ha permesso alla figura di Belloni di essere ricordata a dovere. È con un po' di nostalgia che il figlio Emanuele Belloni e il nipote Manfredi Vinassa de Regny ammettono che l'amministrazione di Lavagna ha sempre evitato di onorare la memoria del loro stravagante e geniale avo, nonostante le iniziative e la petizione del CIV di Cavi di Lavagna.
Il trasferimento a Lavagna alla ricerca del moto perpetuo e dell’energia pulita. Dopo aver collaborato ed essersi successivamente arruolato volontario durante il secondo conflitto mondiale con la Xª Flottiglia MAS, l'unità speciale della Regia Marina Italiana e poi della Repubblica Sociale Italiana, fu catturato insieme alla famiglia dai partigiani a Venezia e venne relegato in una piccola isola all'interno della laguna. Nel 1946 arrivò per la famiglia Belloni l'occasione di trasferirsi a Cavi di Lavagna, più precisamente nel Castello Frugone, che da lì in poi diverrà il laboratorio di idee dell'inventore Belloni.
Quel che è certo è che l'incredibile ingegno dell'ospite del Castello Frugone rimarrà in eredità a tutti noi e, chissà, magari verrà ricordato proprio a bordo uno di quegli ostelli acquatici che con così tanta passione aveva progettato nei lontani anni '50.
LA BIOGRAFIA INTEGRALE DI ANGELO BELLONI
Angelo Belloni nasce il 4 marzo del 1882 a Pavia. Il padre Cesare, è un agente di cambio, la madre, Aurelia Rossi della Volta, proviene da una famiglia di notabili di Genova. Alunno volenteroso e capace, frequenta a Pavia e Vigevano le scuole elementari. Gli studi superiori lo portano al Liceo Beccaria di Milano, dove è licenziato con onore nel giugno 1899. Brillante in molte materie, si distingue soprattutto in fisica. A diciassette anni prova ad entrare all’Accademia Navale di Livorno, ma viene scartato per insufficienza toracica. Si iscrive, così, al primo di anno di matematica presso il Collegio Ghislieri di Pavia e, per sviluppare i suoi muscoli, si sottopone ad un duro e costante allenamento di voga, presso la Società Canottieri del Ticino. Dopo solo un anno, tornato a Livorno, il 1 agosto 1900 viene finalmente ammesso al 1° anno dell’Accademia Navale, distinguendosi tra i primi allievi del suo corso. Nel 1903 è promosso Guardiamarina, ma si manifestano in lui i sintomi di una sordità incipiente, conseguenza di problemi alle orecchie da cui è affetto sin da bambino. Il suo primo imbarco sull’incrociatore Marco Polo nel 1904 lo porta in Estremo oriente. Con l’Elba arriva a Shangai e sulla Puglia raggiunge la Corea e il Giappone. A Chemulpo, in Corea, il recupero dell’incrociatore russo Variag costituisce il suo debutto in materia subacquea. A Shangai, forte della sua esperienza di canottiere, allena una squadra di 14 uomini portandola alla vittoria in una regata contro i soldati americani imbarcati sull’Oregon. Rientrato in patria dal 1905 è imbarcato sulle navi Morosini, Saint Bon e Benedetto Brin. Nel 1909 studia e brevetta il primo congegno di punteria a linea di mira indipendente e nel 1910 viene mandato prima a Brindisi e poi all’Officina Siluri di San Bartolomeo della Spezia. Aggregato alla missione di Collaudo dei nuovi siluri Whitehead ad aria calda, è inviato a Fiume, dove accosta studenti irredentisti, italiani e slavi, appassionandosi ardentemente alla loro causa. Avviato ad una brillante carriera tecnica e militare, viene ostacolato dai suoi problemi di sordità e, il 16 settembre del 1911, collocato in congedo provvisorio. Entra così in contatto con la Fiat San Giorgio, presso il cantiere del Muggiano alla Spezia, dove viene assunto nel 1911, con l’incarico di responsabile per i collaudi dei sommergibili. Per conto del cantiere, nel maggio 1914, si reca a Rio De Janeiro per consegnare tre sommergibili di tipo F (F1, F3 e F5) alla Marina brasiliana, dove lo coglie lo scoppio della Grande Guerra. Mal sopportando la neutralità italiana, aderisce con fervore alle idee interventiste, vedendo nel conflitto un’occasione per recuperare le terre “irredente”. Intuisce da subito le grandi potenzialità dell’impiego insidioso” dei sommergibili: un attacco alla flotta austriaca con tali mezzi, non solo porterebbe l’Italia a capovolgere le proprie alleanze con l’Austria, ma anche ad entrare nel conflitto dal quale si era tenuta fuori. E’ con l’animo pieno di fervore patriottico, dunque, che una volta rientrato al Muggiano ed incaricato del collaudo del sommergibile F43 (costruito per la Russia), decide di trafugare il mezzo, per tentare autonomamente l’attacco alla flotta Austro Ungarica, a Pola. Il 4 ottobre 2014, con un equipaggio ignaro dei suoi veri propositi, lascia il cantiere del Muggiano dirigendosi verso Ajaccio. La sua idea è quella di portare il mezzo nel porto belligerante più vicino, chiedere ai francesi il permesso di proseguire per Malta per imbarcare alcuni siluri e, dopo essersi accordato con i russi, tornare in Alto Adriatico e attaccare l’Austria. Ad Ajaccio i francesi gli permettono di proseguire il suo viaggio verso Malta, ma il trasferimento verso l’isola dura un solo giorno perché a causa del mare grosso e dei problemi con l’equipaggio è costretto a rientrare in Corsica. Qui, le autorità Francesi, temendo ripercussioni dallo stato italiano, requisiscono il sommergibile, ponendo fine sul nascere alla sua avventura. Messo agli arresti, nel dicembre 1914, viene processato per “furto di sommergibile” e altre 12 imputazioni. Il 27 febbraio 1915 viene assolto “perché il fatto non costituiva reato” e dopo pochi giorni richiamato in servizio, assegnato alla flottiglia sommergibili di Venezia, città dove ha inizio anche la sua amicizia con D’Annunzio. Durante la Grande Guerra Belloni partecipa ad innumerevoli missioni, avviando un periodo di sperimentazioni, con l’addestramento di sommozzatori autonomi, non più legati alla nave, dando vita al corpo degli incursori subacquei. Nel 1920 prende in affitto il sommergibile Galileo Ferraris, per dedicarsi alla pesca delle perle nel Mar Rosso; impresa audace e innovativa, interrotta nel 1921 per mancanza di fondi. Il viaggio è l’occasione per festeggiare le nozze con Gabriella Vinassa de Régny, con la quale avrà negli anni ben 7 figli. Rientrato in Italia Belloni riprende lo studio e le sperimentazioni dei mezzi e delle attrezzature subacquee. Partecipa a missioni di guerra nelle zone non smobilitate nell’Alto Adriatico, entrando a far parte della Divisione Sommergibili. Nel 1928 crea la “vasca” e il “cappuccio” Belloni, invenzioni straordinarie, che sperimenterà negli anni successivi, destinate a passare alla storia poiché cambieranno completamente il modo di affrontare il mondo sottomarino. Nel 1935, per diretto intervento di Mussolini e del Duca Amedeo d’Aosta, fonda la Scuola Sommozzatori; tra i primi allievi: Tesei, Dorello e Sirrentino. Il 29 agosto 1940 viene richiamato in servizio dal Congedo Assoluto, come 1° T.V. e Consulente Tecnico della Ia Flottiglia MAS, poi rinominata Xa, per creare e dirigere la prima “Scuola Palombari e Sommozzatori” a S. Leopoldo, Accademia Navale di Livorno. Gli anni del Secondo conflitto mondiale lo vedono impegnato tra addestramento e sperimentazioni, nell’ambito delle operazioni subacquee dei “maiali”. L’8 settembre 1943, restando fedele al Com.te Junio Valerio Borghese, aderisce alla repubblica Sociale, assumendo il ruolo di Consulente Tecnico e Comandante della Squadriglia di tre piccoli sommergibili “C A”. Il 10 marzo 1945 ottiene da Borghese di riprendere servizio presso il Nucleo Sommozzatori “Bocca Serchio” a Sant’Andrea (Venezia). Di lì a poco gli eventi modificheranno radicalmente il corso della storia d’Italia: la guerra finisce, Belloni viene arrestato dai partigiani e rinchiuso nel carcere di S. Maria Maggiore, con molti altri della Xa Flottiglia Mas. L’arrivo degli alleati cambia nuovamente il corso degli eventi: l’8 maggio del 1945 viene liberato dagli Anglo-Americani, che hanno bisogno della sua esperienza e collaborazione per la creazione di una Stazione Sperimentale Subacquea, nel Forte di Sant’Andrea. Come Technical Adviser della “Allied Navies Experimental Station”, con un gruppo di uomini “Gamma” mette a punto nuovi autorespiratori, dedicandosi all’arduo compito di sminamento della Laguna. Un anno dopo, il 1° luglio del 1946, gli Anglo-Americani lasciano sant’Andrea e consegnano la Stazione Sperimentale alla Marina Italiana. Belloni resterà in forza come Consulente Tecnico, mettendo a disposizione di Maricentrosub tutta la sua esperienza in materia, nonché la sua documentazione di 35 anni di attività subacquea. Negli anni successivi, Angelo Belloni continua a sviluppare e sperimentare apparati tecnici di ogni tipo, quasi sempre legati al mondo della subacquea, dando prova, ancora una volta, della sua immensa fantasia e capacità progettuale. Nell’ultima parte della sua vita, che trascorre nel castello Frugone di Cavi di Lavagna, si dedica, in anticipo di 50 anni, alle fonti di energia alternativa. Muore a Genova, il 9 marzo 1957, travolto da un tram che, a causa della sua sordità, non aveva sentito arrivare, mentre si dirigeva a un convegno di sommozzatori.
