CARLOFORTE - LA MADONNA DELLO SCHIAVO
LA MADONNA DELLO SCHIAVO
A sinistra l’isola di S.Pietro (Sardegna)
Verso la metà degli anni ’60, La Società Rimorchiatori Riuniti di Genova rinforzò la sua già potente flotta (50 unità circa) con nuove costruzioni finanziate in parte dalla Cassa del Mezzogiorno. Con questo escamotage politico-economico furono varati sei potenti ‘mastini’ ai quali vennero assegnati tipici nomi sardi: Torregrande, Casteldoria, Nuraghe, Capo Ferro, Capo Testa, Capo Caccia. Avevano una banda blu, pitturata sopra il bottazzo, che correva lungo il panciuto scafo nero e facevano compartimento CAGLIARI, la cui scritta era ben visibile sulla poppa.
Una clausola dell’operazione prevedeva che l’armatore assumesse equipaggi sardi che, guarda caso, furono reclutati in larga parte a Carloforte (Isola di S.Pietro), baluardo di scuole nautiche d’eccellenza, e di grande tradizione marinara. In quegli anni i carlofortini (alias carolini) erano sparsi ovunque sulle navi della marina mercantile di Stato, di quella Libera ed anche militare.
I nuovi ‘barcaccianti’ * sardi furono accolti come lontani parenti che ritornavano a Genova dopo tanti anni di lontananza storpiando un po’ il dialetto, ma che di Genova-Pegli ne sapevano più di tanti locali...
La comunità composta di marinai, motoristi, ma anche comandanti ed ufficiali non solo s’inserì facilmente nel tessuto portuale sotto la Lanterna, ma fu subito stimata per le qualità marinare che dimostrò anche nella nuova e difficile attività dei ‘rimorchi d’altomare’.
Dai loro racconti, ben presto venne alla luce la sofferta storia di quest’antica etnia di corallari ‘pegioti’, inviata a Tabarka (Tunisia) dalla nobile famiglia dei Lomellini e per i barcaccianti autoctoni, meno acculturati, si trattò di una autentica scoperta. La storia si diffuse su tutti i bordi e in breve tempo, non pochi scelsero u schéuggio come meta delle loro vacanze. Da una conoscenza più approfondita emerse allora che l’identità di questa minoranza, non solo correva lungo il meridiano che passa per Ge-Pegli, l’isola di S.Pietro e l’isolotto di Tabarca in Tunisia, ma che queste sparse radici sostenevano un unico tronco ben piantato nella terra dei nuraghi.
Già, i tabarchini si sentono più sardi che continentali ed é giusto che sia così! Se in tutto il mondo ogni isola attrae i suoi figli con una speciale forza magnetica, i carlofortini o carolini sentono ancor di più questa triplice forza ‘insulare’ in virtù, anche, della consapevolezza di sentirsi una maglia d’unione tra l’Europa e l’Africa.
Forte genovese di Tabarca
Veduta aerea di Tabarca
A questo punto, per chi non si fosse ancora imbattuto in questa simpatica comunità etnica che parla il dialetto genovese, consigliamo di seguirci in questa veloce cavalcata storica...
Nel 1542 un nucleo di marinai e pescatori partì da Pegli e dai vicini paesi della riviera ligure, al seguito del potente casato genovese dei Lomellini che aveva avuto concessioni territoriali in Nord Africa, e s’insediò sulla costa e sull'isolotto di Tabarka (Tunisia) che si trova nei pressi del confine con l’Algeria.La loro storia prese avvio con redditizi traffici commerciali di spezie e stoffe pregiate, ma soprattutto con la pesca e la vendita del corallo che durò fino al 1738, anno in cui partì la prima richiesta di rimpatrio. Dopo una pacifica convivenza con le altre comunità della zona magrebina, durata ben 196 anni, la concessione dei Lomellini diventò improvvisamente un problema. Sui fondali intorno all’isola cominciò a scarseggiare il corallo, i mercati languirono e iniziarono a moltiplicarsi le incomprensioni. Le contestazioni politico-commerciali con alcuni rais locali si risolvevano sempre più spesso con l’uso della violenza contro la comunità cristiana. Le convivenza prese una pessima piega quando cessò il dialogo, e il ricatto e la schiavitù diventarono le uniche armi imposte da chi regnava a Tunisi o ad Algeri in quel momento. Per questi motivi, stanchi di crescenti vessazioni, una parte dei Tabarchini, con a capo Agostino Tagliafico, nel 1738 chiese al re Carlo Emanuele III di Savoia di rimpatriare in un luogo sicuro, in pace e libertà, per continuare i commerci con il resto del Mediterraneo. Fu scelta l'isola degli Sparvieri, allora deserta, mediante una regolare infeudazione. Oggi l’isola si chiama San Pietro e si trova in prossimità della costa Sud-Occidentale della Sardegna.
Stemma del Comune di Carloforte (6.420 ab.) (Isola di S.Pietro)
Gonfalone
Calata Mamma Mahon (Carloforte)
Spiaggia da Bobba (Carloforte)
Grati per la soddisfacente sistemazione, i nuovi abitanti dell’isola eressero una statua in onore del Re nella piazza principale del Paese (U Pàize) che fu chiamato Carloforte come segno di riconoscienza e fedeltà. A San Carlo Borromeo fu invece dedicata la Chiesa parrocchiale. Il Re donò per l'occasione un pregiato quadro raffigurante il Santo Patrono, ancora oggi situato nell'abside della Chiesa. Nel 1770 un seconda comunità di coloni provenienti da Tabarka s’insediò nella vicina Isola di Sant'Antioco, sul lato prospiciente l'Isola di San Pietro, dove fu fondato il paese dio Calasetta. Evidentemente, i conti tra i tabarchini e i berberi nord-africani non si erano chiusi definitivamente. Infatti, il 3 settembre 1798, nelle primissime ore del mattino, gli equipaggi di tre navi corsare algerine sbarcarono nel porto di Carloforte e l’isola subì una feroce incursione piratesca. 933 carlofortini (circa la metà degli abitanti dell’isola) furono catturati, deportati e tenuti schiavi a Tunisi per cinque anni, fino al 24 giugno 1803, giorno in cui furono riscattati e poterono ritornare in patria. *
Sono passati ormai 215 anni da quella tragica ‘Via Crucis’ sofferta dai deportati carlofortini. Quale ricordo é rimasto oggi nel cuore e nella mente dei suoi discendenti? Oltre all’incancellabile ‘passaparola’ tramandato come un tam-tam di generazione in generazione, é rimasta per sempre una testimonianza di fede che vale la pena ricordare.
Durante il quinquennio di schiavitù, il prigioniero Nicola Moretto, un ragazzo che era riuscito a farsi benvolere dal suo padrone e quindi a godere di qualche libertà, rinvenne sulla spiaggia di Nabeul, vicino a Tunisi, una statua lignea. Quel pezzo di legno, nonostante fosse consumato dalle burrasche e corroso dalla salsedine, conservava ancora i lineamenti di una Madonna con il Bambino. Il ragazzo, come preso da un incantesimo, la nascose nel suo mantello e la riportò a casa difendendola dalla curiosità degli altri servitori musulmani. Riuscì a fatica a consegnare la statua a don Nicolò Segni, che dopo una sommaria ‘ritoccata’ la pose subito in venerazione.
Chiesa della Madonna dello Schiavo (Carloforte)
La Statuetta ritrovata
Il ritrovamento, é facile immaginarlo, fu accolto come un segno tangibile della protezione della Vergine e, improvvisamente, il morale dei deportati passò dalla disperazione alla speranza, e quindi alla fiducia in una prossima liberazione. Fu un evento miracoloso? Quei 933 disperati lo interpretarono, sicuramente, come un segno del cielo che avrebbe dato, prima o poi, i suoi frutti. Da quel fatto ebbe origine il culto della "Madonna dello Schiavo" protettrice dei Tabarkini.
Si tramanda che persino i musulmani, che venerano Maria (Maryam) e credono nella sua eccellenza e verginità, guardarono a quel ritrovamento con profondo rispetto e, da allora in poi, trattarono con maggiore rispetto gli schiavi cristiani.
Successivamente, re Carlo Emanuele III di Savoia pagò un oneroso riscatto e gli schiavi poterono ritornare in Sardegna.** La piccola statua della Madonna fu portata anch'essa a Carloforte e per accoglierla fu costruita l'omonima Chiesa della "Madonna dello Schiavo".
Le persecuzioni piratesche continuarono ancora per diversi anni, fino a quando il fenomeno fu definitivamente represso in tutto il Mediterraneo. Ma questa é un’altra storia. Concludiamo questo rapido sguardo a “volo d’uccello” segnalando che nella storia della comunità Carolina, dal 1738 fino ai giorni nostri, spiccano personaggi divenuti famosi nel mondo dell'arte, della cultura, della politica, nelle armi, delle arti e dei mestieri. Una parte cospicua della sua etnia risiede in tutti i continenti, non solo per necessità, ma per vocazione marinaresca, tanto che molti anziani ritornano a pösâ e osse nella loro terra d'origine: ‘u schéuggio’.
Carloforte é gemellata con le seguenti città: Tabarca (Spagna)- Camogli, dal 2004 - Montecchio Maggiore, dal 2009.
Note:
* La parola Barcacciante, deriva probabilmente dal termine francese ‘barcasse’ che indica un’imbarcazione portuale tuttofare.
** Solo sei carlofortini, per salvarsi dalla schiavitù, abiurarono la fede cristiana divenendo musulmani. Gli altri perseverarono, sostenuti da un certo don Nicolò Segni, che aveva seguito volontariamente i suoi concittadini nella prigionia; può essere interessante sapere che tale don Segni è un lontano parente della ben nota famiglia di politici sardi.
*** I padri Mercedari si impegnarono a fondo nella raccolta della somma necessaria per il riscatto, che, rispetto ai valori di allora, fu enorme: 655.000 lire sarde; della somma il 12% era stato raccolto dai frati, mentre il resto fu a carico delle famiglie degli schiavi e del Regno sardo. L’evento della liberazione ha avuto il suo epilogo nel santuario di Bonaria (Cagliari), retto dagli stessi Mercedari, con una particolare celebrazione di affidamento a Maria Santissima.
Carlo GATTI
Rapallo, 13.9.2012
QUANDO A RAPALLO C'ERANO I VIP …
QUANDO A RAPALLO C'ERANO I VIP …
HANS NÖBL, CON LA SUA SCUOLA DI SCI NAUTICO, OPERAVA CON I FAMOSI MOTOSCAFI "RIVA" PRESSO
L'EXCELSIOR PALACE HOTEL
Il Casinò di Rapallo competeva con quello di Montecarlo. La sua storia ha inizio nel 1900, quando viene autorizzata la sua apertura nelle sale del lussuoso Hotel Kursaal Rapallo affacciato sul Golfo del Tigullio. Il Casinò resterà aperto sino al 1924 quando il fascismo ne decreta la fine. Riaprirà, per un breve periodo, nel 1946, ma la sua storia, ancora oggi, fa arrabbiare il Tigullio. Il Casinò di Rapallo, infatti, era uno dei migliori in Europa. Oggi la struttura è utilizzata come albergo di lusso.
Il comandante Roberto Donati racconta:
“Quando mio padre (rapallino di S.Ambrogio) tornò in Liguria nel 1953, come Grande Invalido di Guerra, riprese i contatti con gli amici di sempre e nonostante la sua invalidità, per supplire alla misera pensione di guerra, riprese a lavorare come meccanico per la manutenzione dei motori marini in ricovero durante l’inverno, e nei mesi estivi, per un breve periodo, fece il conduttore motorista per la Scuola di sci nautico di Hans Nöbl, noto campione di sci invernale, divenuto istruttore di sci nautico presso il Grand Hotel Excelsior di Rapallo. Fu quello il periodo più gratificante per mio padre, sia per l’ambiente che frequentava la Scuola di sci nautico (noti attori, attrici, scrittori ecc.) sia per la considerazione professionale in cui era tenuto.
Anche per me fu un periodo che ricordo con piacere, infatti, lavorando con lui imparai a guidare i motoscafi RIVA della scuola ottenendo, in seguito, il patentino nautico che mi permise di sostituirlo negli anni successivi”.
Hans NÖBL in Navigazione nel Golfo Tigullio con messaggi pubblicitari. Il maestro dei maestri di sci che era noto in Italia con il nomignolo: “L’ARCANGELO DELLE NEVI”.
Il genitore di Peter Rosenberg durante la fase di allenamento per il tentativo di record sulla distanza Rapallo – Sestri Levante andata e ritorno senza sosta.
La spiaggia del KURSAAL
Hans Nöbl prepara il giovane Peter Rosenberg
Il Giovane Peter Rosenberg pochi istanti prima della partenza per stabilire il record sulla distanza Rapallo – Sestri Levante andata e ritorno senza sosta.
Il campioncino Peter Rosenberg 25.8.1961 all’arrivo dopo la prova di resistenza
Roberto Donati alla guida del Riva
I frequentatori della scuola:
Soraya Esfandiari, ripudiata dallo Scià di Persia Reza Palhavi per motivi dinastici, scelse di vivere gran parte di quegli anni nella nostra Riviera e quella francese. Il personaggio restò fedele al suo ruolo regale di principessa triste. Soraya, lanciò la moda del costume intero, in una foggia che anticipò l'olimpionico: così si chiamerà il modello liscio e aderente, libero da stecche e rinforzi, ispirato alle atlete del nuoto, che dominerà la metà degli Anni Sessanta, soprattutto delle adolescenti. All’epoca della frequentazione dell’ Hotel Excelsior Palace di Rapallo, Soraya aveva recitato in alcuni film girati nella capitale. Soraya e suo fratello erano molto appassionati di sci nautico ed erano considerati tra i più esperti allievi di Hans Nöbl.
Un altro illustre appassionato di sci d'acqua il giovane re Hussein di Giordania, si allenava nel Tigullio sotto la guida di Hans lanciando la moda del costume a calzoncino, piuttosto corto, con doppia tasca e laccio in vita. Ma, da tutti i modi e le mode, si staccava l'eleganza di Rex Harrison, fotografato a Rapallo, dove aveva casa, con la moglie Lilli Palmer. Lo si ricorda in calzoni corti bianchi, camicia aperta fino in vita, golf sulle spalle mostrando quel sorriso che lo fece amare da molte signore.
Erano gli anni della grande popolarità di Alberto Sordi, Sylva Koscina, Rosanna Schiaffino che girarono parecchi film proprio all’Excelsior e nelle sue spiagge: RACCONTI D'ESTATE. Nel giro c’era anche Vittorio Gassman e Anna Maria Ferrero.
Roberto Donati conobbe anche molti diplomatici europei e mediorientali. Ma i lettori con i capelli bianchi ricordano d’aver incontrato in quegli anni a Rapallo John Wayne, Cary Grant, Lana Turner, Tyrone Power e Tony Curtis il quale, chi scrive ebbe il piacere di conoscere nella “villa delle rose” del famoso fotografo rapallese Aldo Diotallevi che curava una prestigiosa galleria fotografica di attori, scrittori, commediografi, poeti da lui incontrati ed immortalati con la sua inseparabile Leica.
Amico Donati ci racconti qualcosa di Hans Nöbl?
“Hans organizzava anche manifestazioni di propaganda di quello sport diventato molto popolare tra i VIP. Amava esibirsi sostituendo gli sci con un disco di circa un metro di diametro; parlava molte lingue, lui stesso era un VIP internazionale e i suoi clienti erano affascinati dal suo eccelso modo d’insegnare per il quale era diventato famoso sia sui campi da sci in alta montagna che sulle spiagge nostrane.
Austriaco e di scuola teutonica, amava alternare charme e sudditanza in base alla fama dei clienti; con i suoi stretti collaboratori, non era così elegante, al contrario era parecchio esigente.
Ricordo che nei momenti di pausa ci faceva raschiare gli scogli ricoperti da un viscido strato di alghe verdi che erano distanti e nulla avevano a che fare con la sicurezza del passaggio dei clienti e dei bagnanti, incarico che spettava, qualora fosse stato necessario, al personale dello stabilimento balneare del Kursaal. Per questo motivo, ma anche per altri similari, Hans ebbe molte difficoltà nel sostituire i collaboratori che sempre più spesso interrompevano la loro collaborazione con la scuola.
Hans era un ottimo imprenditore di sé stesso! Ricordo che inventò una gara di resistenza sugli sci sulla tratta: Excelsior (Rapallo)-Sestri Levante e ritorno. La disciplina diventò ufficiale per quella distanza ed in seguito fu adottata nei Campionati nel mondo. Lui stesso allenò per lungo tempo un giovane campione molto forte, si chiamava Peter Rosenberg”.
Su quale distanza standard avveniva la lezione allo sciatore d’acqua?
“Si partiva dalla Spiaggia dell’Excelsior, si arrivava al Castello dei Sogni, si virava e si faceva ritorno. La distanza era circa un miglio e si navigava alla velocità di 15-20 nodi.
La Sagola di nylon con maniglie aveva una lunghezza di circa 20 metri. Se lo sciatore cadeva, mollava la cima ed io avevo il compito di recuperarla, facevo una curva con il motoscafo per compiere la ripartenza. Gli sci erano di legno plastificato, ne usavamo di varie misure a seconda dell’uso specifico, delle capacità e delle misure del cliente”.
Ha qualche aneddoto particolare da raccontare ai rapallesi?
L’attrice Silvana Pampanini ritratta sulla spiaggia dell’Excelsior
Silvana Pampanini sta per lanciarsi nel mare del Tigullio
“A dire la verità, fu proprio Hans Nöbl che m’insegnò ad essere riservato, educato e a non esprimere mai giudizi e commenti di alcun genere sui clienti. Aveva ragione! E io non lo delusi mai. Ormai é passato tanto tempo e la memoria non é più quella di un tempo tuttavia, più che un aneddoto, posso raccontare di una visione un po’ particolare che ebbi un pomeriggio, quando fummo chiamati da un panfilo che aveva dato fondo l’ancora vicino alla nostra scuola di Ski e ci accorgemmo che la voce era della diva Silvana Pampanini che chiedeva al Maestro se poteva esibirsi con un mono sci.
Il Maestro esaudì la sua richiesta con entusiasmo! L’attrice mostrò subito di essere una provetta sciatrice e ci meravigliò non poco quando invitò il Maestro ad accelerare la velocità in progressione. Purtroppo, facendo alcuni slalom fra le onde, l’attrice perse l’equilibrio e cadde in mare. Facendo la solita manovra per recuperarla, aiutai a salire sul motoscafo Silvana Pampanini che aveva perso il reggiseno del bikini… ed io vidi dal vivo… la Nascita di Venere del Botticelli.
Quando Hans Nöbl arrivò era già famoso come una star?
Hans Nöbl arrivò a Rapallo con un palmares di tutto rispetto! Se l’era guadagnato sulle piste del Sestriere come maestro di sci della famiglia Agnelli.
Giovanni Agnelli era un provetto discesista, almeno fino al primo incidente che gli lasciò una gamba malferma. L’Avvocato amava sciare con il suo istruttore e accompagnatore personale che era appunto il maestro austriaco Hans Nöbl.
La cittadina in provincia di Torino è da sempre legata alla famiglia Agnelli, che in pratica la “inventò” negli anni ’30. Fu il senatore Giovanni Agnelli, nonno dell’Avvocato e fondatore della FIAT, ad acquistare un vasto appezzamento di prati e boschi (40 centesimi al metro quadro, non molto anche per allora) sul quale sarebbe sorta l’odierna località sciistica, che è stata teatro di un campionato del mondo di sci e delle Olimpiadi della neve dello scorso gennaio”.
Annotiamo: Il Circolo Sciatori Sestriere si sviluppò di pari passo con la stazione stessa, passando da 90 soci nell’inverno 1934 a 1.400 nel 1936; così come la Scuola Nazionale di Sci, fondata da Angelo Rivera e diretta da Hans Nöbl, il cui numero di allievi salì da 1.625 a 11.832 in tre anni. Gli strumenti utilizzati per veicolare e valorizzare un messaggio pubblicitario erano diventati con gli anni sempre più vasti ed eterogenei. Fu in quella stagione che il Maestro austriaco si guadagnò il soprannome di “Arcangelo delle nevi”.
Nel dopoguerra la fama di Hans Nöbl maestro di sci era aumentata grazie alla stretta amicizia con il suo amico e connazionale Gustav “Guzzi” Lantschner che era stato negli anni trenta una delle stelle dello sci, campione del mondo di discesa libera nel 1932, vinse in totale tre medaglie d'oro olimpiche e tre titoli mondiali. Nel frattempo “Guzzi” si trasferì a Bariloche in Argentina e chiese ad Hans di raggiungerlo per analizzare il posto migliore dove installare un centro sciistico. Hans definì che la zona più appropriata è sulle pendici del Cerro Catedral. La notorietà di Hans crebbe di pari passo con i successi d’attore del cinema di “Guzzi” il quale interpretò diversi ruoli avventurosi ambientati in montagna. Girò delle pellicole con Leni Riefenstahl e, insieme a Luis Trenker fu un vero divo dell'epoca.
Che ruolo ebbe Hans Nöbl nello sci nautico internazionale?
“Hans Nöbl fu molto astuto nel capire la potenzialità di questo nuovo sport acquatico nato pochi anni prima. Fu Ralph Samuelson, nel 1928 a fondere in un'unica attività sportiva lo sci da neve ed il surf.
Ralph Samuelson, riconosciuto universalmente come l'inventore di questo sport era figlio di un meccanico navale e divenne noto come persona sprezzante dei pericoli dichiarandosi sempre pronto per ogni nuova sfida, anche pazza .... Nel '22 formulò quest'ipotesi: "Se scio sulla neve, dovrei poter sciare sull'acqua". Fu così che provò a farsi trainare da una barca con un paio di assi di legno dritte, con risultati scandalosi; problemi che gli crearono anche gli sci da neve, troppo sottili e stretti per l'acqua. Così andò dal falegname locale e si fece intagliare un paio di assi di legno con la punta ricurva verso l'alto, gli antenati degli sci attuali”.
Come finì la storia ?
“Fu così che dal 1922 al 1928 diede spettacolo con i suoi esperimenti, mirando a raggiungere velocità sempre più alte (nel 1925 si fece trainare da un idrovolante alla velocità di 130 km/h) e rischi sempre maggiori, come il salto da una piccola rampa cosparsa di lardo per renderla scivolosa.
Samuelson non chiese mai di esser pagato per queste dimostrazioni. Nel 1937 ebbe una frattura alla schiena e di conseguenza interruppe tutte le sue attività avendo però già posto le basi di quello che poi diventerà lo sci nautico. Negli anni trenta si passò ad un'evoluzione nelle forme, si adottò un triangolo con impugnatura rivestita in gomma (bilancino), si passò a provare la posizione su un singolo sci con i piedi posti uno dietro l'altro in posizione verticale. Le evoluzioni s'interruppero nel periodo inerente alla Seconda guerra mondiale”.
Dopo la guerra lo sci nautico prese fama internazionale con personaggi di spicco in ogni Stato, come Robert Baltié in Francia, il famosissimo David Nations in Gran Bretagna, il nostro Lanfranco Colombo in Italia, Ragnar Frunck in Svezia. Negli anni cinquanta nacque la distinzione ancora presente oggi delle tre discipline dello sci nautico classico: Slalom, Figure, Salto sulla rampa. Nel 1972 lo sci nautico fu disciplina dimostrativa ai Giochi olimpici: nello slalom l'oro olimpico è andato ad un italiano, il ligure Roby Zucchi.
Giunti a questo punto, molti lettori saranno curiosi di conoscere i fondamentali di questo sport che nel nuovo millennio é diventato molto popolare lungo gli 8.000 chilometri di costa italiana.
Come Fare Sci Nautico?
PASSAGGI
1 - Compra un buon paio di sci d'acqua. Per i principianti, è meglio sceglierne un paio lungo, perché permettono una migliore manovrabilità e un maggiore equilibrio.
2 - È uno sport che richiede forza fisica ed energia. Allenati, quindi, facendo allunghi ed esercizi per rafforzare i muscoli di braccia e gambe (come gli "squats" o i "sit-up").
3 - Quando sei sull'imbarcazione, per indossare facilmente gli sci, mettili in acqua. Infila gli sci, scivola completamente in acqua e posiziona la corda da traino tra di essi.
4 - Dì al conducente del motoscafo di muoversi adagio, mettendo in tensione la corda e tieni stretto il bilancino.
5 - Fai un respiro profondo, piega le ginocchia verso il busto, tendi le braccia e appoggiati all'indietro.
6 - Dai il segnale di partenza al conducente dell'imbarcazione. Il conduttore inizierà andando molto lentamente per recuperare l'imbando. Ti sentirai tirare leggermente e potresti avere problemi a controllare gli sci. Facendo un po' di pratica riuscirai a manovrarli con maggiore agilità. Mantieni l'equilibrio e controlla la posizione.
7 - Dai il segnale successivo al conducente per fargli aumentare la velocità (vedi la sezione dei Consigli). Ti sentirai strattonare. Mantieni le ginocchia piegate e le braccia dritte e ricordati di stare col corpo all'indietro. Lascia che il motoscafo ti sollevi dall'acqua. Non cercare di farlo tu.
8 - Probabilmente, la prima volta che proverai, non arriverai a questo punto, ma dal momento che inizierai ad uscire dall'acqua, cerca di raddrizzare le ginocchia in modo graduale, fino a formare un angolo di 70° e ricorda di mantenere il corpo all'indietro.
9 - Quando sarai completamente fuori dall'acqua per la prima volta, è raccomandabile mantenere le ginocchia leggermente piegate, perché sarà difficile mantenere subito un buon equilibrio. Dopo un po' di allenamento (dopo 2-3 sessioni), puoi iniziare a tenere le ginocchia più dritte, senza serrarle, e non avrai più bisogno di stare all'indietro così tanto come in precedenza.
Consigli
- Tieni le braccia dritte. Se le lasci piegate fin dalle prime volte, perderai il controllo e cadrai facilmente. Acquisendo maggiore pratica, potrai lasciarle piegate e tenere un buon equilibrio.
- La velocità dell'imbarcazione da mantenere varia da persona a persona. Quando inizierai a uscire dall'acqua, sarà necessaria una maggiore potenza, ma una volta fuori dovresti andare leggermente più adagio. Se hai meno di 18 anni, la velocità dovrebbe essere 0,90-1,74 nodi in più della tua età. Se hai più di 18 anni, una velocità appropriata è di 17 nodi circa. Avrai bisogno di provare le diverse accelerazioni. Andando troppo adagio, sarà difficile uscire dall'acqua e mantenere l'equilibrio. Andando troppo forte, sarà difficile tenere la presa del bilancino.
- In alcune località non ti faranno iniziare subito con corda e bilancino, ma ti faranno attaccare a una sbarra sporgente dall'imbarcazione. Quando poi sarai in grado di restare attaccato alla sbarra, ti faranno usare la corda.
Il complesso dell'EXCELSIOR PALACE
Ringraziamo il Comandante Donati per averci portato indietro nel tempo per una cifra di anni che é meglio non calcolare…!
CARLO GATTI
Rapallo, 7 Gennaio 2018
ANNI '60 - ARTISTI SOTTO LE PRORE
ANNI ’60
Artisti sotto le prore...
ULTIMI CAPITANI AL TIMONE
Anni ’60. La MICHELANGELO sta uscendo dal porto di Genova. Il M/r TORREGRANDE ha mollato il cavo di poppa. In primo piano alcuni Rimorchiatori a vapore e a motore sono di guardia a Molo Giano, pronti a “scattare” alla chiamata del Pilota sull’imboccatura del porto.
Anni ’70 – l’ormeggio dei rimorchiatori a Ponte Parodi. I rimorchiatori a vapore sono stati demoliti e sono entrati in scena, già da qualche anno, i grossi rimorchiatori d’altura che, in determinate circostanze, sapevano adattarsi anche al lavoro portuale.
Colpi di Mare in Coperta...
Il rimorchiatore della classe FRANCIA (Anni ’60) in mare aperto.
MANOVRA D’AGGANCIO NEGLI ANNI ‘60
Una Petroliera carica sta entrando al Potro Petroli di Multedo (GE). Il cavo della nave, unito all’heaving-line, viene filato lentamente. Tra poco la gassa, visibile nella foto, verrà messa al gancio del rimorchiatore.
Questa istantanea, ripresa dal rimorchiatore di prora, dà l’idea della minima distanza raggiunta dalla nave in entrata. Con un ottimo lancio, l’heaving-line (sacchetto) ha stabilito il primo contatto con la nave. Tra alcuni istanti il cavo scenderà per essere messo al gancio.
Anni ’60. Come si può notare dalla foto sopra, quando il rimorchiatore si trovava a distanza ravvicinata, aveva l’albero sotto la curva del mascone di dritta della nave per prendere il cavo (Nel gergo portuale genovese, il mascone é chiamato “lasciante”). Era il momento più pericoloso. Il Comandante del rimorchiatore doveva calcolare la forza dell’onda che lo respingeva, ma anche la zona di risucchio che invece l’attraeva.
Quando la tramontana soffiava a 30-40 nodi contro la nave in entrata nel porto di Genova il Pilota, per evitare lo scarroccio verso la diga, portava la nave molto al vento, fino a sfiorare le strutture del porto. Più il vento era forte, più la manovra risultava veloce e nervosa. Al Capitano del rimorchiatore occorreva molto sangue freddo: pochi gradi di timone erano sufficienti per avvicinarsi troppo o allargarsi troppo dalla nave e quindi fallire l’aggancio.
In quegli “anni eroici” c’erano ancora tante navi che fornivano il cavo di canapa ai rimorchiatori per la manovra. Questo tipo di cavo, purtroppo, aveva un grave difetto: si appesantiva al contatto con l’acqua di mare e affondava. Il suo recupero rendeva molto arduo il lavoro degli equipaggi.
- Quando la “barcaccia” (modo affettuoso di definire il rimorchiatore, si tratta del francesismo “barcasse”), nella sua fase d’avvicinamento alla prora, arrivava a tiro di heaving line, il marinaio più esperto effettuava il lancio.
Marinaio pronto al lancio
gaffa
Lancio heaving line da bordo
Lancio corretto
Peso che serve ad indirizzare il lancio
Se non gli riusciva al primo lancio, il Comandante si allargava e poi ripeteva la manovra d’avvicinamento, magari in modo ancora più stretto. Se il secondo lancio arrivava sulla prora della nave, i marinai legavano la cima al cavo che poi veniva “filato”, a volte “appennelato” lentamente fino a circa due metri sul livello del mare.
A questo punto il rimorchiatore si avvicinava ancora di più per agevolarne il recupero con la gaffa, (un grosso gancio), in caso di tempo buono, oppure virandolo a braccia.
Fase di avvicinamento alla nave
Due marinai virano il cavo della nave che é di tipo “maneggevole”. La gassa sta per essere messa al gancio del rimorchiatore. Notare il moto ondoso creato dalla nave e dalla “barcaccia” in movimento.
Se la manovra era eseguita secondo i canoni marinareschi, la gassa del cavo veniva portata al gancio e, al segnale che la lunghezza era quella giusta, il Comandante emetteva un fischio e a bordo della nave davano volta il cavo alle bitte. Se invece il cavo di canapa finiva in mare veniva allontanato dall’onda del tagliamare, s’allargava, s’impregnava d’acqua, diventava pesantissimo e, prima di essere mollato dal rimorchiatore per rifare la manovra, c’era un ultimo tentativo, molto pericoloso, che solo il Comandante decideva se farla o meno: - - lasciare la tuga di comando con il timone al centro
- scendere in coperta per aiutare i due marinai a virare il cavo che era impregnato d’acqua di mare, e faceva resistenza “sciabicando” nella corrente.
- Messa la gassa al gancio, il Capitano saliva di corsa sul Ponte di Comando e riprendeva in mano la manovra.
Il più delle volte le braccia del Capitano risolvevano il problema, ma se nel frattempo la “barcaccia” accostava da un parte.... beh! Non saremmo qui a raccontarvi questa manovra d’altri tempi...
Il cavo é stato “voltato” sulla nave. Il m/r AMERICA si mette in tiro, pronto a piegare la nave con l’aiuto del M/r “INDIA”, tipo Voith-Scheneider (nella foto).
Ecco come si presentava il GANCIO del m/r TORREGRANDE negli Anni ’60. Il rimorchiatore si é messo a “spring” sia per fermare l’abbrivo della nave sia per girarla e portarla con la poppa in banchina.
A scopo esclusivamente divulgativo, com’é nella logica della nostra Associazione, prendiamo a prestito questa immagine della Publifoto di Genova, per mostrare la stessa manovra 50 anni dopo. Oggi il cavo collaudato viene fornito dal rimorchiatore che é di tipo AZIPOD, di grande manovrabilità e potenza. Tuttavia le distanze da tenere sono sempre molto ridotte ed il sangue freddo é sempre necessario, specialmente da parte di chi é più piccolo...
In cinquant’anni di tecnologia spinta, si é passati dal cavo di canapa ad un tipo “molto speciale” che si recupera con una mano.
I cavi Dyneema (Fibra polietilenica HT) hanno una eccezionale resistenza, paragonabile a quella dei cavi d'acciaio, ma con il vantaggio di resistere molto bene agli sforzi da torsione e piegamento. Il dyneema di ultima generazione è superiore al cavo d'acciaio sia alla trazione sia allo strappo, il tutto con coefficiente di allungamento minore rispetto al metallico.
Quattro cavi da ormeggio in fibra modernissima ma lavorati in stile yachting 1870. La cultura marinaresca scrive tutti i giorni pagine straordinarie in cui passato e futuro convivono. Autore Andrea Maggiori, membro della prestigiosa International Guild of Knot Tyers. Scrittore, divulgatore di storie di mare, Istruttore Sub - Istruttore Arte Marinaresca-Martedì 23 p.v. Organizzatore a Chiavari del 1° stage di Arte Marinaresca - Base. In sei appuntamenti di un paio d'ore ciascuno verranno svelati i trucchi e le abilità dei marinai e degli attrezzisti ed i partecipanti impareranno a confezionare le impiombature, le gasse, i paglietti e le fasciature. Chiavari, culla di marinai e artigiani navali rivive i gesti della marineria nella cornice millenaria di Via Entella 171 a "le Arti si Incontrano".
Andrea Maggiori <uomodeinodi@gmail.com>
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Carlo GATTI
Rapallo, 17 Novembre 2015
MILETO, UN GRANDE COMPLESSO PORTUALE DELL'ANTICHITA'
MILETO
UN GRANDE COMPLESSO PORTUALE DELL’ANTICHITA’
Mileto nell’attuale Turchia
Mileto nei primi secoli a.C. si trovava al termine di un’importante via carovaniera (vedi linea rossa) che collegava la Mesopotamia alle coste del Mar Egeo e alle sue isole.
Baia di Mileto- Evoluzione dei fondali nei secoli. Nella cartina si nota l’ampia vallata del fiume Meandro circondata dai rilievi ferrosi Mycale, Latmos e Grion.
A partire dall'epoca arcaica Mileto fu la principale città della Ionia: punto focale dell’economia, della politica e del pensiero filosofico del mondo occidentale d’allora.