Carlo GATTI
Rapallo, 18 Gennaio 2016
Bibliografia:
sito: STORIA IN NETWORK
sito: Army and Spy
sito: Enciclopedia Erlendur - I leggendari Comsubin italiani
sito: Corfole! Le notizie e gli eventi del Levante
sito: Città della Spezia. Ufficio Stampa
TEMPO DI GUERRA... amarcord 5
TEMPO DI GUERRA
AMARCORD...5
Ho incontrato ……Eichmann
Sul finire del 1944, io, Lucio, Franco, Gianni, Aldo e altri, ci incontravamo sempre nel Convento dei Francescani di Pegli, dedicato a Sant’Antonio Abate, quello con il maialino. Non eravamo una vera associazione, per altro proibita dal Regime Fascista, in quell’epoca dominante. Si giocava a Biliardo, a carte e quant’altro con il beneplacito dei rispettivi genitori che, sapendoci in convento, ritenevano quello essere uno dei posti più sicuri in un momento di caos inimmaginabile. Ci eravamo organizzati una specie di bar, nei limiti del tempo di guerra, per dare parvenza di “adulti” ai nostri incontri. All’imbrunire però si doveva per forza rientrare a casa per non incorrere nel “coprifuoco” che, all’epoca, scattava abbastanza presto ed era fatto rispettare con rigore dai militi delle Brigate Nere. Facevano parte del nostro gruppo anche i giovani frati, da poco nominati Sacerdoti e che da lì iniziavano la loro missione. Insomma eravamo tutti giovani e in Convento c’era uno dei pochi telefoni funzionanti; nelle case era oggetto raro. Noi poi non eravamo ancora in età da essere arruolati nei Bersaglieri, il corpo raccogliticcio messo insieme, per volere dei Tedeschi, dal governo fantoccio, grondante sangue, della Repubblica di Salò. Tutti i giovani in età di leva, quell’età, in guerra, continuava ad abbassarsi mano a mano che gli uomini al fronte morivano, finivano d’ufficio nei “Bersaglieri. Và detto che quel Corpo raggruppava tutti quelli che non si volevano unire volontariamente alle varie Brigate Repubblichine operative, vere e proprie bande di assassini. Insomma vi finivano i “lavativi”. Appena finita la guerra, dopo pochissimi mesi, ci raggiunse con gioia, anche Enzo, il fratello di Gianni, appena tornato a casa dopo aver risalito l’Italia combattendo come soldato del ricostruito Esercito Italiano, equipaggiato dagli Inglesi. Dopo neppure un anno, iniziarono ad arrivare degli individui che cercavano di Padre Dömotor ( che noi pronunciavamo Demeter)un frate ungherese che, da poco arrivato, si era inserito bene nel nostro gruppo. Era un formidabile giocatore di biliardo. Parlava uno strano italiano, oggi diremmo alla Zeman, ed era molto gioviale, anche se un po’ misterioso. Ogni tanto spariva per poi ricomparire senza dare spiegazioni. Poco dopo la sua comparsa cominciarono ad arrivare degli individui, tutti dall’atteggiamento dignitoso e taciturno; restavano alcuni giorni in convento, uscendo solo la sera e mai allontanandosi dal sito. Il Convento è in zona defilata e dominante, fuori dalla viabilità usuale che invece passa poco sotto, al fianco della ferrovia. Era quello che si potrebbe definire “un posto discreto e tranquillo”.
In generale, appena arrivati, vestivano lunghi inquietanti cappotti di pelle nera, che richiamavano alla mente, uniti ai cappelli a larga tesa, l’abbigliamento classico della Gestapo, la terribile polizia Segreta hitleriana. Poi rimediavano abiti civili. A noi dicevano che erano intellettuali o attori Ungheresi, fuggiti perché ricercati come anticomunisti dagli occupanti russi e vestivano abiti raffazzonati, dati loro dalla Croce Rossa Internazionale. La Chiesa, materna, li aiutava per quello. Quindi veri e propri profughi perseguitati che noi, ormai liberi, guardavamo con simpatia anche se facevano gruppo a sé. Non parlavano con alcuno se non con Padre Demeter e riservatamente. Ogni tanto però qualcuno spariva e subito ne arrivavano altri. Di solito li vedevamo, uscendo alla sera, che facevano crocchio fuori dalla porta del convento ma mai in Chiesa, che noi invece frequentavamo. Mi ricordo che una volta, e vi rimase per alcuni giorni, arrivò un mingherlino piccoletto, dal fisico da ragazzino asciutto pur essendo adulto, ma con degli occhi che mi rimasero impressi. Erano di cristallo quasi trasparenti; oggi li definirei di ghiaccio.
Anche lui, il ragazzino, come gli altri dopo un po’ scomparve e sapemmo che pressoché tutti andavano a trovare pace in Sud America, in particolare in Argentina, all’epoca governata dal Generale Peron, utilizzando molto spesso navi della Costa, molto legata alla Curia genovese, all’epoca retta dal Cardinal Siri. Le navi spesso tornavano poi con carichi di carne congelata o altre derrate; credo rientrassero negli aiuti del dopoguerra, gestiti anche dal Vaticano.
Dopo qualche tempo cessò l’arrivo dei profughi e, con la partenza dell’ultimo di loro, anche Padre Demeter scomparve, insalutato ospite. Di queste presenze i frati non desideravano parlare e, se ben ricordo, di padre Demeter non avevano grande stima: la consegna era il silenzio. Non predicava ne confessava ma, visto lo strano italiano che parlava, la cosa era, per noi ragazzotti, comprensibile. E pensare che alcuni di noi, come chi scrive, affiancavano già i partigiani.
Adolf Eichmann
Simon Wiesenthal
Dopo qualche anno, tutto quell’andare e venire, venne smascherato dal gruppo di Simon Wiesenthal, l’ebreo scampato ai campi di sterminio che si era ripromesso di rintracciare quelle “pantegane”, in qualunque parte del mondo si fossero infognati. Scovarono anche “il ragazzino”; era Eichemann che avevo visto e memorizzato a Pegli. Si seppe che molti di quei “pegliesi” erano <ustascia>, cioè boia di destra croati, di etnia cristiana che si erano messi al servizio dei nazisti per massacrare i loro compatrioti, con la scusa della diversa fede. Una considerazione và fatta: la gerarchia Ecclesiastica non poteva non sapere chi erano quelli che aiutava a scappare se addirittura l’ufficio per salvarli era gestito, in Vaticano, da due Cardinali. Alla domanda legittima: <<perché lo avete fatto?>>, la solita farisaica risposta: << erano anticomunisti >>. E i cinque milioni di ebrei da quei maledetti inceneriti come fossero denaro falso, cosa erano? E i massacri degli ustascia erano giustificati solo perché contro i “comunisti”? Non mi si dica che la Curia non lo sapeva; proprio loro che sanno tutto e che confessano i fedeli. Quando, anni dopo e per lavoro, andai in Venezuela, scoprii che Padre Dömoter, morto da poco, nel frattempo era diventato niente meno che Ordinario Militare della Polizia Venezuelana. L’allora dittatore, Perez Jemenez, affidò a militari nazisti e a membri della Ghestapo transfughi, l’incarico di ristrutturare tutte le sue Forze Armate e la Polizia. Guarda caso, Padre Dömoter c’era un’altra volta di mezzo.
Enzo BAGNASCO
Rapallo, 17 Aprile 2014
I PALAZZI DEI ROLLI - GENOVA
I PALAZZI DEI ROLLI - GENOVA
I ROLLI DAYS
Quando ero in servizio come Pilota del porto di Genova, il mio ruolo era anche definito la “carta parlante del porto e dintorni” e spesso i Comandanti foresti mi rivolgevano questa domanda:
“Genova la SUPERBA, Genova la Repubblica Marinara. Ma cosa é Genova per te che la vedi tutti i giorni da molte angolazioni?”
Dovendo fare molta attenzione alla manovra in corso dovevo dare risposte rapide e magari un po’ curiose e stimolanti… per cui mi ero nel tempo affinato una risposta di questo tipo:
“Genova é come quelle signore senza età che non si truccano e non indossano gioielli perché sanno di essere più “affascinanti” di tante realtà moderne e appariscenti che brillano al sole con i loro grattacieli di cristallo senza storia. Genova é nascosta nell’ombra! Per amarla occorre scoprirla camminando con lo sguardo rivolto sempre verso l’alto. Provaci Comandante, ma ti avverto che la Genova che conosco io si dà solo a chi rispetta la sua intimità che si snoda tra simboli misteriosi, scorci improvvisi che ti tolgono il fiato, e silenzi che ti parlano dentro con mille domande…!”
Genova, città portuale del Mediterraneo, cresciuta attorno ad una aggrovigliata ragnatela di vicoli ha accolto, fin dall’inizio della sua storia di potenza marittima, quei “refugees” provenienti dall’Africa e dall’Asia più vicina, ma anche da quella più lontana. Li ha accolti senza ghettizzarli nelle periferie, ma accogliendoli nel cuore del suo centro storico, il più grande ed intrigante d’Europa. Tra questi immigrati c’erano anche futuri ammiragli e armatori diventati famosi e potenti scoprendo, come cantava De André”, che dal letame nascono i fiori”…..
Le città portuali si assomigliano tutte perché nei loro vicoli scorre sangue intriso di mare, dove tutti si capiscono parlando la stessa lingua, raccontando le stesse esperienze vissute a bordo delle navi del loro tempo, nei porti e negli angiporti di tutto il mondo. Queste città portuali hanno una peculiarità internazionale: quella di essere enclave accoglienti per vocazione e per interesse… dove non si fanno domande sulle razze, religioni e guerre, ma si convive pacificamente credendo nel mercato, negli scambi e nelle contrattazioni a tutti i livelli.