Mileto (Miletos in greco e Miletus in latino) per la sua posizione geografica fu soprattutto un importante polo portuale, su un promontorio alla foce del fiume Meandro che portava le sue acque nel Mare Egeo. Quello che fu un golfo oggi é interrato dai sedimenti portati a valle dal fiume che vi sfocia. Mileto fu fondata da coloni greci fra il 1077 e il 1044 a. C. in una regione allora chiamata Caria. Questa città-stato continuò ad avere un ruolo di primo piano sia durante l’epoca ellenistica che durante il periodo dell’Impero Romano. I coloni greci furono attirati dalla penisola che offriva insenature, altrettanti ridossi, quindi approdi sicuri per le navi. Vi era inoltre una certa varietà di rocce adatte per realizzare edifici e mura; vi era acqua in abbondanza e, dulcis in fundo, l’intera regione era circondata da notevoli quantità di minerali di ferro. I minerali metalliferi furono cercati e sfruttati in un raggio d’azione sempre più ampio, non solo lungo le coste della Ionia (sponde asiatiche del Mare Egeo, ossia le coste nord-orientali della attuale Anatolia) ma anche nel Ponto Eusino (Mar Nero), e ciò spinse i Milesiani a fondare colonie con lo scopo commerciale, ma anche per reperire minerali.
L’insediamento urbano, molto probabilmente, fu stimolato proprio dalla presenza di minerali ferrosi del Monte Mykale (oggi Samsun Dag), del Latmos e del Gurion, ma anche dalla metallurgia del rame, del bronzo e del piombo, con cui venivano realizzate armi e utensili, per il mercato interno e per l’esportazione.
Ad arricchire il già fiorente quadro economico, occorre aggiungere anche il carbon fossile che si trovava nel raggio d’azione dei cittadini di Mileto.
La stessa valle del Meandro costituiva una facile via di penetrazione commerciale verso l’entroterra. I fondatori-commercianti furono pertanto attirati, sia dalla facilità di accesso dal mare, sia da un percorso carovaniero parallelo al fiume per raggiungere i clienti all’interno. Il territorio della città, e in particolare la pianura alluvionale del suo fiume, era esteso e fertile perciò fu anche sede di una redditizia attività agricola, in particolare il grano, che veniva esportato in Grecia. Per concludere, le montagne vicine erano coperte da foreste, il cui legname veniva utilizzato per l’industria navale.
Carta dei processi di sedimentazione del Fiume Meandro nei secoli. I porti di Mileto erano riparati dall’isola di Lade (a sinistra in alto). Si noti il notevole avanzamento della ”linea di riva” fra l’età classica e i tempi attuali, dovuto ai depositi alluvionali del Meandro. Mileto si trovava sul mare mentre oggi si trova a circa 9 km. diventando una città dell’entroterra durante la prima età cristiana.
L’area intorno a Mileto aveva quindi tutte le caratteristiche per essere un polo d’attrazione per moltissime attività commerciali ed economiche e quindi per un insediamento urbanistico di prima grandezza. La sua espansione durò circa un millennio e terminò a causa dell'insabbiamento dei suoi porti, che penalizzò i suoi traffici marittimi. Le attuali rovine di Mileto si trovano 9 chilometri lontani dalla costa.
La causa principale del suo insabbiamento pare sia stato lo sfruttamento intensivo delle foreste con i conseguenti smottamenti e processi erosivi, che le piogge scaricavano a fondo valle sedimentando nella foce del Meandro. Ma ora ritorniamo a quel grande millennio che rese famoso Mileto.
Mileto. Un complesso portuale di primo ordine
Come abbiamo già analizzato, la posizione privilegiata e le cospicue esportazioni di prodotti locali (tessuti, ceramiche, grano, utensili di metallo e armi, ecc.) determinarono il potenziamento del commercio marittimo di MILETO che indusse i Milesiani ad ampliare il numero degli approdi, per cui dal più antico porto, quello di Atena, che era diventato troppo piccolo, si passò al grande porto del Leone. Ambedue erano esposti ad ovest, ma fu utilizzato anche il porto di Nord-Est (di cui non conosciamo il nome) quasi all’estremità della penisola. In tal modo poteva essere scelto il porto più riparato dalle traversie del mare e del vento. La decadenza socio-economica di MILETO si manifestò definitivamente verso il VI sec. d. C., ma in realtà si trattò di un fenomeno che iniziò qualche secolo prima, innescato, come abbiamo visto, da un processo geologico d’interramento progressivo del delta.
Quasi al centro di Mileto c’è una collina, ai lati della quale sono i due porti principali di Ponente: quello più settentrionale “del Leone”, quello meridionale “del Teatro”. Nell’ampia zona centrale che collegava i due porti, sorgevano gli edifici commerciali, religiosi, amministrativi. Le tre zone residenziali si trovavano: una a nord, l’altra sulla collina tra i porti, la terza, più ampia a sud.
La cartina sopra indica:
- Le due AREE COMMERCIALI (due macchie nere con punti bianchi) alle spalle del Porto dei Leoni (la profonda insenatura, in alto a sinistra) e del
Porto del Teatro (la golfata più ampia, sotto a sinistra)
- L’AREA CIVILE (tratteggiata nel verso orizzontale) unisce le aree commerciali dei due porti.
- AREE RELIGIOSE (trattegiate di traverso). Vicino ai porti ed ai mercati, un poco distaccati da essi vi sono le rovine di due santuari, rispettivamente di Apollo Delphinios (a nord sul porto «del Leone»), di Athena (a sud sul porto del Teatro).
MILETO, CENTRO FINANZIARIO E CULTURALE
Il traffico marittimo, l’alleanza con Atene, la cultura filosofica, la vicinanza con la Lidia (alle spalle), ne fanno la città ideale per la prima coniazione monetaria. Nell’Iliade Mileto è ancora una città della Caria e i suoi abitanti combattono contro gli Achei. Secondo la tradizione, successivamente, durante la cosiddetta prima colonizzazione greca, la città fu rifondata da colonizzatori Ioni provenienti dall’Attica e dalla Beozia, (vedi cartina sopra) che sottrassero il territorio ai Carii. Il governo fu esercitato dall’aristocrazia, che fece diventare Mileto un attivissimo centro di scambio. Furono fondati scali commerciali e colonie destinate a diventare importanti, fra cui Abido sullo stretto dei Dardanelli, Cizico sulla costa asiatica del mar di Marmara, Sinope e Histria sul Mar Nero, Naucrati sul delta del Nilo. La politica di Mileto in quel periodo fu ispirata a mantenere buoni rapporti con le grandi potenze mediterranee che avrebbero potuto danneggiare la sua espansione economica.
Particolarmente stretti furono i rapporti con l’Egitto, che Mileto appoggiò contro gli Assiri. Attorno al VII secolo a.C. dodici città della Ionia, tra cui Mileto (la cosiddetta Dodecapoli ionia) si unirono a formare la Lega Ionia, per meglio resistere all’espansionismo dell’Impero Persiano. In quegli anni Mileto era divenuta il centro intellettuale della Ionia: Talete, Anassimandro ed Ecateo le attribuirono, nella storia della cultura occidentale, la prestigiosa condizione di culla della filosofia, delle scienze naturali, degli studi geografici e storiografici. L’alfabeto in uso nella città si estese a numerosi altri centri di cultura e, dopo essere stato adottato da Atene nel 403-402 a. C., divenne l’alfabeto comune a tutto il mondo greco. Si calcola che nel VI sec. a. C. la popolazione di Mileto raggiungesse i 60.000 – 70.000 abitanti. Aristagora guidò un’insurrezione contro i Persiani, conclusasi con la sconfitta navale degli Ioni (e dei Milesi) davanti all’isola di Lade (494 a. C.) e con la distruzione della Mileto arcaica, la cui popolazione fu deportata sul Fiume Tigri. La caduta della città fu accolta in tutto il mondo greco come una sciagura nazionale. Ma dopo la vittoria dei Greci sui Persiani a Mykale (479 a. C.), si decise la ricostruzione di Mileto, il cui piano regolatore fu probabilmente concepito dall’innovatore dell’urbanistica antica, Ippodamo, nativo appunto della città. Il cosiddetto “impianto ippodameo” fu seguito da varie nuove colonie greche. Nel 401 la città fu assediata da Ciro il Giovane e tornò a subire completamente l’autorità persiana, dalla quale la liberò Alessandro Magno nel 334 a. C. - Contesa per due secoli fra i sovrani ellenistici, Mileto entrò a far parte nel 133 a.C., come città libera, della provincia romana d’Asia ma perse del tutto la sua indipendenza dopo il 78 a. C. per essere stata favorevole a Mitridate nel corso della guerra contro Roma. Durante l’ellenismo* e nella prima epoca imperiale romana la città ebbe grandissimo sviluppo, documentato dalla costruzione di imponenti edifici pubblici fra cui la Biblioteca di Celso.
* Il termine Ellenico viene usato a partire dal V secolo a.C. ad indicare le genti di lingua e cultura greca rispetto ad altri popoli.
Il termine Ellenistico indica il periodo storico-culturale in cui la cultura greca si diffonde oltre i confini della Grecia e fu coniato nell’Ottocento per indicare il periodo che va dall’epoca di Alessandro Magno alla definitiva conquista romana avvenuta con la battaglia di Azio nel 31 a.C.
I più grandi centri dell’arte ellenistica rimasero al di fuori della Grecia, in particolare Alessandria d’Egitto, Antiochia di Siria, Rodi, Efeso, Pergamo Laodicea ecc...
L’URBANISTICA DI MILETO
PIANTA DI MILETO: La pianta regolare secondo le idee di Ippodamo di Mileto V secolo a.C.
1 – Teatro
2-3 – Leoni di pietra
4 – Agorà del Sud
5 – Stadio
6 – Agorà
7 – Tempio di Atena
8 – Sito Arcaico
9 – Porta Sacra
10 – Via Sacra (congiungeva Mileto al Tempio di Apollo a Didime)
Mileto – Planimetria generale del promontorio di Mileto. Si noti il tessuto urbano costruito all’estremità di un promontorio, e l’impianto ippodameo della città, secondo un rigido schema ortogonale. Nelle varie epoche si succedettero i vari insediamenti: quello settentrionale fu arcaico, quello occidentale fu ellenistico, e quello meridionale fu greco-romano.
Ciò che maggiormente impressiona, nella divisione dei quartieri, è la pianta disegnata a scacchiera. Gli isolati base misurano mt 29,50 X 51,60 e sono variamente suddivisi nel senso della lunghezza. Le strade, i cui assi coincidono con quelli della penisola, sono larghe mt 4,50; si distinguono tre arterie maggiori, larghe mt 7,50 (una in senso longitudinale, due in senso latitudinale), che servono come vie principali. Una di esse, quella longitudinale, portava dal centro della città verso la porta principale sud (Porta Sacra, che non è perfettamente sull'asse di essa), che immetteva nella via diretta al Tempio di Apollo (extraurbano) di Didyma.
Il sistema costruttivo della città è il risultato dell'adattamento ad uno schema perseguito sin dalla fondazione Mileto e che durò sino alla fine dell'Ellenismo (31 a.C.).
I PORTI DI MILETO
I resti di uno dei due Leoni all’ingresso del Porto
La nuova citta’ ebbe, secondo il progetto di Ippodamo di Mileto, pianta circolare e robuste mura di cinta. Il sistema adottato prevedeva vie parallele che intersecandosi perpendicolarmente creavano una maglia rettangolare adornata da templi, ginnasi, teatri ed altri splendenti edifici. Una cinta, considerata tra le migliori opere difensive dell’epoca, proteggeva la citta’ da ogni incursione nemica. Almeno cinque porti accoglievano nelle loro insenature le navi provenienti da tutto il mondo, riempiendo la citta’ di mercanzie e di ricchezze. L’antica rete urbana della scuola di Ippodamo e’ visibile ancor oggi nell’attuale topografia della citta’, e si estende sia dentro che fuori le mura medioevali della Citta’ dei Cavalieri (1480 d.C.).
Partendo da sinistra: In corrispondenza della freccia indicante il Nord si nota l’ansa del
1) - Porto di Atena; 2) Porto del teatro; 3) Porto dei Leoni; 4) Porto del Nord Est (collina di Kalabak).
–La principale caratteristica del porto di Mileto era la seguente: le navi in arrivo potevano scegliere la baia più ridossata o comunque più idonea dal punto di vista meteo-marinaresco, consentendo alla città portuale di essere operativa tutto l’anno con qualsiasi tipo e forza di vento.
Strabone dice che Mileto aveva quattro porti, ma solo dei tre più importanti si conosce il nome e la posizione esatta.
Il Porto dei Leoni si trovava nell'insenatura più profonda e sicura fra Humeitepe e Kalehtepe.
Il porto del Teatro in quella fra Kalehtepe e la platea dell'Athenaion, che è più ampia ma anche più aperta.
Gli altri due porti probabilmente vanno situati l'uno nell'insenatura a S-O dell'Athenaion lungo cui si estendeva la città arcaica, l'altro nell’insenatura E, accanto all'Agorà Stoà e al centro della città.
La grande cerchia di mura, su cui tacciono completamente le fonti antiche, fu costruita probabilmente alla fine del V sec. a. C. in relazione agli agitati avvenimenti che riportarono Mileto sotto il dominio persiano.
Pare che le mura, scavate però solo in minima parte, seguissero in origine tutto il contorno della penisoletta, includendo anche Kalabaktepe. Le porte principali erano solamente due: la Porta Sacra, da cui usciva la via omonima che portava a Didyma, e la Porta del Leone a S-E, non molto distante dall'agorà S, da cui usciva una strada costiera. Agli inizi del II sec. a. C. il settore S-O della cerchia, compresa Kalabaktepe, fu abbandonata: un nuovo tratto di mura andava dritto dalla Porta Sacra al mare.
Un addio nel porto di Mileto....
Plastico di Mileto - 200 d.C. Museo di Pergamo
Plastico di Mileto - 200 a.C. – Museo di Pergamo
Il porto principale di Mileto (porto dei Leoni), era fronteggiato da una piazza su cui si ergeva il santuario del dio patrono della città. Apollo Delphinios. Il grande recinto porticato (iniziato verso il 470 - 450 a. C.) fungeva anche da archivio di stato, conteneva numerose iscrizioni, rilievi votivi e statue onorarie. Dalla piazza del porto iniziava la grande strada che conduceva al santuario di Apollo a Didima. Presso di essa si trovavano le piazze principali di Mileto, in mezzo a un complesso di edifici pubblici e privati: il vero e proprio centro della città era la piazza in cui sorgeva il Buleuterio (175-164 a. C.), contenente all'interno una gradinata semicircolare capace di ospitare ca. 1200 persone. Dalla piazza del Buleuterio si passava alla vastissima Agorà Stoà, attraverso una porta monumentale, di età antonina, i cui elementi sono stati pressoché interamente trasportati e ricomposti nel museo di Pergamo a Berlino.
MILETO - Il monumento del porto, commemorativo della vittoria di Ottaviano ad Azio nel 31 a.C. Sull’insenatura del porto dei leoni si apriva l’Agorà Sud, prossima al santuario di Apollo Delphìnios, costituito da un cortile costruito intorno all’altare; in questo edificio si custodiva l’archivio della città.
Le rovine del vecchio porto di Mileto
La nuova aristocrazia giunta al potere fece di Mileto una pòlis “moderna”, dove l’ascesa sociale era possibile non solo ai “valorosi” in senso omerico, ma anche a coloro che si rivelavano abili nel “maneggiare denaro”, quindi nel commercio, nell’industria, importazione di materie prime ed esportazione di prodotti finiti.
Asia Greca. Ionia, Mileto. Diobolo, ca. 478-390 a.C.
Protome di leone con la testa volta a destra con le fauci aperte.
Due innovazioni si rivelarono decisive: l’introduzione della moneta di elettro, (una lega metallica di oro e argento) che, oltre a facilitare, “laicizzò” gli scambi commerciali tra i vari popoli svincolandoli da rituali e credenze religiose. Il diffondersi dell’alfabeto greco d’origine fenicia diede corso alla cosiddetta “numerazione ionica” i numeri corrispondono alle lettere dell’alfabeto greco (alfa = 1; beta = 2; gamma = 3.
EVOLUZIONE DELLE SCIENZE NAUTICHE
I naviganti del Terzo Millennio sanno quanto possono essere insidiosi i venti e i mari dell’Egeo e che percorrere in sicurezza le rotte marittime tra i vari empori commerciali richiede una conoscenza approfondita di tutti gli elementi meteo-marini di tutte le zone, compreso i fondali, le secche, le scogliere e i ridossi, durante la navigazione costiera. Ma quando il capitano marittimo dell’antichità era costretto a lasciare la costa che ben conosceva, e metteva la prua verso il mare aperto, dopo aver rivolto una preghiera ad Eolo e Poseidone “Eliconio” (a cui era dedicato il santuario pan-ionio del monte Micale, di fronte al porto di Mileto), le competenze meteorologiche e geografiche non bastavano più. Per “orientarsi” (ovvero fare vela verso “oriente”, là dove sorge il sole) occorreva “masticare” nozioni d’astronomia complesse, derivanti dall’osservazione e dallo studio dei cieli che Caldei, Babilonesi, Egiziani, andavano conducendo da secoli. Quando sopraggiungeva la notte (i viaggi potevano durare anche settimane), i naviganti si lasciavano guidare dalla posizione dalla Stella Polare. Geografia, meteorologia, astronomia, ma anche trigonometria per calcolare, ad esempio, la distanza di una nave dalla costa, sono tutte scienze “positive”, di immediata applicazione pratica, che richiedono tuttavia abilità e precisione nell’osservazione del cielo stellato, dei fenomeni naturali e del calcolo matematico.
Mileto – La zona dell’antico porto
L’Agorà – Gli scavi hanno riportato alla luce i resti pre-persiani (sec.VII a.C.) degli edifici, e inoltre un cospicuo numero di statue virili sedute disposte lungo la Via Sacra risalenti al sec.VI a.C.
L’Agorà (Stoà) di Mileto – Ingresso del tempio greco
La stoà ("eretto") è una struttura tipica dell'Archittetura greca antica, costituita da passaggi coperti o portici per uso pubblico in un edificio di forma rettangolare allungata che presenta uno dei lati lunghi aperto e colonnato, generalmente prospiciente una piazza o una via, mentre l'altro è chiuso da un muro; la copertura può essere a spioventi, a terrazze oppure l'edificio può sopraelevarsi ripetendo lo schema del piano inferiore.
L'Agorà S (foto sopra) era fiancheggiata da grandi porticati. Presso il porto più interno sorgeva un grande complesso termale, donato da Faustina (probabilmente la moglie di Marco Aurelio), che conteneva numerose e preziose opere d'arte; il Teatro, uno dei più grandi dell'Asia Minore (140 m di diametro), iniziato alla fine del secolo IV a. C.; e lo Stadio, rettangolare, lungo 194,5 m, capace di ospitare sulle gradinate ca. 14.000 persone. La via processionale che partiva dalla piazza del porto dei Leoni, passava per il sobborgo occidentale di Panormos e raggiungeva dopo ca. 16 km Didima, la sede del tempio di Apollo Pilesios, uno dei più importanti Santuari Oracolari del mondo antico. Gli scavi hanno riportato alla luce i resti pre-persiani (sec. VII a. C.) degli edifici, e inoltre un cospicuo numero di statue virili sedute, disposte lungo la via sacra, risalenti al sec. VI a. C. L'edificio del tempio, ricostruito integralmente in età ellenistica, era uno dei più imponenti e ammirati dell'antichità: un grandioso tempio ionico diptero, con dieci colonne sui lati brevi e ventuno sui lati lunghi. Fu distrutto da un terremoto verso l'anno 1000.
Mileto - Frontone del Tempio di Serapide
Milesi famosi
• Mileto (mitico fondatore)
• Talete - "primo" filosofo naturale greco; "il padre della scienza".
• Anassimandro - filosofo; allievo di Talete
• Anassimene - filosofo; amico e allievo di Anassimandro
• Leucippo - filosofo; fondatore dell'atomismo e maestro di Democrito
• Eubulide - filosofo; formulò il "paradosso del mentitore"
• Ecateo di mileto - geografo e storico
• Ippodamo di Mileto - architetto e urbanista
• Eschilo Illustrio - cronachista e biografo
• Aristide - scrittore
• Isidoro - architetto
•Timoteo - poeta. Cadmo - storico, forse immaginario
La Porta del mercato di Mileto – E’ un reperto archeologico, Capolavoro dell'architettura romana, attualmente si trova nel Pergamon Museum di Berlino. La porta del mercato è una maestosa facciata costruita intorno al 120 a.C. mettendo insieme l'idea dei propilei a colonnato greco, la porta ad arco e la facciata del teatro romano. Proprio per questa mescolanza di stili la porta è considerata un importante esempio della relazione tra la tradizione costruttiva ellenistica e l'espressione artistica della Roma imperiale.
Il mercato di Mileto-Pergamom Museum, Berlino
Le rovine dell’antica città di Mileto
Resti delle Terme di Faustina (moglie dell'imperatore Marco Aurelio)161-180 d.C. e della Palestra.
Mileto: terme, particolare di statua di leone
Mileto, il teatro, vista d'insieme
Il grande teatro di Mileto visto dalla via del porto. Costruito nel IV sec. a.C. contava 5000 posti nel periodo ellenistico e 25.000 in epoca romana nel II sec. Solo in parte è ricavato nella collina ed un lato appoggia su poderosi muraglioni. La sovrastante rocca bizantina venne edificata anche con materiali asportati dal teatro
Mileto: Bassorilievo del gladiatore nel teatro
Mileto, la zona dell'antico porto
Procedendo dal teatro verso il porto antico ci s’imbatte nel monumento ancora visibile con le due teste di leone di dimensioni gigantesche. Ciascuno di questi leoni fu posto su ogni lato dell’imboccatura come monito contro eventuali nemici.
Cavea dei gladiatori. La cavea del teatro, ancora oggi ben conservato, poteva contenere 25.000 spettatori.
LA MILETO CRISTIANA - San Paolo si fermò a Mileto nel suo terzo viaggio missionario, sulla via di ritorno a Gerusalemme.
L’apostolo Paolo giunse a Mileto verso il 56. Poiché voleva essere a Gerusalemme per la Pentecoste e non desiderava rimanere più del necessario in Asia Minore. Paolo, che si trovava a quanto pare ad Asso, decise di prendere un battello che non si fermava a Efeso. Tuttavia non trascurò i bisogni di questa congregazione. Da Mileto, senza dubbio per mezzo di un messaggero, mandò a chiamare gli anziani della congregazione di Efeso, distante quasi 50 km. Il tempo necessario perché giungesse loro il messaggio ed essi venissero a Mileto (almeno tre giorni) era evidentemente meno di quello che avrebbe impiegato Paolo se fosse andato a Efeso. Questo forse perché le navi provenienti da Asso che toccavano il porto di Efeso facevano più fermate di quelle che si fermavano a Mileto. Oppure perché le circostanze avrebbero richiesto che Paolo si trattenesse di più se si fosse recato a Efeso.
Parlando agli anziani della congregazione di Efeso, Paolo ricordò il ministero che aveva svolto fra loro, li esortò a prestare attenzione a se stessi e al gregge, li avvertì del pericolo che “oppressivi lupi” si insinuassero nella congregazione e li incoraggiò a restare svegli e a rammentare il suo esempio. Sentendosi dire che non l’avrebbero più visto, quegli anziani piansero “e gettatisi al collo di Paolo, lo baciarono teneramente”; poi lo accompagnarono alla nave.
In un’epoca imprecisata, dopo la sua prima detenzione a Roma, sembra che Paolo sia tornato a Mileto. Trofimo, che in precedenza l’aveva accompagnato da Mileto a Gerusalemme, si ammalò e Paolo dovette lasciarlo.
CARLO GATTI
Rapallo, 11 Giugno 2015
Il rapallese PINO LEBANO-MAESTRO DI PRESEPI
Il Rapallese
PINO LEBANO
MAESTRO DI PRESEPI
Pino LEBANO rappresenta la quinta generazione di maestri d’arte presepiale di scuola napoletana.
Dal 1995 al 2013 é stato titolare della Tigullio Galleria d’Arte a Rapallo dove risiede da oltre 40 anni. La storia artistica della famiglia Lebano-Visconti risale al 1788 ed é tuttora presente nel campo artistico italiano con le sue rinomate Gallerie d'Arte a Napoli, Roma e Chianciano Terme.
CARLO GATTI
Rapallo, 14 dicembre 2015
ALLESTIMENTO E COMANDO DELLA COSTA FORTUNA
ALLESTIMENTO E COMANDO DELLA
COSTA FORTUNA
di
C.S.L.C Mario Terenzio PALOMBO
COSTA FORTUNA in navigazione
COSTA FORTUNA sta prendendo il largo
Nel 2002 mi venne comunicato dalla Direzione Costa Crociere che ero stato assegnato al comando della nuova nave “Costa Fortuna”. Fui lusingato e onorato per questo nuovo importante incarico. Significava per me dover lasciare presto il comando della “Costa Victoria” alla quale ero molto affezionato, anche se sapevo che in futuro avrei potuto avere occasioni di reimbarcarvi, non prossime, comunque, perché mi avevano detto che negli anni a venire sarei stato destinato alla serie di nuove navi di grosso tonnellaggio. Ero affezionato a questa bella nave, vi avevo trascorso quasi sette anni indimenticabili, pieni di successi. Avevo incontrato i più importanti passeggeri della “Costa Crociere” e dal punto di vista nautico avrei sempre ricordato le grandi manovre effettuate anche in tempi avversi, lasciando spesso le altre navi fuori dai porti perché non avevano la potenza per entrarvi.
La “Costa Fortuna” aveva subito, nel mese di marzo 2003, un incendio che aveva interessato circa cento cabine del ponte 8 a poppa, ma il cantiere aveva garantito che non ci sarebbero stati ritardi nella consegna. Quando vidi la nave in cantiere mi sembrò imponente, rappresentava una felice sintesi del passato e del presente. Era, a quel tempo, la più grande nave passeggeri battente bandiera italiana, moderna espressione dei prestigiosi transatlantici del passato. Dal cantiere di Sestri Ponente erano usciti il mitico “Rex”, la “Cristoforo Colombo”, la “Leonardo da Vinci”, la “Federico C”, e, ultima, la prestigiosa “Michelangelo”. La “Costa Fortuna” non era solamente la più grande rispetto a tutte quelle che l’avevano preceduta, ma anche la più innovativa nave da crociera mai realizzata. Erano stati scelti per questa nuova e modernissima nave un arredamento e un allestimento degli ambienti molto suggestivi, di gran comfort ed eleganza, in omaggio ai transatlantici italiani più belli. La nave aveva una lunghezza di 272,2 metri, una larghezza di 35,5 Metri, GRT 102.587, una capacità passeggeri di 3470 unità ed un equipaggio di 1027 persone. La potenza motori era di 40.000 KW e poteva raggiungere una velocità massima di 22 nodi, la propulsione diesel elettrica si avvaleva di sei motori GMT–Sulzer, la potenza installata di 63,36 MW era pari al consumo di una città di 50.000 abitanti. Le eliche di manovra 3 x 1720 KW erano tre a prora e tre a poppa.
Il 25 agosto 2003 partimmo da Genova per le prove in mare. Era una giornata di mare calmo, la nave uscì dal porto, solcando il mare con grande imponenza. Era uno spettacolo vedere la scia dal ponte di comando e constatare come reagiva prontamente ai comandi dati dal timone. Tutti i controlli si conclusero con successo, ma nella prova a tutta forza, durante la quale la nave raggiunse i 22,8 nodi, fu notato un surriscaldamento alla boccola dell’asse sinistro. I responsabili del cantiere presero la decisione di andare subito in bacino a Palermo per verificare eventuali danni. Si dovette sfilare l’asse e ricalcolare l’allineamento. Nel frattempo le ditte addette agli arredi della nave si trasferirono a Palermo per continuare i lavori. Dopo una sosta di circa 20 giorni nel capoluogo siciliano la nave uscì dal bacino per rientrare a Genova. Durante il viaggio si procedette a tutta forza, eseguendo accostate molto ampie con tutto il timone a dritta e sinistra per verificare l’efficacia dell’intervento effettuato. Procedemmo in questo modo per alcune ore senza notare alcuna anomalia. A questo punto il cantiere lasciò per alcune ore la nave a me e ai miei ufficiali, perché ne provassimo la manovrabilità e tutti i comandi. Mi interessava soprattutto prendere dimestichezza, con i miei ufficiali, del passaggio dei comandi dalle varie consolle di manovra (centro – alette), tenuto conto della distanza di 44 metri da un’aletta all’altra.
Tornati a Genova, il cantiere aumentò i ritmi di lavoro perché si stava avvicinando la data della consegna che era prevista per il 14 novembre 2003. Nell’ultimo mese il lavoro fu molto intenso: il cantiere ci consegnò i locali e i depositi e iniziammo ad imbarcare i materiali delle sezioni coperta, macchina e hotel. I vari materiali da imbarcare erano già stati, di volta in volta, sistemati in un grande magazzino a terra, numerati e suddivisi per la destinazione che poi dovevano avere a bordo. In questo modo, non c’era possibilità di errore o confusione. Giorno dopo giorno, venivano sistemate e provate le lance di salvataggio e tutto il personale che era presente in cantiere veniva addestrato alla sicurezza dagli ufficiali preposti. L’hotel director, si interessava delle aree pubbliche e aveva organizzato alcune squadre per pulire e tirare a lucido la nave. Levati i pannelli di copertura, pian piano, veniva fuori tutta la bellezza della “Costa Fortuna”.
Ogni giorno arrivavano gruppi di equipaggio, con la Compagnia avevamo preparato un piano per la loro sistemazione prima a terra e successivamente a bordo. La direzione del cantiere ci aveva concesso l’utilizzo di una buona parte delle aree equipaggio tra mense, cucine e cabine che noi destinavamo di volta in volta. Il Personale di ogni reparto della nave aveva così modo e tempo di acquisire familiarità con le nuove apparecchiature di lavoro e con i vari locali di competenza. Si stavano, intanto, completando le rifiniture del magnifico teatro di bordo e venivano provate ogni giorno le varie coreografie, le luci e i sistemi elettronici, che dovevano poi servire per gli spettacoli serali. Ciascuno di noi stava lavorando con grande impegno per portare a termine quest’opera maestosa. Ogni sera con i vari responsabili di bordo e del cantiere si faceva il punto della situazione per verificare lo stato di avanzamento dei lavori. Non potevamo permetterci ritardi. Dovevamo essere in grado di offrire ai nostri passeggeri, di varie nazionalità, un ottima cucina e un eccellente servizio sin dal primo giorno di crociera. L’esperienza che avevamo acquisito con i precedenti allestimenti di navi nuove ci permetteva di affrontare i vari problemi con piu’ tranquillità.
Il ponte di comando era immenso, lungo 44 metri. La strumentazione era ben distribuita, risultavano molto funzionali la consolle centrale e quelle delle alette laterali. Le avevo fatte posizionare nel punto più idoneo per la manovra. Molto utile mi era stato il corso che avevo fatto, anni prima, ad Amburgo durante la costruzione della “Costa Victoria”, in quanto la strumentazione nautica era la stessa, sia pur con l’aggiunta dei recentissimi aggiornamenti.
LE FOTO DEL PONTE COMANDO DELLA COSTA FORTUNA
Dal ponte di comando c’é una visibilità di manovra eccezionale.
S.Francesco da Paola é presente su tutti i ponti di comando delle navi italiane.
Avevo fatto sistemare, coperto da un drappo rosso, (che aveva cucito mia moglie Giovanna per la “Costa Romantica” e che passava di nave in nave), al centro della paratia del lato destro, la targa di San Francesco da Paola, patrono dei naviganti. Tutto intorno alla parete c’era lo spazio per le altre targhe offerte alla nave, come consuetudine, dalle autorità, nel corso dei primi scali nei porti. Prima di imbarcare avrei dovuto superare la visita medica biennale, in quanto mi era scaduta.
Mi dissero che, avendo superato i 60 anni, dovevo effettuare i controlli cardiologici e, avendo nel 1991 avuto un infarto, avrei dovuto effettuare una prova da sforzo e un ecocardiogramma. In caso di qualche anomalia, sarei stato sottoposto ad una visita presso la commissione medica che avrebbe dovuto decidere sul mio stato di abilità. La cosa mi preoccupò, infatti, al solo pensiero di queste visite, la mia pressione cardiaca incominciò ad essere più alta del normale. Decisi, prima di sottopormi a questi esami, di recarmi presso il mio cardiologo di fiducia per effettuare i controlli in privato. Il mio cardiologo constatò che tutto era nella norma e mi consegnò i referti che poi feci esaminare dai medici della cassa marittima. Dopo una visita accurata, mi dichiararono abile.
Il 14 novembre imbarcai ufficialmente e assunsi il comando. Alle 11.00, alla presenza del C.E.O. della Costa Crociere Pier Luigi Foschi, del vicepresidente “Cruise Operation” Gianni Onorato, del direttore e del vicedirettore del cantiere e di altre maestranze, oltre a tutti noi ufficiali e dirigenti della “Costa Crociere”, ci fu la cerimonia del cambio di bandiera. Venne issato il guidone della “Costa Crociere” contemporaneamente alla bandiera italiana, accompagnato dal suono dell’inno nazionale. Fu un momento molto toccante per tutti i presenti, poi scrosciò un forte applauso e, al mio segnale partirono i tre lunghi fischi di saluto.
Avevamo messo tutto il nostro impegno e la nostra passione per raggiungere questo traguardo.
In serata incontrai tutto il personale di bordo nel teatro. Vennero tutti e, in questa occasione, ringraziai il mio equipaggio per la collaborazione ed il lavoro che avevano svolto assiduamente e con professionalità, gli esortai a continuare perchè eravamo appena all’inizio, dovevamo ancora dimostrare la nostra efficienza e le nostre capacità di organizzazione nel gestire un numero così elevato di presenze a bordo. Alla fine del mio saluto, mi manifestarono il loro affetto con un lungo applauso che mi fece capire che non mi avrebbero deluso.
Rimanemmo alcuni giorni in cantiere per espletare tutta la documentazione necessaria e consentire le visite della capitaneria di porto di Genova. Il giorno 15, il cantiere, in accordo con la nostra direzione “Costa”, offrì una cena a tutti i dipendenti che avevano partecipato alla costruzione. Per l’occasione invitai anche mio fratello Terenzio con l’intera famiglia. Fu una bella serata. Io non avevo impegni, cenammo insieme e potei far loro visitare tutta la nave.
Rimanemmo altri due giorni in cantiere, mentre tutto il nostro personale stava sistemandosi nei vari locali assegnati, trasferendovi il materiale necessario per il servizio. Sulla nave c’era un va e vieni continuo, perché ogni reparto stava preparandosi al meglio. Martedì 18 novembre, alle 08.00 uscimmo dal cantiere. La manovra venne eseguita con il valido supporto del Capo Pilota del porto di Genova Capt. Oreste Bozzo. Il giorno prima venne a trovarmi, visitò la nave ed insieme concordammo i particolari della manovra. Prima della partenza feci provare tutta la strumentazione del ponte di comando e tutti i comandi. Ormai ero pratico di questo tipo di strumentazione e non trovai alcuna difficoltà. Guardando dal ponte di comando verso poppavia, la nave sembrava immensa ed imponente, ma ci feci subito l’occhio e riuscii a valutare con esattezza le distanze durante le successive manovre.
La nave rispose subito ai comandi e ci allontanammo lentamente dalla banchina del cantiere salutando con tre lunghi fischi di sirena. Gli operai seguirono con soddisfazione e commozione l’evento. Dentro di me provavo una gioia immensa. Nel bacino a fianco c’era in costruzione la nave gemella “Costa Magica” che doveva essere consegnata entro un anno.