Con questa tipica visione prettamente mercantile, a Genova si é strutturata nel tempo una coabitazione non sempre facile, e tuttavia culturalmente feconda, fra genovesi e “foresti”, che si sono suddivisi le stesse strade e gli stessi palazzi. Palazzi un tempo sontuosi, appartenuti all’aristocrazia mercantile della città, e poi lasciati andare (non tutti), ma che portano ancora evidenti i segni della loro bellezza nei portali scolpiti di marmo o ardesia, nei grandi scaloni che salgono verso attici e terrazze dal panorama vertiginoso, nelle edicole votive esposte quasi di nascosto ad ogni angolo di strada.
Quanto finora raccontato é soltanto la PREMESSA per introdurre e presentare una nuova prospettiva storico-culturale del capoluogo ligure che é scaturita dal riconoscimento dell’UNESCO di una parte del suo patrimonio urbanistico e non solo, ovviamente.
COS’E’ L’UNESCO?
Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, istituita a Parigi 4 novembre 1946, è nata dalla generale consapevolezza che gli accordi politici ed economici non sono sufficienti per costruire una pace duratura e che essa debba essere fondata sull'educazione, la scienza, la cultura e la collaborazione fra nazioni, al fine di assicurare il rispetto universale della giustizia, della legge, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che la Carta delle Nazioni Unite riconosce a tutti i popoli, senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione.
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Quando sentii per la prima volta parlare dei PALAZZI DEI ROLLI di Genova, rimasi sorpreso e andai subito alla ricerca della genesi di questo nome nei vecchi libri di Genova che ereditai dai miei. Con la massima delusione, devo confessare, non trovai nulla che mi spiegasse l’arcano di questa novità culturale che oggi sta letteralmente incendiando d’amore Genova alla ricerca della sua cultura nascosta.
Migliaia di turisti stanno arrivando da tutto il mondo nel nostro Capoluogo per scoprire FINALMENTE ciò che, appunto l’UNESCO, ha regalato “in anteprima” a noi liguri e a tutto il mondo dell’arte in generale. Un patrimonio quindi che esce dai salotti, dai club privati di pochi per entrare nelle case di tutti noi per arricchire quella GENOVESITA’ che pare non essere mai sazia di svelarci, passo dopo passo, antichi e incomparabili patrimoni di bellezza, ricchezza e di storia.
La seconda parte del saggio é dedicata ad un nutrito servizio fotografico dei Palazzi dei Rolli, il cui scopo é quello di stimolare il lettore ad incamminarsi lungo il “pellegrinaggio” culturale dei ROLLY DAYS le cui visite guidate sono quanto di più organizzato e stimolante si possa desiderare.
L’invenzione dei Rolli
Con palazzi dei Rolli (alle volte solo Rolli) si intendono le dimore del patriziato genovese utilizzate al tempo della Repubblica come alloggi di rappresentanza per gli ospiti stranieri illustri: la recente fortuna di questa denominazione è legata all’inclusione nel 2006 di una quarantina di tali residenze tra i “patrimoni dell’umanità” censiti dall’UNESCO in quanto primo esempio in Europa di un progetto di sviluppo urbano concepito con struttura unitaria dal potere pubblico, ma attuato da privati secondo criteri di eccellenza artistica e architettonica. Secondo un decreto del Senato genovese risalente al 1576, i proprietari di questi palazzi, iscritti in una serie di elenchi (i “rolli” appunto), erano tenuti ad ospitare a proprie spese i visitatori stranieri di alto rango, essendo la Repubblica, in quanto tale, priva di un “palazzo regio” di rappresentanza confacente a tale scopo: questa caratteristica funzionale contribuì a determinare e a divulgare la fama mondiale dell’architettura privata genovese come modello architettonico e residenziale di prestigio, consacrato tra gli altri da una celebre raccolta di disegni (1622) di P.P. Rubens.
Per i lettori più esigenti, prendiamo a prestito dal Comune di Genova la spiegazione tecnico-storica del termine ROLLI:
La denominazione accolta dall’organizzazione internazionale (“Palazzi dei Rolli”, dunque, o più in esteso “Palazzi dei Rolli degli alloggiamenti pubblici di Genova”) altro non fa che attualizzare una terminologia appartenente al linguaggio burocratico-amministrativo cinquecentesco, utilizzata nel 1576 (e poi, con successive revisioni, nel 1588, 1599, 1614 e 1644), per determinare la classificazione dei palazzi deputati a tale scopo: le dimore erano iscritte in tre “rolli” corrispondenti ad altrettante categorie in rapporto alle loro dimensioni e qualità artistica, e in base a tali criteri erano destinate, mediante estrazione a sorte annuale, a ospitare principi e cardinali, viceré, ambasciatori, governatori e così via; solo tre di esse erano riservate ai papi e imperatori, re e loro diretti rappresentati.
Rollo, dunque, non è altro che la forma genovese e italiana antica del termine moderno “ruolo”, dal francese rôle, derivato a sua volta da ROTŬLUS nel senso di “manoscritto, documento arrotolato”. La voce appare in questa forma, in italiano, a partire dal 1528 col significato originario di “catalogo, registro, elenco di persone facenti parte di un impiego, di un’organizzazione, di una corte”, dal quale derivano gli altri in uso attualmente, di “registro di pratiche”, “parte sostenuta da un personaggio in opere di finzione”, “compito, atteggiamento sociale” ecc.
Invenzione fortunata
Il recupero attuale del termine Rolli non riguarda insomma una voce specialistica, particolarmente legata all’istituzione degli “alloggiamenti pubblici” della Repubblica, ma un termine generico, appartenente al linguaggio burocratico dell’epoca: agli artefici di tale reimpiego, che non pare anteriore alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, va in ogni caso riconosciuto il merito di avere appunto “inventato” una definizione di indubbia valenza evocativa per un insieme di beni architettonici e urbanistici dei quali si era ormai da tempo perduta una percezione unitaria, una denominazione ormai entrata stabilmente nell’uso comune non meno che nella letteratura e nella pubblicistica specializzata.
I Palazzi dei Rolli inclusi nel Sito Patrimonio dell'Umanità UNESCO Sono: 42
I documenti dei Rolli, esposti in occasione dei Rolli Days nell'ottobre 2017
Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO
LA MAPPA DEI PALAZZI ROLLI
*Palazzi dei Rolli non ancora entrati nel patrimonio dell'Umanità
*Palazzi dei Rolli patrimonio dell'Umanità
*Palazzi dei Rolli non patrimonio dell'Umanità (che hanno subito modifiche importanti)
*Palazzi dei Rolli patrimonio dell'Umanità (che hanno subito modifiche importanti)
Palazzi in Via Garibaldi verso piazza Fontane Marose
Palazzo Doria Spinola (1541-1543)
Sede della Prefettura e dell'Amministrazione Provinciale Immagine dalla città di Genova
Palazzo Clemente Della Rovere (1580-1581)
Palazzo Giorgio Spinola - Compare nel Rollo del 1588
Palazzo Tommaso Spinola (1558-1561)
Palazzo Giacomo Spinola di piazza Fontane Marose 1445-1459
Banco di Sardegna (patrocinatore del recupero)
Palazzo Ayrolo Negrone, Piazza delle Fontane Marose - 1500-1600
Iscritto nel Rollo del 1664
Alla grandiosità architettonica corrisponde, all’interno, un’altrettanta ricchezza decorativa
Palazzo Interiano Pallavicini, Piazza delle Fontane Marose
(1565-1567)
Palazzo Pallavicini Cambiaso (1558-1560)
Sede della Banca Popolare di Brescia
Palazzo Pantaleo Spinola (1557-1558)
Ospita affreschi dei maggiori pittori liguri
Palazzo Lercari Parodi (1571)
Nella volta del salone del secondo piano nobile si trova un vero capolavoro della pittura genovese: l'affresco di Luca Cambiaso che raffigura l'impresa di Megollo Lercari con la costruzione del fondaco dei genovesi a Trebisonda, ossia le costruzioni necessarie per condurre i commerci nella colonia genovese sul mar Nero. L'affresco vuole al tempo stesso ricordare la costruzione del palazzo Lercari in Strada Nuova, fornendo così un'idea dell'aspetto della via negli anni della sua apertura.
Palazzo Carrega Cataldi in via Garibaldi, verso piazza Fontane Marose (1558-15561)
L'edificio è oggi sede della Camera di Commercio di Genova.
Palazzo Angelo Giovanni Spinola (1558-1576)
detto della Banca d'America
Palazzo Doria-Tursi Via Garibaldi (iniziato 1565)
L'edificio è sede del Comune di Genova e fa parte del polo museale della città.
Palazzo Nicolosio Lomellino o Palazzo Podestà (1559-1565)
La facciata, su progetto del Bergamasco, è movimentata da una ricca decorazione a stucco, con erme femminili alate, a sorreggere la cornice marcapiano del pianterreno; nastri e drappi a reggere, al primo piano, trofei d'armi; ghirlande e mascheroni a coronamento delle finestre, con figure classiche entro medaglioni ovali, al secondo. La decorazione a stucco all'antica, applicata per la prima volta in epoca moderna da Raffaello nelle Logge Vaticane e precocemente importata a Genova dal suo allievo Perin del Vaga nella decorazione della Villa Principe, si dispiega qui per la prima volta su vasta scala coprendo l'intero prospetto. La sua esecuzione è attribuita all’urbinate Marcello Sparzo.
Palazzo Cattaneo Adorno (1553-1588)
All'interno del portone al numero 10 la decorazione affrescata, opera di Lazzaro Tavarone, celebra sulla volta dell'atrio un'impresa bellica di Antoniotto Adorno, doge antenato dei proprietari, datata 1624. Nella sala del piano nobile, sempre di Lazzaro Tavarone, è l’affresco raffigurante l'Incontro di papa Urbano VI a Genova con il doge Antoniotto Adorno. In altri salotti sotto le volte affrescate con soggetti mitologici, si conservano preziosi mobili e soprammobili e parte della ricca e nota quadreria comprendente notevoli dipinti tra il XVI e il XVII secolo.