Rimanemmo in alto mare per due giorni per effettuare tutte le prove necessarie e completare alcuni interventi alle parti tecniche. L’intero equipaggio cenò per due sere in sala da pranzo per dar modo al personale di sala di acquisire dimestichezza con il servizio. Tutto era pronto per il debutto della nave nel campo crocieristico e il 20 mattina entrammo in porto accompagnati dai fischi di sirena della altre navi e dal forte getto d’acqua dei rimorchiatori. La nave ammiraglia della flotta “Costa” e della flotta italiana, la nave più grande d’Europa era entrata per la prima volta nel porto di Genova.
Il giorno precedente avevo simulato varie volte la manovra in mare aperto, evoluendo con la nave, retrocedendo e accostando per verificare il funzionamento degli strumenti.
Tutto andò per il meglio. In quei momenti di concentrazione, si può essere per qualche attimo distratti dai fischi di sirena o da improvvise emozioni, perciò bisogna essere sicuri del perfetto funzionamento delle consolle. Avevo mia moglie Giovanna a bordo con me e, quando rientravo in cabina e la vedevo, provavo una gioia immensa.
La mattina di sabato 22 novembre ci fu la cerimonia del battesimo. La madrina era la splendida, solare e mediterranea attrice Maria Grazia Cucinotta, di una bellezza classica e statuaria.
Per la prima volta il battesimo veniva celebrato in forma privata e riproposto poi al pubblico, alla sera, in tre repliche, nel corso della grande festa che precedeva la serata di gala.
La madrina recitò l’ormai classica formula: “Io ti do il nome “Costa Fortuna”, che Dio benedica te, i tuoi passeggeri, il tuo equipaggio e ti faccia solcare mari sempre tranquilli”.
A questo punto intervenni io dicendo con voce chiara e forte: “Madrina, in nome di Dio, taglia!” L’attrice Maria Grazia Cucinotta con un colpo di scure molto deciso tagliò la cimetta e la bottiglia di champagne si infranse sulla murata con forza gioiosa, tra gli applausi che si mescolavano ai tre lunghi fischi di sirena della nave.
Il direttore del cantiere Attilio Tirelli mi consegnò in forma ufficiale la campana della “Costa Fortuna” e mi venne spontaneo ringraziare ufficialmente lui per la collaborazione avuta e la “Costa Crociere” per la fiducia dimostratami nell’affidarmi un comando così prestigioso.
La sera, prima della cena di gala, venne presentato lo spettacolo diretto dal maestro Valerio Festi “Transatlantici. L’arte della navigazione in Italia”, un evento molto coinvolgente, sospeso tra passato e presente, realtà e immaginazione, un viaggio nella storia e nell’eredità di questa grande nave, ripercorse su un megaschermo e ricreate attraverso la magia di un balletto-musical; il tutto arricchito da giochi acrobatici ed effetti scenografici.
Durante lo spettacolo, ad un certo punto entravo in scena io che accompagnavo, tenendola sottobraccio, la madrina per poi, a metà passerella, incontrarmi con il presidente Pier Luigi Foschi che la prendeva a sua volta sottobraccio, per accompagnarla a bordo, mentre io seguivo i due prendendo sottobraccio mia moglie Giovanna. Durante la cena Maria Grazia Cucinotta gentilmente si complimentò per l’eleganza e la bellezza di mia moglie e con noi due, definendoci una bella coppia innamorata. Fu una serata appagante, ricca di incontri con ospiti importanti.
Ero veramente orgoglioso di questo comando arrivato quasi al termine della mia carriera, dentro di me provavo un gioia immensa ed una grande soddisfazione professionale. Mia moglie Giovanna mi guardava e nei suoi occhi scorgevo la felicità che provava per me.
Il Comandante Mario Terenzio Palombo con la moglie, signora Giovanna. Sullo sfondo il mitico CONTE DI SAVOIA.
La crociera inaugurale della “Costa Fortuna” aveva ospiti molto importanti, tra questi anche la cantante lirica Katia Ricciarelli della quale ebbi l’onore di ascoltare la bella voce durante la sua esibizione. Le crociere inaugurali sono sempre le più difficili. I nostri passeggeri fanno i paragoni con la nave alla quale sono più affezionati e sono sempre pronti a criticare la nuova venuta. Ma la “Costa Fortuna” si presentò molto bene, tutto funzionò perfettamente, la nave piacque subito alla nostra clientela e poi teneva molto bene il mare e la navigazione era molto confortevole.
Tutto andò bene ad eccezione della sosta a Palma di Mallorca dove il forte vento causò la rottura di una bitta. Dovetti prontamente riattraccare la nave usando le eliche di manovra e, data la persistenza del vento, chiamai un rimorchiatore a spingere di prora per tutto il resto della sosta. Nonostante i cavi di ormeggio fossero stati distribuiti su tre bitte, prora e poppa, la forte pressione del vento sulla superficie velica della nave aveva superato il carico di rottura della bitta. In seguito, la stessa cosa successe a Casablanca, a Santa Cruz de Tenerife e a Barcellona. Notificai tutti gli incidenti al responsabile del nostro “ufficio marine operations” per far sì che i porti si adeguassero in tempi brevi alle nuove dimensioni delle grandi navi. Da parte nostra stavamo sempre attenti in porto alla disposizione dei cavi e a tenere pronte le eliche di manovra quando il vento soffiava perpendicolarmente alle nostre sovrastrutture con forza superiore ai 25 nodi.
Dopo la crociera inaugurale iniziammo quelle alle Canarie. In ogni porto dove la nave arrivava per la prima volta c’era una cerimonia di consegna della targa da parte delle autorità locali. Nella prima crociera fui molto impegnato. L’itinerario di dieci giorni per tutta la stagione invernale prevedeva scali a Savona, Barcellona, Casablanca, Santa Cruz de Tenerife, Arrecife (Lanzarote) e Funchal (Madeira). Si stavano avvicinando le festività natalizie e tutta la nave venne decorata. Era bellissima, mi ci stavo affezionando sempre di più. Mia moglie Giovanna mi raggiunse per Natale e Capodanno. Il 29 gennaio 2004 sbarcai a Savona per un periodo di riposo di circa due mesi.
Sentivo proprio il bisogno di riposarmi e di godermi l’affetto dei miei cari famigliari. Mentre ero a casa in vacanza, ricevetti con piacere il quadrimestrale di informazione aziendale “The World of Costa” che conteneva una mia intervista degna di essere riportata.
INTERVISTA
L’emozione di un leader. Il comandante Mario Terenzio Palombo ci ha raccontato la sua emozione e il suo orgoglio e anche come è cambiato, dall’epoca dei transatlantici il ruolo del comandante.
Comandante Palombo, lei è al comando della nave più grande d’Italia
E’ ciò che molti in questi mesi, mi ribadiscono. E ogni volta ho sentito dentro di me una forte emozione. La stessa che ho provato quando mi è stato comunicato che mi avrebbero affidato la “Costa Fortuna”. Essere al comando della più grande nave passeggeri della storia italiana è per un ufficiale un immenso, indescrivibile onore.
Tanta emozione nonostante la sua lunga esperienza
Prendere il comando di una nave così importante e così grande mi ha procurato una sensazione indescrivibile e anche una forte soddisfazione professionale. “Costa Fortuna” è l’ammiraglia della flotta Costa, è la nave più grande della flotta italiana e, in questo momento, è anche la più grande d’Europa.
Costa Fortuna si ispira ai mitici Liners; le ambientazioni di bordo riprendono quelle atmosfere rivisitandole in chiave moderna. Ma dal punto di vista tecnico, la macchina come è cambiata?
Trovo che sia veramente indovinato questo mix tra storia e presente per quanto riguarda il filo conduttore dell’allestimento. Dal punto di vista strettamente tecnico rispetto ad allora è cambiato molto. Quelle erano navi a turbina, molto veloci, ma con un livello di manovrabilità quasi nullo; non avevano mezzi di manovra come quelli che abbiamo noi, ma avevano bisogno di assistenza dei rimorchiatori per le manovre. E questo condizionava gli itinerari che dovevano toccare porti in grado di dare l’assistenza necessaria. Erano navi adatte a fare il lavoro di allora: trasportare passeggeri da un punto all’altro, il più velocemente possibile. La nave era un mezzo di trasporto. Poi nel viaggio c’era anche la vita a bordo, suddivisa però in classi: prima, seconda e terza, con notevoli differenze tra loro. Sulle nostre navi i nostri ospiti, indistintamente, vivono una vacanza, non un viaggio, nel massimo del divertimento e del confort. Ogni crociera è studiata anche dal punto di vista meteorologico per avere sempre bel tempo; d’inverno l’itinerario tiene conto della necessità di avere un ridosso, una costiera, per assicurare il massimo confort ai passeggeri.
Oggi, rispetto al passato, i nostri ospiti scendono molto di più a terra, perché è più grande la voglia di conoscenza. Sono aumentate le coppie di sposini e le famiglie con numerosi bambini a bordo. Le navi sono più imponenti, ricche di elementi architettonici e opere d’arte, sembra che dominino il mare e sono ben stabili, anche in condizioni di mare molto mosso.
Qual è la differenza tra comandare una nave del genere e una nave come Costa Fortuna? Quale è esattamente il ruolo del Comandante e come e’ cambiato negli anni?
La figura del Comandante rispetto ai tempi in cui ho iniziato la mia carriera e’ cambiato in modo notevole. Allora la responsabilità era più per l’aspetto tecnico, della sicurezza della nave, dei passeggeri e dell’equipaggio oltre che ovviamente, della conduzione della navigazione. Oggi, invece, il Comandante è coinvolto in tutte le attività della nave ed è responsabile, con la sezione Hotel, del raggiungimento degli obiettivi posti dalla Compagnia. I Comandanti sono oggi manager che, come tali, hanno una forte autonomia e un grande senso di responsabilità, oltre a notevoli capacità di gestire un gran numero di collaboratori. E a questo si deve aggiungere anche una certa capacità di relazionarsi con gli Ospiti a bordo .
Un’organizzazione molto più complessa e, quindi, un ruolo decisamente più ampio.
Un comandante deve saper gestire la nave e, più che altro, i collaboratori affinché le sezioni della nave interagiscano nel modo migliore per raggiungere gli obiettivi che la Compagnia ci pone. Allora, invece, la responsabilità era più che altro limitata agli aspetti tecnici della navigazione.
Un cambiamento professionale molto profondo; anche soddisfacente?
Sicuramente sì. Il riferimento a bordo per l’armatore è il comandante. Va da sé che deve essere al corrente di tutto. L’hotel director, responsabile della parte alberghiera, gestisce il suo lavoro in autonomia, ma riferisce sempre al comandante che deve essere sempre informato.
Il Comandante ha anche contatti con gli ospiti. Sono oggi più o meno frequenti di allora ? E per gli altri ufficiali?
C’era una certa tendenza da parte dei passeggeri a voler avere contatti con gli ufficiali di bordo ed era dovuta alla ridotta possibilità di divertimento. Gli ufficiali contribuivano all’intrattenimento dei passeggeri anche perché la lunghezza del viaggio lo consentiva. Nelle crociere che prevedono uno scalo al giorno è quasi impossibile per un ufficiale trovare il tempo per fare vita di bordo. Senza dimenticare che abbiamo squadre di ragazzi dedicati a creare occasioni di divertimento per gli ospiti, oltre alle innumerevoli altre situazioni: spettacoli, musica, ballo, casinò…Ho anche notato, però, in qualche ospite alla prima crociera, un qualche disagio nel vedere tante divise, tutte insieme; qualcuno ha anche chiesto a me: “Ma se lei è qui, chi è che guida la nave?”.
I suoi Ufficiali sono emozionati come lei ?
I miei ufficiali sono contentissimi, Ed io sono molto contento di loro: è un gruppo di ottimi professionisti che voglio ringraziare per il loro entusiasmo ed impegno, anche oltre l’orario di lavoro, nel curare la nave nei minimi dettagli per farci arrivare a Genova in perfetto ordine per la prima crociera.
Avevo anche letto, con grande piacere, l’intervista da me rilasciata, all’ufficio comunicazioni della “Costa Crociere”, per la rivista inviata ai soci del “ Costa Club”. Un’intervista che desidero riportare per le domande interessanti alle quali io rispondo in base alla mia esperienza di comandante.
A tu per tu con il Comandante Palombo.
Per chi ama le crociere il Comandante della nave è un personaggio mitico, quasi leggendario. Ecco perché abbiamo deciso di incontrarne uno e di rivolgergli tutte – o quasi – quelle domande che si avrebbe voglia di fargli ogni volta che si sale a bordo. Per toglierci queste curiosità siamo andati da un autentico veterano, da un uomo che ha trascorso tantissimi anni in mare e che conosce molto bene la flotta Costa: il Comandante Mario Palombo.
Comandante Palombo, lei ha condotto quasi tutte le navi della flotta Costa : ci svela una caratteristica particolare che le piace, per ogni nave che ha comandato ?
Eugenio Costa: aveva una linea elegante, da vecchia signora dei mari; Carla Costa: si respirava un’atmosfera di festa. Costa Allegra è un piccolo gioiello. La Romantica è proprio quel che ci si può aspettare da un nome così, un luogo da innamorati. Di Costa Classica amo particolarmente la bella sala da pranzo. La Victoria ha una sala di prora, Concord Plaza, davvero unica e dal punto di vista nautico ha eccezionali caratteristiche di manovra. Costa Atlantica è semplicemente mozzafiato, soprattutto nella sua hall centrale e nella sala da pranzo.
E che cosa ci dice di Costa Fortuna?
La nave è ispirata ai mitici transatlantici italiani e a bordo l’ambiente che amo di più è l’immenso salone Conte di Savoia. E poi ha il ponte di comando più bello di tutte le altre navi Costa, per visibilità, grandezza, praticità. Qualunque Comandante ne andrebbe veramente orgoglioso.
Ci parli della Crociera Inaugurale.
Per un Comandante la Crociera Inaugurale è sempre la più difficile. Siamo tutti particolarmente impegnati e attenti. Inoltre è il momento in cui la nave, una volta aperta al pubblico, dimostra che tutti i nostri sforzi per renderla efficiente, funzionale e ospitale per i croceristi sono stati preziosi. E’ un momento emozionante sia per il pubblico che per l’equipaggio; per fare un paragone è come la prima di uno spettacolo teatrale: l’adrenalina, quando si alza il sipario è tanta, nonostante le prove e la consapevolezza che sarà un successo. Anche perché alle Crociere Inaugurali abitualmente partecipano croceristi affezionati, persone che con Costa hanno già fatto tante vacanze. Un pubblico competente, dunque, pronto a esprimerci il suo commento sulla nave.
E’ vero, allora, che i croceristi che scelgono le Inaugurali sono particolari rispetto agli altri?
Come ho detto, si tratta di Ospiti di riguardo, “fedelissimi a Costa” e per questo estremamente attenti ed esigenti.
Tra le attività del Comandante, c’è anche quella di intrattenere gli Ospiti della nave: è una parte del suo lavoro che le piace?
E’ una parte di lavoro veramente interessante, che mi permette di valutare come sta andando una crociera. Bisogna mettere a proprio agio l’Ospite e fargli sentire la nostra spontanea ospitalità. Può capitare di ricevere commenti negativi, ma anche in questi casi, se si riescono a risolvere i problemi con tempestività, a fine crociera si riceve sempre un apprezzamento.
Che tipo di rapporto si instaura tra l’equipaggio e i croceristi più assidui?
I nostri Ospiti percepiscono subito se il nostro atteggiamento nei loro confronti è spontaneo o dettato da fredda formalità. Per questo il clima a bordo è di simpatia e cordialità.
Una domanda di natura tecnica. Che cosa significa essere al comando di una nave come Costa Fortuna che possiede una tecnologia veramente all’avanguardia? In che cosa è diversa dalle altre?
Comandare le nostre navi significa aver piena conoscenza della sofisticata strumentazione del Ponte di Comando, acquisita attraverso anni di esperienza sulle navi e attraverso corsi di simulazione di manovra in centri specializzati (Genova, Miami, Rotterdam, Copenaghen). Costa Fortuna in particolare, è diversa tecnicamente perché è a propulsione Diesel Elettrica, ha cioè motori di propulsione elettrici. Possono essere sistemati più a poppa (per una gestione dell’energia in minor spazio) con il vantaggio di minori vibrazioni e maggior risposta in manovra. Costa Fortuna, infine, ha un grosso tonnellaggio e maggior superficie velica, caratteristiche di cui occorre tenere conto in manovra.
A proposito di manovre, qual è il porto del mondo che le piace di più? E quello che le piace meno?
Quello che preferisco è New York, quello più “antipatico” dal punto di vista delle manovre è il porto di Tunisi.
C’e’ un’altra domanda “tecnica” che si fanno spesso i croceristi : a che velocità viaggia la nave? Qual è la velocità massima ? E’ quella detta di crociera ?
Alle prove in mare la velocità massima di Costa Fortuna è stata di 22,8 nodi. La velocità di crociera è invece di 20,5 nodi.
Tra le mille crociere che ha fatto ce n’è una che le è rimasta particolarmente impressa?
Sì e risale a una decina di anni fa. Ero al comando di Carla Costa, in crociera nei Caraibi. Tra gli Ospiti c’era una giovane coppia messicana. La Signora, con un bel pancione, aspettava il suo primo bimbo, che ha deciso di nascere con un po’ di anticipo proprio a bordo della mia nave. E’ andato tutto bene, la piccola è nata mentre mancava solo un’ora di navigazione al nostro ingresso nel porto di San Juan di Portorico. E se questo evento non fosse già abbastanza emozionante, la gioia più grande è stata che i genitori hanno deciso di chiamare la piccola Karla, come la nave, e in mio onore Maria. Ho rivisto questa famiglia dopo dieci anni a bordo della Costa Victoria e ci siamo scambiati un abbraccio commosso che non dimenticherò mai.
Lei passa gran parte dell’anno in mare, che cosa fa quando ha del tempo libero sulla terra ?
Passo il mio tempo tra Grosseto, Isola del Giglio dove ora sono residente e Camogli.
Si sente più “a casa “ quando è a bordo di una nave, o quando è a casa sua ?
La mia casa è il mare, anche quando sono a terra.
ALBUM FOTOGRAFICO – COSTA FORTUNA
COSTA FORTUNA ormeggiata nel Porto di Genova
COSTA FORTUNA a Dubrovnik (Croazia)
COSTA FORTUNA a Venezia
COSTA FORTUNA in uscita da un porto italiano
GLI INTERNI CITATI... DELLA NAVE
Gran Bar CONTE DI SAVOIA 1932
Bar CONTE ROSSO 1921
Bar Classico ROMA
Bar CONTE VERDE 1923
Ristorante RAFFAELLO 1965
Ristorante Buffet CRISTOFORO COLOMBO 1954
Teatro REX
Salone LEONARDO DA VINCI 1960
Discoteca VULCANIA 1927
Biblioteca GALILEO GALILEI 1963
Autore: C.S.L.C. Mario Terenzio PALOMBO
Rapallo, 15 Ottobre 2015
SPRECARE UN SILURO PER UN VELIERO
Sprecare un siluro per un veliero
La notte del primo luglio 1915, il Capitano Nardo Bianchi osservava sereno
l’ultima parte dell’agile navigazione del suo Sardomene (pron. Sardomìn), veliero armato dagli imprenditori camogliesi Mortola e Bozzo.
Entrata della Chiesa di S.Rocco (Camogli): sul pavimento di marmo, uno splendido brigantino classico (brig), dono dell’Armatore Giuseppe Mortola nel 1896 (foto B. Malatesta)
I pensieri del Comandante
Con quella splendida nave a vela, considerata un veloce “clipper“, era partito il 21 febbraio da Bunbury in Australia, con destinazione Liverpool. Portava con sé un carico di legno pesante, il “jarrah”. Quel materiale era usato nel Regno Unito soprattutto all’esterno: travertini, cancelli, recinzioni, pavimentazioni varie, eccetera. Aveva il pregio di indurirsi fortemente una volta maturato, fino al punto di non poter essere trattato da nessun utensile dei falegnami. Bianchi, un trevigiano trentacinquenne, pensava a quanto successo due mesi prima in quelle acque. Il transatlantico Lusitania era stato silurato da un U-Boot tedesco e s’era portato dietro milletrecento persone.
Il Lusitania, colpito a morte, affonda; è il 7 maggio 1915
L’Italia a quel tempo era già in guerra con l’Impero Austro-Ungarico, ma non esisteva di fatto una formale dichiarazione di ostilità tra il nostro Paese e la Germania, alleata dell’Austria. E’ possibile che il Capitano non ritenesse il Sardomene un obiettivo strategico, anche se poche ore prima, una cannoniera inglese l’aveva avvertito della presenza di U-Boot in quelle acque. La stampa alleata di quell’epoca definiva “pirateria tedesca” certe aggressioni alle navi mercantili e il governo aveva assegnato perciò alle inermi unità alcune navi scorta in quell’area. Il vociare multilingue dell’equipaggio lo distolse da quei cupi pensieri.
Gli armatori camogliesi del Sardomene: a sn. Giuseppe Mortola (Sanrocchìn) e a ds. Vittorio Bozzo (Torrixân)
Quegli armatori camogliesi avevano costruito un’azienda grande e florida, che riuscì in seguito a traghettare abilmente il business dei traffici a vela ottocenteschi verso i più moderni piroscafi. Bianchi rifletteva anche sulla stranezza che quella nave non ospitasse nessun membro d’equipaggio proveniente dalla “Città dei Mille Bianchi Velieri”. Ciò era spiegato dalla sua lunga permanenza all’estero: infatti, oltre agli italiani, a bordo lavoravano russi, svedesi, spagnoli e scozzesi.
Il disastro
Ad un tratto, una forte esplosione sconquassa il veliero camogliese. L’equipaggio è in preda al panico, le sovrastrutture e lo scafo cedono, la nave – appesantita dal carico di legno duro – collassa e affonda in pochi minuti. Undici dei ventidue membri d’equipaggio – incluso il Capitano – periscono nella tragedia (fonte: Alfredo Noris, sopravvissuto). I naufraghi vengono salvati dalla nave scorta inglese, ma per gli altri non c’è niente da fare. Il colpo fatale era stato sferrato da un sommergibile tedesco, l’U-Boot U24, comandato dal Capitano Rudolf Schneider.
Un sommergibile della stessa classe dell’U-Boot U24, che lanciò il siluro verso il "Sardomene" (1 luglio 1915)
Sicuramente, mentre affondava, Bianchi si chiedeva perché non venne dato nessun preavviso dell’attacco e perché una nazione formalmente non ostile avesse attaccato un’unità italiana, “sprecando” così un siluro per un innocuo veliero. Va qui ricordato che solo un mese dopo, sarà accordato tra i belligeranti di preavvertire le unità mercantili prima di colpirle.
Il racconto di un superstite
Tra gli italiani sopravvissuti c’era il genovese Alfredo Noris – Primo Ufficiale - che raccontò quegli orribili attimi: “Era circa l'una di notte quando avvistai un periscopio a circa trecento metri a sinistra della prua: l'impressione che tutti ne avemmo fu che il sommergibile si allontanasse dal nostro veliero, che evidentemente non formava un bersaglio che ripagasse la spesa del siluro. Ma fu probabilmente la bandiera italiana che lo invogliò a farci la festa. Fatto è che all'improvviso il sommergibile si voltò, lanciando un siluro verso di noi. Non era neppure il caso di evitarlo: il veliero era impotente a manovrare e poi la distanza era cosi breve che si può dire che avemmo appena il tempo di vedere in acqua il siluro che già ci colpiva giusto al centro. La scossa sembrò sollevare la nostra nave fuori dall'acqua. L'esplosione fu terribile: abbatté di colpo gli alberi, le vele, le sartie, spogliò per cosi dire il veliero, facendolo inclinare fortemente a sinistra. Per l'urto, due marinai stranieri furono sbalzati in acqua dal castello di prua: uno affogò e l'altro fu salvato. Il nostromo, l'irlandese O’Neill, che si trovava al castello di prora, si diresse verso la scialuppa di dritta.
Passando per il ponte, vide due marinai, Francesco Orteghe e un altro, gravemente feriti; capimmo allora che non ci sarebbe stato il tempo di lanciare le scialuppe. Venne dato l'ordine di afferrarsi ai salvagente e di gettarsi in acqua, che ognuno provvedesse a sé stesso e Dio per tutti. Fu allora che vidi per l'ultima volta il Comandante. Il Capitano Bianchi forse non voleva lasciare la nave senza prima aver messo in salvo qualche carta preziosa oppure la cassa: entrò nella sua cabina e non ne usci più.
Posizione del relitto del “Sardomene”
Noi balzammo in acqua: due minuti dopo, il Sardomene colò a picco con gran risucchio, trascinando con sé quanti non erano così lontani da evitare quel vortice. Contammo undici cadaveri in acqua e tanti ne vennero raccolti dalla nave di scorta affrettatasi in nostro soccorso. Due italiani erano stati uccisi dalla esplosione: il cuoco Giorgio Valle e il marinaio Luigi Molla, fra gli scampati, oltre a me e a sei marinai stranieri, lo spezzino Ernesto Capetta e il napoletano Salvatore Molla».
A Camogli
Anche a Camogli l’eco della tragica notizia riempì di tristezza le vie cittadine. In un incontro del Consorzio degli Armatori e dei Capitani di Camogli, il rappresentante Antonio de Gregori inviò formalmente all’Ammiraglio Giovanni Bettolo – a quel tempo parlamentare - una lettera di protesta così da essere inoltrata al Primo Ministro Salandra.
Camogli: la vecchia Scuola di Marina (grafica di G.B. Ferrari, 1925 ca.)
Bettolo affermò che “il Governo ha avanzato adeguate proteste per l’aggressione e che a tempo opportuno speriamo siano dati risarcimenti adeguati”. L’affondamento del Sardomene venne registrato nella storia come la prima perdita di una nave mercantile italiana nel Conflitto 1915-18.
Breve storia del Sardomene
L’unità fu costruita a Southampton nel 1882 per conto della grande flotta Fernie, Henry & Sons di Liverpool, che fu attiva dal 1870 al 1905. Aveva una portata lorda di 1927 tonnellate, lunga ben 92 metri (i brigantini a palo camogliesi erano di circa 65 metri), tre alberi con vele quadre. Aveva lo scafo in ferro, come era d’uso in Inghilterra a quel tempo di transizione tra la propulsione eolica e quella meccanica. Va qui ricordato che molti nostri armatori acquistarono a fine secolo velieri inglesi con struttura in ferro, ovviamente più resistenti alle operazioni marittime e pressochè inesistenti in Italia. Era quindi una grande nave, che sicuramente sarebbe stata più veloce se avesse avuto un albero extra, mettendola così davvero alla pari coi rapidi clipper inglesi e americani adibiti al traffico del tè.
Immagine d’epoca del Sardomene nella Sede della Società Capitani e Macchinisti Navali di Camogli (foto B.Malatesta)
L’ultima partenza del “Sardomene” riportata dalla stampa: è il 21 febbraio 1915, da Bunbury, Australia. L’inserto mostra erroneamente come tipo di veliero “barque”, cioè brigantino a palo; in realtà l’unità camogliese era una “ship”, poiché provvista di tre alberi a vele quadre.
Nell’ultimo viaggio, il veliero camogliese partì da Marsiglia il 28 luglio 1914 al comando di Nardo Bianchi con un carico di piastrelle con destinazione Bunbury, nei pressi del porto di Fremantle (Perth), nell’Australia Occidentale. Lì arrivò il 17 gennaio e, dopo le necessarie operazioni portuali, il 21 febbraio partì per Liverpool con 4.000 tonnellate di legno “jarrah”. Da notare, che durante il viaggio Australia-Inghilterra il veliero fece una toccata in Sud Africa per scaricare parte del legname. E’ inoltre possibile che l’equipaggio fosse poco informato sull’entrata in guerra italiana (maggio 2015) poiché la nave era in alto mare; fu sicuramente avvertito quel primo luglio, all’arrivo in acque inglesi.
Splendido dipinto del “Laomene”, unità gemella del “Sardomene”: ha a riva la bandiera bianca e rossa, vessillo della compagnia inglese “Fernie, Henry & Sons” (opera di Antonio Jacobsen)
Il toccante commento della sorella del Comandante Bianchi
La sorella del Capitano Bianchi, ricordò tristemente alcuni episodi di famiglia, affiorati mentre osservava le rovine del suo palazzo nei pressi di Treviso, abbattuto dall’artiglieria austro-ungarica nel Primo Conflitto.
“Sotto le macerie rinvenni la fotografia di mia madre. Sempre bella. Diseppellii pure quella del mio prediletto fratello. Non è bastato al nemico lanciare il perfido dardo, colpire l’innocuo veliero guidato da Nardo nelle isole d’Irlanda e cacciato a fondo con un siluro assieme a quasi tutto l’equipaggio. Ha voluto ancora, quel vile, colpire l’effige del capitano del Sardomene nella sua casa di campagna, fra le pareti domestiche”.
Bruno Malatesta/maggio 2015
Fonti: - Articoli vari locali d’epoca – Biblioteca Civica “N.Cuneo” - Camogli - Pro Schiaffino: I soprannomi degli armatori di Camogli; - G.B. Ferrari: Capitani e Bastimenti di Liguria; - Pro Schiaffino: I 1000 bianchi velieri di Camogli; - Vari articoli liberi da copyright su Internet; - Alcune immagini non originali sono libere da copyright.=
Eventuali precisazioni o ulteriori informazioni sono benvenute. Grazie
CANI "MARINAI" d'amare di B.Malatesta e C.Gatti
CANI MARINAI
Cani d’amare
L’ambigua pronuncia del titolo si riferisce ad un argomento che solo pochi di noi hanno mai preso in considerazione: la frequentazione dei nostri amici a quattrozampe sulle navi. Credo invece che parlarne possa svelare degli aspetti, a dir poco, sorprendenti.
Sicuramente in molti abbiamo notato almeno una volta una simpatica bestiola che abbaia scodinzolando sulla coperta di un rimorchiatore oppure quando sfreccia con brio da prua a poppa su una chiatta nei canali del Nord Europa. Ma chi ricerca attentamente su questo soggetto, trova la conferma che cani e uomini hanno condiviso da tanto tempo il loro destino in mare e non solo nei momenti di reciproca compagnia.
Quando ero giovane ufficiale, negli anni '70, una delle ricorrenti affermazioni che sentivo a bordo era un antipatico commento ripetuto durante le interminabili ore di navigazione notturna nell’oceano. Forse per rompere il silenzio ovattato del ponte di comando, il saggio di turno declamava in maniera pseudo-filosofica: "la guardia, la fanno solo i marinai e i cani!".
Da allora è passato del tempo e dopo aver terminato la mia carriera e le guardie sulle navi, ho deciso di avere come amico un cane del quale sono perdutamente innamorato. Durante i momenti di reciproca e naturale incomprensione mi chiedo a volte quale sia l’eventuale attaccamento del mio amico verso una nave, se mai vi si trovasse sopra. Dalle prime ricerche fatte, ne ho ottenuto un risultato inaspettato, che rende inappropriata la seppur amorevole definizione di “mascotte di bordo”: cioè il nostro amico ne merita davvero una ben più consistente. Vediamo alcuni aspetti di questo discorso.
E’ risaputo che i cani occupano i primi posti per dedizione ed attaccamento alla famiglia, sia quella gioiosa di un’abitazione che quella più atipica dell’equipaggio di una nave. Lo si denota dalle immagini che ci giungono nel tempo: prima i quadri bucolici del ‘600, poi gli innumerevoli dipinti delle scene di caccia, quindi le dagherrotipie e fotografie di fine ‘800 che ritraggono equipaggi di velieri con il loro fedele amico. In queste ultime, spesso l’animale è immortalato vicino al Numero Uno, il Comandante, quasi come se tra i due vi fosse un legame invalicabile alle persone che collega la solitudine del comando da una parte con l’eterna ed incommensurabile fedeltà dall’altra.
L'equipaggio del veliero "Bedford" (1904): il cane è vicino al Capitano! (tratto da http://content.lib.washington.edu)
Tempo fa, mi aggiornai su uno dei transatlantici più gloriosi della nostra Marina Mercantile, il Rex. La veloce unità, come è noto, nel 1933 guadagnò con onore il Nastro Azzurro per aver compiuto la traversata atlantica ad una velocità di 29 nodi circa (54 Km/h)! Il suo Comandante, Francesco Tarabotto, splendida figura di Capitano Marittimo di Lerici, diplomato nautico a Genova, teneva a bordo una femmina di terrier, Lilly.
La testata americana Niagara Falls Gazette scrive, tra l’altro, nell’ottobre 1934: “ Il Comandante Tarabotto è scapolo e se gli chiedete perché, lui sorride riservatamente e asserisce che i suoi unici amori sono il Rex e la sua cagnetta Lilly, un terrier arrogante che scorrazza tra il ponte di comando e gli alloggi ufficiali”.
Uno splendido quadro di Marco Locci: Il Rex, il Conte di Savoia e il Conte Grande
Coloro che conoscono anche a tratti la storia del Rex, sorrideranno all’accostamento di Tarabotto, ufficiale imponente, che incuteva immediato rispetto, con la vivace bestiola, ma evidentemente anche lui se ne era “innamorato”.
Quello scritto mi stimolò a continuare a ricercare notizie dei cani sulle navi, a capire cioè se la loro presenza fosse unicamente quella di tenere compagnia alla gente o se ci fosse qualcosa di più. I due esempi che seguono ci dicono infatti che il comportamento di quegli animali verso le navi è, a dir poco unico e forse, ancora inspiegabile.
Mi ricordai infatti dell'articolo sul nostro sito di Carlo Gatti, past President della Società, che narrava le tragiche vicende della piccola nave da carico Fiducia, poi affondata, il cui equipaggio fu salvato dalla nave passeggeri italiana Vulcania nel dicembre del 1962 a nord della Sicilia. Gatti si trovava lui stesso a bordo della nave passeggeri come Terzo Ufficiale di Coperta.
Si legge tra l’altro: “…ci fu, purtroppo, una vittima di cui non abbiamo ancora fatto cenno. Su quella coperta inclinata e flagellata dai marosi, scivolava da paratia a paratia, abbaiava e piangeva un pastore tedesco, che nessuno poteva più aiutare. L'equipaggio stremato ed ancora impaurito, ma ormai al sicuro sul ponte passeggiata del grande transatlantico, volle seguire con lo sguardo il drammatico epilogo della sua nave. I naufraghi si schierarono l'uno accanto all'altro, s'appoggiarono tristemente al parabordo del ponte e fissarono a lungo, con gli occhi sbarrati, l'ultimo comandante di bordo che, abbandonato per sempre dagli uomini, s'allontanava incredulo nel buio più profondo.
L'affondamento della nave da carico FIDUCIA (arch. C. Gatti)
Lo salutarono sbracciando i loro baschi fradici tra le lacrime e gettando nell'angoscia, non solo i passeggeri, ma anche il collaudato equipaggio dell'anziana Vulcania. A bordo, tutto si fermò per un attimo, il nostro Comandante, stagliato come una sfinge sull'aletta della plancia, salutò con tre fischi lunghi e mesti la coraggiosa Fiducia che si apprestava a compiere la sua ultima traversata verso gli abissi, con il suo indomito e fedele nocchiero. La nave poco dopo sparì, trascinando con sé il suo ultimo compagno di viaggio, il più fedele. Se ben ricordo, il suo nome era Dock. (l’articolo completo è a http://www.scmncamogli.org/oldsite/pagine/nfiducia_nar.htm).