Palazzo Doria - Tursi splendente (iniziato nel 1565)
È l'edificio più maestoso della via, unico edificato su ben tre lotti di terreno, con due ampi giardini a incorniciare il corpo centrale. Le ampie logge affacciate sulla strada vennero aggiunte nel 1597, quando il palazzo divenne proprietà di Giovanni Andrea Doria che lo acquisì per il figlio cadetto Carlo, Duca di Tursi, al quale si deve l'attuale denominazione. Dal 1848 è sede del municipio genovese.
Palazzi in Via Garibaldi verso piazza Fontane Marose
Palazzo Bianco e giardino pensile di ponente di Palazzo Doria Tursi (1530-1540)
Ospita una sezione dei Musei di Strada Nuova, che comprendono anche Palazzo Rosso e Palazzo Doria-Tursi, specificamente dedicata alla pittura a Genova e in Liguria tra XVI e XVIII secolo, e con importanti sezioni di arte italiana, fiamminga e spagnola.
Palazzo Rosso (1671-1677)
Ospita la prima sezione dei Musei di Strada Nuova, che comprendono anche Palazzo Bianco e Palazzo Doria-Tursi, dedicata principalmente alle collezioni d'arte dei Brignole-Sale, in parte ospitate in sale che conservano l'arredo e la decorazione originale.
Palazzo Gerolamo Grimaldi, (1536-1544) facciata su piazza della Meridiana
Palazzo Gio Carlo Brignole
Palazzo Bartolomeo Lomellini (1556-1570)
Palazzo Lomellini Doria Lamba (incluso nei Rolli dal 1588 al 1664)
Palazzo Belimbau (finito nel 1594)
Università degli Studi di Genova
Palazzo Durazzo Pallavicini (1774)
Palazzo Gio Francesco Balbi - piazza
Pierre Paul Rubens
Facciata del Palazzo dei signori Giacomo e Pantaleo Balbi
Genova-palazzo Francesco Maria Balbi
Via Balbi, sede universitaria
Palazzo Reale, controfacciata (1618-1620)
Il Palazzo Reale o Palazzo Stefano Balbi è uno dei maggiori edifici storici di Genova inserito il 13 luglio del 2006 nella lista tra i 42 palazzi iscritti ai Rolli di Genova,divenutiintaledata Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO.
I giardini di Palazzo Reale
La galleria
Il palazzo reale conserva i mobili originali di tutta la sua lunga storia ed include mobili genovesi, piemontesi e francesi della metà del XVII secolo fino all’inizio del XX secolo. Tra questi si possono ricordare mobili dell’ebanista britannico Henry Thomas Peters.
Tra gli affreschi più importanti sono da notare: La fama dei Balbi di Valerio Castello e Andrea Seghizzi; La primavera che spinge lontano l’inverno di Angelo Michele Colonna e Agostino e Giove che manda giustizia sulla Terra di Giovanni BNattista Carlone.
Con oltre duecento dipinti esposti nei due piani nobili si trovano opere dei migliori artisti genovesi del Seicento come Bernardo Strozzi, il Grechetto, Giovanni Battista Gaulidetto, il Baciccio, Domenico Fiasella insieme a capolavori dei Bassano, Tintoretto, Luca Giordano, Antoon Van Dyck, Simon Vouet, e GuercinoInoltre si può ammirare una collezione di sculture antiche e moderne: tra queste ultime spiccano opere di Filippo Parodi, uno dei massimi esponenti della scultura barocca genovese. Fastosa è la galleria degli specchi dove spiccano quattro statue (Giacinto, Clizia, Amore o Narciso, Venere) di Filippo Parodi e un gruppo marmoreo (Ratto di Proserpina) di Francesco Schiaffino.
Palazzo Cosma Centurione (1684-1755)
Detto anche Palazzo Durazzo Pallavicini o Palazzo di Gerolamo III Pallavicino, dal nome dei successivi proprietari, per la sua architettura e per gli affreschi conservati all’interno è un insigne esempio di barocco genovese.
Palazzo Giorgio Centurione
Crocicchio di via del Campo-Via Lomellini-Via Fossatello
Palazzo Cipriano Pallavicini
L’edificio fu costruito sul finire del XV secolo
Palazzo Spinola in Pellicceria o palazzo Francesco Grimaldi (1593)
Fra le opere più celebri esposte sonoː
· Antonello da Messina, Ecce Homo
· Pieter Brueghel il Giovane, Le tentazioni di Sant’Antonio Abate
· Valerio Castello, Sposalizio della Vergine
· Orazio Gentileschi, Sacrificio di Isacco
· Guido Reni, Amor Sacro e Amor Profano
· Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto, Circe
· Bernardo Strozzi, Ritratto femminile
· Peter Paul Rubens, Ritratto equestre di Gio. Carlo Doria
· Joos van Cleve, Ritratto di Stefano Raggio
Palazzo Gio Battista Grimaldi
in Vico San Luca a Genova
Palazzo Stefano De Mari
Palazzo Ambrogio Di Negro
fotografato dalla prospiciente chiesa di San Pietro in banchi. (1569-1572)
Ospita la sede della Fondazione Edoardo Garrone.
Palazzo Emanuele Filiberto Di Negro (1600)
Palazzo Croce De Marini (XVI secolo)
72 sono gli altri Palazzi dei Rolli non inclusi nel Sito Patrimonio dell’Umanità UNESCO
Genova, i Rolli Days di maggio 2018: palazzi aperti, programma, visite guidate e novità
Consultare il seguente sito:
http://www.mentelocale.it/genova/articoli/75721-genova-rolli-days-maggio-2018-palazzi-aperti-programma-visite-guidate-novita.htm
Di seguito l’elenco delle aperture straordinarie dei “Rolli Days” del 24 e 25 maggio:
1. Palazzo Antonio Doria - Largo Eros Lanfranco 1
2. Palazzo Franco Lercari – Via Garibaldi 3
3. Palazzo Tobia Pallavicino - Via Garibaldi 4
4. Palazzo Angelo Giovanni Spinola - Via Garibaldi 5
5. Palazzo Gio Battista Spinola - Via Garibaldi 6
6. Palazzo Nicolosio Lomellino - Via Garibaldi 7
7. Palazzo Giacomo e Lazzaro Spinola - Via Garibaldi 10
8. Palazzo Nicolò Grimaldi (Musei di Strada Nuova - Palazzo Tursi) - Via Garibaldi 9
9. Palazzo Luca Grimaldi (Musei di Strada Nuova - Palazzo Bianco) - Via Garibaldi 11
10. Palazzo Ridolfo Maria e Gio Francesco I Brignole Sale (Musei di Strada Nuova - Palazzo Rosso) - Via Garibaldi 18
11. Palazzo Baldassarre Lomellini - Via Garibaldi 12 (solo sabato)
12. Palazzo Gerolamo Grimaldi (Palazzo della Meridiana) - Salita San Francesco 4
13. Palazzo Stefano Lomellino (Palazzo Doria Lamba) - Via Cairoli 18
14. Palazzo Giorgio Centurione (Palazzo Durazzo Pallavicini) - Via Lomellini 8
15. Palazzo Gio Battista Centurione - Via del Campo 1 (solo sabato)
16. Galleria Nazionale di Palazzo Spinola - Piazza Pellicceria 1
17. Palazzo Ambrogio di Negro – Via San Luca 2
18. Palazzo De Marini - Piazza De Marini 1
19. Palazzo Cattaneo della Volta - Piazza Cattaneo 26
20. Palazzo Gio Vincenzo Imperiale - Piazza Campetto 8
21. Palazzo Cesare Durazzo - Via del Campo 12
22. Palazzo Gio Francesco Balbi – Via Balbi 2 (Università degli Studi di Genova)
23. Palazzo Giacomo e Pantaleo Balbi - Via Balbi 4 (Università degli Studi di Genova)
24. Palazzo Stefano Balbi (Museo di Palazzo Reale) - Via Balbi 10
Teatro Altrove (Palazzo Fattinanti Cambiaso) - Piazzetta Cambiaso1
Villa del Principe - Piazza del Principe 4
GENOVA - SABATO 24 E DOMENICA 25 MAGGIO
Tutte le manifestazioni sono a ingresso libero.
www.visitgenoa.it
Carlo GATTI
Rapallo, 19 Giugno 2018
ABERDEEN, LA CAPITALE DEL PETROLIO EU
ABERDEEN
La capitale del Petrolio EU
Mare del Nord
Aberdeen in Scozia a sinistra - Stavanger in Norvegia a destra delimitano la vasta zona d’estrazione del Mare del Nord impossibile immaginare la nostra società di oggi senza gas e petrolio, che servono per gli autoveicoli, per il riscaldamento, per la produzione di energia elettrica e per tante altre cose indispensabili a garantire il livello di comfort che conosciamo. Tutto il settore è in mano a grandi compagnie multinazionali come Shell, BP, Exxon, Elf, Petrochina, Gazprom, Eni ed altri, che spesso lavorano insieme nella ricerca e nello sfruttamento dei campi di petrolio e di gas perché i costi da affrontare sono altissimi. Gas e petrolio si trovano in molti angoli della terra. In Europa la zona del Mare del Nord è la più ricca di petrolio e gas. L’estrazione riguarda principalmente il territorio inglese e quello norvegese, in parte ridotta quello danese, tedesco e olandese.
Veduta aerea di Aberdeen
Strada principale di Aberdeen
Università di Aberdeen
Regno Unito e Norvegia
Nel Regno Unito tutta l’economia del petrolio gira intorno ad Aberdeen e Glasgow. Sono i due principali centri per trovare un lavoro sulle piattaforme o nell’indotto, come cantieri navali, raffinerie, ditte di catering, agenzie che gestiscono il personale subacqueo. Altre località coinvolte sono Newcastle e i porti che guardano verso l’Irlanda. L’industria inglese, compreso l’indotto, impiega attualmente 260.000 unità. Una sezione a parte è dedicata al settore petrolifero e del gas in Norvegia che rappresenta una delle punte di diamante dell’economia nazionale. Impiega quasi 80.000 persone e costituisce un terzo degli introiti del paese; crea inoltre un effetto di ricaduta anche su altri settori economici chiave, che si giovano dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico. Decenni di esperienza nel campo hanno permesso alla Norvegia di acquisire un’industria petrolifera ben sviluppata, più sicura, efficiente e attenta all’ambiente. A livello mondiale la Norvegia si attesta al terzo posto come esportatore di gas e petrolio.
Barche da pesca nel porto di Aberdeen, com’era nel 1955
Aberdeen è una città nel Nordest della Scozia sulla costa del Mare del Nord. La sua economia si basava sull’industria della pesca e sul tessile fino agli anni Settanta, quando la scoperta di grandi giacimenti petroliferi sottomarini l’ha trasformata in uno dei principali centri per l’estrazione del greggio.
Oggi ad Aberdeen grandi compagnie internazionali come l’americana Chevron mettono a punto le più innovative tecniche di perforazione sottomarine. Le sperimentazioni per l’estrazione del petrolio a grandi profondità vengono poi utilizzate per estrarre gas naturale e petrolio nel Golfo del Messico, in Angola, in Australia, nella Repubblica del Congo e in molte altre parti del mondo.
Aberdeen è la terza città della Scozia, ha circa cinquecentomila abitanti se si comprendono anche le contee circostanti, ma la sua economia è la seconda più ricca dell’intera Gran Bretagna, superata soltanto da Londra. Il reddito medio dei suoi abitanti si aggira tra le le 32 mila e le 49 mila sterline. Il tasso di disoccupazione della città è la metà della media nazionale. Lo stipendio medio per un lavoratore dell’industria petrolifera è di 64 mila sterline, più del doppio della media britannica.
Torre Piloti del Porto di Aberdeen
Il porto di Aberdeen, oggi
I Supply Vessels sono mezzi di supporto alle piattaforme offshore
Una piattaforma petrolifera nel Mare del Nord
Una piattaforma petrolifera Total nel Mare del Nord
This is an undated handout photo issued by Total E&P UK Ltd of Total's Elgin PUQ (Process/Utilities/Quarters) platform. A two-mile exclusion zone has been set up around the offshore platform in the North Sea which has been evacuated after a gas leak, Tuesday, March 27, 2012. The leak on Total's Elgin PUQ platform, about 150 miles (241km) off the coast of Aberdeen, led to the evacuation of all 238 workers on Sunday. (AP Photo / TOTAL E&P UK Ltd) NO SALES.
L'incendio alla piattaforma Piper Alpha nel Mare del Nord, nel luglio 1988. Morirono 160 persone
In questo disegno vengono rappresentate le piattaforme utilizzate in base alla profondità del fondale
A marzo 2016, il numero complessivo di piattaforme operative in attività di prospezione o di estrazione di petrolio e gas, nel mondo, è 1.551: quasi il 12% in meno di quelle in attività a febbraio (erano 1761) e il 18% in meno rispetto a gennaio 2016 (1891).
MUSEO MARITTIMO ABERDEEN
Aberdeen Maritime Museum is a maritime museum in Aberdeen, Scotland.
The museum is situated on the historic Shiprow in the heart of the city, near the harbour. It makes use of a range of buildings including a former church and Provost Ross' House, one of the oldest domestic buildings in the city.
The museum tells the story of the city's long relationship with the North Sea. Collections cover shipbuilding, fast sailing ships, fishing and port history, and displays on the North Sea oil industry. It also commands a spectacular viewpoint over the busy harbour.
Collection highlights include ship plans and photographs from the major shipbuilders of Aberdeen including Hall, Russell & Company Ltd, Alexander Hall and Sons, Duthie and John Lewis & Co. Ltd and Walter Hood & Co.
Displays include ship and oil rig models, paintings, clipper ship and "North Boats" material, fishing, whalers and commercial trawlers, North Sea oil industry, and the marine environment.
Ricostruzione in scala di una pittaforma offshore
Attrezzature per divers d'alti fondali
Il Bar del Museo con molti reperti originali
Anders Lebano, un rapallino "esportato" ad Aberdeen
Due Supply Vessels in notturno
CARLO GATTI
Consulenza tecnica di Anders Lebano
Rapallo, 13 Febbraio 2017
SUL LAGO LEMANO, DAI VIGNETI ALLE GALEE GENOVESI
Chi cerca trova
si propone come un raccoglitore di argomenti che leghino la Svizzera a Genova ed alla Liguria. Chi cerca trova significa semplicemente cogliere uno spunto per mettere in moto una ricerca e creare un documentario, che apra la strada a relazioni e conoscenze spesso inaspettate.
di Andrea Patrone e Marcella Rossi Patrone
La Svizzera e la Liguria concentrano entrambe una varietà unica di attrazioni turistiche e percorsi suggestivi. Le più evidenti caratteristiche in comune sono l’asprezza del territorio ed il fascino del paesaggio.
Sfogliando il catalogo di Svizzera Turismo siamo rimasti colpiti da questa immagine: le terrazze viticole del Lavaux, nel Canton Vaud, una zona che si affaccia sulle sponde nord orientali del lago di Ginevra, più propriamente lago Lemano.
Questi vigneti a terrazza ci hanno immediatamente ricordato quelli sul mar Ligure delle Cinque Terre, che dal 1997 sono Patrimonio dell’Umanità dell’ UNESCO con questa motivazione:
Scopriamo allora che dal 2007 anche la regione viticola del Lavaux è Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, eletta con questa motivazione:
Da Svizzera unica
Nel 2011 la Posta Svizzera ha dedicato al Lavaux tre speciali francobolli affiancati, mentre nel 2013 le Poste Italiane hanno dedicato un francobollo ordinario al Parco Nazionale delle Cinque Terre, nella serie tematica Parchi, giardini ed orti botanici d’Italia.
Entrambi i siti sono dunque zone eccezionali, dove la natura si incontra con il duro lavoro dell’uomo. Per sfruttare un soleggiamento ed un clima straordinari l’uomo ha inventato terrazze a picco sull’acqua, sorrette da muri in pietra.
Sotto i nostri occhi ci sono oggi due paesaggi fratelli, ricchi di storia e di fatica. Senza la presenza dei vigneti avrebbero un aspetto completamente diverso.
Il duro lavoro agricolo fu iniziato dai monaci benedettini e cistercensi, poi fu proseguito da generazioni di viticoltori. Nell’arco di millecinquecento anni i monaci ebbero un’influenza determinante sulla civiltà occidentale, non solo nelle attività di studio, ma anche nelle arti pratiche come l'agricoltura. Trasformarono terre disabitate in terre coltivate e furono i pionieri della produzione vinicola europea.
Tutti conosciamo il simbolismo che collega il cristianesimo alla vite e l’utilizzo liturgico del vino, ma i monaci andarono ben oltre: le proprietà viticole degli ordini monastici portarono continuità nella coltivazione, sedi di studio e sperimentazione, facile diffusione e trasmissione delle tecniche innovative. La viticoltura sistematica nel Lavaux si deve all’opera dei monaci cistercensi borgognoni, che avviarono i terrazzamenti dopo il Mille.
Sul Dizionario storico della Svizzera alla voce Cistercensi leggiamo: I cistercensi crearono un proprio sistema economico, nel quale ogni stabilimento aveva da cinque a 15 curtes (grangia), affidate soprattutto ai figli di contadini, i quali, come frati laici (i cosiddetti conversi), sfruttavano i terreni su vasta scala a seconda della posizione geografica - campicoltura nell'Altopiano, viticoltura lungo i laghi, allevamento nell'area Prealpina - e con metodi innovativi. Le eccedenze della produzione agricola e dei prodotti artigianali venivano vendute nei mercati cittadini. I cistercensi praticavano anche il commercio (sale, vino) e gli scambi finanziari.
Nell’Europa nel XII secolo erano presenti settecentoquarantadue monasteri cistercensi. Presso la città di Cheserex, nel Canton Vaud a 7 chilometri dal lago di Lemano, è ancora visitabile il convento di Bonmont, il primo convento in Svizzera entrato a far parte dell’ordine cistercense nell’anno 1131. Oggi è un monumento nazionale, aperto da Pasqua a ottobre per visite guidate e concerti.
I vigneti rimasero proprietà della Chiesa fino al XVI secolo, quando i Bernesi conquistarono il Vaud e vi insediarono i loro signori.
Prima del lavoro dei monaci benedettini, i 15 chilometri di vigneti terrazzati sul mare tra Levanto e La Spezia erano brulli, impervi e disabitati. Oggi sono famosi in tutto il Mondo come le Cinque Terre. Il monachesimo vi giunse presto, proveniente dall’abbazia di San Colombano a Bobbio. Tra il VII ed il X secolo Bobbio divenne un grande feudo monastico con possedimenti dal mar Ligure al Piemonte, ai laghi di Como e Garda, ai bacini del Ticino e del Po, fino al mar Adriatico. Il monachesimo si diffuse in Liguria anche nelle zone meno adatte ad accogliere importanti conventi, perché la regione funzionava da raccordo fra terraferma e mare. Oggi restano solo piccole testimonianze, tradizioni, nomi, ruderi. Eppure su una collina a 3 chilometri da Monterosso al Mare c’è ancora l’eremo benedettino di S. M. Maddalena, restaurato e divenuto residenza storica. Questo accolse i monaci benedettini dipendenti dal monastero di San Gerolamo della Cervara a Portofino. Fu titolato a S. Lorenzo in Terriccio ed è menzionato per la prima volta nel 1244. Non lontano dalle Cinque Terre, presso Talavorno in Lunigiana, si trovano invece i pochi resti del convento di S. Benedetto, menzionato per la prima volta nel 1014. Il convento e l’annessa casa del pellegrino sono ora casa colonica, mentre la chiesa è un rudere.