Dopo qualche tempo, un altro evento, toccante come il precedente, richiamò la mia attenzione. Nel dicembre 2010, la nave italiana Jolly Amaranto fu investita da una terribile tempesta nel Mediterraneo. L’unità fu abbandonata in quell’inferno e l’equipaggio venne salvato da un rimorchiatore. A bordo c’era un cane, Athos, che fu anch’esso portato in salvo. Dopodichè in un attimo successe l’imprevisto: il cane si lanciò in acqua per raggiungere la nave morente in mezzo alla tempesta!
Vano fu il tentativo di un marinaio che si tuffò dietro di lui per soccorrerlo, anzi dovette lui stesso essere portato in salvo dai sopravvissuti. La povera bestia sparì nelle onde implacabili e buie di quel mare in tempesta. (vedi toccante testimonianza a You Tube a http://www.youtube.com/watch?v=uQPsdywrVTs).
Dock e Athos si sono comportati in maniera simile, erano vincolati alla propria nave in maniera sublime, sino a sacrificare la vita, nonostante i propri padroni, sicuramente gli esseri a loro più vicini e più cari, fossero già tratti in salvo.
San Rocco di Camogli: Il monumento al cane, amico fedele dell'uomo (foto B. Malatesta)
A San Rocco di Camogli, il 16 agosto di ogni anno, si celebra la Festa del Cane, dove vengono premiati quegli animali che si sono distinti per le loro azioni di eroismo verso gli umani. Sarebbe bello che un segmento della manifestazione fosse dedicato ai quattrozampe delle navi, i quali ci ricordano istintivamente che l’unità sulla quale lavoriamo è davvero qualcosa di vitale importanza e che dobbiamo fare di tutto per salvaguardarla.=
Bruno Malatesta - 8/2012
Appendice: I cani nella storia marinara
I cani, si sa, hanno molta storia e tradizioni in comune con le persone. Sin dall’inizio della navigazione, questi animali sono sempre stati a bordo e siccome molti secoli fa le imbarcazioni naufragavano frequentemente, succedeva che i quattro zampe sopravvissuti abbandonavano l’unità arenata negli scogli, avventurandosi così in un nuovo paese, a volte originando quelle razze che oggi sono considerate pure. Nel 15mo e 16mo secolo per esempio, gli esploratori europei giunsero sulle coste del Nord America portando con loro mastini, cani pastore e waterdogs. Il famoso ed utile Terranova che, insieme al Labrador, è forse il cane acquatico più conosciuto, è il risultato dell’insieme di quelle razze.
Un Terranova
Ma non è solo l’aspetto della genesi di stirpi canine che richiama il nostro interesse. Ben presto, quando s’intese che i cani potevano essere addestrati con risultati sorprendenti, vennero utilizzati per espletare alcune operazioni di bordo, soprattutto il lavoro duro.
Nei vascelli da guerra erano impiegati per scambiare messaggi strategici tra i comandanti, cioè come dei veri e propri messaggeri acquatici; sulle navi da pesca invece raccoglievano il pesce o lo spingevano nelle reti o addirittura sistemavano tali reti ed altra attrezzatura che si trovava sia a bordo che in mare. Nei casi di razze pregiate, costituivano preziosa merce di regalo verso potenti dignitari che avrebbero assicurato così buoni affari al comandante della nave. Potevano anche servire per cacciare i ratti di bordo; per esempio, i piccoli Chihuahua scovavano soprattutto i vermi che si infilavano dove altri cani di taglia maggiore non arrivavano. Infine, compito molto importante, riportavano a bordo tutto quello che cadeva in mare, persone comprese. =
Ancora una testimonianza!
UNA MANOVRA DA CANE........
Entrai in timoneria mentre il traghetto della Tirrenia, proveniente da Porto Torres, stava imboccando l’entrata del porto.
“Ciao Comandante, ben arrivato!”
“Ben trovato a te! Stamattina abbiamo un pilota in più!” – Pensai d'incontrare quel collega che ogni tanto ritornava a Genova dai suoi genitori. Mi guardai intorno, ma vidi solo il timoniere ed un cagnone nero accucciato in un angolo. Il comandante rideva di sottecchi...mi spiegò:
- “Quella specie di orso bruno là nell’angolo si chiama Pilot e fa parte dell’equipaggio. Si é imbarcato con me un mese fa e sbarcherà con me tra dieci giorni! Non ci crederai, ma a bordo ha le sue mansioni e guai ad interferire... E’ un cane molto orgoglioso!”
Lo guardai incuriosito e dissi: “Lo hai assunto come ‘gigolot’ per le cagnette di certe anziane passeggere ? O l’hai chiamato così in onore della mia categoria...?”
“Ad essere sincero né l’uno né l’altro. Il mio cane, di razza sconosciuta, sente la manovra come uno di noi e, allora, capisci, non potevo chiamarlo in un altro modo... Non vorrei che la battuta ti suonasse un po’ strana. Non c’è alcun doppio senso, credimi.”
Il Comandante sembrava davvero preoccuparsi della mia reazione e replicai: “Amo i cani e se anche fosse così, troverei la tua descrizione originale e assolutamente divertente”.
Poi mi rivolsi direttamente all’interessato come fosse un collega: “Se sei dei nostri e ami la manovra, come dice il tuo datore di lavoro, uno di questi giorni ti porto sulla Torre/Piloti per farti conoscere i miei colleghi. Magari alcuni li conosci già”.
Pilot mi fissò con un occhio solo e poi girò il testone per indicarmi la prua. Capii che non voleva assumersi alcuna responsabilità circa la mia distrazione !
C’era un po’ di tramontana, chiudemmo la porta di sopravvento e cominciammo a far ruotare la nave a dritta di 180° per portare la poppa in direzione della scassa n. 4 di Ponte Colombo. Durante la rotazione era immobile e concentrato, ma appena la nave terminò l’accostata, Pilot si alzò e con tutta calma ci precedette verso l’aletta di dritta, si sistemò vicino ai comandi esterni, poi si girò impaziente verso di noi facendoci intendere: ‘avvicinatevi é il momento di portare la nave in banchina’.
Il suo padrone non gli aveva fatto alcun cenno. Rimasi basito. Pilot aveva segnalato non solo l’inizio della seconda fase della manovra, ma si era anche trasferito verso il lato d'attracco previsto quel giorno, che poteva essere un altro tra i quattro in funzione nel terminal. Una cosa é certa: Pilot non si sbagliò. Non dissi nulla. La nave andò regolarmente all’ormeggio e i cavi vennero filati a terra e poco dopo il Comandante urlò all’interfonico: “Abbassate la rampa!”. A quel punto Pilot lasciò la postazione scrollandosi di dosso le ansie accumulate e pensando: “La manovra é finita. Missione compiuta”. Lasciò il Ponte di Comando e se n’andò in cabina ad aspettare il suo padrone per ricevere le meritate coccole.
A quel punto mi rivolsi al mio amico Comandante e chiesi con morbosa curiosità:
- “Comandante, la manovra non é mai la stessa e noi lo sappiamo perché ogni giorno la cambiamo in base al vento e alle esigenze del Terminal. Ora ti chiedo: Pilot si é mai spostato verso il lato sbagliato della manovra?”
- “No! Non é mai successo! Io credo che lui percepisca il mio pensiero e analizzi inconsciamente i miei gesti. Le sue reazioni si basano, credo, sulla nostra empatia.
- “Ma si comporta allo stesso modo anche nella manovra di partenza?”
-“Si ! Anche alla partenza. Pilot anticipa sempre di qualche minuto la mia salita sul Ponte di Comando e appena sente l’ordine: “Rimanere su un cavo e lo spring”, si sposta sull’aletta di manovra, quella giusta! Appena molliamo i cavi da terra, lui rientra prima di me in timoneria, si sistema davanti al vetro centrale per indicarmi la rotta d'uscita dal porto”.
Quando siamo in mare aperto, a volte succede che mi trattenga sul ponte a scambiare quattro chiacchiere con gli ufficiali ma, anche in questo caso, non riesco mai a fregarlo. Sembra che Pilot capisca dalle mie parole e dal tono della voce quando sta per giungere l’attimo del mio congedo. Fino a quel momento rimane impassibile nell’attesa della mia decisione che lui percepisce sempre nell’attimo giusto e ancora una volta mi precede dandomi il tempo di salutare i presenti.
Carlo, cerca di venire anche alla partenza. Credo che Pilot voglia farti vedere ancora qualcosa...
T’aspetto!”
Una nota sul TITANIC
A bordo del transatlantico affondato al largo di Terranova il 14 aprile 1912 c'erano, a quanto riporta lo storico del Titanic Claudio Bossi, ben 35 cani che accompagnavano passeggeri di prima classe, e per i quali fu approntato anche un canile. Non risulta invece che ci fossero gatti.
La presenza di cani di razza a bordo era tale che, per il 15 aprile, era stata anche prevista un'esposizione canina per intrattenere gli ospiti che, ovviamente, non ebbe mai luogo. Due cani sopravvissero al naufragio.
Qualche tempo dopo l'arrivo dei naufraghi a New York, il quotidiano N. Y. Herald pubblicò la storia di Rigel, un terranova che sarebbe appartenuto al primo ufficiale William Mc Master Murdoch, il quale avrebbe nuotato per ore abbaiando fra le scialuppe alla ricerca del padrone scomparso, attirando così l'attenzione dell'equipaggio della Carpathia, la nave che giunse per prima e raccolse i superstiti.
Carlo GATTI - Bruno MALATESTA
Rapallo, 26.08.12
I MARINAI LIGURI D'ALTURA ...
I MARINAI LIGURI D'ALTURA
Quante intelligenze di mare sono mute per non essersi mai incontrate con i sentimenti e gli stessi pensieri dei terrestri... Chissà cosa potrebbero raccontare con quello che hanno visto e sofferto nel loro peregrinare negli oceani?
C.G.
Il Pensiero del Comandante Nunzio Catena
Platone disse: "ci sono tre tipi di uomini: i vivi, i morti e quelli che vanno per mare”. Come non pensare che ad ognuna di quelle imbarcazioni corrisponde un equipaggio di anime! I migliori! Costretti dal mare a setacciare ogni giorno sentimenti, affetti e ricordi che un terrestre non fa in tutta la sua vita. In mare si affina una sensibilità diversa e profonda che sublima l'umanità di ciascuno. Certo, non idealizzo, ci sono tanti lestofanti anche tra i naviganti improvvisati, ma lì sono almeno "condannati" a pensare!
Anche il valore della vita di un marittimo è sacro! Per un "uomo in mare" si impegnano a cercarlo navi distanti anche centinaia di miglia, unità che costano migliaia di dollari all'ora.
A terra, invece, ogni giorno ci mostrano immagini di individui che passano sopra il cadavere di un proprio simile, senza neanche fermarsi.
Ognuna di queste navi è un 'microcosmo' governato da regole universali, poche, ma funzionali che mirano solo ad un progetto: partire, viaggiare con un carico ed arrivare a destinazione. Se a terra le cose funzionassero alla stessa maniera, non vedremmo il caos che regna in ogni settore, a cominciare dall’alto…!
Tramontana
Quella mattina invernale era uguale a tante altre. Una fredda tramontana tagliava ogni centimetro di pelle scoperta e tutto rifletteva come fosse di vetro. Genova era quasi sveglia e si gustava ancora per poco il tepore casalingo. Presto si sarebbe specchiata nel suo porto dal sapore nordico. Il Torregrande rientrava veloce da un rimorchio “pesante” all’Italsider. L’equipaggio, assiepato sul ponte di comando, era pronto a divorare la focaccia con la cipolla ancora calda …bagnata dal solito bianchino frizzante.
Testata Ponte Parodi – Anni ’60 - Ormeggio dei Rimorchiatori
Charly tra un viaggio e l’altro in altura, si teneva in allenamento, come Comandante, in questa “università” della manovra portuale che aveva un organico di oltre quattrocento barcaccianti, alle dipendenze della più importante società del Mediterraneo, la “Rimorchiatori Riuniti”.
La caccia ai giovani più dotati, che formassero gli equipaggi d’altomare era sempre aperta. Charly non cercava il “genio marinaro”, ma contava su un volontario con le caratteristiche del lupo di mare: più testa che fegato, un buon carattere, un elevato spirito di corpo e soprattutto uno stomaco d’acciaio.
L’esame finale d’ammissione “all’altura” consisteva nel superamento di un pasto a base di polpi quasi crudi, oppure di trippe alla genovese, condite dal sale di una burrasca forza sette. La sfida di gruppo al dio del mare avveniva in coperta, con il piatto in mano, stivali e incerata da tempesta. Era un’esibizione dal sapore arcaico, un rito fra odio e amore per esorcizzare il pericolo e cementare un legame di solidarietà e reciproca assistenza.
I marinai di un tempo non lontano...
Secondo la leggenda che circola sui bordi, il nostromo é l’uomo rozzo e volgare che conduce la ciurma all’arrembaggio! Da secoli questa definizione arcaica e un po’ romantica conserva un margine di verità anche nel nuovo millennio. Se il moderno capitano marittimo ha assunto, suo malgrado, anche il compito di manager aziendale e quello d’ingegnere elettronico, la figura del nostromo rappresenta tuttora la continuità, la maglia di catena che unisce e dà un senso ai lunghi capitoli della marineria narrata in tutti i continenti. Il suo ruolo é sempre lo stesso: trovare la soluzione ai problemi che il mare propone a getto continuo e in forme sempre più sofisticate. E’ questione di feeling, recita una canzone di Cocciante. Nel nostro caso il mare sceglie i suoi figli migliori e li chiama nostromi.
Il nostromo dei miei tempi “abitava” praticamente a bordo, conosceva ogni bullone della nave, sapeva dove e come mettere le mani per impiombare (unire) due cavi spezzati, sostituiva un’ancora perduta, riparava qualsiasi avaria in coperta, tamponava falle e poi cuciva e rappezzava i cagnari che coprivano le stive, maneggiava le cime (cavi) di ogni calibro con l’arte di un prestigiatore e usava gli aghi, il paramano, le caviglie, il mazzuolo con tanti attrezzi personali avuti in eredità dai vecchi lupi di mare di Camogli, Viareggio, del Giglio, Imperia, Carloforte ecc... Un vero corredo di utensili che portava con sé sull’altare quando sposava la nave. Già, proprio così! Il Nostromo nasceva e moriva con la “sua” nave.
Mare in coperta ...
Zeppin e sua moglie Anna nella “caletta” di Carloforte
Anche il Torregrande aveva fatto la sua scelta: il nostromo Zeppin che rappresentava lo spirito e la continuità, il carattere e la combattività. Tuttavia nel suo personaggio c’era qualcosa di strano e di misterioso: la normalità di Zeppin sulla terraferma, a bordo si trasformava in mito per diventare l’incarnazione di un folletto onnipresente, onnisciente e tanto positivo da diffondere euforia, ottimismo e sicurezza.
Per lui il mondo umano si divideva in poche categorie: quelli di terra che ignorava e quelli di mare che rispettava come compagni di sventura, ma tra questi amava solo gli equipaggi d’altura, già… quelli che si alternavano sul Torregrande e ne ricevevano il suo “imprinting”.
Non era facile conquistare o farsi conquistare da Zeppin. Occorreva innanzitutto mostrare un viscerale e referente rispetto per il Torregrande, che era per lui casa, chiesa e schêggio…
Lo spirito di corpo in lui era innato, come l’insularità della sua terra: (Carloforte - Isola di S.Pietro), alla quale si sentiva unito da un’impiombatura, che lui stesso ogni giorno ripuliva e curava.
La tonnara di Carloforte
Bilancella di Carloforte
Zeppin era duro come i leudi su cui era cresciuto. Diffidente, aveva occhi nerissimi e li roteava vispi, sempre alla ricerca d’improbabili pirati, in agguato su sciabecchi rapiti all’immaginario d’altri tempi. Zeppin era un uomo scaltro che vedeva in modo giovanile e pensava all’antica. Guardava gli strumenti nautici, ma osservava il colore del mare e il volo dei gabbiani; ascoltava i bollettini del tempo, ma scrutava attentamente le nuvole e amava soprattutto storpiare i proverbi dei suoi avi tabarchini e poi rideva…
Zeppin era un uomo senza tempo, un pezzo di mare che poteva scivolare su e giù per qualsiasi coperta, in ogni angolo di mondo macchiato di minio, cordami e bozzelli. Forse era proprio lui il prototipo, il cosiddetto uomo di mare, dolce e premuroso, che volgeva improvvisamente in burrasca, capace di consumare vendette e poi il perdono.
Dopo l’ennesima avventura sulle spiagge romane, uno stato d’animo da miracolati aleggiava ancora in quella saletta, quando arrivò il D.M. Guido che tranquillizzò tutti assicurando che sarebbero stati imbarcati due rinforzi di esperienza: Gian, primo macchinista e Loturco motorista.
Gian, trent’anni, era il più giovane degli ufficiali ed era della zona di Castelletto come Guido e il 1° di coperta Giorgio. Per chi non lo conosceva Gian poteva sembrare una presenza inquietante: di poche parole, di media statura e ben stazzato, aveva un viso duro e butterato da killer, di cui aveva soltanto la passione per le armi. Proveniva da una nota stirpe d’Armaioli di Piazza Banchi, ed ebbe buon gioco nel coinvolgere Charly, discreto tiratore, in molte sparatorie in mare ed in diversi poligoni regionali.
Gian stava maturando velocemente alla scuola di Guido ed aveva fegato da vendere. Sul Torregrande trovò gli stimoli giusti che esaltavano il suo carattere, dotato tra l’altro di un raffinato humor inglese.
Loturco era il secondo motorista, d’origine pugliese aveva trent’anni. Era forse il più regolare del gruppo: silenzioso in mezzo a tanti istrioni, preferiva la seconda fila. Da lui emanava un senso di pace interiore, che ogni tanto riusciva a sbloccare con battute pungenti ma mai cattive.