I monaci gettarono le basi dell’economia medievale, che attivò scambi via mare e via terra, sfruttando la navigazione lacustre.
Genova fu al centro del Mediterraneo ed il lago Lemano fu al centro delle comunicazioni terrestri europee.
E’ facile ora capire l’importanza ed i contatti che Genova ed il lago Lemano ebbero all’interno di tale sistema economico.
Il lago Lemano è il più grande lago dell’Europa occidentale.
Si trova per il 40% in Francia, nel dipartimento dell'Alta Savoia, e per il 60% in Svizzera.
Bagna il Canton Ginevra, il Canton Vallese e il Canton Vaud.
ECCO IL LAVAUX:
ECCO LE CITTA’ RIVIERASCHE:
Da oltre un secolo le città che si affacciano sul lago sono collegate tra loro da battelli. Dal 1873 opera la Compagnia Generale di Navigazione sul Lago Lemano (CGN), che ha sede a Losanna e fa navigare sedici imbarcazioni: dieci contemporanee e sei d’epoca.
Questa compagnia è conosciuta per i battelli a vapore Belle Époque, che dal 2011 sono parte dei monumenti storici del Canton Vaud.
Ma non è tutto. Sul lago naviga oggi la riproduzione semplificata di una galea mediterranea.
Si chiama La Liberté ed è stata costruita a Morges. Perché mai una galea in crociera sul Lemano? La Liberté ci ricorda che tra il XIII ed il XVIII secolo sul lago navigarono le galee dei Savoia, di Ginevra e di Berna. Ne ha disegnato le fattezze il dottore in scienze Oliver Gonet, nato sul Lemano. Gonet è pittore, scrittore e curatore di un interessante sito web.
Sebbene sui laghi svizzeri vi fosse una scarsa presenza di navi da guerra, a partire dal XIII secolo i Savoia mantennero una flottiglia sul lago, ormeggiata nel porto di Villeneuve, che serviva anche da cantiere navale. Successivamente la costruzione navale progredì grazie a Ginevrini, Bernesi e Zurighesi, per fronteggiare i savoiardi.
Il lago Lemano divenne un frequentato nodo commerciale presidiato da galee da guerra. In particolare il porto di Morges fu ultimato nel 1695 ad uso sia militare che commerciale.
Lago Lemano
Mappa disegnata nel 1635 dagli olandesi Willem e Joan Blaeu
Sapere che una galea mediterranea, parente delle antiche galee genovesi, naviga oggi sul lago Lemano, ci ha incuriositi a tal punto da progettare una visita a Morges, che dista da Genova circa 400 km.
L’efficiente rete autostradale svizzera ci ha permesso di raggiungere velocemente la costa nord orientale del Lemano e procedere direttamente fino a Morges, riconoscendo da lontano Villeneuve, Chillon, Montreaux, Vevey, Losanna, città costiere posizionate tra lago e vigneti.
Alla ricerca della galea La Liberté, la nostra prima tappa è stata quindi Morges, di fronte al maestoso Monte Bianco.
Siamo entrati in una città fiorita, con una grande strada pedonale ricca di mercatini, negozi e ristoranti, dove viene servito l’omonimo vino bianco.
Un castello medievale controlla il porto. Il castello fu fatto erigere dai Savoia nel 1286. E’ un classico esempio di quadrato savoiardo, ovvero fortificazione a pianta quadrata caratteristica della Savoia medievale, con la corte interna rialzata e quattro torri rotonde angolari a scopo difensivo.
Oggi ospita ben quattro musei: il Museo militare vodese, il Museo dell’artiglieria, il Museo della Gendarmeria vodese e il Museo svizzero delle figurine storiche.
Il castello di Morges ha una parte da protagonista nella storia vodese. Prima fu residenza dei conti e duchi di Savoia, poi dei funzionari bernesi.
A levante del porto c’è Quai Igor Stravinsky, la banchina in passeggiata a mare dedicata al famoso compositore russo, che visse in questa zona durante la prima guerra mondiale.
Qui ormeggia La Liberté, la galea, ovvero la nave utilizzata nel Mediterraneo per la guerra ed il commercio. Galea deriva dal greco γαλέoς ovvero squalo, perché lo scafo affusolato ne ricorda le sembianze. Dotata di remi e vele latine, era una nave agile e veloce.
La galea del Lemano naviga a scopo turistico e svolge un servizio di coinvolgenti crociere sul lago.
Siamo andati a vedere dov’è nata ed abbiamo passeggiato sul lungolago.
Varata a Morges nell’estate del 2001, alla presenza di oltre 45.000 spettatori, è stata costruita impiegando oltre 650 disoccupati, che hanno lavorato 5 anni per realizzarla, utilizzando le proprie competenze. E’ stata definita un sogno divenuto realtà.
Naviga a motore (110 passeggeri) ed a vela (60 passeggeri) con membri d’equipaggio. E’ dotata di due motori diesel da 150 CV, di 550m2 di vela e di 36 remi. Ogni remo necessita di tre vogatori.
Il progetto de La Liberté è nato nel 1992. Dopo due anni di progettazione e di ricerca finanziamenti, a Morges è stato costruito un cantiere navale.
Il libro Galère La Liberté. Du rêve à la réalité, pubblicato dalla casa editrice Cabétita nel 1998, ha narrato e documentato questo sogno.
La casa editrice Cabédita, nata nel Canton Vaud, dal 1988 si dedica a pubblicare libri di storia, memoria e tradizione nella collana chiamata Archivi viventi.
Nel 2004 anche Genova ha avuto la ricostruzione della propria galea, esposta al Galata, il Museo del Mare costruito dov’era l’antico Arsenale. E’ la fedele riproduzione della galea genovese San Francesco, risalente al 1620. Lunga 42 metri e alta 9, è posta sullo scivolo usato nell’Arsenale per varare le navi. E’ possibile salirvi per esplorarla e viverla.
Solo un cenno sulla galea genovese: era un’imbarcazione veloce e manovrabile, lunga dai 40 ai 50 metri. Poteva avere a bordo più di 400 uomini. L'equipaggio era formato da: comandante, nostromo, ufficiali militari e di manovra, soldati, cambusiere, barbiere medico, calafato e circa 200 marinai.
Da Morges abbiamo inseguito la galea La Liberté,
percorrendo con l’auto il lungolago, fino …
antichissimo centro culturale e commerciale capoluogo del Canton Vaud.
abbiamo proseguito …
vere perle della riviera svizzera,
che si erge in riva al lago…
E’ uno straordinario edificio acquatico eretto su un’isola rocciosa, che fu protezione naturale e posizione strategica sugli antichissimi transiti tra il Nord e il Sud dell’Europa.
Da qui si possono percorrere stimolanti sentieri didattici che portano a conoscere la riviera.
Annotiamo che il lago Lemano fu una tappa della via Francigena.
L’arcivescovo di Canterbury Sigerico, di ritorno da Roma tra il 990 ed il 994, descrisse un percorso che verrà poi chiamato via Francigena.
La descrizione di Sigerico attesta che la via Francigena passava da Losanna, città commerciale fin dal VI secolo e sede vescovile, nota per la stupenda cattedrale medievale di Notre Dame.
E’ un documento fondamentale per la storia della comunicazione europea.
Il castello di Chillon esisteva già ai tempi di Sigerico. Apparteneva ai vescovi di Sion, capoluogo del Canton Vallese. Poi passò ai Savoia.
Secondo i documenti, dal 1150 il traffico navale sul Lago Lemano e la strada per il Passo del Gran San Bernardo erano controllati dalla Casa di Savoia, dinastia documentata dai primi anni del Mille.
Il territorio del Vaud dominava il Moncenisio ed il Gran San Bernardo, due rilevanti passaggi dei grandi itinerari commerciali. Era ottima fonte di reddito per i dazi doganali sulle merci trasportate. Per ragioni economiche e strategiche fu ampliato il castello. Nel 1214 fu fondata la città nuova di Chillon, l’odierna Villeneuve e fu eretta la chiesa di Saint-Paul, visibile oggi nella Grand-Rue. I Savoia mantennero una flotta e cantieri navali a Villeneuve.
I registri contabili di Chillon dell’anno 1258 citano l'esistenza di una galea appartenente al Conte di Savoia. Dal 1561 questi documenti sono a Torino, divenuta capitale del Ducato di Savoia.
I maestri d’ascia per dirigere il cantiere giunsero specialmente da Genova, nella cui area eccelleva la costruzione navale.
Sulla galea i soldati stavano a prua e dietro di loro c’erano le file dei rematori.
Con il vento favorevole, si issava la vela latina (triangolare) o le due vele latine sui due alberi di maestra al centro e di trinchetto a prua.
Il contabile del castello di Chillon annotò duecento “aulnes” di stoffa (quasi trecento metri quadrati) per confezionare le vele.
La galea più grande, varata verso il 1300, poteva portare fino a trecentottanta uomini.
Come nel Mediterraneo, dal XIII al XVIII secolo sul lago Lemano è testimoniata la navigazione di galee.
Venivano utilizzate per saccheggiare o proteggere le merci commerciate.
Le prime galee varate sul Lemano erano simili a quelle che combattevano nel Mediterraneo, ma furono adattate alle esigenze del lago.
Sul Lemano si combatterono delle vere battaglie navali e le galee ne furono protagoniste.
Nel 1536 il Vaud fu conquistato dai Bernesi ed il castello di Chillon divenne la residenza permanente del balivo, funzionario e rappresentante dell'autorità politica centrale.
Il territorio fu allora presidiato dalle galee bernesi Le Grand Ours e Le Petit Ours. Nel 1695 il porto di Morges fu ultimato per uso militare e commerciale. La flotta bernese venne disarmata alla fine del XVIII secolo. Nel 1803 fu fondato il Canton Vaud.
Una nota è dovuta.
Tutti sappiamo che la Svizzera com’è oggi risale al 1848. Prima è corretto parlare della storia di un mosaico di cantoni diversamente governati. I cantoni rurali tenevano un'assemblea popolare formata da tutti gli uomini dei comuni influenti e le funzioni amministrative prestigiose erano ricoperte da alcune famiglie. Nei cantoni di città come Zurigo, Basilea e Sciaffusa, l’amministrazione era affidata alle corporazioni. Altri cantoni di città come Berna, Lucerna, Friborgo, Soletta, erano gestiti dall’aristocrazia locale. I diversi cantoni si riunivano per discutere questioni comuni nella Dieta Federale, che trae le prime origini nel XIV secolo ed ancor prima dal Patto eterno confederale del Grütli tra le comunità di Uri, Svitto e Untervaldo.
Riportiamo le parole della professoressa Gabriella Airaldi, illustre medievalista genovese: …la marineria ligure ha una storia antica ed è l'unica tra quelle europee, che, molto prima di quella inglese, si sia proiettata nel mondo. In piena età medievale l'azione trainante svolta dal porto di Genova e dal network solido e interattivo di clan familiari…prevede, per una regione che diventa “porta” dell'Occidente europeo, un’inevitabile opzione marittima. Da quel momento in poi la Liguria diventa un centro di eccellenza per tutto ciò che ha a che vedere con la nave e la navigazione… Legati a una cultura dell'espansione e impegnati a sfidare orizzonti sempre più ampi i liguri sono obbligati all'approfondimento costante di strumenti e competenze tecniche essenziali, che non riguardano solo la loro cultura economica e uno shipping estremamente sofisticato, ma interessano tutto il territorio in funzione di una cantieristica sviluppata su tutta la costa, impegnata a elaborare e rielaborare costantemente una tipologia navale utile al cabotaggio o alla navigazione di lungo corso. … per quanto attiene i mestieri del mare le maestranze - dai maestri d'ascia ai calafati - sono assai richieste sul piano internazionale…
Così riemerge la storia dei maestri d’ascia liguri nel Castello di Chillon sul lago Lemano
Non a caso Lemano, secondo l’antica denominazione di origine greca Λιμένος Λίμνη, significa lago del porto.
λίμνη [-ης, ἡ] = lago, λιμήν [-ένος, ὁ] = porto.
Dai porti liguri ci si mosse quindi verso i porti svizzeri.
Non ci stupiranno ora le parole di Antonio Calegari, comandante della Marina Militare e Mercantile italiana, studioso di storia e letteratura navale, che nell’articolo Il passato di Rapallo sul mare scrisse: Rapallo manda persino sulle rive del Lemano alcuni suoi figli, un Sacolosi ed un Andreani, quali maestri d’ascia per la costruzione di galee sabaude.
Fonti:
Airaldi Gabriella, Sabedores de mar, in Genova Impresa, rivista, 2/2009
Archivio di Stato di Torino
Calegari Antonio, Il passato di Rapallo sul mare, in Il Mare, rivista 11 Luglio 1954
Collectif Auteur, Galère La Liberté. Du rêve à la réalité, Edité par Cabédita, Yens-sur-Morges (Suisse) (1998)
Cox Eugene, The Green Count of Savoy: Amadeus VI and Transalpine Savoy in the Fourteenth Century, Princeton-New Jersey, Princeton University Press, 1967.
Dizionario Storico della Svizzera (DSS), Locarno, Armando Dadò editore, 2002
Gillard Charles La conquête du Pays de Vaud par les Bernois, in Dictionnaire historique de la Suisse, VII, s. v.
Gimpel Jean, The Medieval Machine: The Industrial Revolution of the Middle Ages Holt, Rinehart and Winston, Austin TX, 1976
Gonet Olivier, Lac Leman ou Lac de Genève - Le Léman: Son histoire, ses pirates, les galères savoyardes, sa géologie, l’eutrophisation - www.oliviergonet.com/
Kohler Eric Alain, Christian Reymond, Les Cahiers de la Bibliothéque de Chillon - N° 0 Le Léman des Voiles Latines, Exposition Château de Chillon, Mai-Juin 2005
Le Canton de Vaud 1803 - 1953, Ouvrage publié à l'occasion du cent cinquantième anniversaire de son entrée dans la Confédération , Edition Felix Perret, Lausanne, 1953
Naef Albert, La flottille de guerre de Chillon aux 13e et 14e siècles, Lausanne, 1904.
Penco Gregorio, Centri e movimenti monastici nella Liguria altomediovale, in: Benedictina vol. 10 (1956)
swissinfo.ch, unità aziendale internazionale della Società svizzeradi radiotelevisione (SRG SSR).
TEMPO DI GUERRA... amarcord 4
TEMPO DI GUERRA
AMARCORD... 4
La guerra degli ….altri genovesi
Dal libro < Liguria amore mio> di Renzo Bagnasco-Mursia Editore. Capitolo Y
Senza che nessuno lo potesse sapere, stava per finire quella che, poi, si ricorderà come l’ultima estate di guerra; gli anglo-americani erano ormai padroni assoluti del campo e, in mare, da tempo, non c’era un’imbarcazione italiana e neppure più quelle poche della marina tedesca. Un’ordinanza nazi-fascista vietava infatti l’uso di barche a chicchessia per paura che, fra queste, potesse esserci chi l’avrebbe utilizzata per tenere contatti con sommergibili nemici.
Correva voce che al largo incrociassero navi alleate con tanto di portaerei, indispensabili basi agli aeroplani per continuare a bombardare il Nord-Italia; dopo si seppe che quegli sciami di bombardieri che vedevamo passare, partivano dagli aeroporti del Centro e del Sud-Italia, già in mano loro. Anche in cielo non volavano né aerei tedeschi e, meno che meno, italiani.
I cannoni delle nostre antiquate batterie contraeree, mai ammodernati, avevano gittata utile solo per tentare di colpire i vecchi aerei ma non per arrivare alla quota cui volavano le nuove fortezze volanti che quindi, in pieno giorno e con visibilità ottima, scorgevamo arrivare dall’orizzonte, passarci sopra le teste e andare a portare devastanti distruzioni, nell’entroterra.
Viste così, geometriche formazioni compatte, sembravano fazzoletti di coriandoli d’alluminio luccicanti al sole; l’uno a seguire l’altro, distanziati da un brevissimo intervallo, questi rettangoli rombanti, avanzavano indisturbati. Sotto di loro, nel tentativo di salvaguardare l’onore nazionale, si perdevano i colpi sparati vanamente dai nostri asfittici cannoni; riuscivano solo a disegnare un disordinato tappeto di bianchi batuffoli di cotone, oltre i quali s’intravedeva il greve, indisturbato avanzare degli aerei. Solo dopo aver capito che per noi non c’era più gioco o, semplicemente, perché non avevamo più munizioni, si decisero a far tacere quegli inutili rumorosi ferri vecchi, risparmiandoci le pericolose piogge di schegge che ricadevano, sparpagliate, ad ogni deflagrazione.
Nei primi anni di guerra i bombardamenti avvenivano di notte perché, con il buio, aerei che ancora non volavano molto alti potevano contare sul fatto di non essere individuati. Il nostro sistema d’allarme, leggermente antiquato, era basato sull’intercettazione fonica del rombo dei motori; dei non vedenti erano appollaiati alla base di aerofoni posti in altura per poter spaziare e, grazie alla loro acuta percezione, avvertivano i rumori degli aerei in avvicinamento. A questo punto partiva l’allarme che veniva diffuso alla popolazione attraverso l’urlo di apposite sirene. Quando il rombo era percepibile anche da noi, si accendevano le fotoelettriche, i riflettori militari che sciabolavano il cielo nella speranza, a volte ripagata, di “agganciare” qualche aereo, così da potere concentrare su quel puntino riflettente luce che procedeva contro un cielo nero, tutti i tiri; a volte, lo colpivano. E pensare che i nostri avversari possedevano già il radar.
Sul finire della guerra invece, le nuove formazioni aeree, dopo essere transitate cariche di bombe, ritornavano indisturbate e scariche; il cupo rumore iniziale emesso dai motori sotto carico era, al ritorno, meno pesante del primo, non per questo però meno lugubre. Tutto quell'andare e venire sopra le nostre teste, per fortuna, non interessò chi abitava lungo la battigia, se si esclude Recco e, rispetto agli anni che precedettero l’armistizio, si aveva l’impressione che gli obiettivi che intendessero colpire, ora fossero meglio individuati e più mirati. Evidentemente prima, quando le incursioni avvenivano di notte, erano condotte in maniera anche indiscriminata; l’importante era colpire, annientare il nemico e fiaccare i civili, non essendo facile, al buio, distinguere ogni specifico bersaglio in città rigorosamente oscurate. Se invece lo dovevano assolutamente individuare, lanciavano alcuni “bengala” (razzi illuminanti) che scendendo lentamente, trattenuti in aria da dei piccoli paracadute, illuminavano la zona a giorno, per un tempo tale da consentire d’individuare bene l’obiettivo.
All’epoca era ormai operante il movimento per la Libertà o dei Partigiani, il termine <Resistenza> l’imparammo dopo e, chi ci bombardava, da lì a poco sarebbe, come amico e liberatore, arrivato proprio nelle stesse zone che, appena il giorno avanti, aveva distrutto. E’ innegabile che una certa “confusione” regnava ovunque perchè, in quello stesso periodo, parte di Italiani uniti ai tedeschi, combattevano gli alleati ed i partigiani.
A proposito dei bersagli mirati, fui testimone di due indicativi episodi. Il primo è stato la distruzione di un tratto vitale della ferrovia che collega l’Italia con la Francia, proprio sulla costa a levante di Savona in zona disabitata; solo qualche tempo prima, Novembre 1943, pur di distruggere un simile obiettivo ferroviario, non esitarono a radere al suolo l’intera cittadina di Recco effettuandovi decine di bombardamenti, il cui centro abitato è, da sempre, scavalcato dal gran ponte ferroviario, punto nevralgico e vitale per collegare Ventimiglia con La Spezia.