Era la vigilia di Natale. In quella tarda mattinata, una cappa grigia gravava sulla città ed uno strano scirocco freddo annunciava nevicate sui monti vicini. A bordo fervevano i preparativi per l’imminente viaggio, ma il pensiero dell’equipaggio era rivolto al suo Comandante che tardava a rientrare a bordo con le ultime notizie sulla spedizione.
Dal parabordo di banchina, Charly preferiva saltare direttamente in coperta. Un doppio colpo, secco e rimbombante, richiamò l’attenzione dell’equipaggio che irruppe velocissimo in saletta.
“Ragazzi si parte!” disse Charly con tono distaccato, poi accennò una pausa e aggiunse: “All’alba del 26, rompete le righe!”
Stea é il primo da sinistra
Ne seguì un applauso e gli auguri alle famiglie.
Stefano (Stea), marinaio di 24 anni, alto e ben piantato era una creatura del nostromo Zeppin. Rivierasco come Charly, aveva una carnagione scura ed un taglio obliquo degli occhi che ricordava vagamente un personaggio di Salgari. Era il ritratto giovanile di suo padre, eroe della “resistenza” sui monti della Liguria e del suo vecchio ne perpetuava il coraggio e quella naturale incoscienza giovanile che più volte Charly cercò di contenere… invano!
Per capire il temperamento di Stea occorre raccontare di quella notte in cui infuriò una burrasca tremenda che sorprese il Torregrande alla fonda davanti al porto di Milazzo. Il convoglio, composto dalla vecchissima draga: Rinoceronte, due chiatte ed un rimorchiatore portuale, era destinato a Taranto. Purtroppo, in navigazione nel basso Tirreno, scoperto ai colpi di mare da libeccio, la benna della draga si dissaldò ed iniziò a brandeggiare ad ogni rollata imbarcando acqua di mare a tonnellate.
Charly fu costretto a puggiare a Milazzo, aperta soltanto a grecale, diede fondo l’ancora in rada e si legò i tre natanti ai due lati. Denunciò l’avaria al Tribunale locale e chiamò una ditta per riparare i danni.
Nella serata del giorno dopo, terminarono i lavori di saldatura. Charly fece preparare il convoglio per la partenza e dispose:
“Salpata l’ancora, molleremo man mano le cime d’ormeggio dei rimorchi per farli sfilare di poppa fino a distendersi in fila indiana. Stea, a bordo dello Zodiaco, baderà a sbrogliare gli immancabili grovigli di cavi e catene”.
In piena notte si levò inaspettatamente un forte vento di burrasca che rovesciò piovaschi così intensi da impedire la visibilità a pochi metri di distanza. L’ancora del Torregrande dragò velocemente e nel giro di pochi minuti il convoglio s’ammucchiò sotto la prora di una petroliera, anch’essa in difficoltà mentre scaricava il suo puzzolente prodotto nel Porto Petroli.
Le cime che legavano i natanti al Torregrande si spezzarono. Charly era accecato dagli aghi di sale e schiuma che gli arrivavano in faccia come impercettibili frecce. A nulla giovavano le potenti sciabolate del proiettore che fendeva quel muro d’acqua senza penetrarlo. Zeppin e Stea, coltello al fianco, irruppero sul ponte di comando a dorso nudo e fradici d’acqua:
“Comandante ci tenga d’occhio, prendiamo lo zodiaco e andiamo a radunare quel branco selvaggio…!”
Disse Stea con tono divertito.
“Dai nu menemuse u belin co-u brancu, andemu desgraziou!” (Dai non perdiamo tempo con le bestie, sbrigati disgraziato!) urlò Zeppin infuriato, come se dovesse inseguire dei ladri.
Charly non ebbe il tempo di fermarli. I due sparirono in una nuvola di schiuma impazzita.
Per Charly quei minuti d’attesa sembrarono un’eternità!
Poi, come un fulmine, l’urlo di Stea raggiunse il ponte: “Comandante abbiamo sciolto il grùppo (groviglio), l’elica é libera potete manovrare!”
In quel momento s’affacciò un marinaio dalla prora altissima della petroliera e gridò impaurito: “Chi siete mai? Che vulite a s’tura?”
(Che cosa volete a quest’ora della notte?)
“Ti gh’é un pö de baxaicò, belinn-a?” (ce l’hai un po’ di basilico buon uomo…?) gli urlò Stea divertito.
Stefano Mora (Stea) studiò e diventò un ottimo Comandante, ma per il suo Torregrande diventò anche un bravo pittore ! Oggi é pensionato nella sua Sestri Levante e fa dell'ottimo vino rivierasco! Zeppin é mancato nel 1975 ma é sempre vivo nel ricordo di tutti noi. Anche Giorgio Ghigliotti e Guido Bianchi sono mancati, ma NESSUNO di noi é mai sbarcato dal TORREGRANDE!
Rivisitazione di – QUELLI DEL TORREGRANDE
di Carlo GATTI
Ediz.2001 – Nuova Editrice Genovese (esaurito)
LA PROPULSIONE AZIPOD
LA PROPULSIONE AZIPOD
Rompighiaccio Supplyvessel – Sistema propulsivo Azipod
· La propulsione Azipod è un sistema di propulsione privo di ingranaggi di timoneria dove il motore elettrico è installato in un contenitore sommerso all’esterno dello scafo.
· Nel sistema di propulsione Azipod l’elica è a passo fisso e a giri variabili.
· Una nave con il sistema di propulsione Azipod non necessita di timone, lunghi assi di trasmissione e propulsori trasversali
- La propulsione Azipod provvede a:
· Maggior sicurezza e ridondanza
· Maggior efficienza combustibile e riduzione costi di manutenzione
· Sistema di propulsione meno inquinante
· Notevole aumento di comfort a bordo
· Impianto più semplice e con rendimento più alto
· Installazione più semplice e veloce
· Vantaggiosi investimenti e procedure di costruzione
In condizioni estreme di ghiaccio la propulsione Azipod si comporta con imbattibili caratteristiche in dette situazioni. Il propulsore Azipod è di costruzione molto semplice e con un diffusore fornisce un alto rendimento di spinta.
Il consumo di combustibile e quindi le emissioni di gas sono ridotte grazie all’aumentata efficienza idrodinamica e al concetto dell’impianto. L’aumentata efficienza idrodinamica è il risultato della ridotta resistenza dello scafo dovuta alla eliminazione dei bracci di sostegno esterni degli assi portaelica e dal miglior profilo dello scafo. L’elica di tipo a trazione lavora in migliori condizioni e con un rendimento più elevato. L’esperienza della prima nave passeggeri con propulsione Azipod, la Carnival Elation, ha portato un risparmio di 40 tons di fuel per settimana rispetto alla sua gemella con propulsione convenzionale. Un valore del 10% può quindi essere stimato sul risparmio di fuel di una nave passeggeri con propulsione Azipod rispetto ad un’altra con propulsione tradizionale. Il tipo di impianto genera risparmi di combustibile ottimizzando la richiesta di potenza dei motori diesel. Il P.M.S.(Power Management System) inserisce o disinserisce i gruppi DD/GG (diesel generator sets) in rete secondo la richiesta di carico della nave, riducendo l’inefficiente lavoro a basso carico, le ore di moto dei generatori e le vibrazioni delle eliche. Il gruppo Azipod è un’elica di tiro che lavora in una migliore condizione e induce ad una pressione più bassa sullo scafo. Il sistema di propulsione Azipod elimina sia i propulsori di governo che i supporti esterni degli assi e i timoni. Come risultato si possono avere a bordo livelli di vibrazioni e rumorosità più bassi con aumento del comfort a bordo per i passeggeri. Il Gruppo ABB opera in circa 100 paesi ed impiega circa 150,000 persone.
AZIPOD
Cantieri Navali di Astrakhan (Russia) – Controllo propulsori Azipod
Blue Ocean II.1 - Trasporto Oil Drilling Platform
ALBUM FOTOGRAFICO (1)
Costa Luminosa
AZIPOD della COSTA LUMINOSA
Che cos'è l' Azipod?
Azipod è il marchio registrato con cui ABB (ASEA BROWN BOVERI) commercializza la gamma di propulsori azimutali elettrici per navi, il cui primo modello è stato realizzato all’incirca venti anni fa. Con l’ultima versione ABB ha lanciato sul mercato il propulsore elettrico più efficiente dal punto di vista energetico.
Background e tecnologia Il sistema di potenza e propulsione di una nave per il trasporto merci è generalmente costituito da generatori diesel che assicurano l’elettricità a bordo e da un motore diesel separato che aziona l’asse portaelica. Trattandosi di un sistema di propulsione ibrida diesel-meccanica, la stretta interdipendenza tra la velocità del motore e dell’elica comporta una diminuzione notevole dell’efficienza energetica ai bassi regimi. La propulsione diesel-elettrica rappresenta una soluzione relativamente recente per la movimentazione delle navi e si differenzia per la presenza di un impianto di potenza di maggiori dimensioni, solitamente costituito da generatori azionati da motori diesel e da un motore elettrico accoppiato all’elica centrale. ABB è il primo produttore mondiale di propulsori elettrici. In questo sistema, i motori elettrici che azionano le eliche, responsabili dei maggiori consumi di elettricità, sono comandati da azionamenti che assicurano un’alimentazione continua e controllano la velocità delle eliche. Il sistema di propulsione elettrica è così in grado di azionare i motori diesel con un’efficienza pressoché ottimale, indipendentemente dalla velocità dell’imbarcazione. L’impiego di cavi elettrici al posto degli organi meccanici di trasmissione contribuisce inoltre a ridurre le vibrazioni a bordo. Azipod e l’efficienza energetica I propulsori elettrici di ABB spaziano da una serie di apparecchiature elettriche a velocità variabile all’esclusiva famiglia di sistemi Azipod ad alta efficienza. Il primo propulsore Azipod risale al 1990. Il sistema Azipod è posizionato in un pod montato esternamente allo scafo, che combina sia la funzione propulsiva che di governo dell’elica centrale, del timone e delle eliche di manovra. La possibilità di riunire in un unico gruppo sistemi di norma installati separatamente consente di recuperare spazio a bordo da destinare a scopi diversi. Grazie alla collocazione del propulsore Azipod sotto lo scafo della nave è possibile ottenere un risparmio del 10% sui consumi di carburante rispetto ai sistemi di propulsione diesel-elettrici con linea alberi convenzionale. Nel 2002 ABB ha introdotto il sistema CRP Azipod. La tecnologia CRP (contra-rotating propeller) impiega una coppia di eliche coassiali controrotanti (una destrorsa e una sinistrorsa) e si implementa installando un sistema Azipod al posto del timone su una nave con linea alberi convenzionale. Questa soluzione è particolarmente adatta per i traghetti o altre navi veloci che necessitano di un’elevata efficienza propulsiva. Nel 2004 il sistema CRP Azipod è stato installato su due imbarcazioni realizzate per ShinNihonkai Ferry, il principale operatore di traghetti del Giappone. L’azienda ha registrato un risparmio di carburante del 20% e un incremento della capacità di trasporto del 15% rispetto alle navi di pari dimensione equipaggiate con motori diesel. I sistemi Azipod di ABB vengono installati su una varietà di imbarcazioni tra cui navi da crociera di lusso, yacht, traghetti, piattaforme di perforazione, petroliere artiche, navi rifornimento per le piattaforme offshore e rompighiaccio.
In questo disegno si notano le differenze tecniche tra il sistema tradizionale (a sinistra) ed il sistema AZIPOD (a destra)
Questo disegno c’illustra molto chiaramente la meccanica degli ingranaggi e quindi il funzionamento del sistema Azipod
Il sistema Azipod visto da un’altra angolazione
Le Eliche sono state montate
Azipod carenato, pronto per il montaggio
Altro esempio di Azipod pronto per il montaggio
Schema funzionamento Azipod
Joystick posizionato sul Ponte di Comando della nave
(Joystick Steering Wheel)
Nave munita di tre Azipod in bacino di carenaggio
Nave da carico con Azipod sui ghiacci
DUE TESTIMONIANZE
Comandante Mario Terenzio Palombo
Raccogliamo ora le testimonianze del nostro ormai “celebre” socio C.S.L.C. Mario Terenzio Palombo che é stato per molti anni Comandante di unità dell’Armamento Costa e di Costa Crociere.
Comandante, la nostra lunga amicizia é nata proprio sui ponti di comando delle navi Costa durante le manovre nel porto di Genova. La tua formidabile carriera, sulle navi a due e quattro eliche tradizionali, si é evoluta insieme alla nuova tecnologia fino ad arrivare agli AZIPOD. Ci puoi dare da “tecnico” le tue valutazione su questo rivoluzionario sistema?
Essendo andato in pensione ufficialmente nel giugno 2007, all’epoca, le due navi di Costa Crociere dotate con AZIPOD erano le gemelle Costa Atlantica e Costa Mediterranea.
Ho comandato per ben 3 volte la Costa Atlantica dotata di AZIPOD con potenza apparato motore 35.200 KW.
Sin da subito ho potuto constatare le sue eccezionali caratteristiche di manovra rispetto le navi dotate di eliche a passo variabile o passo fisso. Oltre a tutti i vantaggi ben descritti nel presente articolo, vorrei aggiungere che tra tutti gli strumenti di manovra che si utilizzano per la manovra, con questo tipo di propulsione AZIPOD si fa a meno dei timoni. Naturalmente in manovra bisogna abituarsi a pensare diversamente. In pratica, non si ha il timone per far evoluire la nave, ma si agisce sugli AZIPOD. Per esempio, entrando in un porto, notando una certa difficoltà nel far evoluire la nave, viene spontaneo, sulle navi tradizionali, di fermare un motore e mettere il timone alla banda. Sulle navi con azipod questo è impossibile, si deve agire sugli AZIPOD aumentando la forza trattrice delle eliche e mettendo gli AZIPOD a dritta o sinistra a seconda della necessità. L’effetto è immediato!
Il sistema ha tre modalità e funziona nel modo seguente: “modalità navigazione” - “manovra manuale” - “manovra in automatico”. Il primo si usa in navigazione. In questo caso i due AZIPOD sono collegati e si muovono parallelamente. Sono sufficienti pochi gradi di angolo di barra (da 3° a 5°) per mantenere la rotta. Naturalmente hanno un angolo di barra sino a 40°. Il secondo, si usa in manovra. In questo caso i due azipod sono indipendenti. Uno di essi, a seconda dei casi, si dispone nel senso longitudinale per il movimento della nave in marcia avanti e indietro, l’altro si dispone lateralmente a 90°, come fosse un’elica laterale di manovra (thruster). La spinta laterale è notevole. Ricordo che sulla Costa Atlantica la potenza in "modalità manovra" é al massimo è di 10.000 KW (X Azipod). Si può così ruotare l’AZIPOD, già disposto lateralmente, anche verso prora (da 90°sino a 45° o più) o verso poppa (da 90°sino a 135°o più). In questo caso si ottiene una spinta combinata sia laterale che in marcia avanti o in marcia indietro. Un bell’effetto per la manovra! Nella terza modalità gli AZIPOD si orientano, come nel sistema manuale, ma automaticamente a seconda dell’ordine che gli viene impartito. Da notare che, in modalità manuale o automatico, gli AZIPOD ruotano velocemente su se stessi in 20 secondi.
Avendo fatto dei corsi per l’utilizzo del Joystick, avevo messo in atto la praticità di questo strumento. Ho osservato come l’automatismo utilizzava le eliche (dritta e sinistra), a seconda dei casi, ed ho imparato, sfruttando lo stesso sistema, ad usare bene gli AZIPOD anche con il sistema manuale. Però, il vantaggio dell’automatismo è che, essendo in manovra importante concentrarsi sul movimento della nave e il molo di attracco, evitando di agire su varie leve, con un solo “combinatore” (joystick), ruotandolo delicatamente, si dispone con facilità, la nave parallelamente alla banchina. Un’esperienza straordinaria!
Grazie Mario per il tuo prezioso contributo di chiarezza alla comprensione del sistema, sia da parte dei nostri lettori “specializzati”, sia da parte dei giovani studenti alle prese con straordinarie tecnologie che possono essere sperimentate solo a bordo di navi moderne, sebbene in crescita esponenziale.
Comandante C.S.L.C Garbarino (Costa Crociere)
Quali sono le innovazioni più significative di Costa Luminosa, dal punto di vista del Comandante? Le innovazioni per i nostri ospiti sono moltissime, tutte da scoprire e tutte da vivere a bordo. Dal punto di vista del Comandante, e più prettamente tecniche, la novità è data dalla possibilità di manovra, migliorate rispetto alle altre navi dotate di Azipod come la Costa Mediterranea e Costa Atlantica.
Ci può spiegare meglio di che cosa si tratta, Comandante Garbarino? Parliamo dunque delle eliche trattrici, che sono le eliche installate sugli azipod. Ormai sappiamo cosa sono gli azipod, in quanto sono installati su due delle nostre navi, la Costa Atlantica e la Costa Mediterranea.
A differenza delle eliche installate su assi dell'elica, dove l'elica "spinge", le eliche degli azipod la trainano, in quanto sono posizionate di proravia al loro asse di rotazione. Allego una foto di un azipod così si può notare meglio. Se l'elica è posizionata di poppa all'asse (come nelle navi tipo Costa Concordia, C. Serena, C. Pacifica e tutte le altre che non hanno l'azipod), l'effetto dell'elica è quello di "spingere" la nave. Se invece come sull'azipod, sono posizionate di proravia al loro asse di rotazione, allora avvitandosi nell'acqua avranno un effetto "trainate" o meglio "trattrice". Il vantaggio di un'elica trattrice è che non avendo nessun ostacolo di proravia, si "avvita" meglio nell'acqua.
ALBUM FOTOGRAFICO (2)
75 meter x 8 meter x 2.1 meter depth testing tank
ABB testing tank
Azipod shaft
Due Azipod imbarcati sulla coperta di una nave da carico
Internal rotor of ABB Azipod
Maestranze finlandesi ABB
D.M. Giuseppe SORIO
Carlo GATTI (Interviste)
Rapallo, 24 Settembre 2014