Torniamo all’episodio che ho iniziato a descrivere; nella tarda mattinata di quel giorno soleggiato, preceduti dal consueto lugubre e appesantito rombo dei motori, arrivarono dal mare gli aerei che, compiendo un ampio semicerchio, si portarono sul bersaglio, volando paralleli alla spiaggia. Da ogni formazione vidi sganciare una quantità di bombe lucide come confetti d‘argento, il cui scoppio, data la distanza dalla quale, emozionato, osservavo la scena, subito non avvertii; mano a mano che le bombe toccavano terra, si vedeva elevarsi un parallelepipedo di fumo che si allungava nella stessa direzione della loro marcia, come gigantesco bruco grigio scuro dalle zampette rosso fuoco che, mantenendo ferma un’estremità, distenda lentamente il suo corpo segmentato. Il fragore della spaventosa, prolungata esplosione giunse qualche istante dopo, assieme all’allarmante sobbalzare della terra su cui poggiavo i piedi, come scossa da un innaturale sussulto.
Solo dopo si seppe che quello che avevo visto era uno dei tre bombardamenti strategici, effettuati pressoché simultaneamente, nell’Agosto del ’44 per evitare che truppe tedesche fresche, accorressero a dar man forte ai camerati impegnati in Provenza a contrastare lo sbarco degli Alleati, fra Cannes e Tolone, effettuato nell’ambito dell’operazione <Dragoon >.
L’altro episodio, verificatosi proprio sopra la mia testa, avvenne nella stessa estate del gran bombardamento descritto; quella mattina, al solito, passarono aerei carichi di bombe e dopo un po’, mentre noi ragazzi stavamo ancora giocando, avvertimmo il familiare rombo degli aerei scarichi, di ritorno dall’ennesima missione. Qualche istante dopo, uno, volando insolitamente solo e a bassa quota, ci passò sopra in fiamme, sorvolò l’Aurelia sfiorando il Castelluccio, un vecchio fortilizio anti-saraceni al confine fra le spiagge di Prà e di Pegli, sul quale avevano installato una mini batteria antiaerea dotata di un cannoncino rapido ma di piccolo calibro. Appena giunto sul mare, vi sganciò il residuo micidiale carico di bombe ancora a bordo per poi, poco più avanti, inabissarsi. Non avemmo neppure il tempo di spaventarci, tanto fu rapido e spettacolare il susseguirsi degli eventi. Una cosa però ricordo bene; se si è nei pressi dell’obiettivo che intendono bombardare, si vedono le bombe cadere a grappolo avvertendo il caratteristico penetrante sibilo prodotto dalle loro alette mentre fendono l’area per mantenerne posizione e direzione, ma se ti trovavi sul bersaglio, quel sibilo sopra di te si trasforma in un assordante e convulso frullare d’ali che cessa solo al momento della lacerante esplosione a seguito della quale, se hai fortuna, ti ritrovi scaraventato a terra da una fortissima, irrefrenabile ventata d’aria calda che travolge quella respirabile.
Quel giorno, passata la paura, uscimmo dal pertugio dove c’eravamo ritrovati senza volerlo, e cercammo di scorgere se, in mare d’ove era caduto il bombardiere, ci fosse qualcuno o galleggiasse qualcosa. Si vedevano solo militari tedeschi che, di guardia sulla spiaggia, si affannavano per trovare una barca da varare per catturare il pilota che loro, con i binocoli, avevano scorto galleggiare; non trovarono alcunché perché, essi stessi avevano imposto che le spiagge fossero sempre sgombre, avendovi fatto costruire degli inutilizzati muraglioni di vallo, intercalati da fortilizi, pronti a difenderci dagli sbarchi Alleati, che non erano neppure nei loro piani mancandone i presupposti logistici e strategici.
Restammo a guardare per cercare di individuare anche noi cosa loro vedessero, quando improvvisamente spuntò, volando a pelo d’acqua e controluce in direzione della terra, un aereo che, arrivato all’altezza del fortilizio, cabrò improvvisamente mostrando sotto le ali, l’inconfondibile stella, simbolo dell’aeronautica americana; dopo un mezzo “loop”, come uno squalo che in acqua mostri, rivoltandosi, il ventre, fulmineamente si allontanò.
Presi in contropiede, gli addetti al cannoncino, giovani bersaglieri arruolati nel nostro ultimo esercito raccogliticcio, non restò che sparargli pateticamente dietro in ritardo e mentre si allontanava; contemporaneamente, inosservato, un idrovolante alleato ammarò vicino al luogo del naufragio, recuperò il pilota e, sempre indisturbato, se ne ripartì mentre tutti erano ancora impegnati a colpire l’aereo, “falso scopo”.
Fui felice per quell’uomo perché, coraggiosamente e rischiando la propria vita, sganciò le bombe solo all’ultimo momento e in mare, un attimo prima di cadere; poteva alleggerirsi prima, per garantirsi una maggior autonomia che gli permettesse d’allontanarsi di più dalla costa a lui nemica ma, così facendo, avrebbe raso al suolo parte dell’abitato di Prà e di Pegli.
Quest'episodio sarebbe rimasto come uno dei tanti fatti bellici a sé stanti se, ogni tanto, qualche giovane aitante funzionario della Soprintendenza alle Antichità della Liguria, stimolato ed indirizzato dai sempre interessati difensori del territorio, non scoprisse, ignorando i precedenti, che proprio nel sito in cui caddero quelle bombe esistono, sparpagliati sul fondale, dei minuti reperti di cocciame antico, già studiati e classificati “insignificanti” da chi la materia la conosceva bene. L’ultima volta bloccarono ritardandolo, spensierati ed impuniti, l’avanzare del porto commerciale di Voltri e affossarono il progetto di un porticciolo turistico, ultimo tentativo di risollevare Pegli dalle ormai perdute speranze di farla risorgere.
Questo costosissimo fervore, è certamente imputabile al fatto che, chi subentra al precedente funzionario, per far sapere che c’è, si precipita a ritrovare a Pegli ciò che tutti ormai sanno esistere: anonimi, minuti cocci di terracotta romana.
Quei reperti, di cui è piena la nostra costa, furono oggetto di una campagna di studi subacquei già nel 1952, condotta dal Professor Lamboglia, padre dell’archeologia sottomarina italiana, che concluse ritenendoli <non interessanti > come risulta da <La nave romana di Alberga - Vol.18, 1952- Rivista Studi Liguri >. Ciò nonostante, regolarmente, si emettono ordinanze di divieto di transito per i natanti e per i pescatori e, per alcuni giorni, pagati ovviamente dai contribuenti, gruppi specializzati nelle ricerche archeologiche sottomarine delle forze dell’ordine, sono inviati sul posto ad effettuare ormai vane ricerche; i lavori vengono regolarmente sbandierati sulla stampa cittadina ma i risultati poi, regolarmente, tenuti ben nascosti in un cassetto di una qualche scrivania istituzionale. Ad aumentare la tensione degli “scopritori” c’è anche il fatto che, fra tutto quel cocciame, ogni volta scoprono dei frammenti di legno, subito attribuiti a schegge di nave romana ma che, invece, appartengono a “chiatte” da lavoro, barconi un tempo in uso in porto, lì inabissati dall’Università di Genova in accordo con l’Autorità portuale, sia per liberarne il porto alla fine della guerra che richiedeva nuove tecnologie di lavoro che per tentare di ricreare un habitat ittico allo scopo di ripopolare di pesci il sito. Vana speranza.
Nel classificare la zona come archeologicamente non interessante, il Lamboglia scriveva < ..si è avuta la certezza che non eravamo di fronte ad un relitto di nave, ma semplicemente a un avanzo di carico di una nave o capovoltasi o affondata e trasportata altrove dalle correnti.>
Pochi però sanno, e certamente meno che meno lo sapeva quel pilota che, se si continuano a ritrovare <scarsi oggetti interi e così “insolitamente” sparpagliati >, la colpa è anche di quel sant’uomo che salvò parte di Pegli e, tornando alla base da quella sfortunata azione, non avrà neppure verbalizzato di aver, piuttosto che niente, distrutto gli avanzi di una vecchia, anzi vecchissima nave.
Renzo BAGNASCO
Rapallo, 17 Aprile 2014
YACHT PASSE PARTOUT
YACHT PASSE PARTOUT
Siamo tutti sulla stessa barca!
Ma in pochi sullo stesso yacht.
(Gianni Palladino)
Attratto dall’eleganza e dall’altezza degli alberi del PASSE PARTOUT, ho scattato alcune fotografie; nel frattempo é comparso lo Skipper dal quale ho avuto i dati tecnici che ho riportato in questo servizio.
PASSE PARTOUT é uno Yacht molto lussuoso con lo scafo in acciaio e sovrastrutture in alluminio.
Architetto Navale: Tony Castro Design
Costruito da Jongert Yachts - fu Varato nel 2001 – Ultimo refitting nel 2009.
Lo Yacht PASSE PARTOUT ormeggiato nel porto di Santa Margherita Ligure
Gli alberi hanno un’Altezza rispettivamente di 50 mt. e 38.5 mt.
Lunghezza= 46 é lungo 42.00 mt.
Larghezza= 8.50 mt.
Superficie Velica= 924 m/2
Compartimento attuale= Barcellona – Spagna
E’ dotato di un’elica di prora
PASSE PARTOUT offers accommodation for up to 8 guests in 4 suites comprising 1 owner cabin, 1 double cabin, 2 twin cabins, 3 pullman cabins. She is also capable of carrying up to 6 crew onboard to ensure a relaxed luxury yacht experience.
ALBUN FOTOGRAFICO
La vera pace di Dio comincia in qualunque luogo
che sia mille miglia distante dalla terra più vicina.
(Joseph Conrad)
Carlo GATTI
Rapallo, Venerdì 15 Giugno 2018